Agenzia Delle Entrate Contesta Rimborsi Forfettari A Professionisti: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcuni rimborsi forfettari riconosciuti a professionisti sono stati ritenuti indebiti? In questi casi, l’Ufficio presume che le somme corrisposte non siano veri rimborsi spese, ma compensi aggiuntivi soggetti a tassazione. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: esistono margini difensivi per dimostrare la natura corretta delle somme erogate.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i rimborsi forfettari
– Se i rimborsi non sono collegati a spese documentabili e inerenti all’attività professionale
– Se le somme sono corrisposte con periodicità fissa, assimilabili a compensi ordinari
– Se non vi sono contratti o regolamenti interni che ne giustifichino la corresponsione
– Se i rimborsi eccedono i limiti previsti dalla normativa fiscale o dalla prassi
– Se emergono incongruenze tra i rimborsi erogati e i dati dichiarati fiscalmente

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione dei rimborsi come compensi professionali imponibili
– Recupero delle imposte dirette e dell’IVA eventualmente detratta
– Applicazione di sanzioni per infedele dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Maggior rischio di controlli su altre voci di spesa e di compenso

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la natura di rimborso spese con contratti, delibere o regolamenti che ne disciplinano l’erogazione
– Produrre documentazione integrativa che provi l’inerenza delle spese coperte dal rimborso
– Contestare la riqualificazione come compenso se il rimborso non rappresenta un arricchimento per il professionista
– Evidenziare vizi di motivazione, difetti formali o errori di calcolo nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa ai rimborsi contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e i limiti fiscali applicabili
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere il professionista o l’ente erogatore davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio e la reputazione professionale da richieste fiscali indebite

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o l’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della natura non imponibile dei rimborsi realmente spettanti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto effettivamente dovuto secondo la legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Trascorso questo termine, la pretesa fiscale diventa definitiva.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa dei professionisti – spiega come difendersi in caso di contestazioni sui rimborsi forfettari a professionisti e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

L’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui rimborsi spese forfettari corrisposti ai professionisti, contestando spesso che tali somme costituiscano in realtà compensi occulti da tassare. In pratica, quando un libero professionista riceve somme a titolo di rimborso spese non analiticamente documentato (ad esempio un’indennità a forfait per trasferte o un generico rimborso spese generali in fattura), il Fisco potrebbe riqualificarle come reddito imponibile aggiuntivo. Questo scenario pone il professionista – avvocato, consulente, amministratore o imprenditore – nella veste di debitore d’imposta chiamato a difendersi.

In questa guida avanzata (aggiornata ad agosto 2025) esamineremo il quadro normativo italiano vigente, incluse le più recenti novità legislative e giurisprudenziali, per capire quando un rimborso spese è legittimo ed escluso da tassazione e quando invece rischia di essere disconosciuto dall’Agenzia. Si forniranno inoltre strategie difensive dal punto di vista del contribuente: come prevenire le contestazioni, come gestire la fase amministrativa (memorie, istanze di autotutela, accertamento con adesione) e come affrontare l’eventuale contenzioso tributario in Commissione (CTP/CTR). Sono incluse sentenze aggiornate (Cassazione, 2024-2025) e riferimenti normativi autorevoli (TUIR, circolari), nonché tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti e alcune simulazioni pratiche di casi tipici in ambito italiano. L’obiettivo è fornire un vademecum giuridico-divulgativo completo, utile sia ai professionisti e ai loro legali sia a imprenditori e privati cittadini interessati alla materia, dal punto di vista del contribuente che deve difendere la legittimità dei propri rimborsi spese.

Quadro normativo di riferimento

I rimborsi spese ai professionisti sono disciplinati principalmente dal Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR) e, per i lavoratori dipendenti o assimilati, dagli articoli specifici sulle trasferte. Negli ultimi anni la normativa è cambiata per rendere neutrale il trattamento fiscale dei rimborsi analitici (a piè di lista) e contrastare gli abusi sui rimborsi forfettari non documentati.

Rimborsi spese nel reddito di lavoro autonomo (art. 54 TUIR)

Dal 1° gennaio 2025 è in vigore una nuova disciplina dei rimborsi spese per i lavoratori autonomi (professionisti in regime ordinario) introdotta dall’art. 5 del D.Lgs. 192/2024 (secondo modulo di riforma fiscale) . In base al nuovo art. 54, comma 2, lett. b) TUIR, non concorrono a formare il reddito professionale le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dal professionista per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente al committente . Ciò segna un cambio di paradigma rispetto al passato, quando tali rimborsi erano assimilati a compensi e quindi tassati e assoggettati a ritenuta d’acconto . La ratio della modifica è evitare di tassare e assoggettare a ritenuta somme che in realtà non generano un arricchimento effettivo, poiché tipicamente correlate a costi deducibili di pari importo .

  • Esclusione dal reddito e indeducibilità: In parallelo, il nuovo art. 54-ter TUIR prevede che tali spese rimborsate non siano deducibili dal reddito del professionista . Il sistema è dunque a somma zero: se il professionista incassa dal cliente il rimborso di un costo che ha sostenuto per svolgere l’incarico, quel rimborso non viene tassato, ma il costo corrispondente non può essere dedotto (perché coperto dal cliente). Si evita così ogni vantaggio o perdita fiscale, in coerenza con la natura “neutrale” del rimborso.
  • Condizioni: Per beneficiare di questa esclusione, il rimborso deve essere analitico, cioè riferito a spese specifiche e documentate, sostenute nell’interesse del committente. In pratica, deve trattarsi di spese vive (viaggi, vitto, alloggio, etc.) che il professionista anticipa per conto del cliente nell’esecuzione dell’incarico, e che poi riaddebita in fattura con separata indicazione . Non rientrano nell’esclusione gli importi forfettari o aggiuntivi non legati a costi effettivi: questi restano compensi imponibili a tutti gli effetti.
  • Tracciabilità dei pagamenti: La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto un importante vincolo di tracciabilità. A partire dal 2025, le spese di viaggio, vitto, alloggio e trasporto rimborsate al professionista sono deducibili (per il cliente) e non imponibili (per il professionista) solo se i relativi pagamenti sono effettuati con strumenti tracciabili (es. bonifico, carta) . In caso contrario, scattano doppi effetti negativi: il rimborso diventa imponibile per il professionista e indeducibile per il committente (un meccanismo analogo a quello introdotto per i rimborsi ai dipendenti) . Questa stretta normativa mira a garantire trasparenza e prevenire abusi (es. note spese gonfiate o pagate in contanti fuori controllo) .
  • Mancato rimborso e casi particolari: Il nuovo art. 54-ter TUIR disciplina anche l’ipotesi in cui il cliente non rimborsi al professionista le spese anticipate. In tal caso, se il credito da rimborso diventa inesigibile per ragioni documentabili – ad esempio insolvenza del cliente (procedure concorsuali), esito infruttuoso di pignoramenti, prescrizione del credito – allora le spese rimaste a carico del professionista tornano deducibili dal suo reddito, dal momento in cui si verifica uno degli eventi previsti . Inoltre, per evitare penalizzazioni, è previsto che piccoli importi (fino a 2.500 €) non rimborsati entro un anno dall’emissione della fattura diventino deducibili dopo il decorso di tale anno . In sintesi, se il professionista non riesce a ottenere il rimborso, la legge gli consente di scaricare quei costi.
  • Regime transitorio: Le nuove regole si applicano ai rimborsi relativi a incarichi dal 2025 in poi. Per i rimborsi fatturati fino al 31 dicembre 2024 continua a valere la vecchia disciplina: tali somme concorrono al reddito imponibile e sono soggette a ritenuta, con possibilità per il professionista di dedurre le spese corrispondenti secondo le regole previgenti .
  • IVA e contributi: È importante notare che la riforma riguarda la fiscalità diretta (IRPEF), ma non ha modificato il trattamento IVA. I rimborsi di spese anticipati dal professionista, se non rientrano tra le anticipazioni fatte in nome e per conto del cliente ex art. 15 DPR 633/1972, continuano a far parte della base imponibile IVA della fattura . Dunque, anche se dal 2025 il rimborso analitico non è tassato come reddito IRPEF né soggetto a ritenuta, va comunque fatturato con IVA (salvo eccezioni specifiche) e concorre alla determinazione del contributo integrativo previdenziale (es. il 4% Cassa di categoria o gestione separata) . Ciò crea un disallineamento: la base imponibile ai fini IVA/previdenza includerà i rimborsi, mentre la base imponibile IRPEF no . È un aspetto da gestire contabilmente (fatturare come di consueto, ma considerare che ai fini reddito quella parte sarà sterilizzata).

In sintesi, dal 2025 per un professionista in regime ordinario i rimborsi spese documentati e analitici (ad esempio un biglietto del treno o la ricevuta di un albergo riaddebitati al cliente) non costituiscono più reddito imponibile né subiscono ritenuta d’acconto . Resteranno invece imponibili tutti i rimborsi forfettari o non supportati da giustificativi, in quanto considerati alla stregua di un maggior compenso.

Rimborsi spese e regime forfettario

Un punto delicato riguarda i professionisti che adottano il regime forfettario (flat tax per le partite IVA minori). Nel regime forfettario, per definizione, il reddito è calcolato applicando una percentuale forfettaria di costi sul totale dei ricavi, senza distinzione analitica di spese. La legge di riforma non ha esplicitamente chiarito se la nuova esclusione dei rimborsi spese dal reddito si applichi anche ai contribuenti forfettari .

  • Situazione attuale: In attesa di chiarimenti ufficiali, l’orientamento prudenziale è che nei forfettari i rimborsi continuino a far parte del reddito imponibile (come componenti del compenso) . Infatti, non essendo prevista nel regime agevolato una deduzione analitica dei costi, sarebbe incoerente sottrarre dal fatturato certe voci di rimborso: si finirebbe per ridurre la base imponibile su cui si applica l’imposta sostitutiva in modo non contemplato dalla normativa semplificata. In altre parole, il forfettario già beneficia di una deduzione forfettaria complessiva (il coefficiente di redditività); escludere anche i rimborsi spese significherebbe abbassare ulteriormente il reddito imponibile senza una base normativa chiara .
  • Esempio: un consulente in regime forfettario fattura €1.000 di compenso e €200 di rimborso spese di viaggio. Allo stato attuale, dovrà conteggiare €1.200 come ricavo lordo ai fini della percentuale forfettaria (ad es. 78% se professionista) e pagare imposta sostitutiva su €936 (il 78% di 1.200). Se si escludesse il rimborso, pagherebbe su €780, con un indebito vantaggio fiscale rispetto a quanto previsto originariamente. Pertanto, fino a nuovi interventi normativi o interpretativi, il consiglio è di includere normalmente anche i rimborsi nelle fatture forfettarie e di documentare comunque le spese: qualora in futuro venisse estesa l’esclusione anche ai forfettari, si sarebbe già pronti a dimostrare la natura dei costi.

Da segnalare che a livello di Certificazione Unica (CU), la prassi per i forfettari – che non subiscono ritenuta – è indicare l’intero importo percepito (compenso + rimborsi) come somma unica. Alcuni chiarimenti ministeriali su come riportare i rimborsi per forfettari sono attesi, ma al momento non vi è distinzione operativa: il rimborso è inglobato nei compensi soggetti a imposta sostitutiva .

Rimborsi spese in ambito di lavoro dipendente e assimilato (artt. 51 e 95 TUIR)

Nel caso di lavoratori dipendenti o collaboratori coordinati (co.co.co.), i rimborsi spese e le indennità di trasferta seguono regole diverse, fissate dall’art. 51 TUIR. È utile accennarle perché molte contestazioni riguardano proprio la corretta applicazione di tali norme (specie per amministratori di società o soci che spesso ricevono rimborsi analoghi ai dipendenti).

  • Trasferte fuori del comune: l’art. 51, comma 5, TUIR stabilisce che per le trasferte fuori dal comune della sede di lavoro, eventuali indennità forfettarie giornaliere sono esenti da IRPEF fino a un massimo di €46,48 al giorno (per trasferte in Italia, €77,47 all’estero), al netto delle spese di viaggio e trasporto eventualmente rimborsate a parte . Oltre tali limiti, l’eccedenza della diaria diventa imponibile. Se al dipendente vengono rimborsate anche vitto e alloggio con fatture a parte, il limite dell’esenzione si riduce (€30,99 in Italia se è rimborsato anche un pasto, ecc.). In sostanza, il legislatore fiscale consente di non tassare modeste somme forfettarie per il disagio della trasferta, ma entro soglie precise.
  • Rimborsi analitici: sempre per trasferte extra-comunali, in alternativa alla diaria forfettaria l’azienda può rimborsare a piè di lista le spese documentate. In tal caso non concorrono a formare il reddito del dipendente le somme rimborsate per viaggio e trasporto, nonché per vitto e alloggio entro i limiti giornalieri (circa €180 in Italia, €258 estero, combinando vitto e alloggio) . L’indennità chilometrica per uso dell’auto propria è equiparata alle spese di trasporto: esente da tassazione se calcolata secondo tabelle ACI (vedi oltre). Dal 2025 vige anche per i dipendenti l’obbligo di tracciabilità: se il dipendente paga una spesa di trasferta in contanti e l’azienda la rimborsa, quel rimborso diventa imponibile e la spesa indeducibile per l’azienda .
  • Trasferte all’interno del comune: l’art. 51, comma 5, stabilisce che qualsiasi rimborso o indennità per trasferte intra-comunali è imponibile, ad eccezione dei rimborsi di spese di viaggio e trasporto. Ciò significa che se un dipendente si sposta all’interno della stessa città, solo i rimborsi ad es. di taxi, autobus, carburante sono esenti (purché documentati), mentre non esistono diarie esenti per missioni in città . Anche qui, da gennaio 2025 la documentazione è semplificata (non serviranno più alcuni documenti nominativi per i trasporti locali) ma rimane la distinzione: niente esenzione per diarie urbane.
  • Contributi previdenziali: Le regole fiscali sulle trasferte si riflettono in genere anche sul piano contributivo (INPS). Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 27093/2017) hanno composto una querelle sul cosiddetto trasfertismo, confermando che se le indennità di trasferta sono pagate in assenza di reali spostamenti (o in misura fissa continuativa non legata a trasferte occasionali), vanno considerate retribuzione ordinaria, soggetta a contributi . La giurisprudenza più recente ribadisce che solo la parte di indennità che eccede i limiti esenti concorre a formare reddito imponibile e base contributiva, mentre la quota entro i limiti resta esclusa . Dunque, un’azienda non può eludere imponibili e contributi camuffando stipendi fissi come “indennità di trasferta” se il lavoratore opera sempre nella stessa sede.

Amministratori di società: Il trattamento dei rimborsi spese per gli amministratori merita un cenno. Gli amministratori di società percepiscono compensi qualificati fiscalmente come redditi assimilati al lavoro dipendente (art. 50 TUIR) se derivano da rapporto di amministrazione. Pertanto, trovano applicazione criteri simili ai dipendenti: ad esempio, se un amministratore compie viaggi per conto della società, può ricevere il rimborso spese analitico (non tassato entro i limiti) o un’indennità di trasferta (nei limiti di €46,48) con lo stesso regime dei dipendenti. Se però l’amministratore è anche un lavoratore autonomo con partita IVA per quella attività, allora segue le regole dei professionisti (art. 54 TUIR). In generale, per gli amministratori si raccomanda di deliberare formalmente nel CdA le politiche di rimborso: solo le spese documentate e autorizzate dall’organo amministrativo dovrebbero essere rimborsate esentasse . Diversamente, rimborsi atipici a favore di amministratori potrebbero essere contestati come compensi extra non deliberati (con potenziali profili anche di indeducibilità per la società o distribuzione di utili occulta). In caso di contestazione, l’amministratore dovrà provare che il rimborso è inerente all’attività e deliberato secondo statuto.

Rimborsi spese nel Terzo Settore (volontari)

Per completezza, citiamo la disciplina dei rimborsi ai volontari di organizzazioni non profit, perché spesso oggetto di verifiche fiscali: la legge quadro sul volontariato (L. 266/1991, art. 2 comma 2) stabilisce che ai volontari possono essere rimborsate esclusivamente le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dall’ente . Non sono ammessi rimborsi forfettari ai volontari, né pagamenti di natura retributiva mascherati da rimborsi. La Cassazione ha chiarito (ord. n. 23890/2015) che solo i rimborsi con queste caratteristiche godono della non imponibilità fiscale; in mancanza di documenti o oltre i limiti statutari, le somme corrisposte al volontario vanno qualificate come compensi soggetti a IRPEF e contributi . In altre parole, un’APS o ONLUS che volesse dare, ad esempio, €400 forfettari mensili a un volontario, rischierebbe la riqualificazione di tali somme come redditi da lavoro (o compensi occasionali) con relative sanzioni. La prassi recente ha introdotto il rimborso forfettario di 10 euro al giorno fino 150 euro/mese per volontari in particolari eventi sportivi (D.Lgs. 36/2021 e D.L. 48/2023), ma si tratta di eccezioni circoscritte: resta fermo che se il rimborso forfettario diventa sistematico e slegato da spese reali, si può profilare un abuso con conseguente contestazione .

Rimborsi spese generali forfettari (15% e simili)

Molti professionisti (in primis avvocati e consulenti) inseriscono nelle proprie parcelle un rimborso spese generali forfettario, spesso quantificato in misura percentuale sul compenso (tipicamente 15%). Questo importo – giustificato come copertura di costi generali non specificamente addebitati (telefono, segreteria, cancelleria, utenze dello studio, etc.) – è divenuto prassi consolidata ed è riconosciuto anche normativamente nei parametri forensi (art. 13, co. 10, L. 247/2012 e DM 55/2014). In sede giudiziale, la giurisprudenza lo considera dovuto all’avvocato automaticamente, quale parte accessoria delle spese legali liquidate, anche se non espressamente richiesto in nota: la Cassazione ha ribadito che il rimborso forfettario del 15% costituisce una componente di spesa predeterminata ex lege spettante di default al difensore vincitore .

Dal punto di vista fiscale, tuttavia, il rimborso spese forfettario del 15% rientra a pieno titolo nei compensi imponibili del professionista. Nella fattura va assoggettato a IVA e (per i non forfettari) a ritenuta d’acconto, al pari dell’onorario. Esso non beneficia di esclusioni specifiche perché non è legato a una spesa analitica documentata, bensì è una percentuale forfetaria su base convenzionale. Ciò significa anche che il professionista potrà dedurre i propri costi generali effettivamente sostenuti (affitto, bollette, ecc.) secondo le regole ordinarie, ma non può certo dedurre in modo forfetario lo stesso 15%. In pratica il rimborso forfettario di spese generali aumenta i ricavi tassabili e viene compensato, si suppone, dai costi generali effettivi che l’attività ha. Se l’Agenzia riscontra che questo importo è usato strumentalmente per gonfiare i compensi (ad es. applicando 15% anche quando i costi reali sono minimi, in aggiunta magari a spese già rimborsate a parte), potrebbe contestarne la congruità. Tuttavia, date le previsioni normative in materia forense, solitamente la contestazione verte più sulla deducibilità dei costi generali che sul rimborso in sé: il Fisco potrebbe semmai negare la deduzione di costi generici se già coperti dal rimborso forfetario addebitato ai clienti, per evitare un duplice beneficio. È dunque buona norma indicare chiaramente in fattura il rimborso forfetario separato dall’onorario, ed essere pronti a mostrare, in caso di verifica, il nesso tra quel 15% e l’effettivo sostenimento di costi generali (anche se non obbligatorio documentarli analiticamente per ogni pratica).

Riassumendo, la legittimità fiscale dei rimborsi spese si fonda su alcuni principi cardine: – Devono corrispondere a spese effettive, inerenti e documentate (salvo i casi espressamente tollerati di forfait con limiti di legge, come le diarie dipendenti entro €46,48). – Se sono forfettari, senza pezze giustificative, vengono trattati come compensi a tutti gli effetti, con imposizione e contribuzione relative . – Dal 2025, se non vengono utilizzati pagamenti tracciabili, perdono i benefici fiscali (diventano imponibili/indeducibili) anche se di natura teoricamente esente . – Serve rispettare eventuali limiti normativi o statutari (ad esempio nel volontariato o per policy aziendali interne): rimborsi oltre tali limiti saranno oggetto di attenzione. – Forma e sostanza: va curata sia la forma (fatture, note spese, contratti con clausole di rimborso) sia la sostanza economica (l’effettiva correlazione al costo): in caso di scostamento tra quanto formalizzato e la realtà, il Fisco privilegerà la sostanza riqualificando le somme.

La tabella seguente riassume le regole essenziali per varie categorie di soggetti, con riferimento normativo e trattamento fiscale dei rimborsi spese:

Tipologia di soggettoNormativa di riferimentoCondizioni chiaveEffetti fiscali (regime ord.)
Professionista (regime ordinario)Art. 54, co.2-b) TUIR (modificato da D.Lgs. 192/2024)Rimborso analitico documentato per spese inerenti all’incarico, in nome e per conto del cliente (anticipate e poi addebitate).Escluso dal reddito IRPEF (non è compenso) . Dal 2025 non soggetto a ritenuta; spesa corrispondente indeducibile (art. 54-ter) salvo casi di mancato rimborso.
Professionista (regime forfettario)L. 190/2014 (art. 1, co. 64)Il regime agevolato non prevede separata deducibilità analitica delle spese. Nessuna indicazione specifica sui rimborsi nella norma.I rimborsi, anche se analitici, concorrono al reddito (sono parte del compenso imponibile). Nessuna esclusione formalizzata (fino a eventuali chiarimenti futuri) .
Dipendente / Co.co.co.Art. 51, co. 5-6 TUIR; art. 95 TUIR; L. 197/2022 (tracciabilità)Trasferte fuori comune: esenzione per diarie entro €46,48 (€77,47 estero) al netto spese viaggio; rimborsi analitici esenti per viaggio e trasporto, vitto/alloggio esenti entro €180/258 al dì. Trasferte intra-comunali: imponibili salvo viaggi. Dal 2025: obbligo mezzi tracciabili per esenzione/deducibilità.Entro i limiti di legge: non concorrono al reddito del lavoratore, esenti contributi. Oltre i limiti o fuori requisiti: trattati come reddito da lavoro (tassati e contributivi). Deducibilità per il datore solo se rimborsi tracciati, altrimenti indeducibili .
Amministratore di s.r.l.Art. 2389 c.c.; TUIR art. 50 (redditi assimilati) o art. 54 (se con P.IVA)Spese di trasferta documentate e autorizzate dal CdA o da policy interna. Contratto o delibera che preveda i rimborsi.Assimilato al dipendente se compenso amministratore: rimborsi esenti entro limiti art. 51 TUIR, imponibili oltre. Se professionista con incarico, segue regole art. 54 TUIR (analitici esclusi da reddito, forfettari tassati). Rimborsi non conformi alle delibere possono essere riqualificati come compensi occulti.
Volontario (ETS/ONLUS)L. 266/1991, art. 2, co. 2; D.Lgs. 117/2017 (CTS)Rimborsi solo per spese effettivamente sostenute per l’attività di volontariato, entro limiti stabiliti dall’ente. Obbligo di documentazione (ricevute, scontrini intestati al volontario o dichiarazione spese). Vietati compensi o forfettari fissi.Esenti da IRPEF se rispettano le condizioni (non sono reddito). Illegittimi i rimborsi forfettari o eccedenti: l’importo è considerato reddito imponibile per il volontario (l’ente doveva operare ritenuta) . Possibili sanzioni per omessa ritenuta e, in caso di verifiche, recupero contributi previdenziali se il rimborso maschera un rapporto di lavoro.
Consulente tecnico d’ufficio (CTU), Notaio, Avvocato in giudizioNorme professionali; art. 54 TUIR; DPR 115/2002 (spese di giustizia)Spese anticipate in nome e per conto del cliente o dell’erario (es. marche da bollo, contributo unificato) documentate a parte. Parcella/nota spese che distingue compenso e spese vive.I rimborsi di spese anticipate per conto del cliente (esenti ex art. 15 DPR 633/72 per IVA) non formano reddito (sono mere partite di giro). Se non correttamente qualificati, possono essere considerati parte del compenso. In ambito giudiziale, un rimborso non previsto nel provvedimento può non essere liquidato dal giudice, ma ciò non toglie che in sede fiscale vada comunque rendicontato.

(Legenda: IRPEF = Imposta sul reddito; ETS = Ente Terzo Settore; P.IVA = Partita IVA; CAP = contributo previdenziale avvocati; CTS = Codice Terzo Settore.)

Documentazione e prova: la chiave per legittimare i rimborsi

La difesa migliore contro le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate in tema di rimborsi spese è predisporre sin dall’inizio una documentazione accurata e completa. In caso di verifica, il professionista deve poter dimostrare senza ombra di dubbio che i rimborsi contestati corrispondono a spese reali, inerenti all’attività svolta per il cliente e già sostenute a suo nome e conto. Ecco gli elementi principali da raccogliere e conservare:

  • Fatture, ricevute e scontrini intestati: Qualsiasi spesa (biglietti aerei, ricevute albergo, fatture taxi, pedaggi, ecc.) va intestata preferibilmente al professionista o allo studio associato, in modo che sia chiaro chi l’ha sostenuta. Ancora meglio, quando possibile, far intestare la fattura direttamente al committente e pagarla come anticipo (spesa in nome e per conto): ad esempio, un notaio che anticipa per il cliente 200€ di tassa di registro avrà una quietanza intestata al cliente, dimostrando incontrovertibilmente la natura di anticipazione . In tutti gli altri casi, conservare gli originali di ogni spesa e allegarli poi alla nota spese per il cliente.
  • Nota spese analitica: È opportuno redigere per ogni trasferta o attività una distinta spese dettagliata, riportando giorno per giorno le voci sostenute: date, luoghi, causale (es. “trasferta per meeting col cliente X”), importi, estremi dei documenti (numero fattura, ricevuta). La nota spese andrebbe firmata dal professionista e, se possibile, controfirmata per approvazione dal cliente (o almeno approvata via email) . Ciò costituisce una prova che il cliente era consapevole e d’accordo sul rimborso di quelle spese.
  • Contratto o lettera d’incarico con clausola di rimborso: Nel disciplinare il rapporto col cliente, è buona norma inserire per iscritto una clausola in cui il committente si impegna a rimborsare le spese sostenute dal professionista per lo svolgimento dell’incarico, specificandone possibilmente le tipologie ammesse (es. viaggio, vitto, alloggio fino a un certo importo, eventuale indennità chilometrica secondo tariffe ACI, ecc.) . Questo accordo contrattuale aiuta a dimostrare che il rimborso non è un compenso extra, ma faceva parte delle condizioni economiche originarie. Anche un semplice scambio di email col cliente dove si approva un preventivo comprensivo di spese può servire allo scopo, in mancanza di contratto formale.
  • Pagamenti tracciabili: Come già sottolineato, da quest’anno è fondamentale che le spese rimborsate risultino pagate con metodi tracciabili (carte, bonifici, ecc.). Dunque bisogna poter esibire estratti conto o ricevute di POS che colleghino ogni spesa a un pagamento identificabile . Inoltre, il rimborso stesso idealmente dovrebbe avvenire con mezzi tracciati: ad esempio, se il cliente rimborsa €500 di spese al professionista, farlo con bonifico recante causale “rimborso spese pratica X” è molto meglio che con denaro contante. La tracciabilità fornisce un doppio vantaggio: per il professionista prova la trasparenza del flusso finanziario (niente “nero”), per il cliente/azienda consente la deducibilità fiscale di quel costo .
  • Altri riscontri: In fase di verifica, tutto ciò che può corroborare la realtà della trasferta o dell’attività va messo sul tavolo: ad esempio biglietti di viaggio (ricevute elettroniche, carte d’imbarco), report di missione (una relazione sull’attività svolta fuori sede), email scambiate col cliente che citano l’incontro in trasferta, foto o registri di presenza a convegni o cantieri, tabulati GPS o pedaggi autostradali nel caso di utilizzo dell’auto, ecc. Ogni dettaglio è utile a dipingere il quadro e “cristallizzare” l’inerenza della spesa all’incarico .

Va ricordato che in sede di accertamento tributario vige il principio che l’onere della prova di un maggior reddito (compenso occulto) formalmente sarebbe in capo all’Amministrazione. Tuttavia, quando il Fisco porta elementi indiziari (es: “questi 500€ dichiarati come rimborso potrebbero essere reddito”), in pratica è il contribuente che deve attivarsi per fornire giustificazioni concrete e superare la presunzione di imponibilità . In altre parole, nel contraddittorio amministrativo la posizione del contribuente sarà tanto più forte quanto più riuscirà a presentare subito evidenze documentali solide.

Importante: la documentazione dev’essere non solo raccolta, ma anche organizzata e spiegata. È consigliabile, in risposta a una contestazione, presentare una memoria difensiva scritta in cui si elencano i documenti prodotti e si spiega voce per voce perché quel rimborso era legittimo: ad esempio, “i €300 contestati corrispondono a €120 di biglietto aereo (vedi All.1) e €180 di hotel (All.2) per la trasferta a Milano del 10-12 marzo, effettuata per incontrare il cliente come da incarico (All.3: email di convocazione riunione)”. Una presentazione chiara può convincere l’ufficio già in fase pre-contenziosa.

Perché scattano le contestazioni: profili tipici di irregolarità

L’Agenzia delle Entrate, spesso coadiuvata dalla Guardia di Finanza in sede di verifica, tende a focalizzarsi su alcuni segnali ricorrenti che possono indicare un uso improprio dei rimborsi spese. Dal punto di vista del contribuente, essere consapevoli di questi profili “a rischio” aiuta a prevenire problemi. Ecco le principali cause che fanno scattare la contestazione:

  • Mancanza di documentazione adeguata: Il caso più comune è il rimborso spese non supportato da ricevute o giustificativi. Se in fattura compare una voce generica “rimborso spese € XXX” senza pezze d’appoggio, o peggio se emergono movimenti finanziari (es. bonifici al professionista) non accompagnati da alcuna fattura o nota spese, il Fisco presume che non vi siano vere spese sottostanti e dunque che quella somma sia in realtà compenso professionale occulto . Analogamente, se le note spese esistono ma sono estremamente sommarie (magari un foglio Excel interno non firmato, o cifre tonde senza dettaglio), non bastano a superare la presunzione di imponibilità . Bisogna avere pezze giustificative formali.
  • Rimborsi forfettari eccessivi o non collegati a spese reali: Laddove il rimborso è pattuito a forfait, l’ufficio valuta se l’importo pare congruo rispetto all’incarico. Esempio: un consulente potrebbe accordarsi per “rimborso forfetario spese 20% sul compenso” – se ciò porta a cifre molto alte sganciate dai costi effettivi, l’amministrazione fiscale può ritenere che quel 20% sia in realtà un supplemento di onorario. Spese generali forfettarie ricorrenti (tipo il famoso 15% su ogni fattura) attirano l’attenzione: il Fisco sa che quel 15% spesso non corrisponde a spese vive specifiche, quindi può essere tentato di qualificarlo come base imponibile aggiuntiva “sicura” . Inoltre, spese ripetitive identiche destano sospetti: ad esempio, se un professionista dichiara di fare tutti i giorni 100 km di viaggio rimborsati con indennità chilometrica, l’ufficio potrebbe approfondire (nessun incarico di solito richiede trasferte quotidiane così lunghe, a meno di sedi di lavoro multiple) .
  • Errori formali nelle causali di pagamento: Un dettaglio spesso trascurato: se il cliente paga con bonifico, la causale dovrebbe indicare chiaramente che si tratta di rimborso spese (e magari riferirsi alla fattura o nota spese). Bonifici ricevuti senza descrizione o con diciture ambigue (es. “pagamento consulenza” includendo magari anche i rimborsi) possono indurre il verificatore a considerare tutto come compenso. Una fattura che non menziona affatto le spese anticipate, a fronte di incassi maggiori dei compensi pattuiti, fa presumere un compenso in nero . Dunque attenzione alla coerenza formale: le somme incassate e i documenti emessi devono combaciare.
  • Rimborsi duplicati o fuori accordo: Se un professionista percepisce già un’indennità forfettaria da un cliente e presenta anche note spese a parte, potrebbe configurarsi un “doppio rimborso” per la medesima trasferta. Oppure se rimborsa a sé stesso costi che avrebbe dovuto sostenere la sua struttura (es. uno studio associato che rimborsa al socio spese che in realtà avrebbe potuto pagare direttamente lo studio), il Fisco potrebbe contestare l’inerenza o qualificare quei movimenti come distribuzione utili occulta. Un caso peculiare: alcuni amministratori di società si facevano rimborsare canoni di leasing dell’auto personale o l’affitto di immobili di loro proprietà usati dall’azienda – operazioni molto borderline, spesso disconosciute come rimborsi e trattate o come compensi amministratore o come utili (con relative sanzioni) .
  • Uso del contante: Prima del 2025 non vi era formale divieto di rimborsare spese in contanti, ma oggi qualsiasi rimborso cash è visto con sospetto. Un pagamento a mano rende più arduo tracciare il collegamento tra spesa e rimborso . Ad esempio, un’azienda che rimborsa il dipendente in contanti deve comunque conservare la nota spese firmata e quietanzata dal dipendente. Se manca, quel cash out può essere considerato erogazione non giustificata (e quindi reddito). Dal 2025, per di più, il rimborso non tracciato è indeducibile per l’azienda e imponibile per il percettore . Insomma, pagare rimborsi in contanti oggi “vale zero” fiscalmente, e in caso di controllo rischia di essere riqualificato negativamente.

Riassumendo, i casi tipici di contestazione possono essere schematizzati così:

  1. Rimborso forfettario non documentato – Un professionista e il cliente concordano un forfait spese (ad esempio “€500 a forfait per trasferta” in fattura). L’ufficio lo considera compenso aggiuntivo perché manca la prova analitica delle spese . (Esempio: fattura con voce “rimborso forfetario €500” senza scontrini allegati – l’Agenzia riprende a tassazione quei 500€ come reddito imponibile). Dal 2025, a maggior ragione, tutti i rimborsi forfettari restano imponibili, essendo esclusi solo i rimborsi analitici .
  2. Rimborso documentato ma “anomalo” – Il contribuente presenta ricevute, ma l’importo sembra sproporzionato o emerge qualche anomalia. Ad esempio pranzi di lusso a costi elevatissimi imputati interamente a clienti, oppure sospetti di rimborso duplicato (il professionista ha già avuto il rimborso da un soggetto e lo richiede anche ad un altro). In questi casi l’ufficio può contestare la congruità e chiedere spiegazioni aggiuntive . Il contribuente dovrà dimostrare che la spesa era realmente sostenuta e necessaria: esibendo fatture originali, magari spiegando perché era necessario un ristorante costoso (es. “evento di rappresentanza autorizzato dal cliente”), e assicurandosi di non aver dedotto due volte lo stesso costo. Finché la spesa è reale e inerente, anche se “alta”, resta deducibile: ma l’onere di provarlo ricade su chi la sostiene.
  3. Rimborso pagato in contanti – Dopo l’introduzione dell’obbligo di mezzi tracciabili, un rimborso cash è un facile bersaglio: l’azienda non può dedurlo e l’ufficio dubita della sua genuinità. Se contestato, bisogna corroborare quel rimborso con altri elementi: ad esempio, se un dipendente ha speso €100 di taxi pagandolo in contanti (dunque niente traccia bancaria), si dovrà produrre almeno la ricevuta fiscale del taxi e la nota spese firmata dal dipendente per evitare la tassazione di quei €100 come fringe benefit . Comunque sia, la direzione è chiara: minimizzare l’uso del contante e, dove avvenuto, documentare con ancora più scrupolo.
  4. Rimborsi di beni strumentali personali – Caso limite: un amministratore o socio pretende il rimborso di spese relative a beni propri usati dall’azienda (auto personale, casa propria usata come ufficio, etc.). Tali situazioni vengono facilmente contestate come indebite: ad esempio, “mi faccio rimborsare €500 al mese dall’azienda per l’uso della mia auto personale” può essere visto come un modo per estrarre utili. Se non c’è un contratto di noleggio o un accordo specifico, l’Agenzia assimilerà quei €500 a compenso amministratore (o utili) tassandoli di conseguenza . Difendersi richiede di dimostrare magari che quei €500 erano calcolati su km effettivamente percorsi per l’azienda (quindi in realtà un rimborso chilometrico in forma impropria) – non impossibile, ma certamente difficile se la pratica non era formalizzata.
  5. Rimborsi nel volontariato senza pezze d’appoggio – Un ETS rimborsa a piè di lista un volontario ma “si fida” e non raccoglie ricevute. Questa leggerezza porta quasi sicuramente a rilievi: Cassazione e prassi vogliono che l’ente conservi scontrini, ricevute firmate e rispetti i limiti statutari . Senza ciò, il Fisco può sindacare l’esenzione: di fatto, quei soldi diventano reddito imponibile per il volontario (con sanzioni all’ente per mancata applicazione ritenute) . Anche qui, unica difesa: cercare ex post di recuperare prove (dichiarazioni del volontario, ricevute tardive) per dimostrare che la spesa c’era davvero .

Contestazione fiscale: iter dell’accertamento e strategie difensive

Quando l’Agenzia delle Entrate ritiene che certi rimborsi spese siano in realtà redditi nascosti, procede in genere ad emettere un avviso di accertamento recuperando a tassazione gli importi contestati, con le relative imposte, interessi e sanzioni. Il contribuente a questo punto deve decidere come reagire. Analizziamo le fasi e le possibili difese:

  • Verifica e PVC: Spesso il percorso inizia con una verifica fiscale (ad esempio un controllo formale, un accesso della Guardia di Finanza o un questionario dell’Agenzia). Gli ispettori possono redigere un Processo Verbale di Constatazione (PVC) indicando le irregolarità riscontrate, tra cui la riqualificazione di rimborsi in compensi. In questa fase pre-accertamento, il contribuente ha 60 giorni per presentare osservazioni e richieste (memoria difensiva) all’ufficio locale, prima che venga emesso l’avviso definitivo. È fondamentale utilizzare questo spazio: fornire subito i documenti giustificativi e argomentare per iscritto può convincere l’Ufficio a archiviare o ridurre la contestazione . Ad esempio, allegando al PVC le ricevute mancanti e spiegando la natura dei rimborsi, si può evitare l’accertamento formale.
  • Avviso di accertamento: Se invece l’Agenzia ritiene di andare avanti, notificherà un avviso in cui i rimborsi contestati vengono sommati al reddito dichiarato, con calcolo delle maggiori imposte (IRPEF, addizionali, IVA se pertinente) e applicazione di sanzioni tributarie. Tipicamente, la sanzione per dichiarazione infedele è del 90% della maggior imposta dovuta (aumentabile fino al 180% in casi gravi) , ma può scendere a 1/3 se si definisce in acquiescenza o adesione. Interessi legali maturano inoltre dal periodo d’imposta accertato fino al pagamento. In parallelo, se c’è omissione di ritenute su compensi riqualificati (es. un cliente doveva fare ritenuta e non l’ha fatta perché considerava la somma rimborso esente), possono esserci atti impositivi anche verso il sostituto d’imposta per recuperare le ritenute non operate.
  • Difesa in autotutela: All’arrivo dell’avviso, il contribuente può tentare un’autotutela, cioè una richiesta all’Agenzia di annullamento o rettifica dell’atto in via amministrativa, se ritiene ci siano evidenti errori di fatto o di diritto. Ad esempio, se l’Agenzia ha ignorato un documento presentato, o ha applicato male una norma. L’autotutela va indirizzata all’ufficio che ha emanato l’atto, con un’istanza motivata e corredata di prove. Non sospende i termini per ricorrere, né l’esecutività dell’atto, ma talvolta può portare a un riesame rapido. È utile soprattutto in caso di errore palese dell’ufficio. Negli altri casi, si passa agli strumenti deflattivi o al contenzioso.
  • Accertamento con adesione: Prima di avviare il contenzioso, conviene valutare l’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, il contribuente può presentare istanza di adesione, chiedendo un contraddittorio. Ciò sospende i termini per fare ricorso per 90 giorni. Si verrà convocati dall’ufficio per discutere il caso: qui si possono esporre le proprie ragioni e magari ottenere uno sgravio parziale (ad esempio riconoscendo alcune spese documentate). Se si trova un accordo, si formalizza un atto di adesione con il pagamento delle imposte rideterminate e sanzioni ridotte a 1/3. L’adesione è vantaggiosa se le prove non sono del tutto risolutive e c’è rischio concreto di soccombenza in giudizio: si spunta di solito uno sconto sanzioni e a volte anche una riduzione della base imponibile. Ad esempio, l’ufficio potrebbe accettare di tassare solo il 50% di un rimborso forfettario contestato, riconoscendo il resto come giustificato, e applicare sanzione al 30% invece che 90%. Va detto che per importi modesti (fino a €50.000 di tributo) prima del ricorso è obbligatorio il tentativo di mediazione (istanza simile all’adesione, ma con l’organo regionale delle Entrate), che può condurre a conciliazione con sanzioni al 35% circa. Dunque, in ogni caso, un confronto con l’Amministrazione è auspicabile.
  • Ricorso in Commissione Tributaria: Se non si aderisce o l’adesione fallisce, entro il termine (ordinariamente 60 giorni dalla notifica, più eventuale sospensione per adesione) bisogna depositare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Nel ricorso si contestano formalmente i rilievi – ad esempio, si invocherà l’applicazione dell’art. 54 TUIR per i rimborsi documentati, si censurerà l’errata valutazione delle prove da parte dell’ufficio, e così via. È fondamentale allegare sin da subito tutta la documentazione probatoria disponibile (contratti, note spese, ricevute) e indicare i testimoni se servono (p.es. il cliente che attesti di aver richiesto lui la trasferta). Nel processo tributario, infatti, nuovi documenti possono essere prodotti fino all’udienza di merito (soprattutto in primo grado) , ma è strategicamente meglio mettere le carte in tavola presto per convincere la Commissione. Se emergono documenti nuovi in appello, sono ancora ammessi, ma occorre giustificare perché non erano stati prodotti prima. In situazioni di estrema necessità, si può persino chiedere all’Agenzia di riesaminare l’accertamento alla luce di nuove prove (istanza di autotutela post ricorso, talvolta valutata) o chiedere alla Commissione una sospensione del giudizio per esaminare elementi sopravvenuti, ma sono mosse eccezionali.
  • Strategie processuali: Nel giudizio, la linea difensiva ruoterà attorno a dimostrare che “il rimborso non era un compenso”. Si citeranno le normative (ad es. art. 54 TUIR novellato) e la giurisprudenza a supporto: ad esempio, in un caso di rimborso chilometrico, si potrà richiamare Cass. n. 4226/2025 che afferma la deducibilità integrale di tali rimborsi se strumentali , a conferma che non sono reddito ma mere compensazioni di costi. Oppure, per un rimborso volontari, si citerà Cass. 23890/2015 sul principio che i rimborsi effettivi e documentati non costituiscono reddito . L’onere della prova spetta in larga parte al contribuente: egli deve convincere i giudici tributari che quelle somme erano davvero destinate a coprire spese e non ad arricchimento personale. Se la documentazione è robusta, la Commissione potrebbe annullare in toto l’accertamento. In caso contrario, potrebbe confermare la pretesa fiscale. È possibile, talvolta, ottenere in giudizio una conciliazione giudiziale (accordo con l’ufficio anche dopo l’avvio del processo, con sanzioni ridotte al 40%). Ciò può convenire se si è incerti sull’esito finale.
  • Secondo grado e Cassazione: La parte soccombente in CTP può appellare in Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). Qui il giudizio ripercorre gli argomenti, con possibilità di integrare prove documentali se realmente nuove o su richiesta del giudice. Infine, eventuali errori di diritto potranno essere portati in Cassazione. Ad esempio, se vi è una questione di interpretazione normativa sull’art. 54 nuovo, potrebbe essere la Suprema Corte a dirimere. In questa sede, però, non saranno ammessi nuovi documenti: la Cassazione decide solo su legittimità, dando per accertati i fatti come risultano in sentenza d’appello. Dunque è cruciale costruire il fascicolo probatorio nei gradi di merito.
  • Effetti sul piano penale: Qualora i rimborsi contestati siano di importo molto elevato, tanto da configurare reato tributario (ad es. dichiarazione infedele se l’imposta evasa supera €100.000), la vicenda può sfociare in ambito penale. I reati ipotizzabili includono la dichiarazione fraudolenta (se si fossero usate fatture false per giustificare rimborsi) , la dichiarazione infedele od omessa (se grandi importi di redditi occultati) , o altri come l’indebita compensazione di crediti d’imposta. In tal caso, parallelamente al contenzioso tributario, la Procura potrebbe indagare. Sarà necessario dimostrare l’assenza di dolo evasivo: il solo fatto di aver subito un accertamento non basta per una condanna penale . Occorre che ci sia stata volontà di frode (es. “doppia contabilità”, documenti falsi, occultamento consapevole). Nel dubbio, il processo penale si può risolvere a favore del contribuente se questi mostra di aver agito, magari erroneamente, ma senza intento fraudolento. In ogni caso, produrre tutte le prove della genuinità dei rimborsi aiuta anche in sede penale . Le pene in caso di condanna per reati fiscali possono arrivare a diversi anni di reclusione per le frodi più gravi, oltre a multe fino a quattro volte l’imposta evasa . Va anche notato che il patteggiamento o la definizione agevolata del reato richiede spesso il pagamento del dovuto al Fisco, quindi difendersi bene sul merito tributario è doppiamente importante.
  • Riscossione e misure cautelari: Dopo l’accertamento, se non viene pagato, l’importo entra a ruolo e viene notificata una cartella esattoriale. In questa fase, se il contribuente ha fatto ricorso, può chiedere alla Commissione una sospensione della riscossione in pendenza di giudizio (provvedimento cautelare) se prova il rischio di danno grave e l’apparente fondatezza del ricorso . Se la cartella diviene definitiva (dopo sentenza passata in giudicato), si potrà arrivare al pignoramento. Un tema particolare: se sul conto corrente confluirono i rimborsi, tali somme di per sé non sarebbero pignorabili come reddito (in quanto non reddito imponibile, se riconosciuti come rimborsi) . Tuttavia, in pratica, distinguere nel saldo di conto quali somme erano rimborso e quali reddito è complesso: la banca tende a congelare quanto richiesto dall’Agente della Riscossione, e starà poi al contribuente eventualmente opporre in sede civile la non pignorabilità di certe somme (onere non semplice, occorrendo prova specifica e separazione dei fondi) . Suggerimento: per chi maneggia molti rimborsi, può essere utile tenere un conto corrente dedicato per incassarli e magari restituirli, in modo da tenerli separati dai redditi personali . Ciò darebbe un appiglio migliore in caso di pignoramenti, oltre a facilitare la tracciatura a fini probatori.

Le seguenti tabelle riepilogano gli effetti di un rimborso spese a seconda che sia riconosciuto come legittimo o contestato come compenso, nelle varie fasi del procedimento:

Evento / faseSe rimborso ammesso (analitico, legittimo)Se rimborso contestato e riqualificato
Accertamento fiscale (Agenzia)Rimborso escluso dal reddito imponibile; la relativa spesa non deducibile (nessun impatto fiscale netto).Importo aggiunto al reddito tassabile; imposte dovute su esso + sanzioni e interessi .
Giudizio tributario (CTP/CTR)Il contribuente documenta tutto: l’avviso può essere annullato, nessun tributo da pagare.Se la Commissione conferma l’accertamento: il rimborso è considerato compenso, occorre versare le imposte accertate (salvo riduzioni in sentenza) .
Cassazione (sentenza definitiva)Se la Cassazione conferma il rimborso come tale: nessuna tassazione su di esso (principio di diritto a favore del contribuente).Se avalla la tesi del Fisco: i rimborsi vengono equiparati a compensi; in via definitiva il contribuente deve assoggettarli a imposta come redditi (oltre a pagare eventuali spese legali) .
Sede penale (Procura/GdF)Nessun dolo né evasione: archiviazione o assoluzione. (Esempio: rimborsi leciti, il fatto non costituisce reato) .Configurazione di reato tributario (dichiarazione infedele/fraudolenta, ecc.): possibili sanzioni penali (multa elevata, reclusione fino a 3-5 anni nei casi più gravi) .
Riscossione (cartella/pignoramento)Le somme riconosciute come rimborsi non formano reddito quindi non pignorabili presso terzi ex art. 545 c.p.c. (in teoria).Somme considerate redditi: confluiscono tra i debiti esattivi, pignorabili come normali crediti da lavoro. In pratica, se miste ad altri fondi su conto, rischiano pignoramento totale (da contestare giudizialmente) .

Domande Frequenti (Q&A)

  • D: Qual è la differenza fondamentale fra un rimborso spese analitico e un compenso professionale?
    R: Il rimborso spese analitico è la restituzione di somme che il professionista ha anticipato per pagare spese specifiche (es. viaggio, alloggio) necessarie all’esecuzione dell’incarico. È, in sostanza, denaro “passante” che non arricchisce il professionista, ma rimborsa un costo da lui sostenuto per conto del cliente. Fiscalmente, se documentato a dovere, non costituisce reddito per il professionista (non va a sommarsi ai compensi imponibili) . Viceversa, il compenso professionale è il corrispettivo per la prestazione lavorativa o intellettuale del professionista – quella sì, è effettivo reddito imponibile su cui pagare tasse e contributi. Se un rimborso spese non è adeguatamente distinto o documentato, il Fisco tende a presumere che sia in realtà un compenso mascherato e quindi lo tassa come reddito (compenso occulto) .
  • D: Quando un rimborso spese rischia di essere considerato “occulto” dall’Agenzia delle Entrate?
    R: Un rimborso spese diventa sospetto o “occulto” quando mancano i requisiti formali e sostanziali che lo qualificano come tale. Ad esempio, se in una fattura non viene indicato nulla a titolo di spese anticipate, oppure se un bonifico ricevuto non riporta una causale chiara di rimborso, l’Amministrazione finanziaria può presumere che quel denaro sia in realtà un compenso non dichiarato . Similmente, un rimborso forfettario erogato senza nessun documento a supporto verrà visto come remunerazione camuffata. La Cassazione ha affermato chiaramente che solo i rimborsi che corrispondono effettivamente a costi documentati possono considerarsi estranei al reddito imponibile . Appunti interni o semplici fogli Excel non bastano; servono documenti fiscalmente validi (fatture, ricevute) per superare la presunzione di compenso. Insomma, in assenza di tracce cartacee solide, l’Agenzia considera la somma come reddito occulto.
  • D: Quali sono le voci di spesa più a rischio di contestazione durante un accertamento?
    R: In genere, le categorie di costo che destano più interesse (e scetticismo) nei verificatori sono:
    Rimborsi chilometrici e carburante: se un professionista dichiara molti km rimborsati con la propria auto, l’Agenzia verifica la plausibilità dei tragitti. Kilometraggi insolitamente elevati o ripetuti in modo costante possono far scattare controlli incrociati (ad es. confronto con l’agenda appuntamenti, con eventuali pedaggi). È importante calcolare le indennità chilometriche in base alle tabelle ACI ufficiali per modello di auto e documentare i viaggi (date, tragitto, motivo) .
    Vitto e alloggio di importo elevato: pasti in ristoranti molto costosi, soprattutto se ripetuti, oppure soggiorni di lusso, se addebitati integralmente all’azienda o al cliente, potrebbero venir contestati come eccessi non inerenti. L’ufficio potrebbe chiedere perché era necessario spendere quella cifra. Per tutelarsi, occorre dimostrare l’attinenza (es. era un pranzo con un cliente importante, oppure l’unico hotel disponibile in fiera) e che il costo è stato approvato dal committente.
    Spese generali forfettarie (15%): come detto, quel 15% standard sulle fatture dei professionisti è spesso sotto osservazione. Non tanto perché non dovuto – è lecito – ma perché l’amministrazione sa che su quello non c’è obbligo di pezze giustificative specifiche. Quindi, in sede di controllo, potrebbe chiedere conto dei costi generali effettivamente sostenuti dallo studio: se risultassero molto inferiori ai rimborsi generali incassati, potrebbero insinuare che parte di quel 15% è di fatto extra-compenso. Conviene sempre avere una contabilità di studio che evidenzi i costi generali (affitti, utenze, materiale) che “consumano” quel 15%. In altre parole, far vedere che non è stato un guadagno occulto, ma ha coperto spese reali.
    In generale, spese ripetitive e forfettarie incuriosiscono il Fisco più delle spese occasionali e puntuali . Se un professionista, ad esempio, ogni mese fattura al cliente €200 di “rimborso spese generali” uguale per tutti, sarà chiamato a spiegare perché proprio quella cifra fissa (c’è un accordo scritto? Ci sono costi fissi?). Mentre un rimborso una tantum per un viaggio specifico di solito è più facilmente difendibile.
  • D: Cosa fare se durante una verifica fiscale l’Agenzia contesta un rimborso spese?
    R: Innanzitutto, mantenere un atteggiamento collaborativo e tempestivo. Se la contestazione avviene già in sede di verifica o nel processo verbale, è fondamentale consegnare subito tutte le prove disponibili. Entro 60 giorni dal verbale si può presentare una memoria difensiva all’Ufficio : in essa bisogna spiegare dettagliatamente la natura del rimborso, allegare i documenti giustificativi (ricevute, contratti, estratti conto) e argomentare che non vi è occultamento di redditi. È utile sottolineare:
    – la distinzione chiara tra spesa e compenso (es.: “dei €5.000 fatturati, €4.500 sono compenso e €500 erano spese vive anticipate, come da nota spese allegata”);
    – l’esistenza di un rapporto contrattuale o incarico che prevedeva quel rimborso (magari allegare il contratto o una lettera d’incarico firmata);
    – evidenziare che non c’era intento evasivo, ma anzi si è agito convintamente secondo legge (specie se la normativa era poco chiara, si può invocare buona fede).
    Se il contraddittorio con l’ufficio non risolve, si può proporre una sessione di accertamento con adesione – di fatto un tavolo di conciliazione – in cui si portano di nuovo le prove e si cerca un accordo bonario . In ogni caso, mai ignorare la contestazione: non rispondere affatto porta quasi certamente all’accertamento e a sanzioni piene (oltre alla “multa” fissa del 30% per infedele dichiarazione) . Agire invece proattivamente può ridurre o eliminare la pretesa prima che diventi definitiva.
  • D: A quali sanzioni si va incontro se un rimborso spese viene disconosciuto dal Fisco?
    R: Le conseguenze sono di due tipi, tributarie e potenzialmente penali/previdenziali:
    Sul piano tributario, il rimborso riqualificato come reddito comporta l’applicazione delle imposte dovute (IRPEF e addizionali, IVA se rilevante) come se fosse un compenso originariamente non dichiarato. A queste si aggiungono gli interessi legali maturati dal momento in cui le imposte sarebbero state dovute (quindi tipicamente dal saldo dell’anno d’imposta). Inoltre scatta una sanzione amministrativa per dichiarazione infedele: ordinariamente il 90% della maggiore imposta . Tuttavia, la sanzione può essere: ridotta ad 1/3 con accertamento con adesione; aumentata fino al 180% se c’è frode; ridotta a 1/18 se si paga entro 20 giorni dall’accertamento (acquiescenza). Qualora emerga che il contribuente ha agito con dolo (es. falsificando apposta i rimborsi), la sanzione può arrivare al 240% dell’imposta evasa , ma questo si accompagna in genere a un’accusa penale.
    Sul piano previdenziale, se il contribuente è iscritto a una Cassa professionale o alla Gestione separata INPS, l’aumento del reddito imponibile comporterà il pagamento anche dei contributi su quella quota in più. Ad esempio, un avvocato dovrà versare la contribuzione soggettiva sul maggior reddito, un co.co.co. avrà contributi aggiuntivi INPS a carico. Se il rimborso riguardava un dipendente, il datore di lavoro dovrà i contributi arretrati su quelle somme ora considerate retributive. Anche qui con possibili sanzioni civili per evasione contributiva.
    Eventuali risvolti penali: se i rimborsi occultati portano l’imposta evasa oltre soglie penalmente rilevanti (ad esempio >€100k IRPEF evasa o >€50k IVA evasa), scatta la denuncia per dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) o altro reato fiscale. Le sanzioni penali vanno da una multa fino a varie migliaia di euro e reclusione (nel caso di dichiarazione infedele, fino a 3 anni) . C’è da dire che la soglia di punibilità per l’infedele è abbastanza alta (10% elementi attivi sottratti a tassazione e >€2 milioni non dichiarati, oppure imposta evasa > €100k), quindi non tutti i casi di rimborso contestato sfociano nel penale. Ma se succede, oltre a pagare il dovuto, ci sarà un procedimento giudiziario da affrontare.
  • D: Nel processo tributario, fino a quando posso presentare nuovi documenti a mia difesa?
    R: Il processo tributario, a differenza di quello civile, è improntato al principio del contraddittorio aperto: le parti possono produrre documenti anche oltre la fase iniziale del ricorso. In primo grado (CTP) generalmente è ammesso depositare nuovi documenti fino all’udienza di trattazione , e su concessione del giudice anche dopo (ad esempio se l’udienza viene rinviata per approfondimenti). In appello (CTR) il diritto di produrre nuove prove documentali è più limitato rispetto al passato, ma rimane possibile se i documenti sono relativi a circostanze sopravvenute o emersi dopo, oppure se confutano argomenti della controparte non prevedibili prima. È sempre discrezione della Corte ammetterli o meno. In Cassazione, invece, non si possono presentare nuove prove: la Suprema Corte giudica solo su violazioni di legge o vizi di motivazione già dedotti nei gradi precedenti. Pertanto, è cruciale presentare tutti i documenti già in CTP o, al più tardi, in CTR. Se qualche prova viene reperita solo dopo (ad esempio, si rinviene una ricevuta smarrita), il contribuente può valutare di chiedere all’Agenzia un riesame in autotutela o di evidenziare la circostanza al giudice, ma la strada è stretta. In casi eccezionali, si potrebbe chiedere la sospensione del processo ex art. 47-bis D.P.R. 600/1973 per integrare la documentazione, ma serve il consenso dell’Ufficio o una valida ragione procedurale .
  • D: Cosa cambia in concreto dal 2025 per un professionista a regime ordinario riguardo i rimborsi spese?
    R: La novità sostanziale è che, dal 2025, i rimborsi spese analitici addebitati al cliente non sono più considerati “compensi” e quindi non entrano nel reddito imponibile né subiscono ritenuta d’acconto . Questo semplifica la gestione: prima bisognava fatturarli e poi dedurre il costo corrispondente, ora semplicemente non si tassano affatto (né si deducono). Ciò riduce l’IRPEF del professionista in quei casi in cui magari le deduzioni non compensavano al 100% (si pensi a chi aveva limiti parziali di deducibilità su vitto/alloggio: ora se li fa rimborsare non li tassa e non li deduce affatto). Attenzione però:
    – Rimangono imponibili tutti i rimborsi non analitici, ossia forfettari o senza pezze giustificative. Quindi dal 2025 conviene ancora di più evitare forfait e preferire la rendicontazione puntuale delle spese.
    – Non c’è più la ritenuta d’acconto del 20% su quelle somme: ad esempio, se fatturo €1.000 di compenso e €300 di rimborso spese analitiche, il cliente farà la ritenuta solo su €1.000 (prima l’avrebbe fatta su €1.300) .
    – Ai fini IVA, come detto, non cambia nulla: sui €300 di rimborso dovrò comunque applicare IVA (salvo siano anticipazioni puro art. 15). Quindi le mie fatture continueranno a mostrare il rimborso con IVA.
    – Devo stare attento alla tracciabilità: se mi rimborsano spese di viaggio, vitto, alloggio, devo poter dimostrare che io le ho pagate in modo tracciato. Se io ho pagato in contanti e poi il cliente mi rimborsa con bonifico, rischio che l’Agenzia dica: ok non imponibile solo se anche tu hai speso in modo tracciato (questa condizione è prevista espressamente per la deducibilità lato cliente , ma è prudente rispettarla anche lato professionista).
    – Per i contribuenti forfettari, purtroppo, come discusso, la riforma non è automaticamente applicabile: finché non esce un chiarimento, i forfettari non possono non considerare i rimborsi come ricavi. Quindi per loro non cambia nulla al momento: continueranno a pagare imposta sostitutiva anche sui rimborsi spese incassati .
    In sintesi, per i professionisti ordinari c’è un alleggerimento burocratico e finanziario: i rimborsi non aumentano più il reddito tassabile. È però necessario tenere un’ancor più netta separazione tra compensi e rimborsi in fattura, e dotarsi di buona documentazione, perché l’Agenzia potrà verificare se un importo escluso da tassazione era davvero un rimborso genuino.
  • D: Come posso formalizzare correttamente nei documenti contrattuali e fiscali la questione dei rimborsi spese?
    R: Ecco alcuni suggerimenti pratici:
    Lettera d’incarico o contratto: inserire una clausola dedicata alle spese. Ad esempio: “Il Cliente si impegna a rimborsare al Professionista tutte le spese vive documentate sostenute per l’esecuzione dell’incarico (viaggi, vitto, alloggio, cancelleria, etc.), previa presentazione di idonea nota spese e relativi giustificativi”. Se si prevedono limiti o forfettari, specificarli: “…fino a un massimo di €X, salvo approvazione del Cliente per importi superiori”. Se il professionista ha un mandato con rappresentanza (cosa rara, tipica solo di alcuni casi come avvocati con fondi spese anticipati), si può indicare che il cliente fornirà i fondi o pagherà direttamente certe spese. L’importante è che ci sia traccia scritta dell’accordo sul rimborso .
    Fattura: distinguere chiaramente il compenso dalle spese. Inserire linee separate: “Compenso per consulenza €…, Rimborso spese viaggio (treno Roma-Milano) €…, Rimborso spese alloggio (2 notti) €…”. Se applicate il 15% forfettario generale, indicatelo come tale: “Rimborso forfettario spese generali 15% €…”. Includere eventuale Cassa previdenza 4% e IVA come di consueto. Non mescolare il rimborso nel compenso unico, altrimenti in sede di CU e di eventuale controllo non si capisce.
    Bonifici e movimenti: far sì che quando il cliente paga, se possibile, citi fattura n. X e magari “compenso+rimborso” nella causale. Se paga separatamente le spese (capita raramente), che scriva “rimborso spese”. Se voi rimborsate un collaboratore, fate lo stesso. Insomma, ogni flusso di rimborso deve essere riconoscibile.
    Registro interno spese: per studi associati o aziende, può essere utile tenere un registro (anche digitale) dove annotate tutti i rimborsi ai vari professionisti/dipendenti, con data, importo, motivo, riferimento a documenti. Questo vi aiuta a monitorare e in caso di controllo date subito un quadro organizzato.
    Conservazione: tenere i giustificativi per almeno il tempo dell’accertabilità (oggi 5 anni dal dich. in cui la spesa impatta, ma consigliabile 8-10 anni). Meglio ancora scannerizzarli e archiviarli digitalmente, così da esibirli prontamente.
  • D: È consigliabile tenere un conto corrente separato per i rimborsi spese ricevuti?
    R: Può sembrare eccessivo, ma in molti casi sì, è utile. Un conto dedicato ai rimborsi (o quantomeno una contabilità separata) permette di far vedere chiaramente che quei fondi non vengono “confusi” con gli incassi da compensi. Ad esempio, se il professionista riceve un acconto di €1.000 per spese future, potrebbe depositarlo su un conto speciale e usarlo solo per pagare quelle spese – in questo modo, in caso di controllo, potrà mostrare che non ha mai considerato quell’acconto come suo reddito, ma come fondo spese (lo prova il fatto che i soldi sono usciti per pagare hotel, voli, etc.). Anche se i rimborsi arrivano a consuntivo, versarli su un conto apposito e poi prelevarne la medesima cifra per ristorare le spese anticipate dà l’idea di una gestione trasparente: il denaro transita, copre i costi e non resta a aumento del patrimonio personale. Fiscalmente, se il rimborso non viene trattenuto ma usato per pagare spese, non genera reddito – ma bisogna dimostrarlo. Un estratto conto dedicato facilita la ricostruzione del flusso di cassa e delle corrispondenze entrate/uscite . Inoltre, come accennato, in caso di esecuzione forzata, soldi tenuti separati come rimborsi potrebbero essere difesi meglio dall’azione dei creditori fiscali (perché più facile sostenere che non erano reddito). Quindi, soprattutto per chi gestisce volumi alti di rimborsi (es. agenzie di viaggio, professionisti con grandi anticipazioni per conto clienti), separare i conti è buona pratica.

Simulazioni pratiche (esempi)

Per illustrare più concretamente come applicare queste regole e difendersi, esaminiamo alcuni scenari tipici di contestazione di rimborsi spese e possibili esiti:

  1. Caso “Trasferta del consulente” – Mario, consulente informatico, deve recarsi da Roma a Milano per un meeting con un cliente. Compra un biglietto aereo da €100 e paga due notti di hotel per €200 totali. A fine mese emette fattura al cliente con compenso di €1.000 per la consulenza, più un rimborso analitico di €300 (100+200) per le spese di viaggio e alloggio, allegando in copia la ricevuta del biglietto aereo e la fattura dell’hotel. Indica tutto distintamente in fattura e il contratto prevedeva espressamente il rimborso di queste spese. L’Agenzia, anni dopo, in sede di controllo, sospetta che quei €300 possano celare compensi non tassati. Mario, però, è in grado di esibire: il biglietto aereo nominativo, la fattura dell’hotel a suo nome, l’email di incarico in cui il cliente approvava la trasferta, e l’estratto conto che mostra il bonifico del cliente con quei €300. Inoltre, richiama la norma (art. 54 TUIR) che esclude i rimborsi documentati dal reddito e la coerenza dei costi con la trasferta. Esito: l’ufficio riconosce la validità del rimborso (che infatti Mario non aveva tassato, correttamente) e non effettua alcuna rettifica. Anche in giudizio, se l’Agenzia insistesse, quasi certamente il giudice gli darebbe ragione, confermando che il rimborso non è reddito .
  2. Caso “Rimborso automobili” – Un libero professionista, l’architetto Luigi, chiede a un cliente un forfait di €500 per “spese di auto e mezzi propri” relative a sopralluoghi vari. Non produce però nessun documento: niente tabella km, nessun pieno carburante, nulla. Per di più, il cliente paga quei €500 in contanti a fine incarico, senza che Luigi emetta fattura per tale importo (errore grave). Anni dopo, tramite indagini bancarie o controllo incrociato, l’Agenzia scopre quel pagamento e contesta a Luigi che i €500 erano un compenso in nero, perché non risultano né fatturati né giustificati. Luigi in giudizio prova a sostenere che erano un rimborso spese, ma non ha come provarlo: al massimo mostra qualche ricevuta generica di officina per manutenzione auto, non collegabile direttamente a quell’incarico. Esito: la difesa è debole; l’Agenzia vince facilmente. I €500 vengono assoggettati a IRPEF, con sanzione per omessa fatturazione e, se applicabile, anche IVA evasa. Luigi paga imposte+mul te e impara che i rimborsi vanno fatturati e documentati. (Solo in extremis, se riuscisse a recuperare una dichiarazione scritta del cliente che conferma che quei €500 erano per rimborsare tot chilometri percorsi, potrebbe tentare un ricorso per far riconoscere almeno parte come costo: ma senza documenti, è dura) .
  3. Caso “Volontario in associazione” – Laura è volontaria in una ONLUS. Acquista di tasca propria materiale di cancelleria per €150 per l’ente. Chiede il rimborso e l’associazione le stacca un assegno di €150, senza però chiederle gli scontrini (magari per eccesso di fiducia). Durante un controllo fiscale sul Terzo Settore, emerge che l’associazione ha rimborsato spese ai volontari senza traccia dei giustificativi. In particolare, quei €150 a Laura non hanno pezze d’appoggio agli atti. Cassazione 23890/2015 alla mano, il Fisco contesta che tali somme non sono comprovate e dunque andavano trattate come compensi: significa che la ONLUS avrebbe dovuto operare ritenuta su 150€ e Laura dichiararli come reddito. Quindi recupera l’IRPEF su 150€ (in capo a Laura, ma essendo volontaria probabilmente nulla era stato dichiarato) e sanziona l’ente per omessa applicazione ritenute. L’associazione e Laura cercano di difendersi: fortunatamente, Laura riesce a recuperare gli scontrini della cartoleria e li presenta durante l’accertamento, dimostrando così che effettivamente quei €150 sono stati spesi in penne, carta, toner per l’ufficio dell’ente. Esito: sebbene tardiva, questa prova può salvare la situazione. L’ufficio, vedendo i giustificativi, potrebbe in autotutela annullare la contestazione su quel rimborso (restando magari sanzioni minori per l’irregolarità formale). Se così non fosse e si andasse in giudizio, con gli scontrini alla mano la Commissione darebbe probabilmente ragione all’ente, poiché le spese erano reali e inerenti agli scopi sociali . La lezione qui è: nel volontariato, mai erogare rimborsi senza uno straccio di ricevuta, perché altrimenti scatta la presunzione di compenso ai sensi di legge e giurisprudenza.
  4. Caso “Accertamento da indagini bancarie” – La ditta individuale del sig. Rossi (in contabilità semplificata) dichiara ogni anno circa €50.000 di ricavi. La Guardia di Finanza conduce un’analisi del conto bancario e trova, per l’anno X, movimenti anomali: entrate extra per €30.000 (bonifici da soggetti vari non giustificati dalle fatture emesse) e uscite in contanti per €20.000 (prelievi o pagamenti di cui non c’è traccia nelle scritture). Applicando le presunzioni di legge (art. 32 DPR 600/73), l’Agenzia ipotizza che i €30.000 siano ricavi non dichiarati e i €20.000 costi non documentati forse usati per pagare in nero qualcuno. In mancanza di chiarimenti, notifica due avvisi: uno che addiziona €30.000 ai redditi di Rossi (tasse su ricavi occulti) e l’altro che disconosce €20.000 di costi (non essendo documentati, li considera indeducibili, aumentando l’utile tassabile). Rossi si trova così €50.000 di base imponibile aggiuntiva. Come difesa, deve ricostruire ogni movimento: scopre che i €30.000 di bonifici in realtà includevano €10.000 che un cliente gli aveva versato come anticipo spese per un progetto (poi effettivamente usati per pagare fornitori), e €20.000 erano transiti infragruppo (girofondi da un conto personale). Presenta quindi i contratti e le note spese al cliente per giustificare i €10.000 (dimostrando che non erano un compenso ma un fondo per spese, poi rendicontato) e documenta che i €20.000 provenivano dal suo conto privato (mostrando che non sono ricavi, ma trasferimenti interni). Per le uscite di €20.000, reperisce fatture per €15.000 (fornitore pagato in contanti) e spiega che i restanti €5.000 erano prelievi personali. Esito: se la documentazione regge, l’Agenzia potrebbe rettificare l’accertamento riducendo la pretesa. In giudizio, presentando contratti e ricevute che provano la tracciabilità finale di quei soldi (es. i €10.000 li ho spesi comprando materiali, ecco le fatture intestate a me), Rossi può far valere il principio che i prelevamenti ingiustificati sono solo presuntivamente ricavi, presunzione superabile con prova contraria . Probabilmente otterrà un significativo abbattimento dell’imponibile contestato, pagando solo per ciò che davvero non riesce a dimostrare. Questo scenario mostra come i rimborsi spese fittizi possano emergere indirettamente: se avesse tenuto i conti separati (conto lavoro vs conto personale) e documentato gli anticipi, forse non sarebbe finito in questa situazione .

Conclusioni

La trasformazione di un rimborso spese in compenso occulto rappresenta un ambito complesso del contenzioso tributario, dove si intrecciano aspetti formali (documenti, fatture) e sostanziali (realtà economica dell’operazione). Dal punto di vista del contribuente (il debitore fiscale oggetto di verifica), la migliore strategia è prevenire la contestazione: agire sin dall’inizio in modo trasparente, documentare ogni rimborso, usare strumenti tracciabili e predisporre contratti chiari, così da non offrire appigli al Fisco.

Se, nonostante tutto, scatta un accertamento, la difesa si basa su una ricostruzione nitida del rapporto col committente e delle spese sostenute. Occorre dimostrare che: – la spesa era effettivamente sostenuta nell’interesse del cliente (inerente all’incarico); – ricade nei casi previsti di esclusione dal reddito (oggi supportati dall’art. 54 TUIR riformato, che possiamo invocare a nostro favore) ; – tutti gli aspetti formali sono stati rispettati (fatture emesse correttamente, causali chiare, note spese firmate).

In altre parole, la prova documentale e la prova della realtà economica sono l’arma principale: ogni scontrino, ogni riga di nota spese può diventare l’elemento decisivo per convincere i verificatori o i giudici . Le più recenti norme e pronunce giurisprudenziali confermano questi principi di base: – Rimborsi reali e documentati = fuori dal reddito (non tassabili, se ne ricorrono le condizioni di legge) . – Rimborsi fittizi o non provati = dentro il reddito (riqualificati come compensi o utili, con recupero d’imposta) .

Pertanto, l’approccio consigliato per i professionisti e le imprese è di pianificare con cura la gestione dei rimborsi e, in caso di contestazione, di non risparmiare energie nel raccogliere e presentare le evidenze a proprio favore. In sede di difesa, un ragionamento chiaro supportato da prove concrete può spesso ribaltare pretese fiscali inizialmente pesanti. Al contrario, sottovalutare l’onere della prova o confidare solo in aspetti formali può portare a esiti sfavorevoli.

In definitiva, la materia dei rimborsi spese richiede un equilibrio tra conoscenza giuridica (norme aggiornate al 2025, orientamenti di Cassazione) e attenzione pratica (documentazione e comportamenti). Armati di entrambi, avvocati, imprenditori e contribuenti possono affrontare con successo eventuali contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, facendo valere i propri diritti e limitando le conseguenze finanziarie. Procedere in modo informato e proattivo è la chiave per trasformare un potenziale debito tributario in un caso di legittimo rimborso riconosciuto.

Fonti e riferimenti normativi essenziali: Art. 54 TUIR (come modif. da D.Lgs. 192/2024), Circ. Agenzia Entrate n. 1/E/2025 (chiarimenti su rimborsi e tracciabilità) , Art. 51 TUIR (trasferte dipendenti), L. 197/2022 art. 1 commi 684-685 (obbligo tracciabilità 2025), Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 4226/2025 (rimborsi chilometrici deducibili) , Cass. ord. n. 6902/2024 (rimborso forfetario 15% avvocati, voce accessoria automatica) , Cass. ord. n. 23890/2015 (volontariato: rimborsi solo se documentati) , Cass. ord. n. 13596/2025 (trasferte dipendenti: imponibilità solo eccedenze) , D.Lgs. 74/2000 (reati tributari, art. 2,4). Queste fonti, insieme ad altre citate nel testo, rappresentano i pilastri su cui basare sia la corretta gestione dei rimborsi spese sia un’eventuale linea difensiva in sede di accertamento.

  • Cassazione civile Sez. Trib. ordinanza n. 13596 del 21 maggio 2025
  • Corte di Cassazione – ordinanza n. 4226 del 18 febbraio 2025
  • Chiarimenti Circolare n. 1/E/2025: Rimborsi Spese e Tracciabilità

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati rimborsi forfettari a professionisti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati rimborsi forfettari a professionisti?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

I rimborsi forfettari riconosciuti ai professionisti (per spese di trasferta, vitto, alloggio o altre attività) sono ammessi solo se rispettano i requisiti di legge e i limiti fiscali. Quando l’Agenzia delle Entrate ritiene che siano eccessivi, non documentati o mascherino compensi aggiuntivi, può riqualificarli come redditi imponibili, con conseguente recupero di imposte e applicazione di sanzioni.

👉 Prima regola: dimostra che i rimborsi erano giustificati, proporzionati e legati all’attività professionale.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Rimborsi senza documentazione di supporto (ricevute, biglietti, note spese);
  • Forfettari riconosciuti in misura eccessiva rispetto all’attività svolta;
  • Assenza di contratti o delibere che regolino i rimborsi;
  • Rimborsi sistematici utilizzati come integrazione del compenso;
  • Incongruenze tra rimborsi erogati e spese effettivamente sostenute.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Riqualificazione dei rimborsi come compensi imponibili;
  • Recupero IRPEF, IVA e contributi previdenziali;
  • Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte accertate;
  • Interessi di mora;
  • Possibili contestazioni per dichiarazione infedele.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Esistenza di contratti o regolamenti interni che disciplinano i rimborsi;
  • Documentazione bancaria e contabile dei pagamenti;
  • Inerenza delle spese coperte dai rimborsi all’attività professionale;
  • Congruità degli importi rispetto ai parametri fiscali;
  • Motivazione dell’accertamento: il Fisco ha elementi concreti o solo presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Note spese e ricevute fiscali;
  • Biglietti di viaggio, fatture di hotel e ristoranti;
  • Contratti o lettere d’incarico che prevedono i rimborsi;
  • Estratti conto e quietanze di pagamento;
  • Verbali o delibere di approvazione dei rimborsi.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la natura di rimborso e non di compenso con documenti certi;
  • Contestare la presunzione di abuso se i rimborsi erano coerenti e proporzionati;
  • Chiarire l’applicazione dei limiti fiscali e la regolarità delle procedure;
  • Eccepire vizi formali: motivazione insufficiente, irregolarità della notifica, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se la documentazione era già stata fornita;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per ridurre o annullare la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i rimborsi contestati e la documentazione prodotta;
📌 Verifica la legittimità della contestazione dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce procedure preventive per una gestione corretta e sicura dei rimborsi ai professionisti.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali sui compensi e rimborsi professionali;
✔️ Specializzato in difesa di studi professionali e imprese contro contestazioni su rimborsi forfettari;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui rimborsi forfettari a professionisti non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni o da errori di interpretazione.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta natura dei rimborsi, evitare che vengano riqualificati come compensi imponibili e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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