Agenzia Delle Entrate Rileva Abuso Nel Riporto Perdite Fiscali: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché il riporto delle perdite fiscali è stato considerato abusivo? In questi casi, l’Ufficio presume che le perdite di esercizi precedenti siano state utilizzate in modo non corretto per abbattere il reddito imponibile, riducendo il carico fiscale. La conseguenza è il disconoscimento parziale o totale del riporto, con recupero delle imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: vi sono difese efficaci per dimostrare la legittimità dell’utilizzo delle perdite.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta il riporto delle perdite fiscali
– Se le perdite non risultano correttamente indicate nelle dichiarazioni degli anni precedenti
– Se vengono riportate oltre i limiti temporali previsti dalla normativa
– Se il riporto è usato dopo operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, trasformazioni) ritenute elusive
– Se le perdite provengono da periodi in cui l’attività non era realmente operativa
– Se l’Ufficio presume che vi sia stato un abuso del diritto volto esclusivamente a ridurre l’imposizione fiscale

Conseguenze della contestazione
– Disconoscimento delle perdite riportate e recupero delle imposte sul reddito
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Maggior rischio di verifiche su altre voci contabili e fiscali
– Possibile coinvolgimento degli amministratori in responsabilità patrimoniali

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare con documentazione contabile e bilanci la reale esistenza delle perdite pregresse
– Produrre le dichiarazioni fiscali degli anni precedenti con le perdite regolarmente indicate
– Contestare l’abuso del diritto se l’operazione straordinaria aveva valide ragioni economiche e organizzative
– Evidenziare errori di calcolo, vizi di motivazione o decadenza dei termini dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la contabilità e la documentazione delle perdite riportate
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione delle norme fiscali
– Redigere un ricorso basato su prove concrete e vizi procedurali dell’accertamento
– Difendere la società davanti ai giudici tributari contro richieste fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale e degli amministratori da conseguenze sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi
– Il riconoscimento della legittimità del riporto delle perdite fiscali
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: le contestazioni sul riporto delle perdite fiscali devono essere impugnate entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Trascorso questo termine, l’accertamento diventa definitivo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni sull’abuso nel riporto delle perdite fiscali e come tutelare i tuoi diritti.

👉 Hai ricevuto una contestazione per l’uso delle perdite fiscali? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo i bilanci, confronteremo i dati contestati e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere la tua impresa.

Introduzione

L’Agenzia delle Entrate italiana pone sempre maggiore attenzione alle operazioni con cui imprese e contribuenti sfruttano le perdite fiscali pregresse per abbattere il reddito imponibile. In particolare, sono sotto esame le fattispecie in cui il Fisco ritiene che il contribuente abbia effettuato operazioni straordinarie o cambi di assetto societario al solo scopo di utilizzare perdite fiscali in modo indebito, configurando un possibile abuso del diritto. Quando l’Agenzia contesta un abuso nel riporto delle perdite, il contribuente (sia esso imprenditore, privato investitore o società) deve sapere come difendersi efficacemente, facendo valere le proprie ragioni in sede amministrativa e giudiziale.

In questa guida avanzata, aggiornata ad agosto 2025, esamineremo in dettaglio la normativa italiana sul riporto delle perdite fiscali, le ultime modifiche normative e le sentenze più aggiornate sul tema, con un taglio adatto a professionisti legali ma anche comprensibile a imprenditori e privati. Approfondiremo il concetto di “abuso del diritto” nel contesto del riporto delle perdite (in vari settori: immobiliare, holding, startup), forniremo strategie difensive dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta) e illustreremo casi pratici e domande frequenti. Troverete inoltre tabelle riepilogative che sintetizzano condizioni e limiti normativi, e una sezione Q&A (domande e risposte) che affronta i dubbi più comuni.

Iniziamo delineando il quadro normativo: quali sono le regole sul riporto delle perdite in Italia e come sono cambiate di recente? Successivamente, spiegheremo cosa si intende per abuso del diritto fiscale e come si applica al riporto delle perdite, per poi vedere come l’Agenzia delle Entrate individua le operazioni abusive. Infine, ci concentreremo su come difendersi: dagli strumenti preventivi (interpelli) alle difese in contenzioso (vizi procedurali, mancanza di vantaggio fiscale indebito, esistenza di valide ragioni economiche, ecc.), con riferimenti alle pronunce giurisprudenziali più autorevoli a supporto.

Normativa italiana sul riporto delle perdite fiscali (aggiornata al 2025)

Prima di affrontare il tema dell’abuso, è fondamentale comprendere come funziona il riporto delle perdite fiscali secondo la normativa italiana vigente. La disciplina primaria è contenuta nell’art. 84 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, DPR 917/1986) per i soggetti IRES (società ed enti) e in disposizioni analoghe per i soggetti IRPEF (imprese individuali e società di persone). Nel 2024-2025 questa materia è stata oggetto di una riforma rilevante, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 192/2024 (attuativo della delega fiscale, L. 111/2023) e di ulteriori interventi nel Decreto Legge 84/2025 (decreto fiscale 2025, in corso di conversione). Di seguito, riepiloghiamo le regole chiave:

  • Regola generale sul riporto delle perdite: Le perdite fiscali di un esercizio possono essere portate a riduzione dei redditi imponibili degli esercizi successivi, senza limiti temporali, ma entro il limite dell’80% del reddito di ciascun anno (il restante 20% del reddito d’anno resta comunque imponibile) . Ad esempio, se una società presenta un reddito imponibile di 100.000 € e ha perdite pregresse utilizzabili per 200.000 €, potrà compensarne solo 80.000 € (80%), pagando imposte sui restanti 20.000 €. L’eventuale perdita eccedente resta riportabile agli anni futuri.
  • Eccezione per le perdite dei primi anni di attività (startup): In deroga al limite dell’80%, le perdite fiscali realizzate nei primi tre periodi d’imposta dall’inizio di una nuova attività possono essere compensate integralmente (100% del reddito dei periodi successivi) . Questa previsione mira a favorire le nuove imprese e startup, attenuando l’impatto fiscale delle perdite iniziali legate all’avvio dell’attività, purché tali perdite siano attribuibili alla fase di start-up di una nuova attività produttiva . Esempio: una startup costituita nel 2022 che genera perdite nel 2022-2023 potrà usarle per azzerare utili futuri, senza il vincolo dell’80%.
  • Autonomia dei periodi d’imposta: Va ricordato che in linea di principio ogni esercizio è autonomo ai fini fiscali (art. 76 TUIR) . Il riporto perdite rappresenta dunque una deroga a questa autonomia, consentita al fine di evitare che un’impresa in utile debba pagare imposte pur avendo perdite non compensate in anni precedenti. Il legislatore bilancia questo beneficio con i limiti visti sopra e con ulteriori paletti anti-abuso nei casi di passaggi di controllo societario o operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, conferimenti), come vedremo tra poco.

Limitazioni in caso di cambio di controllo societario (art. 84 co.3 TUIR)

Una parte cruciale della normativa – e focale per i potenziali abusi – riguarda l’utilizzo di perdite fiscali in caso di trasferimento della proprietà della società che ha maturato le perdite. Ci si riferisce al fenomeno noto come “commercio delle bare fiscali”, ovvero l’acquisto di società defunte dal punto di vista economico ma ricche di perdite fiscali da parte di soggetti che intendono sfruttarle.

Il nuovo comma 3 dell’art. 84 TUIR, come sostituito dal D.Lgs. 192/2024 (in vigore per operazioni dal periodo d’imposta 2024 ), stabilisce quanto segue :

  • Se viene trasferita a terzi la maggioranza delle partecipazioni (diritto di voto) di una società che ha perdite fiscali riportabili, e
  • Nei due anni precedenti o successivi al trasferimento si verifica una modifica dell’attività principale esercitata dalla società rispetto a quella svolta nei periodi in cui le perdite sono state generate,

allora le perdite pregresse della società ceduta non sono riportabili in diminuzione dei redditi della società stessa o dell’acquirente (ad es. in caso di fusione post-acquisizione) . In altri termini, il legislatore presume che, se all’acquisizione di controllo segue (o ha preceduto di poco) un cambio sostanziale di attività, l’utilizzo delle perdite sia potenzialmente elusivo e lo vieta espressamente.

Che cosa si intende per “modifica dell’attività principale”? La riforma del 2024 ha fornito finalmente una definizione normativa precisa di questo concetto, prima lasciato all’interpretazione (spesso estensiva) degli organi accertatori. Ora, la modifica dell’attività si considera realizzata in caso di cambiamento del settore economico o del comparto merceologico in cui opera la società, oppure in caso di acquisizione di un’altra azienda o ramo d’azienda che comporti una variazione sostanziale dell’attività originaria . La norma specifica inoltre che tali cambiamenti rilevano se avvengono nel periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento di controllo o nei due anni successivi o precedenti a tale trasferimento . Nota: Non costituisce invece modifica rilevante la mera immissione di risorse finanziarie aggiuntive o di singoli beni strumentali (cioè un semplice aumento di capitale o acquisto di qualche macchinario non è considerato un cambio di attività) .

In pratica, questo significa per esempio che se una società Alfa (settore commercio) con grosse perdite viene acquistata nel 2025 da un nuovo azionista e nel 2026 la società inizia un’attività del tutto diversa (es. settore immobiliare) o incorpora un ramo aziendale estraneo, allora le perdite pregresse di Alfa non potranno più essere usate per compensare i futuri utili. Analogamente, se Beta Srl (una holding di fatto inattiva ma con perdite pregresse) viene comprata da un gruppo industriale che nel giro di un anno la trasforma in una società produttiva, scatta la limitazione.

Periodo delle perdite da considerare: Un ulteriore chiarimento apportato dalla riforma riguarda quali perdite siano soggette al divieto. Se il trasferimento di controllo avviene nella prima metà dell’anno, si considerano tutte le perdite fino all’anno precedente; se invece il trasferimento avviene oltre la metà dell’anno, si includono anche le perdite maturate nell’anno in corso fino al trasferimento. Questa specificazione impedisce artifici basati sul timing dell’operazione durante l’anno.

È importante sottolineare che la doppia condizione (cambio controllo e cambio attività) deve essere congiunta: se una società con perdite viene ceduta ma continua la medesima attività senza cambi sostanziali, la mera cessione di controllo non fa perdere di per sé il diritto al riporto delle perdite. Il legislatore dunque non punisce l’acquisizione in sé, bensì la combinazione di acquisizione + mutamento d’attività, vista come spia di un possibile intento elusivo.

Tuttavia, data la rigidità di tale regola, sono previste deroghe e altre condizioni di salvaguardia, come vedremo a breve (ad es. il test di vitalità economica che consente di “salvare” le perdite se la società rimane operativa, e la possibilità di interpello per disapplicare la norma in casi meritevoli).

Test di vitalità economica: la nuova condizione per salvare le perdite

La riforma ha introdotto nel medesimo art. 84 due nuovi commi, 3-bis e 3-ter, che di fatto attenuano la rigidità del comma 3 tramite il cosiddetto “test di vitalità” economica della società con perdite . L’idea è di premiare le società effettivamente operative, anche se hanno cambiato controllo e attività, consentendo comunque il riporto delle perdite se dimostrano di avere una certa vitalità economica. In sintesi, se la società con perdite supera questo test, le limitazioni del comma 3 non si applicano .

Criteri del test di vitalità (art. 84 co. 3-bis TUIR): La società “trasferita” deve presentare, nel periodo d’imposta di riferimento, entrambe le seguenti condizioni :

  • Ricavi e proventi dell’attività caratteristica ≥ 40% della media dei ricavi dei due esercizi precedenti .
  • Spese per lavoro dipendente (e relativi contributi) ≥ 40% della media delle spese per lavoro dei due esercizi precedenti .

In altre parole, bisogna confrontare il conto economico dell’anno in cui avviene il cambio (o l’anno precedente, a seconda dei casi) con i due anni precedenti: se i ricavi ed i costi del personale raggiungono almeno il 40% della media di tali valori nei due anni passati, l’azienda viene considerata ancora operativa e “viva”, non una scatola vuota. Questo test sostituisce e migliora le precedenti presunzioni: è stato infatti eliminato il vecchio requisito formale secondo cui la società doveva avere almeno 10 dipendenti nei due anni antecedenti il cambio (criterio rigido e non sempre significativo). Ora conta un insieme di indicatori economici relativi all’attività svolta.

Esempio pratico: Gamma Srl ha perdite fiscali e viene acquisita da un nuovo socio nel 2025, cambiando attività. Per non perdere le sue perdite pregresse, Gamma deve dimostrare che nel 2025 (o 2024, a seconda di quando avviene esattamente il passaggio) essa aveva mantenuto un minimo di operatività: ad es. ricavi per almeno il 40% della media 2023-2024 e spese per dipendenti almeno il 40% della media 2023-2024. Se Gamma era praticamente ferma (ricavi irrilevanti e personale ridotto a zero), fallisce il test di vitalità e il riporto perdite le sarà precluso; se invece aveva ancora un giro d’affari e personale significativo, potrà mantenere le perdite.

Effetto del superamento del test: Se il test di vitalità è superato, la società può riportare le perdite nonostante cambio di controllo e attività, ma solo entro un certo limite quantitativo . Qui entra in gioco il nuovo comma 3-ter.

Limite quantitativo: patrimonio netto “attivo” entro cui utilizzare le perdite

Il comma 3-ter dell’art. 84 introduce un tetto massimo alle perdite utilizzabili quando il test di vitalità è superato. Tale limite è pari al valore economico del patrimonio netto della società con perdite (la perdente) alla data del cambio/operazione . In pratica, anche se una società è vitale, non potrà usare perdite eccedenti il valore della propria capacità produttiva di reddito, misurata appunto dal valore del suo patrimonio. Questo per evitare che enormi perdite maturate in passato (magari per operazioni straordinarie o svalutazioni) possano compensare utili futuri sproporzionati rispetto alla consistenza reale della società.

Come si calcola il valore economico del patrimonio netto? La norma prevede l’uso, preferibilmente, di una perizia giurata di stima che attesti il valore corrente del patrimonio netto della società perdente . Questo valore stimato viene poi “sterilizzato” dagli eventuali conferimenti di capitale o versamenti fatti negli ultimi 24 mesi prima del trasferimento, per neutralizzare manovre di ricapitalizzazione finalizzate solo ad accrescere il patrimonio pre-operazione . Nello specifico, il valore periziato viene ridotto di un importo corrispondente ai versamenti effettuati nei due anni precedenti (opportunamente proporzionati se il valore economico diverge molto dal valore contabile) . Se la società non presenta alcuna perizia, come fallback si assume il patrimonio netto contabile risultante a bilancio, depurato comunque dai conferimenti degli ultimi 24 mesi .

Questa tecnica di calcolo serve a evitare incrementi “strumentali” del patrimonio poco prima dell’operazione (ad esempio capitalizzazioni last-minute) nel tentativo di ampliare il plafond di perdite utilizzabili. In sostanza, le perdite riportabili dopo il cambio di controllo/attività non possono eccedere il patrimonio “genuino” della società. Se le perdite eccedono tale limite, la parte eccedentaria diventa indeducibile.

Esempio di calcolo: Delta Srl ha perdite pregresse per 10 milioni. Viene acquisita da un nuovo gruppo; Delta supera il test di vitalità, quindi in linea di principio può usare le perdite. Il suo patrimonio netto contabile è 2 milioni, ma includendo un conferimento di 1 milione fatto un anno prima. La perizia giurata attesta però un valore economico di 3 milioni (perché ha immobili sottovalutati a bilancio). Tuttavia, nei 24 mesi prima, ci sono stati conferimenti per 1 milione. Quindi il limite sarà il valore periziato 3 mln, ridotto dei conferimenti: ovvero circa 2 milioni come tetto. Significa che, dei 10 milioni di perdite, solo 2 milioni potranno effettivamente essere usati a compensazione di futuri utili; i restanti 8 milioni verranno persi (indeducibili). Se mancasse la perizia, si sarebbe preso il PN contabile 2 mln (già al netto di quell’1 mln di conferimenti) come limite comunque.

Nota: L’attenzione al patrimonio netto economico riflette l’approccio ormai adottato dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate, che negli anni scorsi spesso concedeva in via di interpello la disapplicazione dei limiti a fronte di perizie di stima: segno che il valore contabile talvolta era fuorviante (ad es. società con immobili dal grande valore di mercato ma bassissimo PN contabile per valutazioni storiche) . Ora questo approccio è codificato in legge, uniformando e rendendo ex ante più prevedibile la misura in cui le perdite saranno ammesse .

Estensione ad altri “tax attributes”: Il comma 3-quater dell’art.84 chiarisce che queste nuove limitazioni si applicano analogamente anche alle eccedenze di interessi passivi indeducibili (ex art. 96 TUIR) e alle eccedenze ACE (Aiuto alla Crescita Economica) riportabili . Ciò evita che vantaggi fiscali pregressi di natura similare alle perdite (in quanto deduzioni rinviate) possano essere “trafficati” elusivamente in operazioni straordinarie.

Fusioni e scissioni: condizioni per il riporto perdite (art. 172-173 TUIR)

Oltre al cambio di maggioranza, un’altra situazione delicata è l’utilizzo di perdite nelle operazioni di fusione o scissione societaria. Storicamente, la normativa italiana prevedeva già regole anti-elusive: l’art. 172, comma 7 TUIR (fusioni) subordinava la riportabilità delle perdite fiscali delle società fuse alla verifica di certi indici di vitalità (ricavi e spese per lavoro dipendente superiori al 40% della media dei due anni precedenti) e di un limite basato sul patrimonio netto della società che “porta” le perdite. Tali principi per le fusioni erano estesi alle scissioni per rinvio dell’art. 173 c.10 TUIR.

La novità del 2024 è che il legislatore ha voluto uniformare queste discipline con quella delle acquisizioni di partecipazioni di cui sopra, eliminando alcune differenze e chiudendo alcune lacune (ad esempio il caso di fusioni con efficacia retroattiva). Con il D.Lgs. 192/2024, l’art. 172 TUIR è stato modificato in modo da allineare i requisiti di fusione a quelli delle cessioni di partecipazioni :

  • Limite del patrimonio netto: anche in fusione/scissione, le perdite delle società partecipanti sono riportabili dalla società risultante o incorporante solo fino a concorrenza del valore economico del patrimonio netto della società che porta in dote le perdite . È lo stesso criterio visto per le acquisizioni: in passato, invece, per le fusioni si guardava al patrimonio netto contabile della società fusa (con sterilizzazione dei conferimenti ultimi 24 mesi) come plafond. Ora si tiene conto del valore corrente periziato, ridotto dei conferimenti, analogamente a quanto descritto sopra.
  • Test di vitalità: viene espressamente richiesto anche per fusioni e scissioni il superamento del test di vitalità economica (40% di ricavi e spese personale rispetto ai due anni precedenti) da parte della società con perdite . Questo era già implicito nella vecchia norma sulle fusioni, ma ora è tutto armonizzato: non c’è più distinzione di trattamento tra perdita utilizzata in fusione e perdita in caso di acquisizione di quote – i parametri sono uguali.
  • Doppio periodo di osservazione per fusioni retroattive: un aspetto importante, chiarito sia dalla nuova norma sia dalla giurisprudenza recente, riguarda le fusioni deliberate con effetto retroattivo al primo giorno dell’anno (espediente spesso usato per unificare retroattivamente i risultati). In tali casi, il test di vitalità va verificato due volte: sia sull’esercizio antecedente la fusione, sia sul periodo dall’inizio dell’esercizio corrente fino alla data di efficacia giuridica della fusione . Il comma 7 dell’art. 172, come integrato, prevede infatti che per fusioni/scissioni con retrodatazione occorre considerare anche la frazione d’anno “interinale” prima della fusione . Ciò per evitare che una società possa apparire vitale guardando solo all’anno precedente, ma venga svuotata nei primi mesi dell’anno della fusione senza che questo infici il test. La Cassazione n.1715/2025 ha confermato che ignorare il periodo interinale vanificherebbe la ratio anti-elusiva: “tale finalità [della norma] sarebbe agevolmente elusa ove non si prendesse in considerazione, in caso di retrodatazione, anche il periodo tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione… in cui la società potrebbe essere interamente svuotata senza conseguenze sul test di operatività” . Dunque, per esempio, se X incorpora Y con effetto dall’inizio dell’anno, Y dovrà aver superato il test sia sul bilancio dell’anno precedente sia su un bilancio infrannuale dal 1° gennaio alla data della fusione . Questa doppia verifica rende più rigoroso il controllo e comporta oneri pratici (redazione di un conto economico ad hoc per la frazione d’anno) .
  • Retrodatazione degli effetti fiscali: collegato al punto sopra, la norma ora esplicitamente estende i limiti di riporto perdite anche alle perdite maturate nel periodo fino alla data di fusione, se l’effetto fiscale è retrodatato . In altri termini, se Y ha accumulato una perdita nei mesi 1-6 del 2025 e la fusione con X decorre dal 1/1/2025, anche quella porzione di perdita “interinale” di Y è soggetta alle stesse restrizioni (test vitalità e patrimonio) per potere essere riportata in X . Ciò chiude una scappatoia: prima, la perdita prodotta nell’anno stesso della fusione sfuggiva ai limiti se la fusione veniva retrodatata all’inizio dell’anno, ora non più.

Riassumendo, dal 2024 il quadro è omogeneo: qualsiasi situazione in cui si vogliano utilizzare perdite fiscali a seguito di trasferimenti di aziende o partecipazioni, fusioni o scissioni fuori dal perimetro di un medesimo gruppo societario deve rispettare sempre i due requisiti – continuità aziendale (test di vitalità) e capienza del patrimonio netto – pena la perdita del beneficio di riportare le perdite. L’obiettivo dichiarato è “tendenziale omogeneizzazione dei limiti e condizioni di riporto delle perdite” per contrastare pianificazioni elusive e semplificare le regole.

<small>Nota: Le limitazioni relative al riporto perdite si applicano parimenti al riporto di eccedenze di interessi passivi e ACE, come già detto, secondo i nuovi artt. 84 co. 3-quater e 172 co.7-ter TUIR .</small>

Esenzioni per operazioni infragruppo e interpello disapplicativo

Un aspetto importante, introdotto di recente, è la differenziazione tra operazioni infragruppo ed extragruppo. Il legislatore ha riconosciuto che quando le riorganizzazioni avvengono all’interno dello stesso gruppo societario (cioè sotto lo stesso controllo ultimo), raramente lo scopo è il traffico di perdite – più spesso si tratta di riorganizzazioni con finalità economiche genuine (razionalizzazione societaria, semplificazione). Pertanto, il D.Lgs. 192/2024 ha aggiunto al TUIR l’art. 177-ter, che prevede una deroga automatica ai limiti di riporto perdite nelle operazioni infragruppo .

Operazioni infragruppo esentate: Fusioni, scissioni, conferimenti d’azienda e cessioni di partecipazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo di controllo non sono soggette alle restrizioni di cui sopra . Si considera “stesso gruppo” la situazione in cui una società controlla direttamente o indirettamente le altre coinvolte, oppure tutte le società partecipanti sono controllate dal medesimo soggetto . In tali casi, non si applicano i limiti del comma 3 dell’art.84 né il test di vitalità né il tetto patrimonio: l’operazione intragruppo può dunque trasferire perdite senza automatica disconoscimento.

Importante: L’esenzione vale solo per perdite generate quando le società facevano parte del gruppo . Se una società entra nel gruppo già “carica” di perdite pregresse esterne, quelle perdite restano soggette ai limiti (salvo siano già “omologate”, ossia abbiano già superato test/limiti al momento dell’ingresso) . Quindi ad esempio, se Holding A e Subsidiary B erano già in gruppo e fondendole nel 2025 B porta perdite del 2024, non ci sono limiti; ma se B è stata acquisita nel 2023 da A, le perdite anteriori al 2023 di B non beneficiano dell’esenzione.

Interpello disapplicativo (art. 11, L.212/2000): Resta ferma, in ogni caso, la possibilità per il contribuente di presentare un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate per chiedere la disapplicazione della disciplina anti-perdite in casi specifici . Questo strumento, già esistente prima della riforma, consente di ottenere un via libera qualora il contribuente dimostri che nel caso concreto, pur essendo formalmente integrati i presupposti (es. la società ha cambiato attività ed era in perdita), non sussiste una finalità elusiva. Ad esempio, se la società con perdite “non è una scatola vuota” ma ha valide ragioni economiche e prospettive di reddito, l’Agenzia può accogliere l’interpello e permettere il riporto delle perdite . Il nuovo impianto normativo è nato anche per ridurre il ricorso massiccio agli interpelli disapplicativi (in passato molto frequenti per ottenere eccezioni caso per caso) uniformando ex lege molte situazioni. Tuttavia l’interpello rimane fondamentale per quei casi particolari non pienamente rientranti nelle fattispecie standard, offrendo al contribuente una chance preventiva di evitare contenziosi (purché l’istanza sia ben documentata).

Sintesi tabellare – Condizioni per riporto perdite (post-riforma 2024)

ScenarioCondizioni e limiti per riportare le perdite
Cessione partecipazioni (trasferimento controllo) a terzi– Divieto di riporto se entro ±2 anni dal cambio controllo c’è modifica dell’attività principale .<br>– Deroga: se supera test di vitalità (ricavi e costo lavoro ≥40% media biennio) , il divieto non si applica.<br>– Se test ok: perdite utilizzabili fino a valore patrimonio netto (perizia giurata) – conferimenti 24 mesi .<br>– Versamenti ultimi 24 mesi esclusi dal patrimonio rilevante .<br>– Coinvolge perdite dell’anno corrente a seconda data operazione (entro metà anno → escluse perdite anno corrente; oltre metà → incluse).
Fusione/Scissione (operazioni straordinarie)Stessi limiti delle cessioni: perdite riportabili solo se società con perdite supera test di vitalità + entro valore patrimonio netto economico .<br>– Verifiche su periodo ante fusione; se efficacia retroattiva, doppio test su periodo interinale .<br>– Perdite periodo interinale soggette a limiti ugualmente .
Operazioni intra-gruppo (fusioni, scissioni, conferimenti, cessioni quote tra società sotto stesso controllo)Esenzione dai limiti anti-elusivi per perdite maturate in costanza di appartenenza al gruppo (nessun test vitalità né tetto patrimonio richiesti).<br>– Nota: perdite pregresse ante-ingresso nel gruppo restano soggette a limitazioni finché non “omologate” .
Strumento di tutela: Interpello disapplicativo– Contribuente può chiedere ex art.11 L.212/2000 di disapplicare i limiti presentando prova che l’operazione non è elusiva (es. società non “scatola vuota”) .<br>– Se accolto, l’Agenzia consente riporto integrale perdite nonostante condizioni formali sfavorevoli.

(Fonti: art. 84 TUIR come modificato da D.Lgs.192/2024; art.172 TUIR; D.L.84/2025; Nota esplicativa MEF; Cass. 1715/2025.)

Il caso particolare del Consolidato fiscale nazionale

Un cenno a parte merita il regime di consolidato fiscale nazionale (artt. 117-129 TUIR), in cui un gruppo di società può optare per la tassazione unitaria del proprio reddito complessivo. Nel consolidato, le perdite fiscali maturate prima dell’adesione al consolidato restano utilizzabili solo dalla stessa società che le ha generate e non possono essere immediatamente compensate con gli utili di altre società del gruppo . Ad esempio, la società A entra in un consolidato nel 2025 portando con sé perdite pregresse: tali perdite potranno abbattere solo i futuri redditi propri di A all’interno del consolidato (nelle dichiarazioni di A), ma non il reddito consolidato di gruppo. Solo le perdite maturate dopo l’ingresso nel consolidato partecipano liberamente alla compensazione orizzontale nel perimetro di gruppo.

La normativa del consolidato contiene a sua volta clausole anti-elusive (ad es. limiti al riporto in caso di ingresso/uscita dal consolidato), ma è importante sapere che tentare di aggirare il vincolo sulle perdite pregresse tramite manovre artificiose può far incorrere in contestazioni. Ad esempio, un’operazione che di fatto sposti utili su una società che aveva perdite anteriori al consolidato – come nel caso di una società immobiliare che realizza una plusvalenza ad hoc per usare perdite pregresse in scadenza – potrebbe essere vista come elusiva dell’art.118 TUIR (che vieta l’utilizzo intersoggettivo di quelle perdite) . Un caso concreto: la Cassazione n.10872/2025 ha riguardato proprio una contestazione di abuso dove l’ufficio sosteneva che una complessa operazione immobiliare all’interno di un gruppo avesse permesso indebitamente a una società di utilizzare perdite pregresse anteriori al consolidato, in scadenza, compensando una plusvalenza ottenuta tramite schemi artificiosi . In quell’occasione l’Agenzia contestava l’aggiramento delle norme del TUIR rilevanti ai fini IRES (artt. 84, 85, 118) per un vantaggio fiscale realizzato solo a fini IRES . Il messaggio è chiaro: i vincoli del consolidato sulle perdite pregresse non vanno forzati tramite operazioni anomale, altrimenti la reazione del Fisco può essere una rettifica per abuso del diritto.

(Si noti che, in caso di abuso, l’amministrazione disconosce il vantaggio fiscale: quindi “come se l’operazione non fosse mai avvenuta”, ripristinando la tassazione che sarebbe emersa senza l’operazione e applicando imposte e sanzioni dovute.)

Abuso del diritto fiscale nel riporto delle perdite: principi generali

Chiarito il quadro normativo, passiamo al concetto di abuso del diritto in ambito tributario e, specificamente, in relazione al riporto delle perdite. La nozione di abuso del diritto (o elusione fiscale, termini oggi unificati) è stata codificata in Italia con l’art. 10-bis della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente), introdotto dal D.Lgs. 128/2015 . Si tratta di una clausola generale anti-elusiva, applicabile a tutti i tributi, che recepisce principi elaborati dalla giurisprudenza nazionale (Cass. SS.UU. 30055/2008) ed europea.

Definizione legale (art. 10-bis, co.1): ricorre abuso quando il contribuente realizza una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, conseguono essenzialmente vantaggi fiscali indebiti . Questa definizione evidenzia i tre elementi costitutivi del fenomeno:

  1. Vantaggio fiscale indebito – ossia un risparmio d’imposta ottenuto in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario . Non si parla di qualsiasi vantaggio, ma di un beneficio che il legislatore non intendeva concedere: in pratica, un uso strumentale di norme concepite per altri scopi, al fine di pagare meno tasse . Ad esempio, l’indebito vantaggio può consistere nel riportare perdite in modo non voluto dalla norma, “ampliando artificiosamente” quelle perdite o spostandole dove non dovrebbero essere utilizzabili . Se invece il risparmio è conforme alla ratio della norma (legittimo risparmio d’imposta), non è indebito.
  2. Assenza di sostanza economica – le operazioni risultano prive di effetti economici significativi diversi dal risparmio fiscale . In altre parole, manca una reale giustificazione economico-commerciale: gli atti sono meramente formali o circolari e non producono cambiamenti apprezzabili nella posizione del contribuente al netto dell’effetto fiscale . La legge elenca alcuni indici sintomatici di mancanza di sostanza: ad esempio, la non coerenza tra la forma giuridica e la sostanza economica dell’operazione, l’uso anomalo di strumenti giuridici non rispondenti alle normali logiche di mercato . Nel nostro contesto, tipico caso è quando una riorganizzazione societaria non aggiunge nulla dal punto di vista economico (nessuna nuova attività, nessun incremento di valore) ed ha senso solo per l’utilizzo di perdite a fini fiscali.
  3. Essenzialità del motivo fiscale – l’operazione è motivata principalmente o esclusivamente dal fine di ottenere quel vantaggio fiscale . Se invece il contribuente riesce a dimostrare valide ragioni extrafiscali non marginali – cioè motivazioni economico-gestionali genuine, di peso non trascurabile – allora non si ricade nell’abuso, anche se il vantaggio fiscale era presente . Questo funge da “valvola di sicurezza”: operazioni con un solido business purpose (riorganizzazione per efficienza, esigenze di mercato, salvataggio aziendale, ecc.) non sono abusive solo perché comportano anche un risparmio d’imposta. La legge chiarisce che tali ragioni extrafiscali possono essere anche di natura organizzativa o gestionale, purché non meramente marginali .

Possiamo sintetizzare: l’abuso del diritto è un comportamento borderline in cui il contribuente, senza violare letteralmente alcuna norma (quindi distinto dall’evasione palese), ne forza l’applicazione ottenendo un vantaggio fiscale anomalo, senza una vera sostanza economica a supporto. È uno “schermo” lecito in apparenza ma vuoto in concreto, messo in piedi per aggirare lo spirito della legge tributaria. Come affermato in giurisprudenza, “si configura abuso quando l’elemento predominante e assorbente della transazione è l’obiettivo di ottenere vantaggi fiscali” .

Fondamento giuridico: Per i tributi interni (non armonizzati UE), il divieto di abuso si fonda sui principi costituzionali di capacità contributiva e progressività (art. 53 Cost.) , che sarebbero frustrati da condotte elusive. La Cassazione ha spesso richiamato l’art. 53 Cost. come base per sindacare operazioni che azzerano artificiosamente la base imponibile . Nel diritto unionale (IVA e imposte armonizzate) l’abuso discende da principi comunitari elaborati dalla Corte di Giustizia (es. caso Halifax, 2006).

Carattere residuale: la clausola anti-abuso opera in via residuale, ovvero solo se la fattispecie non è già sanzionabile come violazione specifica di norma tributaria (evasione, frode) . Se c’è stata una violazione esplicita (es. false fatture, infedele dichiarazione deliberata), si procede con gli strumenti anti-evasione ordinari, anche penali se del caso, non con l’abuso. Dunque l’abuso colma quelle situazioni “grigie” di elusione lecita in forma. Nel contesto delle perdite fiscali, il confine può essere sottile: ad esempio, dichiarare perdite inesistenti è frode (reato); invece orchestrare un’operazione societaria per utilizzare perdite esistenti in modo indebito è tipicamente abuso (illecito tributario civile).

Procedura e onere della prova: L’art. 10-bis ha anche delineato il procedimento: il contribuente ha diritto ad un contraddittorio anticipato con l’Agenzia (che deve notificare al contribuente la contestazione di abuso con 60 giorni per controdedurre prima di emettere l’atto) e l’atto impositivo deve motivare specificamente le ragioni per cui si ritiene abuso e confutare quelle addotte dal contribuente. Sul piano probatorio, la norma stabilisce che spetta all’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti dell’abuso (i tre elementi sopra), mentre grava sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di valide ragioni economiche alternative o concorrenti alla base delle operazioni . Questo principio, consolidato già prima per via giurisprudenziale, è ora espresso: il Fisco deve quindi identificare il disegno elusivo e gli “schemi negoziali anomali” usati, e il contribuente per difendersi deve allegare (e in giudizio provare) i motivi extrafiscali sostanziali che giustificano l’operazione . La Cassazione ha rimarcato che non c’è abuso se l’ufficio non prova il vantaggio fiscale indebito derivante dallo schema artificioso , e viceversa non c’è abuso se il contribuente prova ragioni economiche serie, anche se coesiste un risparmio d’imposta legato alla scelta negoziale effettuata .

Abuso del diritto e riporto perdite: applicando tali criteri generali al tema delle perdite fiscali, possiamo delineare quali situazioni tipicamente possono configurare un abuso:

  • Operazioni straordinarie “senza sostanza” finalizzate all’utilizzo di perdite: ad esempio, fusione/incorporazione di una società inattiva ma con ingenti perdite in un’altra attiva, al solo scopo di usare quelle perdite per abbattere l’utile della seconda. Se l’operazione di fusione non produce sinergie o vantaggi economici (anzi spesso la società “perdente” non ha attività né patrimonio significativi, quindi nessun reale beneficio per l’incorporante se non fiscale), l’essenzialità del motivo fiscale è manifesta. La Corte di Cassazione ha più volte sottolineato il rischio elusivo di fusioni “improprie” fatte solo per trasferire basi imponibili negative: la disciplina dell’art. 172 TUIR è costruita proprio per prevenire scopi esclusivamente o prevalentemente elusivi , con i test di vitalità e patrimonio come barriere. Se tali barriere non sono superate, l’operazione viene in sostanza riqualificata ignorando le perdite trasferite (il vantaggio fiscale è negato).
  • Acquisto di società “bare fiscali”: caso classico, punito dall’art.84 co.3, è quando una società in utile acquista il controllo di una società in perdita (magari pagando un prezzo per le sue tax losses latenti) e poi, con qualche stratagemma (affitti di ramo, trasferimento di assets, consolidato fiscale, ecc.) fa sì che gli utili propri vengano compensati con quelle perdite altrimenti non utilizzabili. Se non c’è una vera integrazione aziendale o altra ragione economica (la società acquisita spesso non ha più attività), questa condotta rientra nell’abuso. Il principio di diritto generale affermato dalla Cassazione è che “l’uso distorto di norme fiscali per ottenere benefici tributari, in assenza di valide ragioni economiche, configura abuso del diritto” anche nelle operazioni societarie . Questo vale certamente per le cessioni di partecipazioni mirate a sfruttare perdite: di per sé l’acquisizione è lecita, ma se viene accompagnata o seguita da atti privi di sostanza tesi a monetizzare quelle perdite (cambi di attività, cessioni di asset intra-gruppo per produrre utili compensabili, adesione a consolidato per condividere perdite, ecc.), allora si entra nel territorio dell’elusione.
  • Trasformazioni societarie e operazioni simulate: anche conferimenti di azienda, scissioni o liquidazioni parziali possono celare abusi se disegnati per isolare perdite ed utilizzarle. Un caso notevole è quello della scissione “liquidatoria”: una società in liquidazione con un immobile può scindersi assegnando l’immobile ai soci per poi vendere le quote invece che l’immobile stesso, cercando magari di trasformare una plusvalenza tassabile in un qualcosa di esente. La Cassazione (sent. 27905/2024) ha esaminato proprio una scissione in fase di liquidazione con assegnazione di un immobile di valore ai soci e ha ribadito che se l’operazione è priva di reale sostanza economica e volta unicamente ad evitare il fisco, si tratta di abuso . In particolare, ha affermato che nelle scissioni poste in essere da società che di fatto non svolgono attività d’impresa effettiva (essendo magari solo detentrici di patrimoni) e che mirano essenzialmente a ottenere vantaggi fiscali, ricorre l’abuso del diritto .
  • “Perdite artificiali” o create ad hoc: se un contribuente realizza operazioni volte a generare perdite fittizie o amplificarne l’entità per poi riportarle, si può avere abuso. Un esempio è il caso di vendite infragruppo a prezzi artatamente bassi o alti per far emergere perdite in una società e plusvalori tassabili in un’altra che però li compensa con quelle perdite in consolidato: dal punto di vista di gruppo l’operazione può essere neutra ma consente di far comparire perdite sfruttabili. Tali schemi di puro artificio (spesso combinazioni di atti privi di logica economica se non per il risparmio d’imposta) rientrano a pieno titolo nell’abuso . La legge stessa fa l’esempio di “operazioni che si annullano a vicenda”: creare perdite “a tavolino” è uno di questi. In sostanza, ciò che conta è se l’economia dell’operazione, guardata nel suo insieme, avrebbe potuto essere ottenuta in modo più diretto senza quel risparmio: se vengono usati schemi complicati solo per generare basi imponibili negative, il fisco vi scorgerà un intento elusivo.

Casi non abusivi: Al contrario, non costituirà abuso (anzi rientrerà nel legittimo risparmio d’imposta) l’utilizzo di perdite nei modi consentiti dal legislatore e coerenti con la sua finalità. Ad esempio, non è abuso scegliere di fondere due società operative per creare efficienza, anche sapendo che ciò permetterà di utilizzare le perdite di una – se c’è un genuino scopo economico (integrazione di filiera, sinergie produttive, risparmio di costi) e le condizioni anti-elusive sono rispettate, il vantaggio fiscale è un effetto consequenziale voluto dall’ordinamento (che difatti consente le fusioni con neutralità fiscale). Similmente, non è abuso se l’operazione è strutturata in modo fiscalmente meno gravoso ma perfettamente lecito e congruo dal punto di vista economico: la libertà del contribuente di scegliere tra regimi diversi o strumenti giuridici diversi, di per sé, non è sindacabile. La Cassazione ha chiarito che “l’opzione per l’operazione negoziale fiscalmente meno gravosa non integra di per sé abuso, essendo necessario che il risparmio indebito costituisca la causa concreta dell’operazione” . Quindi, se due strade conducono allo stesso risultato economico, scegliere la più conveniente fiscalmente è legittimo (tax planning), a patto che entrambe siano soluzioni normali di mercato. L’abuso scatta invece quando la strada scelta è artificiosa, non giustificata se non per le tasse (ad esempio creare una società-veicolo solo per farsi cedere un bene con una forma più vantaggiosa vs. comprarlo direttamente: se la via diretta aveva uguale effetto economico, l’aver creato il veicolo può essere visto come abuso, a meno di ragioni specifiche).

In sintesi, nel contesto del riporto delle perdite il confine è: usare le perdite secondo le regole e nell’ambito di operazioni giustificate è lecito; creare o utilizzare perdite “a sorpresa” attraverso operazioni costruite ad hoc e prive di logica economica è abuso. Le normative anti-elusive (art.84 co.3 e art.172 co.7) di fatto identificano a priori certe situazioni rischiose, ma anche al di fuori di quelle specifiche fattispecie l’Agenzia può invocare la clausola generale dell’art.10-bis se ritiene un’operazione elusiva. Lo ha fatto ad esempio con la già menzionata scissione immobiliare in liquidazione, dove non c’era una norma ad hoc violata, ma la ricostruzione economica dell’operazione mostrava un risparmio fiscale indebito e nessuna ragione extrafiscale: in tali casi il giudice valuterà l’operazione secondo i principi generali, senza bisogno di una norma antielusiva specifica.

Come l’Agenzia delle Entrate individua e contesta l’abuso nel riporto perdite

L’Agenzia delle Entrate dispone ormai di uffici specializzati (come l’ufficio Anti-elusione) e di una corposa base di esperienze pregresse per scovare schemi abusivi. Vediamo quali segnali e quali procedure adotta in genere quando “rileva un abuso” nel riporto di perdite fiscali.

Red flags (segnali di allarme): Alcuni elementi ricorrenti che possono far scattare accertamenti per abuso del diritto in tema di perdite sono:

  • Società con molte perdite pregresse che cambia proprietà e attività, iniziando improvvisamente a produrre utili compensati dalle vecchie perdite. Ad esempio: una società rimasta in perdita per anni, senza dipendenti, viene comprata e inizia un nuovo business profittevole ma senza pagare imposte perché usa le vecchie perdite. L’ufficio incrocia i dati e nota questa “resurrezione fiscale” sospetta.
  • Operazioni infragruppo anomale prima della scadenza delle perdite: es. spostamento di asset o di rami d’azienda tra società dello stesso gruppo poco prima che scadano perdite in una di esse, con il risultato di generare utili compensati. L’Agenzia potrebbe considerarlo un uso improprio del consolidato o dei conferimenti.
  • Fusioni/scissioni dove la società con perdite appare inerte: se da bilanci e altre informazioni risulta che l’incorporata (o la scissa) non aveva ricavi né attività significativa, la fusione meriterà scrutinio per verificarne le ragioni. L’Agenzia può richiedere la documentazione del piano di fusione, verbali, studi di fattibilità: se non emergono ragioni industriali, è molto probabile la contestazione.
  • Scostamento dagli indici di vitalità: ora che test e limiti sono normativi, l’Agenzia può facilmente controllare (anche in fase di liquidazione automatica) se la dichiarazione dei redditi post-operazione rispetta i parametri. Ad esempio, una fusione avvenuta nel 2025: nel modello dichiarativo l’utilizzo di perdite pregresse viene segnalato e il contribuente deve attestare se il test vitalità è superato e calcolare il limite patrimonio. Se i numeri dichiarati non tornano (es. l’ufficio calcola che i ricavi erano sotto il 40% eppure sono state usate perdite lo stesso), partirà un accertamento mirato.
  • Schemi ripetitivi o noti: l’Agenzia spesso individua pattern già affrontati in passato. Ad esempio, la combinazione “scissione + cessione quote” per ottenere vantaggi su immobili è un pattern noto (oggetto di circolari e sentenze) – di fronte a operazioni simili, scatta un’indagine. Oppure l’accollo di perdite: gruppo A con società in utile e gruppo B con società in perdita fanno una fusione incrociata; questi intrecci sono monitorati.
  • Anomalie nelle dichiarazioni: se in un anno appare una grande compensazione di perdite che riduce drasticamente l’imponibile di un contribuente rispetto a trend storici, i sistemi informatici di analisi del rischio segnalano il caso. L’Agenzia incrocia con atti registrati (fusioni, atti notarili, camerali) e vede se c’è stata qualche operazione straordinaria corrispondente.

Iter di contestazione: Quando l’Agenzia sospetta un abuso, la procedura (attuale, post-2015) in genere segue questi passi:

  1. Verifica e richiesta di chiarimenti: Durante la verifica fiscale (ispezione o controllo formale), se i verificatori individuano un’operazione sospetta, possono chiedere al contribuente spiegazioni e documentazione. Ad esempio, “Spiegate perché avete fuso la società X, quali benefici operativi, e come mai X aveva perso continuità prima della fusione”. Questo per raccogliere elementi sulle eventuali ragioni extrafiscali addotte dal contribuente.
  2. Comunicazione formale anti-abuso: L’art. 10-bis prevede che prima di emettere un atto impositivo per abuso, l’ufficio notifichi al contribuente una “comunicazione di avvio del procedimento” contenente i motivi per cui reputa abusive le operazioni e l’invito a fornire controdeduzioni entro 60 giorni. È il cosiddetto contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio. Il contribuente in questa fase può inviare una memoria difensiva, spiegando le proprie ragioni (esponendo le motivazioni economiche dell’operazione, contestando la qualificazione di vantaggio indebito, ecc.).
  3. Emissione dell’avviso di accertamento motivato: Trascorsi i 60 giorni (salvo urgenza evitabile), l’Agenzia – se non convinta dalle difese – emette l’avviso di accertamento contestando l’abuso. Questo atto deve essere dettagliatamente motivato, sia nell’illustrare i fatti e perché integrano abuso (quali norme finalizzate sono state aggirate, qual è il vantaggio indebito) sia nel confutare le giustificazioni fornite dal contribuente . Ad esempio, se il contribuente nella risposta preliminare ha detto “l’operazione aveva lo scopo di ristrutturare il gruppo per sinergie”, l’ufficio nell’atto dovrà spiegare perché tale ragione viene ritenuta inconsistente o pretestuosa, e perché invece prevale l’intento fiscale.

⚖️ Rilievo sulla motivazione: La mancata considerazione delle giustificazioni del contribuente può inficiare la validità dell’atto. In passato, sotto la vecchia disciplina (art.37-bis DPR 600/73), la Cassazione era chiara: l’avviso di accertamento per operazioni elusive deve confutare analiticamente le spiegazioni fornite dal contribuente su richiesta dell’ufficio, pena la nullità . Nella citata Cass. 10872/2025, la Suprema Corte ha annullato un avviso di accertamento per abuso proprio perché l’ufficio si era limitato a constatare la genericità delle giustificazioni senza però motivare in dettaglio il perché le ragioni addotte (es. assenza di vantaggi IRAP) non fossero rilevanti . I giudici hanno ribadito che va data contezza specifica delle ragioni fatte valere dal contribuente e delle ragioni per cui non si ritiene di accoglierle . Dunque, oggi come ieri, un vizio di motivazione (ad esempio omissione totale di confutare una circostanza sollevata dal contribuente) può essere un punto debole dell’atto impugnabile in giudizio. Il contribuente farà bene a controllare minuziosamente l’avviso ricevuto: se certe giustificazioni fornite in sede di contraddittorio non vengono nemmeno menzionate o sono liquidate superficialmente, si può eccepire la nullità dell’atto per difetto di motivazione.

  1. Ricalcolo delle imposte senza l’operazione abusiva: L’effetto pratico nell’accertamento è che l’Agenzia disconosce il vantaggio fiscale derivante dall’operazione elusiva . Quindi, ad esempio, se l’abuso consiste nell’indebito utilizzo di €1.000.000 di perdite, l’accertamento semplicemente toglie quella deduzione e ricalcola l’imposta come se le perdite non fossero state riportate. Nel caso di specie, il reddito imponibile aumenta di 1.000.000 e su quello vengono richieste le imposte dovute (IRES, addizionali) più interessi.
  2. Sanzioni amministrative: Anche se l’abuso del diritto non è reato penale, le sanzioni tributarie amministrative si applicano al pari di ogni altra violazione che ha comportato un’imposta dovuta in meno . In particolare, trattandosi di una dichiarazione infedele (il contribuente ha dichiarato meno reddito di quello accertato perché ha indebitamente sottratto la quota di reddito compensata da perdite), si applica la sanzione per infedele dichiarazione, generalmente il 90% della maggiore imposta dovuta (aumentabile fino al 180% in caso di condotte aggravate) . Il quadro normativo attuale non prevede un’esimente generale dalle sanzioni per l’abuso: in passato si discuteva se l’elusione fosse sanzionabile, oggi l’art. 10-bis conferma che “restano applicabili le sanzioni amministrative tributarie” ove ne ricorrono i presupposti, ossia quando c’è un’imposta non versata . La Cassazione aveva anticipato questo principio (Cass. 2234/2013) e ora è pacifico: abuso = differenza d’imposta dovuta = sanzione. Solo casi particolari di esimente individuale possono evitare la sanzione, come la buona fede del contribuente che abbia seguito indicazioni ufficiali (cfr. art.10, co.2 Statuto contribuenti: non si sanziona chi si è uniformato a istruzioni dell’amministrazione finanziaria). Ad esempio, se il contribuente dimostra di aver agito seguendo una circolare o risoluzione dell’Agenzia (o una risposta a interpello) poi cambiata, può invocare l’esimente di errore scusabile e neutralizzare la sanzione, pur dovendo pagare la maggiore imposta.

Nota: La non punibilità penale è invece espressa per legge: l’abuso fiscale non costituisce reato tributario . Quindi il contribuente, pur dovendo pagare imposte e sanzioni pecuniarie, non rischia mai il carcere per il solo comportamento elusivo (a differenza dell’evasione fraudolenta o omissiva). Questo confine penale è stato tracciato proprio per distinguere l’elusione (illecito “civile” tributario) dall’evasione (illecito penale) .

  1. Ruolo e riscossione: Se il contribuente non paga spontaneamente dopo l’accertamento definitivo, l’importo (imposta + sanzioni + interessi) viene iscritto a ruolo e affidato all’Agente della Riscossione (la “cartella esattoriale”/oggi affidamento all’ADER). In caso di contestazioni di abuso, spesso gli importi sono rilevanti, per cui è fondamentale valutare se fare adesione o ricorrere (vedi oltre “come difendersi”).

Sintesi: L’Agenzia, in sintesi, contesta l’abuso ricostruendo la sostanza economica mancante e mostrando come il contribuente abbia scelto un percorso anomalo per risparmiare tasse. Viene evidenziato quale norma è stata “aggirata” (es. art.84 TUIR sul cambio attività, art.172 sul riporto perdite in fusione, ecc.) e quale tassazione sarebbe emersa senza quell’abuso (il cosiddetto “rito alternativo” più oneroso che il contribuente ha evitato ). Spesso le motivazioni dell’atto citano precedenti giurisprudenziali per avvalorare la tesi (ad es. sentenze Cassazione su casi simili).

Un elemento che l’Agenzia enfatizza è la presenza di “alternative più gravose evitate”: ad esempio, se la stessa operazione commerciale poteva essere realizzata vendendo un bene (tassabile) e invece è stata realizzata cedendo quote societarie (non tassabile), questo è un indice che la strada fiscalmente più onerosa è stata scartata in favore di una costruzione artificiosa . Questo approccio è stato avallato dalla Cassazione per identificare l’elusione.

Esempio concreto (semplificato): Tizio possiede un immobile tramite Alfa Srl, che ha grosse perdite. Se vendesse l’immobile, emergerebbe una plusvalenza ma Alfa non pagherebbe tasse perché ha perdite da compensare – ma, attenzione, se Alfa era in liquidazione e vende immobile, c’è una norma che limita l’uso perdite in liquidazione (scissione liquidatoria ecc.). Tizio allora conferisce l’immobile da Alfa a una Newco Beta e vende le quote di Beta a terzi: in questo modo formalmente Alfa usa la perdita per la plusvalenza da conferimento (operazione neutra) e la cessione quote Beta è esente. Il Fisco contesterà l’abuso evidenziando che la via normale (vendita diretta immobile) avrebbe generato imposta, mentre la via scelta (conferimento+vendita quote) – priva di ragioni economiche se non evitare imposta – ha aggirato la finalità delle norme sulla tassazione delle plusvalenze immobiliari. Questo schema è appunto citato in pronunce (Cass. 27905/2024 e altre) e nella prassi l’Agenzia lo conosce bene.

Come difendersi: strategie e strumenti dal punto di vista del contribuente

Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta), trovarsi di fronte a una contestazione di abuso nel riporto delle perdite fiscali è sicuramente impegnativo, ma ci sono diverse strategie difensive che si possono adottare. L’obiettivo è dimostrare che l’operazione incriminata non integrava un abuso, oppure far rilevare vizi procedurali dell’accertamento, o ancora ottenere un trattamento più favorevole (riduzione sanzioni, accordi).

Ecco una guida alle possibili linee di difesa, con riferimento a ciò che giurisprudenza e normativa riconoscono.

1. Dimostrare la presenza di valide ragioni economiche

È la difesa nel merito per eccellenza: provare che l’operazione contestata aveva una logica economica sostanziale, indipendente o almeno non marginale rispetto al vantaggio fiscale. Come visto, l’esistenza di “valide ragioni extrafiscali non marginali” è il killer factor che fa cadere l’accusa di abuso .

Cosa significa in concreto? Bisogna fornire al giudice (o già in sede amministrativa) prove e argomentazioni sul perché l’operazione era giustificata da esigenze reali. Ad esempio:

  • Documentazione societaria: delibere del CdA o assembleari in cui si motivano le operazioni (fusioni, acquisizioni) con obiettivi industriali, piani di ristrutturazione, ecc. Se nei verbali di fusione è scritto che si fonde per “incrementare l’efficienza produttiva integrando le attività complementari delle due società”, questo supporta la genuinità. Meglio ancora se esistono piani industriali, due diligence, perizie predisposte prima dell’operazione che mostrano uno scopo non fiscale (es. la fusione porterà a risparmi di costi quantificati, la scissione serve a separare due linee di business per attrarre investitori, ecc.).
  • Situazione di mercato: spiegare il contesto: ad esempio, se una startup in perdita viene incorporata da una big company, evidenziare come la startup aveva asset intangibili (tecnologia, know-how) preziosi per la big company – questo è un motivo valido per l’acquisizione, a prescindere dalle perdite fiscali.
  • Miglioramenti post-operazione: se dopo l’operazione la nuova entità ha effettivamente tratto benefici (aumento di fatturato, riduzione incidenza costi, nuovi investimenti, salvataggio di posti di lavoro), portarli all’attenzione. Mostrare che l’operazione ha funzionato dal punto di vista economico è un ottimo segnale che non era fatta “solo per le tasse”.
  • Scelta obbligata o conveniente anche al netto delle tasse: un argomento efficace è dimostrare che anche senza il vantaggio fiscale l’operazione avrebbe avuto senso o addirittura era necessaria. Esempio: una società in crisi con grosse perdite viene fusa in un’altra del gruppo non tanto per usare le perdite, ma perché solo così si poteva salvare l’avviamento e mantenere i clienti. Se il contribuente prova che c’era un motivational factor così forte (la continuità aziendale, evitare fallimento, raggiungere dimensioni ottimali per il mercato) che avrebbe portato comunque a fare l’operazione, allora il risparmio d’imposta risulta “secondario” nel disegno complessivo.

Attenzione: le ragioni extrafiscali devono essere concrete e sostanziali, non meri abbellimenti. Frasi generiche come “ragioni di riorganizzazione” non bastano: vanno dettagliate e sostenute da fatti. La giurisprudenza tende a scrutare se le motivazioni addotte non siano pretesti a posteriori. Ad esempio, dichiarare che la fusione serviva a “razionalizzare la struttura societaria” ma poi scoprire che la società fusa era inattiva rende poco credibile la difesa. Al contrario, se la società fusa aveva ancora un’attività in corso (anche minima) e si integrava in una filiera, questa è già una ragione tangibile.

Spesso in giudizio si fa ricorso a consulenti tecnici o pareri pro veritate di esperti aziendali per avvalorare che, sotto il profilo economico-aziendale, l’operazione era giustificata. Ad esempio, un perito potrebbe dichiarare che la fusione ha prodotto un aumento di redditività di tot% grazie alle sinergie, cosa impossibile senza l’aggregazione.

Esempio difensivo riuscito: Cassazione 9802/2022 (citata nel blog avvocati) ha ritenuto non abusivo il conferimento di un’azienda in una nuova società poi ceduta, perché è risultato che tale schema era previsto da una norma come regime alternativo (quindi in linea con la volontà legislativa) e c’era una logica patrimoniale sottostante . Ciò insegna che, se dimostri di aver scelto un percorso comunque contemplato dalla legge e supportato da logica economica (la separazione dell’azienda in una newco per facilitarne la vendita, ad esempio, può essere considerata fisiologica), l’accusa di abuso può cadere.

In definitiva, il contribuente dovrà “raccontare la storia reale” dell’operazione, evidenziando il perché (business) e il come si è svolta, in modo credibile. Se riesce a far percepire che il risparmio fiscale era un effetto voluto sì, ma non l’unica ragione dell’operazione, ha buone possibilità di vittoria.

2. Negare l’“indebito vantaggio fiscale” – interpretazione conforme alle finalità

Un’altra linea di difesa è contestare che il vantaggio fiscale ottenuto sia realmente “indebito” o contrario alla ratio legis. In pratica, sostenere che l’utilizzo delle perdite contestato era in realtà consentito dall’ordinamento, ossia che il contribuente ha operato entro i margini di una pianificazione lecita.

Questa difesa richiede un approccio più tecnico-giuridico: si tratta di convincere che la norma fiscale applicata non è stata aggirata, ma usata correttamente. Ad esempio:

  • Invocare interpretazioni ufficiali: se esistevano circolari, risoluzioni o prassi dell’Agenzia che avallavano il comportamento, citarle. Esempio: fino alla riforma 2024, la definizione di “cambio di attività” in art.84 era incerta e l’Agenzia in qualche interpello magari aveva detto che un certo caso non costituiva cambio. Se il contribuente ha seguito quell’orientamento, può dire: “Io ho fatto quanto ritenevo permesso, quindi il vantaggio fiscale è conseguenza di un’applicazione delle norme secondo l’interpretazione allora vigente, non un aggiramento”. Se il fisco cambia idea dopo, non può punire retroattivamente (principio di tutela dell’affidamento).
  • Dimostrare coerenza con la ratio di neutralità delle operazioni straordinarie: un argomento generale: il legislatore ha reso fiscalmente neutre fusioni, scissioni, conferimenti proprio per non ostacolare riorganizzazioni. Quindi, utilizzare perdite in una fusione è in linea con la ratio di consentire continuità fiscale. Finché sono rispettate le condizioni specifiche (oggi test e limiti), non c’è nulla di indebito: è esattamente ciò che la legge prevede. Pertanto, l’Ufficio che contesta abuso in una fusione pur rispettosa dei requisiti va contro lo spirito della legge. – Attenzione: questa difesa vale se effettivamente le condizioni c’erano o se l’ufficio vuole applicare una norma in modo più restrittivo di quanto scritto. Ad esempio, se per legge superi test e limiti, il Fisco non può dire “comunque era elusiva”: a quel punto il contribuente può impugnare evidenziando che l’operazione era nei binari fissati dalla legge (il legislatore con quei test presume l’assenza di intenti elusivi se li superi). La Cassazione ha definito l’art.172 c.7 una “regola circolare con criteri presuntivi predeterminati che assicura all’operatore certezza sugli effetti fiscali della fusione”, fatta salva la disapplicazione via interpello per le scatole vuote . Quindi, rispettare tale regola dà al contribuente un’arma: “Ho rispettato parametri che la legge stessa ha fissato per considerare l’operazione non elusiva, pertanto non può essere considerata abuso” .
  • Sfruttare eventuali lacune normative a proprio favore: se l’operazione contestata avveniva in un periodo o contesto non coperto da specifiche norme anti-elusive (ad esempio, prima della riforma talune operazioni di conferimento fuori gruppo non erano soggette a test di vitalità – da qui la necessità di DL 84/2025 per colmare), il contribuente può argomentare: “Non esisteva all’epoca un divieto esplicito, e ho rispettato le norme esistenti; l’Agenzia non può inventarsi ora un divieto generalizzato ex post”. Questa difesa è rischiosa perché l’Agenzia replicherà con la clausola generale antiabuso (sempre esistente dal 2015 in poi). Tuttavia in giudizio è utile far emergere se il legislatore consapevolmente non aveva vietato qualcosa all’epoca: magari c’erano discussioni e non fu messo in legge – il giudice potrebbe avere un orientamento prudente nel sanzionare con abuso ciò che non era regolato. Ad esempio, prima del 2024, i conferimenti d’azienda extra-gruppo non erano espressamente soggetti a test/limiti come le fusioni; molti li usavano come escamotage per trasferire perdite. Ora la legge 2025 li ha inclusi, segno che prima c’era un vuoto. Un contribuente che ha fatto un conferimento nel 2023 potrebbe dire: “Non violavo alcuna norma, il vantaggio fiscale era conseguenza di un meccanismo consentito (neutralità del conferimento) e non c’era norma specifica che me lo negasse”. È un’argomentazione da maneggiare con cura: l’ufficio dirà che proprio perché c’era un vuoto, si applica la clausola antiabuso generale per colpire l’aggiramento dello spirito della legge. Ma qualche giudice potrebbe considerare che in dubio pro contribuente se la legge non vietava espressamente, soprattutto se il contribuente ha chiesto interpello e l’Agenzia magari non ha risposto (silenzio-assenso) o ha dato risposte contrastanti in casi analoghi (indice di incertezza normativa).

In sostanza, questa linea mira a dire: “Non c’è stato nessun trucco, ho usufruito di un regime previsto dalla legge stessa”. Se la si riesce a sostenere citando testi normativi e prassi, può persuadere che non c’è stata distorsione dello scopo delle norme. Ad esempio, portare in giudizio la Relazione governativa al decreto fiscale che dice “vogliamo semplificare e ridurre la necessità di intervento del Fisco” e poi far notare che l’Agenzia sta invece intervenendo su un caso borderline può far breccia.

3. Eccepire vizi procedurali e violazioni dei diritti del contribuente

Oltre a difese di merito, spesso il contribuente può far valere errori formali o procedurali commessi dall’ufficio, che possono portare all’annullamento dell’accertamento indipendentemente dal merito. Ecco i principali:

  • Mancato contraddittorio anticipato: se l’avviso di accertamento per abuso è stato emesso senza che sia stato rispettato il contraddittorio ex art.10-bis (ovvero senza invito a dedurre e i 60 giorni), ciò costituisce violazione di legge e può rendere nullo l’atto. La giurisprudenza considera il contraddittorio un elemento essenziale nel procedimento antiabuso. Occorre però verificare i tempi: a volte l’ufficio invia un PVC (processo verbale di constatazione) e poi l’accertamento prima di 60gg sostenendo urgenza – la motivazione di urgenza dev’essere reale e motivata, altrimenti è contestabile.
  • Motivazione inadeguata o mancante: come già detto, se l’atto non spiega chiaramente perché ricorrono i tre elementi dell’abuso, o non replica alle difese presentate dal contribuente, si può eccepire nullità per difetto di motivazione. Ad esempio, l’avviso si limita a dire “operazione priva di sostanza = abuso” ma senza descrivere quali vantaggi indebiti né quali norme finali sarebbero state frustrate, oppure copia-incolla passaggi standard senza calarsi nel caso concreto, è attaccabile. Cassazione e dottrina richiedono una motivazione puntuale negli accertamenti antiabuso, data la complessità della materia .
  • Violazione art.7 Statuto (chiarezza e trasparenza): collegato al punto sopra, l’atto deve indicare chiaramente i fatti, le norme, le ragioni giuridiche. Se ad esempio l’Agenzia contesta che l’operazione ha aggirato l’art.84 c.3 TUIR, deve scriverlo; se non lo fa e parla vagamente di “principi generali”, si può criticare che non si capisce esattamente l’addebito.
  • Incompetenza dell’organo accertatore: per gli atti anti-elusione, di solito l’emissione è centralizzata o almeno riservata a reparti specializzati. Se, per ipotesi, un ufficio periferico non competente avesse emesso l’atto, potrebbe essere nullo. (Questo è raro perché l’Agenzia ha procedure interne, ma è successo in passato con atti firmati da dirigenti decaduti o uffici territoriali non autorizzati).
  • Violazione dei termini procedimentali: l’atto di solito va emesso entro il termine di decadenza ordinario (31/12 del quinto anno successivo, o quarto per dichiarazioni 2015 e precedenti). Ma attenzione ad un aspetto peculiare delle perdite: l’Agenzia potrebbe contestare le perdite nell’anno in cui sono utilizzate, anche se lontano dall’anno in cui si generarono. La Cassazione ha giudicato legittimo il controllo a posteriori: “in virtù dell’autonomia dei periodi d’imposta, è legittima la contestazione dell’ammontare delle perdite fiscali prodotte in un dato periodo (2006) in un controllo riferito a un periodo successivo (2007)”, senza con ciò violare il diritto di difesa o di affidamento . Ciò significa che se ho portato in dichiarazione 2007 una perdita 2006, l’ufficio nel controllare 2007 può riesaminare la perdita 2006 pur se per quell’anno è decaduto dai termini di accertamento. La Corte ha sancito che non è un nuovo accertamento su 2006, ma un accertamento 2007 dove la perdita è elemento costitutivo da verificare . Dunque come contribuente difficilmente posso eccepire decadenza se l’atto arriva entro i termini dell’anno di utilizzo perdite. Potrei provarci sostenendo violazione dell’affidamento se l’ufficio in passato aveva già controllato quell’anno senza rilievi – ma Cass.223/2024 ha respinto anche questo, affermando che il comportamento omissivo precedente del Fisco non genera affidamento tutelato perché non c’è stata un’indicazione positiva su cui confidare . Solo se vi fosse stata un’esplicita approvazione (es. una risposta scritta) si potrebbe invocare l’art.10 co.2 Statuto. In mancanza, la mera mancata contestazione prima non impedisce che contestino dopo. Questo è un punto dove il contribuente spesso si sente “tradito” (magari c’era stata una verifica generale e nulla), ma la legge non riconosce un affidamento su un controllo altrui manchevole. Tuttavia: se l’ufficio in un processo verbale precedente aveva attestato la spettanza di quelle perdite o comunque preso atto, allora si può tentare di dire che è comportamento tacito idoneo a ingenerare fiducia. Non è garantito funzioni, ma da valutare caso per caso.
  • Altre eccezioni: ci sono poi accorgimenti come verificare se l’accertamento ha applicato correttamente norme transitorie (ad es. art.10-bis entrato in vigore il 1/10/2015 non applicabile retroattivamente – quindi per operazioni prima del 2015 dovevano usare il vecchio 37-bis se ancora nei termini). Oppure se hanno contestato come abuso qualcosa che era già violazione specifica (il che sarebbe errore, perché in tal caso andava contestata la norma violata e relative sanzioni): questo capita raramente, ma esempio, se secondo l’ufficio un’operazione infragruppo andava in realtà disconosciuta ex art.110 transfer pricing e invece l’hanno trattata come abuso, il contribuente può dire che l’ufficio ha usato lo strumento sbagliato.

Insomma, una robusta difesa valuta tutti gli aspetti formali: spesso vincere su un vizio è più semplice che convincere sul merito. Cass.10872/2025 di cui sopra ne è testimonianza: la società ha vinto non perché la sua operazione fosse sostanzialmente lecita (la Cassazione neppure è entrata nel merito), ma perché l’Agenzia non aveva motivato adeguatamente l’atto sulle giustificazioni fornite . La sentenza elenca una serie di precedenti che fissavano quell’obbligo di motivazione specifica e conclude che la CTR (Commissione tributaria regionale) aveva sbagliato a ritenere irrilevante tale carenza formale . Ciò a riprova che forma e sostanza procedurale contano: un atto carente può essere annullato senza nemmeno dover dimostrare la bontà fiscale dell’operazione.

4. Utilizzare strumenti deflativi e accordi (accertamento con adesione, conciliazione)

Affrontare un’accusa di abuso in giudizio è lungo e costoso; talvolta, se il quadro non è favorevole, può convenire cercare un compromesso con il fisco. Gli istituti deflativi principali sono:

  • Accertamento con adesione: prima di impugnare o anche durante la fase processuale di primo grado, si può attivare la procedura di adesione: sedersi a un tavolo con l’ufficio per trovare un accordo sull’imposta dovuta. In materia di abuso, spesso l’ufficio può essere disponibile a ridurre l’imponibile “recuperato” (magari riconoscendo parte delle ragioni del contribuente) e/o a ridurre le sanzioni al minimo, pur di chiudere la faccenda. Il contribuente ottiene lo sconto delle sanzioni a 1/3 automaticamente con l’adesione. Ad esempio, se contestavano €1 milione di utili non tassati, con adesione potrebbero accordarsi per tassarne €600mila e sanzione 30% invece di 90%. Questo dipende dalla forza delle argomentazioni: se il contribuente ha mostrato carte che un po’ convincono l’ufficio (ad esempio qualche ragione economica c’era), l’ufficio sa di rischiare in giudizio e potrebbe accettare un compromesso. Da notare: L’adesione è discrezionale, ma l’orientamento è incentivare la definizione bonaria. In materia di abuso soprattutto quando i confini sono opinabili, spesso si raggiungono accordi per chiudere con reciproche concessioni .
  • Conciliazione giudiziale: se si va in giudizio, è sempre possibile proporre la conciliazione (in primo e secondo grado). Simile all’adesione, comporta una rideterminazione mediata dal giudice. Le sanzioni in caso di conciliazione sono ridotte al 40% (primo grado) o 50% (appello) di quelle irrogabili. È un’opzione se durante il processo si delinea un esito incerto e le parti preferiscono patteggiare.
  • Ravvedimento operoso su interpello disatteso: caso particolare: se un contribuente aveva presentato interpello antiabuso e l’Agenzia aveva risposto negativamente, ma lui ha comunque fatto l’operazione e riportato perdite, non ha molto margine di difesa (difficile convincere che non era abuso se l’Agenzia glielo aveva detto prima). In tale ipotesi, potrebbe convenirgli ravvedersi versando spontaneamente prima dell’accertamento. Tuttavia, sono casi rari perché di solito se c’è risposta negativa, uno non fa l’operazione oppure la imposta diversamente.
  • Transazione fiscale in sede di adesione: a volte si riesce a trattare informalmente per una soluzione creativa. Ad esempio, l’ufficio potrebbe proporre: “riconosciamo la fusione ma sterilizziamo il 50% delle perdite usate” e fare l’atto solo su metà. Non c’è un vincolo rigido, dipende dalla trattativa e dalla mentalità dell’ufficio.

La scelta di patteggiare o combattere dipende dalla valutazione rischio-beneficio: se le chance di vittoria appaiono scarse (es. caso platealmente elusivo con poca sostanza) e l’ufficio offre uno sconto ragionevole, aderire conviene per evitare esborso di sanzioni piene e interessi di mora accumulati. Se invece il contribuente sente di avere ottime argomentazioni o di poter spuntare una giurisprudenza a favore, allora combattere fino in Cassazione può azzerare tutto – ma con rischio di pagare anche spese e interessi se perde.

In ogni caso, un difensore accorto terrà aperto il canale negoziale: a volte mostrare all’ufficio la propria difesa solida (anticipando magari le prove di ragioni extrafiscali) porta l’ufficio stesso a preferire un accordo per non rischiare un precedente negativo.

5. Prevenzione e comportamenti virtuosi

Infine, dal punto di vista “del debitore” – che spesso è un imprenditore o un consulente per l’impresa – la migliore difesa è prevenire situazioni potenzialmente abusive. Alcuni consigli utili per il futuro (o per chi non è ancora in verifica ma valuta operazioni):

  • Usare l’interpello anti-abuso prima di fare operazioni dubbie: se c’è in programma una fusione, una riorganizzazione con uso di perdite e si teme la reazione del Fisco, presentare un interpello all’Agenzia descrivendo l’operazione e chiedendo se configura abuso. Certo, si rischia una risposta negativa (vincolante) e allora si dovrebbe rinunciare o modificare l’operazione; ma d’altro canto una risposta positiva mette al riparo (l’ufficio poi non potrà smentirsi). Spesso l’Agenzia su operazioni genuine risponde favorevolmente, magari imponendo alcune condizioni. Se non si interpella, poi in contenzioso non vale dire “non pensavo fosse abuso”: il contribuente evoluto dovrebbe attivarsi prima. Inoltre la presentazione dell’interpello, anche se senza risposta (silenzio-assenso dopo 90 gg, in teoria), è di per sé indicativa di buona fede. In giudizio poter dire “avevo pure chiesto parere ma non hanno risposto” pone il contribuente in luce migliore di chi ha agito nascosto.
  • Progettare le operazioni in modo da rispettare test e condizioni normative: ora che le regole sono chiare (40% ricavi, ecc.), conviene strutturare le operazioni in modo da far risultare i parametri soddisfatti. Ad esempio, se si pensa a fondere una società in perdita a fine anno, forse è meglio attendere che quella società abbia un certo volume di ricavi (magari generandoli con reale business) così da superare il test. Oppure evitare di fare conferimenti di capitale nei due anni prima della fusione se possibile, per non complicare la questione patrimonio netto. Insomma, tener conto in fase decisionale degli indicatori fiscali: talvolta basta attendere qualche mese o aggiustare il perimetro per rientrare nella safe harbor.
  • Documentare sempre le motivazioni economiche: ogni volta che c’è un’operazione straordinaria, far mettere nero su bianco nei verbali i motivi industriali, far eventualmente fare una perizia indipendente sui benefici attesi, conservare la corrispondenza con banche/consulenti che attesti i motivi. Questo corpus documentale sarà prezioso in caso di futura verifica. L’Agenzia spesso chiede “esibiscimi lo studio che avete fatto prima di fondere” – se c’è e mostra attenzione agli aspetti economici, è un ottimo deterrente per l’ufficio dall’andare allo scontro.
  • Non confidare su precedenti omissioni di controllo: come visto, il fatto che magari in passato la perdita era stata vista e non contestata non garantisce nulla. Quindi sempre mantenere la prudenza: se oggi fai una fusione, non pensare “tanto mi hanno già controllato l’anno scorso e non han detto niente sulle perdite, quindi ok”. Tra l’altro con i nuovi parametri, magari quell’anno scorso le perdite non erano ancora utilizzate, quindi non contestabili, ma lo diventano quando le usi.
  • Aggiornarsi sulle novità legislative: come questa guida evidenzia, la materia è evoluta proprio nel 2024-2025. Un contribuente informato saprà che ciò che prima poteva passare ora non passa più. Esempio: prima avrei potuto pensare di far assorbire una società in perdita tramite un conferimento d’azienda per evitare la restrizione art.84 (perché era un conferimento e non cessione di quote). Dopo il DL 84/2025, quell’escamotage è diventato espressamente soggetto agli stessi limiti . Quindi replicare oggi schemi “del passato” senza aggiornarsi porta a facili contestazioni. Avvocati e consulenti devono tenere d’occhio decreti attuativi, circolari esplicative (es. ci si attende magari una Circolare dell’Agenzia sulle novità 2024/25), e ovviamente la giurisprudenza.
  • Valutare alternative legali meno rischiose: a volte esistono opzioni di business diverse che, sebbene fiscamente meno vantaggiose nell’immediato, riducono rischi futuri. Ad esempio, se un gruppo vuole acquisire una società decotta di un altro gruppo solo per i suoi asset, invece di inglobarla subito (ereditando anche perdite dubbie), potrebbe comprare solo gli asset o stipulare un affitto d’azienda, rinunciando a quelle perdite. Così si evita proprio di incappare in accuse di aver comprato bare fiscali. Ovviamente ogni scelta dipende da costi/benefici complessivi, ma il rischio di un contenzioso milionario a volte supera il beneficio fiscale potenziale.

Passiamo ora a considerare alcune domande frequenti e simulazioni pratiche, che aiuteranno a chiarire ulteriormente come applicare questi concetti a casi reali, nei settori immobiliare, holding, startup e altre situazioni tipiche.

Domande frequenti (Q&A) e casi pratici

Di seguito presentiamo una serie di domande e risposte che riassumono molti aspetti discussi, calati in esempi concreti. Questo formato aiuterà a fissare i concetti chiave dal punto di vista pratico del contribuente e a comprendere come ragionare in specifiche circostanze.

D1: Ho una piccola società immobiliare che negli anni scorsi ha accumulato perdite. Ora sto vendendo un immobile e avrei una grossa plusvalenza: posso compensarla con le perdite pregresse senza problemi?

R1: Dipende dalla situazione. Se la società è la stessa che ha realizzato le perdite e non ci sono stati cambi di controllo né modifiche dell’attività, allora sì, puoi normalmente compensare la plusvalenza con le perdite pregresse (nei limiti del 80% del reddito imponibile annuo, salvo che la società sia nei primi esercizi) . L’operazione di vendita di un immobile di per sé non è straordinaria e rientra nell’oggetto sociale (presumo, essendo immobiliare). Quindi, nel regime ordinario, nulla vieta di usare le perdite passate per abbattere la plusvalenza attuale.

Tuttavia, attenzione: se la società era in liquidazione o inattiva e improvvisamente si “riattiva” solo per vendere l’immobile utilizzando le perdite prima che scadano, l’Agenzia potrebbe valutare se è un caso di abuso. In passato sono stati contestati schemi dove la società immobiliare faceva operazioni straordinarie prima della vendita (es. scissione, conferimento dell’immobile a un’altra società) proprio per massimizzare l’uso delle perdite. Se invece tu vendi direttamente l’immobile dalla società stessa, utilizzando le sue perdite, in linea di principio è lecito, perché stai facendo una normale operazione di realizzo di un bene sociale e applicando correttamente il regime delle perdite.

In sintesi: vendita diretta + compensazione perdite = ok (perché è esattamente l’effetto previsto dalla norma perdite: attenuare l’imponibile degli anni di ritorno all’utile). Manovre aggiuntive strane (tipo: conferisco l’immobile in Newco e vendo Newco, oppure scindo l’immobile ai soci) potrebbero invece insospettire il Fisco come elusione della plusvalenza . Dunque consiglierei di agire in modo lineare: vendi dall’immobiliare stessa, usa le perdite, e assicurati che la contabilità mostri sostanza (es. se avevi fermato l’attività da anni e la riaccendi solo per questa vendita, assicurati di poter spiegare perché).

D2: Sono socio di due SRL, Alfa in utile e Beta con grosse perdite. Pensavo di farle fondere per compensare gli utili di Alfa con le perdite di Beta. Posso procedere o rischio contestazioni?

R2: La fusione di per sé è permessa e neutrale fiscalmente. Però, nel tuo caso, Beta ha grosse perdite: per poterle utilizzare post-fusione nella nuova Alfa, devi rispettare le condizioni anti-elusive dell’art.172 TUIR. In particolare, Beta deve superare il test di vitalità economica (ricavi e spese lavoro almeno 40% media passato) nell’esercizio precedente la fusione . Se Beta era praticamente ferma (poche entrate, personale inesistente), non supera il test e quindi le sue perdite non saranno riportabili dopo la fusione – verrebbero perse per legge. Inoltre, la quota di perdite comunque non può superare il patrimonio netto di Beta (valutato economicamente) , quindi se Beta ha perdite sproporzionate rispetto al suo valore, una parte eccederà il limite.

Se invece Beta ha ancora un’attività operativa dignitosa (anche se in perdita, ma con giro d’affari), e rispetti il test, allora la fusione potrà trasferire le perdite fino a concorrenza del patrimonio di Beta .

Il rischio di contestazione abuso sorge soprattutto se Beta è di fatto una scatola vuota che tu fonderesti solo per usare le sue perdite. Se Beta non supera i requisiti, la legge stessa ti blocca. Se forzassi comunque e facessi compensare le perdite, l’Agenzia lo vedrebbe dai dichiarativi e disconoscerebbe quelle perdite senza neanche dover invocare l’art.10-bis, perché applicherebbe direttamente l’art.172 c.7 (specifica norma anti-elusiva) .

In conclusione: verifica i parametri di Beta. Se non li soddisfa, la fusione non conviene (perdi le perdite e magari ti contestano pure la natura elusiva dell’operazione se emergesse che Beta era inattiva). Se li soddisfa, la fusione può avvenire con trasferimento di perdite nei limiti previsti, e sarà difficile per l’Agenzia contestare l’abuso perché hai seguito la legge alla lettera (in tal caso è legittimo risparmio d’imposta). Consiglio comunque di documentare bene le ragioni economiche per fondere – ad esempio, eliminare duplicazioni di struttura tra Alfa e Beta, integrare i business, ridurre costi amministrativi, ecc. – così da essere coperto anche sul fronte “motivi extrafiscali”.

D3: La mia startup (innovativa) ha accumulato perdite nei primi 4 anni. Un investitore vuole acquistarne il 60% e portare nuovi business. Potremo almeno usare le perdite pregresse dopo il cambio di controllo?

R3: Qui abbiamo un cambio di controllo (ingresso di un investitore al 60%) in una startup in perdita. La normativa art.84 c.3 si applica certamente: trasferimento di maggioranza c’è, ora bisogna vedere se c’è modifica dell’attività principale entro 2 anni prima/dopo . L’investitore porta “nuovi business”: se intendi che cambierà in modo sostanziale il settore di attività o aggiungerà un ramo d’azienda, allora questo costituisce modifica dell’attività principale (perché passate da fare X a fare anche Y, o mutate core business) . In tal caso, scatta la limitazione: le perdite pregresse della startup non potranno più essere utilizzate per abbattere i redditi successivi all’acquisizione, a meno che non superiate il test di vitalità.

Trattandosi di una startup innovativa, suppongo fosse in perdita perché investiva in sviluppo. Bisogna vedere i dati dell’ultimo esercizio: se ha un po’ di ricavi o almeno spese per personale R&D, potrebbe superare il test se questi ammontari sono ≥40% della media dei due anni precedenti . Ma se i primi anni erano zero ricavi e ora pure poco, probabilmente non supera il test di vitalità (startup spesso hanno pochi ricavi inizialmente). In tal caso, le perdite sarebbero perdute (non riportabili oltre il cambio di controllo).

C’è tuttavia una luce: le perdite dei primi 3 periodi d’imposta di nuove attività in Italia si potevano compensare interamente e senza limiti temporali . La tua startup è al 4° anno quindi quell’eccezione non rileva più se siamo oltre i primi 3 esercizi.

Una strada per salvare le perdite sarebbe forse valutare una deroga tramite interpello: se potete dimostrare che la startup, pur avendo fallito il test, non è una scatola vuota, cioè ha un team, un progetto valido e le perdite derivavano da investimenti e non da inattività, potreste chiedere all’Agenzia di disapplicare la norma anti-elusiva per consentirvi di tenerle . Non c’è certezza di ottenerlo, ma per startup innovative a volte c’è sensibilità (politica di supporto all’innovazione).

In pratica: se l’investitore entra e cambia marcia all’attività, mettete in conto che le perdite pregresse potrebbero non essere più utilizzabili. Non fate dipendere la convenienza dell’operazione da quelle perdite. Concentratevi piuttosto sul far crescere l’azienda con i nuovi capitali. Le nuove perdite eventualmente maturate dopo (speriamo di no, speriamo utili!) sarebbero usabili.

Suggerisco di informare l’investitore di questa normativa, perché a volte chi investe chiede: “posso usare le tue perdite per risparmiare tasse su altre mie imprese?” La risposta è: no, non direttamente; a meno di non far fusioni con sue società, ma come visto c’è il test ecc. (e in più fusione con società preesistente di investitore sarebbe fuori gruppo → stessi limiti). Quindi vendete la startup per il suo valore intrinseco (tecnologia, team), non per il tax shield.

D4: L’Agenzia delle Entrate mi ha notificato un avviso di accertamento per “abuso del diritto” perché ritiene elusiva una scissione che ho fatto per isolare degli immobili (operazione di asset protection, a mio dire). Cosa rischio concretamente?

R4: Se l’accertamento viene confermato, rischi di dover pagare le imposte risparmiate con l’operazione, più interessi e sanzioni amministrative. In un caso di scissione ritenuta abusiva, in genere il Fisco “disconosce il vantaggio fiscale indebito”: significa, ad esempio, che se grazie alla scissione tu hai evitato di pagare una certa imposta (poniamo l’imposta su una plusvalenza), ora te la richiedono come se quella scissione non fosse mai avvenuta . Avrai quindi un recupero di imposta (IRPEF/IRES, registro, quel che sia a seconda del caso) per gli importi che sarebbero stati dovuti col percorso tassato.

Le sanzioni amministrative tipicamente applicate sono quelle per dichiarazione infedele, pari al 90% dell’imposta non pagata . Se ad esempio l’abuso ti ha fatto risparmiare 100 di imposte, ora devi 100 + circa 90 di sanzione + interessi (gli interessi legali maturati dal momento in cui l’imposta era dovuta ad oggi, che possono essere un 3-4% annuo composto).

Non rischi invece nulla sul piano penale: l’abuso del diritto non configura reato . Anche se le somme fossero grandi, non è frode fiscale in senso penale, è un illecito tributario civile.

Le sanzioni, in caso tu perda definitivamente in giudizio, resteranno al 90% (salvo aumenti se l’ufficio ha contestato l’aggravante dell’“operazione straordinaria abusiva” ma di solito è sempre 90). Però se concordi prima col fisco (adesione) puoi ottenere riduzioni: 1/3 della sanzione (quindi 30% invece di 90%). Se vai in giudizio e perdi, puoi ancora ridurla al 50% facendo acquiescenza in appello (ma ormai avresti speso tempo e soldi…).

Inoltre rischi, per assurdo, che se non paghi poi spontaneamente, partano misure cautelari, iscrizioni ipotecarie ecc., come per ogni debito tributario.

Quindi il rischio monetario è alto: imposta + sanzione quasi uguale all’imposta. E sul lungo periodo può raddoppiare il costo dell’operazione.

Valuta dunque le chance di difesa: se hai buone ragioni (ad esempio, asset protection può essere una ragione non fiscale, ma l’Agenzia spesso la vede male se l’unico scopo era togliere immobili e vendere la società pulita di perdite). Se ritieni di poterti difendere (magari c’erano anche motivi successori, divisionali, ecc.), allora fai ricorso e prova a far annullare tutto. Se invece vedi che in effetti l’operazione era fatta principalmente per risparmio fiscale, considera seriamente un accordo in adesione per abbattere sanzioni .

Ricorda: pagare subito con adesione dà diritto a sanzioni ridotte e niente contenzioso. Pagare dopo aver perso in Cassazione comporta sanzioni piene e interessi su tutti gli anni di causa.

D5: In caso di accertamento per abuso del diritto, posso evitare almeno le sanzioni dimostrando la mia buona fede?

R5: Evitare completamente le sanzioni non è semplice, ma ci sono situazioni in cui è possibile. La regola generale, come detto, è che l’abuso comporta le sanzioni tributarie normali . Però:

  • Se riesci a dimostrare di aver seguito alla lettera indicazioni dell’Agenzia delle Entrate o del Ministero (circolari, risoluzioni) o una risposta a un tuo interpello, allora l’art.6 co.2 del D.Lgs.472/97 e art.10 co.2 L.212/2000 prevedono che non sei sanzionabile. Ad esempio, supponiamo che tu abbia letto in una circolare che la scissione di un certo tipo non è elusiva, ti sei affidato a quella, e poi l’Agenzia locale invece ti contesta l’abuso: in tal caso puoi far valere la tutela dell’affidamento e ottenere l’annullamento/lo sgravio delle sanzioni (pagheresti solo l’imposta). Bisogna che la circostanza sia specifica: non valgono discorsi generici, serve proprio un’indicazione sull’operazione.
  • Se non avevi interpello o prassi, puoi provare la carta dell’obiettiva incertezza normativa. Cioè: “la questione era talmente controversa e non regolata chiaramente, che io contribuente non potevo sapere di star sbagliando”. Questo a volte i giudici tributari lo considerano per escludere le sanzioni (ex art.6 co.2 del citato D.Lgs.472). Nel campo abuso del diritto però, dopo il 2015 c’è stata tanta chiarezza normativa, quindi difficile invocare incertezza (lo era di più prima, quando tutto era giurisprudenziale). Ma se la tua operazione risale a prima del 2015, potresti dire: “all’epoca non c’era una legge antiabuso, solo sentenze altalenanti – pensavo legittimamente di poter operare così”. Non è una garanzia, ma alcuni CTP/CTR tolgono sanzioni in casi simili.
  • La buona fede soggettiva (“non volevo evadere, credevo di agire legittimamente”) purtroppo non basta come esimente di legge, dev’essere ancorata a elementi oggettivi (come appunto incertezza delle norme o pareri ricevuti). Però se arrivi a un giudice empatico, sottolineare che hai agito alla luce del sole, con consulenze legali, senza occultare nulla, a volte aiuta a ottenere clemenza sanzionatoria.

Tieni presente che, se fai adesione o conciliazione, le sanzioni sono comunque ridotte automaticamente (anche 1/3 o 1/2 come detto). Quindi quella è già una via per mitigare il danno senza dover dimostrare buona fede.

In sintesi: completamente evitare sanzioni è possibile solo se dimostri di aver rispettato indicazioni ufficiali o che il quadro era oggettivamente incerto. Altrimenti, la sanzione per infedele dichiarazione in caso di abuso (che è equiparato a infedele) resta applicabile .

La Cassazione ha sancito che “ai fini sanzionatori non rileva la distinzione violazione/elusione: se c’è imposta non versata, la sanzione si applica comunque” . Quindi punterei su affidamento/incertezza più che su buona fede generica.

D6: Quali sono alcune delle sentenze più favorevoli ai contribuenti in materia di riporto perdite e abuso di diritto, che potrei citare a mio favore in giudizio?

R6: Ci sono diverse pronunce che delineano principi utili al contribuente. Eccone alcune, con il principio chiave:

  • Cass. civ. Sez. Unite 30055/2008: è datata ma fondamentale, ha riconosciuto il principio generale antiabuso ma anche affermato che se un’operazione ha ragioni economiche apprezzabili oltre al risparmio fiscale, non è configurabile elusione. È la base su cui si è costruito art.10-bis. Puoi citarla per l’idea di libertà di scelta del contribuente e necessità di ragioni extrafiscali.
  • Cass. 14493/2022: definisce l’abuso come (cito) “uso distorto, ancorché formalmente lecito, di strumenti giuridici per ottenere risparmi d’imposta in difetto di ragioni economiche, la cui ricorrenza dev’essere provata dal contribuente” . Questa la citi magari non tanto a tuo favore (ribadisce onere su contribuente di provare ragioni), ma per dare il quadro definitorio.
  • Cass. 9802/2022: ha giudicato non abusivo un conferimento d’azienda seguito da cessione quote, in presenza di un disegno lecito alternativo previsto dalla norma. In pratica ha detto: se esiste un regime alternativo voluto dal legislatore (qui il conferimento neutro rispetto alla cessione di beni), sfruttarlo non è di per sé abuso se c’è coerenza patrimoniale . Se la tua situazione è simile (es. hai scelto un meccanismo ammesso dalla legge come alternativo), questa sentenza è oro.
  • Cass. 21350/2021: (citata in Cass.10872/2025) ribadisce l’obbligo per l’ufficio di motivare specificamente l’atto in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente. La citi se il tuo avviso è poco motivato, per rinforzare l’argomento del vizio procedurale.
  • Cass. 18043/2023: menzionata in dottrina come orientamento su test di vitalità, dovrebbe aver confermato la necessità di considerare i conferimenti ultimi 24 mesi “a monte” nel confronto patrimonio/perdite (coerente con le nuove regole). Non so se aiuta il contribuente, ma se il fisco ha male applicato il limite patrimonio, potresti usarla.
  • Cass. 223/2024 (4 gennaio 2024): ottima se vuoi sostenere che l’ufficio non poteva arrivare a contestare dopo anni etc., anche se in verità ha deciso a favore del Fisco sul potere di contestare perdite di anni precedenti . Non la useresti pro contribuente se discuti di termini, perché è pro fisco. Ma contiene un obiter sulla buona fede: ha detto che l’art.10 Statuto non si applica per silenzi dell’ufficio . Quindi in realtà non ti aiuta, a meno che inverti: se l’ufficio non ti contestò nulla in un controllo precedente, tu magari invochi buona fede, ma la controparte citerà questa. Quindi occhio.
  • Cass. 27905/2024: ha riguardato una scissione abusiva, confermando i principi antiabuso (non proprio pro contribuente). Però la puoi citare nel passaggio in cui dice che va valutata l’effettiva attività d’impresa: “l’abuso ricorre quando la scissione è posta in essere da società che non svolge effettiva attività d’impresa e mira solo a eludere le imposte”. Se la tua società invece un’attività effettiva la svolgeva, potresti distinguere il tuo caso da quello di quella sentenza.
  • Cass. 10919/2025 (ord.): questa ordinanza ha sancito che vale la norma vigente nell’anno di utilizzo perdite, non quella dell’anno di formazione . È pro-fisco nel senso che consentì di applicare retroattivamente la norma 2011 su perdite. Non è favorevole ai contribuenti, ma utile sapere se c’entra col tuo caso (transizioni normative).

In generale, oltre alla Cassazione, se trovi CTR o CTP favorevoli in casi simili al tuo (magari la stampa specializzata li riporta), portali: non fanno giurisprudenza vincolante, ma testimoniano che quell’interpretazione è stata ritenuta valida da qualche giudice. Ad esempio, ci sono state commissioni tributarie che hanno annullato sanzioni su elusione, o riconosciuto ragioni economiche. Ogni riferimento aiuti a creare un clima favorevole.

Ricorda sempre di contestualizzare: citare a raffica sentenze può irritare il giudice; meglio estrarre il principio e dire “come affermato da Cassazione n.X, in una vicenda analoga, …”. E allegare il testo per completezza.

D7: Dopo la riforma del 2024/2025, conviene ancora fare operazioni per sfruttare perdite fiscali altrui?

R7: La riforma ha reso la vita molto più difficile a chi progettava operazioni mirate solo al “traffico di perdite”. Con i nuovi test e limiti uniformati, le possibilità di utilizzare perdite altrui senza un solido substrato economico si sono ridotte drasticamente. In altre parole, oggi conviene fare operazioni straordinarie solo se hanno un senso imprenditoriale, considerare l’eventuale utilizzo di perdite come un beneficio aggiuntivo ma incerto.

Se l’unico scopo sarebbe usare perdite di qualcun altro: tendenzialmente no, non conviene. Perché:

  • Se compri una società solo per le perdite, la legge ora di default te le nega (cambio controllo + attività = perdite perse) , a meno di vitalità che però contrasterebbe col concetto di “società solo guscio di perdite”.
  • Se provi percorsi alternativi (conferimenti, ecc.), li hanno regolati: ora anche il conferimento d’azienda fuori gruppo attiva i limiti . Il DL 84/2025 ha voluto proprio evitare che attraverso un conferimento e successiva cessione si potessero monetizzare perdite che altrimenti sarebbero rimaste bloccate. Quindi quell’escamotage è chiuso.
  • Fusioni e scissioni: come visto, doppio test di vitalità per fusioni retrodatate – hanno tappato pure quel buco .
  • Infragruppo: all’interno dello stesso gruppo c’è più tranquillità perché se le perdite si generano e restano in famiglia, hanno allentato i limiti . Ma lì tipicamente non era abuso: un gruppo usa perdite di una controllata in una fusione interna, di solito aveva già un consolidato o era comunque un’economia unitaria.

Quindi, conviene pianificare operazioni per motivi di business e considerare le perdite come un fattore, sì, ma non come motivazione trainante. La convenienza fiscale marginale è stata ridotta per dissuadere comportamenti abusivi e favorire semplificazione: l’idea è “se fai l’operazione per buoni motivi, probabilmente rispetterai test e limiti e potrai usare le perdite in parte; se la fai solo per perdite, quei test falliranno e avrai fatto un buco nell’acqua o peggio avrai un contenzioso”.

In conclusione, dopo le riforme attuali: no, non conviene fare operazioni solo per sfruttare perdite altrui, perché il legislatore ti ha messo contro diversi ostacoli che rischiano di farti pagare comunque le imposte e in più costi di operazione, sanzioni, ecc. Conviene piuttosto concentrarsi sul creare vero valore con l’operazione; se c’è vero valore, c’è buona chance che alcune perdite le potrai pure utilizzare (perché l’azienda era vitale, etc., segno di genuinità).

Conclusione: La gestione del riporto delle perdite fiscali è un terreno insidioso dove diritto tributario e strategia aziendale si intrecciano. Dal lato del contribuente, è fondamentale muoversi con cautela e trasparenza, comprendendo i confini tra la legittima ottimizzazione fiscale e l’abuso. Le ultime evoluzioni normative in Italia mostrano una volontà di semplificare le regole ma al contempo di stringere le maglie contro comportamenti elusivi: test di vitalità economica, limiti patrimoniali, controlli anche retroattivi sulle perdite utilizzate , tutti meccanismi che invitano i contribuenti a usare le perdite solo nell’ambito di operazioni giustificate.

Abbiamo visto come difendersi in caso di contestazione: sfruttare ogni appiglio normativo e fattuale (ragioni economiche, difetti procedurali, affidamento) per sostenere la legittimità del proprio operato. Le sentenze recenti tracciate in questa guida offrono spunti importanti: alcune confermano l’implacabilità verso costruzioni artificiose , altre tutelano chi ha agito in buona fede seguendo le regole esistenti .

In ultima analisi, dal punto di vista di un avvocato tributarista o di un consulente d’impresa, il messaggio è chiaro: pianificare sì, ma con sostanza. Una pianificazione fiscale che si regge solo sulle perdite pregresse rischia di essere demolita dall’Agenzia delle Entrate e dalle Commissioni Tributarie, con esiti onerosi. Al contrario, una pianificazione integrata ad una solida logica imprenditoriale, debitamente preparata e documentata, ha buone chance di resistere – e di beneficiare comunque, nei limiti consentiti, del tesoretto fiscale delle perdite, senza incorrere nell’accusa di abuso del diritto.

Fonti utilizzate:

  • Testo aggiornato del TUIR (DPR 917/1986), art. 84, 172, 173, 177-ter, come modif. da D.Lgs. 192/2024 e D.L. 84/2025 .
  • Statuto del Contribuente (L. 212/2000), art. 10-bis (disciplina dell’abuso del diritto introdotta dal D.Lgs.128/2015) .
  • Cassazione Civile: sent. n.223 del 4/1/2024 (contestazione tardiva perdite in fusione) ; ord. n.10919 del 25/04/2025 (norma applicabile è quella dell’anno di utilizzo perdite) ; sent. n.1715 del 24/01/2025 (fusioni retroattive: doppio test vitalità) ; sent. n.10872 del 21/04/2025 (abuso, obbligo motivazione specifica su risposte contribuente) ; sent. n.27905 del 29/10/2024 (scissione elusiva: principi generali abuso) ; sent. n.14493 del 09/05/2022 (definizione di abuso e onere prova) ; sent. n.9802 del 13/04/2022 (conferimento + vendita quote non abusivo se coerente con norme) ; sent. n.21350 del 26/07/2021 (conferma obbligo confutazione giustificazioni in atti anti-elusivi); SS.UU. n.30055/2008 (introduzione principio generale antielusivo).
  • Prassi amministrativa: Relazione illustrativa D.Lgs. 192/2024 e dossier Camera D.L.84/2025 (commento estensione limiti a conferimenti) ; Circolare Agenzia Entrate 6/E/2016 (principi antiabuso post art.10-bis) e Risoluzione 93/E/2016 (esempi applicativi) – [riferimenti indiretti nelle fonti].
  • Sentenza del 29/10/2024 n. 27905 – Corte di Cassazione
  • RECENTISSIME DALLA CASSAZIONE TRIBUTARIA – Cass., sez. trib., 4 gennaio 2024, n. 223 – Buona fede e affidamento, decadenza dal potere di accertamento in caso di perdite fiscali e “plusvalutazione” degli incrementi patrimoniali in una recente sentenza di legittimità

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato un presunto abuso nel riporto di perdite fiscali? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato un presunto abuso nel riporto di perdite fiscali?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Il riporto delle perdite fiscali è consentito entro precisi limiti temporali e quantitativi, stabiliti dalla legge. Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che le perdite siano state utilizzate in modo indebito, o che derivino da operazioni elusive (fusioni, scissioni, trasformazioni societarie), può disconoscerne l’utilizzo e recuperare le imposte.

👉 Prima regola: dimostra la corretta formazione delle perdite e la legittimità del loro utilizzo negli anni successivi.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Perdite generate da operazioni straordinarie considerate elusive;
  • Utilizzo di perdite oltre i limiti temporali previsti;
  • Riporto di perdite di società non operative;
  • Compensazioni con redditi non ammesse dalla normativa;
  • Mancanza di documentazione che provi la reale esistenza delle perdite.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Disconoscimento del riporto delle perdite;
  • Recupero delle imposte con sanzioni e interessi;
  • Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte accertate;
  • Rischio di ulteriori controlli su bilanci e dichiarazioni;
  • Possibili profili penali in caso di utilizzo fraudolento di perdite inesistenti.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Documentazione delle perdite: bilanci, dichiarazioni fiscali, verbali societari;
  • Origine delle perdite: derivano da attività reali o da operazioni straordinarie?
  • Rispetto dei limiti temporali e percentuali previsti dalla legge;
  • Coerenza con le regole anti-elusione (art. 10-bis Statuto del Contribuente);
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha fornito prove concrete o solo presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Bilanci d’esercizio e dichiarazioni fiscali degli anni in perdita;
  • Relazioni di revisori o sindaci;
  • Atti notarili e contratti relativi a fusioni, scissioni o trasformazioni;
  • Estratti conto e documentazione bancaria;
  • Comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate o con consulenti fiscali.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la legittima formazione e l’utilizzo delle perdite;
  • Contestare l’applicazione delle norme anti-elusione se l’operazione aveva finalità economiche reali;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione insufficiente, errori nei calcoli, decadenza;
  • Chiedere autotutela se l’Agenzia non ha considerato documenti già depositati;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare o ridurre l’atto.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le perdite contestate e la documentazione disponibile;
📌 Verifica la legittimità dell’accertamento e la corretta applicazione delle regole;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire il riporto delle perdite fiscali in modo sicuro e conforme alla legge.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e riporto perdite;
✔️ Specializzato in difesa di imprese e professionisti contro contestazioni sul riporto delle perdite;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’abuso nel riporto delle perdite fiscali non sempre sono fondate: spesso si basano su interpretazioni restrittive o su presunzioni.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità delle perdite e del loro utilizzo, evitando recuperi indebiti e riducendo drasticamente sanzioni e interessi.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sul riporto delle perdite fiscali inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!