Agenzia Delle Entrate Accerta False Spese Di Formazione Professionale: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune spese di formazione professionale dichiarate sono state considerate false o non inerenti? In questi casi, l’Ufficio presume che i costi sostenuti non siano stati effettivamente pagati o che non abbiano un reale collegamento con l’attività professionale. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con le giuste prove è possibile dimostrare la legittimità delle spese dedotte.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le spese di formazione professionale
– Se i corsi, i master o i seminari non sono documentati con fatture o ricevute valide
– Se la documentazione presentata appare falsa, gonfiata o non coerente con l’attività svolta
– Se i pagamenti non risultano tracciati o sono privi di giustificativi bancari
– Se i corsi non sono attinenti alla professione esercitata
– Se vi sono incongruenze tra i dati fiscali dichiarati e quelli comunicati dagli enti di formazione

Conseguenze della contestazione
– Indeducibilità totale o parziale delle spese dichiarate
– Recupero delle imposte dirette e dell’IVA detratta indebitamente
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele e indebita detrazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di ulteriori controlli su altre spese professionali dichiarate

Come difendersi dalla contestazione
– Produrre la documentazione completa e originale rilasciata dagli enti formatori (fatture, ricevute, attestati di frequenza)
– Dimostrare l’inerenza della formazione all’attività professionale esercitata
– Contestare la qualificazione come “spese false” se l’errore riguarda aspetti formali e non sostanziali
– Evidenziare vizi di motivazione, difetti di istruttoria o decadenza dei termini dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa ai corsi e alle spese sostenute
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce delle norme fiscali e della giurisprudenza
– Redigere un ricorso basato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere il professionista davanti ai giudici tributari contro richieste fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio personale e la reputazione professionale da conseguenze sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della deducibilità delle spese realmente sostenute
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: le contestazioni sulle spese di formazione professionale devono essere impugnate entro 60 giorni dalla notifica. In caso contrario, diventano definitive.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa dei professionisti – spiega come difendersi in caso di contestazioni su false spese di formazione professionale e come tutelare i tuoi diritti.

👉 Hai ricevuto una contestazione per spese di formazione professionale ritenute false o non inerenti? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua documentazione, confronteremo i dati contestati e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere i tuoi interessi.

In sintesi:

Conseguenze in caso di accertamento: recupero delle imposte non versate per via delle spese disconosciute, applicazione di pesanti sanzioni tributarie (infedele dichiarazione 90% dell’imposta evasa o fino al 200% per crediti d’imposta inesistenti ) e interessi di mora; rischio di denuncia penale se i costi sono considerati fittizi (fatture false, dichiarazione fraudolenta, indebita compensazione, ecc.), con possibili sequestri preventivi e pene detentive . Possibili inoltre controlli a tappeto su periodi d’imposta ulteriori e su altri incentivi fruiti dal contribuente.

Strategie difensive immediatamente attivabili: raccogliere e conservare tutta la documentazione che provi l’effettivo svolgimento e la pertinenza della formazione (contratti col fornitore, programmi dei corsi, registri firme dei partecipanti, attestati di frequenza, fatture quietanzate ); dimostrare l’inerenza delle spese all’attività professionale o d’impresa (es. spiegare perché il corso era necessario o utile per il business); evidenziare vizi dell’atto di accertamento (motivi insufficienti, errori procedurali, mancato contraddittorio obbligatorio, ecc.); valutare gli strumenti deflattivi: ravvedimento operoso (se possibile), istanza in autotutela se l’errore è palese, adesione all’accertamento per ridurre sanzioni , reclamo-mediazione o conciliazione giudiziale per chiudere la lite con sanzioni ridotte.

Il ruolo dell’avvocato tributarista: analizzare in dettaglio le spese contestate e la relativa normativa fiscale (es. limiti di deducibilità, requisiti dei crediti d’imposta) per verificare se l’accertamento è fondato; individuare precedenti sentenze favorevoli applicabili al caso ; predisporre un ricorso ben motivato evidenziando prove documentali dell’effettiva formazione e contestando le presunzioni dell’Ufficio ; assistere il contribuente nelle procedure di adesione o conciliazione, negoziando la riduzione delle sanzioni; in caso di procedimento penale, coordinare la difesa tecnica (anche avvalendosi di consulenti) e utilizzare gli strumenti premiali (pagamento del dovuto per ottenere la non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 ).

Risultati ottenibili con una difesa efficace: annullamento totale o parziale dell’accertamento, con riconoscimento della deducibilità delle spese di formazione realmente effettuate; sgravio delle sanzioni e degli interessi indebiti (es. prova dell’errore scusabile o buona fede può far annullare le penalità); in sede penale, ottenimento di archiviazione o assoluzione se si dimostra l’assenza di dolo (o estinzione del reato col pagamento integrale del debito tributario) ; sospensione dell’esecutività dell’atto durante il contenzioso se sussiste grave e irreparabile danno; in caso di conciliazione o adesione, riduzione delle sanzioni al 30–40% del minimo e definizione bonaria del dovuto, evitando lunghi processi.

Introduzione

Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sulle spese di formazione professionale dichiarate da contribuenti, imprese e professionisti, allo scopo di individuare costi indebiti o fittizi portati in deduzione dal reddito o utilizzati per ottenere crediti d’imposta. Le verifiche fiscali hanno portato alla luce casi in cui corsi di formazione sarebbero stati inesistenti o non inerenti all’attività svolta, con emissione di avvisi di accertamento per recuperare le imposte evase e irrogare sanzioni . Allo stesso tempo, si sono moltiplicate le dispute in sede giudiziaria su tali contestazioni: pronunce recenti delle Corti di giustizia tributaria (nuove Commissioni Tributarie) e della Corte di Cassazione offrono importanti chiarimenti sui requisiti per dedurre legittimamente le spese formative e sui limiti dei poteri dell’Amministrazione finanziaria .

Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, fornisce un quadro avanzato della normativa italiana in materia di deducibilità delle spese per formazione professionale e degli strumenti di tutela del contribuente di fronte a un accertamento fiscale per “spese di formazione false”. Il taglio è pratico e giuridico, pensato per avvocati tributaristi, ma anche per privati cittadini e imprenditori che si trovino, dal lato del “debitore”, a dover difendere le proprie ragioni. Verranno esaminati i profili fiscali (imposte dirette, IVA, crediti d’imposta) e quelli penali (eventuali reati tributari ex D.Lgs. 74/2000 e truffa per erogazioni pubbliche), con riferimenti a fonti normative e alle ultime sentenze di Cassazione e delle Corti tributarie regionali. Si illustreranno inoltre gli strumenti deflattivi del contenzioso (ravvedimento operoso, accertamento con adesione, reclamo-mediazione, autotutela, ecc.) utili per prevenire o risolvere la disputa senza arrivare a sentenza.

L’obiettivo è chiarire come difendersi efficacemente quando il Fisco contesta spese di formazione considerate inesistenti o indebite, fornendo consigli operativi, esempi concreti e una sezione di domande e risposte sui quesiti più frequenti. Il tutto dal punto di vista del contribuente, evidenziando i suoi diritti e oneri probatori, in modo da affrontare un eventuale accertamento con gli strumenti giuridici appropriati e le migliori chance di successo.

Quadro normativo: deducibilità delle spese di formazione professionale

In ambito tributario, le spese sostenute per formazione e aggiornamento professionale possono essere dedotte dal reddito imponibile se rispettano determinati requisiti fissati dalla legge. È fondamentale inquadrare queste spese nelle norme corrette a seconda della categoria di contribuente:

  • Liberi professionisti (lavoratori autonomi): per i professionisti titolari di reddito di lavoro autonomo (avvocati, commercialisti, consulenti, ecc.), la disciplina è dettata dall’art. 54 del TUIR (D.P.R. 917/1986). Dal 2017, a seguito del Jobs Act autonomi (Legge 22 maggio 2017 n. 81, art. 9), le spese di iscrizione a master, corsi di formazione o aggiornamento professionale (inclusi convegni e congressi)comprensive delle spese di viaggio e soggiorno – sono integralmente deducibili entro il limite annuo di 10.000 euro . In precedenza vigeva una regola più restrittiva (deducibilità al 50% senza tetto massimo) , superata per incentivare l’aggiornamento continuo: oggi, quindi, un avvocato o un medico che partecipano a corsi di formazione possono dedurre il 100% dei relativi costi fino a 10.000 €. Oltre tale soglia, le eventuali ulteriori spese restano indeducibili (non possono abbattere il reddito imponibile) . Va sottolineato che la deduzione spetta solo se le attività formative sono effettivamente inerenti all’attività professionale esercitata e documentate: ad es., la partecipazione a un corso specialistico nel proprio settore (es. un commercialista che segue un master in diritto tributario) rientra nelle spese deducibili, mentre un corso non attinente (es. lezioni di tutt’altra materia senza collegamento con la professione) potrebbe essere considerato estraneo all’attività e quindi indeducibile per carenza di inerenza. Inoltre, le spese di vitto e alloggio connesse alla formazione seguono le regole generali: la normativa del 2017 le include nel plafond dei 10.000 €, superando la precedente limitazione proporzionale (in generale i pasti e l’alloggio sarebbero deducibili al 75% entro il 2% dei compensi, ma per i corsi di formazione tale frazione non si applica entro il tetto specifico) . Infine, per i contribuenti che applicano il regime forfettario (art. 1, commi 54-89 L. 190/2014), non è prevista la deduzione analitica di costi: il reddito è determinato forfettariamente come percentuale dei ricavi, quindi anche le spese di formazione rientrano implicitamente nel coefficiente forfettario e non possono essere portate in deduzione separatamente .
  • Imprese (ditte individuali in contabilità d’impresa, società di persone e di capitali): per i soggetti che producono reddito d’impresa, le spese di formazione del personale o dei titolari seguono il principio di inerenza e competenza di cui all’art. 109 TUIR. In generale, tutti i costi sostenuti dall’impresa strettamente correlati all’attività economica sono deducibili nell’esercizio di competenza, a meno che non siano espressamente esclusi. Non esiste un tetto quantitativo annuo come per i professionisti: un’azienda può quindi dedurre integralmente le spese per corsi di aggiornamento, workshop, training on the job dei dipendenti, ecc., purché tali corsi abbiano attinenza con l’oggetto sociale o l’attività dell’impresa (requisito di inerenza) e siano debitamente documentati (fatture dallo specifico ente formatore, registri di presenza, attestati). Ad esempio, una società di software che forma i propri tecnici su un nuovo linguaggio di programmazione sostiene costi sicuramente inerenti alla sua attività e li deduce interamente come spese per servizi. Di contro, se un’impresa deducesse costi per una formazione estranea (es. corso di yoga per i dipendenti di una ditta di costruzioni, senza alcuna finalità di welfare aziendale riconosciuta), l’Ufficio potrebbe contestare la mancata inerenza, negando la deduzione per difetto di connessione con i ricavi d’impresa. Dal punto di vista normativo, non vi è una norma ad hoc equivalente all’art. 54 per i professionisti, perché le spese di formazione rientrano tra le spese per prestazioni di servizi deducibili ex art. 109 TUIR se inerenti. Alcune leggi speciali hanno previsto incentivi fiscali per la formazione delle imprese, il più rilevante dei quali in anni recenti è stato il Credito d’imposta “Formazione 4.0” (introdotto dalla L. 205/2017 e prorogato fino al 2022) : tale agevolazione consentiva di recuperare in credito una percentuale dei costi di formazione tecnica in ambito Industria 4.0. In regime di credito d’imposta, formalmente l’impresa deduce comunque i costi dal reddito (trattandoli come oneri di esercizio) e parallelamente ottiene il credito; tuttavia, in caso di irregolarità, l’Agenzia delle Entrate può procedere alla revoca del credito e al recupero dello stesso (oltre sanzioni), lasciando il costo ordinario eventualmente deducibile solo se realmente inerente e documentato. Si tornerà oltre sulle contestazioni relative al credito Formazione 4.0, spesso connesse a corsi non svolti o carenze documentali.
  • Enti non commerciali e altri soggetti: per gli enti non profit, associazioni, fondazioni che organizzano attività formative, il trattamento fiscale dipende dalla distinzione tra attività istituzionale e attività commerciale. Se l’ente svolge formazione come parte della propria finalità istituzionale (es. un’associazione culturale che offre corsi ai propri associati), i relativi costi non sono dedotti da un reddito d’impresa – semplicemente riducono l’avanzo o disavanzo istituzionale – e eventuali contributi pubblici a finanziamento potrebbero non essere tassati. Invece, se l’ente svolge corsi a terzi in modo commerciale, tali spese diventano costi d’impresa deducibili secondo le regole viste sopra per le imprese (inerenza, documentazione). Attenzione però: alcune norme sull’IRAP escludono dalla base imponibile certi contributi correlati a costi indeducibili. Ad esempio, la Cassazione ha esaminato il caso di contributi pubblici a enti di formazione (ENFAP) stabilendo che, ai fini IRAP, l’esenzione spetta solo se il contributo è direttamente riferito a uno specifico costo indeducibile per IRAP . In generale, per un ente non profit finanziato per progetti formativi, i contributi pubblici sono spesso parametrati ai costi del progetto, dunque occorre valutare caso per caso se quei costi siano deducibili o meno ai fini delle imposte e dell’IRAP, e se il contributo costituisca reddito imponibile. Inoltre, va segnalato che talvolta le associazioni senza scopo di lucro sono state usate come schermo per emissione di fatture per corsi fittizi (sfruttando magari regimi di favore IVA o la difficoltà di controllo): le autorità, con il Progetto Ercole della Guardia di Finanza, hanno iniziato a controllare queste organizzazioni “mascherate” dedite a false formazioni per evadere il Fisco . Pertanto, la presenza di un ente no-profit come fornitore dei corsi non esime dall’onere di provare la realtà e l’inerenza delle prestazioni formative.

Di seguito una tabella riepilogativa dei principali riferimenti normativi e condizioni di deducibilità per diverse tipologie di contribuente:

SoggettoNormativa di riferimentoDeduzione spese formazioneNote
Libero professionistaArt. 54 TUIR, c.5 (modif. L. 81/2017)100% deducibile entro €10.000 annui (incluse spese viaggio e alloggio) ; eccedenza indeducibile. Prima del 2017 limite 50% senza tetto .Spesa deducibile solo se inerente all’attività e opportunamente documentata (fattura intestata al professionista, attestati, ecc.). Per professionisti forfettari, nessuna deduzione analitica (costi inclusi forfettariamente).
Impresa (regime ordinario)Artt. 109 e 110 TUIR (principio di inerenza)Integrale deducibilità dei costi di formazione di dipendenti e imprenditori, se inerenti all’attività d’impresa e debitamente documentati (nessun tetto quantitativo annuo).Comprende corsi di aggiornamento, addestramento tecnico, formazione del personale. Non deducibili costi estranei o eccessivi rispetto all’oggetto sociale (contestabili per difetto di inerenza).
Impresa (credito d’imposta Formazione 4.0)L. 205/2017 art.1 c.46-56 e succ. mod.; DM 4/5/2018Deducibilità ordinaria dei costi + credito d’imposta su parte degli stessi (aliquote 30%-70% a seconda di anni e dimensioni) . In caso di mancato rispetto requisiti formali o corsi non ammissibili, l’Agenzia revoca il credito e recupera l’importo con sanzione (fino al 100-200% se credito inesistente) .Obblighi documentali stringenti: accordo sindacale iniziale (fino al 2019) , registro presenze firmato , relazione finale sui corsi , certificazione dei costi dal revisore , indicazione dei dati in dichiarazione dei redditi. La mancanza di documenti o incongruenze può far presumere che la formazione non sia stata realmente svolta, con conseguente contestazione .
Ente non commercialeArt. 143 TUIR (attività istituzionale); Art. 109 TUIR (eventuale attività commerciale)Se spese per formazione rientrano nell’attività istituzionale (no attività commerciale), non generano un “costo deducibile” fiscale, ma possono essere finanziate da contributi (non imponibili se erogati a fondo perduto per attività non commerciali). Se l’ente svolge corsi a pagamento (attività commerciale), si applicano le regole d’impresa: costi deducibili se inerenti e documentati, ricavi imponibili, eventuale IRAP su contributi secondo correlazione costi indeducibili.Possibili abusi: utilizzo di enti no-profit per simulare fatture di corsi mai svolti. In tali casi l’Amministrazione può disconoscere i costi e colpire sia l’utilizzatore (per dichiarazione fraudolenta) sia l’emittente (per emissione di fatture false). Controlli GdF mirati (operazione “corsi fantasma”) hanno scoperto “scatole vuote” (associazioni compiacenti) che fornivano documentazione fittizia per far ottenere crediti o deduzioni indebite alle imprese .

Accertamenti fiscali sulle spese di formazione: quando scatta la contestazione

Come può un costo dichiarato come “spesa di formazione professionale” finire nel mirino del Fisco? Le modalità di controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza si sono fatte sempre più sofisticate nel rilevare anomalie. Di seguito elenchiamo le circostanze più comuni in cui scatta la contestazione di spese di formazione false o indebite:

1. Fatture per operazioni inesistenti (corsi mai svolti): è il caso più grave e netto. Si verifica quando il contribuente porta in deduzione fatture relative a corsi di formazione che in realtà non hanno avuto luogo, spesso emesse da soggetti compiacenti (società o enti di formazione fittizi, cd. “cartiere”) allo scopo di creare costi falsi e ridurre il reddito imponibile. In taluni casi, lo schema fraudolento è duplice: l’impresa utilizza queste fatture sia per dedurre costi che abbattere l’utile, sia per ottenere crediti d’imposta (come nel caso del bonus Formazione 4.0) simulando attività mai svolte. Le indagini finanziarie e testimoniali sono determinanti: la GdF, ad esempio, può interrogare i dipendenti che risultano aver partecipato ai corsi – se tutti negano di averli frequentati, l’ipotesi del corso fantasma prende corpo . Un caso recente in Toscana ha visto un’azienda compensare debiti tributari con crediti Formazione 4.0 relativi a corsi mai tenuti, usando fatture false emesse da una ditta compiacente: la Procura ha disposto un sequestro preventivo da €440.000 e indagato l’amministratore per indebita compensazione e dichiarazione fraudolenta mediante fatture false . In genere, l’Amministrazione finanziaria individua queste situazioni incrociando vari elementi: fornitori di servizi formativi che non hanno struttura né personale (società cartiera), disallineamenti tra le ore dichiarate di formazione e l’effettiva operatività aziendale, o l’assenza di qualunque evidenza (registri firme, materiale didattico, mail) che provi lo svolgimento del corso. Una volta appurata la natura inesistente dell’operazione, il Fisco nega la deduzione del costo e/o il diritto al credito, ricalcolando le imposte dovute. Importante: in questi casi non è richiesta all’Ufficio la “prova diabolica” certa – bastano presunzioni gravi, precise e concordanti per contestare la fattura falsa , spostando sul contribuente l’onere di dimostrare che il corso si è davvero tenuto (onere spesso insostenibile se l’operazione è fittizia).

Un recente sequestro della Guardia di Finanza per corsi di formazione fantasma finanziati con crediti d’imposta: un’azienda utilizzava fatture false per compensare tasse dovute, senza aver svolto realmente i corsi. In questi casi scattano denunce penali e il recupero integrale di imposte, interessi e sanzioni.

2. Spese non inerenti o gonfiate (corsi svolti ma di dubbia attinenza): un’altra ipotesi è quella in cui il corso di formazione si è effettivamente tenuto, ma non è pertinente all’attività del contribuente, oppure il costo appare eccessivo o artificiosamente gonfiato. In sede di verifica, l’Ufficio potrebbe ritenere la spesa “non inerente” e quindi indeducibile: ad esempio, una ditta individuale che si occupa di grafica pubblicitaria deduce i costi di un corso di cucina gourmet frequentato dal titolare – il Fisco ne contesterà l’assenza di legame con l’attività professionale. Oppure, una piccola impresa artigiana sostiene €50.000 di corsi motivazionali per i dipendenti: pur essendo formazione, la cifra sproporzionata rispetto alla dimensione aziendale potrebbe far sospettare che in realtà si stia mascherando altro (ad es. un benefit ai dipendenti non tassato, o consulenze generiche riclassificate). In questi casi, formalmente non c’è una “frode” con fatture false, ma l’Amministrazione riqualifica le spese come indeducibili per difetto di inerenza o per abuso del diritto. La linea di demarcazione non è sempre nitida e la giurisprudenza ha prodotto orientamenti sul concetto di inerenza: conta un nesso oggettivo tra costo e attività d’impresa, anche solo potenziale o indiretto, senza richiedere un ritorno economico immediato . Tuttavia, se il contribuente deduce costi palesemente estranei, l’onere di dimostrarne l’utilità economica ricade su di lui. La Cassazione ha affermato che spetta al contribuente provare l’effettiva utilità e inerenza di prestazioni contestate, non bastando la sola esibizione della fattura . In assenza di tale prova, l’ufficio è legittimato a recuperare a tassazione i costi e le relative imposte. Un esempio: la Corte di Giustizia Tributaria della Lombardia ha ritenuto indeducibili i costi fatturati da società fornitrici prive di reale operatività (formazione solo cartolare), perché la contribuente non ha saputo spiegare chi avesse effettivamente erogato le prestazioni né giustificare il vantaggio aziendale ottenuto .

3. Documentazione carente o irregolare: anche quando la formazione è inerente e (forse) svolta, si può incorrere in contestazioni se mancano i documenti chiave a supporto. L’Agenzia delle Entrate, specie nei controlli sul credito Formazione 4.0, verifica con puntiglio la presenza di: registri delle presenze nominativi con firme di partecipanti e docenti , relazione dettagliata sulle modalità e contenuti dei corsi , attestati individuali di partecipazione rilasciati ai dipendenti , certificazione del revisore sui costi sostenuti , e la corretta indicazione in dichiarazione dei redditi dei dati richiesti (numero di ore, numero lavoratori formati) . La mancanza anche di uno solo di questi elementi può portare l’Ufficio a presumere che il corso non soddisfi i requisiti di legge o addirittura non sia stato svolto con le modalità dichiarate. Ad esempio, se un’azienda non è in grado di esibire i registri firmati delle lezioni, i verificatori dubiteranno dell’effettiva frequenza dei lavoratori. Oppure, un ente di formazione che non conserva la relazione tecnica sui corsi tenuti rischia la disconoscimento del credito perché non si può verificare se i contenuti rientrassero tra quelli agevolati. A questo proposito, una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria del Piemonte (2024) sul credito Formazione 4.0 ha ribadito che incombe sulla società l’onere di provare dettagliatamente l’esecuzione di tutti i corsi e la loro riconducibilità a quelli ammessi dalla legge, nonché di conservare tutta la documentazione prevista (relazioni, registri, certificazioni); laddove la documentazione prodotta presenti numerose incongruenze tali da far dubitare della realtà delle prestazioni, il credito d’imposta non può essere riconosciuto . In quel caso concreto, il materiale esibito dall’azienda era contraddittorio e il collegio ha confermato il recupero integrale del credito di imposta, sanzionato al 100% come credito inesistente. Dunque, carenze documentali, se gravi, vengono interpretate come indice di inesistenza o non spettanza del beneficio fiscale.

4. Utilizzo indebito di crediti d’imposta per formazione: collegata ai punti precedenti è la situazione in cui il contribuente compensa debiti tributari con un credito formazione non spettante. Questo è tipicamente emerso con il credito Formazione 4.0: l’azienda, avendo dichiarato di aver svolto certi corsi, utilizza il credito corrispondente. Se in sede di controllo emerge che i corsi non rientravano tra quelli agevolabili (es. materie non tecnologiche, oppure formazione obbligatoria di base non ammessa al bonus) o che il credito è stato calcolato su costi non ammissibili, l’Agenzia emette un atto di recupero del credito (equiparato a un avviso di accertamento) per riprendersi l’importo compensato, con sanzioni. La differenza rispetto alla deduzione di costi è sottile: il credito d’imposta non spettante viene assimilato a un “minor pagamento di imposta” e quindi sanzionato. Occorre però distinguere tra credito non spettante (quando l’attività formativa c’è stata ma non dava diritto al bonus, sanzione amministrativa 30% dell’importo) e credito inesistente (quando il credito si fonda su operazioni mai avvenute o artificiosamente create, sanzione dal 100% fino al 200%) . Nel 2023, ad esempio, l’Agenzia ha eseguito controlli incrociati sui dati dichiarati nei modelli Redditi (quadro RU) relativi ai crediti Formazione 4.0: la mancata indicazione dei dettagli sui corsi o incongruenze nei dati hanno fatto scattare richieste di chiarimenti e successivi avvisi di recupero. Importante: quando il credito è compensato in F24, l’irregolarità può emergere anche tramite i controlli automatizzati: se viene usato un codice tributo credito formazione su importi anomali, l’Agenzia può chiedere pezze giustificative. Tuttavia, i casi più complessi vengono demandati alle verifiche sostanziali: accessi presso la sede del contribuente, esame dei registri e colloqui con personale per capire se la formazione dichiarata è reale. Il contribuente in questi frangenti deve collaborare e fornire ogni elemento utile, consapevole però che se il credito è ritenuto “fittizio”, oltre al recupero della somma maturerà una sanzione elevata e – se supera determinate soglie – potrà configurarsi il reato di indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000) di cui diremo infra.

5. Requalificazione di spese di formazione in altre categorie imponibili: infine, l’Amministrazione potrebbe contestare che certe somme apparentemente spese in formazione siano in realtà qualcos’altro. Ad esempio, a livello di imposte dirette, c’è stato il caso di associazioni professionali o società che rimborsavano costi di finti corsi ai soci, per mascherare una distribuzione di utili: la Cassazione (sent. 23890/2015) ha stabilito che oneri rimborsati a un associato senza adeguata prova possono costituire compensi occulti . Quindi, l’Agenzia potrebbe sostenere che una spesa classificata come “formazione” a favore di un amministratore di società in realtà sia un beneficio personale (fringe benefit) o una forma di retribuzione aggiuntiva, da tassare come reddito e non deducibile. Un altro esempio: se un ente pubblico o un’azienda ricevono fondi pubblici per formazione, ma li usano in altro modo, potrebbero incorrere nel reato di peculato o truffa ai danni dello Stato. Per i privati, invece, occorre fare attenzione a non far passare come “corsi professionali” quelle che in realtà sono spese personali: l’Agenzia potrebbe disconoscere deduzioni per spese di istruzione non aventi carattere di aggiornamento professionale (es. un contribuente che detrae come oneri universitarî un corso privato non riconosciuto spacciandolo per formazione). In tutti questi casi, il filo conduttore è la riqualificazione: il Fisco contesta che l’etichetta “formazione professionale” è usata impropriamente e ridetermina il trattamento fiscale corretto (negando deduzioni e applicando le imposte e sanzioni conseguenti all’effettiva natura dell’operazione).

Conseguenze fiscali e penali di un accertamento per spese di formazione “false”

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le spese di formazione dichiarate, gli effetti per il contribuente possono essere rilevanti su più fronti. È cruciale comprenderne la portata per predisporre una strategia di difesa mirata.

Recupero delle imposte e sanzioni amministrative: in sede di accertamento l’Ufficio emette un atto (avviso di accertamento o atto di recupero) in cui rettifica il reddito dichiarato dal contribuente, eliminando i costi di formazione ritenuti indebiti. Di conseguenza viene calcolata una maggiore imposta (IRPEF, IRES e relative addizionali, oppure IVA da versare se era stata detratta indebitamente). Su tale maggior imposta si applicano gli interessi legali per il periodo intercorrente (dal momento in cui l’imposta sarebbe stata dovuta fino alla notifica dell’accertamento). Inoltre, si irroga una sanzione pecuniaria per violazione tributaria. In caso di deduzione di costi non spettanti nella dichiarazione dei redditi, si configura l’infedele dichiarazione (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/1997): la sanzione ordinaria è pari al 90% della maggior imposta dovuta (con un minimo edittale del 90%, che può aumentare fino al 180% in casi di particolare entità o recidiva). Ad esempio, se vengono disconosciuti €20.000 di costi che avevano comportato €5.000 di minor IRES, la sanzione base sarà €4.500 (90% di 5.000) . Se però i costi erano inesistenti e l’ufficio li qualifica come operazione fraudolenta, potrebbe applicarsi l’aggravante per uso di fatture false (art. 1, c.2 bis D.Lgs. 471/97) con sanzione dal 135% al 270% dell’imposta. Per le detrazioni IVA indebitamente operate (ad es. corsi fatturati ma mai fatti, con IVA detratta), la sanzione è pari al 90% dell’IVA non versata (art. 6, c.6 D.Lgs. 471/97). Invece, per l’utilizzo di un credito d’imposta non spettante in compensazione, occorre distinguere: se il credito è inesistente (creato artificiosamente, es. corsi fasulli) si applica la sanzione dal 100% al 200% del credito utilizzato ; se il credito era solo in eccedenza non spettante (formazione avvenuta ma con errori nel calcolo) la sanzione è del 30% dell’importo compensato (art. 13, c.5 e c.4 D.Lgs. 471/97). Le sanzioni amministrative possono essere ridotte se il contribuente aderisce all’accertamento o non fa ricorso (vedremo infra): ad esempio, con acquiescenza dell’accertamento entro 60 giorni, la sanzione infedele scende a 1/3 di quella irrogata (ossia 30% dell’imposta, se l’atto lo prevede) .

Imposte “arretrate” e cumulo giuridico: il recupero delle imposte può riguardare più periodi d’imposta. In genere l’Agenzia può controllare e contestare i periodi non ancora prescritti: i termini ordinari di accertamento per redditi e IVA sono il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (quarto anno se dichiarazione omessa). Tuttavia, in caso di violazioni rilevanti penalmente (es. utilizzo di fatture false), la legge prevede un raddoppio dei termini di accertamento : quindi il Fisco può spingersi fino al decimo anno successivo. Questo significa che se un contribuente ha inserito costi fittizi in dichiarazioni di anni lontani, potrebbe ancora ricevere accertamenti tardivi se c’è stata notitia criminis. Inoltre, se la contestazione riguarda più anni (es. un corso ripetuto dedotto per 3 annualità), spesso l’Ufficio emette un accertamento per ciascun anno: le sanzioni possono cumularsi, ma il contribuente ha diritto al cosiddetto cumulo giuridico (sanzione unica aumentata per continuazione) se le violazioni sono formali ripetizioni della stessa condotta. Questo aspetto può essere valutato in sede di irrogazione o dal giudice tributario per ridurre l’importo complessivo sanzionatorio.

Profili penali tributari: quando la contestazione riguarda costi falsi o crediti indebiti di una certa gravità, all’accertamento fiscale può affiancarsi un procedimento penale a carico del contribuente (titolare di partita IVA, legale rappresentante della società, ecc.). I principali reati ipotizzabili, disciplinati dal D.Lgs. 74/2000, sono:

  • Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000): si configura se il contribuente, al fine di evadere, indica in dichiarazione elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture false. È il tipico reato di chi utilizza fatture “gonfiate” o di comodo da parte di società compiacenti. Nel nostro contesto, se le “spese di formazione” contestate derivano da fatture relative a corsi mai tenuti, e l’importo dei costi fittizi è rilevante, scatta questo delitto. La pena è stata irrigidita dalla riforma del 2019 (DL 124/2019 conv. L. 157/2019): reclusione da 4 a 8 anni se l’ammontare dei costi falsi supera €100.000 annui ; se inferiore a €100.000 si applica la pena base da 1 anno e 6 mesi a 6 anni . In aggiunta, per i casi gravi è prevista la confisca “allargata” dei beni del condannato quando i passivi fittizi superano €200.000 . Esempio: un’azienda che deduce €150.000 di finti corsi di formazione commette dichiarazione fraudolenta ex art. 2, con rischio fino a 8 anni di carcere. Va precisato che non c’è soglia di imposta evasa per la punibilità di art. 2 – basta l’uso di fatture false oltre la soglia minima di €1.500 per singola fattura.
  • Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000): è la fattispecie di fraudolenza “generica”, senza uso di fatture false, che punisce chi evade imposte tramite artifici o documenti falsi diversi dalle fatture. Potrebbe applicarsi se, ad esempio, il contribuente falsifica registri o attestazioni relativi alla formazione (pur senza fatture false) per creare deduzioni indebite. Tuttavia, nella pratica la maggior parte dei casi di spese inesistenti rientra nell’art. 2 (essendo le fatture il documento principe). La soglia di punibilità di art. 3 prevede imposta evasa > €30.000 e ricavi sottratti >5% del totale o >€1,5 milioni. Le pene anche qui sono state aumentate: reclusione da 3 a 8 anni .
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): si configura se il contribuente indica elementi passivi fittizi senza integrarne la condotta con gli estremi della fraudolenza. In sostanza, è il reato “residuale” di evasione non fraudolenta, applicabile se l’imposta evasa supera €100.000 e i redditi non dichiarati (o costi fittizi dedotti) superano il 10% del reddito dichiarato o comunque €2 milioni . Se un professionista o una PMI deducono spese di formazione inesistenti di entità moderata, potrebbero ricadere nell’infedele (se superate le soglie) invece che nel fraudolento, specie in assenza di fatture artefatte. La pena per l’art. 4, dopo la modifica del 2019, è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi . Va notato che art. 4 è escluso quando ricorrono fatture false (in tal caso si applica art. 2 o 3 per specialità). In tema di spese di formazione, l’infedele potrebbe ad esempio riguardare un professionista che deduce 50.000 € di costi inesistenti (imposta evasa 20k): se supera soglia, è punibile.
  • Indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000): questo reato punisce chi utilizza in compensazione crediti d’imposta non spettanti per importi superiori a €50.000 annui. È di centrale importanza nei casi di bonus formazione 4.0 fraudolenti. Se l’azienda ha compensato (usato in F24) crediti Formazione 4.0 che non le spettavano (perché i corsi erano fasulli o non ammissibili) oltre la soglia di 50k, scatta il penale. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 5 anni (se credito semplicemente non spettante) e da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni se il credito è inesistente (cioè artificioso) – soglie e pene modificate nel 2015 e 2019. Nel caso citato di Firenze, il legale rappresentante è indagato anche per indebita compensazione, avendo sfruttato crediti fittizi su fondi PNRR .
  • Emissione di fatture false (art. 8 D.Lgs. 74/2000): riguarda il fornitore che emette le fatture per operazioni inesistenti. Ad esempio, l’ente formatore compiacente che “vende” corsi mai eseguiti a varie aziende commette questo reato. È punito con pena simile all’art. 2 (recentemente elevata a 4–8 anni se l’importo delle fatture supera €100.000 ). Nel contesto difensivo del contribuente utilizzatore, l’art. 8 interessa per dimostrare l’eventuale collusione: se l’emittente viene condannato, automaticamente ciò è indizio grave contro gli utilizzatori, salvo prova della loro estraneità.
  • Truffa ai danni dello Stato o indebita percezione di erogazioni pubbliche (artt. 640-bis e 316-ter c.p.): profili extraptributari che possono emergere in situazioni come il bonus “Carta del docente” (500€ per i professori) o altri contributi pubblici. Ad esempio, per il bonus docenti, ottenere rimborsi non dovuti oltre €4.000 costituisce reato ex art. 316-ter c.p. (indebita percezione) . Nel nostro contesto di formazione professionale, queste fattispecie penali classiche potrebbero entrare in gioco se, ad esempio, un’azienda ottiene un finanziamento pubblico per corsi mai svolti (truffa aggravata). Tuttavia, di norma, quando si parla di crediti d’imposta la giurisprudenza tende a usare i reati fiscali (es. indebita compensazione) in luogo di quelli generali di truffa, se c’è sovrapposizione.

Procedimento penale e interazioni con il Fisco: va evidenziato che l’avvio di un procedimento penale non sospende automaticamente la riscossione tributaria: il contribuente potrebbe dover pagare le somme accertate anche mentre il penale è pendente, salvo ottenere la sospensione in sede tributaria. D’altro canto, una sentenza penale definitiva (es. condanna per dichiarazione fraudolenta) fa stato nel giudizio tributario quanto all’accertamento del fatto costitutivo del reato (ad es. la falsità delle fatture) . Ciò significa che, se l’Agenzia ha atteso l’esito penale, il contribuente avrà poche chances di negare la falsità in Commissione Tributaria dopo una condanna penale passata in giudicato. Viceversa, se nel penale l’imputato è assolto perché il fatto non sussiste (es. si prova che i corsi si sono svolti davvero), tale esito favorevole potrà essere fatto valere per annullare l’accertamento fiscale correlato.

Cause di non punibilità e attenuanti: la riforma 2019 ha introdotto una importante possibilità di estinzione del reato tributario: se il contribuente effettua il pagamento integrale di imposte, sanzioni e interessi prima del dibattimento penale (in pratica, appena l’indagine parte, o tramite ravvedimento prima ancora), può beneficiare della non punibilità per i delitti di cui agli artt. 2, 3 e 10-quater . In sostanza, ravvedersi spontaneamente in tempo salva dal carcere. Ad esempio, un imprenditore che ha usato false fatture per 120.000 € di costi fittizi nel 2022, se prima di ricevere notizia di indagini provvede a versare tutte le imposte evase con relative sanzioni amministrative, non sarà punibile penalmente per l’eventuale dichiarazione fraudolenta. Questa causa di non punibilità (art. 13 D.Lgs. 74/2000) è un forte incentivo a regolarizzare la propria posizione quanto più tempestivamente possibile. In difetto di ciò, restano le circostanze attenuanti generiche o specifiche (ad esempio, per il pagamento del debito dopo l’apertura del dibattimento è prevista solo una diminuzione di pena fino alla metà, non l’esclusione del reato). Inoltre, per fatti di minore gravità, è possibile accedere a riti alternativi come il patteggiamento, spesso comminando pene sotto la soglia di sospensione condizionale (evitando la detenzione effettiva). È comunque fondamentale, nell’ottica difensiva, tenere separati il piano tributario (dove la buona fede può talvolta evitare le sanzioni amministrative, ma non l’imposta) e il piano penale (dove la prova dell’assenza di dolo o la condotta riparativa incidono sul giudizio di colpevolezza).

Strumenti deflattivi e strategie di difesa del contribuente

Di fronte a una contestazione dell’Agenzia delle Entrate su spese di formazione ritenute indebite, il contribuente non è privo di risorse: l’ordinamento prevede vari strumenti “deflattivi” che consentono di regolarizzare la posizione o di risolvere la disputa evitando (o abbreviando) il contenzioso in Commissione Tributaria. In parallelo, qualora si arrivi al ricorso, esistono tecniche difensive e oneri probatori da considerare. Vediamo i principali step difensivi, in ordine temporale dal primo riscontro fino all’eventuale giudizio.

Ravvedimento operoso e regolarizzazione spontanea

Il primo consiglio, se il contribuente si rende conto di aver commesso un’irregolarità, è di valutare il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997). Questo istituto consente di correggere spontaneamente le dichiarazioni fiscali presentate, beneficiando di sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività del ravvedimento. Ad esempio, se dopo aver dedotto una spesa di formazione ci si accorge che non era inerente o che la fattura è dubbia, si può presentare una dichiarazione integrativa a sfavore, ripristinando la base imponibile corretta. Pagando la maggior imposta dovuta e una sanzione ridotta (che varia da 1/9 del minimo se si ravvede entro 90 giorni, fino a 1/8, 1/7, 1/6 del minimo a seconda se entro 1 anno, 2 anni, oltre), si evitano le sanzioni piene e – soprattutto – si chiude la partita prima di un accertamento formale. In caso di spese di formazione, il ravvedimento potrebbe concretizzarsi in un’integrativa per togliere la deduzione indebita, versando la relativa imposta con sanzione ridotta (tipicamente 1/8 del 90%, quindi 11,25% dell’imposta, se oltre l’anno ma prima dell’accertamento). Se invece l’irregolarità riguarda un credito d’imposta utilizzato, è possibile regolarizzare restituendo il credito: le risoluzioni dell’Agenzia ammettono il ravvedimento sui crediti indebitamente compensati, versando l’importo con codice tributo apposito e sanzione ridotta (30% ridotto a 1/8 = 3.75%, se entro 2 anni, ad esempio). Un ravvedimento tempestivo blocca sul nascere il futuro accertamento, poiché l’Ufficio, vedendo che il contribuente ha già rettificato e pagato, in genere non procede oltre.

È importante sottolineare che il ravvedimento è possibile solo prima che il contribuente abbia ricevuto formale comunicazione di avvio di controlli (es. un PVC della Guardia di Finanza o un avviso di accertamento). Se l’irregolarità viene già contestata, non ci si può più ravvedere per quell’anno e tributo. In tal caso, però, pagare spontaneamente il dovuto prima che il reato sia contestato formalmente può far scattare la causa di non punibilità penale (come visto sopra) – quindi conviene ugualmente procedere, magari chiedendo all’Agenzia di astenersi dal sporgere denuncia in virtù dell’adempimento (cosa che talvolta avviene).

Un altro strumento di “ravvedimento” atipico è la remissione in bonis (art. 2 D.L. 16/2012) per chi ha dimenticato adempimenti formali che condizionano il diritto al credito. Ad esempio, per il credito formazione 4.0, era richiesto l’invio di una comunicazione al MISE a fine progetto: se non lo si è fatto, si può rimediare pagando una sanzione minima di €250 e inviando la comunicazione entro la data di dichiarazione. Ciò può sanare la posizione ed evitare che il credito venga negato per un mero formalismo.

In sintesi, agire spontaneamente prima della repressione consente spesso di attenuare o azzerare le sanzioni (in ambito tributario) e di neutralizzare gli effetti penali. Un contribuente accorto, appena si accorge che l’ente formatore da cui ha acquistato il corso è indagato come cartiera, farà bene a consultare un tributarista e considerare un ravvedimento: è preferibile pagare subito una piccola sanzione ridotta, anziché attendere un accertamento con esito incerto e possibili risvolti giudiziari.

Fase pre-contenziosa: PVC, inviti al contraddittorio e accertamento con adesione

Se il Fisco avvia un controllo e contesta formalmente le spese di formazione, si apre una fase in cui è ancora possibile trovare un accordo o far valere le proprie ragioni prima del ricorso in giudizio. Le situazioni possono essere due:

  • Verifica fiscale o PVC della Guardia di Finanza: nel caso in cui la contestazione emerga da una verifica (accesso, ispezione o verifica in azienda) condotta dalla GdF o dall’Agenzia, al termine viene redatto un Processo Verbale di Constatazione (PVC). Il contribuente ha diritto, in molti casi, a presentare entro 60 giorni osservazioni e richieste (art. 12, c.7 L. 212/2000 Statuto del Contribuente) prima che l’ufficio emetta l’avviso di accertamento. È fondamentale sfruttare questo spazio: nelle memorie difensive si possono produrre documenti aggiuntivi, correggere eventuali fraintendimenti dei verificatori e sostenere la legittimità delle spese. Ad esempio, se nel PVC è scritto che “mancano i registri delle lezioni” ma in realtà esistono, si allegheranno in memoria. L’ufficio è tenuto a valutare tali osservazioni. Inoltre, prima di emettere l’atto, l’Agenzia può invitare il contribuente a un contraddittorio (obbligatorio in materia di tributi armonizzati, come l’IVA, e in alcuni accertamenti per i quali è previsto a regime – ad es. nel 2023 è entrato in vigore l’obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti fiscali, art. 5-ter D.Lgs. 218/1997): in questo incontro, si può cercare di persuadere l’ufficio della bontà di alcune spese, ottenendo magari lo sgravio parziale prima ancora dell’emissione dell’atto. Se le controdeduzioni non vengono accolte, si passa all’atto impositivo.
  • Ricezione di un avviso di accertamento/atto di recupero: qualora l’atto sia stato notificato (magari senza un PVC precedente, come talvolta accade per controlli da ufficio), il contribuente ha comunque 60 giorni per impugnarlo in Commissione. Ma in tale intervallo, è possibile attivare la procedura di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). L’adesione consiste nel presentare un’istanza all’ufficio (Direzione Provinciale) chiedendo un incontro per definire in via amministrativa la controversia. L’istanza sospende i termini per il ricorso per un massimo di 90 giorni. Durante la discussione, il contribuente (spesso assistito dal proprio consulente) e i funzionari dell’Agenzia esaminano le posizioni e possono accordarsi su una riduzione delle somme dovute. Tipicamente, l’ufficio potrebbe riconoscere qualche costo come deducibile se il contribuente fornisce prove convincenti, oppure concedere la non applicazione di alcune sanzioni. All’esito, si redige un atto di adesione con l’importo concordato. Il vantaggio per il contribuente è che, in caso di adesione, le sanzioni vengono automaticamente ridotte a 1/3 del minimo previsto per legge . Ad esempio, se l’accertamento prevedeva una sanzione del 90%, con adesione scende al 30%. Questo incentivo è significativo. Nell’ambito delle spese di formazione, l’adesione può essere utile soprattutto se la posizione del contribuente non è completamente solida: ad esempio, si sono commesse alcune irregolarità formali e l’ufficio ha ragione sul disconoscimento del credito, ma si vuole evitare il salasso delle sanzioni piene. Con la negoziazione, magari si ottiene di pagare solo l’imposta senza penalità (o il minimo). Occorre però prepararsi bene: presentare in sede di adesione tutti i documenti e le argomentazioni normative a supporto. È consigliabile anche evidenziare all’ufficio gli eventuali costi del contenzioso: se la questione è borderline, far notare che esistono sentenze favorevoli al contribuente può spingere l’ufficio a transigere per evitare il rischio di perdere in giudizio. L’adesione, se perfezionata col pagamento (o prima rata) entro 20 giorni, chiude definitivamente la questione per quell’anno e materia, precludendo ulteriori ricorsi (bisogna infatti rinunciare ad impugnare).
  • Autotutela: un cenno va fatto anche all’istituto dell’autotutela amministrativa. In qualsiasi fase, se il contribuente ritiene che l’accertamento sia affetto da errori evidenti (ad esempio ha dedotto correttamente entro €10.000 ma l’ufficio ha per errore considerato dedotto un importo superiore), può presentare un’istanza di annullamento in autotutela all’ente impositore, chiedendo la correzione o lo sgravio. L’autotutela è a discrezionalità dell’Amministrazione: non sospende termini né garantisce esito, ma in casi lampanti di errore materiale o interpretazione palesemente superata da circolari, l’Agenzia può annullare d’ufficio l’atto (in toto o in parte). Vale la pena tentare soprattutto se si dispone di nuovi documenti non esibiti prima: per esempio, recuperato un registro firme smarrito, lo si può presentare in autotutela per convincere l’ufficio a ritirare la contestazione. In genere, però, per questioni di valutazione complessa (inerenza, ecc.) l’Agenzia preferirà far decidere ai giudici, quindi l’autotutela funziona meglio per errori oggettivi.

Il ricorso in Commissione Tributaria (C.G.T.): difendersi in giudizio

Se la fase pre-contenziosa non risolve la vertenza, il contribuente può presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Il ricorso va notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (estesi a 150 giorni se è intervenuta istanza di adesione nei 90gg successivi) . Vediamo gli aspetti chiave della difesa in giudizio per le contestazioni su false spese di formazione:

Reclamo e mediazione obbligatoria: se il valore della lite (imposta + sanzioni) non supera €50.000, il ricorso inizialmente vale anche come reclamo (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). L’ufficio esaminerà di nuovo la pratica e potrà formulare una proposta di mediazione entro 90 giorni. In caso di accordo, le sanzioni sono ridotte al 35% del minimo. Per esempio, su una pretesa di €10.000 tra imposte e sanzioni, l’ufficio potrebbe chiudere a €7.000 con sanzione ridotta. Se non c’è accordo, il ricorso prosegue in Commissione. Il contribuente in questa fase deve esporre chiaramente motivi di fatto e diritto che rendono quantomeno dubbia la pretesa fiscale, per incentivare l’ente a mediare.

Sospensione dell’atto: una delle prime cose da valutare è se chiedere la sospensione cautelare dell’atto impugnato (art. 47 D.Lgs. 546/92). Se le somme richieste (imposta+sanzioni) sono elevate e la riscossione immediata arrecherebbe un danno grave (es. costringere alla chiusura dell’attività), si può presentare un’istanza motivata al presidente della sezione, entro 30 giorni dal ricorso, per sospendere l’esecutività dell’atto fino alla sentenza di primo grado. Nel caso di false spese di formazione, spesso gli importi contestati (tra recupero credito e sanzione 100%) sono ingenti, quindi la sospensione può essere vitale per il cash-flow. Occorre dimostrare sia il fumus boni iuris (possibilità di vittoria nel merito, ad es. presentando già elementi a favore) sia il periculum in mora (danno grave e irreparabile, es. crisi di liquidità). Nel caso CGT Piemonte 2024 citato, la società appellante aveva chiesto sospensione evidenziando il grosso importo e la propria modesta liquidità . La sospensione è discrezionale: se la Corte la nega, il debito va in riscossione (con la possibilità di pagare 1/3 per ottenere sospensione amministrativa ex art. 15 DPR 602/73).

Strategie difensive nel merito: il cuore della difesa in giudizio consiste nel confutare le prove e presunzioni dell’Ufficio e sostenere la legittimità delle proprie deduzioni. Ecco alcuni punti focali:

  • Dimostrare l’effettività della formazione: se l’accusa è di corsi mai svolti, il contribuente deve scardinare questa idea portando quante più prove concrete possibile: registri originali firmati, attestati con nominativi e date, dispense o slide dei corsi, email di convocazione e corrispondenza con il formatore, fotografie degli eventi formativi, testimonianze scritte dei partecipanti (in sede tributaria non sono ammessi testimoni “viventi” in udienza, ma si possono produrre dichiarazioni rese da terzi) . Ad esempio, se l’Ufficio contesta che un docente fosse privo di competenze, si può allegare il suo CV, contratti di docenza, eventuali feedback dei discenti. Bisogna mostrare ai giudici che l’operazione è reale e non fittizia, invertendo l’onere della prova che inverte l’Ufficio ha posto con le sue presunzioni. Cassazione e CGT hanno più volte affermato che l’esibizione formale delle fatture non basta: servono elementi sostanziali . Quindi il ricorrente dovrà spesso andare oltre gli atti contabili, ricostruendo come effettivamente si è svolta la formazione. Se, ad esempio, viene contestato che i lavoratori non avessero partecipato, il difensore potrebbe produrre dichiarazioni scritte dei dipendenti che confermano la loro presenza al corso X il giorno Y, allegando magari i certificati di partecipazione firmati da loro. Oppure, se la GdF ha detto che le firme erano false (magari tramite perizia grafologica), il contribuente può far svolgere una contro-perizia calligrafica per dimostrare che invece sono autentiche.
  • Provare l’inerenza e l’utilità: qualora la disputa sia sulla pertinenza del corso rispetto all’attività, la difesa dovrà articolare chiaramente perché quel corso era connesso all’impresa/professione e quale beneficio (anche potenziale) ne traeva il contribuente. Non bisogna dare per scontato che i giudici conoscano il settore: conviene spiegare, anche con documenti, come i contenuti del corso potevano migliorare aspetti del business. Ad esempio: “il corso di team building, pur generico, era rivolto ai dipendenti dell’officina meccanica per migliorarne la collaborazione, fattore che incide sulla produttività aziendale, dunque inerente”. Si possono citare prassi amministrative: ad esempio l’Agenzia stessa in circolari ha riconosciuto l’inerenza di spese per “addestramento del personale” in senso lato. Se la legge di settore impone formazione (es. aggiornamento obbligatorio per certe professioni), evidenziarlo. Giurisprudenza di supporto: si possono allegare sentenze dove altre spese analoghe sono state ritenute deducibili. Un esempio di rilievo: la CGT di Palermo 2023 ha annullato un recupero su credito Formazione 4.0 affermando che anche le attività formative di livello base (acquisizione conoscenze fondamentali) rientrano nello spirito della norma e sono agevolate . I giudici hanno sottolineato che non si richiede un livello avanzato: ciò può essere invocato dal contribuente se l’Ufficio sostiene che “il corso era troppo semplice per essere utile”. All’opposto, la CGT Piemonte 2024 ha negato il credito ad un’azienda perché le attività svolte le sono parse inutili per la produttività e incongrue all’attività aziendale . La difesa dovrebbe quindi attaccare quell’affermazione di “inutilità” magari mostrando che, dopo il corso, l’azienda ha implementato quelle conoscenze (es. attestando che i dipendenti formati su un software poi l’hanno effettivamente usato in produzione). Inerenza non significa necessità assoluta, basta potenzialità di uso: ricordarlo al giudice è utile anche citando Cassazione (p.es. Cass. n. 18904/2020 ha ribadito che l’inerenza è un concetto qualitativo, non quantitativo o di efficacia, basta che il costo sia riferibile all’attività d’impresa, pur se non genera ricavi immediati).
  • Contestare eventuali vizi procedurali: sul piano formale, la difesa verificherà se l’atto impugnato rispetta i requisiti di legge: motivazione adeguata (non basta una formula generica, deve spiegare perché ritiene false/inerenti le spese), rispetto del contraddittorio laddove obbligatorio, corretta intestazione e firma, notificazione regolare. Ad esempio, in alcuni casi la giurisprudenza ha annullato accertamenti che si limitavano a richiamare pedissequamente il PVC della GdF senza aggiungere una motivazione propria . Se ciò accade, l’avvocato potrà eccepire difetto di motivazione ex art. 7 L. 212/2000. Anche la mancata concessione dei 60 giorni post-PVC prima dell’atto, se dovuta, è causa di nullità (ma oggi con l’obbligatorietà del contraddittorio questo vizio diverrà raro). Ogni aspetto procedurale può rivelarsi decisivo se si vince su questo, senza neanche affrontare il merito.
  • Ricalcolo delle sanzioni e cause di non punibilità amministrativa: qualora, nonostante tutto, emergesse che effettivamente qualche spesa non era deducibile, la difesa può puntare a ridurre le sanzioni. Ad esempio, invocare la buona fede del contribuente: se le fatture provenivano da un fornitore formalmente esistente e registrato, e il contribuente non era a conoscenza della sua frode, ciò può costituire assenza di colpevolezza per le sanzioni amministrative (art. 6 D.Lgs. 472/97). La Cassazione ha affermato che il contribuente deve provare di non essere consapevole della frode per andare esente da sanzioni . Quindi, l’avvocato raccoglierà elementi (es. il contribuente ha scelto l’ente di formazione perché segnalato da un ordine professionale, senza segni di irregolarità) per dimostrare che non c’era dolo o colpa grave. In tal caso, anche se l’imposta va pagata, si potrebbe ottenere in sentenza l’annullamento delle sanzioni o la loro riduzione al minimo. Se ci sono stati pagamenti in ritardo ma spontanei (ravvedimento), evidenziarlo per chiedere l’applicazione delle sanzioni ridotte o la non debenza di ulteriori interessi.

Conciliazione giudiziale: durante la pendenza del giudizio, c’è un’ulteriore possibilità di chiudere la lite: la conciliazione (art. 48 D.Lgs. 546/92). Può avvenire sia in udienza sia fuori udienza (con accordo scritto). Se le parti – contribuente e ufficio legale dell’Agenzia – trovano un accordo, la controversia si chiude con un verbale di conciliazione. I benefici sono anche qui considerevoli: le sanzioni sono applicate solo al 40% del minimo se la conciliazione avviene in primo grado (o al 50% se in secondo grado) . In pratica, simile all’adesione, ma in fase processuale. Per esempio, se ancora in primo grado il contribuente offre di pagare il 50% delle imposte contestate, l’ufficio potrebbe accettare e in tal caso le sanzioni si riducono automaticamente al 40% del minimo (quindi 36% circa dell’imposta). La convenienza c’è per entrambi: il contribuente rischia di peggio, l’Agenzia incassa subito senza rischio di soccombenza. È utile tenere aperta questa porta, soprattutto se emergono elementi nuovi in corso di causa (es. il giudice in udienza fa capire che alcune spese forse le darebbe buone e altre no – si può fare una proposta conciliativa parziale).

Appello e giudizio di legittimità: se la sentenza di primo grado non è favorevole, si può appellare alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (entro 60 giorni). In appello, si possono fornire ulteriori prove documentali solo se non era stato possibile prima (in genere in secondo grado non sono ammesse nuove prove, ma in tributario c’è una certa flessibilità nel portare nuovi documenti). Spesso in appello si discutono questioni giuridiche (interpretazione della norma, validità o meno di presunzioni). Ad esempio, la CTR potrà valutare diversamente l’onere della prova alla luce di Cassazione più recente. Infine, l’ultimo grado è la Corte di Cassazione, ma solo per questioni di diritto: qui possono essere ribaltati orientamenti su inerenza, onere probatorio, ecc. L’importante è, sin dal ricorso introduttivo, costruire un impianto logico e giuridico solido, supportato da fonti normative e precedenti, perché alla fine la Cassazione (se ci si arriva) valuterà proprio se la Commissione ha rispettato quei principi. Ad esempio, un motivo di ricorso per Cassazione potrebbe essere: “violazione art. 2697 c.c. – la CTR ha invertito l’onere della prova gravando il contribuente di provare l’inesistenza della frode nonostante l’ufficio non avesse fornito presunzioni gravi” – argomento che la Cassazione ha effettivamente affrontato confermando che la disciplina nuova dell’onere probatorio non altera i principi tradizionali (l’onere resta a carico del contribuente se il Fisco porta presunzioni di inesistenza, come visto). Conoscere queste pronunce e citarle può fare la differenza.

Casi pratici e giurisprudenza: esempi di difesa e orientamenti dei giudici

Per calare i principi nel concreto, esaminiamo alcuni casi pratici ispirati da vicende reali e come sono stati risolti, evidenziando cosa possiamo apprendere in termini di difesa.

Caso 1: “Corso fantasma con fatture false” – Società Alfa S.r.l.
Scenario: Alfa S.r.l., impresa manifatturiera, nel 2021 deduce €80.000 di spese per un “Corso avanzato di lean management” destinato ai suoi operai, erogato da Beta S.r.l. Inoltre Alfa utilizza un credito d’imposta Formazione 4.0 di €32.000 relativo a tali costi. Nel 2024, un controllo incrociato rivela che Beta S.r.l. è una società cartiera: formalmente attiva nel campo della formazione, ma senza dipendenti né aule, già coinvolta in frodi. La GdF avvia un controllo da cui emerge che presso Alfa S.r.l. nessuno ricorda di aver frequentato il corso; i registri presentati risultano firmati sempre dalla stessa penna e sospettati di falsità; Beta S.r.l. viene rinviata a giudizio per emissione di fatture false. L’Agenzia contesta ad Alfa il costo integrale e il credito, emettendo avviso di accertamento con recupero di €80.000 a tassazione (maggior IRES €17.600) e €32.000 di credito indebito, sanzionando il tutto come frode (sanzione 90% su IRES = €15.840, e 100% sul credito = €32.000). Segnala inoltre la posizione alla Procura: gli amministratori di Alfa sono indagati ex art. 2 e 10-quater D.Lgs. 74/2000.
Difesa: La posizione è seria. Alfa S.r.l. si affida a un legale per tentare di difendere almeno la buona fede. Vengono raccolte e prodotte: email scambiate all’epoca con Beta S.r.l. (che mostrano come Alfa avesse effettivamente commissionato un corso, ignara della natura fittizia di Beta), attestati di partecipazione firmati da ogni operaio e controfirmati dal responsabile produzione (sostenendo che il corso era online su piattaforma e per questo Beta non aveva sede fisica). Viene anche depositata una perizia grafologica di parte che sostiene l’autenticità di molte firme. In parallelo, Alfa – conscia delle difficoltà – versa immediatamente tutte le somme dovute (imposta, interessi, ecc.) cercando di estinguere il debito tributario.
Esito: In Commissione, l’accertamento viene confermato nel merito: i giudici ritengono che Alfa non abbia provato l’effettiva esistenza del corso, notando come i dipendenti in aula abbiano negato la frequenza e come Beta S.r.l. fosse una mera scatola vuota. Tuttavia, accolgono parzialmente le tesi difensive in punto sanzioni: riconoscono che Alfa potrebbe essere stata vittima della frode di Beta e, richiamando Cassazione, affermano che la buona fede esclude la punibilità amministrativa . Pertanto annullano le sanzioni (ma non l’imposta né il credito restituito). Inoltre, prendono atto del pagamento integrale già effettuato. Conseguentemente, il debito fiscale resta a carico di Alfa, ma senza sanzioni. Sul piano penale, il PM, visto che Alfa ha pagato tutto ancor prima dell’udienza, richiede l’applicazione dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000: il reato di dichiarazione fraudolenta è dichiarato estinto dal giudice penale per intervenuto integrale pagamento . L’amministratore di Alfa viene quindi prosciolto. Beta S.r.l. e il suo prestanome saranno invece condannati per emissione di fatture false.
Lezione appresa: In casi di corsi mai esistiti, la difesa fiscale è estremamente ardua sul merito – i giudici tributari tendono a dare prevalenza agli elementi oggettivi raccolti dall’ufficio (assenza di prova reale del corso) e difficilmente credono a ricostruzioni posticce. La strategia vincente è risultata il dimostrare la buona fede: agire prontamente, pagare il dovuto e cooperare evidenziando di essere stati tratti in inganno. Ciò ha salvato Alfa almeno dalle sanzioni amministrative e dal penale, sebbene il risparmio fiscale ottenuto indebitamente sia stato restituito per intero. Questo caso insegna anche l’importanza di verificare l’affidabilità dei propri fornitori di formazione: se Alfa avesse fatto due diligence su Beta (scoprendo che non aveva struttura né storia), avrebbe evitato di cadere nella trappola.

Caso 2: “Spese di formazione non inerenti” – Studio Delta (professionista)
Scenario: Il dott. Delta è un libero professionista (fisioterapista). Nel 2022 ha frequentato un master in gestione aziendale sanitaria, molto costoso (€12.000), deducendo però soltanto €10.000 per via del tetto normativo, oltre a spese di viaggio per €1.000 (dedotte anch’esse entro il plafond). In sede di controllo, l’Agenzia non contesta l’esistenza del master (che è documentato da attestato), ma la sua inerenza: sostiene che Delta, in qualità di fisioterapista che opera da solo, non abbia effettivo bisogno di competenze di gestione aziendale, e che il master avesse un taglio manageriale più adatto a dirigenti di cliniche (quindi spesa non pertinente all’attività di un lavoratore autonomo sanitario). Emana dunque un avviso disconoscendo la deduzione dei €10k (con recupero di IRPEF ~€4.300 e sanzione 90% ~€3.870).
Difesa: Delta presenta ricorso eccependo che l’inerenza va valutata in senso ampio: il master gli ha fornito conoscenze di organizzazione dello studio e marketing sanitario, migliorando la sua attività libero-professionale (infatti, allega al ricorso dati di crescita del fatturato post-master). Evidenzia che la legge 81/2017 incentiva la formazione continua dei professionisti e che la deduzione di €10k è espressamente consentita; indica che l’Agenzia in altre sedi ha riconosciuto come inerenti anche corsi non clinici per operatori sanitari (riporta stralci di interpelli positivi, se esistenti). Sottolinea che l’amministrazione non può sindacare l’utilità economica soggettiva di un corso, citando Cassazione: “l’imprenditore (o professionista) è libero di valutare le esigenze formative, il Fisco può solo verificare che vi sia attinenza all’oggetto dell’attività” (riporta massime di Cass., ad es. Cass. 17408/2018 sull’inerenza quale nesso qualitativo).
Esito: La C.G.T. di primo grado dà ragione al contribuente. Nella motivazione, afferma che l’inerenza era sussistente: il master riguardava la gestione di strutture sanitarie e dunque era coerente con l’attività del fisioterapista, che pur essendo singolo professionista beneficia di skill manageriali per organizzare il suo studio (gestione di contabilità, relazioni con clienti, ecc.). I giudici condividono che non spetta all’amministrazione valutare l’efficacia concreta della spesa, bastando che questa abbia una potenziale correlazione con l’attività (il che nel caso di specie è evidente dalla materia trattata). Hanno considerato significativo il fatto che il legislatore abbia previsto la deduzione integrale di tali spese fino a 10k: ciò denota un favor per la formazione, incompatibile con un’interpretazione restrittiva dell’inerenza. L’atto viene quindi annullato integralmente e l’Agenzia condannata anche alle spese di giudizio.
Lezione appresa: In situazioni di contestazione sull’inerenza, la difesa deve puntare a dimostrare la connessione logica tra il corso e l’attività, senza lasciarsi intimorire da una valutazione soggettiva dell’ufficio. Portare elementi oggettivi (programma del corso, eventuali vantaggi pratici ottenuti, testimonianze di come le conoscenze sono state applicate) aiuta a persuadere i giudici. Inoltre, invocare un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui l’inerenza non richiede un profitto immediato o una necessità manifesta ma va interpretata estensivamente è risultato efficace. Questo caso conferma che la Commissione può essere sensibile a un’impostazione “pro-contribuente” quando la spesa non è palesemente estranea. Per i professionisti, è sempre bene mantenere documentazione che leghi il corso all’attività: ad esempio Delta allegando la brochure del master ha potuto evidenziare i moduli pertinenti (marketing dello studio medico, fiscalità sanitaria etc.). Anche piccole cose come aver dedotto entro il limite (segno che conosceva la norma e ne ha rispettato il tetto) danno un’impressione di contribuente accorto e in buona fede.

Caso 3: “Credito Formazione 4.0 revocato per formalità mancanti” – Azienda Gamma S.p.A.
Scenario: Gamma S.p.A., industria metalmeccanica, forma nel 2019 i propri operai sull’utilizzo di macchinari CNC di ultima generazione. Ottiene un credito d’imposta Formazione 4.0 di €50.000 (50% su costi per €100.000). Nel 2022 subisce un controllo specifico sull’uso del credito. Dalla verifica emergono due criticità: (a) l’azienda non aveva depositato entro il 2019 l’accordo sindacale di coinvolgimento dei dipendenti (era obbligatorio per il credito 2018-2019) ; (b) la relazione sulle attività formative predisposta è giudicata dall’Ufficio troppo generica (poche pagine senza dettagli su ore e contenuti). L’Agenzia quindi emette un atto di recupero del credito di €50.000 più interessi e sanzione al 30% (€15.000) ritenendolo “non spettante” (non qualificandolo come inesistente poiché i corsi ci sono stati ma con vizi formali).
Difesa: Gamma presenta istanza di adesione puntando a far riconoscere almeno la buona fede. Durante il contraddittorio, sottolinea che la mancata presentazione dell’accordo sindacale fu dovuta a un’incertezza normativa (alcune circolari MISE 2018 avevano lasciato intendere flessibilità sui tempi di deposito); inoltre evidenzia come dal 2020 l’obbligo di accordo è stato abolito dalla legge (segnalando l’incongruenza di penalizzare rigidamente chi nel 2019 magari non l’aveva fatto in tempo) . Riguardo la relazione, Gamma porta in Agenzia un integrazione dettagliata: 20 pagine aggiuntive con specifiche su ogni modulo formativo, sostenendo che la normativa non richiedeva un formato vincolante e che comunque adesso tutti i dettagli sono forniti . Propone dunque di rinunciare a una quota di credito (es. €10.000) ma di vedersi riconosciuto il resto, dati i risultati concreti della formazione (miglioramento del processo produttivo documentato).
Esito: L’adesione si conclude positivamente: l’Agenzia, riconoscendo che effettivamente i corsi erano stati svolti (c’erano registri firme regolari) e che l’assenza dell’accordo sindacale potrebbe essere sanata come “irregolarità formale”, accetta di ridurre il recupero del credito del 80%. Gamma rinuncia a €10.000 di credito, restituendo solo tale importo. La sanzione viene ricalcolata sul dovuto ridotto e poi abbattuta a 1/3 in virtù dell’adesione . In definitiva Gamma paga circa €3.000 di sanzioni (invece di 15k) e si tiene €40.000 di credito.
Lezione appresa: Questo esempio dimostra come, in situazioni borderline dove i corsi sono stati fatti ma difettano alcuni adempimenti, la strada migliore sia la trattativa con l’ufficio. Mostrare collaborazione (fornendo i documenti integrativi) e far valere la proporzionalità (non c’è stata frode sostanziale, solo un vizio formale) ha portato a un compromesso vantaggioso. In particolare, il richiamo alle interpretazioni ministeriali e al fatto che la legge successiva ha semplificato gli obblighi ha convinto l’Agenzia a non infierire. Questo insegna che nelle violazioni formali collegate a crediti, spesso l’approccio rigido iniziale dell’Ufficio può ammorbidirsi se il contribuente argomenta bene la non essenzialità del requisito mancante. Anche la predisposizione postuma di documenti integrativi (come la relazione dettagliata) può essere accolta positivamente, come avvenuto qui, purché si resti nell’alveo di cose già fatte (Gamma non si è inventata nuovi corsi, ha solo dettagliato meglio quelli svolti).

Caso 4: “Bonus docenti revocato” – Prof.ssa Epsilon
(Accenno – caso extraprofessionale): La Prof.ssa Epsilon, insegnante di scuola statale, spende il bonus docenti da €500 in parte per acquisti ammessi (libri, corsi online) e in parte per un tablet non consentito. Il Ministero, su input dell’Agenzia Entrate, le revoca €300 di bonus spesi impropriamente, chiedendo la restituzione e applicandole una sanzione amministrativa di pari importo. Epsilon presenta ricorso sostenendo che il tablet era utilizzato per la didattica (quindi utile alla formazione). Il giudice amministrativo (competente essendo un provvedimento di Ministero) respinge la tesi e conferma che l’acquisto era escluso, ma – riconoscendo l’assenza di malafede e la modicità dell’importo – annulla la sanzione aggiuntiva, ordinando solo la restituzione dei €300 indebitamente spesi.
Lezione: Pur non essendo un caso di accertamento tributario in senso stretto, questo scenario (ispirato a casi veri) ricorda che quando si fruiscono agevolazioni per la formazione, bisogna attenersi scrupolosamente alle regole di utilizzo, perché i controlli ci sono e portano a revoche. In caso di contestazione su piccoli importi, è comunque possibile difendersi evidenziando la propria buona fede e cercando almeno di evitare le penalità ulteriori. Nel contesto di importi sotto €4.000, inoltre, non scatta implicazione penale (nel bonus docenti la soglia per il reato è 4.000€ ai sensi dell’art. 316-ter c.p.) , dunque la questione resta amministrativa.

Questi casi evidenziano come ogni situazione richiede un approccio difensivo personalizzato: la chiave è comprendere se la contestazione verte su fatti (esistenza del corso), valutazioni (inerenza/utilità) o adempimenti formali, e adattare di conseguenza la strategia – combattiva sulle prime (se si ha sostanza da opporre), argomentativa sulle seconde (cercando di convincere), e conciliativa sulle terze (cercando uno sconto). La giurisprudenza offre spunti sia favorevoli sia contrari al contribuente, quindi è compito del difensore scegliere i precedenti giusti: p.es., citare CGT Palermo 2023 per sostenere un’interpretazione ampia pro-contribuente, oppure distinguere il proprio caso da quello sfavorevole di CGT Piemonte 2024 evidenziando che nel proprio caso la prova è più solida.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “false spese di formazione professionale”?
R: Si tratta di costi relativi a corsi, master, aggiornamenti professionali che vengono dichiarati al Fisco ma in realtà non sono legittimi. Può trattarsi di spese completamente inventate (corsi mai tenuti, documentati con fatture false), oppure di spese reali ma non deducibili per legge (perché non inerenti all’attività o perché non rispettano i requisiti previsti). In pratica rientrano in questa categoria sia le operazioni inesistenti (fittizie) sia le irregolarità sostanziali (spese usate impropriamente per abbattere le tasse). L’Agenzia delle Entrate, quando accerta tali situazioni, parla di “spese di formazione indebitamente dedotte” o “crediti d’imposta formazione non spettanti” – nel gergo corrente, diciamo “false” perché non trovano riscontro legittimo nella realtà economica del contribuente.

D: La mia azienda ha davvero svolto i corsi, ma l’Agenzia li contesta perché sostiene che non servivano all’attività: posso difendermi?
R: Sì. In questo caso non parliamo di frode, ma di inerenza della spesa. Può succedere che il Fisco consideri un corso “non inerente” – ad esempio un contenuto troppo generico o non collegato al core business. La difesa consisterà nel dimostrare concretamente l’attinenza del corso all’attività d’impresa: potete spiegare come le conoscenze acquisite siano state applicate in azienda, mostrare documenti che provano un miglioramento nei processi, oppure che il corso era comunque utile per la crescita professionale dei dipendenti. La legge e la giurisprudenza vi sono abbastanza favorevoli: l’inerenza non richiede un beneficio immediato, basta che il corso abbia una potenzialità di utilità nell’attività . Se riuscite a convincere il giudice di questo (magari supportati da precedenti sentenze analoghe), avete buone probabilità che la contestazione venga annullata. Quindi assolutamente difendersi, argomentando nel merito e magari chiamando un consulente tecnico che attesti la rilevanza di quelle competenze per il vostro settore.

D: Ho usato un ente di formazione esterno che dopo è risultato essere una “cartiera” (società fantasma): rischi per me?
R: Purtroppo, sì, ci sono rischi. Se l’ente era una cartiera, l’Agenzia potrà presumere che i corsi erano inesistenti, e quindi le vostre fatture sono considerate false. Dovrete affrontare sia il recupero delle imposte con sanzioni, sia (sopra certe soglie) un possibile procedimento penale per dichiarazione fraudolenta. Tuttavia, se voi ignoravate in buona fede la natura fraudolenta del fornitore, potete difendervi su due fronti: in sede tributaria, provando l’effettiva esecuzione dei corsi (se possibile) o almeno la vostra diligenza (mostrando ad es. che l’ente era accreditato o presentava documenti regolari, per chiedere l’esclusione delle sanzioni) ; in sede penale, dimostrando l’assenza di dolo, ossia che non eravate consapevoli di partecipare a una frode . Se effettivamente avete elementi di buona fede (pagamenti tracciati, scelta del fornitore per referenze ricevute, etc.), spesso in fase penale la posizione del “cliente inconsapevole” viene archiviata o si conclude con un proscioglimento. Resta però il problema fiscale: se non si riesce a provare che i corsi si sono svolti davvero tramite altri mezzi, le imposte dovrete pagarle (non basta dire “pensavo fosse tutto regolare”). In sintesi, rischiate di dover restituire i benefici fiscali ottenuti, ma potete cercare di evitare le sanzioni e guai penali dimostrando la vostra buonafede e cooperazione.

D: Quali documenti dovrei conservare per evitare contestazioni sulle spese di formazione?
R: Una regola aurea è conservare tutto il possibile. In particolare: le fatture o ricevute di pagamento dei corsi (intestate correttamente alla vostra azienda/professione); i contratti o convenzioni firmati con l’ente formatore; i programmi dettagliati dei corsi (brochure, syllabus) con indicazione degli argomenti e durate; i registri di presenza con firme quotidiane di partecipanti e docenti ; eventuali test finali svolti o project work prodotti durante la formazione; le relazioni o report finali rilasciati dal formatore ; gli attestati individuali consegnati ai partecipanti (con nome del dipendente, titolo del corso, ore svolte) . Inoltre, email di convocazione, fotografie delle sessioni (se appropriate), materiale didattico distribuito (slide, dispense) – tutto può servire come prova. Se la normativa del bonus richiede specifici documenti (es. certificazione del revisore dei conti per i costi nel credito 4.0), assicuratevi di averli e conservarli . Tenere un fascicolo completo per ogni attività formativa vi metterà al riparo: in caso di verifica, basterà esibire quel fascicolo perché il verificatore abbia evidenza concreta che il corso c’è stato davvero e con le modalità previste. Spesso le contestazioni nascono proprio perché mancano registri o attestati, facendo sorgere il sospetto che la formazione sia finta: non date spazio a dubbi, archiviate tutto in modo ordinato almeno fino a che i termini di accertamento sono scaduti (meglio 8-10 anni se ci sono crediti d’imposta di mezzo, vista la possibilità di controlli lunghi).

D: L’Agenzia può contestare spese di formazione sostenute anni fa? Quando scade la possibilità di accertamento?
R: I termini di accertamento “ordinari” per le imposte sui redditi e IVA sono, in generale, di 5 anni successivi a quello in cui avete presentato la dichiarazione (se la Dichiarazione 2020 per l’anno 2019 è stata presentata nel 2020, il 31 dicembre 2025 è l’ultimo giorno utile per un accertamento su quell’anno). Tuttavia, attenzione: se viene riscontrato un fatto penalmente rilevante (es. uso di fatture false, reato ex art. 2), il termine raddoppia a 10 anni . Quindi, per spese di formazione che configurino frode, l’Agenzia ha più tempo. Inoltre, per i crediti d’imposta c’è una disciplina speciale: spesso gli atti di recupero possono essere notificati entro 8 anni dall’utilizzo del credito, anche senza reato, in quanto considerati “crediti inesistenti”. Dunque, per prudenza, conservate la documentazione e siate pronti a difendere spese fino a 8-10 anni indietro se c’è stata una fruizione significativa. Dopo tali termini, scatta la decadenza: l’ufficio non può più emettere avvisi per quell’annualità. Ricordate però che se avete presentato dichiarazione integrativa a vostro favore riportando un credito (ad esempio Formazione 4.0) il termine di controllo potrebbe decorrere da quella integrativa. In generale, considerando le possibili proroghe, conviene tenere i documenti almeno 10 anni.

D: È vero che pagando subito quanto richiesto posso evitare il processo penale?
R: Sì, in molti casi è vero. La normativa (art. 13 D.Lgs. 74/2000) prevede che se l’imputato provvede al pagamento integrale del debito tributario (imposta evasa + interessi + sanzioni) prima che inizi il dibattimento penale, i reati di dichiarazione fraudolenta, infedele e indebita compensazione vengono dichiarati estinti . Quindi, se vi contestano penalmente di aver evaso tramite false spese di formazione, avete un forte incentivo a saldare il dovuto al Fisco il prima possibile: una volta dimostrato al giudice penale che il debito col Fisco è stato azzerato, egli dovrà non punirvi (o al massimo applicare una causa di estinzione). Nel caso di utilizzo di fatture false oltre 100k (art. 2), ad esempio, ciò vi salverebbe da una condanna potenzialmente molto pesante. Attenzione: questo vale solo se pagate tutto. Se avete anche altri debiti fiscali, vanno saldati anch’essi. Inoltre, il pagamento tardivo (dopo l’avvio del dibattimento) non dà la non punibilità ma solo una attenuante. Dunque, per massimizzare la tutela, è consigliabile – compatibilmente con le risorse – pagare spontaneamente già in fase di indagine. Spesso il vostro legale può concordare con la Procura tempi congrui per farlo. Ovviamente resta a vostro carico il fatto di dover trovare le somme: ma bisogna considerare il trade-off tra un esborso economico e il rischio di una condanna penale (con casellario, interdizioni, etc.). Va aggiunto che se pagate subito, ciò giova anche nel procedimento tributario: l’Agenzia potrà più facilmente valutare positivamente un’adesione o una conciliazione.

D: Cosa devo fare se ricevo un Processo Verbale di Constatazione (PVC) che mi contesta queste spese?
R: Il PVC è un documento chiave perché vi offre la possibilità di intervenire prima che l’accertamento diventi definitivo. Dal giorno in cui vi notificano (o consegnano) il PVC, avete 60 giorni per presentare all’Agenzia delle Entrate delle osservazioni e richieste scritte (memoria difensiva). In questi atti potete contestare punto per punto le risultanze del PVC: ad esempio, spiegare circostanze che i verificatori hanno travisato, fornire documenti che non erano stati esibiti in verifica, citare prassi o sentenze a vostro favore. L’Agenzia è tenuta per legge a valutare quanto scrivete prima di emettere l’avviso di accertamento (salvo situazioni di particolare urgenza o prevenzione di frodi, ma sono eccezioni). Dunque, non ignorate mai un PVC: coinvolgete subito un fiscalista e preparate una risposta dettagliata. Anche se pensate “tanto hanno già deciso”, spesso le memorie portano a sgravare almeno in parte la pretesa, o a far riconsiderare sanzioni. Inoltre, presentare osservazioni vi tornerà utile in seguito: dimostra la vostra buona fede e vi permette di aver già impostato la difesa (il che può scoraggiare l’ufficio dal fare errori grossolani). In sintesi, dopo un PVC: analizzatelo a fondo, raccogliete controprove, e inviate una memoria raccomandata (o PEC) all’ufficio verificatore, protocollata, entro i 60 giorni. Nel frattempo, potete anche valutare se ci sono i presupposti per un’eventuale definizione agevolata se prevista (ad esempio, a volte dopo PVC su imposte sui redditi si può proporre adesione anticipata). Ma la cosa più importante è far sentire la vostra voce entro quei 60 giorni.

D: Conviene aderire all’accertamento o fare ricorso?
R: Dipende dalla forza del vostro caso e da considerazioni economiche. L’adesione (così come la conciliazione) vi dà il vantaggio di ridurre drasticamente le sanzioni (a 1/3 del minimo) e chiudere presto la vicenda, evitando spese di giudizio e incertezze. Tuttavia, aderendo voi accettate la pretesa fiscale (magari con qualche sconto): quindi pagherete comunque l’imposta (e una parte di sanzione). Se siete sicuri di avere ragione – ad esempio avete prove solide che i corsi si sono svolti e la contestazione è palesemente infondata – potrebbe valere la pena fare ricorso, perché c’è chance di annullamento totale. Anche perché in caso di vittoria in giudizio non pagherete né imposta né sanzione, e potreste ottenere il rimborso delle spese legali. D’altro canto, se la situazione è grigia (ci sono irregolarità formali, o la prova non è granitica) forse è prudente aderire: otterrete un abbattimento sanzioni e magari l’ufficio accoglierà parzialmente le vostre ragioni in sede di adesione. Una strategia possibile è: presentare ricorso (per non perdere il termine) e parallelamente tenere aperta la porta della conciliazione. Spesso, quando l’ufficio legge il ricorso e vede i vostri argomenti, può essere disponibile a una conciliazione favorevole. In sintesi: se il diritto è dalla vostra, ricorso; se l’esito è incerto e le sanzioni alte, meglio trattare. Valutate anche l’ammontare in ballo: per cifre modeste, il gioco del contenzioso potrebbe non valere la candela (tra costi e tempi). Per cifre molto grandi, una transazione potrebbe farvi risparmiare sanzioni nell’ordine di decine di migliaia di euro, quindi è da considerare seriamente.

D: Dopo una contestazione del genere, la mia posizione fiscale sarà considerata a rischio per il futuro?
R: Diciamo che sicuramente finirete su una sorta di “lista di attenzione”. Se l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che avete dedotto costi falsi o indebiti, è probabile che nei successivi periodi d’imposta i vostri dati di bilancio e dichiarazione saranno monitorati con maggiore attenzione. Ciò può tradursi in una maggiore probabilità di ulteriori controlli o ispezioni negli anni successivi, specie se operate in settori dove le frodi sono diffuse. Inoltre, se vi è stato un procedimento penale, i vostri dati confluiranno nelle banche dati investigative, e la Guardia di Finanza potrebbe includervi in future analisi di rischio. In concreto, vi conviene adottare un profilo prudente: dopo una contestazione, migliorate i vostri sistemi interni di compliance, documentate ancora meglio ogni spesa, e – se possibile – evitate di fruire di crediti d’imposta “sensibili” per un po’, a meno che non siate certi di rispettare tutti i requisiti. Non esiste una blacklist ufficiale, ma ufficiosamente i contribuenti con precedenti contestazioni vengono tenuti d’occhio. Detto ciò, se la contestazione si chiude a vostro favore (annullamento in giudizio), ciò vi riabilita agli occhi del Fisco sotto un certo aspetto. Invece, se avete definito pagando, l’amministrazione incamera il dato che avete ammesso l’addebito (seppur con ravvedimento/adesione). Quindi sì, un po’ di “bersaglio fiscale” rimane. Ma potete mitigarlo mantenendo una condotta fiscale trasparente e in regola, così da non dare appigli in futuro.

D: Le spese per corsi obbligatori (es. sicurezza sul lavoro) possono essere contestate o escluse dal bonus Formazione 4.0?
R: Le spese per la formazione obbligatoria per legge (tipo corsi sulla sicurezza D.Lgs. 81/2008, formazione antincendio, privacy GDPR, etc.) sono normalmente deducibili come costi di lavoro, perché inerenti (anzi imposti dalla normativa). Quindi non verranno contestate come indeducibili in sé. Tuttavia, la normativa del credito Formazione 4.0 le escludeva espressamente dal novero dei corsi agevolabili , in quanto il bonus era riservato a formazione aggiuntiva su tecnologie innovative. Dunque, se avete incluso corsi obbligatori nel calcolo del credito d’imposta, l’Agenzia li contesterà come non ammissibili al bonus (pur restando deducibili nel reddito). In sede di difesa, non c’è molto da fare: la legge è chiara che i corsi obbligatori non danno diritto al credito. L’unica cosa da verificare è se il corso contestato fosse effettivamente obbligatorio per legge o no (a volte c’è dibattito: es. un corso su norme ambientali specifiche è obbligatorio? Dipende). Se riuscite a sostenere che non era “formazione ordinaria obbligatoria” ma parte di un percorso formativo volontario, allora potreste ribaltare la contestazione. Ma se era un corso di sicurezza standard, quel pezzo di credito verrà legittimamente revocato. In sintesi: dedurre i costi di corsi obbligatori va bene (nessuna sanzione su quello), ma non contarli nei crediti d’imposta innovativi.

D: In caso di processo tributario, chi ha l’onere della prova sulle spese contestate?
R: Questo è cruciale. In via generale, vale l’art. 2697 c.c.: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne sono fondamento. Per le imposte, significa che l’Agenzia, se ritiene simulato un costo, deve fornire elementi (anche presuntivi) che ne indicano la falsità; a quel punto, tocca al contribuente dimostrare la reale esistenza e deducibilità di quel costo . La Cassazione ha chiarito che quando il Fisco prova, anche per presunzioni gravi, l’inesistenza dell’operazione, non basta al contribuente esibire le fatture o le scritture contabili regolari – deve provare con altri elementi che il servizio c’è stato davvero . Dunque, in pratica, l’onere della prova in casi di spese di formazione contestate grava fortemente sul contribuente. Recentemente è stata introdotta una norma (art. 7 c.5-bis D.Lgs. 546/92) che sembra riequilibrare l’onere probatorio a carico dell’ente impositore; ma la Cassazione ha detto che quella norma non cambia la sostanza: se non ci sono presunzioni legali, valgono i principi tradizionali , e restano utilizzabili le presunzioni semplici. Quindi, ricapitolando: l’Agenzia deve almeno fornire un principio di prova (es. “fornitore inesistente, dipendenti che negano il corso”); fatto ciò, voi dovete contro-provare che il corso c’è stato ed era legittimo. Se la bilancia probatoria pende a vostro favore, vincete, altrimenti no. Un’eccezione è se l’Agenzia applica una presunzione legale (non in questo campo specifico, ma es. se ci fosse una norma che dice che certe spese sono finte salvo prova contraria): in tal caso si invertirebbe subito l’onere a vostro carico. Ma nel tema formazione non ci sono presunzioni legali di inesistenza – è tutto sulle prove di fatto. Quindi predisponetevi a raccogliere voi le evidenze. Ricordate anche che, se qualcosa non è documentato, difficilmente il giudice potrà darvi ragione per “beneficio del dubbio” – in ambito tributario quel concetto è sfumato rispetto al penale, e spesso la mancanza di prova da parte del contribuente significa soccombenza.

D: Quali sono le sanzioni penali effettive in caso di condanna? Si rischia il carcere?
R: Le sanzioni penali astratte le abbiamo esaminate (fino a 8 anni per frode, 5 anni per indebita compensazione, 4 anni per infedele, etc.). In caso di condanna, però, la pena concreta viene determinata dal giudice considerando attenuanti, rito prescelto, ecc. Per un contribuente incensurato che avesse, poniamo, dedotto 200k di costi falsi, è plausibile un patteggiamento attorno a 2 anni di reclusione (pena sospesa, niente carcere) se paga il dovuto. Se invece non paga nulla e va a dibattimento e viene riconosciuto colpevole di frode oltre 100k, potrebbe prendere anche 3-4 anni e in quel caso sì, c’è il rischio concreto di detenzione (oltre i 2 anni di solito non si concede la sospensione condizionale senza almeno parziale pagamento). Quindi il rischio carcere esiste in teoria per le condotte più gravi e ostinate. Nella prassi, casi di effettiva carcerazione per false spese di formazione emergono solo quando c’è dietro una frode più ampia (es. un’organizzazione che sistematicamente faceva false fatture per milioni – lì i promotori possono finire in carcere). Il singolo contribuente che si trova una contestazione fiscale di entità non enorme, se si attiva per riparare e utilizza il patteggiamento, di rado vede la galera. Inoltre, il recente innalzamento di alcune soglie (100k imposta evasa per infedele) e la non punibilità post-pagamento rendono ancor meno frequente il carcere. Quindi: tecnicamente rischio carcere c’è oltre certe soglie, ma concretamente chi collabora e non persevera nella frode può quasi sempre evitare la reclusione. Diverso sarebbe ignorare del tutto il problema: se uno non paga, va a processo, perde e aveva evaso molto, allora sì – la pena può essere eseguita, specie dopo la riforma che ha inasprito le pene e reso più difficile rientrare sotto i 2 anni.

D: Se vinco in commissione e l’accertamento viene annullato, posso chiedere i danni per il fastidio subito?
R: In linea di massima, no, non direttamente. Nel processo tributario non è previsto il risarcimento del danno per l’accertamento illegittimo; potete al più ottenere la refusione delle spese legali (se il giudice le liquida a vostro favore). Solo in casi eccezionali, se l’azione del Fisco è stata particolarmente negligente o vessatoria, si potrebbe ipotizzare un’azione separata per danni, ma è molto difficile da vincere perché l’Amministrazione gode di una certa immunità salvo colpa grave. Quindi, realisticamente, la vostra soddisfazione consisterà nell’aver evitato di pagare ingiustamente. Diverso è se, a seguito di un errore grave dell’ufficio, avete subito un danno concreto (es. un fermo amministrativo di beni che vi ha fatto perdere contratti) – in teoria lì un risarcimento sarebbe ipotizzabile, ma occorre un procedimento civile contro l’AdE non semplice. In definitiva, puntate a farvi riconoscere le spese di giudizio (onorario dell’avvocato, spese di perizia) nella sentenza: la Commissione può condannare l’ufficio a pagarvele, ed è la via più diretta per essere almeno ristorati delle spese affrontate. Per i danni morali o stress, purtroppo, non c’è rimedio giuridico codificato nel contenzioso tributario.

D: Dopo aver chiuso la vicenda, posso prevenire future contestazioni analoghe?
R: Sì, facendo tesoro dell’esperienza. Ad esempio, se vi hanno contestato mancanza di registri firme, d’ora in poi non dimenticateli mai. Se il problema era l’inerenza, magari valutate con un fiscalista prima di iscrivervi a un costoso corso se effettivamente è deducibile, così da evitare sorprese. Potete anche, per maggiore sicurezza, usare lo strumento dell’interpello all’Agenzia: presentare un interpello prospettando, ad esempio, “intendo fare questo master, posso dedurlo come aggiornamento professionale?” – se l’Agenzia risponde affermativamente, siete blindati (purché rispettiate condizioni). Certo, non si può interpellare per tutto, ma su casi dubbi conviene. In ambito di crediti d’imposta, seguite pedissequamente le circolari esplicative: fate un checklist di tutti gli adempimenti richiesti e assicuratevi di rispettarli. Inoltre, investite un po’ in formazione interna sulla compliance fiscale: ad esempio, far fare un corso al proprio amministrativo su come documentare correttamente le spese, paradossalmente, è una “spesa di formazione” che vi eviterà grane! Infine, mantenete un rapporto di fiducia con consulenti e revisori: se sapete di essere sotto la lente per un precedente, fate magari eseguire una verifica volontaria a un consulente esterno sulle vostre prossime deduzioni, così da far emergere e correggere eventuali criticità prima che arrivi il Fisco. In sostanza, la prevenzione si basa su due pilastri: documentare meglio e chiedere prima (consulenza/interpello) anziché rischiare dopo.

In conclusione, affrontare un accertamento su false spese di formazione è impegnativo, ma con la conoscenza dei propri diritti, una preparazione documentale solida e l’assistenza di professionisti esperti, è possibile difendersi efficacemente, come dimostrano anche le ultime pronunce dei giudici tributari . Ogni caso ha le sue peculiarità: valutatele con cura e scegliete la strategia più adatta, senza farvi sopraffare dall’iniziale asimmetria di potere. Il sistema offre strumenti per ripristinare l’equilibrio – usateli a vostro vantaggio. E soprattutto, fate della correttezza fiscale un punto di forza: investire in una gestione trasparente delle spese di formazione vi permette non solo di evitare sanzioni, ma anche di beneficiare delle agevolazioni previste senza timore, contribuendo alla crescita professionale vostra e dei vostri collaboratori in modo sicuro e duraturo.

Fonti:

  • D.P.R. 917/1986 (TUIR), art. 54 c.5 (deducibilità spese aggiornamento professionale) .
  • Legge 22/05/2017 n.81 art.9 (Jobs Act autonomi) e circ. Consiglio Naz. Forense 24/7/2017 (deduzione integrale fino 10k) .
  • D.Lgs. 446/1997 art.11 c.3 (IRAP, contributi correlati a costi indeducibili) e Cass. 17177/2022 (contributi formazione e IRAP) .
  • D.L. 50/2017 conv. L. 96/2017, D.M. 4/5/2018 e circ. MISE 412088/2018 (Credito Formazione 4.0: condizioni e adempimenti formali) .
  • Corte Giust. Trib. II grado Piemonte n. 287/2024 (Formazione 4.0: onere prova su contribuente, requisiti documentali stringenti) .
  • Corte Giust. Trib. Palermo 2023 (sentenza 30/08/2023) – Lexia avv. Dagnino – (Attività formative livello base ammissibili al credito 4.0) .
  • Cass. ord. 12649/2017; Cass. 16493/2024 ; Cass. 31878/2022 (onere della prova: presunzioni di frode e prova contraria contribuente).
  • Cass. 23890/2015 (rimborsi spese come compensi occulti) ; Cass. 17408/2018 e 18904/2020 (nozione di inerenza).
  • D.Lgs. 74/2000, artt. 2,3,4,8,10-quater (reati tributari: dichiarazione fraudolenta, infedele, emissione fatture, indebita compensazione) – come modificati da DL 124/2019 conv. L.157/2019 (pene inasprite, soglie ridotte) .
  • Fisco e Tasse, “Reati tributari nel Decreto Fiscale 2020” (Parini, 2019) .
  • Gdf Firenze, comunicato 18/02/2025 (Operazione corsi formazione fantasma, sequestro €440k, reati contestati) .
  • Studio Cerbone, sentenza CGT Piemonte 2024 (massima e svolgimento del caso Fratelli D.) .
  • AvvocatiCartelleSattoriali – guide su credito formazione 4.0 e bonus docenti (esempi di contestazioni e difese).
  • Statuto Contribuente L. 212/2000 art. 12 (diritto al contraddittorio post-PVC) .
  • D.Lgs. 218/1997 (accertamento con adesione, conciliazione) .
  • Cass. 17173/2018 (onere prova operazioni inesistenti) cit. in CTR Abruzzo 2019 .
  • Codice Penale art. 316-ter (indebita percezione erogazioni >€4000) .
  • Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, sezione n. 2, sentenza n. 287 depositata il 10 giugno 2024 – In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, è applicabile la sanzione di cui all’ art. 27, comma 18, d.l. n. 185 del 2008 , vigente ratione temporis, ovvero, se più favorevole, quella prevista dall’ art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’ art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997 , come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’ art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972 ; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’ art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 ovvero dall’ art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997 come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 qualora ratione temporis applicabile.
  • Corte di Cassazione sentenza n. 17177 depositata il 26 maggio 2022 – I contributi erogati per la formazione professionale di soggetti terzi all’ENFAP in base alla normativa comunitaria e regionale non possono essere esclusi dall’assoggettabilità ad IRAP perché per essi non è prevista una correlazione diretta tra l’importo erogato a titolo di contributo ed il corrispondente componente negativo indeducibile, essendo tali contributi parametrati, nella loro quantificazione, ai componenti negativi costituiti dai costi riferiti a ciascun progetto formativo nel suo complesso, mentre, per non essere soggetti a IRAP, devono essere direttamente riferiti ad un costo specifico e non deducibile ai fini dell’imposta
  • Sentenza del 23/07/2019 n. 706 – Comm. Trib. Reg. per l’Abruzzo.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate false spese di formazione professionale? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate false spese di formazione professionale?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Le spese per corsi, master, seminari e aggiornamenti professionali sono deducibili o detraibili se effettivamente sostenute e inerenti all’attività svolta. Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che tali spese siano inesistenti, non documentate o fittizie, procede al recupero delle imposte e all’applicazione di sanzioni.

👉 Prima regola: dimostra con documenti certi che la formazione è stata realmente svolta ed era collegata alla tua attività.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Fatture o ricevute false emesse da enti inesistenti o non accreditati;
  • Spese personali o non inerenti dichiarate come formazione;
  • Documentazione incompleta (assenza di ricevute, programmi dei corsi, attestati);
  • Utilizzo di spese di formazione mai sostenute per abbattere il reddito;
  • Incongruenze tra i redditi dichiarati e i costi di formazione imputati.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Indeducibilità o indetraibilità delle spese contestate;
  • Recupero delle imposte con sanzioni dal 90% al 180%;
  • Interessi di mora;
  • Possibile contestazione di dichiarazione infedele o, nei casi più gravi, di frode fiscale.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Validità dei documenti fiscali: le fatture provengono da enti reali e registrati?
  • Inerenza delle spese: i corsi erano collegati alla tua attività professionale?
  • Effettiva partecipazione: esistono attestati o registri di frequenza?
  • Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha dimostrato l’inesistenza delle spese o solo ipotizzato?
  • Rispetto delle regole fiscali sui limiti di deducibilità/detraibilità.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Fatture e ricevute di pagamento tracciato;
  • Programmi dei corsi e materiale didattico;
  • Attestati di partecipazione e registri presenze;
  • Contratti di iscrizione o e-mail di conferma;
  • Dichiarazioni dei redditi e prospetti di deduzione/detrazione.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la realtà delle spese con documenti e prove di partecipazione;
  • Contestare la riqualificazione come spese inesistenti se prive di riscontri oggettivi;
  • Chiarire la natura professionale degli eventi formativi;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione insufficiente, errori procedurali, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se la contestazione deriva da errori di valutazione;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per ridurre o annullare la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le spese di formazione contestate e la documentazione prodotta;
📌 Verifica la legittimità della contestazione fiscale;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce procedure preventive per una gestione corretta e sicura delle spese formative.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e deducibilità delle spese;
✔️ Specializzato in difesa di professionisti e imprese contro contestazioni su spese di formazione;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle false spese di formazione professionale non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali o da interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la realtà e l’inerenza delle spese, mantenere il diritto alla deduzione/detrazione ed evitare sanzioni indebite.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle spese di formazione inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!