Agenzia Delle Entrate Rileva Parcelle Retrodatate: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune parcelle emesse risultano retrodatate? In questi casi, l’Ufficio presume che le fatture o le ricevute siano state emesse con date non reali per alterare i redditi imponibili, spostare il carico fiscale su annualità diverse o ridurre indebitamente le imposte. La conseguenza è il recupero delle somme contestate con sanzioni e interessi, oltre al rischio di responsabilità penale nei casi più gravi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con la giusta documentazione è possibile difendersi efficacemente.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le parcelle retrodatate
– Se la data di emissione non coincide con la reale prestazione o con il pagamento ricevuto
– Se vi sono discrepanze tra le parcelle e i movimenti bancari registrati
– Se la retrodatazione è utilizzata per imputare ricavi a un anno fiscale differente
– Se la documentazione appare alterata o priva di riferimenti oggettivi
– Se la pratica è ritenuta strumentale a ridurre il carico fiscale o a ottenere indebite agevolazioni

Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte dirette e indirette sulle somme riqualificate
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele o omessa fatturazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di accertamenti più ampi su altri redditi e documenti fiscali
– Possibile denuncia penale per falso o frode fiscale

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale data della prestazione con contratti, ordini, relazioni o corrispondenza con il cliente
– Produrre estratti conto bancari che confermino i pagamenti coerenti con le parcelle
– Contestare l’interpretazione dell’Agenzia se la retrodatazione è frutto di errore formale e non di intento fraudolento
– Evidenziare vizi di motivazione o difetti di istruttoria nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione fiscale e contrattuale relativa alle parcelle contestate
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione giuridica delle operazioni
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi formali dell’accertamento
– Difendere il professionista davanti ai giudici tributari e, se necessario, in sede penale
– Tutelare il patrimonio e la reputazione professionale da conseguenze sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della regolarità delle parcelle correttamente emesse
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: la contestazione per parcelle retrodatate deve essere impugnata entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. In caso contrario, diventa definitiva.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa dei professionisti – spiega come difendersi in caso di contestazioni su parcelle retrodatate e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ha rilevato delle parcelle (fatture di compensi professionali) retrodatate nei tuoi documenti fiscali? Si tratta di una situazione delicata, in cui il Fisco presume che alcune fatture siano state emesse con data falsa o non conforme alla realtà, tipicamente per ottenere vantaggi fiscali indebiti (come anticipare costi in un periodo d’imposta precedente). In questi casi, l’Ufficio tende a disconoscere i costi dedotti con tali documenti, ricalcolando le imposte dovute e applicando sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è insuperabile: esistono strumenti di difesa tributari, penali, civili e deontologici che il contribuente (dal punto di vista del debitore d’imposta) può attivare per tutelarsi.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta parcelle retrodatate
– Se emergono fatture con data antecedente al momento effettivo della prestazione o del pagamento, ad esempio fatture datate fine anno ma relative a operazioni svolte o pagate nell’anno successivo.
– Se vi sono irregolarità nella registrazione: ad esempio, fatture numerate o protocollate in ordine non cronologico o registrate in ritardo, indicando date non coerenti con l’effettiva emissione .
– Se la retrodatazione appare finalizzata a spostare componenti di reddito tra periodi d’imposta (anticipare costi o posticipare ricavi), facendo sorgere il sospetto di dichiarazione infedele o frode fiscale.
– Se la documentazione di supporto (contratti, rapporti, corrispondenza) contraddice la data riportata sulla parcella (ad es. un contratto o verbale di prestazione successivo alla data fattura).
– In sede di controllo, anche grazie alla fatturazione elettronica: il Sistema di Interscambio (SdI) registra data e ora di invio di ogni e-fattura, per cui una differenza eccessiva tra la data indicata in fattura e quella di trasmissione può far scattare verifiche (il SdI non blocca automaticamente l’invio tardivo, ma il Fisco può rilevarlo ex post) .

Conseguenze della contestazione di fatture retrodatate
Ripresa a tassazione dei costi indeducibili: le spese documentate da parcelle retrodatate vengono escluse dalle deduzioni, con conseguente aumento del reddito imponibile sul periodo contestato . In pratica, l’imposta (IRES, IRPEF) viene ricalcolata come se quel costo non esistesse in quell’anno.
Recupero dell’IVA indebitamente detratta: se sulle parcelle era stata detratta l’IVA a credito, questa viene negata e aggiunta al debito d’imposta, trattandosi di documenti considerati irregolari o afferenti a operazioni non effettuate nel periodo .
Sanzioni amministrative: scattano sanzioni per dichiarazione infedele (dal 90% al 180% della maggiore imposta o del minor credito relativo ai costi indebiti) . In caso di utilizzo di fatture “per operazioni inesistenti” la sanzione può salire (100%‐200% dell’imposta) e cumularsi con quella IVA per omessa/tardiva fatturazione (90%‐180% dell’IVA non versata o detratta indebitamente) .
Interessi di mora: sulle maggiori imposte dovute vengono applicati interessi legali calcolati dal periodo d’imposta originario fino al pagamento .
Segnalazione penale: se l’importo dell’evasione supera determinate soglie, la Guardia di Finanza può inoltrare una notizia di reato per reati tributari (es. dichiarazione fraudolenta o infedele tramite uso di fatture false). Ciò avvia potenzialmente un procedimento penale parallelo .
Controlli a cascata: la scoperta di parcelle retrodatate spesso induce l’Ufficio ad estendere l’esame ad altre voci di bilancio o ad annualità precedenti o successive, sospettando un modus operandi sistematico . Ad esempio, potrebbero verificare se nello stesso periodo vi siano ricavi posticipati o altre spese anomale.
Doppia imposizione temporanea: se un costo viene disconosciuto nell’anno A perché in realtà di competenza dell’anno B, il contribuente rischia di tassarlo due volte: una volta perché tolto dall’anno A (aumentandone il reddito) e un’altra perché magari nel frattempo l’anno B è stato dichiarato senza dedurre quel costo. La Cassazione ha chiarito che l’Amministrazione può tassare il componente nel periodo corretto anche se il contribuente l’aveva già dichiarato altrove; la tutela dal duplicazione avviene semmai presentando istanza di rimborso o dichiarazione integrativa per l’anno in cui il costo doveva essere considerato .

Come difendersi dalla contestazione di parcelle retrodatate
Provare la realtà e competenza del costo: occorre dimostrare con documenti e contratti che la prestazione era effettivamente riferita al periodo indicato o comunque che il costo è reale e inerente all’attività . Ad esempio, se la fattura di un avvocato datata dicembre 2024 riguarda una consulenza svolta a cavallo d’anno, produrre report, email o documenti che attestino attività già resa entro fine 2024.
Evidenziare la buona fede o l’errore: Se la retrodatazione non aveva scopi fraudolenti ma è frutto di errore (es. ritardo nella fatturazione per disorganizzazione), sottolinearlo. Le violazioni formali senza incidenza sull’imponibile non sono sanzionabili, mentre quelle sostanziali sì – tuttavia dimostrare l’assenza di dolo può aiutare ad escludere le sanzioni più gravi o i profili penali.
Controargomentare sull’inerenza e competenza: spesso l’Agenzia adotta un’interpretazione rigida del principio di competenza temporale e di inerenza. La difesa può sostenere, anche citando giurisprudenza, che il costo era comunque strumentale all’attività e che uno scostamento di data non ne esclude la deducibilità sostanziale . Ad esempio, richiamare orientamenti sulla possibilità di dedurre costi dell’inizio dell’anno successivo se economicamente di competenza dell’anno precedente (anche se la norma generale resta inderogabile ).
Verificare vizi procedurali nell’accertamento: controllare se l’atto impositivo rispetta tutti i requisiti (motivazione, contraddittorio endoprocedimentale se dovuto, termini) . Vizi come la mancata notifica del processo verbale di constatazione con anticipo di 60 giorni (art. 12 c.7 L. 212/2000) o difetti di motivazione possono portare all’annullamento dell’accertamento, a prescindere dal merito.
Utilizzare gli strumenti deflattivi: prima di arrivare in giudizio, si può presentare istanza di adesione (accertamento con adesione) per tentare un accordo con l’Ufficio, ottenendo il congelamento dei termini di ricorso e magari una riduzione delle sanzioni. Oppure valutare il ravvedimento operoso se l’irregolarità è emersa prima di un atto formale: pagando spontaneamente le imposte dovute con interessi e mini-sanzione, si può regolarizzare l’errore ed evitare l’accertamento o attenuarne le conseguenze.
Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria): se l’accertamento è ritenuto illegittimo o infondato, è fondamentale impugnarlo entro 60 giorni . Nel ricorso occorre contestare punto per punto le argomentazioni dell’Ufficio, allegando le prove a favore (es. contratti, corrispondenza, perizie) e facendo leva sia su errori di diritto (violazione di norme) sia su errori di fatto (es. il Fisco non ha considerato alcune circostanze). È spesso utile chiedere CTU contabile in giudizio per dimostrare la corretta competenza temporale delle operazioni.
Tutela penale: in caso di procedimento penale avviato, predisporre una solida difesa evidenziando l’assenza di intenti fraudolenti. Ad esempio, dimostrare che la prestazione c’è stata (quindi non si trattava di operazione inesistente, ma solo di errata collocazione temporale) può escludere il reato di frode fiscale e semmai derubricarlo (quando applicabile) a dichiarazione infedele . Inoltre, se possibile, salda il debito tributario: la giurisprudenza più recente ha aperto alla non punibilità per particolare tenuità del fatto se il contribuente paga integralmente il dovuto . Anche il patteggiamento o l’applicazione di attenuanti specifiche (come quella di cui all’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000) possono ridurre sensibilmente la pena .
Difesa “deontologica”: se sei un professionista (es. un avvocato o commercialista) coinvolto nella vicenda, prepara una linea difensiva anche dinanzi al tuo Ordine. Mostrare di aver agito senza volontà di violare i doveri (magari c’è stata una richiesta del cliente o una errata interpretazione delle norme) può aiutare a limitare le sanzioni disciplinari. In alcuni casi, l’aver emesso tardivamente la fattura può costituire illecito deontologico permanente : conviene eventualmente regolarizzare subito la propria posizione fiscale (emettere le fatture mancanti, pagare l’IVA dovuta) e collaborare con l’Ordine fornendo spiegazioni e scusanti.
Valutare profili civilistici: qualora la retrodatazione sia avvenuta su consiglio o errore del consulente fiscale, il contribuente potrebbe rivalersi su quest’ultimo in sede civile per danno da mala gestio professionale. È una strada complessa (bisogna provare la colpa professionale), ma da considerare se le sanzioni subite derivano da negligenza altrui. Viceversa, se sei un professionista che rischia di non venire pagato a causa di una fattura contestata, potresti dover agire giudizialmente per il recupero del compenso, dimostrando la fondatezza della tua parcella a prescindere dalla data.

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
Analisi tecnica del caso: un avvocato esperto in diritto tributario esaminerà in dettaglio le parcelle contestate, la cronologia degli eventi e la documentazione contabile, per capire se effettivamente vi è stata retrodatazione indebita e con quali effetti.
Valutazione della legittimità dell’accertamento: il legale verifica se l’operato dell’Agenzia è conforme alla normativa (ad esempio, se la ripresa a tassazione rispetta il principio di competenza ex art. 109 TUIR o se l’ufficio ha applicato presunzioni illegittime). Si considerano anche le più recenti sentenze di legittimità sul punto, per individuare appigli giurisprudenziali favorevoli .
Strategia difensiva e redazione degli atti: l’avvocato provvede a redigere il ricorso tributario, impostando la difesa sia sul piano formale (vizi dell’atto) che sul piano sostanziale (merito della contestazione). Può predisporre memorie illustrative, istanze di sospensione dell’atto (per congelare le cartelle esattoriali in pendenza di giudizio) e ogni altro atto utile. In parallelo, se c’è un procedimento penale, coordina la difesa tecnica (memorie al PM, partecipazione agli interrogatori, richiesta di archiviazione se possibile, ecc.).
Assistenza nel procedimento: il legale rappresenta il contribuente dinanzi ai giudici tributari, sostenendo oralmente la causa, producendo documenti aggiuntivi e replicando alle difese dell’Agenzia. Nel penale, assiste l’imputato in ogni fase (indagini preliminari, eventuale udienza preliminare, dibattimento), cercando soluzioni come il patteggiamento o l’applicazione di cause di non punibilità.
Tutela del patrimonio e degli interessi del cliente: oltre a mirare all’annullamento dell’accertamento, l’avvocato adotta misure per evitare ricadute gravi sul patrimonio del contribuente: ad esempio, chiede la sospensione della riscossione coattiva in attesa del giudizio, consiglia se pagare parzialmente per ridurre gli interessi, oppure valuta se accedere a definizioni agevolate (se previste da norme sopravvenute, come rottamazioni di cartelle). In caso di esito negativo, si occupa di proporre appello e, se necessario, ricorso per Cassazione.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Annullamento totale o parziale della pretesa fiscale: il miglior risultato è la cancellazione dell’accertamento, se il giudice ritiene che la retrodatazione contestata non sussista o che il Fisco abbia esagerato (ad es. se la spesa era comunque deducibile). In subordine, si può ottenere un annullamento parziale, mantenendo la deducibilità di almeno una quota del costo.
Riconoscimento del costo nell’anno corretto: se la fattura in realtà andava imputata a un altro periodo, una difesa accorta potrebbe ottenere che l’importo sia comunque considerato deducibile nell’anno di competenza. Ciò non è automatico (il giudice tributario non sempre “sposta” il costo), ma è possibile argomentare per evitare una tassazione duplicativa. In ogni caso, dimostrando che il costo era reale, si gettano le basi per chiedere rimborso delle imposte pagate in eccesso nell’anno corretto .
Eliminazione o riduzione di sanzioni e interessi: se il contribuente dimostra la propria buona fede o che l’errore è scusabile, i giudici possono disapplicare le sanzioni (in tutto o in parte) per mancanza di colpevolezza grave. Inoltre, accedendo a istituti come l’accertamento con adesione, si ha diritto per legge a una riduzione delle sanzioni ad 1/3. Anche gli interessi possono essere limitati se vi sono stati ritardi imputabili all’Ufficio.
Sospensione delle procedure di riscossione: un ricorso fondato può ottenere in via cautelare la sospensione dell’esecutività dell’accertamento o della cartella, evitando che il contribuente debba pagare subito. Ciò tutela la liquidità dell’azienda o del privato in attesa della sentenza .
Salvaguardia in sede penale: sul fronte penale, un’efficace strategia può portare all’archiviazione dell’indagine (se si convince il PM dell’assenza di reato) o all’assoluzione in giudizio. In alternativa, nei casi più compromessi, si punta almeno a sanzioni penali minime: ad esempio ottenere la qualificazione del fatto come dichiarazione infedele (punita più lievemente e spesso estinguibile con condotte riparatorie) invece che come frode fiscale, o fruire della non punibilità per tenuità pagando il dovuto .
Tutela della reputazione professionale: per i professionisti coinvolti, chiudere positivamente la vicenda significa evitare o far revocare sanzioni disciplinari. Ad esempio, se l’Ordine forense avesse aperto un procedimento per tardiva fatturazione, la dimostrazione che non vi era intento elusivo e l’eventuale archiviazione penale possono contribuire a ottenere una pronuncia clemente o il proscioglimento. In generale, risolvere la questione riduce il rischio di danni reputazionali verso clienti e terzi.

⚠️ Attenzione: il ricorso contro un avviso di accertamento va presentato entro 60 giorni dalla notifica . Trascorso questo termine, l’atto diventa definitivo e l’impresa/professionista perde la possibilità di far valere le proprie ragioni in giudizio. È quindi fondamentale attivarsi tempestivamente, coinvolgendo un esperto, per evitare decadenze dei termini. Analogamente, in sede penale alcune scelte (come offrire il pagamento del debito per evitare la condanna) vanno fatte nei tempi giusti – ad esempio il pagamento prima della sentenza definitiva è determinante per beneficiare della non punibilità per particolare tenuità o delle attenuanti . Muoversi presto consente di sfruttare tutti gli strumenti difensivi disponibili.

Introduzione

Le “parcelle retrodatate” – espressione con cui comunemente si indicano fatture di compensi professionali emesse con una data antecedente a quella reale – rappresentano un tema spinoso nel diritto tributario italiano. L’operazione tipica consiste nell’emettere una fattura con data precedente rispetto al momento in cui la prestazione è stata effettivamente resa o compensata, allo scopo di attribuire il relativo costo a un periodo d’imposta anteriore. Ciò può accadere, ad esempio, a fine anno: un imprenditore chiede al professionista (avvocato, consulente, ecc.) di datare la parcella a dicembre, benché il lavoro sia svolto (o pagato) a gennaio, per poter dedurre subito il costo nell’anno che si sta chiudendo e ridurre il reddito imponibile di quell’anno. Dal punto di vista del debitore d’imposta (il contribuente), può sembrare una “ottimizzazione” fiscale; dal punto di vista del Fisco, è spesso vista come violazione del principio di competenza e, nei casi peggiori, come una frode fiscale.

In Italia, infatti, vige il principio inderogabile della competenza temporale per la determinazione del reddito d’impresa: i componenti negativi (costi) vanno imputati all’esercizio di competenza, cioè quello in cui la prestazione sottostante è effettivamente avvenuta, salvo eccezioni di legge . Anticipare un costo a un esercizio precedente significa violare questo principio e presentare una dichiarazione non veritiera. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che né il contribuente né l’Amministrazione possono scegliere arbitrariamente l’anno d’imputazione dei componenti di reddito, e che un ricavo o un costo dichiarato nell’anno sbagliato può (anzi, deve) essere tassato correttamente nell’anno giusto, rimettendo il contribuente nella condizione di semmai chiedere rimborso per l’anno errato . Questa rigidità serve a impedire che, spostando liberamente elementi di reddito tra periodi, si ottengano indebitamente vantaggi d’imposta o si mascherino perdite.

Oltre al profilo strettamente tributario, le parcelle retrodatate toccano altri ambiti normativi di rilievo avanzato. In primo luogo, possono integrare estremi di reato penale-tributario: se la retrodatazione comporta l’utilizzo di una fattura “falsa” (ossia riferita a operazione non realmente effettuata nel periodo dichiarato), si può configurare la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 74/2000) qualora l’evasione d’imposta superi €30.000 . Al di sotto di tale soglia (e in assenza di altri artifici fraudolenti), la condotta resta illecito amministrativo, ma può comunque costituire dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se i redditi non dichiarati (o i costi fittizi dedotti) superano il 10% del totale o altre soglie assolute (ad esempio oltre €100.000 di imposta evasa) . È importante notare che di recente la distinzione tra frode fiscale e infedele dichiarazione è stata oggetto di pronunce chiarificatrici: la Cassazione ha evidenziato che la frode si caratterizza per l’elemento fraudolento (es. uso di fatture false), mentre la mera infedeltà può risultare da sopravvalutazione/anticipazione di costi senza necessari artifici, ed è punita più lievemente . Comprendere questa differenza è cruciale per modulare la difesa: l’accusa di frode è molto più grave (pena da 1½ a 6 anni di reclusione) rispetto alla dichiarazione infedele (pena massima 3 anni, soglie di punibilità più elevate).

In secondo luogo, la pratica delle fatture retrodatate investe il profilo deontologico professionale. Professionisti come avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro hanno specifici doveri verso il fisco: l’art. 16 del Codice Deontologico Forense impone all’avvocato di emettere fattura tempestivamente e contestualmente al pagamento del compenso . L’omessa o tardiva fatturazione di compensi percepiti costituisce illecito disciplinare, a prescindere dall’entità del ritardo . Il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto conforme a deontologia la sanzione (fino alla sospensione) per chi ritardi sistematicamente la fatturazione, anche se l’Erario non subisce un danno immediato . Dunque, un avvocato che, su richiesta del cliente, retrodata la parcella per favorirlo fiscalmente, viola sia la legge tributaria sia i propri doveri deontologici di lealtà e correttezza (in quanto asseconda un’elusione o evasione). Analoghi principi valgono per i commercialisti, i quali devono rispettare il principio di collaborazione leale col fisco: favorire consapevolmente la retrodatazione di una fattura potrebbe esporli a procedure disciplinari presso l’Ordine (oltre che a concorso nei reati tributari, se il fatto assume rilevanza penale).

Dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta), trovarsi di fronte a un rilievo di parcelle retrodatate richiede un approccio multidisciplinare e avanzato. Bisogna dominare la normativa fiscale (articoli del TUIR, del DPR 633/1972 in materia IVA, D.Lgs. 471/1997 sulle sanzioni amministrative), conoscere le garanzie dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) applicabili al caso, nonché le procedure processuali tributarie (D.Lgs. 546/1992 e successive modifiche, incluse quelle della riforma del contenzioso tributario del 2022/2023). Occorre anche considerare il diritto penale (D.Lgs. 74/2000 e recenti riforme come il D.Lgs. 150/2022 cd. Cartabia e il D.Lgs. 87/2024 in materia fiscale) e i risvolti di diritto civile (responsabilità contrattuale o extracontrattuale dei professionisti coinvolti, validità civilistica dei documenti retrodatati, ecc.). Il tutto va affrontato con un linguaggio rigoroso ma divulgativo, perché da un lato la materia è altamente tecnica, dall’altro è importante che anche imprenditori e privati non specialisti comprendano i propri diritti e le possibili strategie difensive.

In questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – forniremo un quadro avanzato ma chiaro dei profili giuridici rilevanti e degli strumenti difensivi disponibili quando l’Agenzia delle Entrate contesta parcelle retrodatate. Illustreremo la normativa vigente con riferimenti a fonti ufficiali e le più recenti sentenze di legittimità e di merito, per poi passare ai consigli pratici su come procedere (dall’istanza di autotutela al ricorso tributario, dalla difesa penale alle azioni verso terzi responsabili). Inoltre, saranno presenti tabelle riepilogative per riassumere le sanzioni e i rimedi, nonché una sezione di Domande & Risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è offrire un vademecum operativo dal punto di vista del contribuente, cioè di colui che viene chiamato a rispondere di queste irregolarità, fornendo gli strumenti per difendersi efficacemente nel rispetto della legge.

Normativa italiana di riferimento sulle fatture retrodatate

Affrontiamo anzitutto i riferimenti normativi chiave che riguardano l’emissione di fatture, il principio di competenza e le relative sanzioni, così da contestualizzare il problema delle parcelle retrodatate nell’ordinamento italiano.

Obbligo di fatturazione e data di emissione: L’art. 21 del DPR 633/1972 (decreto IVA) stabilisce che per ogni prestazione di servizi effettuata va emessa fattura, contenente tra l’altro data e numero progressivo. Dal 2019, con la fattura elettronica, è previsto che la data di emissione (indicato nel file XML) coincida con la data indicata nel documento e debba riflettere la data effettiva di effettuazione dell’operazione o del pagamento. La norma consente una fatturazione differita (entro il 15 del mese successivo) per prestazioni di servizi individuabili tramite idonea documentazione (es. documenti di trasporto, contratti) . Per le fatture immediate, invece, la legge di bilancio 2019 (D.L. 119/2018) ha introdotto un margine di 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione per emettere e trasmettere la fattura al SdI . Emettere una fattura oltre tali termini significa emetterla in ritardo. È importante chiarire che tecnicamente il Sistema di Interscambio non impedisce l’invio di una e-fattura con data retrodatata oltre i 12 giorni: non vi è uno “scarto” automatico in questi casi . Tuttavia ciò non legittima la retrodatazione: semplicemente l’eventuale violazione sarà rilevata in sede di controllo e sanzionata, ma il sistema informatico non funge da blocco preventivo . L’Agenzia delle Entrate, rispondendo a quesiti sul punto, ha esplicitamente affermato che non è possibile emettere una fattura retrodatata per simulare una cessione o prestazione avvenuta in data anteriore . In altre parole, la data riportata in fattura deve corrispondere alla realtà: l’antecedenza fittizia costituisce un’irregolarità.

Principio di competenza economica (redditi d’impresa): Come accennato, l’art. 109 del TUIR (DPR 917/1986) prescrive che i costi e i ricavi vadano imputati all’esercizio di competenza, cioè “indipendentemente dalla data di pagamento o incasso”, salvo eccezioni (ad esempio per imprese minori in contabilità semplificata vigono criteri di cassa per alcuni componenti, ma per le società di capitali e imprese in ordinaria vale la competenza). Ciò significa che retrodatare un costo per farlo rientrare in un esercizio precedente infrange questo principio, a meno che quel costo si riferisse davvero a una prestazione svolta in quell’esercizio. La Cassazione ha definito il principio di competenza come “inderogabile e tassativo” : le parti non possono con accordi o comportamenti deviare da esso. Una violazione del principio di competenza legittima l’Ufficio a effettuare una variazione in aumento del reddito nell’anno indebitamente “alleggerito” (escludendo il costo ivi anticipato). Al contempo, qualora il contribuente abbia poi dichiarato un reddito più alto nell’anno successivo (non avendo dedotto il costo in quell’anno), la tutela consiste nel permettergli di correggere l’errore: l’ordinanza Cass. n. 23573/2025 ha confermato che il contribuente può presentare istanza di rimborso per l’anno in cui avrebbe dovuto dedurre il costo oppure una dichiarazione integrativa a favore per recuperare la maggiore imposta pagata . Questo però entro i termini di decadenza previsti (oggi il termine per integrative a favore coincide con quello dell’accertamento, ovvero il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di dichiarazione, salvo modifiche normative).

Principio di cassa (lavoratori autonomi): Diverso è il caso dei compensi professionali per chi li percepisce: un avvocato, ad esempio, tassato per cassa, dovrebbe dichiarare i propri compensi nell’anno in cui li incassa (ex art. 54 TUIR). In teoria, se egli emette una parcella a dicembre ma la incassa a gennaio, dal suo lato dovrebbe comunque dichiararla nell’anno successivo (principio di cassa) – ecco perché il Codice Deontologico impone la fatturazione contestuale al pagamento, così da non creare disallineamenti . La retrodatazione di una parcella può quindi creare un doppio disallineamento: il cliente la deduce per competenza nell’anno precedente, mentre il professionista – se onesto – la dichiarerà per cassa nell’anno successivo; di fatto, nell’anno di retrodatazione il professionista potrebbe anche non aver pagato l’IVA (che per i servizi di lavoro autonomo diviene esigibile all’incasso, ex art. 6 DPR 633/72, salvo emissione anticipata della fattura). Questo comportamento squilibrato è uno degli elementi che insospettiscono il Fisco durante i controlli incrociati: fatture emesse a fine anno non seguite da movimenti finanziari in quell’anno (pagamenti) possono emergere da verifiche bancarie o dalle comunicazioni IVA. Normativamente, rimane fermo che per il cliente imprenditore conta la competenza: se l’opera non era terminata né fatturata entro l’anno, non poteva dedurre il costo, e anticiparlo configura un uso improprio del principio di cassa altrui.

Violazioni tributarie e sanzioni amministrative: La retrodatazione di fatture può configurare varie violazioni nel D.Lgs. 471/1997 (sanzioni tributarie non penali). In particolare:
Omessa o tardiva fatturazione IVA (art. 6 D.Lgs. 471/97): se la prestazione era effettuata e pagata entro una certa data e la fattura è stata emessa oltre i termini (o con data alterata), si applica una sanzione dal 90% al 180% dell’IVA relativa non documentata tempestivamente . Nel caso di retrodatazione, a rigore, la fattura è stata emessa dopo l’effettuazione (anche se con data fittizia anticipata), quindi è assimilabile a una tardiva emissione. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che ciò è sanzionabile e che chi riceve una fattura retrodatata non può considerarla valida ai fini IVA in un periodo antecedente alla sua trasmissione .
Indebita detrazione IVA (art. 6 co.6 D.Lgs. 471/97): chi si detrae un’imposta in mancanza dei presupposti commette una violazione sanzionata anch’essa dal 90% al 180% dell’IVA detratta indebitamente. Questo si applicherebbe al cliente che ha detratto l’IVA di una parcella retrodatata in un periodo in cui non poteva . Se, ad esempio, una fattura datata dicembre 2024 viene in realtà emessa a febbraio 2025 e registrata a tale data, l’IVA è detraibile solo nel 2025, non nell’ultimo trimestre 2024; detrarla in quest’ultimo costituisce violazione.
Dichiarazione infedele (art. 1 D.Lgs. 471/97): sul piano delle imposte dirette, dedurre costi non spettanti rende infedele la dichiarazione dei redditi. La sanzione ordinaria va dal 90% al 180% della maggior imposta o del minor credito derivante . Se le fatture retrodatate riguardano operazioni del tutto inesistenti, la condotta può essere equiparata a uso di fatture false con aggravio di sanzione al 200%. Inoltre, la normativa prevede aggravanti se l’infedeltà dipende da utilizzo di mezzi fraudolenti: in sede amministrativa ciò comporta in genere la fascia alta delle sanzioni.
Violazioni contabili (art. 9 D.Lgs. 471/97): alterare le scritture contabili (registrando fatture con data differente dalla reale, oppure retrocedendo la registrazione a un esercizio chiuso) può integrare irregolarità contabili sanzionabili (fino a € 15.000 per irregolarità delle scritture, se ostacolano l’accertamento). Se la retrodatazione implica falsificazione di registri, potrebbe scattare tale sanzione, oltre a costituire elemento di prova di eventuale dolo.

Da fonti istituzionali autorevoli giungono conferme di questo inquadramento: ad esempio, in una risposta ad interpello del 2022 l’Agenzia ha negato la possibilità di emettere fatture retrodatate per sanare trasferimenti di beni, ribadendo l’obbligo di immediatezza della fatturazione . Sul fronte giurisprudenziale, la Cassazione ha emesso una serie di pronunce nel 2023-2025 che delineano i confini della responsabilità penale e tributaria in materia di false fatturazioni: da un lato ha riaffermato l’inderogabilità del principio di competenza temporale , dall’altro – come vedremo dettagliatamente – ha introdotto criteri di maggior favore per l’imputato che regolarizza la propria posizione tributaria (pagando il dovuto), arrivando a escludere la punibilità in alcuni casi di fatture false pagate prima della sentenza .

Riassumendo, la normativa italiana non consente in alcun modo di retrodatare le fatture: ogni documento deve rispecchiare la realtà economica e temporale. Far risultare nelle dichiarazioni costi o operazioni in periodi diversi dal reale significa infrangere tale precetto, con conseguenze a catena: sanzioni fiscali, possibili incriminazioni per reati tributari e violazioni deontologiche per i professionisti coinvolti. Nei capitoli successivi esamineremo come difendersi su ciascun fronte – tributario, penale, civile e disciplinare – facendo leva sulle norme e sugli orientamenti giurisprudenziali più aggiornati ad agosto 2025.

Contestazione fiscale e strategie difensive (profilo tributario)

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta parcelle retrodatate, si apre innanzitutto un contenzioso tributario sul recupero delle maggiori imposte. In questa sezione vediamo come si sviluppa la contestazione in sede fiscale e quali strumenti il contribuente ha per difendersi e far valere le proprie ragioni davanti all’Amministrazione finanziaria e ai giudici tributari.

Procedura di accertamento in caso di parcelle retrodatate

La contestazione tipica inizia spesso con un controllo formale o una verifica. Le parcelle retrodatate possono emergere in vari modi: ad esempio, un controllo incrociato tra le comunicazioni IVA (esterometro/lipe) e le liquidazioni; un’ispezione della Guardia di Finanza in azienda (che analizza le fatture a cavallo d’anno); oppure un questionario inviato dall’Agenzia su costi anomali.

Se vengono trovate fatture sospette, i verificatori redigono un processo verbale di constatazione (PVC) dettagliando le irregolarità: ad esempio “è stata rinvenuta fattura n. 10 del 31/12/2022 emessa dal professionista X per € 10.000 + IVA, registrata dalla società Alfa nel 2022; tuttavia, la corrispondenza email dimostra che la prestazione è stata eseguita nel gennaio 2023, pertanto trattasi di componente negativo non di competenza dell’anno 2022”. Il PVC, consegnato al contribuente, costituisce la base per l’accertamento. In base allo Statuto del Contribuente, dopo il PVC l’azienda ha 60 giorni per presentare osservazioni e richieste (memoria difensiva preliminare) prima che l’ufficio emetta l’atto (salvo casi di urgenza).

Trascorso tale termine (o considerate le eventuali osservazioni se presentate), l’Agenzia emette un avviso di accertamento. In esso contesta formalmente la deduzione indebita e ridetermina il reddito imponibile dell’anno incriminato, con il calcolo delle maggiori imposte dovute (IRPEF/IRES e IRAP se pertinente, più IVA se c’è indebito a credito) e delle relative sanzioni e interessi. Ad esempio, l’avviso potrebbe quantificare: “maggiore IRES € 2.400, sanzione 90% € 2.160, interessi € 300; maggior IVA € 2.200, sanzione 90% € 1.980, interessi € 250”, motivando il tutto con riferimento agli articoli violati (art. 109 TUIR, art. 19 DPR 633/72 per l’IVA, art. 1 D.Lgs. 471/97 per l’infedeltà, ecc.).

È importante leggere attentamente la motivazione dell’accertamento: spesso l’Ufficio vi inserisce elementi presuntivi o indizi (es. “considerato che la fattura n.10 risulta trasmessa al SdI in data 05/02/2023, ben oltre il termine di 12 giorni dall’operazione pretesamente avvenuta il 31/12/2022, e che il pagamento è avvenuto il 10/02/2023, si presume che l’operazione non fosse conclusa nell’anno 2022…”). La motivazione deve essere chiara e permettere al contribuente di capire la ratio della ripresa fiscale, altrimenti l’atto può essere nullo. Ad esempio, se l’Ufficio si limitasse a dire “costo non di competenza” senza spiegare perché, violerebbe l’obbligo di motivazione e ciò potrebbe essere eccepito in ricorso.

Notificato l’avviso (generalmente via PEC per le società), decorre il termine per impugnare. Prima però conviene valutare soluzioni deflattive: entro 30 giorni dalla notifica si può presentare istanza di accertamento con adesione. Questo comporta la sospensione del termine per il ricorso per ulteriori 90 giorni. Nell’adesione, il contribuente e l’ufficio discutono il caso: ad esempio, si potrebbe concordare di spostare il costo all’anno successivo se ancora emendabile, o ridurre sanzioni se il contribuente rinuncia a contestare. Se si trova l’accordo, si formalizza con un atto di adesione, pagando quanto dovuto (anche rateizzabile) con sanzioni ridotte a 1/3. Se l’accordo non si raggiunge, il contribuente ha 30 giorni dalla chiusura del tentativo (o 150 dalla notifica iniziale, tenuto conto della sospensione) per proporre il ricorso tributario.

Una novità del 2023: per gli atti di valore non superiore a € 50.000, il contribuente deve presentare un reclamo/mediazione prima del giudizio (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). In pratica, il ricorso introduttivo viene inviato anche a un organo di mediazione dell’Agenzia, che può formulare una proposta. Nel contesto di fatture retrodatate, se l’importo contestato è modesto e la posizione non è chiarissima, l’Agenzia potrebbe in sede di mediazione offrire uno sconto sulle sanzioni oppure il riconoscimento del costo in altro anno. Se la mediazione fallisce o l’importo è più alto, si prosegue in giudizio.

Difesa in giudizio tributario

Nel giudizio di primo grado dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) provinciale, il contribuente – con l’assistenza di un difensore abilitato (avvocato tributarista o commercialista) – espone i motivi per cui l’accertamento è infondato. I motivi tipicamente invocati in caso di parcelle retrodatate possono essere sia formali/procedurali sia sostanziali:

  • Motivi formali: ad esempio, violazione dell’art. 12, c.7 L. 212/2000 (se l’avviso è stato emesso prima di 60 giorni dal PVC senza urgenza), difetto di motivazione (se l’atto non spiega adeguatamente come mai la fattura è ritenuta falsa o non di competenza), oppure decadenza dei termini (anche se in genere l’accertamento viene emesso entro il 31/12 del quinto anno successivo, prorogato al settimo in caso di reato: bisogna verificare le date). Altri vizi possibili: mancata indicazione del responsabile del procedimento, omissione del contraddittorio endoprocedimentale quando previsto (es. per accertamenti “a tavolino” se applicabile il principio del contraddittorio preventivo, su cui però la giurisprudenza tributaria italiana è altalenante). Questi vizi, se accolti, portano all’annullamento dell’atto a prescindere dal merito.
  • Motivi sostanziali: qui si entra nel cuore della questione. La tesi del contribuente potrebbe essere, ad esempio: la prestazione professionale era in realtà già stata sostanzialmente eseguita entro la fine dell’anno (anche se formalizzata dopo), quindi la fattura riflette un costo inerente e di competenza; oppure la retrodatazione è irrilevante ai fini fiscali perché il reddito complessivo dei due anni non cambia (tesi difficile da far valere, perché come visto la Cassazione esclude la compensazione spontanea tra anni , ma potrebbe essere utile per chiedere la non applicazione di sanzioni, evidenziando l’assenza di danno erariale). Un altro argomento potrebbe essere la buona fede: se il contribuente prova di aver agito su indicazione di un consulente e di aver quindi confidato legittimamente nella correttezza dell’operato, potrebbe chiedere l’esimente soggettiva di cui all’art. 6, c.2 D.Lgs. 472/97 (assenza di colpevolezza). Anche se la norma sull’esimente è applicata con rigore (ignoranza scusabile, errore dei professionisti ecc. non sempre esentano), può aiutare a ottenere quantomeno la riduzione delle sanzioni al minimo. Infine, si può contestare la qualificazione come operazione inesistente: se l’ufficio sostiene che la fattura retrodatata = fattura falsa, la difesa può replicare che l’operazione c’è stata realmente (es. il servizio legale è stato reso, solo qualche settimana dopo la data), e che quindi non si tratta di un costo fittizio ma reale, con la sola irregolarità temporale. Ciò potrebbe convincere i giudici a non applicare le sanzioni più gravi previste per le fatture oggettivamente inesistenti, trattandola al più come violazione formale (seppur con effetti sull’imposta).

In giudizio, le prove giocano un ruolo cruciale. Il contribuente può produrre qualsiasi documento a supporto. Ad esempio, se si sostiene che l’attività professionale era iniziata prima della fine dell’anno, si possono esibire email, relazioni, documenti datati in quel periodo che attestano l’attività. Se l’azienda aveva stimato l’importo del compenso e accantonato a fondo rischi o spese (nel caso di bilancio redatto), questo potrebbe mostrare che già a fine anno vi era l’obbligazione (anche se senza fattura). Talora può essere utile richiedere una perizia tecnica: ad esempio, in caso di lavori tecnici fatturati a fine anno ma eseguiti dopo, un perito potrebbe valutare la percentuale di completamento al 31/12 e confermare che nulla era eseguito prima dell’anno nuovo.

È importante notare che i giudici tributari (soprattutto dopo la riforma del 2022, che ne potenzia la professionalità, in prospettiva saranno magistrati) tendono ad applicare la legge rigorosamente, ma hanno anche il potere di valutare la sproporzione della sanzione. Quindi, anche qualora riconoscessero la violazione (costo dedotto nell’anno sbagliato), potrebbero – se richiesto – ridurre la sanzione per equità. La difesa dovrebbe quindi sempre includere, in via subordinata, la domanda di riduzione sanzioni e non applicazione di eventuali aggravamenti se si dimostra ad es. che non c’è stata volontà di frode.

Se il contribuente vince, l’accertamento viene annullato (in toto o in parte). Se perde in primo grado, può proporre appello alla CGT regionale, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. Anche in appello si possono ridiscutere sia i fatti che il diritto, ma non presentare nuove prove documentali (salvo eccezioni). Infine, l’eventuale ricorso per Cassazione, limitato a motivi di legittimità.

Rimedi e sanatorie extra-contenzioso

Vale la pena ricordare che il legislatore, negli ultimi anni, ha varato varie misure di definizione agevolata che talvolta possono includere anche le liti su temi come quello in esame. Ad esempio, nel 2023 la “tregua fiscale” (L. 197/2022) ha previsto la possibilità di definire le liti pendenti con lo sconto delle sanzioni e interessi, o di sanare errori formali e dichiarativi con modeste somme. Se il nostro caso rientrasse in qualche finestra di questo genere (ad es. definizione agevolata delle liti pendenti al 30/6/2023), il contribuente potrebbe valutare di aderirvi pagando solo il tributo e azzerando sanzioni e interessi, se ciò è più conveniente che proseguire l’iter giudiziario. Ovviamente queste opzioni dipendono da normative temporanee – verificare sempre se al momento attuale (2025) vi siano scadenze utili per sanatorie applicabili al caso di fatture retrodatate.

Un altro strumento spesso trascurato è l’autotutela: presentare un’istanza all’ufficio che ha emesso l’atto, chiedendo l’annullamento parziale o totale in via di autotutela, con opportune motivazioni (ad esempio, allegando prove nuove a dimostrazione della buona fede o errori macroscopici del rilievo). L’autotutela non sospende i termini di ricorso, ma a volte, se l’ufficio si convince di un errore, può autonomamente annullare l’atto (o ridurlo). Non è frequente in materia di competenza (dato che l’ufficio di solito è convinto della sua posizione), ma tentare non nuoce, soprattutto se emergono elementi nuovi dopo l’emissione dell’avviso.

In conclusione, sul piano tributario la difesa contro l’accusa di parcelle retrodatate si basa su: contestare la violazione del principio di competenza se sussistono margini (o quantomeno chiedere il riconoscimento del costo altrove), evidenziare la conformità sostanziale dell’operazione (costo reale, nessun intento fraudolento), e sfruttare ogni appiglio procedurale e giurisprudenziale aggiornato. Ad esempio, una recente ordinanza di Cassazione del 2022 (n. 33568/2022) ha ribadito l’onere dell’Amministrazione di provare l’inesistenza di operazioni contestando l’inerenza dei costi ; se l’ufficio non ha prove solide che la prestazione nel periodo contestato fosse impossibile, il contribuente può vincere sul dubbio, giacché in dubio pro contribuente in sede tributaria suona ancora come principio di fondo. La preparazione tecnica e l’esperienza del difensore saranno determinanti per individuare le linee di difesa più efficaci caso per caso.

Tabella 1: Violazioni tributarie e sanzioni (parcelle retrodatate)

Violazione contestataNormativa violataSanzione amministrativa prevista
Indebita deduzione di costi (dich. infedele)Art. 109 TUIR, art. 1 D.Lgs. 471/9790% – 180% della maggiore imposta o minor credito . Se costi inesistenti, fino al 200%.
Omessa/tardiva fatturazione IVAArtt. 21 e 6 DPR 633/72; Art. 6 co.1 D.Lgs. 471/9790% – 180% dell’IVA relativa non fatturata tempestivamente (minimo €500). Non dovuta se violazione formale senza impatto.
Indebita detrazione IVA (fattura irregolare)Art. 19 DPR 633/72; Art. 6 co.6 D.Lgs. 471/9790% – 180% dell’IVA detratta indebitamente (se già sanzionata come sopra, non cumulativa).
Irregolarità contabili (registri non veritieri)Art. 2219 c.c.; Art. 9 D.Lgs. 471/97Fino a € 15.000 se irregolarità che ostacola controllo. Se configura falsità, rilievo penale (vedi oltre).
Violazione obblighi fiscali professionistaArt. 16 Cod. Deont. Forense, Art. 7 D.Lgs. 472/97 (obblighi di emissione)Sanzioni disciplinari (censura, sospensione) ; sanzione fiscale pari all’omessa fatturazione (100% IVA) se non assolto successivamente.

(Fonti: DPR 633/72, D.Lgs. 471/97, Codice Deontologico Forense; sanzioni aggiornate al 2025. In caso di più violazioni, si applica il cumulo giuridico ex art. 12 D.Lgs. 472/97, cioè la sanzione più grave aumentata fino al doppio.)

Profili penal-tributari: reati configurabili e difesa nel processo penale

La retrodatazione di fatture, se fatta con intento fraudolento, può sfociare non solo in sanzioni amministrative ma anche in responsabilità penale. In questo capitolo analizziamo quali reati possono essere contestati in simili circostanze, quali sono le soglie di punibilità, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale recente (fino ad agosto 2025) e come predisporre una difesa efficace in sede penale.

Reati astrattamente configurabili

I principali reati tributari da considerare sono previsti dal D.Lgs. 74/2000 (come modificato, da ultimo, dal D.Lgs. 75/2020 e dalla riforma Cartabia 2022):

  • Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2): si configura quando un contribuente, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, indica in dichiarazione elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture false. Una fattura è considerata relativa a operazioni inesistenti oggettivamente quando la prestazione indicata non è mai avvenuta (in tutto o in parte) nella realtà, oppure – secondo alcuni orientamenti – quando è avvenuta ma in tempi o modi completamente diversi e ciò viene celato. Nel caso di parcella retrodatata, se la prestazione non era affatto iniziata nell’anno indicato, l’accusa potrebbe sostenere che, limitatamente a quell’anno, si tratta di un’operazione inesistente (anche se realizzata l’anno seguente). Ad esempio, parcella datata 2022 per un lavoro svolto interamente nel 2023: ai fini della dichiarazione 2022, quel costo è inesistente. Se l’IVA evasa (o il reddito sottratto a tassazione) supera € 30.000, scatta il reato . La pena prevista è la reclusione da 4 anni a 8 anni (recentemente aumentata dal 2020 per contrastare le frodi) – notare che sono soglie e pene severe, indice dell’attenzione verso le fatture false. Se l’importo è inferiore a 30k, il fatto resta illecito amministrativo. Va anche evidenziato che, per configurare il reato, è necessario il dolo specifico di evasione fiscale: la retrodatazione dev’essere fatta volontariamente per non pagare tasse. Se fosse provata una causa diversa (es. errore), mancherebbe l’elemento soggettivo del reato.
  • Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8): punisce chi emette o rilascia fatture false affinché terzi possano evadere. Nel nostro contesto, questo potrebbe riguardare il professionista che accetta di retrodatare la parcella su richiesta del cliente, sapendo di creare un documento non veritiero. Se l’importo dell’IVA è superiore a € 100.000 annui, la pena va da 4 a 8 anni; sotto 100k, da 1½ a 6 anni. Quindi, il professionista corre il rischio di essere imputato come emittente di fatture false. Se però l’importo è modesto (sotto soglia), non c’è reato. Anche qui serve il dolo: il professionista deve essere consapevole dello scopo evasivo. Una situazione frequente: il consulente fiscale dell’azienda, di concerto col professionista emittente, orchestrano la cosa. In tali casi, entrambi potrebbero rispondere in concorso nei reati ex artt. 2 e 8.
  • Dichiarazione infedele (art. 4): riguarda chi, al di fuori dei casi di frode (quindi senza fatture false o artifici fraudolenti), indica in dichiarazione elementi passivi fittizi o omette elementi attivi, superando certe soglie. Le soglie attualmente (dopo D.Lgs. 158/2015) sono: imposta evasa > € 100.000 e elementi attivi sottratti > 10% del totale o > € 2 milioni, oppure elementi passivi fittizi > 10% del totale o > € 2 milioni. Se, ad esempio, un’azienda avesse dedotto € 500.000 di costi nell’anno sbagliato su € 5 milioni totali (10% esatto) evadendo € 120.000 di imposte, allora ricade in dichiarazione infedele. La pena è minore: reclusione fino a 3 anni. È definito un reato di pericolo (non occorre dolo specifico di frode, basta la consapevolezza dell’inesattezza). Dunque, se la parcella retrodatata viene considerata un “elemento passivo fittizio” ma l’accusa non prova l’utilizzo di artifici, può contestare art. 4, più facile da dimostrare ma punito meno severamente. Spesso l’accusa formula in via principale l’art. 2 (frode) e in subordine l’art. 4 (infedele). In giudizio, una linea difensiva tipica è chiedere la derubricazione da frode a infedele se mancano effettivamente artifici.
  • Altri reati minori: se la vicenda è collegata ad altri fatti, potrebbero emergere reati come falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.) per aver creato un documento con data falsa. Tuttavia, la Cassazione ritiene assorbite le falsità documentali dal reato tributario quando sono il mezzo per commetterlo. Ci potrebbe essere anche il concorso del consulente ex art. 110 c.p., e la responsabilità amministrativa della società (D.Lgs. 231/2001) se la frode fiscale è commessa da apicali nell’interesse azienda (dal 2019 i reati fiscali rilevanti possono far scattare la 231 con sanzioni pecuniarie e interdittive all’ente).

Sviluppi normativi e giurisprudenziali recenti (2023-2025)

Il panorama dei reati tributari è stato interessato da significative novità proprio negli ultimi due anni, che incidono sulla strategia difensiva:

  • La riforma “Cartabia” (D.Lgs. 150/2022, in vigore dal 30 dicembre 2022) ha modificato l’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto) ampliandone l’ambito: ora è applicabile se la pena minima edittale del reato non supera 2 anni (prima contava il massimo di 5). Questo ha reso ammissibile la tenuità per reati come la dichiarazione fraudolenta (art. 2) il cui minimo è 1½ anni . La Cassazione, con sentenza n. 19675 del 27/05/2025, ha infatti stabilito che anche in caso di utilizzo di fatture false, se il contribuente poi paga il dovuto al Fisco, il fatto può essere considerato di particolare tenuità e quindi non punibile . È un principio innovativo: in sostanza, il ravvedimento operoso in estremo (pagamento integrale prima della condanna) viene valutato come condotta post-fatto di speciale valore, tale da far apparire la lesione al bene giuridico (interesse erariale) tenue. Questa interpretazione è resa possibile dall’art. 131-bis novellato, che impone di considerare la condotta susseguente al reato . Quindi, in casi dove un tempo una frode da fatture false avrebbe portato quasi certamente a condanna, ora c’è uno spiraglio di proscioglimento per tenuità se l’evasione era contenuta e soprattutto se il contribuente si è adoperato per riparare pagando.
  • Il Decreto Legislativo 87/2024 (attuativo della delega fiscale 2023) ha introdotto l’art. 13-bis nel D.Lgs. 74/2000. Questa disposizione prevede una circostanza attenuante speciale per taluni reati tributari (tra cui gli artt. 2 e 8) quando il contribuente paghi integralmente il debito tributario (imposte, sanzioni e interessi) prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. L’attenuante comporta la riduzione di pena fino alla metà e la esclusione delle pene accessorie (come l’interdizione dagli uffici direttivi, che altrimenti conseguirebbero alla condanna) . La Cassazione con sentenza n. 20068/2025 ha applicato questa attenuante al caso di un imputato che aveva emesso fatture false ma aveva saldato tutto prima del dibattimento . Tale norma si affianca (non esclude) la particolare tenuità: significa che, se non si rientra nella non punibilità, si può comunque ottenere uno sconto cospicuo di pena e salvare il casellario da pene accessorie pagando il dovuto. Anche questa novità ha efficacia retroattiva in melius, come confermato dalla Cassazione .
  • Un altro aspetto riformato è la procedura di patteggiamento: prima, per reati come la frode fiscale, l’accesso al patteggiamento era precluso se non si pagava il debito tributario; ora, la giurisprudenza (Cass., SS.UU. n. 34472/2022) ha mitigato quella preclusione, ritenendo ammissibile il patteggiamento anche senza pagamento integrale, purché ci siano seri impegni a pagare. Ciò può essere rilevante se il contribuente vuole definire rapidamente il processo penale negoziando una pena ridotta.

In sintesi, il trend recente è di favorire chi collabora e paga: emissione o utilizzo di fatture false non è più sinonimo automatico di carcere se l’imputato dimostra pentimento concreto attraverso il pagamento. Questo però non significa depenalizzazione totale: l’evasore incallito che non paga resta perseguibile e condannabile. Ma è una finestra che il difensore deve conoscere e sfruttare.

Difesa nel processo penale

Passando alle strategie difensive, immaginiamo uno scenario: a seguito della verifica che ha scoperto le parcelle retrodatate, la Procura della Repubblica apre un fascicolo per reato fiscale (poniamo, art. 2). L’indagato – tipicamente l’amministratore della società beneficiaria e il professionista emittente – riceve prima o poi un invito a comparire o un’informazione di garanzia. Cosa fare?

Prima di tutto, è fondamentale affidarsi a un avvocato penalista esperto di reati tributari. Questi casi hanno peculiarità tecniche (incrocio di contabilità e norme tributarie) che richiedono competenze interdisciplinari. La difesa penale inizia già dalle indagini preliminari:

  • Valutazione soglie e contestazione: il difensore verifica se effettivamente i calcoli dell’evasione superano le soglie di punibilità. Ad esempio, se grazie al pagamento spontaneo di parte delle imposte l’importo evaso scende sotto € 30.000, potrebbe non sussistere più il reato ex art. 2. Oppure verifica se l’operazione contestata può considerarsi semplicemente anticipazione di un costo (quindi senza elementi fraudolenti): in tal caso, può chiedere al PM di derubricare da art. 2 a art. 4 o di archiviare se le soglie di quest’ultimo non sono superate. È possibile presentare una memoria difensiva al PM argomentando l’insussistenza di elementi per procedere .
  • Dimostrazione dell’assenza di dolo fraudolento: un cardine della difesa sarà evidenziare che la retrodatazione non fu congegnata per una frode sistematica. Ad esempio, se in tutti gli altri anni l’azienda è regolare e c’è solo quell’episodio magari per raggiungere un target di budget, si può sostenere la mancanza di quell’elemento di artificio che caratterizza la frode. La Cassazione ha distinto casi di “frode fiscale” da “infedele dichiarazione” anche sulla base dell’abuso di mezzi fraudolenti: laddove c’è semplice irregolarità contabile, pur con risvolti fiscali, siamo più nell’infedele che nella frode . Far passare questa linea interpretativa può convincere il PM a procedere eventualmente per reato minore o indurlo a concedere circostanze attenuanti.
  • Pagare il dovuto: come già detto, è una mossa tattica cruciale. Se le finanze lo permettono, pagare tutte le imposte evase, sanzioni amministrative e interessi prima possibile è la miglior carta da giocare. Ciò consente di accedere sia alla causa di non punibilità per tenuità (se rientra) sia all’attenuante 13-bis . Occorre documentare in atti l’avvenuto pagamento (quietanze, F24). Se il pagamento avviene durante le indagini, il difensore informerà il PM chiedendo magari l’archiviazione per tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p. come reinterpretato . Se non si ottiene l’archiviazione e si va a processo, sarà comunque un elemento di forza in dibattimento.
  • Scelta del rito: in caso di rinvio a giudizio, valutare se conviene patteggiare. Patteggiando, con l’aiuto del pagamento del debito, si potrebbe strappare una pena sospesa (es. 1 anno, sospensione condizionale) ed evitare il rischio di interdittive. Inoltre, il patteggiamento su reati tributari non comporta più automaticamente la confisca per equivalente se si è pagato il dovuto (la confisca serve a recuperare il profitto del reato, ma se l’Erario è stato soddisfatto non c’è profitto residuo). Qualora invece si ritenga di andare a dibattimento per puntare all’assoluzione, la difesa potrà chiedere perizia contabile per dimostrare l’assenza di danno o la riferibilità dei costi all’anno successivo (mostrando che l’Erario non ha perso gettito globale, argomento che emotivamente può influenzare positivamente). In giudizio, si può far testimoniare il professionista emittente per confermare che in buona fede pensava di poter retrodatare, se ciò può mitigare la posizione dell’utilizzatore.
  • Ruolo del consulente fiscale: se l’imputato principale è l’imprenditore, questi potrebbe chiamare in causa (anche solo a livello narrativo) il consulente esterno che suggerì l’operazione. La giurisprudenza in tema di affidamento al commercialista ha chiarito (Cass. pen. sez. III n. 42822/2024) che il contribuente non è automaticamente esente da colpa se delega al consulente, specie per scelte come la retrodatazione che sono manifestamente anomale . Tuttavia, se il contribuente può provare di essere stato indotto in errore professionale, ciò può escludere il dolo (pensava fosse legale). È una linea difficile ma, quantomeno, potrebbe spingere per un trattamento sanzionatorio più mite. Parallelamente, il consulente stesso rischia il concorso nel reato: la sua posizione andrà valutata separatamente.
  • Documentare la realtà dell’operazione: portare in sede penale tutte le prove che il servizio c’è stato davvero e che l’unica “bugia” è la data. Ad esempio, se la fattura retrodatata riguarda una consulenza legale, presentare i documenti di causa, le sentenze o atti legali redatti (anche se datati dopo) per far capire che non si è inventato un costo fittizio. Questo per contrastare l’idea di una frode “sistematica” e per sostenere eventualmente l’insussistenza dell’elemento oggettivo di operazione inesistente (difetto di tipicità del reato). Alcune pronunce considerano inesistente anche l’operazione avvenuta fuori periodo, ma la difesa può sempre argomentare sul concetto di “inesistenza”: se qualcosa esiste, per quanto tardivamente, non è totalmente fittizio.
  • Esclusione del dolo attraverso transazione fiscale: se l’azienda, a seguito dell’accertamento, accetta e paga (magari in adesione), ciò può essere usato in penale per dire: vedi, non volevamo frodare lo Stato, tant’è che una volta contestato abbiamo pagato subito. Questo atteggiamento post-factum è considerato in ottica 133 c.p. per mitigare la pena e, come visto, anche per 131-bis c.p. per escluderla.

Infine, bisogna tenere presente la tempistica: i reati di infedele dichiarazione e frode fiscale si prescrivono in 8 anni (infedele) e 6 anni + metà (frode, quindi 9 anni) dal fatto, aumentati di eventuali sospensioni. Il fatto coincide con la presentazione della dichiarazione annuale (quindi per dichiarazione 2022 presentata nel 2023, il reato si consuma al 30/11/2023, ad esempio). Se le indagini si protraggono o il processo subisce ritardi, talora la prescrizione può maturare. Con la riforma Cartabia, però, la prescrizione sostanziale si è mantenuta ma si è aggiunta l’improcedibilità d’appello: in pratica, se i giudizi d’impugnazione durano troppo, scatta l’improcedibilità. In un procedimento per frode fiscale, però, solitamente l’obiettivo è evitare condanna, non puntare a prescrizione, perché le conseguenze reputazionali e interdittive di una condanna (anche se poi prescritta) sono pesanti.

Riassumendo, la difesa penale in materia di fatture retrodatate deve combinare aspetti tecnici (soglie, qualificazioni giuridiche) con mosse pragmatiche (pagamento del debito, scelte di rito) per ottenere il miglior esito: ideale sarebbe archiviazione o assoluzione (dimostrando che non c’era reato), in subordine non punibilità per tenuità (se applicabile) o quantomeno una pena ridotta col patteggiamento. Le recenti aperture giurisprudenziali forniscono ottimi argomenti alla difesa, che fino a pochi anni fa non c’erano: un tempo bastava la fattura falsa a integrare il reato senza scampo, oggi invece il comportamento riparatorio del contribuente può, letteralmente, “salvarlo” dal penale. È quindi dovere del difensore aggiornato sfruttare queste possibilità a vantaggio del proprio assistito.

Tabella 2: Reati tributari e condizioni rilevanti (fatture retrodatate)

Reato (D.Lgs. 74/2000)Quando scatta (soglie)Pena prevista (reclusione)Note difensive
Art. 2 – Dichiarazione fraudolenta con fatture falseEvasione > €30.000 usando fatture fittizie4 – 8 anniDolo specifico richiesto. Pagamento debito -> tenuità possibile .
Art. 8 – Emissione di fatture falseImporto IVA fatture > €100.000 annui (sopra soglia)4 – 8 anni (sopra soglia); 1½ – 6 anni (sotto soglia)Riguarda chi emette (es. professionista). Pagamento debito -> attenuante 13-bis .
Art. 4 – Dichiarazione infedeleImposta evasa > €100.000 e costi fittizi > 10% ricavi o > €2 mlnFino a 3 anniNo uso di artifici; soglia alta. Spesso contestato in subordine.
Art. 10 – Occultamento/distruzione scritture (eventuale)Sottrazione o falsificazione scritture contabili3 – 7 anniPotrebbe concorrere se registri alterati per nascondere retrodatazione.
Responsabilità enti (D.Lgs. 231/01)Se reato commesso da apicale interesse ente (art. 2 o 8)Sanzione pecuniaria 100-500 quote; interdittivePuò essere esclusa se modello organizzativo adeguato.

(Nota: soglie e pene aggiornate alle modifiche in vigore al 2025. Sono possibili attenuanti generiche o specifiche che riducono la pena; la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) può applicarsi ad art. 2 e 8 se il minimo edittale ≤ 2 anni, cioè sì per art. 2 e art. 8 sottosoglia. In ogni caso, il pagamento integrale del tributo prima del giudizio è fortemente consigliato per aspirare a esiti favorevoli.)

Profili civilistici e deontologici: ulteriori tutele e conseguenze

Oltre al piano fiscale e penale, la vicenda delle parcelle retrodatate può generare implicazioni sul piano civilistico (nei rapporti tra privati coinvolti) e sul piano deontologico (per i professionisti interessati). Esaminiamo brevemente questi aspetti, assumendo la prospettiva del “debitore” ossia di chi ha utilizzato o emesso la fattura retrodatata e ora affronta le conseguenze.

Conseguenze civilistiche: validità della fattura e rapporti tra le parti

Dal punto di vista civilistico, una fattura è essenzialmente un documento probatorio attestante un credito del prestatore d’opera verso il cliente. La retrodatazione della fattura in sé non incide sulla validità del rapporto sottostante: se il servizio professionale è stato reso, il cliente è comunque tenuto a pagare il compenso pattuito, indipendentemente dalla data indicata in fattura. Una fattura con data inesatta non rende nullo l’obbligo di pagamento, ma può indebolire la capacità probatoria del documento stesso.

Ad esempio, immaginiamo che un cliente, citato in giudizio dal professionista per il mancato pagamento della parcella, contesti la parcella affermando che è “falsa” perché retrodatata. In sede civile (cause di recupero crediti, opposizioni a decreti ingiuntivi), i giudici valutano la fattura come un elemento di prova del credito. Se il cliente prova che la data è fittizia e che, ad esempio, la prestazione è successiva, potrebbe cercare di eccepire che il credito non era esigibile a quella data. Tuttavia, la giurisprudenza civile (es. Cass. civ. 346/2023) ha chiarito che la fattura è idonea a fondare un decreto ingiuntivo, ma se contestata la pretesa, spetta al professionista provare di aver svolto l’opera e l’entità del compenso . La data sbagliata può essere un indice di poca attendibilità, ma se l’avvocato (per dire) dimostra di aver effettivamente difeso il cliente in giudizio (anche se concluso dopo), otterrà comunque il pagamento. Quindi, in ambito civilistico tra privato e professionista, la retrodatazione non funge da scudo per non pagare.

Diverso potrebbe essere il caso in cui la retrodatazione sia indice di accordi simulatori tra le parti. Si pensi a un’azienda e un consulente che “gonfiano” a fine anno una parcella per ridurre l’utile, con l’intesa che poi magari una parte venga restituita sottobanco all’azienda (kickback). Se emergesse uno scenario del genere, potrebbe configurarsi un illecito civile (nullità per causa illecita del patto, arricchimento indebito). Il cliente potrebbe persino chiedere la restituzione di quanto pagato in più sostenendo la nullità dell’accordo simulatorio. Tuttavia, mettere in luce questi accordi espone entrambi a guai maggiori (penali), quindi raramente viene affrontato in sede civile.

Un altro profilo: la retrodatazione di fatture potrebbe comportare problemi nei contratti in cui l’esistenza di determinati documenti fiscali a certe date sia rilevante. Ad esempio, in una compravendita di azienda potrebbe esserci una dichiarazione che “alla data X tutte le passività fiscali sono regolari”. Se poi spuntano fatture retrodatate che generano debiti tributari, l’acquirente potrebbe far valere la violazione delle garanzie contrattuali da parte del venditore. In tal caso, il venditore (che aveva orchestrato le fatture retrodatate) potrebbe essere civilmente responsabile verso l’acquirente per i danni (tasse e sanzioni) subiti. Si tratterebbe di un’azione per inadempimento contrattuale.

Infine, il soggetto che abbia pagato sanzioni per via della retrodatazione potrebbe rivalersi in sede civile contro il professionista o il consulente fiscale che l’ha consigliato male, invocando la responsabilità professionale. Ad esempio, un imprenditore multato per dichiarazione infedele potrebbe citare il commercialista, sostenendo che fu quest’ultimo a suggerire di registrare la fattura nell’anno precedente. Per avere successo, dovrebbe provare la colpa professionale (errore non scusabile, violazione di doveri di perizia e diligenza). Non è semplice, perché spesso si tratta di decisioni condivise, ma vi sono stati casi in cui consulenti fiscali sono stati condannati a risarcire clienti per errori dichiarativi. Il termine di prescrizione per l’azione di responsabilità contrattuale è 10 anni dal fatto dannoso.

Aspetti deontologici e disciplinari

Per i professionisti coinvolti, le parcelle retrodatate possono avere serie ripercussioni disciplinari:

  • Avvocati: Come già evidenziato, l’avvocato ha l’obbligo deontologico di emettere fattura contestualmente al pagamento . Se un Consiglio dell’Ordine viene a sapere (anche tramite notizia sui giornali o segnalazione di clienti) che un avvocato ha emesso fatture retrodatate, potrebbe aprire un procedimento disciplinare per violazione dell’art. 16 CDF (o art. 15 vecchio codice) e per condotta contraria alla lealtà e probità. La giurisprudenza disciplinare forense ha qualificato l’omessa/tardiva fatturazione come illecito permanente: ciò significa che il termine di prescrizione disciplinare decorre dal momento in cui si regolarizza, perché fino ad allora la violazione è come se continuasse . Le sanzioni possibili vanno dall’avvertimento alla sospensione, in base alla gravità. Un caso eclatante: CNF sentenza n. 313/2016, in cui un avvocato fu addirittura cancellato (poi sanzione tramutata in 12 mesi di sospensione) per aver ripetutamente ritardato o omesso fatture ai clienti . Nel nostro contesto, se la retrodatazione implicava anche un ritardo di fatturazione rispetto all’incasso, l’avvocato rischia grosso. L’unica attenuante può essere provare che era il cliente a insistere e che lui magari ha agito ignorando che fosse illecito (ma difficile, data la chiara normativa). Un consiglio pratico: in sede disciplinare, mostrare di aver sanato l’illecito (emettendo eventuali note di variazione, comunicando al fisco l’errore) e di aver compreso l’errore può mitigare la sanzione.
  • Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili: Anche il codice deontologico dei commercialisti (rifacentesi ai principi generali di integrità, competenza e diligenza) vieta di avallare pratiche contrarie a norme tributarie. Un commercialista che suggerisca o aiuti un cliente a retrodatare fatture viola il dovere di lealtà verso l’erario e può subire censure o sospensioni dall’Ordine. Inoltre, se viene accertata in sede penale la sua complicità, l’Ordine potrebbe applicare sanzioni severe. Il commercialista ha inoltre un obbligo deontologico di evitare comportamenti scorretti nelle scritture contabili. Qualora l’Agenzia segnali formalmente all’Ordine un iscritto per condotte del genere (cosa che talvolta accade a valle di accertamenti gravi), l’azione disciplinare è quasi certa.
  • Altri professionisti: consulenti del lavoro, notai, ecc., ognuno ha il proprio codice. Per i notai, ad esempio, retrodatare un atto sarebbe falsità gravissima (ma qui parliamo di fatture, quindi non li coinvolge se non come parti estranee). In generale ogni professionista abilitato deve rispettare le leggi fiscali, quindi rischia sanzioni disciplinari se le infrange o se coopera a infrangerle.

Un aspetto deontologico particolare: se la parcella retrodatata riguarda un avvocato in sede giudiziale, potrebbe configuare un abuso processuale. Immaginiamo che in un giudizio civile sulle spese legali, l’avvocato esibisca una fattura retrodatata per provare il credito: se il giudice scopre che è retrodatata, potrebbe sporgere segnalazione per comportamento non leale in giudizio (dovere di probità verso il giudice). Sono ipotesi limite ma da tener presente.

Dal punto di vista del cliente contribuente, sapere che il suo professionista rischia disciplinarmente può influire sulla relazione: spesso, in casi del genere, il rapporto di fiducia si rompe e ciascuno corre ai ripari (il cliente cambia consulente e magari valuta azioni legali, il professionista cerca di difendersi dagli ordini). Dunque, oltre alle sanzioni, c’è un impatto reputazionale: commercialisti e avvocati vivono di reputazione, e una macchia di questo tipo (fatture retrodatate = aiuto all’evasione) può allontanare altri clienti.

Simulazione pratica (scenario)

Caso di studio: La società Alfa Srl riceve dall’Avv. Beta una parcella di € 50.000 + IVA datata 30/12/2023 per “consulenza legale continuativa anno 2023”. La fattura è registrata da Alfa nel 2023 e l’IVA detratta nell’ultimo trimestre 2023. Nel 2024, a seguito di verifica, l’Agenzia delle Entrate scopre che il contratto di consulenza tra Alfa e Beta è stato firmato il 10/01/2024 e che Beta ha svolto attività per Alfa solo da gennaio a giugno 2024. Accerta quindi che la fattura è retrodatata. Alfa subisce un avviso di accertamento a novembre 2024 che le contesta € 50.000 di costi indeducibili nel 2023 (con maggior IRES ~€ 12.000) e indebita detrazione IVA (€ 11.000). Inoltre, la GdF segnala il fatto alla Procura per frode fiscale.

Azioni difensive: Alfa Srl, in persona del suo amministratore Tizio, incarica un avvocato tributarista. Viene subito versata l’IVA di € 11.000 a titolo di ravvedimento operoso (evitando sanzioni maggiori su quell’aspetto) e presentata istanza di adesione per discutere l’accertamento. In parallelo, Tizio deposita presso la Procura una memoria in cui sostiene che “la consulenza, sebbene formalizzata nel 2024, aveva avuto una fase preparatoria a fine 2023 (colloqui, studi preliminari) e che per un equivoco la fattura fu emessa anticipatamente”, allegando email di dicembre 2023 con richieste di Alfa all’avvocato Beta. Propone di pagare comunque le imposte dovute. In sede di adesione, l’Agenzia riconosce che l’IVA è stata sistemata e propone di sanzionare solo l’IRES con sanzioni ridotte al 50%. Si chiude l’adesione: Alfa paga € 12.000 di IRES + € 6.000 di sanzioni + interessi. Ottenuta la quietanza, Tizio la porta in Procura chiedendo l’archiviazione perché il fatto è tenue e il danno erariale è eliminato. Il PM, valutato l’importo modesto e il pagamento, richiede al GIP l’archiviazione per particolare tenuità ex 131-bis c.p.. Il GIP archivia. Nel frattempo, l’Ordine degli Avvocati apre procedimento disciplinare contro Beta: Beta dimostra di aver erroneamente interpretato le richieste del cliente e di aver subito emesso nota di credito e nuova fattura con data corretta (in pratica di aver rimediato). L’Ordine lo ammonisce soltanto, considerando la collaborazione. Il commercialista di Alfa riceve a sua volta un richiamo informale dall’Ordine (non essendoci prova che fosse un suo consiglio intenzionale). Alla fine, Alfa ha pagato le imposte dovute (senza interessi penali), Tizio e Beta evitano condanne penali, Beta subisce solo una lievissima censura. Certo, i costi di difesa legale e la fatica sono stati notevoli – insegnando ad Alfa e Beta che simili pratiche non vanno più fatte.*

Questo scenario mostra come, con una gestione accorta e collaborativa, si possa uscire dal problema contenendo i danni: chiudendo il conto col fisco e sfruttando le opportunità normative per evitare il penale. Naturalmente, ogni caso può avere varianti più complesse (importi maggiori, rigidità dell’ufficio, ecc.) e va seguito da professionisti passo passo.

Domande frequenti (FAQ)

D1: Cosa si intende esattamente per “parcella retrodatata”?
R: Si tratta di una fattura di compenso professionale (parcella) emessa con una data anteriore rispetto al momento in cui la prestazione è stata realmente conclusa o rispetto alla data in cui la fattura stessa è stata creata/inviata. In pratica, il documento riporta una data “vecchia” per farla ricadere in un periodo fiscale precedente. Ad esempio, un avvocato svolge un lavoro a gennaio ma data la fattura al 31 dicembre precedente. L’intento di solito è far figurare il costo in un anno fiscale anteriore (tipicamente per ridurre l’utile tassabile di quell’anno). Si distingue dalla semplice fattura tardiva (emessa in ritardo ma con la data effettiva): la parcella retrodatata è falsa proprio nell’indicazione della data.

D2: Emettere o usare una fattura retrodatata è illegale?
R: Sì, in diversi modi. Sul piano tributario viola il principio di competenza (art. 109 TUIR) e le norme sull’emissione delle fatture (art. 21 DPR 633/72), configurando un’irregolarità fiscale. L’Agenzia delle Entrate ha esplicitamente negato la legittimità di fatture retrodatate . Inoltre, potrebbe costituire un reato tributario (dichiarazione fraudolenta o infedele) se c’è volontà evasiva e i limiti di legge sono superati. Sul piano civile il documento con data falsa è un falso ideologico in scrittura privata, che può far perdere credibilità alla prova del credito. Per i professionisti, infine, è un illecito deontologico (violazione dei doveri di correttezza fiscale). Quindi, emettere o utilizzare fatture retrodatate è fortemente sconsigliato e può portare a sanzioni, nullità relative e conseguenze penali.

D3: Quali sanzioni fiscali si rischiano in concreto se il Fisco scopre una parcella retrodatata?
R: Si rischia, anzitutto, il recupero delle imposte risparmiate indebitamente. Ad esempio, se grazie a quella fattura avete dedotto € 10.000 di costi, vi verranno richieste le imposte su € 10.000 (ad aliquota IRES 24% sarebbero € 2.400) più interessi. Poi si applicano le sanzioni amministrative: tipicamente il 90% – 180% della maggiore imposta per dichiarazione infedele . Quindi altri € 2.160 – € 4.320 nell’esempio. Sull’IVA, se avete detratto IVA non spettante, sanzione 90% dell’IVA. Se invece siete voi ad aver emesso la fattura tardi, sanzione del 90% dell’IVA non versata nei tempi . In sintesi, le sanzioni possono anche superare l’imposta evasa (spesso arrivano al doppio del tributo). Nei casi più gravi (operazioni inesistenti) si può arrivare a sanzioni del 200%. In aggiunta, se viene emesso un atto di accertamento e non pagate, seguirà una cartella esattoriale con aggi di riscossione. E se persistete nel non pagare, potete subire fermi, ipoteche o pignoramenti da Agenzia Entrate-Riscossione. Quindi il rischio economico è molto elevato.

D4: Retrodatare una fattura configura reati penali? Andrò in galera per questo?
R: Può configurare reati penali solo se concorrono certe condizioni di importo e dolo. Se l’importo dell’evasione è piccolo (es. poche migliaia di euro) non c’è rilevanza penale, rimane una violazione amministrativa. Se invece l’importo è significativo, è possibile l’accusa di dichiarazione infedele (punibile fino a 3 anni) o di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false (punibile fino a 8 anni). Ad esempio, retrodatare fatture per abbattere l’utile di 300k € può far scattare la frode fiscale. Tuttavia, l’ordinamento offre vie d’uscita: se paghi integralmente il dovuto prima della fine del processo, puoi ottenere una causa di non punibilità (tenuità del fatto) o almeno un forte sconto di pena . In pratica, nessuno va in carcere per una singola parcella retrodatata se poi sistema le cose con il Fisco. I casi di galera riguardano frodi massive e continuative. Comunque, se sei sotto soglia (es. € 20k evasi), niente penale; se sei sopra soglia ma paghi subito, probabile evitare condanna; se sei molto sopra soglia e recidivo, allora sì, rischi anche la detenzione.

D5: Come posso difendermi efficacemente se mi contestano una fattura retrodatata?
R: Sul piano fiscale, presentando un ricorso tributario ben motivato entro 60 giorni, magari preceduto da un tentativo di adesione per negoziare. Dovrai dimostrare che la prestazione c’era ed era inerente (contestare che fosse fittizia) e/o che l’ufficio ha sbagliato procedura. Un avvocato tributarista saprà impostare la difesa (anche eccependo vizi formali dell’accertamento). Sul piano penale, è spesso decisivo pagare il dovuto: dimostra la tua buona fede e apre a soluzioni di non punibilità . Poi il tuo legale potrà cercare di dimostrare che mancava il dolo di frode (magari era un errore del consulente). Anche optare per riti alternativi (patteggiamento) può chiudere rapidamente la vicenda. In generale, cooperare con le autorità (fornire documenti, non ostacolare) paga: potrai ottenere sanzioni ridotte e clemenza. Se sei un professionista, ti conviene anche autodenunciarti all’Ordine magari spiegando l’errore prima che lo faccia il Fisco: una condotta proattiva può salvare dalla sospensione, riducendo la sanzione disciplinare a un ammonimento.

D6: Ho agito su consiglio del mio commercialista, posso far valere che è colpa sua?
R: In sede tributaria, purtroppo “ho sbagliato seguendo il commercialista” non esonera dal pagamento delle imposte e relative sanzioni. Al massimo può servire per chiedere la non applicazione delle sanzioni per errore scusabile, ma è raro che l’amministrazione lo riconosca. In sede penale, se riesci a provare di esserti affidato totalmente al consulente e di non capire la portata dell’atto, potresti negare il dolo: però la Cassazione è severa, l’imprenditore ha comunque l’obbligo di controllare l’operato dei consulenti . Comunque, potresti chiamare il consulente a testimoniare, e se emerge un suo ruolo predominante, la tua posizione ne gioverebbe (magari tu assolto e lui imputato come istigatore). In sede civile, certamente puoi chiedere i danni al consulente per errore professionale. Dovrai dimostrare che hai subito un danno (sanzioni, interessi) per una sua negligenza. Se la retrodatazione era palesemente illecita, forse il consulente verrà ritenuto corresponsabile. Ci sono precedenti di risarcimenti, ma preparati a una causa tecnica lunga. Quindi, sì, il ruolo del professionista è rilevante ma non ti immunizza: puoi usarlo come attenuante e poi rivalerti, ma inizialmente l’amministrazione chiede conto a te.

D7: La fattura retrodatata è comunque un costo reale che ho pagato: posso almeno dedurlo nell’anno successivo?
R: In linea di principio , un costo reale è deducibile nel suo anno di competenza, ovvero quando la prestazione è effettivamente avvenuta (o ultimata). Se scopri l’errore in tempo, dovresti presentare una dichiarazione integrativa per l’anno corretto, includendo il costo, e contestualmente rimuoverlo dall’anno sbagliato (se già dichiarato). Se l’Agenzia te lo contesta dopo, tu puoi durante il contenzioso eccepire che il costo andrebbe riconosciuto altrove. Spesso però l’ufficio oppone che, non avendolo dichiarato nell’anno giusto, ormai è persa. Ma la Cassazione ha affermato che puoi fare istanza di rimborso per l’anno dove il costo doveva stare . In pratica: paghi le imposte sull’anno contestato, però poi chiedi a rimborso quelle pagate in più sull’altro anno (dove il costo non fu dedotto). Se i termini per il rimborso non sono scaduti (di solito entro 48 mesi dal pagamento, ma ora anche con integrativa a favore c’è più tempo), potresti recuperare. Non è automatico e devi attivarti tu. Quindi, il costo reale non è perso: può essere recuperato fiscalmente nell’anno giusto, a patto di seguire la procedura corretta. Naturalmente, niente recupero per sanzioni e interessi – quelli sono il “costo” dell’errore.

D8: L’Agenzia può contestare queste cose dopo tanti anni? Quali sono i termini di accertamento?
R: I termini ordinari di accertamento per le imposte sui redditi e IVA sono il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ad esempio, per una dichiarazione 2020 presentata nel 2021, il termine è 31/12/2026. Se non hai presentato la dichiarazione (non il caso tipico qui) il termine diventa otto anni. In caso di ipotetico reato tributario, la legge prevede una proroga biennale dei termini (accertamento “penale”): quindi si va al 7° anno. Nel nostro esempio, se la parcella retrodatata generava reato sul 2020, l’Agenzia avrebbe tempo fino al 31/12/2028. Tieni conto che per il 2020 c’è stata la proroga Covid di 85 giorni, ma sorvoliamo sui dettagli tecnici. In sostanza, hanno parecchi anni per scoprirlo. Tipicamente, lo scoprono entro 2-3 anni tramite incroci di dati, oppure durante verifiche successive. Possono anche contestarlo in sede di accertamenti tardivi (ad esempio nel 2025 su 2020). Dunque, non pensare di farla franca se passano pochi anni: il rischio resta finché i termini non scadono. Perciò conserva la documentazione e sii pronto a giustificare anche a distanza di tempo l’operazione.

D9: Sono un avvocato che ha fatto questa furbata per aiutare un cliente: cosa rischio con il mio Ordine?
R: Rischi un procedimento disciplinare per violazione degli artt. 9 e 16 del Codice Deontologico Forense (doveri di lealtà verso fisco e tempestiva fatturazione). La sanzione può essere dalla censura (richiamo scritto) fino alla sospensione dall’esercizio professionale per alcuni mesi, nei casi più gravi . Se è la prima volta e dimostri di aver agito su pressione del cliente magari senza piena consapevolezza, potresti cavartela con un ammonimento. Ma se emergerà (anche da notizie stampa, atti penali) che hai concorso in un’evasione, l’Ordine potrebbe essere severo. Ad esempio, è documentato un caso in cui un avvocato fu sospeso 12 mesi per ritardi sistematici nella fatturazione . Il fatto che tu abbia aiutato il cliente a violare la legge fiscale è visto come comportamento indegno. Ti conviene presentarti al Consiglio dell’Ordine molto pentito, magari avendo già versato l’IVA dovuta e rettificato le fatture. Mostra che hai imparato la lezione e che non è tuo modus operandi ordinario. Potresti anche incorrere nell’obbligo di frequenza a corsi deontologici come “pena” accessoria. In ogni caso, prepara una memoria difensiva anche lì, preferibilmente con l’assistenza di un collega esperto in procedimenti disciplinari.

D10: È vero che adesso se pago le tasse evase evito il penale? Non è un po’ un “paghi e pulisci”?
R: In parte è vero. Le novità normative e la Cassazione hanno aperto spazi per la non punibilità in caso di integrale pagamento. Precisamente, se il reato rientra nei limiti della particolare tenuità (che ora considerano il minimo pena), il giudice deve valutare la condotta susseguente: pagare tutte le imposte può far ritenere tenue il fatto e portare all’archiviazione o assoluzione per 131-bis c.p. . Se invece il fatto non è “tenue” per dimensioni, c’è comunque l’attenuante speciale che riduce la pena fino alla metà e azzera le pene accessorie se paghi tutto prima del dibattimento . Quindi, non è che ogni pagamento annulla ogni reato, ma certamente paga il debito tributario se vuoi evitare guai penali. Non è una garanzia matematica (soprattutto per frodi grandi, magari la pena anche dimezzata resta significativa), però in molti casi concreti significa niente carcere e magari neppure condanna. Alcuni critici parlano di “impunità fiscale per chi può pagare”, ma la ratio del legislatore è incentivare il ravvedimento: meglio incassare i tributi che incarcerare la gente. Attenzione però: questo vale per reati tributari. Se ci fossero altri reati connessi (es. falso in bilancio per nascondere le cose, autoriciclaggio ecc.), pagare le tasse non estingue quelli. E resta il disvalore del fatto: non è un condono penale generalizzato, è una chance che puoi sfruttare una tantum. Inoltre, deve essere pagato tutto, ma proprio tutto (anche sanzioni e interessi) e di tasca tua – niente sconti. Perciò sì, c’è un “paghi e pulisci” condizionato, segno di una tendenza del sistema verso la riparazione anziché la punizione fine a sé stessa .

D11: In futuro, come evitare problemi del genere?
R: La lezione è: rispetta il principio di competenza e le scadenze di fatturazione. Se hai costi maturati a fine anno, fatturali entro quell’anno o, se non hai la fattura in tempo, non forzare: li dedurrai l’anno dopo. Pianifica con i fornitori: ad esempio, per le consulenze continuative, stabilisci in contratto pagamenti trimestrali così hai fatture periodiche reali. Se sei un professionista, non ritardare le fatture in attesa di pressioni dei clienti: emetti fattura al pagamento o fine prestazione, come da regole. L’introduzione della fattura elettronica aiuta, perché ogni invio è tracciato: usala come alleato, non cercare escamotage come date false (che rimangono come anomalia nel sistema). In sintesi, la prevenzione sta tutta nella correttezza formale: non ante-datare, non post-datare. Se proprio ti accorgi di un errore di periodo, usa gli strumenti leciti: nota di variazione IVA, scritture di rettifica in bilancio, dichiarazioni integrative per spostare costi. Il sistema consente di correggere errori, ma non tollera le finzioni. Infine, forma e sensibilizza il tuo staff amministrativo: spesso è lì che partono le idee di “facciamo la fattura di dicembre”. Fagli capire che il gioco non vale la candela. Un’azienda fiscalmente prudente evita anche solo il dubbio di queste pratiche, preferendo esporre un po’ più di reddito che poi potrà pianificare con metodi leciti (es. deduzioni extra-contabili se esistono normative, accantonamenti). Insomma, gioca pulito nel timing fiscale e dormirai sonni tranquilli.

D12: Se l’Agenzia scopre la retrodatazione, può accusarmi di altre irregolarità?
R: Sì, è possibile che l’accertamento non si limiti a quella fattura. Come detto, spesso scovare una fattura retrodatata fa venir voglia al Fisco di guardare il resto. Potrebbero esaminare tutte le operazioni a cavallo di quell’anno: magari trovano che alcuni ricavi di dicembre li hai fatturati a gennaio (specchio opposto, posticipo di ricavi) e contestano anche quelli. Oppure, potrebbero voler controllare se nei 5 anni precedenti hai fatto cose simili. In pratica, se trovano un “filo” tirano la matassa. Dal punto di vista giuridico, se emergono elementi, possono emettere più avvisi di accertamento (uno per ogni anno toccato) e segnalare eventuali reati aggiuntivi (es. potrebbero scoprire che hai anche utilizzato fatture da fornitori compiacenti, giusto per dire). Questo non significa che succederà sicuramente: se la questione appare isolata e di lieve entità, magari non approfondiscono oltre. Ma devi esserne consapevole: aprire il vaso può far uscire altri problemi. Quindi, quando prepari la difesa, cerca di sanare anche eventuali altre pendenze: ad esempio, se sai di avere un altro paio di costi dubbi, considera di regolarizzare pure quelli (meglio autodenuncia che un domani un altro accertamento). Una strategia spesso utile è proporre in adesione un “accordo globale”: l’ufficio magari è disposto a chiudere con te tutti i fronti se paghi qualcosa anche per altre cosette, dandoti pace fiscale. Ogni tanto funziona (es. se vi è più di un anno coinvolto).

Queste erano le domande più comuni. Ovviamente ogni caso concreto ha le sue peculiarità, ma con queste informazioni speriamo di averti dato una mappa completa per orientarti nella problematica delle parcelle retrodatate e soprattutto per difenderti consapevolmente, facendo valere i tuoi diritti ma anche riconoscendo quando è opportuno collaborare e rimediare. Ricorda: la legge italiana, pur severa con chi evade, offre strumenti di tutela e seconde chance – sfruttali a tuo favore con l’aiuto di professionisti esperti.

Fonti: Agenzia delle Entrate – risposta interpello n. 175/2022 ; D.P.R. 633/1972 art. 21; D.L. 119/2018; Cass. civ. ord. n. 23573/2025 ; Cass. pen. sez. III nn. 19675/2025 e 20068/2025 ; Codice Deontologico Forense art. 16 ; CNF sent. 313/2016 ; D.Lgs. 74/2000 artt. 2,4,8,13-bis; D.Lgs. 471/1997; Cassazione civile Sez. II ordinanza n. 346 del 10 gennaio 2023

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate parcelle retrodatate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate parcelle retrodatate?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

La retrodatazione delle parcelle può essere considerata dal Fisco un tentativo di alterare la competenza fiscale dei redditi, spostandoli da un anno all’altro per ridurre le imposte dovute. In assenza di giustificazioni valide, l’Agenzia delle Entrate può contestare dichiarazioni infedeli e fatturazioni irregolari, con recupero delle imposte e sanzioni pesanti.

👉 Prima regola: dimostra la reale data di emissione e la corretta imputazione temporale dei compensi.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Fatture o parcelle datate in modo non coerente con la prestazione;
  • Redditi imputati a un periodo d’imposta diverso da quello corretto;
  • Compensi incassati in un anno ma fatturati in un altro;
  • Documentazione contabile incoerente rispetto ai pagamenti ricevuti;
  • Segnalazioni da parte di clienti o controlli incrociati sui flussi bancari.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte su redditi dichiarati in modo errato;
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta accertata;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di accertamenti più ampi su tutta la contabilità;
  • Possibili profili penali in caso di dichiarazione fraudolenta.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Data effettiva della prestazione: corrisponde a quella della parcella?
  • Data dell’incasso: coincide con la registrazione contabile?
  • Motivazioni organizzative o contrattuali: esistevano ragioni per l’emissione tardiva?
  • Documentazione bancaria: i pagamenti sono stati registrati con coerenza?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha prove concrete o solo presunzioni?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Copie delle parcelle contestate;
  • Estratti conto bancari con data degli incassi;
  • Contratti e lettere di incarico;
  • Agenda delle prestazioni e report di attività svolte;
  • Comunicazioni con i clienti.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la corretta competenza fiscale con prove di data certa;
  • Contestare la retrodatazione presunta se non supportata da elementi oggettivi;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, motivazione insufficiente, decadenza;
  • Richiedere autotutela se la documentazione era già agli atti;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare o ridurre la pretesa;
  • Difesa penale in caso di contestazioni per frode fiscale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le parcelle retrodatate contestate;
📌 Verifica la corretta imputazione temporale dei redditi;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione trasparente e sicura delle fatturazioni professionali.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su compensi e parcelle professionali;
✔️ Specializzato in difesa di professionisti e imprese contro contestazioni di retrodatazione;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle parcelle retrodatate non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali o da incomprensioni sulla competenza fiscale.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta imputazione dei redditi, evitare la riqualificazione come evasione e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle parcelle retrodatate inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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