Agenzia Delle Entrate Accerta Società Di Comodo Non Operative: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la tua società è stata qualificata come di comodo non operativa? In questi casi, l’Ufficio presume che l’impresa non svolga una reale attività economica ma sia stata costituita solo per detenere beni o ridurre il carico fiscale. La conseguenza è l’applicazione del regime punitivo previsto per le società non operative, con maggiori imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: esistono strumenti difensivi per dimostrare l’effettiva operatività della società.

Quando l’Agenzia delle Entrate accerta una società di comodo non operativa
– Se i ricavi dichiarati sono inferiori a quelli minimi calcolati con il test di operatività
– Se la società detiene prevalentemente immobili, partecipazioni o beni patrimoniali senza un’attività produttiva coerente
– Se l’impresa non genera flussi economici proporzionati alle risorse e al patrimonio
– Se la gestione appare volta solo a beneficiare di agevolazioni fiscali o a rinviare la tassazione
– Se la documentazione contabile non prova lo svolgimento di operazioni commerciali significative

Conseguenze della contestazione
– Applicazione dell’aliquota IRES maggiorata prevista per le società di comodo
– Limitazioni alla compensazione e al rimborso dei crediti IVA
– Recupero delle imposte dirette non versate
– Sanzioni per dichiarazione infedele
– Interessi di mora sulle somme accertate

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare con bilanci, contratti e documentazione che la società ha svolto effettiva attività economica
– Produrre prove di cause oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi (crisi di settore, eventi straordinari, mancati pagamenti da clienti)
– Contestare la presunzione di non operatività se ci sono elementi concreti di attività
– Evidenziare errori di calcolo, vizi di motivazione o difetti procedurali dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa fiscale

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la posizione fiscale e contabile della società contestata
– Verificare la legittimità della qualificazione come società di comodo
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere la società davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale e dei soci da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o l’eliminazione di sanzioni e interessi
– Il riconoscimento della reale operatività della società
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto secondo la legge

⚠️ Attenzione: le contestazioni sulle società di comodo devono essere impugnate entro 60 giorni dalla notifica. Se non si agisce per tempo, l’accertamento diventa definitivo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni su società di comodo non operative e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

L’Agenzia delle Entrate italiana adotta una disciplina rigorosa per contrastare le “società di comodo” (o società non operative) – ossia società costituite per ottenere indebiti vantaggi fiscali o per fungere da schermo ai reali titolari di beni, anziché svolgere un’effettiva attività economica . Quando il Fisco accerta che una società è non operativa, scattano presunzioni di reddito minimo e pesanti conseguenze fiscali (maggior tassazione, limitazioni all’uso di perdite, ecc.), cui il contribuente deve prepararsi a opporre adeguate difese. In questa guida avanzata, rivolta ad avvocati, imprenditori e privati, esaminiamo la normativa italiana (aggiornata ad agosto 2025) sulle società di comodo, le ultime novità normative e giurisprudenziali, i profili sia tributari che penalistici, nonché le strategie di difesa e prevenzione dalla prospettiva del contribuente (debitore). Il linguaggio utilizzato è giuridico ma divulgativo, con tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione domande e risposte per chiarire i dubbi più frequenti.

Che cos’è una società di comodo non operativa?

Una società di comodo è, in termini generali, una società che il legislatore presume “non operativa”, cioè non effettivamente impegnata in un’attività commerciale proporzionata ai beni di cui dispone. In altre parole, è una società sospettata di esistere solo formalmente per scopi estranei alla normale attività d’impresa, ad esempio per intestare beni ai soci (auto, immobili, barche ecc.) beneficiando di regimi fiscali societari più favorevoli . La normativa intende disincentivare l’uso strumentale dello schema societario come schermo per i reali proprietari, punendo l’antieconomicità e l’assenza di operatività con una tassazione minima forfettaria maggiorata .

Normativa di riferimento (art. 30 L. 724/1994 e successive modifiche)

Il fulcro normativo è l’art. 30 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, che disciplina le società non operative (di comodo) . Tale articolo, più volte modificato, stabilisce criteri matematici per individuare quando una società si considera non operativa e prevede conseguenze fiscali automatiche. In sintesi, secondo la norma:

  • Test di operatività – Una società è non operativa se i ricavi, incrementi di rimanenze e proventi ordinari dichiarati (esclusi componenti straordinari) risultano inferiori a un certo ricavo minimo presunto, calcolato applicando percentuali prestabilite al valore di determinati beni patrimoniali . Questo confronto (ricavi effettivi vs “ricavi figurativi”) è noto come test di operatività. Se l’azienda non supera il test, scatta una presunzione legale relativa di non operatività .
  • Reddito imponibile minimo – Una volta che la società è considerata non operativa, la legge presume (sempre con presunzione relativa) che il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette non possa essere inferiore ad un importo calcolato applicando altre percentuali forfettarie al valore dei beni della società . In pratica, opera un secondo livello di presunzione: si determina un reddito minimo in base agli asset patrimoniali, indipendentemente dal risultato di conto economico effettivo .

Queste due presunzioni – di non operatività e di reddito minimo – costituiscono il meccanismo anti-elusivo principale. Sono presunzioni iuris tantum, quindi il contribuente può fornire prova contraria per dimostrare che la società è invece realmente operativa o che esistevano cause oggettive che hanno impedito di raggiungere i livelli di ricavo attesi (vedremo dettagliatamente più avanti come funzionano tali prove) .

Va evidenziato che il legislatore negli anni ha integrato e modificato l’art. 30 L.724/94 più volte. Da ultimo, una riforma organica dell’IRES nel 2024 (attuata col D.Lgs. 8 novembre 2024 n. 192, in vigore dal 31 dicembre 2024) ha apportato significative novità alla disciplina delle società di comodo . Tra queste vi sono: la riduzione dei coefficienti presuntivi (praticamente dimezzati) per calcolare ricavi e redditi minimi , l’ampliamento delle cause di esclusione automatica e l’introduzione dell’auto-disapplicazione (oltre al consueto interpello) . Tali novità mirano a rendere più equo e meno penalizzante il regime, correggendo rigidità del passato . Più avanti saranno illustrati in dettaglio questi aggiornamenti 2024–2025.

Chi rientra nella disciplina: soggetti interessati

Sono soggette alla disciplina delle società di comodo (art. 30 L.724/94) le società aventi forma giuridica di società di capitali o di società di persone, nonché gli enti e società esteri con stabile organizzazione in Italia . In particolare rientrano:

  • le società di capitali: S.p.A., S.a.p.a., S.r.l.;
  • le società di persone: S.n.c., S.a.s. (e soggetti equiparati ad esse);
  • le società ed enti non residenti di qualsiasi tipo con stabile organizzazione in Italia .

Questo elenco è tassativo. La norma non si applica, invece, a soggetti diversi da quelli espressamente indicati. Ad esempio, non rientrano nel regime: le società semplici, le società cooperative, le società consortili e di mutua assicurazione, gli enti non societari (associazioni, fondazioni) e le società estere senza stabile organizzazione in Italia . Tali soggetti sono esclusi per natura giuridica; dunque, ad esempio, costituire una società semplice per detenere immobili evita a monte l’applicazione della normativa sulle società di comodo . (Si noti: la scelta della forma sociale resta però sindacabile dal Fisco sotto il profilo dell’abuso del diritto se finalizzata solo a eludere imposte, anche se la disciplina di cui all’art. 30 L.724/94 formalmente non si applica. In altre parole, la società semplice può essere un veicolo lecito di pianificazione, ma non deve essere usata in frode alla legge fiscale.)

Importante: la disciplina riguarda indipendentemente dal regime contabile adottato (ordinaria o semplificata) , e prescinde dalla dimensione o dal settore della società. Dunque anche piccole società immobiliari o finanziarie, start-up, ecc., se costituite in forma di Srl/Snc ecc., devono effettuare la verifica di operatività annuale ed eventualmente sottostare alle relative conseguenze.

Esempio pratico iniziale

Per chiarire il concetto, si consideri la Alfa S.r.l., una società immobiliare con un unico bene: un appartamento di valore catastale (o valore di bilancio) 1 milione di euro, dato in affitto ai soci. Supponiamo che il coefficiente presuntivo di legge per gli immobili sia (fino al 2023) il 6%. Il test di operatività richiede che Alfa S.r.l. produca ricavi ordinari almeno pari a 6% × €1.000.000 = €60.000 annui. Se i canoni di locazione annui dichiarati sono, ad esempio, €30.000 (inferiori alla soglia presunta), la società non supera il test ed è quindi presunta non operativa. Scatterà allora la tassazione sul reddito minimo presunto: per un immobile, il coefficiente di redditività presunto era ad esempio 4,75%, quindi il reddito imponibile minimo sarebbe €47.500, su cui applicare le imposte, a prescindere dal fatto che magari l’utile civilistico reale è inferiore o nullo. Inoltre la S.r.l. subirebbe la maggiorazione IRES del 10,5% (vedi oltre). Alfa S.r.l. potrà però difendersi dimostrando che i €30.000 annui di affitto sono congrui al valore di mercato e che l’immobile non produce di più perché, ad esempio, è utilizzato direttamente dai soci o vi sono ragioni oggettive di mercato che impediscono un canone più alto. Se tale prova ha successo, la presunzione di non operatività potrà essere superata in sede di interpello o contenzioso.

Il test di operatività e le soglie di ricavi presunti

Il test di operatività è il meccanismo chiave: consiste nel confronto tra i ricavi/proventi effettivi dichiarati e i ricavi “figurativi” minimi calcolati in base agli asset. I coefficienti percentuali per questo calcolo sono fissati per legge e, come anticipato, sono stati aggiornati di recente. Fino all’esercizio 2023 erano in vigore percentuali più elevate; dal periodo d’imposta 2024 (dichiarazione Redditi 2025) si applicano percentuali dimezzate in molti casi, per effetto dell’art. 20 D.Lgs. 192/2024 . Ciò significa che a parità di situazione patrimoniale, dal 2024 risulta più facile superare il test di operatività (la soglia di ricavi minimi è più bassa) .

Di seguito una tabella riepilogativa dei coefficienti da applicare ai valori dei beni, ante e post riforma, per calcolare i ricavi minimi presunti ai fini del test di operatività (art. 30 co.1 e 2 L.724/94) :

Categoria di beneCoefficiente fino al 2023Coefficiente dal 2024
Partecipazioni, titoli, crediti finanziari (attivi)2%1%
Immobili (fabbricati, terreni) – in generale6%3%
Immobili categoria A/10 (uffici)5%2,5%
Immobili abitativi acquistati o rivalutati nell’esercizio o nei due precedenti4%2%
Immobili situati in comuni con meno di 1.000 abitanti1%0,5%
Navi adibite ad attività commerciale/pesca6%6% (invariato)
Altre immobilizzazioni (es. impianti, macchinari)15%15% (invariato)

(Fonte: art. 30 co.1 L. 724/1994, come modificato da D.Lgs. 192/2024.)

Come si vede, quasi tutti i coefficienti sono stati dimezzati dal 2024 (ad eccezione delle navi e delle immobilizzazioni “altre” che rimangono ai livelli precedenti). Ad esempio, per un immobile ordinario la percentuale passa dal 6% al 3%. Ciò comporta che, a parità di valore del bene, il ricavo minimo richiesto è ora la metà di prima . Questa modifica è volta a meglio riflettere la redditività potenziale reale dei beni e a ridurre i casi di società punite per non aver raggiunto soglie troppo elevate . In pratica molte piccole immobiliari e holding patrimoniali dal 2024 riusciranno a superare il test più facilmente , evitando lo status di comodo (si stima un calo significativo di società immobiliali “di comodo” grazie a questi tagli dei coefficienti) .

Nota: il test si effettua ogni anno considerando i valori dei beni dell’esercizio in esame e dei due precedenti (per attenuare l’effetto di variazioni patrimoniali temporanee) . Dunque i coefficienti si applicano sulla media di alcuni valori o sulla somma di valori di un triennio, a seconda dei casi tecnici previsti.

Presunzione legale e natura del test

È fondamentale capire che il test di operatività fornisce un risultato meramente matematico, prescindendo dalle effettive vicende economiche della società . Se i ricavi effettivi < ricavi presunti, per legge scatta la presunzione (relativa) che la società sia non operativa . Si tratta – come definito dalla Cassazione – di una “mera operazione matematica” basata su parametri legali fissi, senza margini di discrezionalità per l’Ufficio o il giudice . Dal possesso di alcuni beni (fatto noto) si risale in via presuntiva a un determinato ammontare di reddito (fatto ignoto) attribuibile al contribuente .

La presunzione di non operatività ex art. 30 co.1 L.724/94 è una presunzione legale relativa (iuris tantum) . Ciò significa che vincola l’amministrazione finanziaria (che deve applicarla in sede di accertamento se ne ricorrono i presupposti) e vincolerebbe anche il giudice, salvo che il contribuente fornisca prova contraria sufficiente a superarla . Lo stesso art. 30 già prevedeva, sin dalla versione originaria, la clausola “salvo prova contraria” a favore del contribuente. Più avanti analizzeremo nel dettaglio cosa si intende per prova contraria e quali sono le modalità (interpello o difesa in contenzioso) per farla valere.

Conseguenze fiscali dello status di non operatività

Se una società risulta di comodo (cioè non supera il test di operatività in assenza di cause di esclusione), la normativa prevede conseguenze automatiche e punitive sotto il profilo fiscale. L’idea è di neutralizzare i vantaggi che il soggetto potrebbe ottenere dichiarando poco o nulla, imponendogli invece un carico fiscale minimo proporzionato ai beni posseduti. Dal punto di vista del contribuente, queste misure sono pesanti, perciò è essenziale conoscerle per calcolare il costo dell’eventuale status di comodo e decidere le strategie (pagare quanto dovuto, tentare un interpello, ricorrere, ecc.).

Reddito imponibile minimo (presunzione di reddito)

Come accennato, scattata la presunzione di non operatività, ai fini delle imposte sui redditi (IRES o IRPEF) la società viene tassata su un reddito imponibile minimo forfettario. La base imponibile infatti “non può essere inferiore” alla somma dei valori ottenuti applicando specifiche percentuali (di redditività presunta) ai beni posseduti . Tali percentuali sul patrimonio sono state anch’esse dimezzate dal 2024 in analogia a quanto visto per i ricavi.

Ecco le principali percentuali per il calcolo del reddito presunto (art. 30 co.3 L.724/94) prima e dopo la riforma:

Beni patrimoniali (categoria)Coefficiente fino al 2023Coefficiente dal 2024
Titoli, partecipazioni e crediti finanziari (non immobilizzati, non PEX)1,50%0,75%
Immobili (anche in leasing)4,75%2,38%
Immobili cat. A/10 (uffici)4,00%2,00%
Immobili abitativi acquistati/rivalutati nell’esercizio o due precedenti3,00%1,50%
Immobili in comuni con < 1.000 abitanti0,90%0,45%
Navi commerciali/pesca (art. 8-bis DPR 633/72)4,75%4,75% (invariato)
Altre immobilizzazioni (beni diversi)12,00%12,00% (invariato)
Impianti fotovoltaici ed eolici (nota: introdotti da riforma)4,75%2,38%

(Fonte: art. 30 co.3 L. 724/94, come mod. da D.Lgs. 192/2024.)

Esempio: se Beta S.r.l. (società non operativa) possiede un immobile commerciale dal valore contabile di €500.000, il reddito minimo presunto da dichiarare sarà €500.000 × 2,38% = €11.900 (dal 2024, prima sarebbe stato €23.750). Se Beta S.r.l. avesse dichiarato un reddito effettivo inferiore (o una perdita), in sede di dichiarazione dovrà comunque dichiarare almeno €11.900 come base imponibile e su tale importo calcolare le imposte.

Va notato che questa presunzione di reddito minimo opera in aggiunta alla determinazione del reddito con le regole ordinarie. In pratica, si prende il maggiore tra: a) il reddito effettivo ordinario risultante dal bilancio (se superiore al minimo presunto) e b) il reddito minimo presunto (se l’effettivo è minore) . La base imponibile su cui calcolare l’IRES/IRPEF sarà quindi almeno pari al minimo presunto.

Inoltre, la legge prevede che eventuali perdite pregresse della società non possano ridurre questo reddito minimo: con la riforma 2024 è stato chiarito espressamente che le perdite fiscali degli anni passati sono utilizzabili in compensazione solo per la parte eccedente il reddito minimo presunto . Ciò per evitare che, accumulando perdite, il contribuente possa comunque azzerare l’imponibile minimo e vanificare l’effetto deterrente della norma . In pratica: se il reddito minimo presunto è €100 e la società ha perdite pregresse, queste potranno abbattere il reddito solo oltre la soglia di €100 (l’eccedenza di perdita non utilizzata resta riportabile agli anni successivi) .

Maggiorazione dell’aliquota IRES (+10,5 punti)

Per le società di capitali “di comodo” il legislatore ha introdotto un’ulteriore penalizzazione fiscale: una maggiorazione dell’aliquota IRES di 10,5 punti percentuali . Questa misura risale al 2011 (art. 2, comma 36-quinquies DL 138/2011) e tuttora è in vigore. In pratica, l’IRES ordinaria (attualmente 24%) diventa 34,5% sull’utile imponibile delle società non operative. La Circolare Agenzia Entrate n. 3/2013 ha chiarito che: la maggiorazione si applica alle società di capitali ed equiparate qualificate di comodo (incluse quelle in perdita sistematica, quando esistevano) , mentre non si applica ai soggetti non passivi IRES – quindi no per società di persone, ditte individuali o enti non commerciali . Ad esempio, una S.r.l. di comodo paga IRES al 34,5%, mentre una S.n.c. di comodo non paga IRES (ma i suoi soci subiranno l’IRPEF sul reddito minimo imputato, come vedremo).

La base imponibile su cui calcolare il 10,5% addizionale è il reddito imponibile “di comodo” del periodo d’imposta . Se il reddito effettivo è inferiore al minimo, si considera quest’ultimo . Se invece il reddito effettivo (ordinario) è superiore al minimo presunto, allora la società non operativa dichiarerà comunque l’utile ordinario (più alto) e su quello va applicata la maggiorazione; in tal caso la circolare 3/2013 ha ammesso che nel calcolo della base imponibile soggetta a maggiorazione il contribuente possa scontare eventuali perdite pregresse secondo le regole ordinarie, dato che si sta tassando un reddito superiore al minimo . Importante: la maggiorazione IRES va versata con il modello F24 separatamente (codice tributo dedicato) e segue le stesse scadenze di saldo e acconti delle imposte sui redditi. Le società interessate la liquidano nel quadro RQ della dichiarazione dei redditi (sezione apposita) .

Per le società di persone di comodo, non essendo soggette IRES, non vi è maggiorazione: tuttavia, il meccanismo presuntivo impone comunque un reddito minimo da attribuire per trasparenza ai soci. In altri termini, la S.n.c. o S.a.s. non operativa dovrà dichiarare un reddito non inferiore al minimo presunto e questo reddito verrà imputato ai soci e tassato in capo ad essi (IRPEF) indipendentemente dall’utile civilistico. Anche ai fini IRAP, tutte le società di comodo (di persone o di capitali) devono dichiarare un valore della produzione minimo. Dunque, le conseguenze fiscali colpiscono anche le società di persone benché prive di IRES: per esse l’onere fiscale aggiuntivo si concretizza nell’IRAP e nell’IRPEF dei soci sugli importi forfettari.

Altre penalizzazioni e restrizioni

Oltre a reddito minimo e maggiorazione IRES, la normativa prevedeva (e in parte prevede tuttora) alcune ulteriori restrizioni per le società di comodo, tra cui:

  • Divieto di rimborsare crediti IVA o di chiederli a rimborso per le società di comodo per più anni consecutivi: storicamente, se una società risultava di comodo per almeno due periodi, perdeva il diritto al rimborso del credito IVA annuale e poteva solo riportarlo. Questa previsione però è stata messa in crisi da recenti interventi della Corte di Giustizia UE (si veda oltre la sezione IVA e diritto UE). In base alla giurisprudenza più recente, non è lecito negare il diritto alla detrazione o al rimborso IVA solo perché la società non ha raggiunto le soglie di ricavi: conta invece se svolge un’effettiva attività economica (anche minima) . La Cassazione nel 2025 ha recepito questo principio, dichiarando il contrasto della normativa interna con quella UE e disponendo che il credito IVA non si perde automaticamente per il solo status di comodo (vedi oltre Profili IVA e diritto europeo).
  • Accesso limitato ad agevolazioni: spesso le norme di agevolazione fiscale escludono le società non operative. Ad esempio, in passato l’Ace (aiuto alla crescita economica) escludeva base Ace generata in anni di comodo; altre norme premiali o semplificate (come il regime forfetario o il consolidato fiscale) possono contenere clausole anti-abuso che escludono le società di comodo. È buona prassi verificare, per ogni nuova agevolazione, se vi siano clausole che penalizzano le società non operative. Dal 2023 è stato introdotto uno sgravio IRES per utili reinvestiti in beni e assunzioni (c.d. IRES ridotta al 15% sulla parte reinvestita): sebbene non vi sia un’esclusione esplicita per le società di comodo, è evidente che una società non operativa difficilmente genererà utili reinvestiti e comunque potrebbe essere oggetto di accertamento che vanifica il beneficio.
  • Attenzione ai beni intestati a società: ricordiamo che l’Agenzia delle Entrate può sindacare l’intestazione di beni ai soci attraverso normative specifiche, come quella sull’uso personale dei beni aziendali (art. 2 co.36-sexiesdecies DL 138/2011) che impone una tassazione in capo al socio utilizzatore di beni sociali a valori di mercato. Quindi, se i soci utilizzano beni della società di comodo (auto, immobili) a titolo gratuito o a canoni irrisori, il Fisco può rettificare in capo al socio un fringe benefit tassabile pari al valore normale del godimento. In parallelo, per la società possono essere indeducibili i costi relativi a tali beni. Questa è un’ulteriore leva con cui l’amministrazione scoraggia l’uso dei beni sociali a fini personali dei soci al di là della disciplina di comodo stessa.

Cause di esclusione automatica: quando la società non è considerata di comodo

La legge e successivi provvedimenti attuativi individuano varie cause oggettive che escludono la qualifica di società non operativa, senza necessità di interpello. Si tratta di situazioni in cui, pur non raggiungendo le soglie di ricavi del test, la società è ritenuta ex lege operativa o comunque esonerata dall’applicazione delle presunzioni, in considerazione di circostanze particolari (ad esempio: società in fallimento, società con molti dipendenti, ecc.).

Le cause di esclusione si distinguono in due gruppi: quelle previste direttamente dalla legge (art. 30, comma 1) e quelle individuate da appositi Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (emanati in applicazione dell’art. 30 comma 4-ter). Dal 2024, molte di queste cause sono state riorganizzate e ampliate per disapplicazione automatica della disciplina . Elenchiamo di seguito le principali cause di esclusione automatica attualmente vigenti (salvo precisazione, valgono sia per società di capitali che di persone):

  • Società con almeno 10 dipendenti: se la società ha impiegato almeno 10 dipendenti (personale dipendente a tempo indeterminato) in media nei due esercizi precedenti, è automaticamente esclusa . Questa causa, introdotta di recente, presume che una società con tale struttura di personale difficilmente sia “di mero godimento”. (Nota: in passato la soglia era inferiore o non prevista; l’elevazione a 10 dipendenti rafforza il requisito.)
  • Società in procedure concorsuali: società in stato di fallimento, liquidazione giudiziaria, liquidazione coatta amministrativa o in concordato preventivo sono escluse . Si tratta di società in crisi conclamata, per le quali sarebbe assurdo presumere un reddito minimo (spesso non svolgono più attività ordinaria). Anche le società in amministrazione straordinaria rientrano tra queste (per analogia al concordato preventivo).
  • Società in liquidazione: tradizionalmente, la società in liquidazione volontaria poteva chiedere la disapplicazione; oggi si tende a considerare l’“impegno alla cancellazione” come causa di esclusione . In pratica, se la società sta liquidando i beni e intende chiudere, la disciplina di comodo può non applicarsi (specie se la liquidazione avviene in tempi ragionevoli). La nuova formulazione “impegno alla cancellazione dal Registro imprese” indica che se la società dichiara in dichiarazione di essere in liquidazione finalizzata alla chiusura, l’esclusione è automatica . (Approfondimento: in passato l’Agenzia richiedeva che la liquidazione non fosse “di comodo” essa stessa, ossia che la società liquidasse effettivamente i beni entro l’anno; ora la normativa semplifica dichiarando esente chi si impegna a cancellarsi.)
  • Valore della produzione > attivo patrimoniale: se in un esercizio l’indice di produttività dell’azienda (dato dal valore della produzione in bilancio) supera il totale dell’attivo patrimoniale, la società non è considerata di comodo . Questa causa, introdotta per normare casi di attività ad alta rotazione di beni o servizi con pochi cespiti, riconosce che l’impresa sta effettivamente producendo output rispetto alle risorse. Ad esempio, imprese di servizi con pochi beni ma ricavi alti rispetto al bilancio.
  • Società partecipate da enti pubblici: se un ente pubblico (Stato, Regione, Comune o ente controllato da PA) detiene almeno una certa quota (es. 20%) del capitale della società, quest’ultima è esclusa . L’idea è che società con partecipazione pubblica abbiano finalità pubblicistiche o comunque siano poco compatibili con l’uso elusivo privato tipico delle società di comodo.
  • Società consortili: le società consortili (costituite per coordinare attività di imprese consorziate) sono escluse . Ciò perché per loro natura svolgono servizi per i soci e il concetto di “ricavi vs asset” non è indicativo della effettiva attività.
  • Holding attive e partecipazioni in società operative: una holding pure che detiene partecipazioni può rischiare di essere di comodo se non ha altri ricavi. Tuttavia, se detiene partecipazioni in società non di comodo (operative), è prevista l’esclusione per i valori riferibili a tali partecipazioni . Già il Provv. Agenzia 14/2/2008 esonerava le società che possedevano partecipazioni in altre società operative (non di comodo) . Oggi la riforma conferma che le holding di gruppi attivi non vanno penalizzate . L’esclusione è limitata alle partecipazioni qualificanti: significa che per il test si escludono quei beni (partecipazioni in società operative) dal calcolo, evitando di generare presunzioni su asset che in realtà rappresentano aziende attive.
  • Società neo-costituite (primo periodo): storicamente, la società al primo periodo d’imposta era esclusa dal test (non avendo parametri storici e essendo in fase iniziale). Questa previsione non è espressamente citata nel brano, ma va ricordata: l’art.30 co.1 esclude i primi periodi di nuova attività (attualmente il primo esercizio e i primi due se l’oggetto è costruzione/vendita immobili). Dunque le start-up hanno un esonero iniziale.
  • Società agricole: se la forma è società di capitali ma l’oggetto è agricolo (es. Srl agricola), la disciplina di comodo non si applica (in quanto il reddito è calcolato su base catastale, regime sostitutivo). Il nuovo elenco menziona “società agricole” come escluse automaticamente .
  • Società assoggettate a sospensioni per eventi calamitosi: la legge finanziaria 2008 aveva introdotto l’esclusione per società che hanno subito eventi calamitosi con sospensione degli adempimenti tributari. Ad esempio società con sede nei comuni terremotati, per gli anni di sospensione, non vengono considerate di comodo. Oggi questa rientra tra le cause oggettive: eventi calamitosi .
  • Società sotto sequestro o confisca: le società i cui beni siano sottoposti a sequestro penale o confisca (es. misure antimafia) sono escluse . Provvedimenti giudiziari di tal genere impediscono di operare liberamente, quindi è riconosciuta come causa di forza maggiore.
  • Sospensione adempimenti per emergenza: società che beneficiano di sospensioni o differimenti di adempimenti fiscali per dichiarato stato di emergenza (es. calamità naturali, pandemia) erano previste come esclusione nel Provv. 2012 . Questo in parte coincide con l’esclusione eventi calamitosi già detta.

(Le cause di esclusione sopra elencate derivano da una combinazione di fonti: art.30 comma 1 L.724/94 e Provv. Agenzia Entrate del 14/02/2008 n. 23681, integrato nel 2012. La riforma 2024 ha in larga misura trasfuso queste cause in norma primaria o le ha ampliate. Ad esempio, la soglia dei dipendenti è stata portata da 1 a 10, l’indice valore produzione/attivo è innovativo, l’affidabilità ISA è subentrata agli Studi di Settore, ecc.)

Le società che si trovano in una o più di queste situazioni non sono tenute ad applicare la disciplina delle società di comodo per quell’anno. In dichiarazione dei redditi devono comunque barrare l’apposita casella e indicare il codice della causa di esclusione nel prospetto del quadro RS, per segnalare all’Agenzia la situazione ed evitare controlli automatici . Ma non occorre presentare interpello: la disapplicazione è automatica per legge.

Esempio: Gamma S.r.l. ha avuto nel 2024 una media di 12 dipendenti e ricavi molto bassi rispetto agli asset. Non supera il test, ma grazie alla causa oggettiva dei “>=10 dipendenti” non viene considerata di comodo. Dovrà indicare in UNICO 2025 il codice esclusione (dipendenti) e non sarà soggetta a reddito minimo né a maggiorazione IRES.

Cause specifiche per perdite sistematiche (abolite dal 2022)

Una breve parentesi storica: dal 2012 al 2018 era in vigore una disciplina parallela per le “società in perdita sistematica” (introdotta dal DL 138/2011, art. 2 co.36-decies e segg.) . Erano considerate tali le società che dichiaravano perdite fiscali per 5 periodi consecutivi (o 4 perdite + 1 reddito inferiore al minimo) . Tali società, dal 4°/5° anno, erano equiparate alle di comodo con analoghe conseguenze (reddito minimo pari al minimo presunto dell’ultimo anno). Esistevano cause di esclusione anche per questo (ad es. congruità a studi di settore in uno degli anni) . Tuttavia, la disciplina delle perdite sistematiche è stata abolita a partire dal periodo d’imposta 2022 . La legge di bilancio 2019 prima ne aveva sospeso l’applicazione, e infine il legislatore ha scelto di concentrare le norme solo sul test di operatività. Dunque oggi conta solo la non operatività oggettiva, non più il fatto di avere perdite per più anni (fermo restando che perdite protratte possono far scattare controlli per altre ragioni, ma non questa presunzione specifica). La riforma 2022 ha semplificato eliminando questo doppio binario .

(In conseguenza, riferimenti nel quadro RS a società in perdita sistematica sono stati rimossi dal modello di dichiarazione dal 2022 in poi.)

Interpello probatorio per la disapplicazione: come e quando farlo

Se la società non rientra in alcuna causa di esclusione automatica, ma ritiene comunque di avere situazioni oggettive che le hanno impedito di conseguire i ricavi minimi richiesti, può presentare un interpello probatorio all’Agenzia delle Entrate (ai sensi dell’art. 30 co.4-bis L.724/94) . L’interpello chiede la disapplicazione della disciplina antielusiva per quello specifico periodo, esponendo i motivi oggettivi che giustificano il mancato raggiungimento dei ricavi/proventi presunti.

Alcuni punti chiave sul funzionamento dell’interpello:

  • L’istanza va presentata prima della scadenza di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta per cui si chiede l’esclusione (tipicamente entro il termine di dichiarazione) per ottenere risposta in tempo utile. Deve essere motivata e documentata. Ad esempio: società immobiliare che per tutto l’anno non ha potuto affittare l’immobile perché in ristrutturazione straordinaria documentata, chiederà disapplicazione allegando prove (permessi, lavori, ecc.).
  • L’Agenzia deve rispondere (Centralmente, Direzione Regionale o Centrale) entro 90 giorni. Se accoglie l’istanza, la società potrà non applicare la disciplina di comodo in dichiarazione. Se l’Agenzia nega (risposta negativa) o non risponde nei 90 gg (silenzio-rifiuto), la società per evitare sanzioni dovrebbe applicare la disciplina (dichiarare il reddito minimo) e poi eventualmente impugnare l’eventuale avviso di accertamento per far valere le sue ragioni in contenzioso.
  • Novità 2024: La riforma fiscale ha modificato l’art. 11 dello Statuto del Contribuente (L.212/2000) sull’interpello, restringendo i casi in cui è ammesso l’interpello probatorio per le società di comodo . In particolare, sembra che l’intento sia stato di limitare il ricorso all’interpello solo a situazioni non coperte da cause automatiche né da possibili auto-dichiarazioni. Ciò per snellire il lavoro amministrativo: se esiste una causa oggettiva codificata, la società deve usarla (automatica o auto-esonero) senza ingolfare gli uffici con interpelli. Dunque oggi l’interpello sulle società di comodo è uno strumento più residuale, da usare solo se la situazione particolare non rientra tra quelle già previste come esclusione.
  • Esempi tipici di situazioni oggettive ammesse in passato negli interpelli: immobile oggettivamente inutilizzabile (inagibile per terremoto, vincoli legali che impediscono locazione, contenzioso pendente sul bene); società di trading il cui affare principale è slittato all’anno successivo per cause di forza maggiore; start-up innovativa in fase pre-reddituale ma con investimenti in R&D (riconoscibile come non fittizia); beni sequestrati civilmente (pignoramento giudiziario) che impediscono di generare reddito, ecc.
  • Esito dell’interpello: se positivo, l’Agenzia esplicita che per quell’anno l’art.30 non si applica alla società; se negativo, motiva perché ritiene non oggettive o insufficienti le ragioni addotte. Il contribuente con risposta negativa può comunque decidere di non adeguarsi e affrontare la questione in contenzioso (impugnando l’eventuale accertamento), oppure può adeguarsi per evitare problemi immediati.

Va sottolineato che, secondo la Cassazione, l’interpello non è condizione necessaria né pregiudiziale per far valere la disapplicazione in giudizio . In passato, qualche Commissione tributaria aveva sostenuto che se il contribuente non presentava interpello, perdeva il diritto di difendersi poi in contenzioso su quel punto. La Suprema Corte ha smentito ciò: il mancato interpello non preclude di eccepire in Commissione le cause giustificative . Anche dopo un eventuale interpello respinto, il contribuente può impugnare l’avviso di accertamento e riproporre al giudice le sue ragioni di merito . In sostanza, l’interpello probatorio è uno strumento di tutela preventivo, ma non vincolante: è possibile difendersi a posteriori nel processo tributario.

(Ovviamente presentare interpello ha il vantaggio, se si è convinti delle proprie ragioni, di evitare magari l’accertamento. Ma la sua negazione non chiude la porta al contribuente in tribunale.)

Auto-disapplicazione in dichiarazione (novità)

Un aspetto innovativo introdotto con la riforma è la possibilità di auto-dichiarare la disapplicazione in casi particolari, senza attendere risposta dall’Agenzia . La normativa prevede che, in presenza di precise condizioni oggettive (presumibilmente quelle già individuate dalla legge o dal provvedimento del Direttore), la società possa procedere autonomamente alla disapplicazione della disciplina, indicando la motivazione direttamente in dichiarazione . Ciò significa ad esempio: se una società ha una causa non elencata esattamente ma analoga a quelle previste, o comunque ritiene di avere una motivazione evidente e documentabile, può barrare in dichiarazione la casella di esclusione e riportare la descrizione nei moduli di controllo.

Questa auto-disapplicazione è concettualmente simile a un interpello “disapplicativo” esercitato unilateralmente. Naturalmente, espone la società al rischio di verifica: l’Agenzia potrebbe non concordare con l’auto-valutazione e attivare un accertamento per recuperare le imposte. Dunque va usata con cautela e solo quando la situazione oggettiva è chiaramente dimostrabile e magari analoga a casi di prassi già accolti. È uno strumento utile per snellire i casi più evidenti: ad esempio, una società che nel 2024 ha un immobile inagibile per alluvione certificata dalla Protezione Civile potrebbe autoescludersi indicandolo, senza bisogno di attendere un interpello formale.

Difendersi in contenzioso tributario dagli accertamenti di comodo

Se l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento contestando lo status di società di comodo (tipicamente rettificando il reddito imponibile al minimo presunto e applicando sanzioni sulla differenza di imposta), la società contribuente può ricorrere alle Commissioni Tributarie (oggi nominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado). La difesa in giudizio verte principalmente sul fornire la prova contraria per vincere la presunzione legale di non operatività.

Vediamo i principi cardine emersi dalla giurisprudenza e le strategie difensive efficaci:

Presunzione iuris tantum e onere della prova

Come ribadito più volte dalla Corte di Cassazione, la presunzione di non operatività ex art.30 L.724/94 è sì a carico del contribuente ma è relativa: il contribuente può superarla dimostrando elementi idonei . L’onere della prova è a carico della società (inversione dell’onere probatorio rispetto al normale accertamento): spetta infatti ad essa fornire “prova contraria” dell’effettiva operatività o delle cause che hanno impedito i ricavi presunti . L’Amministrazione finanziaria, dal canto suo, può limitarsi a rilevare il mancato test e applicare la norma, senza dover provare l’uso elusivo (è il contribuente che deve smontare la presunzione) .

Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che ogni situazione che giustifichi la divergenza tra ricavi dichiarati e ricavi presunti deve essere presa in considerazione ai fini della prova contraria . La formula legislativa “oggettive situazioni” non significa che debbano essere cause esterne di forza maggiore: possono essere anche scelte imprenditoriali o contingenze di mercato, purché oggettivamente riscontrabili e tali da provare la non fittizietà dell’attività . In altre parole, il contribuente non deve dimostrare un’impossibilità astratta in senso assoluto, ma deve provare in concreto che il risultato modesto è frutto di effettive condizioni economiche e non di un’inerzia finalizzata all’elusione .

La Cassazione (Sez. Trib.) nella sentenza n.16472 del 23/05/2022 ha affermato un principio chiave: l’onere probatorio può essere assolto dalla società mostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata da prospettiva di lucro oggettivo (anche se non realizzato immediatamente) e da continuità aziendale, provando quindi la reale operatività della società . Questo tipo di prova – dimostrare che la società è operativa e che l’attività è genuina – è ritenuto logicamente ammissibile e coerente col sistema, in quanto se è ammesso provare cause che hanno impedito i ricavi, a maggior ragione si può provare l’inesistenza stessa del fatto presunto, ossia provare che la società non è inattiva, ma sta operando seriamente, seppure con risultati modesti . Ad esempio, presentare un piano industriale, documenti di mercato, contratti, per dimostrare che l’impresa è in fase di avvio o di investimento e che esiste uno scopo di lucro concreto.

In parallelo, la Cassazione ha più volte sottolineato che la prova contraria deve essere valutata in termini economici e di mercato, non in termini astratti . Ciò significa che il giudice deve considerare se, dati gli asset e il settore, fosse realistico attendersi i ricavi presunti o se il mancato raggiungimento dipende da fattori di mercato (crisi economica, calo domanda, andamento prezzi) fuori controllo dell’impresa . Numerose pronunce confermano questo approccio “economico”: Cass. n.16204/2018, n.4019/2019, n.10158/2020, n.13328/2023, n.16600/2024 – tutte richiamate – affermano che se il contribuente prova che i beni non hanno reso il presunto per ragioni di mercato, la presunzione può cadere . Ad esempio, se un immobile è rimasto sfitto non per inerzia ma perché il mercato locale era depresso o perché si attendeva un rialzo dei prezzi, ciò può costituire causa valida.

Difesa concreta: cosa produrre e argomentare

In un contenzioso, la società dovrà quindi produrre documenti e argomentazioni a supporto della propria operatività reale o delle cause oggettive che l’hanno penalizzata. Alcuni elementi difensivi tipici:

  • Documentazione commerciale: contratti, fatture, preventivi, corrispondenza con clienti/fornitori che attestino l’effettivo svolgimento di un’attività. Es.: una società immobiliare che ha immobili invenduti può esibire mandati a agenzie immobiliari, annunci pubblicitari, perizie attestanti il prezzo congruo ma mancanza di acquirenti. Ciò prova che la società ha tentato di produrre reddito ma il mercato non lo ha consentito.
  • Relazioni tecniche o peritali: per dimostrare condizioni oggettive. Es.: per un immobile inagibile, perizia giurata che ne attesti l’inagibilità; per un terreno non edificabile, certificato urbanistico; per un macchinario guasto, perizia tecnica sul guasto e tempi di fermo.
  • Andamento di mercato: studi di settore, indici ISTAT, trend dei prezzi, ecc. che mostrino come in quel settore i margini fossero bassi o la domanda calante. Ad esempio, una società edile che nel 2012-2014 non ha costruito né venduto può portare dati sulla crisi edilizia di quegli anni nella sua zona, evidenziando che anche soggetti operativi hanno patito ricavi bassi.
  • Dimostrazione di non fittizietà: tutto ciò che attesta che la società non è una scatola vuota. Ad esempio: presenza di dipendenti (anche se meno di 10), pagamento di costi rilevanti (energia, materie prime) proporzionati a un’attività effettiva, ottenimento di finanziamenti bancari (una banca che finanzia un progetto testimonia credibilità operativa), partnership commerciali, partecipazione a gare o fiere. L’obiettivo è convincere il giudice che non ci si trova davanti a una società schermo di mero godimento, ma ad una vera impresa, magari sfortunata o lenta a decollare.
  • Cause transitorie: se l’anno contestato è un anno particolare (es. start-up, ristrutturazione, cambio oggetto sociale, trasferimento sede) spiegare il perché quell’anno ha ricavi bassi ma non era ragionevolmente evitabile. E magari mostrare che l’anno successivo la società è tornata operativa (se vero).

La Cassazione ha anche affermato che ogni divergenza giustificata tra il dichiarato e il presunto dev’essere considerata . Quindi in giudizio si possono prospettare tutte le situazioni concrete che abbiano portato a un fatturato inferiore al “minimo teorico” di legge. La nozione di “oggettività” delle situazioni di cui al comma 4-bis non va intesa come “esterne alla volontà dell’imprenditore” ma come “non fittizie, verificabili” . In altre parole, anche scelte imprenditoriali libere (ad es. tenere sfitto un immobile perché si punta a venderlo a un certo prezzo più avanti) possono costituire prova contraria, purché siano scelte economiche serie e non meri artifici per evitare tasse .

Ad esempio, la Cass. 12862/2021 ha ritenuto che una società immobiliare che non affitta un immobile per venderlo quando il mercato sarà più favorevole non è automaticamente di comodo: se questa scelta è motivata da ragioni economiche (evitare un contratto a lungo termine che ostacoli la vendita), allora la situazione è oggettivamente giustificativa della mancata produzione di reddito . Quindi l’impresa ha agito comunque con finalità economica (lucro futuro), non per godimento personale del bene. Questo è un ottimo esempio di come articolare la difesa.

Giurisprudenza recente di merito e legittimità

Negli ultimi anni, numerose Commissioni Tributarie (ora Corti Giustizia Trib.) hanno accolto ricorsi di contribuenti di comodo laddove veniva fornita una prova credibile delle circostanze. Molte controversie riguardano immobili invenduti, affitti bassi, start-up senza ricavi iniziali. In genere, se il contribuente presenta un quadro coerente e documentato, i giudici tributari possono disapplicare la presunzione per quel caso concreto.

La Cassazione ha consolidato i principi sopra enunciati in varie pronunce: oltre a quelle già citate, segnaliamo Cass. n.1898/2022 (sulla doppia presunzione test + reddito minimo), Cass. n.36365/2021 , Cass. n.26219/2021, Cass. n.31626/2019, Cass. n.3063/2019, Cass. n.10158/2020 (tutte richiamate in Cass. 29854/2024) . Il trend che emerge è: interpretazione non draconiana della norma antiabuso, ammettendo ampi spazi di difesa al contribuente attivo e in buona fede. La Cassazione richiama anche documenti di prassi: ad esempio la Circolare Agenzia Entrate 5/E del 2007 già specificava che qualsiasi situazione oggettiva idonea a spiegare la difformità deve essere considerata . La stessa circ.5/E 2007 chiarì che “oggettivo” non significa per forza “straordinario ed esterno”, ma semplicemente dimostrabile e genuino .

Un caso particolare affrontato in Cassazione è la equiparazione analogica di cause di esclusione: ad es., se la norma esclude espressamente il “sequestro penale”, ci si è chiesti se un pignoramento civile (sequestro conservativo) potesse rientrare analogicamente. La Cassazione (sent. 29854/2024) ha detto no all’analogia: le cause del provvedimento direttoriale non sono estensibili analogicamente oltre i casi previsti . Dunque, nel caso di specie, una società i cui immobili erano tutti pignorati da una banca non ha potuto invocare automaticamente l’esclusione, perché la norma parlava solo di sequestro penale . Tuttavia, la stessa Cassazione ha affermato che quella situazione (pignoramento civile) può comunque essere valutata come prova contraria in termini economici . Quindi, pur non essendo causa automatica, il fatto che i beni fossero bloccati da procedure esecutive oggettivamente impediva di trarne reddito: il giudice di merito dovrà considerarla una valida giustificazione (se debitamente provata).

Un altro filone giurisprudenziale recente riguarda il rapporto con altri regimi forfettari. Ad esempio, Cass. ord. n.23098 del 26/08/2024 ha trattato il caso di un contribuente in regime forfetario d’ufficio (minimi parametri) a cui era stata applicata anche la maggiorazione da società di comodo . Si era creata una sorta di “corto circuito” tra due redditi forfettari. La Cassazione ha sottolineato l’esigenza di coerenza e di evitare doppie presunzioni scollegate dalla realtà , ricordando comunque la finalità anti-elusiva dell’art.30 . Questo denota attenzione dei giudici: non si possono sommare all’infinito presunzioni che portano il reddito a qualcosa di totalmente avulso dalla capacità contributiva reale .

Aspetti procedurali: contraddittorio e termini

Un aspetto procedurale da considerare in difesa è il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale. Se l’accertamento di comodo scaturisce da una verifica fiscale in loco (ispezione, verifica Guardia di Finanza ecc.), l’art.12 co.7 L.212/2000 impone all’Agenzia di attendere 60 giorni dal rilascio del verbale finale prima di emettere l’atto, per consentire osservazioni difensive del contribuente. La Cassazione (ordinanza 2025 citata nella sezione IVA) ha ribadito che tale termine dilatorio di 60 giorni si applica solo agli accertamenti da verifiche in loco, non ai controlli “a tavolino” . Nel caso specifico, l’accertamento su società di comodo basato su controlli documentali non richiedeva il contraddittorio anticipato . Ciò significa che, se la vostra società riceve un PVC a seguito di verifica e poi subito un avviso di accertamento di comodo prima dei 60 giorni, potreste eccepirne la nullità per violazione dello Statuto del contribuente. Viceversa, se l’accertamento nasce da controlli automatizzati su dichiarazione (nessuna ispezione), tale eccezione non sarà applicabile.

In ogni caso, nel ricorso introduttivo è bene sollevare tutte le eccezioni procedurali (notifica, motivazione, termini) oltre al merito sulla prova contraria, perché potrebbero portare all’annullamento dell’atto indipendentemente dal merito.

Profili penali e responsabilità nelle società di comodo

Dal punto di vista strettamente fiscale-amministrativo, l’essere classificata come società di comodo non configura di per sé un reato tributario. È una presunzione anti-elusiva, non l’accertamento di un illecito penale. Tuttavia, occorre considerare due profili:

  1. Uso di società fittizie per frode fiscale – Se una società apparentemente di comodo viene utilizzata in uno schema fraudolento (es. per emettere false fatture, schermare operazioni illecite, creare crediti fittizi da compensare), allora subentrano le fattispecie di reato previste dal D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti, indebita compensazione di crediti, ecc.). In tali casi, la “società di comodo” diventa lo strumento attraverso cui il reato è commesso. Ad esempio, la Cassazione Penale n.26584/2020 ha confermato la legittimità della custodia cautelare per un consulente fiscale che aveva creato società di comodo al fine di generare crediti IVA inesistenti da usare in compensazione . Qui la società in sé era fittizia e finalizzata all’evasione: si configura il reato di indebita compensazione (art.10-quater D.Lgs.74/2000) e anche possibili reati associativi. In un altro caso, la Corte di Appello di Caltanissetta (16/03/2006) ha ravvisato il reato di associazione a delinquere nel network di società fittizie create per intestare obblighi fiscali e poi evadere sistematicamente il pagamento di imposte . Quindi, quando l’elemento di “comodo” trascende nell’uso fraudolento, si rischia sul piano penale: i responsabili (amministratori di fatto e di diritto, prestanomi, consulenti) possono essere perseguiti per i reati tributari relativi.
  2. Omissioni o false dichiarazioni rilevanti – Una società di comodo potrebbe incorrere in reato fiscale se, ad esempio, occulta ricavi o sottodichiara volutamente l’imponibile oltre soglie penalmente rilevanti. Facciamo un caso: Delta S.r.l. ha immobili che darebbero ricavi presunti per €100.000, ma dichiara solo €10.000 di affitti perché parte li incassa “in nero” e occulta €90.000. Questo non è semplicemente essere di comodo: è dichiarazione infedele o addirittura fraudolenta se usano artifici. Le soglie di punibilità (D.Lgs.74/2000 art.4) per dichiarazione infedele attualmente sono imposta evasa > €100k e ricavi occultati > 10% di quelli dichiarati o > €2 milioni. In un regime di comodo, l’imposta evasa potrebbe essere la differenza tra quella sul reddito minimo e quella sul dichiarato. Se molto elevata, non si esclude che il Fisco possa trasmettere atti alla Procura ravvisando estremi di reato, specie se la situazione di comodo nasconde distrazione di utilità a soci (ad esempio utilizzo personale di beni sociali non dichiarati come fringe benefit). In generale, però, la disciplina delle società di comodo per sua natura è più sul confine elusione/abuso che sul penale: normalmente, pagando quanto richiesto (reddito minimo + maggiorazione) la società regolarizza la posizione fiscale senza ulteriori strascichi penali.

Va inoltre ricordato che i reati tributari dei soggetti collettivi possono coinvolgere anche la responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 della società, qualora siano nell’interesse della stessa e commessi da apicali. Una società di comodo reale (ossia fictio) difficilmente adotterebbe modelli 231, e se usata per reati fiscali potrebbe rendere configurabile una responsabilità amministrativa dell’ente (oggi applicabile ad alcuni reati tributari). Nel caso però di società di comodo come vittima (cioè usata da terzi per frode), dopo la chiusura spesso vengono lasciate fallire: attenzione che questo può integrare anche reati fallimentari (bancarotta fraudolenta documentale se scritture in disordine, patrimoniale se sottraggono beni).

In sintesi: l’etichetta di “società di comodo” in sé non comporta denuncia penale. Ma se una società è completamente fittizia e strumentale a evasione, i reati contestabili sono quelli del sistema penale-tributario ordinario, più eventuale associazione per delinquere se c’è un disegno con più persone/società . Dunque, dal punto di vista del contribuente onesto, il rischio penale sorge solo se si oltrepassa il limite dell’elusione legale e si entra nella frode attiva.

(Un caso “borderline” potrebbe essere se l’amministratore di una società di comodo, sapendo di esser tale, dichiara il minimo imponibile fittizio non corrispondente al vero utilizzo dei beni sociali – es: non dichiara l’uso personale di un immobile – e l’imposta evasa supera soglie: qui si potrebbe contestare una dichiarazione infedele. Ma è una circostanza molto specifica. In generale chi è in queste situazioni farebbe bene a regolarizzare gli utilizzi dei beni societari per evitare contestazioni di questo tipo.)

Strategie preventive per evitare la qualifica di società di comodo

La migliore difesa è spesso la prevenzione: pianificare la propria gestione fiscale in modo da non ricadere (o da uscire per tempo) nel regime punitivo delle società non operative. Ecco alcune strategie preventive e consigli pratici per imprenditori e professionisti:

  • Monitorare annualmente il test di operatività: Durante l’anno (e comunque prima di chiudere il bilancio) calcolate i ricavi presunti minimi secondo i vostri asset. Se vedete che i ricavi effettivi rischiano di essere insufficienti, valutate azioni correttive entro fine esercizio. Ad esempio, se mancano ricavi, potreste decidere di vendere o locare un bene inattivo a valore di mercato per generare proventi ed evitare la non operatività. Oppure, se avete crediti verso soci o parti correlate, incassateli per tempo. Questo planning va fatto entro il 31/12 perché poi a consuntivo i giochi sono fatti.
  • Incrementare la sostanza economica: La normativa tende ad “assolvere” società con sostanza economica (dipendenti, attività, produzione). Se la vostra società ha pochi asset ma potrebbe assumere personale o attivare un minimo di attività produttiva, farlo può togliervi dai guai. In particolare, raggiungere la soglia di 10 dipendenti (non sempre possibile) garantisce esclusione automatica . Anche meno di 10 dipendenti aiutano, perché in sede di prova contraria è più facile dimostrare operatività se avete dipendenti (pur non avendo cause automatiche, dimostrano impegno aziendale).
  • Aderire agli indici ISA con buon punteggio: Se la vostra società è soggetta agli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA), cercate di ottenere un punteggio elevato (di solito ≥8 su 10) in modo da rientrare nelle cause di esclusione. Infatti, una elevata affidabilità ISA ora è causa di disapplicazione di comodo . Questo implica ad esempio dichiarare correttamente ricavi congrui secondo ISA o adeguarsi alle risultanze ISA. Dal 2018 gli ISA hanno sostituito gli studi di settore anche come strumento premiale: se ottenete un certo punteggio, nel provvedimento annuale del MEF sarete esclusi da accertamenti su alcuni fronti, e anche dallo status di comodo. Quindi seguite le indicazioni del vostro commercialista per massimizzare il profilo ISA (ad esempio correggendo eventuali incongruenze contabili, etc.).
  • Utilizzare le cause di esclusione automatiche: Se potete rientrare in una delle cause oggettive, fatelo deliberatamente. Esempi: se avete una immobiliare ferma, valutate di metterla in liquidazione e avviare la cancellazione (così da applicare la causa “impegno alla cancellazione”) . Oppure, se siete un gruppo, fate in modo che la holding possieda almeno una partecipazione qualificata in una società operativa (così è esclusa limitatamente a quella partecipazione) . Se avete immobili locati, considerare affittarli anche a enti pubblici (affitto a un Comune, ASL, ecc., rientra tra i casi di esclusione per immobili locati a enti pubblici) . Queste scelte di gestione possono prevenire il problema.
  • Trasformazione societaria (da società di capitali a società semplice): Questo è un trend visto negli ultimi anni – e destinato a proseguire – per le pure società di mero godimento. Se la società possiede solo beni patrimoniali per uso dei soci (case, barche, ecc.) e non svolge attività d’impresa verso terzi, può essere opportuno valutarne la trasformazione in società semplice. La società semplice, come detto, non è soggetta alle norme di comodo . Naturalmente, la trasformazione ha implicazioni civilistiche (perde personalità giuridica) e fiscali (si consideri il realizzo dei beni ai soci, anche se spesso neutrali se stessi soci), per cui va pianificata con attenzione e con l’ausilio di un commercialista. Tuttavia, a regime, se l’obiettivo è detenere patrimoni familiari, la società semplice offre vantaggi: niente test di operatività, contabilità semplificata, tassazione per trasparenza catastale per immobili ecc. Attenzione però: l’Agenzia può sindacare trasformazioni fatte solo per evitare la disciplina di comodo se, ad esempio, la società in realtà svolge attività commerciale. Ma se oggettivamente non c’è attività commerciale (era una holding passiva o immobiliare statica), la trasformazione regressiva è legittima e può far risparmiare molte seccature (nonché la maggiorazione IRES, visto che in società semplice non c’è IRES). Proprio nel 2025 si nota un aumento di operazioni di trasformazione di Srl in società semplice per finalità di pianificazione patrimoniale.
  • Ricorrere all’interpello in anticipo: Qualora prevediate che per motivi specifici quell’anno non raggiungerete i ricavi minimi, e tali motivi non rientrano tra le esclusioni automatiche, conviene presentare un interpello disapplicativo prima della dichiarazione. Ad esempio, se il vostro stabilimento ha avuto un incendio e siete rimasti fermi 6 mesi, scrivete all’Agenzia con tutti i documenti del caso. Un interpello accolto vi mette al riparo da accertamenti. Se l’Agenzia dovesse respingerlo, avrete comunque già pronte le argomentazioni poi utilizzabili in ricorso, ma almeno avrete tentato la via amministrativa.
  • Adeguare la politica dei dividendi: Una società di comodo viene tassata su un reddito minimo comunque. Se la società ha liquidità o beni inattivi, e i soci intendono in ogni caso beneficiarne, può valer la pena distribuire utili o riserve ai soci e magari ridurre il patrimonio sociale, piuttosto che pagare tasse su redditi fittizi e lasciare il patrimonio inattivo in società. Ad esempio, una Srl con immobili di pregio inutilizzati potrebbe venderli o assegnarli ai soci (operazione straordinaria di assegnazione beni, se legislativamente prevista, o liquidazione) per sciogliere la società di comodo. Spesso si attendono normative di assegnazione agevolata per togliere beni dalle società ai soci con imposte ridotte; quando ci sono (come avvenuto nel 2016), è una ottima via d’uscita. In assenza, resta la tassazione ordinaria ma che può essere più bassa del trascinarsi del regime di comodo per anni.
  • Curare la tenuta contabile e la tracciabilità: Se proprio la società rimane inattiva o con attività minima, assicuratevi almeno di avere una contabilità ordinata e trasparente. Ciò per due ragioni: in caso di accertamento potrete più facilmente dimostrare la veridicità di quanto dichiarato; inoltre eviterete il sospetto (e l’eventuale contestazione) che la società celi operazioni in nero. Un rischio delle società di comodo, specie se di piccole dimensioni, è attirare controlli anti-evasione più ampi (es. controlli bancari sui conti sociali per vedere se transitano operazioni non contabilizzate legate a soci). Mantenere tutto tracciato e pulito è una forma di difesa preventiva.

In definitiva, la miglior strategia dipende dallo scopo della società: se l’obiettivo imprenditoriale è genuino, investire nell’attività per generare ricavi reali sarà la soluzione (uscendo naturalmente dal regime di comodo). Se invece la società ha perso ragion d’essere operativa, conviene valutarne la chiusura o la trasformazione in uno schema meno oneroso. Ignorare il problema e continuare a restare di comodo senza reazione può costare molto in termini di imposte ogni anno, oltre a complicazioni future.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa significa esattamente che la mia società è “di comodo” o “non operativa”?
R: Significa che, secondo i criteri di legge, la tua società non ha prodotto ricavi sufficienti in rapporto ai suoi beni. In pratica il Fisco presume che la società non svolga una vera attività commerciale ma sia usata per altri fini (es. tenere beni per i soci). È uno status fiscale penalizzante: la società viene tassata su un reddito minimo forfettario e, se è una società di capitali, paga anche un’IRES maggiorata al 34,5% . Lo status non operativa non comporta illegalità di per sé, ma implica queste conseguenze fiscali automatiche e possibili controlli.

D: Quali società sono soggette a questa normativa?
R: Tutte le società di capitali (Srl, Spa, Sapa) e le società di persone commerciali (Snc, Sas) , oltre alle società ed enti esteri con stabile organizzazione in Italia. Sono escluse invece le società semplici, le cooperative, le consortili e gli enti non societari . Le ditte individuali e professionisti non rientrano (la norma riguarda società). Quindi, ad esempio, una Srl immobiliare è soggetta, una semplice “società semplice” immobiliare no (anche se l’Agenzia può vigilare sotto altri profili antiabuso).

D: Come posso sapere se la mia società supera o no il test di operatività?
R: Devi calcolare i ricavi presunti in base ai beni della società. Applicando i coefficienti (ad esempio 3% sugli immobili, 1% sulle partecipazioni, ecc. – valori aggiornati dal 2024 ) ai valori di bilancio dei beni, ottieni una soglia di ricavi. Se i ricavi effettivi (più eventuali incrementi rimanenze e proventi vari) sono inferiori a quella soglia, la società non supera il test ed è considerata non operativa . Questo controllo va fatto ogni anno. Per esempio, se hai immobili per 2 milioni, dal 2024 devi avere almeno €60k di ricavi da essi (3% × 2 mln) altrimenti sei di comodo. Nel quadro RS della dichiarazione dei redditi c’è un prospetto apposito per fare questo calcolo.

D: Cosa succede fiscalmente se la società è non operativa?
R: Succedono varie cose spiacevoli:
– Si applica una presunzione di reddito minimo ai fini delle imposte dirette (IRES/IRPEF). Quindi, anche se hai utili bassi o perdita, pagherai le tasse su un certo reddito forfettario calcolato sugli asset (somma di percentuali su immobili, partecipazioni, ecc.) .
– Se sei una società di capitali, sull’utile (o reddito minimo presunto) paghi l’IRES con aliquota maggiorata di 10,5 punti (quindi aliquota 34,5% invece di 24%) . Le società di persone invece imputano il reddito minimo ai soci (quindi i soci pagano IRPEF su quel reddito anche se la società era in perdita).
– Non puoi usare le perdite pregresse per abbattere il reddito minimo (se hai perdite, le lasci indietro e paghi comunque sul minimo) .
– Ai fini IRAP, devi dichiarare un valore della produzione minimo (spesso analogo ai ricavi figurativi).
– Per l’IVA, storicamente c’era il blocco dei rimborsi e della compensazione del credito IVA se per due anni eri di comodo. Però la Corte di Giustizia UE ha giudicato illegittimo negare lo status di soggetto IVA e il diritto a detrazione solo per questo motivo . Quindi oggi non dovrebbero più negare i rimborsi IVA solo perché sei di comodo (devono comunque valutare se hai svolto operazioni reali) .

D: Esistono eccezioni o cause per cui una società anche con pochi ricavi non viene considerata di comodo?
R: Sì, ci sono varie cause di esclusione automatica. Per esempio: società con almeno 10 dipendenti; società in fallimento o altre procedure concorsuali; società che hanno un valore di produzione superiore all’attivo; partecipate da enti pubblici; consortili; società con un alto punteggio di affidabilità fiscale ISA; società agricole; società i cui beni sono sequestrati/confiscati; immobili affittati a enti pubblici; società holding di società operative; società colpite da calamità naturali; società in liquidazione che si cancellano entro l’anno . In tutte queste situazioni la disciplina di comodo non si applica. Basta indicare in dichiarazione il codice di esclusione appropriato e non subirai le penalizzazioni. Inoltre, il primo esercizio di una società nuova è escluso per legge (start-up).

D: La mia società è in perdita per molti anni, ma ha superato il test di operatività perché ha pochi beni. Possono considerarla di comodo lo stesso?
R: No, la disciplina sulle società “in perdita sistematica” è stata abolita dal 2022 . In passato, se eri sempre in perdita scattava un regime analogo, ma ora non più. Quindi conta solo il test basato sugli asset. Se lo superi (cioè se i ricavi sono sopra la soglia minima), la società non è considerata di comodo neanche se è in perdita fiscale ogni anno. Naturalmente, perdite continue possono attirare altri tipi di attenzione (accertamenti di anti-economicità, ecc.), ma non questa presunzione specifica.

D: La mia è una piccola immobiliare familiare: possediamo due immobili dati in uso ai soci che però pagano un affitto minimo. Siamo inevitabilmente di comodo ogni anno. Possiamo difenderci in qualche modo o dobbiamo per forza pagare le tasse sul reddito minimo?
R: Una situazione del genere è comune. Potete valutare alcune strade: (1) se quei beni in realtà sono a disposizione dei soci per fini personali, l’uso della società di capitali non è l’ideale. Valutate se potete trasformare la società in società semplice o assegnare gli immobili ai soci (così pagherete la tassazione una tantum sull’assegnazione ma poi non avrete più una società di comodo). (2) In alternativa, potete mettere a reddito gli immobili a valori di mercato (far pagare ai soci un canone congruo o affittarli a terzi): se i ricavi salgono sopra la soglia (anche grazie alla riduzione delle percentuali dal 2024), uscite dal regime. (3) Se non potete/per volete fare le precedenti, potete presentare un interpello all’Agenzia provando a spiegare le vostre ragioni (es. immobile storico di famiglia non affittabile a terzi, ecc.), ma sinceramente in questi casi l’Agenzia è poco propensa ad accettare interpelli perché vede proprio la situazione tipica che la norma vuole colpire (bene dei soci in società per pagare meno tasse). Dovreste dimostrare che c’è un serio motivo oggettivo per cui quei soci non possono pagare affitto di mercato o l’immobile non può essere sfruttato diversamente. Non impossibile, ma difficile. (4) Infine, potete continuare così e pagare le imposte sul minimo come state facendo, sapendo però che pagherete un’IRES maggiorata (se siete Srl). Valutate il costo: magari conviene regolarizzare diversamente.

D: Ho letto di recenti sentenze europee sulla disciplina delle società di comodo. Cosa è cambiato con l’UE?
R: La novità principale riguarda l’IVA. La Corte di Giustizia UE, con sentenza 7 marzo 2024 (causa C-341/22, Feudi di San Gregorio), ha stabilito che la normativa italiana è incompatibile con la direttiva IVA nella parte in cui nega la qualifica di soggetto passivo o il diritto a detrazione solo perché la società non raggiunge certe soglie di operazioni . In parole povere: anche una società in perdita o “di comodo” rimane soggetto IVA se svolge anche minima attività economica, e ha diritto al credito IVA sugli acquisti che ha fatto per svolgere l’attività . Non si può dirle: “siccome hai ricavi bassi, ti tolgo l’IVA a credito”. Questa sentenza boccia la prassi italiana che bloccava i rimborsi IVA alle società di comodo di più anni. La Cassazione italiana nel 2025 ha recepito ciò, affermando che la presunzione italiana va disapplicata dal giudice nazionale in quei casi . Quindi oggi, se la tua società di comodo chiede un rimborso IVA, l’Agenzia non può rigettarlo automaticamente per lo status di comodo: deve verificare se l’attività c’è e non è fittizia, e solo in caso di frode può negare il rimborso . Questa è una conquista di civiltà giuridica, perché il principio UE protegge la neutralità dell’IVA. In campo imposte dirette, invece, l’UE non interviene: lì vale la normativa nazionale con le sue presunzioni (considerate legittime sotto il profilo costituzionale interno, finora).

D: Se la mia società viene comunque accertata come di comodo, quali difese posso opporre in Commissione Tributaria?
R: Potrai contestare l’applicazione della presunzione fornendo prove contrarie. In particolare devi dimostrare o che la società in realtà era operativa (anche se con scarsi risultati) oppure che c’erano cause oggettive che ti hanno impedito di raggiungere i ricavi attesi . Qualsiasi elemento concreto è utile: ad esempio, mostrare che l’immobile non produceva reddito perché era inagibile o perché in ristrutturazione (documenti dei lavori), oppure che l’azienda è nuova e sta ancora cercando clienti (business plan, contratti firmati l’anno dopo), o ancora che i soci hanno immesso finanziamenti per tentare di far decollare l’attività (segno che c’era volontà di impresa). La Cassazione ha chiarito che puoi anche provare direttamente la “non fittizietà” della società, cioè che non è uno schermo ma un’impresa vera che per ragioni economiche non ha reso . Ad esempio, la scelta di non affittare un immobile perché si punta a venderlo a miglior prezzo può essere accettata come motivazione legittima, non elusiva . L’importante è fornire prova oggettiva, cioè documenti, dati di mercato, testimonianze se possibile. Inoltre ricorda: anche se non hai fatto interpello, puoi far valere queste ragioni in giudizio . E se invece hai fatto interpello e l’Agenzia l’ha respinto, la Commissione non è vincolata da quel diniego: valuterà autonomamente le prove. Infine, verifica con il tuo legale se ci sono vizi formali nell’accertamento (notifica, motivazione, mancato contraddittorio se dovuto, ecc.): a volte si riesce a far annullare l’atto anche per questi motivi procedurali.

D: Essere società di comodo è di per sé un illecito o reato? Rischio sanzioni penali?
R: No, lo status di società non operativa in sé non è un illecito penale. È una condizione fiscale che comporta semmai sanzioni amministrative (ad esempio, se non versi la maggior imposta, avrai sanzioni per omesso versamento, interessi, ecc.). Tuttavia, spesso le società di comodo sono attenzionate perché possono nascondere abusi o evasioni. Se la tua società di comodo viene usata per evasione fiscale (tipo: fa operazioni fittizie, deduce costi personali come aziendali, emette fatture false), allora scattano i normali reati tributari (dichiarazione fraudolenta, indebita compensazione, ecc., a seconda dei casi). Un esempio è l’uso di società “cartiera” di comodo per creare crediti IVA falsi: questo è reato e i responsabili (anche se la società è solo uno schermo) sono punibili . Oppure creare una serie di società di comodo per spalmare debiti fiscali mai pagati può configurare un’associazione a delinquere, come da un caso giudiziario in Sicilia . Ma se la tua è semplicemente una società inattiva che però dichiara regolarmente il minimo imposto e paga le tasse dovute, non c’è reato: paghi di più e basta. Fai solo attenzione a non “esagerare”: se, ad esempio, la società di comodo paga spese personali dei soci detraendole come costi aziendali, questo può portare a una contestazione di dichiarazione infedele o di altri illeciti se supera certe soglie. In pratica, mantieni la correttezza formale: dichiara quello che devi dichiarare (anche se forfettario) e non avrai problemi penali. È quando si usano le società di comodo come veicoli di frode che entrano in gioco i magistrati penali.

D: Sto pensando di chiudere la società per non incorrere più in questi problemi. Se la sciolgo volontariamente, l’Agenzia mi può contestare qualcosa?
R: Lo scioglimento volontario e liquidazione di una società di comodo è una strada legittima. Devi però considerare alcuni aspetti:
– Durante la liquidazione, per essere esonerato dalla disciplina di comodo occorre che tu cancelli la società entro l’esercizio o aderisca alla causa di esclusione “impegno alla cancellazione” . Se la liquidazione si protrae per anni senza chiudere, la società potrebbe tornare di comodo negli anni intermedi. Dunque conviene fare una liquidazione abbastanza rapida (ad esempio, vendere i beni e chiudere).
– Fiscalmente, la liquidazione implica che i beni sociali saranno venduti o assegnati ai soci. Devi gestire la tassazione di queste operazioni (potrebbe emergere taxable income per la società o plusvalenze per i soci, a seconda dei casi). Non è una penalità, è la normale tassazione di liquidazione.
– Se la società viene cancellata con debiti tributari (ad esempio perché non hai pagato la maggiorazione IRES di anni precedenti), l’Agenzia potrebbe rivalersi sui soci entro i limiti di legge (i soci rispondono dei debiti sociali nei limiti di ciò che hanno ricevuto in distribuzione di liquidazione). Quindi prima di cancellare, regola eventuali pendenze fiscali note, o sappi che i soci potrebbero essere chiamati a risponderne.
– È sempre possibile (anche se raro) che l’Agenzia contesti un abuso del diritto se trasformi o sciogli la società al solo fine di non pagare la disciplina di comodo. Ma in generale, lo scioglimento è un diritto del socio. Finché paghi le dovute imposte su liquidazione (se emergono utili latenti), non stai eludendo nulla, stai semplicemente cessando un’attività. Quindi non temere: chiudere la società è una soluzione finale lecita e spesso opportuna se non c’è più scopo di tenerla in vita.

Conclusioni

La disciplina delle società di comodo non operative rappresenta un complesso sistema antielusivo del diritto tributario italiano, evolutosi negli anni per adattarsi a nuovi contesti. Ad agosto 2025, grazie alle riforme attuate e alla giurisprudenza maturata, possiamo tracciare alcune conclusioni:

  • Il legislatore ha reso il regime più equo (riducendo i coefficienti presuntivi e abolendo duplicazioni come le perdite sistematiche ) e più mirato a colpire vere situazioni di abuso (ampliando le esenzioni automatiche per casistiche virtuose o particolari ). Resta però in vigore una tassazione punitiva per chi risulta non operativo, a conferma della volontà di scoraggiare l’utilizzo improprio dello schermo societario .
  • Dal punto di vista del contribuente, esistono fortunatamente strumenti di tutela: l’interpello probatorio (anche se ora limitato ai casi non coperti da auto-esclusione) e soprattutto la possibilità di far valere in giudizio la prova contraria. La giurisprudenza – sia di merito che di legittimità – riconosce ampiamente il diritto della società di dimostrare la reale operatività o le cause economiche giustificative, evitando così un’applicazione cieca e ingiusta della norma . Questo equilibrio tra rigidità della norma e flessibilità della prova contraria è fondamentale per adeguare la presunzione alla realtà dei fatti (principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.).
  • Sul piano internazionale, il conflitto con la normativa IVA europea è stato risolto a favore del contribuente: una società di comodo non perde i suoi diritti IVA solo per lo status presunto . Ciò tutela chi, pur con scarsi ricavi, sta investendo o operando in modo genuino. L’Agenzia delle Entrate dovrà attenersi a questi principi d’ora in avanti, concentrandosi semmai a contrastare le vere frodi IVA invece di fare blocchi automatici sui crediti alle società a basso volume.
  • La strategia difensiva migliore resta comunque evitare se possibile di cadere nel regime. Pianificare l’attività, sfruttare cause di esclusione, o adattare la struttura societaria (es. trasformazioni, liquidazioni) può far risparmiare imposte e contenziosi. Quando ciò non è possibile, è essenziale predisporre un dossier probatorio robusto da subito, per essere pronti a giustificare la propria posizione in caso di verifica o accertamento.
  • Infine, va tenuto distinto l’aspetto penale: avere una società di comodo non equivale affatto ad essere un evasore criminale, ma l’uso distorto di società di comodo in schemi fraudolenti verrà perseguito con i mezzi ordinari (reati tributari, sequestri, ecc.). Chi utilizza società come mere scatole vuote per evadere potrebbe subire sanzioni ben più gravi della maggiorazione IRES – compresa la reclusione nei casi più estremi . Dunque, la trasparenza e la correttezza rimangono la miglior politica: se una società non ha più ragione economica, meglio chiuderla o regolarizzarla, piuttosto che tenerla in vita e incorrere in sospetti continui.

In conclusione, “come difendersi” da un’accertata non operatività significa sia conoscere i propri diritti (cause di esclusione, interpello, difesa in giudizio) sia adottare scelte consapevoli nella gestione societaria per prevenire il problema a monte. La normativa in vigore ad agosto 2025 offre più vie di fuga rispetto al passato, ma richiede comunque attenzione e consulenza specialistica. Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta), è fondamentale documentare ogni elemento della vita aziendale che attesti la buona fede e la sostanza economica dell’attività. Solo così si potrà neutralizzare la tagliente presunzione fiscale e ricondurre la tassazione al livello realmente dovuto in base alla capacità contributiva effettiva.

Fonti utilizzate: normativa primaria (L.724/1994 art.30 e successive modifiche); prassi Agenzia Entrate (Circ. 5/E/2007, 3/2013); sentenze Corte di Cassazione nn. 16472/2022, 12862/2021, 1898/2022, 16600/2024, 23098/2024, 29854/2024, etc.  ; Corte di Giustizia UE causa C-341/22 (2024);Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 26584.

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Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché la tua società è stata qualificata come società di comodo non operativa?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Le società di comodo sono considerate tali quando non producono ricavi sufficienti rispetto ai parametri fissati dalla legge o quando, pur avendo beni e capitali, non svolgono una reale attività economica. In questi casi, il Fisco presume che la società sia stata creata solo per detenere patrimoni o ottenere vantaggi fiscali.

👉 Prima regola: dimostra che la società è realmente operativa o che esistono cause oggettive che hanno impedito di raggiungere i ricavi minimi.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Ricavi dichiarati inferiori ai ricavi presunti dal test di operatività;
  • Bilanci in perdita per più esercizi consecutivi;
  • Detenzione di beni (immobili, auto, partecipazioni) senza attività commerciale concreta;
  • Società inattive o senza dipendenti;
  • Mancata presentazione di istanze di disapplicazione in presenza di cause oggettive.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Applicazione di un reddito minimo presunto, anche in assenza di utili reali;
  • Indeducibilità delle perdite fiscali pregresse;
  • Limitazioni all’utilizzo del credito IVA;
  • Recupero delle imposte con sanzioni e interessi;
  • Rischio di ulteriori accertamenti su bilanci e operazioni societarie.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Effettiva operatività: la società ha clienti, contratti e attività economiche documentabili?
  • Cause oggettive: crisi di mercato, mancati pagamenti, eventi straordinari, calamità;
  • Contratti e operazioni in corso: dimostrano che la società è attiva anche se i ricavi sono inferiori ai parametri;
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha spiegato chiaramente perché la società è stata qualificata di comodo?
  • Interpello disapplicativo: era stato presentato e non considerato?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Bilanci e dichiarazioni fiscali degli anni contestati;
  • Contratti con clienti e fornitori;
  • Prove di cause oggettive (documentazione su insolvenze, contenziosi, crisi di settore);
  • Comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate (interpelli, richieste di chiarimenti);
  • Relazioni tecniche e perizie di supporto.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’operatività reale della società con documenti e contratti;
  • Invocare cause oggettive che giustificano i risultati negativi;
  • Contestare la presunzione di non operatività se basata solo su parametri standard;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione insufficiente, decadenza, notifica irregolare;
  • Chiedere autotutela se la società rispettava già i requisiti;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare o ridurre la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la posizione della società e i rilievi mossi dall’Agenzia;
📌 Verifica se esistono elementi per dimostrare l’effettiva operatività;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione societaria trasparente e conforme alla normativa.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in società di comodo e accertamenti tributari;
✔️ Specializzato in difesa di imprese contro contestazioni su operatività societaria;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle società di comodo non operative non sempre sono fondate: spesso ignorano le reali difficoltà di mercato o le cause oggettive che hanno limitato l’attività.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la sostanza economica della società, evitare la tassazione presunta e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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