Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune spese per viaggi e vacanze sono state portate in deduzione come costi aziendali? In questi casi, l’Ufficio presume che tali spese non siano inerenti all’attività d’impresa o professionale e le considera costi personali, indeducibili fiscalmente. La conseguenza è il recupero delle imposte con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: vi sono margini difensivi per dimostrare la reale connessione delle spese con l’attività svolta.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta spese di viaggi e vacanze
– Se i viaggi riguardano località turistiche senza legame con l’attività aziendale
– Se mancano documenti che provino l’esistenza di incontri di lavoro, eventi o fiere
– Se le spese coinvolgono anche familiari o soggetti estranei all’impresa
– Se i costi sono sproporzionati rispetto al volume d’affari
– Se la documentazione fiscale (fatture, ricevute) è generica o incompleta
Conseguenze della contestazione
– Indeducibilità totale o parziale delle spese contestate
– Maggiori imposte dirette (IRES, IRPEF) e IVA da restituire
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di ulteriori controlli su altre spese aziendali
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale inerenza delle spese con contratti, inviti, registrazioni di meeting o partecipazioni a fiere ed eventi
– Produrre documentazione dettagliata (programmi di viaggio, corrispondenza con clienti o fornitori)
– Contestare la riqualificazione come “spese personali” se il viaggio aveva finalità aziendali prevalenti
– Evidenziare errori di calcolo o difetti di motivazione nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione delle spese contestate e la loro rilevanza fiscale
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce della normativa e della giurisprudenza
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi formali dell’accertamento
– Difendere l’impresa davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale da conseguenze economiche sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione delle sanzioni e degli interessi
– Il riconoscimento della deducibilità delle spese realmente inerenti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: le contestazioni sulle spese di viaggio sono frequenti perché ritenute ad alto rischio di abusi. È fondamentale predisporre prove chiare per dimostrarne l’inerenza all’attività d’impresa.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi in caso di contestazioni sulle spese per viaggi e vacanze portate in deduzione e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Le spese di viaggio, soggiorno e persino vacanze aziendali possono facilmente diventare oggetto di contestazione da parte del Fisco italiano quando vengono portate in deduzione nei conti dell’impresa. Ciò accade perché spesso tali costi nascondono utilizzi personali o extra-aziendali: ad esempio viaggi di piacere del titolare o della famiglia, presentati come trasferte di lavoro. Il confine tra trasferta effettivamente inerente all’attività e vacanza mascherata da spesa aziendale è sottile, e gli accertatori dell’Agenzia delle Entrate tendono a scrutinare con attenzione queste voci di costo. Le conseguenze di una contestazione possono essere gravi: disconoscimento della deduzione con recupero delle imposte, sanzioni amministrative elevate e, nei casi più seri, perfino contestazioni penali per frode fiscale.
Di fronte a ciò, come difendersi? Questa guida avanzata, aggiornata ad agosto 2025, fornisce un quadro completo della normativa italiana in materia di deducibilità delle spese di viaggio e vacanze in ambito aziendale, con un taglio sia giuridico che pratico. Saranno esaminati i riferimenti normativi di rilievo, il fondamentale principio di inerenza e i criteri di deducibilità previsti dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) e dalla prassi. Verranno illustrati i controlli tipici del Fisco su queste spese e le strategie difensive nel contenzioso tributario, includendo i più recenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze di Cassazione 2023-2025) e le possibili ripercussioni sul piano penale (ad es. ipotesi di dichiarazione fraudolenta in caso di artifici).
Il taglio è rivolto a professionisti (avvocati tributaristi, dottori commercialisti) ma anche ad imprenditori e privati evoluti, con un linguaggio preciso sul piano giuridico ma chiaro e divulgativo. Oltre all’analisi normativa, troverete tabelle riepilogative dei principali casi e limitazioni, domande e risposte frequenti, nonché simulazioni pratiche focalizzate sul contesto italiano. L’obiettivo è offrire dal punto di vista del contribuente (debitore) gli strumenti conoscitivi per prevenire o affrontare contestazioni su viaggi e vacanze dedotti dall’azienda, impostando una difesa efficace basata su prove concrete e sugli ultimi sviluppi della giurisprudenza tributaria.
Quadro normativo: deducibilità delle spese di viaggio e vacanza in ambito aziendale
In Italia la deducibilità di un costo dal reddito d’impresa dipende in primo luogo dal principio generale di inerenza all’attività di impresa, desumibile dall’art. 109 comma 5 del TUIR. Tale norma prevede infatti che “le spese e gli altri componenti negativi… sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito” . In altre parole, un costo è deducibile solo se riferibile all’attività imprenditoriale svolta e sostenuto nell’esercizio di tale attività. Questo principio – che vale tanto per le società (IRES) quanto per gli imprenditori individuali o professionisti (IRPEF) – è la chiave per valutare se le spese di viaggio e soggiorno possano essere legittimamente sottratte al fisco oppure no.
Trasferte di lavoro e spese di trasferta
Le spese di trasferta sostenute per viaggi di lavoro (es. visite a clienti, partecipazione a fiere, missioni aziendali, convegni, corsi di formazione, ecc.) sono in linea di massima deducibili, purché rispettino requisiti di certezza, competenza e inerenza. Sul piano civilistico e fiscale ciò significa: – Esistenza e documentazione del costo: le spese devono risultare da giustificativi validi (biglietti di viaggio, ricevute di hotel, fatture di ristoranti, ecc.) intestati all’azienda o al professionista. Ad esempio, se un dipendente va in trasferta, l’hotel dovrebbe fatturare alla società e il costo va registrato contabilmente. – Inerenza all’attività: il viaggio dev’essere connesso all’attività aziendale. È importante poter indicare lo scopo lavorativo della trasferta (ad es. incontro con il cliente X, partecipazione alla fiera Y del settore, sopralluogo presso fornitore, corso di aggiornamento pertinente al business). In mancanza di uno scopo plausibile, l’Agenzia potrebbe dubitare dell’inerenza e quindi della deducibilità . – Limiti specifici di legge: alcune categorie di spesa connesse alle trasferte hanno limitazioni normative. Ad esempio, per i lavoratori autonomi (professionisti) le spese di vitto e alloggio in trasferta sono deducibili solo al 75% del loro ammontare e comunque entro il 2% dei compensi annui del professionista . Questi limiti (previsti dall’art. 54 TUIR per il reddito di lavoro autonomo) intendono evitare che il professionista deduca integralmente vitto e alloggio spacciandoli per costi di lavoro: di fatto si presume una componente personale, forfettariamente non deducibile al 25%. Esempio: un avvocato che nel 2024 ha compensi per 100.000 € potrà dedurre al massimo 2.000 € di spese di vitto e alloggio di trasferte (2% di 100k), e in ogni caso solo il 75% di ciascuna spesa singola (quindi per ogni fattura di hotel o ristorante potrà dedurre i tre quarti del valore) . Se tali spese sono riaddebitate al cliente (passate in parcella), diventano costi promiscui e seguono altre regole, ma in generale il limite opera quando il professionista se ne fa carico. Per le società e imprese invece non vige questo limite specifico del 75%-2%, essendo i costi di vitto/alloggio deducibili integralmente se inerenti. Tuttavia, come vedremo, esistono altre limitazioni oggettive (ad es. l’art. 164 TUIR sulle auto aziendali) e, naturalmente, l’eventualità che il Fisco ne contesti l’inerenza se il viaggio appare estraneo all’attività. – Tracciabilità dei pagamenti: una novità normativa introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 (L. 197/2024) richiede che, a decorrere dal periodo d’imposta 2025, le spese di viaggio, vitto e alloggio per trasferte siano pagate con strumenti tracciabili per poter essere dedotte . In mancanza di un pagamento con mezzi tracciabili (carte, bonifici, ecc.), non solo la spesa diventa indeducibile per l’azienda o il professionista, ma se rimborsata al dipendente potrebbe perfino essere considerata reddito imponibile per quest’ultimo . Questa misura mira a contrastare abusi e “scontrini facili” in contanti, imponendo una prova bancaria dei costi. Occorre quindi prestare attenzione: ad esempio, se un dipendente anticipa in contanti le spese di trasferta, l’azienda dovrà rimborsarlo tramite bonifico o altro mezzo tracciabile per poter dedurre quel rimborso. Sono esentati dall’obbligo alcuni casi particolari (es. biglietti di mezzi pubblici di linea come treni e aerei, che per legge già non richiedono tracciabilità ai fini fiscali) . In sintesi, dal 2025 il rispetto della tracciabilità è divenuto un requisito formale aggiuntivo di deducibilità, accanto all’inerenza sostanziale.
Va menzionato che le spese di viaggio sostenute dall’imprenditore individuale per sé medesimo (non come rimborso a un dipendente ma direttamente) non rientrano strettamente nel dettato della nuova norma sulla tracciabilità obbligatoria . Ciò significa, ad esempio, che se il titolare di una ditta individuale va in trasferta e paga un albergo in contanti, la deducibilità del 75% (nel caso sia un professionista) teoricamente spetterebbe ancora, in quanto la legge 197/2024 parla di spese rimborsate a dipendenti/collaboratori. Tuttavia, è caldamente consigliato anche in questi casi di usare sempre metodi tracciabili, sia per facilitare la prova dell’esborso, sia perché la prassi potrebbe estendere l’obbligo in via interpretativa. Inoltre, resta fermo che il documento giustificativo (fattura/ricevuta) è comunque indispensabile e dev’essere conservato. Senza documento non c’è costo certo e determinato, quindi la deduzione verrebbe negata a prescindere.
Spese di rappresentanza: viaggi e intrattenimento con finalità promozionali
Un capitolo rilevante per il nostro tema riguarda le spese di rappresentanza. Spesso infatti viaggi o vacanze a spese dell’azienda vengono giustificati sostenendo che avevano una finalità promozionale o di pubbliche relazioni – ad esempio, portare in viaggio clienti importanti, organizzare un meeting aziendale in location esotica, premiare i dipendenti migliori con una convention in resort, ecc. La normativa fiscale consente la deduzione delle spese di rappresentanza, ma entro limiti ben precisi e solo se ricorrono specifiche condizioni di inerenza, come stabilito dall’art. 108 comma 2 TUIR e dal Decreto Ministeriale 19 novembre 2008. In particolare:
- Nozione di spesa di rappresentanza: per definizione di legge, sono costi di rappresentanza quelli sostenuti a titolo gratuito con finalità promozionali o di pubbliche relazioni, ragionevoli in rapporto all’obiettivo di potenziali benefici economici per l’impresa . Il DM 19.11.2008 precisa che sono considerate inerenti (quindi deducibili come rappresentanza) le spese per erogazioni gratuite di beni e servizi effettuate per promuovere l’immagine dell’azienda o per consolidarne le relazioni, purché rispondenti a criteri di ragionevolezza e coerenza con usi del settore .
- Esempi inclusi tra le spese di rappresentanza: lo stesso DM elenca alcune tipologie specifiche. Ad esempio:
- Viaggi turistici con programmata attività promozionale: sono spese di rappresentanza quelle per viaggi turistici durante i quali siano programmate e svolte significative attività promozionali dei prodotti/servizi dell’impresa . Ciò significa che, se un’azienda organizza un viaggio (es. un weekend in una località turistica) invitando magari clienti potenziali o giornalisti e durante il viaggio presenta i suoi nuovi prodotti, tiene sessioni dimostrative o eventi aziendali, i relativi costi possono qualificarsi come rappresentanza. È essenziale però che l’attività promozionale sia concreta e documentata (programma degli eventi, lista partecipanti invitati, materiale illustrativo distribuito, ecc.), altrimenti il Fisco potrebbe ritenere che fosse solo una vacanza camuffata.
- Feste, ricevimenti ed eventi in occasioni speciali: rientrano nelle rappresentanza i costi per eventi organizzati in occasione di ricorrenze aziendali, festività nazionali o religiose, inaugurazione di nuove sedi o stabilimenti, mostre o fiere in cui si espongono beni aziendali, e simili . Anche qui, il carattere gratuito (l’azienda offre il servizio) e promozionale dell’evento è il presupposto.
- Altre erogazioni gratuite a fini promozionali: la definizione è ampia e copre ogni altra spesa per beni/servizi dati gratuitamente con finalità di pubbliche relazioni (inclusi contributi per convegni, seminari, ecc., se volti a promuovere l’immagine) .
- Spese non considerate rappresentanza: il DM chiarisce anche cosa non rientra in rappresentanza. In particolare non sono rappresentanza (e quindi deducibili integralmente se inerenti) le spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute per ospitare clienti (anche potenziali) in occasione di fiere, mostre o visite presso l’azienda . Ad esempio, se invito un potenziale cliente a visitare il mio stabilimento e gli pago il volo e l’hotel, quelle spese non sono catalogate come “rappresentanza” soggetta a limiti, bensì come normali spese di vendita/pubblicità, deducibili al 100% se inerenti. Analogamente, non costituiscono rappresentanza le spese di vitto e alloggio dell’imprenditore individuale per partecipare a fiere o mostre di settore: in tal caso sono spese di trasferta proprie e seguono le regole ordinarie di deducibilità (75% con limite 2% se professionista, come visto) . Questa distinzione è importante: un conto è offrire un viaggio ad altri a titolo promozionale (rappresentanza), altro conto è viaggiare personalmente o con i dipendenti per lavoro (trasferta). Il legislatore ha voluto evitare che costi commerciali genuini (come portare un cliente importante in sede, o andare a una fiera) fossero penalizzati dai limiti delle rappresentanza. Al contrario, i costi per regali, viaggi-premio o eventi ludici sono soggetti a restrizioni perché potenzialmente fuorvianti.
- Limiti di deducibilità quantitativi: le spese di rappresentanza, anche se inerenti, non sono deducibili illimitatamente, ma solo entro una certa percentuale dei ricavi dell’impresa. Attualmente (dal 2016) i limiti annui sono: 1,5% dei ricavi fino a 10 milioni, 0,6% tra 10 e 50 milioni, 0,4% oltre 50 milioni . Ciò significa che un’azienda con ricavi di 5 milioni € in un anno potrà dedurre al massimo 75.000 € di spese di rappresentanza (1,5% di 5M); se ne ha sostenute 100.000 €, la quota eccedente 75k sarà indeducibile per definizione, anche se inerente. (Sono escluse dal conteggio talune spese di modico valore, es. omaggi sotto 50 € ciascuno, deducibili integralmente) . Questo tetto serve a evitare che imprese dichiarino ricavi bassi e al contempo deducano importi spropositati in pranzi, regali e viaggi “promozionali”.
- Obbligo di tracciabilità dal 2025: la Legge di Bilancio 2025, contestualmente alle trasferte, ha introdotto anche per le spese di rappresentanza l’obbligo del pagamento tracciato. In pratica, dal 2025 una spesa di rappresentanza pagata in contanti non è deducibile . L’art. 108 comma 2 TUIR è stato modificato per aggiungere questa condizione. Pertanto, se la vostra azienda organizza ad esempio un evento promozionale e paga servizi in contanti (catering, hotel per ospiti, etc.), quei costi non potranno essere dedotti (né, presumibilmente, detratta l’IVA) se il pagamento non risulta tracciato. Questa è un’ulteriore trappola formale da evitare, oltre ai già stringenti requisiti sostanziali sulle rappresentanza.
In sintesi normativa: le spese per viaggi e vacanze possono essere dedotte solo quando effettivamente funzionali all’attività d’impresa. Le trasferte di lavoro sono deducibili se ben documentate e inerenti, con alcuni limiti (tracciabilità, percentuali per i professionisti). Le spese di viaggio a carattere promozionale (rappresentanza) sono deducibili entro percentuali ridotte e richiedono una chiara finalità di business (promuovere l’azienda); diversamente, se un viaggio appare solo un’utilità personale o un regalo, il Fisco lo disconoscerà. È fondamentale comprendere che il peso della prova ricade in gran parte sul contribuente: in caso di verifica, l’azienda deve saper giustificare dettagliatamente ogni spesa di questo genere, come vedremo approfonditamente più avanti. Nel prossimo paragrafo analizzeremo proprio il principio di inerenza e l’onere della prova, per capire come i giudici qualificano queste situazioni.
Principio di inerenza e onere della prova: il fulcro delle contestazioni
Quando si parla di contestazioni su spese di viaggio/vacanza, il concetto cardine è quello di inerenza del costo. L’inerenza misura la pertinenza del costo rispetto all’attività d’impresa: un costo inerente è quello che presenta una correlazione qualitativa con l’attività esercitata, anche indiretta o potenziale, mentre un costo non inerente è estraneo all’oggetto sociale o comunque non legato alla produzione del reddito . È cruciale comprendere alcuni punti, alla luce della più recente giurisprudenza:
- Inerenza qualitativa, non quantitativa: la Corte di Cassazione da alcuni anni sottolinea che l’inerenza non richiede una relazione diretta con uno specifico ricavo né un utile immediato . Ciò che conta è che la spesa sia sostenuta nell’interesse dell’impresa, per perseguirne i fini, anche se non genera subito profitti . Ad esempio, se un’azienda investe in un viaggio per esplorare un nuovo mercato o partecipare a una fiera, il fatto che quell’anno non ne derivi alcun nuovo contratto non significa che la spesa non fosse inerente: era fatta allo scopo di sviluppare l’attività, quindi qualitativamente inerente. La Cassazione (sent. n. 18904/2018, ribadita da Cass. 12588/2025) ha chiarito appunto che l’inerenza è un giudizio qualitativo, che prescinde da valutazioni utilitaristiche o di proporzionalità economica . Ciò significa anche che il Fisco non può negare la deduzione solo perché la spesa appare “antieconomica” o eccessiva rispetto ai ricavi, a meno che l’enormità della spesa non faccia sospettare che in realtà sia fittizia o personale (ne parleremo a breve). Per il contribuente questo principio è prezioso: non serve provare che ogni euro speso abbia “reso” qualcosa, basta dimostrare che il costo aveva una ragione nell’attività d’impresa. Ad esempio, Cassazione 12588/2025 ha cassato una decisione di merito che negava costi di royalties su marchi inutilizzati solo perché “non avevano prodotto effetti”: la Suprema Corte ha ribadito che l’inerenza va valutata ex ante, in base allo scopo perseguito al momento della spesa, non con un giudizio a posteriori di utilità concreta . In quell’occasione i giudici hanno affermato che il mancato utilizzo successivo di un asset (nel caso marchi) non esclude l’inerenza originaria della spesa per acquisirlo, se quell’operazione rientrava nelle strategie potenziali dell’impresa. Traslando questo principio: il fatto che un viaggio d’affari non abbia prodotto contratti immediati o che un evento promozionale non abbia generato vendite, non basta a dire che le spese relative non fossero inerenti. Sarà inerente se, al momento in cui è stata decisa, quella trasferta o evento aveva una logica imprenditoriale coerente con l’oggetto sociale.
- Antieconomicità vs. non inerenza: collegato al punto precedente, la antieconomicità di una spesa (cioè l’apparente sproporzione tra costo e benefici/richiami ottenuti) non equivale di per sé a mancanza di inerenza . La Cassazione (ord. n. 6426 dell’11 marzo 2025) ha riaffermato che un’azienda può avere costi anche in anni senza ricavi, o superiori ai ricavi, senza che ciò implichi automaticamente l’indeducibilità . Nel caso esaminato (azienda con due anni in perdita a cui l’AE disconosceva costi per difetto di inerenza), la Corte ha spiegato che l’inerenza va rapportata all’oggetto sociale e alla funzione potenziale del costo, anche solo in prospettiva futura . Dunque un’impresa in fase di avviamento o in un investimento strategico può legittimamente spendere senza guadagni immediati. Tuttavia – ammonisce la Cassazione – se la spesa è abnormemente antieconomica, ciò può costituire indizio di non inerenza . In pratica: se un costo è così elevato e privo di senso economico da far pensare che lo scopo reale non fosse imprenditoriale, allora la sua antieconomicità macroscopica può essere usata dal Fisco come elemento (presuntivo) per contestarne l’inerenza. Ad esempio, se una micro-società senza dipendenti spende 100.000 € in un “viaggio di aggiornamento” alle Maldive per l’amministratore, senza alcun riscontro documentale di incontri o eventi di settore, l’enormità della spesa e la destinazione esotica potrebbero far presumere che non fosse affatto un costo di business, ma un consumo personale (quindi non inerente). Conclusione: la difesa deve sempre articolare una giustificazione economica delle spese, per quanto non obbligatorio mostrarne l’utilità immediata, bisogna evitare che appaiano palesemente irragionevoli rispetto all’attività.
- Onere della prova a carico del contribuente (ma non solo): in base ai principi generali (art. 2697 c.c. e norme tributarie), spetta al contribuente dimostrare l’esistenza dei costi dedotti e la loro inerenza all’impresa . Questo significa che, in caso di accertamento, l’azienda deve poter esibire documentazione e spiegazioni che provino: (a) che il costo c’è stato ed è contabilizzato; (b) che esso è collegato all’attività produttiva (destinazione aziendale); (c) le ragioni economiche per cui è stato sostenuto . La Cassazione ha formulato questo principio chiaramente: “è onere del contribuente dimostrare e documentare l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa perché correlato all’attività imprenditoriale” . D’altro canto, anche l’Amministrazione finanziaria ha precisi doveri probatori: se intende contestare un costo come non inerente, deve indicarne le ragioni e gli elementi su cui si basa . Non basta cioè che nel verbale o nell’avviso di accertamento il Fisco scriva in modo apodittico “spesa non inerente”: deve spiegare perché ritiene quel costo estraneo (es: “perché sostenuto in circostanze di fatto che ne evidenziano l’uso personale da parte del socio X”, oppure “perché non risulta alcuna attività aziendale svolta in occasione del viaggio Y”, ecc.). Se l’Ufficio si limita ad affermazioni generiche, l’atto può essere censurato per difetto di motivazione . Inoltre, la giurisprudenza riconosce una sorta di doppio binario nell’onere della prova: il contribuente deve fornire una prima dimostrazione dell’inerenza (assolvendo al proprio onere primario), ma una volta che abbia prodotto prove e documenti idonei, spetta al Fisco farsi carico di elementi contrari . La Cassazione n. 26490/2019 ha statuito che “grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di allegare elementi anche presuntivi idonei a dimostrare l’asserita non inerenza, qualora il contribuente abbia assolto al proprio onere di documentare la natura del costo e la sua destinazione all’attività” . In pratica: prima muove il contribuente, presentando la documentazione della spesa e spiegandone la connessione al business; poi, se il Fisco non è convinto, deve portare lui delle prove contrarie (ad esempio, dimostrare che la documentazione è falsa o che in realtà l’uso è stato diverso). Se l’azienda esibisce tutto (fatture intestate, contratti, foto di eventi di lavoro, ecc. – ne parleremo nella strategia difensiva) e l’Ufficio non trova nulla di concreto per smentire, la pretesa fiscale rischia di essere considerata “assertiva” e dunque respinta dal giudice . Questa dinamica è ben esemplificata in un caso recente: un’azienda dedusse costi per uno yacht usato in eventi con clienti; l’Agenzia li contestò come spesa personale mascherata; in giudizio la società produsse un dossier con calendario d’uso aziendale dello yacht, contratti scaturiti dagli eventi a bordo, foto delle manifestazioni, ecc., dimostrando la destinazione d’impresa; l’Ufficio invece non portò alcuna prova di usi privati (nessuna foto di vacanze private, nessun addebito di costi a soci, nulla). Ebbene, la Cassazione ha dato ragione all’azienda, ribadendo appunto che fornita la prova dall’impresa, il Fisco deve contrapporre qualcosa di concreto se vuole vincere . Questo aspetto offre un importante appiglio difensivo: se preparate un dossier probatorio solido, mettete l’AE in difficoltà, obbligandola a provare il contrario.
- Beni e spese “a cavallo” tra personale e aziendale: molto spesso le contestazioni su viaggi/vacanze sorgono quando ci sono beni aziendali o risorse aziendali utilizzate da persone fisiche a fini personali (un classico è l’auto aziendale usata per vacanze, oppure la carta di credito aziendale usata per pagare viaggi familiari). In tali casi, oltre al difetto di inerenza può applicarsi la normativa sui beni concessi in godimento ai soci o familiari (art. 2, co. 36-decies DL 138/2011, conv. L.148/2011). Questa norma stabilisce che se un bene d’impresa (auto, imbarcazione, immobile, ecc.) è concesso in uso privato a un socio o familiare a un corrispettivo inferiore al valore di mercato, scattano due conseguenze:
- In capo all’utilizzatore persona fisica: tassazione di un reddito diverso pari alla differenza tra valore normale dell’uso del bene e quanto eventualmente pagato . In pratica il socio che usa un bene aziendale quasi gratis viene tassato come se avesse ricevuto un beneficio equivalente.
- In capo alla società: indeducibilità integrale di tutti i costi relativi a quel bene . Ciò indipendentemente dall’inerenza: è una sanzione fiscale automatica per scoraggiare l’intestazione di beni personali all’azienda. Ad esempio, se la società possiede una casa o una barca usata dal socio senza pagamento adeguato, nessuna spesa su quel bene è deducibile (né ammortamenti, né manutenzioni, né altri costi) . Inoltre c’è obbligo di comunicare annualmente all’Agenzia delle Entrate i beni concessi in godimento ai soci, per facilitare i controlli . – Difesa in tali casi: l’unica via è dimostrare che il bene non è stato concesso a titolo gratuito o sotto-valore, cioè che il socio ha pagato un corrispettivo di mercato per l’uso . Se così fosse, la norma in teoria non si applica e la deduzione rimane ammessa (anche se poi occorre sempre provare l’inerenza, ovviamente). Dunque, se l’azienda vuole evitare problemi, in casi “borderline” deve formalizzare adeguatamente l’uso: es. far pagare al socio un noleggio per la barca, un affitto per l’immobile, ecc., a valori di mercato.
Va notato che la norma dei beni a soci colpisce situazioni eclatanti, ma non copre tutti i casi di uso personale mascherato. Ad esempio, se l’amministratore unico (che è anche socio) fa un viaggio personale addebitando i costi all’azienda, tecnicamente non c’è un “bene” concesso in godimento (a meno di configurare il denaro stesso come bene): si configurerà comunque un costo non inerente e probabilmente un compenso in natura non tassato. L’Agenzia potrebbe trattarlo come remunerazione occulta (utile extracontabile distribuito) o contestare un reato di distrazione se grave. Ma senza addentrarci troppo, basti sapere che: qualora la spesa contestata si leghi a un bene aziendale dato in uso (auto, casa, barca), va considerata anche questa cornice normativa specifica oltre al generico principio di inerenza.
Tabella riepilogativa: tipologie di spese di viaggio/vacanza e trattamento fiscale
Per chiarezza, riportiamo una tabella che sintetizza i principali tipi di spesa di viaggio o vacanza che un’impresa potrebbe affrontare, indicando quando sono deducibili e quando invece sono a rischio di contestazione.
Tipologia di spesa | Trattamento fiscale ordinario (se inerente) | Rischio di contestazione (ipotesi di non inerenza) | Norme e prassi di riferimento |
---|---|---|---|
Trasferta di lavoro del dipendente o titolare<br>(viaggio per incontri d’affari, fiere, corsi) | – Deducibile al 100% per società (IRES), se documentata e inerente all’attività.<br>– Per professionisti: vitto e alloggio deducibili al 75% entro 2% compensi; altri costi (trasporto, ecc.) deducibili al 100% se inerenti .<br>– IVA: detraibile secondo regole generali (v. nota)*. | – Contestazione se scopo personale: es. viaggio in realtà di piacere, senza prova di appuntamenti di lavoro.<br>– Contestazione se carente documentazione: spese non supportate da fatture/ricevute intestate all’azienda.<br>– Se pagato in contanti nel 2025: indeducibile per mancata tracciabilità . | Art. 109 co.5 TUIR (inerenza generale) ;<br>Art. 54 TUIR (limite 75%-2% per autonomi) ;<br>L. 197/2024 commi 81-83 (obbligo tracciabilità) . |
Viaggio con finalità promozionale (spesa di rappresentanza)<br>(es. viaggio premio per clienti, evento PR in località turistica) | – Deducibile come spesa di rappresentanza entro i limiti annui (1,5% ricavi fino 10mln, etc.) , purché risponda a requisiti DM 19/11/2008:<br> • erogazione a titolo gratuito, finalità promozionale,<br> • attività promozionali effettivamente svolte durante il viaggio .<br>– Necessaria documentazione di supporto: programma evento, elenco invitati, ecc. .<br>– Dal 2025: pagamento tracciato obbligatorio . | – Contestazione se manca una vera attività promozionale: il Fisco potrebbe dire che è stato solo un viaggio di piacere a spese aziendali.<br>– Contestazione parziale: se i costi superano il plafond 1,5%-0,6%-0,4% dei ricavi, l’eccedenza è indeducibile per legge .<br>– Mancata tracciabilità dal 2025: l’intero costo diventa indeducibile .<br>– IVA indetraibile su molte voci: es. spese viaggio/vitto per clienti di regola non detraibili IVA (trasporto persone esente detrazione) . | Art. 108 co.2 TUIR e DM 19/11/2008 (definizione spese rappresentanza) ;<br>Circolare AdE 34/2009 (chiarimenti rappresentanza);<br>L. 197/2024 (tracciabilità rappresentanza) . |
Ospitalità di clienti per visite aziendali o fiere | – Non qualificata come rappresentanza (se attinente a fiere/visite stabilimento) quindi deducibile al 100% come spesa di pubblicità/commerciale .<br>– Es. pago viaggio e hotel a cliente per fargli visitare impianto o stand fiera: costo integralmente deducibile se inerente allo scopo di generare affari (va documentato con inviti, agenda visita, etc.). | – Contestazione rara: data la deroga normativa, queste spese sono considerate fisiologiche (la norma le esclude dai limiti di rappresentanza perché di regola inerenti).<br>– Possibile verifica sull’effettiva presenza dei clienti e sul nesso con l’attività (bisogna avere prova che il cliente era interessato ai prodotti). | DM 19/11/2008 art. 1 comma 1 lett. a) – c) (spese ospitalità clienti a fiere/visite non sono repr.) ;<br>Ris. Ag. Entrate n. … (prassi su fiere, se disponibile). |
Convention aziendale per dipendenti (es. viaggi premio, ritiri aziendali) | – Se rivolto al personale interno, non è rappresentanza (non è per pubbliche relazioni esterne). Potrebbe qualificare come spesa per formazione/motivazione del personale: deducibile integralmente se finalizzata a migliorare il capitale umano aziendale.<br>– Attenzione però al trattamento per i dipendenti: se il viaggio ha natura prevalentemente ludica, il Fisco potrebbe considerarlo un fringe benefit imponibile per i dipendenti (vacanza pagata dall’azienda = remunerazione in natura). | – Contestazione inerenza: se l’evento non ha un chiaro contenuto formativo o lavorativo, l’AE può dire che sono costi ricreativi estranei all’impresa.<br>– Contestazione come benefit ai dipendenti: l’azienda potrebbe dedurre come costo del personale, ma allora dovrebbe anche tassare in busta paga il valore per ciascun dipendente. Se ciò non è stato fatto, in fase di verifica potrebbero recuperare IRPEF e contributi sui benefici goduti dai lavoratori. | Art. 95 TUIR (spese per lavoratori dipendenti integralmente deducibili);<br>Principio inerenza su spese welfare/ricreative (Cass. …).<br>Circ. AE 5/2018 (welfare aziendale, se esiste). |
Utilizzo di beni aziendali per vacanze private<br>(es. auto aziendale usata per viaggio personale, immobile aziendale usato come casa vacanze) | – Auto aziendale: deducibilità limitata art.164 TUIR (20% costi salvo agenti o fringe benefit) . Se assegnata come fringe benefit a dipendente (anche amministratore) con uso promiscuo, deducibile 70% ; il dipendente viene tassato sul valore convenzionale (tabelle ACI).<br>– Immobile abitativo in azienda: di regola costi indeducibili se non strumentale (art.90 TUIR) ; se dato a socio in uso, applica norma beni a soci (costi indeducibili comunque) . | – Contestazione bene extracontabile: se l’uso personale prevale, il Fisco può disconoscere tutti i costi per difetto di inerenza, anche oltre le percentuali forfettarie . Es: piccola società deduce al 20% una supercar di lusso usata dal socio; l’AE potrebbe dire che nemmeno quel 20% spetta, essendo l’auto totalmente estranea all’attività .<br>– Applicazione beni ai soci: se il socio/familiare usa l’auto, barca, casa senza pagare adeguato corrispettivo, tutti i costi diventano indeducibili per legge , e per l’utilizzatore scatta tassazione di un reddito diverso .<br>– Contestazione frode/elusione: casi estremi (es. barca di lusso intestata a società ma usata dal socio in vacanza) possono portare ad accuse di interposizione fittizia o frode fiscale . | Art. 164 TUIR (limiti spese auto) ;<br>Art. 90 TUIR (immobili abitativi) ;<br>DL 138/2011 art.2 c.36-sexies e segg. (beni a soci) ;<br>Cass. 4365/2023 (barca a socio non inerente) . |
Nota IVA: ai fini IVA, l’inerenza segue criteri più stringenti: serve un nesso diretto e immediato tra l’acquisto e operazioni imponibili dell’impresa . Alcune spese di viaggio/vitto hanno detraibilità IVA oggettivamente esclusa o limitata a prescindere dall’uso (art. 19-bis1 DPR 633/72): ad es. trasporto di persone (biglietti aerei, treni, taxi) ha IVA indetraibile salvo che l’azienda faccia di mestiere trasporto passeggeri ; per hotel e ristoranti l’IVA oggi è detraibile se inerente (limitazione abrogata dal 2008) ; carburanti e spese auto IVA detraibile 40% per auto non strumentali . Pertanto, anche se un costo di trasferta è ammesso come deduzione sul reddito, non è detto che l’IVA sia recuperabile integralmente.*
Come si evince, i casi più critici sono quelli in cui il confine tra uso aziendale e personale è labile. Una trasferta ben motivata e documentata raramente verrà disconosciuta, mentre situazioni di benefici privati mascherati fanno scattare tutti gli allarmi. Nella colonna “Rischio di contestazione” abbiamo evidenziato i tipici rilievi del Fisco: mancanza di prove, utilizzo privato, superamento di limiti normativi, pagamenti non tracciati, ecc.. Nella prossima sezione vedremo come l’Agenzia delle Entrate effettua in concreto i controlli su queste voci di spesa e quali segnali inducono a un accertamento.
Controlli dell’Agenzia delle Entrate sulle spese di viaggio e vacanze
Come scopre il Fisco che dietro una “trasferta di lavoro” si cela in realtà una vacanza? Negli ultimi anni, i metodi di controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza si sono fatti più sofisticati, incrociando diverse banche dati e sfruttando la mole di informazioni disponibili (anche dai social network, in certi casi, e dalle comunicazioni obbligatorie). Ecco i principali trigger e modalità di verifica:
- Analisi di bilancio e indici di anomalia: durante un controllo fiscale (sia esso a tavolino o un’ispezione in azienda), i verificatori analizzano le voci di costo del conto economico. Spese di viaggio, vitto e alloggio rilevanti rispetto al fatturato o al tipo di attività possono accendere una spia. Ad esempio, una società di consulenza con 3 dipendenti e costi di “missioni e viaggi” per 50.000 € l’anno potrebbe insospettire se i ricavi sono modesti. Vengono confrontati gli importi con medie di settore o con l’andamento dell’azienda: scostamenti significativi (es. aumento improvviso delle spese di viaggio in un anno in perdita) possono far scattare richieste di chiarimenti.
- Lista fornitori e documenti: l’Agenzia può chiedere l’esibizione dei documenti giustificativi delle spese: fatture di agenzie di viaggio, ricevute alberghi, note spese dei dipendenti. Da questi documenti possono emergere dettagli interessanti (es. destinazioni turistiche particolari, date che coincidono con periodi festivi, nominativi degli utilizzatori se riportati). Ad esempio, se nelle note spese compaiono scontrini di ristoranti a Ferragosto o fatture di hotel alle Maldive a Natale, verranno sicuramente poste domande sulla natura della trasferta.
- Controllo incrociato con anagrafe finanziaria e carte di credito: dal 2019 le imprese devono comunicare all’Archivio dei Rapporti Finanziari molte operazioni. Se l’azienda paga con carta di credito aziendale o bonifico spese di viaggio, queste transazioni possono essere individuate. In un controllo, la GdF può richiedere l’estratto conto aziendale: movimenti come pagamenti a resort, acquisto di biglietti aerei per destinazioni esotiche, prelievi in località turistiche sono segni concreti. Si può incrociare la data della spesa con eventi aziendali dichiarati; se non vi sono eventi noti, il sospetto aumenta.
- Verifiche “sul campo” e pedinamenti: nei controlli più invasivi, specie se c’è odore di evasione consistente, la Guardia di Finanza può effettuare appostamenti o raccogliere informazioni esterne. Ad esempio, se un’azienda possiede una casa al mare dichiarata come “foresteria aziendale” ma si sospetta sia usata dal socio, i finanzieri potrebbero acquisire testimonianze nel luogo (portiere, vicini) o addirittura fare foto. Nei casi di viaggi, può capitare che chiedano conto al personale: “Chi è andato in quel viaggio? Cosa si è fatto di preciso?”. Spesso i dipendenti inconsapevoli rivelano che era un viaggio premio o una vacanza pagata.
- Social media e Internet: non è infrequente che gli accertatori curiosino sui social network dei contribuenti. Foto postate di vacanze di lusso, magari con commenti che rivelano la natura turistica, possono diventare indizi. Se l’amministratore ha postato su Facebook “Settimana bianca a Cortina con la famiglia” e l’azienda ha dedotto spese alberghiere a Cortina quella stessa settimana come “riunione strategica”, è evidente che il controllo avrà scoperto la discrepanza. Anche i siti web aziendali o newsletter possono tradire informazioni (es. se un viaggio veniva presentato come incentivo ai venditori).
- Comunicazioni obbligatorie beni ai soci: come accennato, esiste un obbligo di comunicare ogni anno i beni d’impresa concessi a soci o familiari. Se un’azienda ha, ad esempio, un contratto di noleggio per uno yacht o una villa, e quel bene risulta utilizzato da un socio, la mancanza di un corrispettivo di mercato può emergere dalla comunicazione stessa. L’Agenzia incrocia tali dati e può mirare i controlli proprio su quelle situazioni (barche, case, auto di grossa cilindrata intestate alla società).
- Segnalazioni interne e verifiche incrociate: a volte sono gli stessi dipendenti o soci di minoranza a segnalare abusi (magari in caso di litigi interni). Inoltre, se un costo di viaggio è rimborsato a un dipendente, quel dipendente nella sua dichiarazione potrebbe commettere errori nel riportarlo (o lamentarsi di aver pagato lui di tasca propria). Piccoli indizi che talora attivano accertamenti.
- Redditometro e controlli sul tenore di vita: questo strumento si applica alle persone fisiche per ricostruire il reddito presunto in base alle spese sostenute. Può entrare in gioco indirettamente: ad esempio, se il socio amministratore mostra un tenore di vita (viaggi frequenti) non compatibile col suo reddito personale, l’AE potrebbe scoprire che quei viaggi erano pagati dalla società e confluirli come utili a lui attribuibili. Così un accertamento sintetico sul socio può innescare una verifica sui costi della società.
Una volta individuata una potenziale spesa non inerente, come procede il Fisco? In genere: 1. Richiede spiegazioni e documenti: nel corso della verifica viene chiesto al contribuente di giustificare la spesa. Esempio: “Ci mostri il programma del meeting a Dubai per cui avete speso 30k in viaggio e hotel. Chi ha partecipato? Cosa si è discusso?”. 2. Valuta le risposte: se le spiegazioni sono vaghe o i documenti insufficienti, l’ispettore annota in PVC (Processo Verbale di Constatazione) che la spesa appare non supportata da prova di inerenza. 3. Eventuale contraddittorio: in sede di contraddittorio (specie negli accertamenti con adesione) l’azienda può fornire integrazioni (es. e-mail di convocazione riunioni, foto dell’evento, contratti firmati durante la trasferta). Più il contribuente è proattivo in questa fase, più chance di convincere l’ufficio a desistere dalla contestazione o ridurla. 4. Emissione dell’avviso di accertamento: se l’AE ritiene la spesa indeducibile, emette l’atto recuperando la maggiore IRES/IRPEF dovuta (o IRAP, se del caso) con interessi e sanzioni. La motivazione indicherà perché la spesa è considerata non di competenza dell’attività. Ad esempio: “Costo per viaggio a Parigi di €10.000 non deducibile ex art.109 TUIR in quanto non comprovato da evidenze di natura imprenditoriale; dalle verifiche è emerso uso personale da parte dell’amministratore e famiglia, come da documentazione allegata (foto social)”. 5. Possibili segnalazioni penali: se la contestazione è rilevante (importo elevato o presenza di false fatture) gli ispettori sono tenuti a segnalare la notizia di reato alla Procura (lo vedremo nella sezione penale). Ad esempio, scoprire che un viaggio è stato giustificato con una fattura falsa di consulenza di fatto inesistente configura il reato di dichiarazione fraudolenta.
In questa fase pre-contenziosa, il contribuente deve muoversi con attenzione. Spesso c’è margine per concordare soluzioni, specie se la posizione del Fisco non è blindata: ad es. con l’accertamento con adesione si può ottenere una riduzione di sanzioni e magari la deduzione parziale. Oppure, se la documentazione presentata è convincente, l’Ufficio potrebbe limitarsi a un richiamo o lasciar perdere. È fondamentale avere un atteggiamento collaborativo ma fermo nel sostenere le proprie ragioni, portando elementi concreti già in sede amministrativa. Se però l’Agenzia rimane della sua idea e notifica l’atto, occorre prepararsi al ricorso.
Nei prossimi paragrafi discuteremo le strategie difensive nel contenzioso tributario, ovvero come impostare un ricorso solido contro un avviso di accertamento per spese di viaggio/vacanza indeducibili. Inoltre affronteremo i profili penali correlati (quando queste condotte integrano reato e come difendersi sul quel fronte).
Strategie difensive nel contenzioso tributario
Affrontare un contenzioso tributario su spese di viaggi e vacanze dedotte richiede un duplice approccio: tecnico-giuridico (contestare errori di diritto o di procedura dell’atto) e fattuale-probatorio (dimostrare con prove che la spesa era legittima). Vediamo i principali strumenti difensivi a disposizione del contribuente (debitore) e le tattiche più efficaci, sulla base anche dei precedenti giurisprudenziali.
1. Contestare la motivazione e l’onere probatorio dell’Ufficio
Come visto, l’avviso di accertamento deve spiegare chiaramente le ragioni per cui l’Amministrazione ritiene non inerente il costo contestato. Verificate innanzitutto la motivazione dell’atto: se è generica o contraddittoria, potete eccepire la nullità o quantomeno indebolire la pretesa. Ad esempio, se l’AE si limita a dire “spesa non inerente perché l’azienda era in perdita quell’anno”, la motivazione è censurabile: la sola mancanza di utile non prova nulla (inerenza qualitativa, come da orientamento Cassazione) . Oppure, se si afferma “viaggio non inerente perché avvenuto in agosto, periodo di ferie” senza ulteriori elementi, è una deduzione arbitraria. In ricorso potete sottolineare che l’Ufficio non ha assolto al proprio onere di indicare elementi concreti di estraneità, richiamando Cass. 26490/2019: quando il contribuente documenta il costo, spetta al Fisco provare la non inerenza . Citare questa giurisprudenza può far breccia: il giudice tributario potrebbe ritenere che l’AE non abbia fornito prova sufficiente e annullare l’atto per difetto probatorio.
Naturalmente, ciò funziona al meglio se voi effettivamente avete prodotto in sede precontenziosa (o produrrete in giudizio) documentazione dettagliata. Se l’Agenzia ha ignorato le vostre prove, mettetelo in risalto: “L’ufficio ha omesso qualsivoglia valutazione dei documenti prodotti, limitandosi a definire ‘non credibile’ la trasferta senza confutare nel merito le evidenze”. Una motivazione stereotipata che non confuta le prove del contribuente è indice di arbitrio. In situazioni del genere, potete chiedere al giudice di acquisire in giudizio tutta la documentazione già esibita all’AE e di valutare se l’atto impugnato sia adeguatamente motivato. In più, ricordate di evidenziare ogni eventuale errore di diritto nella qualificazione: ad esempio, se l’AE ha considerato “spesa di rappresentanza” un costo che per legge non lo è (come i viaggi per fiere che invece sono pubblicità), fatelo presente citando DM 19/11/2008 . Correggere l’inquadramento normativo può portare il giudice a ritenere la pretesa infondata in diritto (ad es. se un costo era pubblicità quindi deducibile al 100% e l’ufficio l’ha limitato come rappresentanza erroneamente).
2. Dimostrare l’inerenza con prove concrete
Il punto focale rimane convincere il giudice che la spesa era effettivamente inerente all’impresa. Questo si fa portando in Commissione Tributaria (oggi rinominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) tutte le prove possibili: – Documenti originali della spesa: fatture, ricevute, note spese già fornite, assicurandosi che siano ben leggibili e intestate alla società. Se ci sono difetti formali (es. fattura senza indicazione di nomi o targhe nel caso carburante) che l’ufficio ha eccepito , spiegate eventualmente con documenti integrativi (registro viaggi, scheda carburante, ecc.) . La Cassazione n. 13764/2025 ha confermato che fatture incomplete possono far perdere la deduzione anche se l’inerenza c’è, per mancanza di certezza del costo . Quindi, colmate le lacune se possibile. – Contratti, ordini, corrispondenza: qualsiasi cosa leghi quella trasferta a un affare. Ad esempio: lettera di invito a un convegno, registrazione al congresso, e-mail con clienti per fissare incontri, brochure della fiera con il vostro stand evidenziato, ricevute di pagamento dello spazio espositivo, ecc. Se avete organizzato un evento promozionale durante il viaggio, allegate il programma ufficiale, l’elenco partecipanti (con eventuali firme o feedback raccolti). – Output dell’attività svolta: se dal viaggio sono scaturiti risultati tangibili (es. contratti firmati in quella sede, ordini ricevuti, relazioni redatte), presentateli come prova che non era vacanza ma lavoro. Esempio: se l’amministratore è andato in USA e poi avete un contratto con un nuovo cliente americano firmato durante la visita, quello è un riscontro formidabile dell’inerenza (anche se magari piccolo). – Prove indirette ma di contesto: foto di lavoro (attenzione, non quelle di svago!). Se durante una fiera avete scattato foto dello stand con il titolare presente, potete produrle. Se c’è un catalogo dell’evento con il vostro marchio, allegatelo. Qualsiasi notizia di stampa (ritagli di giornale, articoli web) che attestino l’evento. L’obiettivo è immergere il giudice nel contesto lavorativo di quel viaggio, dissipando l’impressione di “vacanza”. – Registri interni e delibere: se l’azienda formalmente delibera o pianifica le trasferte, includete eventuali delibere del CDA o richieste di autorizzazione. Ad esempio, un ordine di missione per il dipendente, firmato dal dirigente, in data antecedente il viaggio, è molto utile. Per le auto aziendali, come suggerimento generale, tenete un registro di utilizzo con date, tragitti e motivi – se contestato l’uso dell’auto, poter mostrare un log (anche GPS) delle percorrenze lavorative è un’ottima difesa. – Testimonianze scritte: in Commissione Tributaria la testimonianza orale è vietata, ma nulla impedisce di depositare dichiarazioni sostitutive di atto notorio di terzi o dipendenti. Ad esempio, potete far firmare al dipendente una dichiarazione in cui attesta che in quella trasferta ha svolto le mansioni X incontrando il cliente Y il giorno Z. Oppure una lettera di un cliente che confermi “il sig. Rossi mi ha fatto visita presso la nostra sede il… per discutere di…”. Non hanno lo stesso peso di una testimonianza giurata, ma costituiscono indizi a vostro favore. Il giudice potrebbe apprezzare se l’AE non li ha minimamente smentiti. – Perizie e documenti tecnici: talvolta contestano l’inerenza adducendo che la spesa era eccessiva (antieconomica) o non di mercato. In questi casi, valutate di allegare una perizia di parte di un esperto. Ad esempio, se contestano che un viaggio in jet privato per 10 persone era sproporzionato, fate fare un confronto di costi col volo di linea, mostrando magari che serviva per rispettare una certa tempistica (giustificando la scelta costosa). O ancora, nel caso citato di Cass. 4365/2023 sulla barca, l’AE parlava di frode tramite interposizione fittizia: una perizia navale o un business plan che spiegasse l’uso commerciale dello yacht avrebbe forse aiutato. In sintesi, laddove l’ufficio mette in dubbio l’economicità o necessità del costo, potete far intervenire un professionista che illustri perché quel costo rientra nelle pratiche aziendali normali (o perché era comunque giustificato) . – Interpello o pareri preventivi: se in passato avete chiesto un interpello all’Agenzia sul trattamento di quella spesa (può capitare per questioni dubbie) e magari la risposta fu positiva o ambigua, usatelo a vostro vantaggio. Anche un parere professionale ottenuto all’epoca (da un tributarista) può essere prodotto per dimostrare la buona fede e l’oggettiva incertezza. Ad esempio: “Prima di dedurre la convention aziendale alle Hawaii, abbiamo consultato il parere pro veritate del Prof. XYZ che concludeva per la deducibilità trattandosi di formazione motivazionale del personale”. Questo non rende la spesa automaticamente inerente, ma può servire sul fronte sanzioni (dimostrare che c’era incertezza interpretativa e dunque chiedere la non applicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza ex art. 6 co.2 D.Lgs. 472/97) . – Coerenza ricavi/costi contestati: come visto nel caso della barca (Cass. 4365/2023), vi è un principio per cui, se un bene è ritenuto non inerente, anche i proventi derivanti da esso vanno eliminati dal reddito . In sede difensiva, se vi contestano il costo ma hanno lasciato tassato il ricavo, fate valere questo argomento subordinato . Ad esempio: l’azienda deduce 10k di spese viaggio per partecipare a una fiera, e dichiara anche 30k di ordini acquisiti in fiera (ricavi); l’ufficio disconosce i 10k di costi dicendo che la fiera non era inerente. Voi replicate: “se davvero la fiera non è inerente, allora neppure i contratti conclusi lì dovrebbero esserlo e andrebbero tolti dal reddito. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca tassando i ricavi e negando i costi”. Magari il giudice non vi darà l’intero importo, ma potrebbe ridurre l’imponibile stornando i ricavi come da principio di simmetria . In ogni caso sollevate sempre l’eccezione in via subordinata: “ove ritenuto il costo non inerente, si chiede l’esclusione dal reddito dei correlati proventi, ai sensi del principio affermato da Cass. 4365/2023”. È un argomento equitativo potente. – Sanzioni e buonafede: dedicate sempre un capitolo del ricorso alle sanzioni amministrative. Nel caso di costi indeducibili, la sanzione per “dichiarazione infedele” è generalmente pari al 90% della maggior imposta (ex art. 1 co.2 D.Lgs. 471/97, ridotta a 1/3 in adesione). Tuttavia potete chiedere al giudice la disapplicazione o riduzione per diverse ragioni: obiettiva incertezza normativa (come detto, se il tema è controverso e recente: l’evoluzione giurisprudenziale stessa lo dimostra, vedi Cass. 2025 citate) ; buona fede del contribuente (aveva ragionevoli motivi per ritenere deducibile la spesa); errore scusabile se c’è stata confusione fra spesa di pubblicità vs rappresentanza (in passato la linea di confine era incerta, come testimoniano casi tipo Cass. 1795/2019) . Sottolineate anche se avete tenuto un comportamento collaborativo (es. avete fornito tutto in sede di verifica): talvolta ciò induce la Commissione a ridurre le sanzioni in via di fatto.
3. Istituti deflativi: adesione, mediazione, conciliazione
Prima e durante il processo tributario, non dimenticate la possibilità di chiudere la vicenda con un accordo se la posizione non è totalmente a vostro favore. Per importi fino a 50.000 € è obbligatorio presentare un’istanza di reclamo-mediazione prima del ricorso: in tale sede potete proporre di pagare (ad esempio) solo le imposte senza sanzioni, o una percentuale, a fronte di rinuncia del resto. L’Agenzia spesso su questi temi è disposta a trattare, specie se riconosce qualche elemento a favore del contribuente. Ad esempio, se effettivamente avete documentato almeno una parte del viaggio come lavoro, potrebbero accettare di “patteggiare” una deduzione parziale.
L’accertamento con adesione (anche oltre 50k) è possibile dopo la notifica dell’atto: presentando istanza, si sospendono i termini e ci si siede a tavolino con i funzionari. Qui potete negoziare: magari ammettere l’indeducibilità di alcune spese palesemente personali in cambio del riconoscimento delle altre. Tenete presente che in sede di adesione l’ufficio non può legalmente ridurre le imposte per “pietas”: deve avere base giuridica. Ma di fatto può rivalutare le prove e accettare una vostra ricostruzione. Ad esempio: contestati 10 viaggi, voi dimostrate bene 7 e 3 no; può darsi che aderiscano sulla linea di far pagare solo i 3 non provati, con sanzioni ridotte a 1/3.
Durante il processo, è sempre possibile la conciliazione giudiziale (fino al secondo grado), con sanzioni ridotte al 50% se in primo grado o 60% in appello. Questa è un’arma da considerare se il giudice in udienza fa capire che siete deboli o se emerge un rischio penale (preferibile chiudere in sede tributaria pagando e usare l’accordo anche come attenuante penale, vedi infra).
In pratica, la strategia difensiva ottimale è spesso combinare fermezza e apertura: preparare un ricorso robusto, ma al contempo essere disponibili a soluzioni transattive se convengono. L’obiettivo primario è evitare il precedente di una condanna integrale su tutti i costi (che potrebbe anche riflettersi in altre annualità o segnalazioni future); a volte concedere qualcosa (pagare una parte) è pragmatico per chiudere la partita.
Profili penali: quando la deduzione di spese personali diventa reato
Oltre alle sanzioni tributarie amministrative, portare in deduzione aziendale spese per viaggi e vacanze può esporre a conseguenze penali tributarie nei casi più gravi. Occorre capire quando scatta il penale e quali fattispecie di reato possono essere contestate, nonché quali strategie difensive considerare sul piano penale.
Le norme di riferimento sono nel D.Lgs. 74/2000 (reati in materia di dichiarazioni fiscali). Ecco i reati potenzialmente configurabili: – Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): consiste nell’indicare in dichiarazione elementi passivi fittizi o in misura maggiore rispetto al reale, con il fine di evadere. Se un’impresa deduce costi inesistenti o indebiti (come spese personali fatte passare per aziendali), sta di fatto indicando elementi passivi superiori al dovuto. Tuttavia, perché sia reato, devono superarsi precise soglie: l’imposta evasa deve superare 100.000 € per periodo d’imposta, e gli elementi passivi fittizi (o ricavi omessi) devono eccedere il 10% del totale degli elementi attivi o comunque 2 milioni di € . Quindi, dedurre qualche viaggio di piacere difficilmente da solo porta a 100k di tasse evase (bisognerebbe gonfiare i costi di qualche centinaio di migliaia di euro). Ma attenzione: se c’è un sistema di fatture false o costi personali ricorrenti, il cumulo potrebbe far sforare le soglie. La pena per dichiarazione infedele va da 2 anni a 4 anni e 6 mesi di reclusione . – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2): qui non ci sono soglie minime – l’uso di false fatture è reato a prescindere dall’importo . Se per giustificare un viaggio vacanza l’impresa utilizza una fattura falsa (ad esempio simulando una consulenza o formazione inesistente), questo integra tale reato, punito severamente (reclusione 4-8 anni, riducibile se l’importo dei falsi < 100k a 1,5-6 anni) . Un caso tipico potrebbe essere: l’imprenditore fa la crociera con la famiglia e ottiene dal tour operator una fattura intestata all’azienda come “viaggio studio mercati esteri” senza che sia vero – quella è una fattura per operazione inesistente. L’elemento psicologico (dolo specifico di evasione) qui è forte e la soglia non conta: basta la condotta. – Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3): punisce chi, con mezzi fraudolenti diversi dalle false fatture (ad es. artifizi contabili, documenti falsi non fatture, operazioni simulate), indica elementi passivi fittizi in dichiarazione. Anche qui non v’è soglia di punibilità specifica (basta che l’evasione sia > 30mila €, ma spesso qualsiasi condotta fraudolenta viene perseguita) . Nel contesto viaggi, potrebbe configurarsi se l’imprenditore crea una falsa rappresentazione dell’operazione: ad esempio, simula un finto contratto di collaborazione con un parente per giustificare il rimborso di viaggi personali, oppure contabilizza in modo artefatto costi personali spostandoli su voci deducibili. Se c’è inganno attivo (non un mero abuso interpretativo), può essere art. 3, con pena da 3 a 8 anni . In genere, per contestare l’art.3 devono esserci manovre fraudolente concretamente idonee a ostacolare la scoperta: banalmente caricare una fattura reale di hotel (dove sei andato in vacanza) tra i costi aziendali non è di per sé “fraudolento” (è infedele), a meno che tu non l’abbia accompagnata da documenti falsi per far credere che fosse lavoro (es. un finto verbale di riunione a quella data). Quindi la linea tra infedele e fraudolenta sta nell’artificio. – Emissione di fatture false (art. 8): se il contribuente stesso è parte di un meccanismo di fatture false (es. una società “cartiera” che emette fatture di eventi fittizi per permettere ad altre di dedurre costi di vacanze), può scattare art.8, punito con 4-8 anni (riducibile se importi < 100k) . Questo riguarda più il soggetto emittente la fattura falsa (es. agenzia di viaggi compiacente). – Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art.11): ipotesi marginale qui, punisce chi distrae beni per non pagare imposte dovute. Non attiene alla fase dichiarativa ma esecutiva (es. occultare beni dopo un accertamento). Se però, a seguito di un processo tributario perso, l’imprenditore cercasse di far sparire soldi per non pagare, potrebbe incorrere in questo reato (soglia 50k) . Non è legato alla deduzione in sé ma alle conseguenze.
Quando di fatto scatta il penale in questi casi? Spesso solo nei casi più eclatanti. Ad esempio, la vicenda della barca di lusso in leasing usata dal socio citata prima: lì la GdF ravvisò “frode fiscale tramite interposizione fittizia” , segno che probabilmente fu avviata anche una indagine penale per dichiarazione fraudolenta. In generale: – Se l’importo di costi indebiti è enorme e ha ridotto di molto le imposte, si valuterà l’art.4 infedele (soglie permettendo). – Se c’è uso di documentazione falsa, sicuramente partirà la segnalazione per art.2 o art.3. Ad esempio, l’azienda presenta ai verificatori un falso programma di convegno per giustificare un viaggio mai avvenuto per lavoro: questa produzione di documento falso è di per sé reato (anche reato di falso eventualmente). – Spese personali sistematicamente camuffate in contabilità (magari spezzettate su voci generiche) potrebbero costituire “artifizi” ex art.3. Per esempio, se ogni mese il titolare fa week-end in resort e li registra come “missioni clienti X” con documenti interni manipolati, c’è volontà fraudolenta. – Se invece sono pochi episodi isolati, senza falsi clamorosi, in genere la si cava come illecito amministrativo. Le soglie di 100k € evasi non si toccano facilmente con qualche viaggio, a meno di non avere interi anni di spese personali scaricate.
Difendersi sul piano penale: qualora malauguratamente venisse aperto un procedimento penale (di solito la notizia di reato emerge durante la verifica fiscale e la GdF trasmette un rapporto alla Procura): – La prima mossa del legale penalista sarà spesso puntare sull’assenza di dolo specifico di evasione. Si cercherà di sostenere che l’imputato credeva davvero che quelle spese fossero deducibili, o che si è trattato al più di un’eccessiva disinvoltura ma senza intento fraudolento. Se c’è appiglio (es. c’era un parere dell’esperto a supporto, o la normativa era dubbia, o l’importo è modesto), si può provare a derubricare il fatto a mero illecito amministrativo. – Importante è verificare se pagando il debito tributario scatti qualche causa di non punibilità: le riforme degli ultimi anni hanno introdotto per alcuni reati tributari (non per tutti) l’estinzione se il contribuente paga integralmente il dovuto prima della dichiarazione dibattimentale. Ad esempio, per il reato di dichiarazione infedele era prevista la non punibilità se prima dell’apertura del giudizio penale si versa tutto il tributo, interessi e sanzioni amministrative (norma introdotta nel 2019). Occorre verificare la legge vigente: al 2025 alcune cause di non punibilità riguardano omessa dichiarazione e infedele se c’è integrale pagamento. Ciò significa che, se siete imputati per infedele, potete concordare con l’AE il pagamento di quanto dovuto (magari tramite adesione o conciliazione nel parallelo contenzioso tributario) e presentare la prova al giudice penale, chiedendo l’estinzione del reato. Attenzione: per la frode (art.2 e 3) questa scappatoia non c’è, perché sono reati più gravi non estinguibili col pagamento. – Strategie processuali: nel penale contano le prove raccolte. Una difesa potrebbe contestare la validità delle prove del PM: es. foto prese dai social senza decreto (ma se pubbliche, sono utilizzabili), testimonianze indirette ecc. Si può chiamare a deporre in vostro favore i clienti o dipendenti per confermare la versione business del viaggio. – Risvolti del giudizio tributario: l’esito del contenzioso tributario può influenzare (anche se formalmente autonomi i giudizi) il penale. Se in Commissione Tributaria ottenete una sentenza che vi dà ragione attestando l’inerenza, ciò sarà un ottimo elemento difensivo nel penale (dimostra che forse non c’era intento di evadere). Non è risolutivo, ma un giudice penale potrebbe esserne influenzato. Viceversa, se perdete in modo netto nel tributario, l’avvocato penalista dovrà lavorare sodo per evitare condanne sfruttando magari profili procedurali o minore gravità. – Pena e patteggiamento: se proprio c’è responsabilità, spesso conviene puntare a un patteggiamento (applicazione pena su accordo) per chiudere rapidamente e con pena mite (magari sospesa). Molti reati tributari permettono la sospensione condizionale se la pena concordata è sotto i 2 anni. Il fatto di aver pagato il debito fiscale è quasi sempre condizione per ottenere patteggiamenti favorevoli o sospensioni (il giudice le considera attenuanti). – Frode fiscale o elusione? Talvolta la difesa cercherà di ricondurre la condotta da “frode” a “elusione”, sostenendo che l’imputato ha al più abusato di forme giuridiche (usare la società per spese personali) senza falsi. L’abuso/elusione fiscale oggi è sanzionabile solo in via amministrativa (non è più reato dal 2015). Se riuscite a convincere che era un caso di “abuso del diritto” (condotta formalmente lecita ma volta a risparmio d’imposta indebito, ex art. 10-bis L.212/2000) e non di frode, potreste evitare la pena penale (ma paghereste il dovuto con sanzioni). Questo argomento ha speranze soprattutto in assenza di documenti falsi: per esempio, l’imprenditore ammette “sì, ho fatto passare spese personali, ma erano tutte registrate alla luce del sole, nessun inganno occulto, ho solo interpretato estensivamente la deducibilità”. A volte le Procure comprendono la differenza e derubricano a infedele (se soglie non raggiunte, archiviazione) oppure chiedono patteggiamento su reati minori.
In definitiva, l’aspetto penale entra in gioco quando c’è dolo evidente e importi elevati. La miglior difesa è preventiva: evitare condotte che possano apparire come frode deliberata. Ad esempio, sconsigliamo vivamente di produrre falsi documenti per giustificare costi: oltre a essere eticamente e legalmente scorretto, è quello che trasforma un semplice accertamento fiscale in un caso di polizia giudiziaria. Meglio eventualmente ammettere in sede tributaria che qualche spesa era personale (pagando le imposte relative) piuttosto che costruire un castello di carte che, se scoperto, conduce al penale. Se però il danno è fatto, occorre gestire attentamente il coordinamento tra difesa tributaria e penale, magari prevedendo anche il pagamento del dovuto per chiudere la parte fiscale e presentarsi in sede penale avendo “riparato” il torto (aspetto che i giudici considerano per diminuire la gravità del fatto).
Giurisprudenza aggiornata su spese indeducibili per viaggi/vacanze
A sostegno di quanto illustrato, è utile richiamare alcune sentenze recentissime della Corte di Cassazione (2023-2025) riguardanti costi contestati per difetto di inerenza, in particolare relativi a beni o spese “extra-aziendali”. Questi precedenti forniscono principi di diritto da utilizzare nelle difese, perché provengono dalla Suprema Corte e delineano i confini della materia. Eccone una selezione con breve commento:
- Cassazione, Sez. V, sent. 13 febbraio 2023 n. 4365: Bene aziendale ad uso personale (barca): costi indeducibili e corrispondenti ricavi da escludere. – Caso già citato: una società aveva in leasing uno yacht apparentemente per attività di noleggio, ma usato privatamente dal socio. La Cassazione ha confermato l’indeducibilità dei costi (canoni leasing, ormeggio, ecc.) per difetto di inerenza, dato che “l’utilizzo della barca era estraneo all’attività dell’impresa” . Rilevante, la Corte ha affermato che riconosciuta l’estraneità del bene, anche i proventi conseguiti dal suo utilizzo (i noleggi occasionali dichiarati) vanno esclusi dal reddito d’impresa per coerenza, evitando di tassare ricavi di un bene non inerente . Questo precedente fondamentale sancisce il trattamento simmetrico costi/ricavi per beni non inerenti, offrendo un importante appiglio difensivo (come discusso sopra).
- Cassazione, Sez. V, ord. 12 agosto 2024 n. 22664: Detraibilità IVA beni in start-up (immobile non ancora utilizzato). – Sebbene riguardi l’IVA, tocca il concetto di inerenza in fase iniziale: la Corte ha stabilito che è detraibile l’IVA sull’acquisto di beni strumentali anche se effettuati prima dell’avvio effettivo dell’attività, purché gli acquisti siano “effettivamente inerenti all’attività imprenditoriale complessiva”. Nel caso, una start-up aveva comprato un immobile destinato all’attività ma nel frattempo lo locava a terzi in attesa di operare; l’AE negava la detrazione IVA per difetto di inerenza (attività non partita). La Cassazione ha dato ragione alla società, sottolineando che l’inerenza va valutata sul progetto imprenditoriale nel suo complesso: non serve che l’attività sia già operativa, se il bene è funzionale all’organizzazione futura . Questo principio è traslabile anche alle imposte sui redditi, a difesa di costi sostenuti in fase preparatoria (es. viaggi esplorativi pre-apertura mercato).
- Cassazione, Sez. V, ord. 11 marzo 2025 n. 6426: Antieconomicità e inerenza: costi ammessi se proiezione futura dell’attività. – Anche questo già discusso: l’AE disconosceva costi di anni senza ricavi, assumendo la non inerenza. La Cassazione ha respinto l’impostazione, ribadendo che assenza o esiguità di ricavi non implica non inerenza. Ha ricondotto l’inerenza all’art.109 co.5 TUIR (correlazione a attività da cui deriveranno ricavi) e affermato che i costi sono inerenti se riferiti all’oggetto sociale o a utilità per l’impresa, anche solo potenzialmente e in prospettiva . Ha però precisato (richiamando Cass. 13588/2018) che una marcata antieconomicità può essere sintomo di non inerenza in casi estremi . L’ordinanza offre un bel compendio pro-contribuente sul principio di inerenza qualitativa, pur lasciando quello spiraglio per spese abnormi.
- Cassazione, Sez. V, sent. 12 maggio 2025 n. 12588: Royalties per marchi non utilizzati: inerenza non esclusa per mancato uso. – Vicenda: una società aveva dedotto costi (royalties) per utilizzare dei marchi, che poi però non aveva sfruttato, lasciandoli decadere. L’ufficio (e i giudici di merito) avevano disconosciuto i costi perché “non avevano prodotto effetti utili” per l’impresa. La Cassazione ha cassato la decisione di merito, affermando che la CTR aveva applicato un criterio sbagliato: aveva valutato la spesa in base alla sua utilità concreta ex post, mentre avrebbe dovuto considerare la riferibilità, anche indiretta o potenziale, all’attività d’impresa . In pratica, la Corte ha detto che il fatto di non aver poi usato quei marchi non esclude l’inerenza ex ante del costo di acquisto, se quell’operazione rientrava nelle possibili strategie aziendali. La sentenza richiama espressamente il principio che un giudizio ex post di utilità è errato: l’inerenza va valutata ex ante, secondo lo scopo perseguito al momento e la coerenza con l’oggetto sociale . Inoltre, ribadisce la massima sul non escludere l’inerenza salvo macroscopica antieconomicità. Questo precedente è utilissimo per difendere costi che ex post non hanno dato risultati (investimenti andati a vuoto, tentativi di espansione falliti), ma che all’origine avevano ragione economica lecita.
- Cassazione, Sez. V, ord. 22 maggio 2025 n. 13764: Documentazione irregolare: costi carburante non deducibili per incertezza del costo. – Già menzionata: la Cassazione ha accolto il ricorso dell’AE contro una CTR che aveva avallato la deducibilità per un autotrasportatore nonostante fatture carburante incomplete. La Corte ha chiarito che qui non era in discussione l’inerenza (il carburante per i camion è intrinsecamente inerente), bensì i requisiti di certezza e determinabilità del costo venivano meno per via di fatture irregolari (mancavano le targhe dei mezzi riforniti) e incongruenze (litri acquistati non compatibili coi km percorsi) . In sostanza, se manca la prova certa del costo, la deduzione salta a prescindere dall’inerenza. Difensivamente, questo è un monito: se avete documenti imperfetti, cercate di supplire con altri mezzi (registri interni, ecc.) , ma se la lacuna è grave la battaglia è quasi persa in partenza. Il caso insegna anche a non dimenticare che l’inerenza da sola non basta: occorre sempre soddisfare tutti i requisiti (certezza, competenza, ecc.).
- Cassazione, Sez. V, ord. 6 maggio 2024 n. 12081: Costo fittizio e IVA indetraibile: bene non inerente. – Ordinanza non trattata sopra in dettaglio ma significativa: riguarda l’ipotesi di operazione inesistente (soggettiva o oggettiva). La Corte afferma che se il Fisco dimostra che un costo è fittizio (fattura per operazione mai avvenuta, o gonfiata), manca qualsiasi inerenza ovviamente. Nel caso specifico l’ordinanza 12081/2024 (citata anche su riviste) trattava di IVA indebitamente detratta su beni non inerenti, praticamente ribadendo che una spesa simulata o utilizzata solo per fini personali non può mai considerarsi inerente nemmeno in parte . È un promemoria che in situazioni di frode conclamata (costi falsi) il discorso inerenza nemmeno si pone: si va direttamente sul recupero totale e, come visto, sul penale.
Questa rassegna di pronunce recenti mostra come la giurisprudenza tenda oggi ad avere una visione equilibrata: da un lato apertura verso il contribuente nel riconoscere inerenza su base qualitativa/prospettica (evitando approcci troppo semplicistici tipo “non c’è ricavo = costo non inerente”); dall’altro fermezza contro abusi evidenti e mancanza di supporto documentale. Nelle difese è quindi opportuno citare quei precedenti che rafforzano la vostra tesi. Ad esempio, se l’AE vi contesta un viaggio perché quell’anno eravate in perdita, richiamate Cass. 6426/2025 che smentisce tali automatismi. Se contestano “non l’avete utilizzato poi”, citate Cass. 12588/2025 sul giudizio ex ante. Viceversa, occhio che l’Avvocatura dello Stato nelle controdeduzioni citerà magari frasi di Cassazioni meno favorevoli (magari quelle sull’antieconomicità sintomo di non inerenza, o vecchie sentenze). Sta a voi dimostrare che l’orientamento attuale è pro-contribuente e che la vostra situazione rientra in quelle tutelate dalle recenti pronunce.
Domande frequenti (FAQ) su deducibilità di viaggi e difesa in caso di controlli
D1: Una ditta individuale può dedurre le spese di una vacanza se durante il viaggio ha anche svolto attività lavorativa?
R: In linea di principio sì, ma solo la parte inerente all’attività. Occorre distinguere la componente personale da quella di lavoro. Se, ad esempio, un artigiano va con la famiglia 7 giorni in Sardegna e durante quel periodo dedica 2 giorni a incontrare fornitori locali, potrà al massimo dedurre i costi riferibili ai 2 giorni di lavoro (viaggio A/R se motivato dal lavoro, 2 pernottamenti, ecc.), mentre il resto è privato. In pratica dovrebbe scorporare le spese e avere documenti separati (fatture hotel per i giorni di lavoro distinti, magari stanza singola per lui per quei giorni). Se non c’è separazione e tenta di dedurre tutto, quasi certamente in caso di controllo il Fisco disconoscerà la maggior parte, qualificando l’operazione come vacanza personale con breve parentesi lavorativa. Meglio ancora sarebbe organizzare il viaggio di lavoro senza sovrapporlo a vacanze familiari, per evitare commistioni.
D2: L’Agenzia mi contesta come “spese personali” alcuni viaggi solo perché erano durante il periodo natalizio o estivo. È una motivazione valida?
R: No, di per sé la collocazione temporale non prova nulla. Molte attività commerciali si svolgono anche in dicembre o agosto (si pensi al settore turistico stesso, o a congressi internazionali). Il Fisco non può limitarsi a dire “era Natale ergo vacanza”. Serve che porti evidenze che in quei viaggi non avete svolto attività d’impresa. Voi potete difendervi mostrando ad esempio che in quel periodo c’erano fiere (es. fiere natalizie di settore), o che avete incontrato clienti esteri che erano disponibili proprio in quel periodo. Quindi combattete la contestazione sul fatto: dimostrate cosa avete fatto in quei giorni. Se ci sono e-mail, calendari o documenti datati che provano l’impegno lavorativo durante le feste, presentateli. In sintesi, la data insolita non basta a rendere indeducibile la spesa : dovrà semmai l’ufficio provare che non c’era attività (esempio: se la vostra sede e i vostri clienti erano chiusi per ferie e voi dite di aver fatto un viaggio d’affari proprio in quei giorni, l’AE potrebbe aver facile gioco a mostrare l’incongruenza).
D3: Ho portato un mio importante cliente estero a visitare la produzione in Italia, pagando io il suo volo e albergo. Posso dedurre queste spese?
R: Sì, questo è proprio il caso previsto come spesa non di rappresentanza e interamente deducibile . Le spese di viaggio, vitto e alloggio per ospitare clienti (anche potenziali) in occasione di visite a stabilimenti, oppure per accompagnarli a fiere dove esponete i vostri prodotti, sono considerate inerenti e deducibili al 100%, non soggette al limite dell’1.5% ricavi. Naturalmente dovete conservare documentazione come: lettera di invito al cliente, agenda della visita, eventuali contratti o ordini firmati durante/in seguito alla visita. Inoltre, da un punto di vista IVA, notate che le spese di trasporto passeggeri (il volo) non danno detrazione IVA , mentre quelle di vitto/alloggio sì (se avete fattura dell’hotel intestata a voi). Quindi potrete dedurre l’intero costo lordo, ma l’IVA di quel volo resta a vostro carico. L’importante è poter dimostrare che il cliente c’era davvero e il viaggio era d’affari: fate magari firmare al cliente un report di visita o conservate i suoi biglietti da visita, perché se poi contestano, avrete prova che non avete inventato nulla.
D4: Un agente di commercio può dedurre un viaggio-vacanza offerto come incentivo ai propri clienti/acquirenti?
R: Se per “viaggio-vacanza offerto” intendiamo che l’agente paga una vacanza ai clienti migliori come omaggio, si ricade nelle spese di rappresentanza. Sono deducibili entro il limite dell’1.5% dei ricavi e solo se c’è una finalità promozionale tangibile. In genere per un agente di commercio (che di solito opera in forma di ditta individuale) non è comune offrire viaggi omaggio – è più tipico per aziende più grandi. In ogni caso, se lo fa, deve documentare bene che durante quel viaggio c’è stata promozione dei prodotti, presentazione cataloghi, ecc. Senza una cornice promozionale concreta, l’Agenzia considererà la vacanza un regalo personale non deducibile. Se invece l’agente partecipa egli stesso al viaggio con i clienti e lo imposta come “convention” sui prodotti, potrebbe provare a dedurlo nei limiti di rappresentanza. Bisogna essere consapevoli che è terreno scivoloso: l’AE potrebbe eccepire che per l’agente individuale quella spesa è troppo elevata o non usuale rispetto all’attività. Quindi prudenza: magari concordare con l’azienda mandante (se c’è) che organizzi essa eventuali incentive trip, oppure limitarsi a omaggi meno impegnativi.
D5: L’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto tutte le spese di auto aziendale, benché noi avessimo già applicato la deducibilità al 20% come da legge. Può farlo?
R: In linea generale, sì, può farlo se dimostra che l’auto era totalmente estranea all’attività. Il limite del 20% (art.164 TUIR) è una presunzione forfettaria di uso promiscuo: lo Stato ti fa dedurre almeno il 20% anche se l’auto la usi anche privatamente. Ma questo non dà immunità totale: se l’AE prova che l’auto in realtà è usata quasi esclusivamente a fini personali del socio/amministratore (bene non inerente), può negare anche quel 20% residuo . È raro, ma accade soprattutto per auto di lusso palesemente ingiustificate per l’attività. Esempio: una piccola società di consulenza deduce 20% dei costi di una Ferrari intestata alla ditta ma usata dal socio per svago. L’ufficio può sostenere che neanche quel 20% spettava, perché la Ferrari nulla c’entra con la consulenza, configurandosi come bene di lusso extra-impresa . In tali casi estremi, più che il dettaglio del 20% conta l’inerenza: se giudicano l’auto bene ad utilità socio-ricreativa, tolgono tutto. Voi potete difendervi solo provando qualche uso aziendale concreto dell’auto (riunioni da clienti, chilometraggi per lavoro registrati, ecc.) . Se ci riuscite, mantenete il diritto almeno al 20%. Da notare che una recente Cassazione 2024 ha stabilito che il limite 20% vale per IRES/IRPEF ma non per l’IRAP, dove invece conta il bilancio civilistico : dunque, se vi avessero negato costi auto anche sul calcolo IRAP, potete richiamare quel precedente (in ambito IRAP il concetto di inerenza è peculiare).
D6: Chi deve provare che un costo non è inerente? Il Fisco o il contribuente?
R: Come spiegato, c’è un doppio livello di onere della prova. Inizialmente tocca al contribuente: quando deduce un costo, deve avere le pezze giustificative e deve essere in grado di spiegare perché è di impresa . Se arriva un controllo, l’azienda deve fornire questi elementi (documenti, spiegazioni). Una volta che l’abbia fatto, se l’Ufficio ancora vuole disconoscere il costo, allora tocca al Fisco dimostrare il contrario, ossia portare elementi per dire: “No, quei documenti non bastano perché c’è questa evidenza che indica uso personale” . In Cassazione si è affermato chiaramente: prima onere al contribuente di provare esistenza, natura e destinazione alla produzione; una volta fornita tale prova, un’eventuale contestazione necessita che l’Amministrazione finanziaria deduca elementi contrari specifici . Quindi, se tu contribuente non produci nulla, perdi perché avevi l’onere di base. Se produci tutto il possibile, il Fisco deve contrapporre prove o almeno indizi seri; se non lo fa, il giudice dovrebbe darti ragione . In pratica: l’onere iniziale è tuo, poi si sposta. Un consiglio: durante la verifica, metti già l’Ufficio in condizione di vedere che hai come documentare. Così, se nell’atto finale non aggiungono nulla oltre a reiterare “non inerente”, in giudizio farai valere che avevi assolto al tuo onere e l’AE no .
D7: Una SRL ha pagato un viaggio ai soci senza fatturare nulla a loro. Meglio considerarlo dividendo, fringe benefit o altro? Come sistemare per non avere guai?
R: Se la società ha sostenuto costi per un viaggio dei soci (non dipendenti), formalmente è uno scenario da bene o servizio a soci. Non potendolo inquadrare come spesa di lavoro (i soci non dipendenti non hanno trasferte), e non essendoci finalità promozionale, l’unica regolarizzazione possibile sarebbe trattarlo come utili ai soci. In pratica, la società dovrebbe riqualificare quella spesa come utile distribuito a quei soci sotto forma di rimborso vacanza. Questo comporterebbe: (a) non deducibilità per la società (un utile distribuito non è costo); (b) assoggettamento a tassazione in capo ai soci come dividendo (se soci persone fisiche, attualmente al 26% se partecipazione non qualificata, o parzialmente imponibile se qualificata). È una strada percorribile solo se i soci accettano di prendere atto di quel “dividendo in natura”. L’alternativa potrebbe essere, se i soci sono anche amministratori, cercare di far rientrare il viaggio come fringe benefit amministratori: attribuirgli un valore, aggiungerlo ai compensi amministratore (soggetto a ritenuta IRPEF) e dedurlo come costo del personale. Questo eviterebbe la presunzione sui beni a soci, perché diventerebbe un compenso. Bisogna però rispettare i limiti sui fringe benefit eventualmente (fino a 258,23 € annui esentati per dipendenti, ma per amministratori non dipendenti quell’esenzione non c’è chiaro). Diciamo che entrambe le vie hanno costi fiscali. La peggiore opzione è lasciare tutto com’è senza fare nulla: in caso di controllo, come visto, scatterebbe indeducibilità totale e tassazione come reddito diverso ai soci con possibili sanzioni. Quindi, se ormai il viaggio c’è stato, meglio parlare col commercialista e sanare: ad esempio deliberare un conguaglio di compenso amministratore includendo quel benefit, pagando i contributi (se dovuti) e imposte relative. In generale, queste situazioni andrebbero evitate ex ante: se proprio si vuole dare un viaggio premio a soci/amministratori, conviene deliberare prima il trattamento fiscale (es. aumento compenso amministratore di X euro per “rimborso spese vacanza”). Così non appare occulto.
D8: In caso di verifica, l’onere della prova che un costo non è inerente spetta al Fisco o a me contribuente?
R: (Vedi D6, domanda simile. Risposta già fornita sopra: inizialmente al contribuente, poi al Fisco se il contribuente prova il suo assunto).
D9: Se pago in contanti le trasferte dei dipendenti o le spese di rappresentanza, cosa rischio dopo la nuova normativa?
R: Dal 2025 rischi che quei costi vengano integralmente disconosciuti in sede di controllo, a prescindere dall’inerenza, per violazione dell’obbligo di tracciabilità . Ad esempio, rimborsi al dipendente pagati cash: l’AE potrebbe eliminare il costo dedotto e per giunta considerare quel rimborso come reddito imponibile al dipendente (con recupero di ritenute). Per le rappresentanza, se hai offerto una cena a un cliente e l’hai pagata in contanti, la cena non sarà deducibile. La norma è molto chiara: il pagamento deve avvenire con strumenti tracciabili (carte, bonifico, assegno, ecc.) . Quindi, per evitare problemi: abituati a queste regole. Se un dipendente ti porta scontrini da rimborsare, restituiscigli i soldi con bonifico; se organizzi un evento, paga i fornitori con mezzi tracciati. Oltre al fisco, considera anche che i revisori in sede di bilancio potrebbero eccepire questa cosa, essendo una norma civilistica ora (in parte è norma fiscale, ma incide sulle scritture). In sintesi, dal 2025 il contante è nemico della deducibilità per queste spese: evitabile con un po’ di programmazione finanziaria (carte aziendali, anticipi su carte prepagate ai dipendenti, ecc.).
D10: Qual è la differenza tra spesa di pubblicità e spesa di rappresentanza? Perché mi interessa?
R: La differenza è sottile ma importante: le spese di pubblicità o propaganda sono integralmente deducibili, mentre le spese di rappresentanza hanno limiti quantitativi. Una spesa di pubblicità mira direttamente a far conoscere prodotti o servizi per generare vendite (es. annunci, sponsorizzazioni, eventi aperti al pubblico con scopo promozionale), la rappresentanza invece ha scopo più generale di immagine o relazioni senza aspettativa diretta di vendita (es. omaggi, cene di gala, viaggi premio). Nel nostro contesto, un viaggio può a volte essere qualificato in un modo o nell’altro. Esempio pratico: Cass. n. 1795/2019 ha stabilito che i costi sostenuti per viaggio, alloggio e ristorazione di giornalisti invitati a una mostra-evento di moda erano spese di pubblicità, non di rappresentanza . Questo perché avevano uno stringente legame con i ricavi attesi (pubblicità all’evento e quindi al marchio) e non erano erogazioni gratuite fini a sé stesse, ma un investimento promozionale. In difesa, se riesci a far passare la tua spesa come pubblicità anziché rappresentanza, vinci su due fronti: (1) niente limite 1.5% ricavi – deduci tutto; (2) IVA detraibile integralmente (mentre per le rappresentanza alcune IVA non lo sono). Come fare? Devi provare il “stringente legame eziologico con i ricavi” . Nel caso citato, invitare giornalisti significava ottenere articoli e visibilità che portavano vendite nel settore moda. Nel tuo caso devi vedere: hai organizzato un evento durante quel viaggio? Era pubblicizzato? C’era il logo ovunque e consegne di materiale informativo? Se sì, puoi sostenere che è pubblicità. Anche le fiere rientrano più nella propaganda che nella rappresentanza. Quindi la distinzione interessa perché un eventuale errore dell’AE su questo (classificare pubblicità come rappresentanza) ti dà motivo di ricorso. All’inverso, stai attento: non tutte le spese le puoi etichettare come pubblicità per magia – se paghi vacanze a persone che non hanno un ruolo nel farti pubblicità (es. i clienti stessi), difficilmente puoi dire che è propaganda. L’importante è conoscere entrambe e valutare di volta in volta.
D11: Cosa succede se durante un controllo ammetto che alcune spese erano personali?
R: Dipende. Se lo ammetti informalmente ai verificatori, sicuramente quelle spese saranno recuperate e con sanzione (infedele). Difficilmente ti eviti la sanzione solo perché fai ammenda, a meno che tu non aderisca subito e paghi. L’ammissione però può essere un’arma a doppio taglio: da un lato la sincerità può evitare che pensino a situazioni peggiori (frode), dall’altro rischi di fornire tu stesso la “pistola fumante” per il reato (se di entità rilevante). In generale, se colto in fallo su una spesa personale evidente, una strategia è cercare un accordo transattivo (accertamento con adesione): ammetti quelle spese in cambio magari della non estensione ad altre voci, e chiudi con sanzioni ridotte. Se invece ammetti e basta senza formalizzare adesione, l’AE ti farà comunque l’atto con sanzione piena (anche se a quel punto contestare in giudizio sarebbe incoerente, avendo ammesso). Quindi, meglio farlo solo contestualmente a un accordo. Sul penale: ammettere in sede amministrativa può finire nel PVC e quindi in procura se ci sono gli estremi. Se l’importo non è da reato, amen. Se lo è, la confessione renderà la difesa penale più complessa (anche se nel penale potrai sempre ritrattare dicendo di esserti confuso, ma perderebbe credibilità). In sostanza, valuta col tuo consulente: se l’errore è palese e documentato, negarlo a oltranza può sembrare comportamento ostruzionistico e provocare più severità; ammetterlo e mostrarsi cooperativo può invece portare a una definizione bonaria col Fisco. Importante: se ammetti, pretendi di formalizzare il tutto in un atto di adesione o conciliazione, così da cristallizzare sanzioni ridotte e spegnere il conflitto (e magari usare il pagamento come scudo penale se applicabile).
D12: In futuro, come posso prevenire contestazioni su spese di viaggio?
R: Ottima domanda, la prevenzione è la miglior difesa. Ecco alcuni consigli pratici: – Tenere documenti dettagliati: non solo fatture, ma anche programmazione delle trasferte. Conservare agende, e-mail di convocazione riunioni, badge di ingresso a fiere, persino fotografie di voi allo stand o al lavoro. Ogni viaggio d’affari dovrebbe avere un “dossier” allegato. – Politica aziendale chiara: predisponete una travel policy interna. Ad es., prevedere che ogni trasferta sia autorizzata per iscritto con indicazione dello scopo, e a consuntivo richiedere un report al trasfertista su cosa ha fatto. Questo formalismo crea già un pacchetto di prove interne. – Evitare pagamenti in contanti: come detto, ora è anche obbligo. Usate carte aziendali intestate alla società (così anche l’estratto conto fa prova che la spesa l’ha pagata la società). Se i dipendenti usano la propria carta, fategli fare nota spese e rimborsateli con bonifico, allegando scontrini intestati. – Non mischiare lavoro e svago: se potete, separate nettamente viaggi di lavoro da vacanze personali, in termini di tempo, luogo e partecipanti. Evitate di portare la famiglia su viaggi di lavoro; se succede (es. aggiungete giorni personali), scorporate quei costi dal conto aziendale. – Interpellare l’Agenzia in casi dubbi: esiste l’interpello al Fisco. Se avete in mente un’iniziativa borderline (tipo un retreat aziendale con parte leisure), potete presentare interpello descrivendo il caso e chiedendo se i costi sono deducibili. L’Agenzia di solito su inerenza risponde molto cauto (spesso “dipende dai fatti…”), ma avere un riscontro scritto ex ante può aiutare a capire il loro punto di vista e in caso di contestazione dimostrare che ci avete pensato. In alternativa, fatevi fare un parere scritto da un esperto e seguite le sue indicazioni. – Valutare soluzioni alternative lecite: se l’obiettivo è dare un benefit (vacanza) a qualcuno, forse conviene farlo emergere come tale (fringe benefit tassato) anziché simulare spesa di lavoro. Ad esempio, molti premi aziendali ora vengono fatti rientrare nel welfare (es. voucher viaggio esentasse fino a certi limiti). Usare quelle normative speciali è preferibile al rischio di contestazione. – Coerenza tra ciò che si comunica e ciò che si deduce: se pubblicamente dite “abbiamo regalato una crociera ai migliori venditori”, poi non potete dedurre la crociera come costo pubblicitario. Sembra banale, ma a volte marketing e amministrazione non si parlano: l’ufficio marketing posta su LinkedIn foto di team building in montagna, e il fiscale deduce come formazione. Un verificatore può vedere LinkedIn! Quindi, allineate narrazione e contabilità. – Importi ragionevoli: ultimo, ma non meno importante: cercate di mantenere le spese di viaggio entro margini proporzionati al business. Se proprio volete togliervi uno sfizio lussuoso a spese della società, pensateci due volte: vale la detrazione fiscale il rischio che comporta? Spesso no. Meglio pagarselo come dividendo e stare tranquilli, se è qualcosa di personale.
Con queste precauzioni, ridurrete drasticamente la probabilità di subire contestazioni o quantomeno sarete in una posizione difensiva molto forte se dovessero venire controlli. In caso di dubbio, consultate un tributarista prima di compiere operazioni “al limite”: meglio spendere in consulenza che in sanzioni dopo.
Fonti: la presente guida ha integrato le disposizioni normative vigenti (TUIR, DPR 633/72, L.197/2024) e una serie di pronunce giurisprudenziali aggiornate fino al 2025 (Corte di Cassazione, Sez. Tributaria) tratte da fonti ufficiali e riviste specialistiche . Sono stati considerati i chiarimenti ministeriali (Circolare AdE n.34/2009 , DM 19/11/2008 ) e contributi dottrinali recenti in materia di inerenza . Le strategie difensive proposte trovano riscontro in casi pratici discussi in sede professionale e nelle linee guida deducibili da sentenze come Cass. n.26490/2019 sul riparto dell’onere probatorio . Si è dato rilievo anche agli aspetti penal-tributari sulla base del D.Lgs.74/2000 e di commenti di esperti penalisti . La guida fornisce così un quadro avanzato e aggiornato al Agosto 2025 per orientarsi nella difesa da contestazioni sulle spese di viaggi e vacanze in ambito aziendale, con un approccio pratico e documentato.
- CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 gennaio 2019, n. 1795 – Costituiscono spese di pubblicità gli esborsi sopportati per il viaggio e l’alloggio nei vari alberghi della città e di ristorazione dei giornalisti chiamati a presenziare alla mostra e delle personalità invitate a parteciparvi al fine di darle lustro o, comunque, per focalizzare su di essa la attenzione generale
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate spese per viaggi e vacanze portate in deduzione aziendale? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate spese per viaggi e vacanze portate in deduzione aziendale?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Le spese per viaggi e vacanze sono deducibili solo se hanno una finalità aziendale o promozionale chiaramente dimostrabile. Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che tali spese siano in realtà di natura personale, procede al loro disconoscimento, riqualificandole come costi non inerenti e recuperando imposte, IVA e sanzioni.
👉 Prima regola: documenta sempre la connessione tra il viaggio e l’attività d’impresa.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Viaggi di piacere mascherati da trasferte di lavoro;
- Spese di soggiorno e intrattenimento non collegate a eventi aziendali;
- Viaggi di soci o familiari a carico della società senza giustificazione;
- Pacchetti vacanza completi (hotel, voli, escursioni) dedotti come costi aziendali;
- Assenza di documentazione che provi lo scopo professionale del viaggio.
📌 Conseguenze della contestazione
- Indeducibilità del costo ai fini delle imposte dirette;
- Recupero IVA se detratta indebitamente;
- Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte accertate;
- Interessi di mora;
- Rischio di contestazioni ulteriori su altre spese aziendali.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Esistenza di documenti a supporto (inviti a fiere, convegni, meeting);
- Tracciabilità delle spese: sono state sostenute con carte aziendali e fatturate?
- Presenza di agenda di lavoro o report che dimostrino incontri professionali;
- Eventuale partecipazione a eventi commerciali o promozionali;
- Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha provato la natura personale della spesa?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Fatture e ricevute di hotel, ristoranti e viaggi;
- Inviti e programmi di eventi o fiere;
- Report aziendali sulle attività svolte durante il viaggio;
- Estratti conto aziendali per la tracciabilità dei pagamenti;
- Comunicazioni con clienti, fornitori o partner esteri.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’inerenza delle spese con prove concrete della loro utilità aziendale;
- Contestare la riqualificazione come spese personali se prive di fondamento;
- Eccepire vizi formali dell’accertamento: motivazione carente, decadenza dei termini, notifica irregolare;
- Richiedere autotutela se la documentazione era già agli atti ma non valutata;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare la pretesa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza le spese di viaggio contestate e la documentazione prodotta;
📌 Verifica la legittimità della contestazione dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione corretta delle spese di rappresentanza e viaggio.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e deducibilità dei costi;
✔️ Specializzato in difesa di imprese e professionisti contro contestazioni su viaggi e trasferte;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle spese per viaggi e vacanze dedotte come costi aziendali non sempre sono fondate: spesso derivano da interpretazioni soggettive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la finalità aziendale delle spese, ridurre sanzioni e interessi e tutelare la tua impresa da accertamenti arbitrari.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle spese di viaggio inizia qui.