Contestazioni Su Architetti Con Parcelle Parzialmente Fatturate: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune parcelle emesse come architetto risultano parzialmente fatturate? In questi casi, l’Ufficio presume che i compensi professionali percepiti siano stati dichiarati solo in parte, configurando redditi occultati. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: ci sono margini difensivi per dimostrare la correttezza delle fatturazioni e dei compensi dichiarati.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le parcelle parzialmente fatturate
– Se i compensi ricevuti dai clienti non coincidono con le fatture emesse
– Se le somme incassate risultano superiori a quelle documentate fiscalmente
– Se vi sono incongruenze tra i dati dichiarati e le informazioni acquisite da banche, clienti o ordini professionali
– Se parte dei corrispettivi è stata regolata con bonifici, assegni o contanti non fatturati
– Se l’Ufficio ritiene che vi sia stata una sistematica sotto-fatturazione per ridurre il carico fiscale

Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte sui redditi professionali non dichiarati
– Applicazione di sanzioni per infedele dichiarazione e omessa fatturazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di controlli estesi ad altre annualità e ai rapporti con i clienti
– Nei casi più gravi, segnalazioni per possibili violazioni penali tributarie

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che gli importi contestati non costituiscono compensi professionali ma rimborsi spese o somme non imponibili
– Produrre contratti, preventivi, corrispondenza e ricevute che attestino la reale entità dei compensi
– Contestare presunzioni basate solo su scostamenti statistici o indizi non concreti
– Evidenziare errori di calcolo o difetti di motivazione nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione fiscale e contrattuale relativa alle parcelle contestate
– Verificare la legittimità della contestazione rispetto alla normativa professionale e tributaria
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere l’architetto davanti ai giudici tributari contro richieste fiscali indebite
– Tutelare la reputazione e il patrimonio professionale da conseguenze sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della corretta natura di alcune somme (rimborsi, acconti, spese vive)
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica. Se non si agisce tempestivamente, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile opporsi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa dei professionisti – spiega come difendersi in caso di contestazioni su parcelle parzialmente fatturate e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Le controversie tra committenti (clienti) e architetti relative al pagamento di parcelle professionali – specialmente quando le fatture emesse coprono solo parte delle prestazioni svolte – sono sempre più frequenti. Dal punto di vista del debitore (ossia del committente tenuto al pagamento), è fondamentale conoscere gli strumenti di difesa disponibili per contestare importi ritenuti ingiusti o pretese prive di un solido fondamento contrattuale. Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, offre un’analisi approfondita della normativa italiana in materia, arricchita da riferimenti a sentenze recentissime e fonti autorevoli. Il taglio è avanzato, adatto sia a professionisti legali sia a privati cittadini e imprenditori, con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo.

Tratteremo le obbligazioni contrattuali tra architetto e cliente, il regime dei compensi professionali (con e senza accordo scritto), le modalità con cui un architetto può agire per recuperare il proprio credito (es. decreto ingiuntivo) e, soprattutto, le possibili eccezioni e difese che il committente può opporre. Troverete tabelle riepilogative che sintetizzano i punti chiave, casi pratici simulati tipici (dalla mancanza di un contratto scritto alle prestazioni non completate, fino alla parcella vistata dall’Ordine) e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni. Non mancheranno modelli di atti difensivi (come opposizione a decreto ingiuntivo o memoria difensiva) utili come traccia. L’obiettivo è fornire al debitore tutti gli strumenti per comprendere come tutelare al meglio i propri diritti di fronte a richieste di pagamento parziali o contestate da parte di architetti.

Quadro normativo: contratto d’opera professionale e compenso dell’architetto

Prima di esaminare le strategie difensive, è opportuno inquadrare la relazione contrattuale tra architetto e committente secondo l’ordinamento italiano. L’attività dell’architetto rientra nel contratto di prestazione d’opera intellettuale disciplinato dagli artt. 2229 e seguenti del Codice Civile (specifico per le professioni intellettuali, che includono architetti, ingegneri, avvocati, ecc.). L’architetto, in quanto iscritto ad un Ordine professionale, ha l’obbligo deontologico di svolgere l’incarico con diligenza e nel rispetto delle norme, mentre il committente deve corrispondere il compenso pattuito o, in difetto di accordo, un compenso adeguato all’opera svolta.

Forma del contratto e accordo sul compenso: A differenza di quanto avviene per gli avvocati (il cui accordo sul compenso deve risultare da atto scritto a pena di nullità, per espressa previsione di legge), nel caso degli architetti non vige un obbligo di forma scritta “ad substantiam” per il contratto o per la pattuizione dell’onorario. Ciò significa che l’incarico professionale può essere validamente conferito anche verbalmente o per fatti concludenti. Tuttavia, a partire dal 2017, il legislatore ha introdotto un importante obbligo informativo: il preventivo scritto obbligatorio. La Legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) ha modificato l’art. 9 del D.L. 1/2012 imponendo a tutti i professionisti ordinistici (architetti inclusi) di comunicare al cliente, al momento del conferimento dell’incarico, un preventivo chiaro in forma scritta o digitale. Nel preventivo vanno indicati: la prestazione da svolgere e la sua complessità, tutte le spese e i costi previsti (comprese spese accessorie, oneri e contributi), i tempi di esecuzione e il compenso complessivo o i criteri per determinarlo. Inoltre, deve essere data informativa sull’esistenza di una polizza assicurativa professionale a copertura di eventuali danni provocati dal professionista. In pratica, il preventivo scritto può consistere in un vero e proprio contratto firmato da entrambe le parti, oppure in uno scambio di email o documenti digitali che contengano tutte le suddette indicazioni.

Tabella 1 – Contratto scritto vs. nessun contratto scritto (o preventivo) | Profilo | Con contratto scritto (o preventivo accettato) | Senza contratto scritto (nessun documento) | |————————-|———————————————–|————————————————| | Accordo sul compenso | Definito per iscritto: importo totale o criteri di calcolo chiaramente pattuiti (vincolanti per le parti). | Non definito chiaramente: il compenso sarà determinato secondo criteri legali (tariffe/parametri, usi) o equità dal giudice. L’architetto potrebbe aver solo proposto importi unilateralmente (es. parcella) senza accettazione formale del cliente. | | Forza legale dell’accordo | Vincolante; difficile contestare l’importo pattuito salvo nullità/invalidità del contratto o inadempimento dell’architetto. L’accordo scritto sul compenso è valido anche se il cliente recede anticipatamente (si paga pro-quota). | Nessun vincolo formale di importo: il cliente può discutere sia l’esistenza dell’incarico sia l’entità del compenso. Il giudice privilegerà comunque eventuali intese provate tra le parti; in mancanza, applicherà parametri professionali o criteri di equità. | | Obblighi informativi | Soddisfatti se il contratto/preventivo scritto contiene tutte le voci di costo, complessità, tempi e assicurazione come da Legge 124/2017. | Violazione dell’obbligo legale di preventivo scritto (illecito deontologico per l’architetto). Nessuna sanzione civile diretta, ma in caso di lite manca un documento cui riferirsi. | | Prova in giudizio | Il documento scritto firmato prova incarico e compenso convenuto. L’architetto dovrà solo dimostrare di aver eseguito la prestazione concordata. | L’architetto deve provare l’avvenuto incarico e le prestazioni svolte. Il compenso richiesto non essendo provato da accordo scritto sarà liquidato dal giudice secondo parametri adeguati (spesso con CTU). Il cliente può contestare ogni voce non concordata. | | Maggiorazione 25% (incarico sospeso) | In caso di recesso anticipato: no diritto alla maggiorazione del 25% ex tariffe, se era stato pattuito un compenso globale per l’opera (si paga solo il proporzionale). Eventuali penali o indennità solo se previste dal contratto. | In caso di cessazione anticipata: possibile 25% su prestazioni non eseguite (ex art. 10 L. 143/1949), come indennizzo al professionista, purché la sospensione non sia dovuta a sua colpa. Il giudice può riconoscerla come criterio equitativo in mancanza di accordo predefinito. |

Mancanza del preventivo scritto – conseguenze: La violazione dell’obbligo di presentare un preventivo in forma scritta non comporta la nullità del contratto d’opera né una sanzione civile diretta. Si tratta però di un illecito dal punto di vista deontologico ed etico per il professionista. Dal punto di vista pratico, l’assenza di un accordo scritto rende più incerto il quadro probatorio e il calcolo del compenso: in caso di contestazione, né il professionista né il cliente avranno un documento contrattuale da far valere a supporto delle proprie tesi. Sarà il giudice, sulla base delle risultanze processuali (testimonianze, documenti, pareri tecnici), a determinare l’importo dovuto “in via equitativa”, con il rischio di scontentare entrambi. In questi casi, eventuali tariffe o parcelle predisposte dal professionista perdono importanza specifica: la liquidazione avverrà considerando l’utilità dell’opera prestata e altri criteri equitativi. Dunque, per l’architetto la mancanza di accordo scritto espone al pericolo di vedersi riconosciuto un compenso inferiore a quanto richiesto; per il cliente comporta l’incertezza su quanto effettivamente dovuto (sebbene spesso l’assenza di pattuizione giochi a favore del committente in termini di riduzione dell’onorario rispetto alle pretese iniziali del tecnico).

Determinazione legale del compenso (art. 2233 c.c.): L’art. 2233 del Codice Civile stabilisce l’ordine di priorità dei criteri per determinare il compenso del professionista intellettuale. In primo luogo vale la convenzione tra le parti: se le parti hanno pattuito liberamente il compenso, tale accordo prevale (salvo sia contrario a norme imperative). In mancanza di patto sul compenso, si guarda a tariffe professionali o usi. Va ricordato che le tariffe professionali minime obbligatorie per gli architetti (un tempo previste dalla Legge n. 143/1949 e successive) sono state abrogate nel 2012 (c.d. “Decreto Cresci Italia” – D.L. 1/2012 convertito in L. 27/2012). Oggi sopravvivono solo parametri di riferimento, che il giudice può utilizzare per liquidare il compenso in caso di contenzioso, ad esempio i parametri ministeriali fissati dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012 n. 140 e dal D.M. 17 giugno 2016 (per le prestazioni di ingegneria e architettura). Infine, se non vi sono né accordi né tariffe applicabili, interviene la determinazione giudiziale. Il giudice – anche acquisendo un parere di congruità dall’Ordine professionale o disponendo una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) – stabilirà un compenso adeguato all’importanza dell’opera, ai risultati ottenuti e al lavoro effettivamente svolto.

In ogni caso, la legge attribuisce rilevanza preferenziale all’accordo intervenuto fra le parti: una volta che committente e architetto abbiano concordato un certo corrispettivo (ad esempio firmando un contratto o accettando un preventivo), non si applicano i parametri o le tariffe, nemmeno se l’importo pattuito fosse inferiore ai minimi (ormai aboliti) o superiore ai massimi indicativi: l’accordo libero è sovrano. Solo in mancanza di accordo si passerà ai criteri sussidiari (parametri/usi e, in ultima istanza, decisione giudiziale).

Esempio: Un architetto e un cliente non formalizzano per iscritto il compenso per la progettazione di una casa. A lavori ultimati, l’architetto presenta una parcella di importo elevato, redatta sulla base delle tabelle ex D.M. 140/2012. Il cliente, non avendo mai accettato un importo specifico, può contestare la cifra. In caso di causa, il giudice non darà automatica efficacia alla parcella né ai parametri indicati dal tecnico, ma indagherà sull’opera svolta e potrà liquidare un compenso anche inferiore a quello calcolato dall’architetto, se lo ritiene congruo, sentito eventualmente il parere dell’Ordine. Se invece vi fosse stato un contratto firmato con un importo fisso, il cliente sarebbe stato vincolato a quella cifra (salvo contestare altri profili, come vedremo).

Parcella “parzialmente fatturata” e prestazioni non completate

L’espressione “parcella parzialmente fatturata” indica tipicamente una situazione in cui l’architetto ha emesso fatture solo per una parte delle prestazioni svolte o concordate. Ciò può accadere in diversi contesti pratici: ad esempio, un incarico complesso suddiviso per fasi (progetto preliminare, definitivo, esecutivo, direzione lavori, accatastamento, ecc.) in cui l’architetto fattura inizialmente solo alcune fasi; oppure un rapporto professionale interrotto anticipatamente, in cui il professionista fattura ciò che ha svolto fino a un certo punto, riservandosi di chiedere il resto. Altre volte, “parzialmente fatturato” può riferirsi al fatto che il cliente ha pagato solo in parte la parcella (lasciando scoperto un importo).

Dal punto di vista del debitore, queste situazioni presentano alcune criticità da esaminare:

  • Importo residuo non fatturato: se l’architetto sostiene di aver diritto a ulteriori compensi oltre quanto già fatturato, occorre capire se tale ulteriore compenso fosse stato pattuito o meno. Ad esempio, un architetto potrebbe aver emesso fattura per il progetto preliminare e definitivo, ma non per la direzione lavori perché i lavori non sono mai iniziati. Può egli chiedere comunque un compenso per la direzione lavori non svolta? In linea di massima, no (compenso è dovuto per ciò che si è eseguito), salvo il diritto a un’indennità per l’interruzione anticipata dell’incarico non imputabile a lui. La normativa previgente (L. 143/1949) prevedeva espressamente una maggiorazione del 25% sui compensi maturati, a titolo di indennizzo, se il professionista veniva dispensato dall’incarico prima di completarlo. Tale regola, seppur abolita come tariffa, è stata confermata dalla giurisprudenza come criterio equitativo: in opere private, architetti e ingegneri hanno diritto alla maggiorazione del 25% sulle prestazioni parziali, indipendentemente dal motivo del mancato completamento, purché la sospensione non dipenda da loro colpa. Inoltre, se la sospensione è dovuta a decisione o inadempimento del committente, resta salvo il diritto del professionista al risarcimento degli ulteriori danni subìti. In pratica, se il cliente interrompe l’incarico senza giusta causa, l’architetto può chiedere: (i) il pagamento delle prestazioni già svolte; (ii) un extra del 25% sul compenso delle prestazioni non eseguite per compensare il mancato guadagno; (iii) eventualmente altri danni specifici, se provati (es. spese vive andate perse). Dal lato del cliente, quindi, difendersi da una simile pretesa significa dimostrare che la decisione di interrompere l’incarico è dipesa da ragioni oggettive o da mancanze dell’architetto (vedi oltre “inadempimento del professionista”), oppure che vi era un accordo diverso che esclude tali indennizzi.
  • Prestazioni non completate o non eseguite: può capitare che l’architetto, pur non avendo completato tutte le attività originariamente previste, richieda l’intero compenso come se l’opera fosse terminata, sostenendo magari che la mancata ultimazione non è dipesa da lui. Il cliente ha il diritto di pagare soltanto ciò che è stato realmente realizzato e utile. Il Codice Civile (art. 2237 c.c.) consente al cliente di recedere in ogni momento dal contratto d’opera professionale, pagando però le spese sostenute dal professionista e il compenso per la parte di opera già compiuta. Non è dovuto, di regola, il compenso per la parte non eseguita né alcun ulteriore indennizzo, a meno che il recesso sia avvenuto senza giusta causa (in tal caso, come visto sopra, può operare l’indennità del 25% se non c’era un patto diverso). Esempio pratico: un architetto viene incaricato di progetto + direzione lavori per un costo totale concordato di 10.000 €. Dopo aver completato il progetto (diciamo il 50% del lavoro), il committente annulla l’opera e interrompe il rapporto. Se il compenso di 10.000 € era stato pattuito per l’intero incarico, l’architetto avrà diritto circa a 5.000 € (proporzionalmente al progetto svolto) e non ad ulteriori somme, perché l’accordo pattuito prevale e viene semplicemente ridotto. Non potrà aggiungere il 25% sulle fasi non svolte perché c’era un compenso convenuto per l’intero lavoro. Invece, se nulla era stato stabilito sul compenso totale, l’architetto potrebbe chiedere la liquidazione a tariffa del progettato + 25% di indennizzo sulla direzione lavori non fatta. Il committente, per difendersi, evidenzierà che comunque la direzione lavori non ha avuto luogo, e potrà contestare l’applicazione della maggiorazione se ritiene di aver avuto motivi legittimi per fermare i lavori (es. problemi finanziari sopravvenuti non imputabili a sua colpa diretta, oppure errori progettuali che hanno reso inutile proseguire, ecc.).
  • Parcella già parzialmente pagata: se il cliente ha già corrisposto acconti o pagamenti parziali, questi importi vanno scalati dal dovuto. Può sembrare ovvio, ma nelle liti talvolta si discute su come imputare i pagamenti già fatti. Ad esempio, un architetto emette una fattura di € 5.000, il cliente ne paga metà (€ 2.500) e poi l’architetto sostiene che l’importo di 5.000 € era solo un acconto su un totale di € 8.000. Il committente invece pensava che € 5.000 fosse il saldo finale. La difesa del cliente consisterà nel dimostrare la propria versione: documenti come la fattura stessa (che magari riporta “saldo progettazione” etc.), ricevute dei bonifici con causali, eventuali email in cui si parlava di costi, possono supportare l’interpretazione che l’architetto abbia accettato € 5.000 come compenso completo (o quantomeno che non vi fosse accordo per arrivare a 8.000). Inoltre, in base ai principi civilistici sul pagamento parziale, se il debitore paga un acconto senza specificare la destinazione e il creditore lo accetta senza riserve, quel pagamento andrà imputato al debito scaduto salvo diversa contestazione tempestiva. Sarà quindi onere dell’architetto provare che i € 5.000 erano solo un acconto concordato, mentre il cliente potrà limitarsi a evidenziare che nessun ulteriore importo era stato pattuito e che l’architetto, emettendo fattura e ricevendo pagamento, appariva soddisfatto di quella somma. In effetti, la Cassazione ha affermato che la predisposizione di una parcella da parte del professionista, da cui si evinca l’inequivoco intendimento di ritenersi soddisfatto con il versamento di una certa somma, impedisce al professionista stesso di avanzare ulteriori pretese per la medesima prestazione, giacché l’applicazione delle tariffe (o parametri) ha carattere sussidiario ed è esclusa in caso di fissazione convenzionale del corrispettivo. In altre parole, se l’architetto ha emesso un documento di parcella indicando un importo “a saldo” per l’opera svolta e il cliente lo paga, difficilmente potrà poi chiedere di più per quelle stesse attività. Questo principio – sancito originariamente per gli avvocati ma applicabile in generale – tutela il committente da richieste sopravvenute oltre il concordato, salvo che vi fossero errori o condizioni non avverate esplicitate nella parcella stessa.

Riassumendo, “parcella parzialmente fatturata o pagata” richiama l’attenzione su due aspetti essenziali per il debitore: (a) accertare quali prestazioni l’architetto abbia effettivamente svolto e se ve ne siano di non eseguite ma incluse nella richiesta economica; (b) verificare gli accordi (anche impliciti) su acconti, saldi e compensi totali, per opporre eventuali exceptio di pagamento già avvenuto o di non debenza di ulteriori somme oltre il già fatturato.

Il decreto ingiuntivo basato sulla parcella dell’architetto

Spesso l’architetto, per recuperare rapidamente il proprio credito professionale, ricorre alla procedura monitoria ottenendo un decreto ingiuntivo. Si tratta di un provvedimento giudiziario emesso inaudita altera parte (cioè senza contraddittorio iniziale) che ingiunge al debitore il pagamento di una certa somma entro un termine (40 giorni), con efficacia esecutiva in caso di mancata opposizione. Per ottenere un decreto ingiuntivo, il creditore deve fornire al giudice prova scritta del credito (art. 633 c.p.c.). Nel caso dei professionisti, la legge ammette come prova scritta idonea la parcella delle spese e prestazioni, purché corredata dal parere di congruità dell’Ordine professionale competente (art. 636 c.p.c.). In pratica, l’architetto può presentare al giudice: copia della parcella dettagliata delle attività svolte e degli importi dovuti, vistata o accompagnata da un’attestazione dell’Ordine degli Architetti che dichiari il compenso conforme ai parametri di legge o agli usi. Questo documento, un tempo basato sulle tariffe ufficiali, oggi è un parere di congruità rispetto ai parametri vigenti o alla mole di lavoro dichiarata. Esso rende normalmente il credito “liquido ed esigibile” agli occhi del giudice, il quale emetterà il decreto ingiuntivo.

Attenzione: il decreto ingiuntivo così ottenuto non è una condanna definitiva – può essere opposto dal debitore. Inoltre, il visto dell’Ordine sulla parcella ha un valore limitato: attesta solo la conformità del compenso richiesto alle tariffe o ai parametri professionali, ma non prova affatto che l’architetto abbia realmente eseguito tutte le prestazioni indicate. La Cassazione lo ha ribadito: la certificazione dell’Ordine non vincola il giudice di merito sulla fondatezza della pretesa, né esonera il professionista dall’onere di provare il fatto costitutivo del credito, cioè l’attività svolta e l’accordo sull’incarico. In altre parole, il decreto ingiuntivo può basarsi sulla sola parcella vistata, ma se il committente fa opposizione, si apre un giudizio ordinario in cui quel decreto viene “messo in discussione” e l’architetto dovrà dimostrare la propria pretesa come se stesse agendo in via ordinaria.

Vediamo quindi come procedere in caso di decreto ingiuntivo e quali difese adottare:

Opposizione a decreto ingiuntivo: procedura e termini

Una volta notificato al debitore, il decreto ingiuntivo concede 40 giorni per proporre opposizione (termine ordinario previsto dall’art. 641 c.p.c.). L’opposizione si propone con atto di citazione da notificare al professionista creditore, instaurando così un giudizio di cognizione piena davanti al tribunale (o giudice di pace, a seconda del valore e materia) che ha emesso il decreto. È fondamentale rispettare rigorosamente il termine di 40 giorni dalla notifica: decorso tale termine senza opposizione, il decreto diviene definitivo ed esecutivo, equiparato a una sentenza passata in giudicato. Un’opposizione tardiva è inammissibile (salvo casi eccezionali di rimessione in termini difficilmente applicabili). Dunque, il debitore che intenda contestare la parcella deve attivarsi celermente, preferibilmente con l’assistenza di un avvocato, per redigere l’atto di opposizione.

Effetti dell’opposizione: L’opposizione a decreto ingiuntivo trasforma la procedura monitoria in un giudizio ordinario. L’architetto originariamente “ingiungente” assume la veste processuale di attore sostanziale (che deve provare il credito), mentre l’opponente è convenuto sostanziale (pur essendo formalmente attore in opposizione). Il decreto ingiuntivo viene sospeso solo se il giudice, su istanza del debitore, concede la sospensione dell’efficacia esecutiva (in caso di gravi motivi); altrimenti rimane esecutivo provvisoriamente. Nel giudizio di merito, il giudice riesaminerà la vicenda come se il decreto non ci fosse, valutando le prove offerte da entrambe le parti.

Onere della prova nel giudizio di opposizione: Come anticipato, una volta proposta opposizione, il carico probatorio ricade sull’architetto. Egli dovrà dimostrare: (a) che vi era un incarico professionale valido; (b) quali prestazioni rientravano in tale incarico; (c) di aver effettivamente eseguito tali prestazioni, integralmente o nella misura per cui chiede compenso; (d) l’ammontare del compenso dovuto, in base all’eventuale accordo o, in difetto, in base a criteri normativi o di equità. Se l’architetto, ad esempio, afferma di aver redatto un progetto architettonico e ottenuto un permesso edilizio, dovrà produrre il progetto, il permesso o quantomeno prove (anche testimoniali) di aver consegnato/elaborato tali atti. Non basterà esibire la parcella vistata dall’Ordine: secondo la Cassazione, la parcella e il relativo parere dell’Ordine non sono sufficienti a provare lo svolgimento e l’entità della prestazione, imponendosi al professionista attore di fornire ulteriori elementi dimostrativi della sua pretesa. Ad esempio, in una recente controversia, la Corte di Cassazione ha dato ragione a un condominio opponente, rilevando che la Corte d’Appello aveva erroneamente liquidato anche attività (coordinamento sicurezza) che non risultavano provate come eseguite: il professionista deve provare di aver svolto quella mansione e la corrispondenza con le voci in parcella, non bastando l’approvazione dell’Ordine. La causa è stata rinviata per accertare se tale incarico aggiuntivo fosse stato effettivamente conferito e svolto. Questo esempio illustra bene che qualsiasi contestazione, anche generica, sull’effettività o consistenza delle prestazioni attiva l’obbligo di prova a carico del professionista.

Dal lato del committente opponente, dunque, è opportuno contestare il più possibile in modo puntuale le diverse voci e richieste dell’architetto. Se alcune prestazioni non sono state mai eseguite (o eseguite solo in parte), andrà sollevata la relativa eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.): il cliente può rifiutare il pagamento della parte di compenso relativa alle attività non rese, invocando l’inesatto adempimento del contratto. La legge richiede che tale eccezione sia specifica: bisogna indicare quali prestazioni sarebbero rimaste ineseguite o carenti. Un generico “il professionista non ha fatto bene il suo lavoro” è troppo vago; molto meglio “l’architetto non ha redatto il progetto esecutivo né seguito l’iter di approvazione in Comune, limitandosi al progetto preliminare” etc. Una contestazione sufficientemente specifica su cosa non è stato fatto sposta sul professionista l’onere di provare il contrario, ossia di dimostrare di aver svolto anche quelle attività (o che esse non erano dovute). Se il cliente omette di contestare un determinato adempimento indicato in parcella, il giudice potrebbe ritenerlo non contestato e darlo per ammesso (art. 115 c.p.c.).

La Cassazione, con un’importante pronuncia del 2021, ha tracciato una distinzione nell’onere di contestazione del debitore a seconda di come è formulata la richiesta di pagamento del professionista:

  • Se la parcella (o richiesta di pagamento) del professionista è analitica e dettagliata, con l’indicazione specifica di ogni voce di prestazione e relativo importo, allora il committente deve contestare in modo specifico ciascuna voce che ritiene non dovuta o eccessiva. Limitarsi a dire “la somma è eccessiva” sarebbe insufficiente: occorre, ad esempio, contestare il numero di ore indicato, oppure l’effettivo svolgimento di quella singola attività, o la rispondenza ai patti. In mancanza di specifiche contestazioni, quelle voci potrebbero considerarsi ammesse dal cliente.
  • Se invece la richiesta del professionista è generica o forfettaria, indicante solo un importo globale senza dettagli, il debitore può limitarsi a eccepire la genericità o l’esosità complessiva. In tal caso spetterà al creditore-professionista l’onere di dimostrare, a fronte della contestazione, la correttezza della propria pretesa motivandola con parametri determinati (ad es. mostrando come è stato calcolato l’importo, in base a quali attività, tariffe, usi) . In sintesi: se l’architetto presenta un conto globale di 10.000 € senza spiegazioni, il cliente può opporre che non risulta come si giunga a tale cifra e che la stessa appare sproporzionata; sarà poi l’architetto, in giudizio, a dover scomporre e giustificare quell’importo, provando che è dovuto per intero in base all’accordo o ai parametri applicabili .

Questa regola di buon senso è stata affermata dalla Suprema Corte proprio per bilanciare il principio del “non contestato”: non si può pretendere che il cliente contesti analiticamente un conteggio che analitico non è. Dunque, consiglio pratico per il debitore: se la parcella è fumosa, sottolinearne la genericità; se è dettagliata, esaminarla voce per voce e contestare quelle dubbie o infondate.

Principali motivi di opposizione e difesa del debitore (eccezioni)

Esaminiamo ora le difese di merito più frequenti che un committente può far valere per contrastare (in tutto o in parte) la richiesta di pagamento di un architetto. Queste difese valgono sia in sede di opposizione a ingiunzione, sia in un normale giudizio di cognizione iniziato dall’architetto, sia anche in sede stragiudiziale come argomenti per respingere/ridurre la parcella.

1. Inesistenza o invalidità del contratto d’opera: Il debitore può contestare di non aver mai conferito l’incarico professionale all’architetto, oppure che l’incarico fosse limitato e non comprendesse alcune prestazioni ora fatturate. Ad esempio: “Non ho mai chiesto all’architetto di occuparsi anche dell’accatastamento, ma solo del progetto”; oppure addirittura “non ho mai incaricato formalmente quel tecnico, ha fatto il progetto di sua iniziativa”. Questo è un terreno scivoloso, perché spesso qualche rapporto di fatto c’è stato (ad esempio il committente ha firmato la pratica edilizia predisposta dall’architetto, il che implicitamente conferisce incarico). Tuttavia, in mancanza di un contratto scritto, l’architetto deve provare di aver ricevuto l’incarico. Se il cliente disconosce l’accordo, il professionista potrà dimostrarlo tramite: corrispondenza (lettere/email di incarico), firme su elaborati o richieste di permessi (una DIA, SCIA o permesso di costruire firmati dal proprietario con l’architetto come progettista indicato), testimoni (es. l’impresa edile che conferma che l’architetto dirigeva i lavori su richiesta del committente), comportamenti concludenti (ad es. il cliente ha lasciato che il tecnico presentasse pratiche a suo nome). Viceversa, se davvero l’architetto ha agito senza mandato (magari predisponendo un progetto sperando di ottenere l’incarico), il committente può andare esente da obblighi di pagamento, salvo forse un’indennità per arricchimento senza causa se ha utilizzato quel progetto. In linea generale, l’eccezione “nessun contratto” è vincente solo se effettivamente non vi fu alcun accordo né formale né tacito – circostanza rara. Più frequente e incisiva è la doglianza sulla portata del contratto: il cliente può ammettere di aver incaricato l’architetto di X e Y, ma non di Z, mentre la parcella include anche Z. In tal caso pagherà solo X e Y (se dovuti) e potrà negare Z come prestazione extra non autorizzata.

2. Mancata pattuizione scritta del compenso – importo preteso eccessivo: Se non vi è un accordo scritto sull’onorario (caso molto comune), il committente può contestare la pretesa economica dell’architetto in quanto non concordata e sproporzionata. Si può eccepire che l’accordo sui compensi è nullo per difetto di forma qualora si rientri in ambiti dove la legge la richiede (di nuovo, per gli avvocati ad esempio la nullità scatta se non c’è forma scritta, ma per gli architetti questa norma non vale, quindi l’argomento sarà usato più come leva persuasiva che come eccezione legale). Tuttavia, rimane fermo che, in assenza di accordo chiaro, spetta al giudice quantificare il giusto compenso ex art. 2233 c.c.. Il debitore può insistere sul fatto che l’architetto non ha mai fornito un preventivo (in violazione della legge 124/2017) e che quindi egli, da cliente, non aveva consapevolezza dell’ammontare finale: ciò rende la richiesta di pagamento “a sorpresa” inaccettabile e contraria al dovere di correttezza professionale. Non è un’eccezione giuridica in senso stretto, ma sicuramente una circostanza che molti giudici tengono in conto per ridimensionare il compenso richiesto. In mancanza di accordo, come già detto, si applicano i parametri professionali: il giudice potrebbe affidarsi a una CTU contabile per calcolare l’onorario secondo le tabelle ministeriali, spesso con esiti inferiori alle pretese di parte (perché il CTU elimina voci non dovute, applica importi medi, ecc.). Il committente può anticipare questo scenario, allegando ad esempio un calcolo alternativo basato su parametri ufficiali dal quale risulti che la parcella pretesa eccede di molto il dovuto. Esempio: parcella di € 20.000 per progettazione di ristrutturazione con importo lavori € 100.000: se i parametri ministeriali darebbero € 12.000, il cliente può evidenziarlo (magari producendo la tabella o richiamando fonti) per sostenere che i € 20.000 sono fuori scala e ingiustificati. Sarà poi il tecnico a dover motivare perché chiede quasi il doppio del normale – compito arduo se nulla era stato concordato.

3. Prestazioni non eseguite o eseguite parzialmente: Questo è il principale terreno di scontro nelle contestazioni. Il cliente può rifiutare il pagamento, totale o parziale, se l’architetto non ha adempiuto integralmente alle sue obbligazioni. L’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) è un potente strumento: “non ti pago perché tu non hai fatto quanto dovevi”. Come visto, occorre dettagliare cosa manca. Alcuni esempi: l’architetto ha consegnato un progetto preliminare ma non quello esecutivo; oppure non ha ottenuto i titoli abilitativi promessi; non ha seguito i lavori in cantiere come pattuito (assenze prolungate, direzione lavori di fatto non svolta); non ha predisposto le varianti richieste, etc. In tali situazioni, se le mancanze sono gravi, il committente potrebbe persino chiedere la risoluzione del contratto (se ancora in corso) e/o il risarcimento danni (es: ho perso un finanziamento perché il progetto era in ritardo). Nell’ambito di un’opposizione a decreto ingiuntivo, l’eccezione di inadempimento viene normalmente sollevata per paralizzare (in tutto o in parte) la pretesa di pagamento: se l’inadempimento dell’architetto è totale, si chiede rigetto integrale della domanda (nulla è dovuto); se è parziale, si può chiedere una riduzione proporzionale del compenso. La giurisprudenza richiede, come detto, contestazioni specifiche delle prestazioni non eseguite. Una volta sollevata l’eccezione, sarà l’architetto a dover provare di aver effettivamente eseguito quelle prestazioni contestate. Vale la pena sottolineare che anche un’esecuzione carente o difettosa può giustificare il rifiuto di pagare in toto o in parte. Se il progetto dell’architetto era pieno di errori tali da renderlo inutilizzabile, il cliente può rifiutare di pagarlo (inadempimento qualitativo). Queste argomentazioni spesso richiedono una CTU tecnica per stabilire se l’opera professionale fosse conforme agli standard richiesti; qualora si accerti un grave deficit, il compenso può essere decurtato o azzerato, e l’architetto può essere condannato a rifondere i danni (costi di un altro tecnico per correggere gli errori, ritardi, sanzioni edilizie, ecc.).

4. Difformità dall’incarico o prestazioni extra non autorizzate: Simile al punto 1, ma qui il focus è su specifiche attività. L’architetto potrebbe aver svolto (e addebitato) attività che esulavano dal mandato ricevuto. Ad esempio, consulenze urbanistiche aggiuntive, ulteriori rendering o varianti progettuali non richieste formalmente, perizie e così via. Il committente può eccepire: “questo lavoro extra non l’ho chiesto, non lo pagherò”. Legalmente, se l’architetto esegue opere ulteriori senza preventiva richiesta o approvazione del cliente, corre il rischio di non vedersi riconosciuto alcun compenso per esse. Un professionista diligente, dovendo fare attività extra, dovrebbe farsi autorizzare e concordare il relativo onorario prima. Quindi, il debitore ha buon gioco a rifiutare il pagamento di voci di parcella relative a prestazioni non concordate. Se però poi il cliente ha comunque tratto beneficio da quell’attività extra (es. l’architetto, di sua iniziativa, gli ha fatto anche la pratica paesaggistica che non era menzionata inizialmente, e il cliente l’ha usata ottenendo l’autorizzazione), il giudice potrebbe riconoscere un compenso sulla base dell’arricchimento senza causa. Ma intanto, come difesa, il cliente può legittimamente dire: “questo non faceva parte dell’accordo, non pago”, costringendo l’architetto a dimostrare che invece vi rientrava o che il cliente comunque l’ha richiesto/accettato in corso d’opera.

5. Eccepire la prescrizione del credito professionale: Un aspetto spesso trascurato è il tempo trascorso. I crediti dei professionisti godono (dal punto di vista del cliente) di un regime di prescrizione presuntiva breve. L’art. 2956 c.c. stabilisce che si prescrivono in 3 anni i diritti dei professionisti per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlate. Architetti, ingegneri, geometri, avvocati, commercialisti, etc., rientrano in questa previsione. Attenzione: è una prescrizione presuntiva, non ordinaria. Ciò significa che trascorsi 3 anni dalla conclusione della prestazione professionale, si presume che il cliente abbia pagato quanto dovuto. Non è un’estinzione del debito in senso tecnico, bensì una presunzione legale di avvenuto pagamento. In pratica, se un architetto completa l’opera (o interrompe l’incarico) e per 3 anni non chiede nulla al cliente, poi non può più attivarsi pretendendo il pagamento, a meno che il cliente non ammetta di non aver pagato. Questa è una difesa potentissima per il debitore, ma va usata con cautela. In sede di opposizione o di giudizio, il cliente deve sollevare l’eccezione di prescrizione presuntiva indicando che sono decorsi più di 3 anni dall’ultima prestazione senza pagamenti nel frattempo. Esempio: lavori conclusi a giugno 2019, parcella inviata dall’architetto a settembre 2022 (oltre 3 anni dopo) – il debitore può eccepire che, essendo trascorsi oltre 3 anni, si presume estinto il debito. Se l’eccezione è sollevata correttamente, l’onere probatorio si inverte: sarà l’architetto a dover provare che il cliente non aveva pagato entro il triennio. E come può farlo? Tipicamente solo con una confessione del cliente stesso. L’architetto potrebbe cercare di produrre una lettera in cui il cliente ammette di non aver pagato. Qui molti ingenui debitori cadono in errore: non bisogna mai rispondere per iscritto dicendo “non ti pago perché il credito è prescritto”, poiché così si ammette implicitamente di non aver pagato affatto (riconoscendo dunque il debito al momento della scadenza dei 3 anni). Questo romperebbe la presunzione. La strategia corretta è eccepire la prescrizione presuntiva senza fare ammissioni sul mancato pagamento. Ad esempio, nel comparire in giudizio si può semplicemente affermare: “l’azione è improponibile/infondata in quanto il credito dedotto si presume estinto ex art. 2956 n. 2 c.c., essendo trascorsi più di tre anni dalla cessazione della prestazione professionale”. Sarà poi il professionista, se ne è capace, a dover contrastare questa affermazione magari invocando un’interruzione (es. una lettera raccomandata di sollecito inviata entro i 3 anni, che farebbe ripartire il termine). Ma se non c’è stata alcuna interruzione formale e il cliente tiene il punto (anche offrendo eventualmente di giurare di aver già saldato – il famoso giuramento decisorio in tema di prescrizioni presuntive), il giudice dichiarerà estinto il diritto dello studio tecnico. In definitiva, se sono passati più di 3 anni dal termine dell’incarico (o dall’ultimo pagamento/parcella riconosciuta) e l’architetto non ha agito né inviato messe in mora, il cliente può far valere questa difesa. Nota: la prescrizione presuntiva è concepita per tutelare i clienti che in genere pagano subito e poi, a distanza di anni, non avrebbero ricevute (o memoria) per dimostrarlo. Non a caso, è “presuntiva”: passati 3 anni, la legge presume che tu abbia pagato e l’onere di dimostrare il contrario spetta al professionista. È una situazione peculiare in cui il silenzio e l’inerzia (entrambe le parti che non ne parlano per 3 anni) vanno a favore del cliente.

Tabella 2 – Riepilogo delle eccezioni principali del debitore e requisiti
| Eccezione/Difesa | Descrizione | Quando applicabile / Prova richiesta | |————————-|———————————————————————————————————————————————-|—————————————————————————————–| | Nessun incarico o incarico limitato | Nega l’esistenza di un contratto o sostiene che l’attività richiesta non rientrava nell’accordo. | Caso estremo (nessun contratto) o prestazione extra non concordata. L’architetto deve provare il conferimento dell’incarico (lettere, firme su atti, testimoni). Il cliente può evidenziare assenza di qualsiasi richiesta da parte sua per certe opere. | | Compenso non pattuito / Eccessivo | Contesta l’importo richiesto perché mai convenuto e superiore al giusto. Chiede quantificazione secondo equità o parametri. | In assenza di accordo scritto sull’onorario. Si enfatizza la mancanza del preventivo obbligatorio. Utile allegare un calcolo parametrico “ufficiale” inferiore. Il giudice valuterà con CTU/parere d’Ordine. | | Inadempimento dell’architetto (totale o parziale) | Eccezione di mancata esecuzione delle prestazioni: il professionista non ha fatto tutto (o ha eseguito male) e quindi non merita compenso (o solo ridotto). | Se risultano opere non compiute, ritardi gravi, difetti progettuali, mancato ottenimento di permessi imputabili al tecnico, ecc. Il cliente deve indicare specificamente le mancanze. L’onere passa poi al professionista di provare il contrario. | | Mancanza di autorizzazione per opere extra | Rifiuto di pagare voci relative ad attività aggiuntive non richieste dal committente. | Se la parcella include prestazioni fuori dallo scopo originario (es. consulenze ulteriori, perizie non richieste). Il cliente deve negare di averle commissionate. L’architetto dovrà provare un tacito assenso o un’utilità accettata. | | Pagamento già effettuato (parziale o totale) | Sostiene che il debito è estinto in tutto o in parte perché si è già pagato (acconti, saldo). | Occorre documentare i pagamenti (ricevute, bonifici). Se l’architetto li nega, il cliente produce le prove dei versamenti. Attenzione all’imputazione: specificare per quali prestazioni era il pagamento (se non emerge, il giudice imputerà ai debiti più vecchi). | | Prescrizione presuntiva 3 anni | Invoca l’estinzione presunta del credito professionale perché trascorsi più di 3 anni dall’ultima prestazione senza richieste di pagamento. | Sono passati 3 anni dal termine dell’incarico senza atti interruttivi (es. raccomandate, PEC, solleciti scritti). Il cliente deve sollevare l’eccezione in giudizio, senza ammettere mancato pagamento. L’architetto può solo superarla provando di aver interrotto la prescrizione o che il cliente ha riconosciuto il debito. |

6. Altri profili vari: In alcuni casi, il committente potrebbe sollevare eccezioni formali: ad esempio, la nullità della parcella per difetto di sottoscrizione, o l’errata applicazione dell’IVA, o l’assenza di indicazione di ritenuta d’acconto (per lavori con aziende). Questi però non incidono sul merito dell’obbligo di pagare, ma al più su importi accessori. Se l’architetto non ha applicato correttamente la legge IVA o la Cassa previdenziale (4%), sarà il giudice eventualmente a correggere il netto dovuto. Non sono vere “difese” per non pagare, ma dettagli da far correggere. Un altro aspetto: clausole vessatorie o squilibrate nell’eventuale contratto. Se c’è un contratto scritto contenente condizioni molto gravose (es. penali esagerate a carico del cliente, obbligo di pagare l’intero compenso anche se il progetto non ottiene le autorizzazioni, ecc.), il cliente (specie se consumatore) può chiederne la nullità parziale per violazione del Codice del Consumo. È un argomento avanzato: richiede qualificare il cliente come consumatore e l’architetto come professionista che propone condizioni generali. In contesti B2B (imprenditore che ingaggia architetto) ciò non si applica, e comunque è raro che nei contratti di prestazione d’opera intellettuale si inseriscano clausole del genere senza negoziazione.

7. Equilibrio contrattuale ed equo compenso: recente è la tematica dell’equo compenso, normativa introdotta per assicurare che i professionisti non lavorino per compensi irrisori con committenti “forti” (banche, assicurazioni, PA). Dal punto di vista del committente-debitore, l’equo compenso può sembrare controintuitivo (protegge il professionista da compensi troppo bassi). In teoria, una clausola che prevedesse un compenso manifestamente sproporzionato in difetto (troppo basso) sarebbe nulla, con diritto del professionista a richiedere un compenso adeguato. Ma questo riguarda casi in cui l’architetto abbia accettato un incarico sotto-pagato con grandi committenti; non è tipicamente una difesa utilizzabile dal privato cittadino che anzi, semmai, sostiene che il compenso è troppo alto. Quindi l’equo compenso non offre strumenti al debitore, se non indirettamente: ad esempio, parametri di equo compenso stabiliti per certe prestazioni potrebbero essere usati dal cliente per dire “vede, normalmente per questo lavoro equo compenso sarebbe X, tu ne chiedi 3X, è esorbitante”. Ma è un argomento retorico più che giuridico. In conclusione, l’equo compenso è citato qui per completezza, ma non rappresenta una difesa per il cliente, bensì un limite minimo a tutela del professionista (non applicabile se il cliente è un consumatore o una PMI che non rientra tra i “contraenti forti”).

Simulazioni pratiche (casi tipo)

Presentiamo di seguito alcune simulazioni basate su casi reali, per mostrare come applicare le difese dal punto di vista del committente-debitore. Ciascun esempio illustra una situazione comune e la possibile evoluzione, con esito in base alla normativa e giurisprudenza attuale.

Caso 1: Parcella senza accordo scritto e lavori non completati
Scenario: Tizio incarica informalmente l’architetto Caio di predisporre un progetto per la ristrutturazione di un casale, comprendente progettazione e direzione lavori. Non c’è contratto scritto né preventivo dettagliato, solo qualche scambio a voce. Caio elabora il progetto e ottiene il permesso di costruire. Prima di iniziare i lavori, Tizio rinuncia alla ristrutturazione per motivi economici. Caio emette una fattura di € 15.000 indicando genericamente “Compenso professionale per progettazione e oneri vari”. Tizio è sorpreso dall’importo elevato (immaginava qualcosa intorno a € 8-10.000) e non paga. Caio dopo 4 mesi ottiene decreto ingiuntivo allegando parcella vistata dall’Ordine (che calcola € 15.000 come congrui per progettazione di quell’importo lavori, includendo anche una parte per direzione lavori non realizzata).
Difesa di Tizio: propone opposizione al d.i. entro 40 giorni. Nel suo atto di citazione in opposizione, Tizio:
– Contesta di non aver mai concordato il compenso con Caio (nessun preventivo scritto, nessuna cifra discussa), rilevando la violazione dell’obbligo di preventivo e chiedendo la determinazione giudiziale ex art. 2233 c.c.
– Sottolinea che l’architetto non ha svolto la direzione lavori, dunque eventuali compensi per quella fase non sono dovuti. Eccepisce l’inesecuzione parziale dell’opera (mancata direzione).
– Analizzando la parcella di Caio (che era tutt’altro che chiara), Tizio la definisce generica: non distingue quanto per il progetto e quanto eventualmente per altre voci. Pertanto eccepisce che l’importo è esorbitante e non giustificato, ponendo Caio all’onere di provare il dettaglio.
– Fa presente che la parcella sembrerebbe aver incluso un 25% a titolo di prestazione non eseguita (direzione lavori) e sostiene che tale aggiunta non sia dovuta perché: (a) non c’era accordo su compensi totali da integrare con 25% – e comunque l’art. 2237 c.c. limita il compenso all’opera svolta; (b) in ogni caso Tizio non ha colpa per aver sospeso i lavori (motivi economici indipendenti dalla volontà, quindi factum principis simile al caso della sentenza n. 451/2020).
In via gradata, chiede eventualmente CTU per quantificare correttamente il compenso dovuto per la sola progettazione secondo parametri. Tizio allega un calcolo preliminare dal quale risulterebbe che, per la progettazione eseguita, un compenso congruo sarebbe € 9.000.
– (Nel caso specifico sono passati solo 4 mesi, quindi la prescrizione presuntiva non si applica e infatti non viene eccepita.)

Esito probabile: Nel giudizio, Caio dovrà provare di aver concordato almeno a grandi linee l’incarico (cosa facile: Tizio non nega di aver incaricato, anzi ammette il progetto). Più difficile per Caio sarà difendere il quantum di € 15.000. Il giudice, viste le contestazioni, quasi certamente disporrà una CTU per determinare il compenso dovuto per le prestazioni svolte (progettazione) escludendo quelle non svolte (direzione lavori). Il CTU applicherà i parametri del D.M. 2016 su importo lavori ipotizzato e concluderà, poniamo, per € 10.000 dovuti. A quel punto, il giudice potrebbe accordare all’architetto circa € 10.000 oltre spese vive, rigettando la richiesta oltre tale importo. Il decreto ingiuntivo verrà revocato e sostituito dalla condanna di Tizio a pagare € 10.000. Inoltre, vista la mancata pattuizione preventiva, è plausibile che le spese legali vengano compensate o addirittura poste in parte a carico dell’architetto, riconoscendo che la controversia si è originata per sua carenza informativa. (Se invece Caio non riesce a provare di aver diritto a nulla – ipotesi remota dato che il progetto l’ha fatto – il decreto sarebbe revocato totalmente. Ma qui Tizio stesso riconosce che qualcosa è dovuto, solo non € 15.000). Dunque Tizio ottiene un risparmio di € 5.000 rispetto alla pretesa iniziale, grazie alle eccezioni sollevate e alla mancanza di accordo scritto.

Caso 2: Parcella con contratto scritto, ma contestazione di inadempimento
Scenario: La società Alfa affida all’architetto Beta, con regolare contratto scritto, la progettazione esecutiva e direzione lavori di un capannone industriale per un compenso forfettario di € 50.000 + IVA. Il contratto prevede pagamenti a stati di avanzamento: 20% alla consegna del progetto, 30% a inizio lavori, 30% a metà lavori, 20% a collaudo finale. Beta consegna il progetto, ricevendo 20% (€ 10.000). Inizia il cantiere ma emergono gravi problemi: l’architetto Beta ha commesso errori strutturali nel progetto, i lavori vengono sospesi e la società Alfa è costretta a incaricare un ingegnere per rifare i calcoli e correggere il progetto, ritardando di mesi. Alfa ritiene Beta responsabile e lo solleva dall’incarico prima della ripresa dei lavori (di fatto Beta non completa la direzione lavori). L’architetto però invia fattura chiedendo altri € 15.000, sostenendo di aver comunque seguito l’avvio del cantiere e che, essendo stato ingiustamente revocato, gli spetta anche l’indennità del 25% sulle prestazioni non completate. Alfa rifiuta di pagare. Beta agisce giudizialmente.
Difesa di Alfa: Pur esistendo un contratto scritto, Alfa oppone:
Risoluzione per inadempimento di Beta: indica che l’architetto ha violato i suoi doveri professionali redigendo un progetto esecutivo viziato (errori strutturali gravi), che hanno causato danni (costi per ingegnere esterno e ritardi). Pertanto Alfa ha legittimamente risolto il contratto e Beta non ha diritto ad ulteriori compensi, anzi è Beta che dovrebbe risarcire Alfa per negligenza.
– In subordine, eccepisce che comunque Beta non ha eseguito l’intera prestazione (direzione lavori interrotta all’inizio), quindi non maturano le restanti rate. Il contratto pattuito va ridotto pro quota: al massimo Beta potrebbe avere diritto alla fase di avvio cantiere (30% = € 15.000), ma nemmeno quella è dovuta integralmente perché il suo progetto difettoso ha bloccato i lavori.
– Nega categoricamente che Beta possa ottenere il 25% extra sulle parti non svolte: richiamando l’art. 2237 c.c. e la giurisprudenza, sottolinea che quando c’è un compenso pattuito globale (€ 50.000) e il cliente recede, l’unica conseguenza è la riduzione proporzionale di tale compenso; la clausola del 25% ex tariffa 1949 non si applica in presenza di accordo pattuito. In ogni caso il recesso di Alfa era per giusta causa (errori di Beta), quindi Beta non può pretendere indennizzi.
– Alfa quindi chiede in giudizio non solo di rigettare la domanda di Beta, ma in riconvenzionale chiede € 10.000 di danni (costo ingegnere esterno e penali contrattuali per il ritardo nella costruzione).

Esito probabile: Il contratto scritto certamente vincola sull’importo (50k totali). Ma se Alfa prova bene l’inadempimento di Beta (ad es. perizia che evidenzia errori progettuali), il giudice potrà dichiarare risolto il contratto per colpa di Beta, negando all’architetto ogni ulteriore compenso oltre i € 10.000 già pagati come acconto progetto. Anzi, Beta rischia di dover restituire parte di quei € 10.000 se il progetto esecutivo era inutilizzabile, o comunque di dover risarcire Alfa. In definitiva Beta perderebbe la causa: il suo inadempimento grave lo priva del diritto al compenso residuo. Questo caso mostra che anche con accordi scritti chiari, il committente ha l’arma dell’eccezione di inadempimento per non pagare prestazioni difettose.

Caso 3: Parcella con attività extra contestata
Scenario: La sig.ra Rosa incarica l’architetto Gamma di progettare la ristrutturazione del suo appartamento e curare le pratiche comunali. Compenso concordato a ore (€ 50/ora, stima ~100 ore). Non c’è un forfait, si paga a consuntivo ore lavorate. A fine lavoro, Gamma presenta un dettagliato timesheet con 150 ore, di cui 30 ore relative a “consulenza arredamento d’interni e scelta finiture” e 20 ore per “aggiornamento dati catastali”. Rosa rimane sorpresa perché non intendeva pagare l’architetto per accompagnarla nei negozi di arredamento o per la pratica catastale (pensava la facesse l’impresa). Gamma sostiene che faceva parte dell’assistenza globale. Importo totale richiesto: € 7.500 (150h). Rosa ne paga solo € 5.000, che secondo i suoi calcoli coprono le 100 ore di progetto/lavori pattuite. Gamma minaccia azione legale per i restanti € 2.500.
Difesa di Rosa: Se Gamma procede, Rosa può:
– Evidenziare che l’incarico originario non includeva espressamente interior design né il disbrigo pratiche catastali post-lavori. Mancando specifica richiesta, queste 50 ore aggiuntive non erano autorizzate.
– A supporto, Rosa potrebbe chiamare l’impresa edile a confermare che la pratica catastale l’avrebbe curata un geometra dell’impresa, ma Gamma l’ha fatta di sua iniziativa duplicando l’onere.
– Per le ore di consulenza arredi, Rosa sottolinea che era attività collaterale e mai concordata come voce a parte; anzi, eventuali consigli su finiture li riteneva coperti nel normale progetto.
– Dunque Rosa sostiene che le ore contestate non sono dovute. Avendo peraltro già pagato 100 ore, afferma di aver corrisposto tutto quanto pattuito (anzi, generosamente ha pagato anche alcune ore extra magari).
– In subordine, Rosa potrebbe invocare il principio di buona fede: se anche quelle attività extra fossero state utili, Gamma avrebbe dovuto avvertire che si trattava di prestazioni ulteriori a pagamento; non avendolo fatto, non può pretenderne ora il compenso.

Esito probabile: Trattandosi di un accordo a tempo, Gamma può esigere il pagamento di tutte le ore effettivamente impiegate solo se rientravano nell’incarico. Se Rosa dimostra (anche con testimonianze) che l’arredamento fu un “di più” offerto quasi amichevolmente e che il catasto non era a carico suo, il giudice può disconoscere quelle voci. Magari riconoscerà a Gamma solo parte di esse (es: 10 ore di catasto perché comunque ha reso un servizio utile a Rosa evitando di cercare un geometra). Oppure nulla, se sposa integralmente la tesi di Rosa. In ogni caso, grazie alla contestazione delle voci extra, Rosa verosimilmente non dovrà l’intero € 2.500 residuo, ma una cifra minore o zero, a seconda delle prove. Questo esempio sottolinea l’importanza di delimitare l’incarico: per ogni attività non chiaramente inclusa, il cliente può negare il pagamento.

Domande frequenti (FAQ) e risposte

D: Ho incaricato un architetto senza firmare nulla e ora mi chiede una parcella altissima. Devo pagarla per forza?
R: No, non “per forza”. In assenza di accordo scritto sul compenso, l’architetto non può imporre unilateralmente la cifra da pagare. Se ritieni la parcella eccessiva, puoi contestarla. La legge prevede che, mancando patto, il compenso dev’essere “adeguato” e, in caso di lite, lo determina il giudice. Puoi chiedere al professionista di ridurre l’importo o di giustificarlo dettagliatamente. Se lui insiste e agisce in giudizio, potrai far valere l’assenza di un accordo vincolante e chiedere al giudice di quantificare il giusto compenso (spesso tramite CTU). È fondamentale anche verificare cosa ha effettivamente fatto l’architetto: paga solo per le attività reali e utili. Le sentenze confermano che la parcella da sola non prova il diritto a quella somma. Quindi hai margine per trattare al ribasso o difenderti in tribunale se necessario.

D: L’architetto non mi ha fatto firmare un preventivo come richiesto dalla legge. Posso non pagarlo per questo motivo?
R: La mancata presentazione del preventivo scritto (obbligatorio per legge dal 2017) non ti esonera automaticamente dal pagare il professionista per il lavoro svolto. Non è prevista alcuna nullità o sanzione civile diretta. Tuttavia, questa mancanza gioca a tuo favore: in caso di controversia, l’assenza di un documento di preventivo crea incertezza sul compenso e induce il giudice a valutare il dovuto in via equitativa. Inoltre, potrai far pesare che il professionista ha violato i suoi obblighi informativi e deontologici, mettendoti di fronte a costi inaspettati. Ciò potrà incidere ad esempio sulla condanna alle spese legali (magari il giudice le addebiterà all’architetto se il preventivo doveva esserci e non c’è stato). In definitiva, devi pagare ciò che risulta congruo per il lavoro fatto, ma la mancanza di preventivo ti aiuta a non pagare importi esagerati non concordati.

D: Un architetto mi ha fatto un progetto che però il Comune ha bocciato o è risultato inutilizzabile. Devo pagare lo stesso la sua parcella?
R: No, se il progetto è stato inutilizzabile per colpa dell’architetto (errori, non conformità urbanistiche evitabili, mancato raggiungimento dell’obiettivo per negligenza), puoi assolutamente contestare la parcella per inesatto adempimento. Il principio generale è che il compenso è dovuto solo per un’opera utile e conforme a quanto richiesto. Se il progetto è stato rigettato dal Comune per cause non imputabili al professionista (es. una norma cambiata all’ultimo, factum principis), allora l’architetto ha comunque diritto a essere pagato per il lavoro svolto, anche se l’esito non c’è stato. Ma se il rigetto è dipeso da errori progettuali o imperizia, puoi rifiutare il pagamento e semmai chiedere i danni. Dovrai probabilmente dimostrare la colpa professionale (magari con una perizia di parte o altre evidenze). In alcuni casi, se la colpa non è netta, potrebbe spettare all’architetto un compenso ridotto (ad esempio perché parte del lavoro era comunque riutilizzabile). Ma certamente non dovrai pagare l’intera parcella “a vuoto”. Cassazione e tribunali riconoscono che il cliente può legittimamente recedere e non pagare per la parte di opera non riuscita o non eseguita correttamente.

D: L’architetto ha fatto solo metà del lavoro perché ho sospeso il progetto. Può chiedermi anche l’altra metà?
R: In linea di massima, no. Se sei stato tu a sospendere/cancellare il progetto, l’architetto ha diritto al compenso solo per la parte di attività già svolta (più eventuali spese vive sostenute). Non può chiederti il pagamento di prestazioni future mai eseguite. Fa eccezione il caso in cui la sospensione non dipende dalla tua volontà (es. fattori esterni) oppure se il professionista non ha colpe: in certe circostanze la legge e la giurisprudenza riconoscono al professionista una sorta di indennizzo per il mancato completamento. In ambito privato era prevista la maggiorazione del 25% sulle prestazioni non eseguite, ma solo se il contratto non prevedeva già come gestire la cosa. Se non avevate un accordo forfettario complessivo, potrebbe teoricamente chiederti questo 25% di indennizzo. Esempio: progetto interrotto a metà, parcella per metà fatta + 25% sull’altra metà. Tuttavia, se la sospensione è dipesa da tua scelta legittima o da cause di forza maggiore, o se avevate un accordo globale, potrai opporre che nulla di più è dovuto oltre il lavoro svolto. In pratica, paghi il progetto fin dove è arrivato. Pagheresti l’intero più indennizzo solo se la sospensione fosse senza alcuna giustificazione e non avevate pattuito nulla: situazione non frequente e comunque discutibile in giudizio. Ricorda poi che se l’architetto avesse già ricevuto acconti superiori al lavoro svolto, dovresti semmai chiederne la restituzione.

D: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo dall’architetto: cosa devo fare e quali difese ho?
R: Se ti è arrivato un decreto ingiuntivo, significa che il professionista ha ottenuto dal giudice un ordine di pagamento, probabilmente presentando la parcella vistata dall’Ordine. Non ignorarlo! Hai 40 giorni dalla notifica per fare opposizione. Devi rivolgerti a un avvocato per predisporre un atto di citazione in opposizione, in cui farai valere tutte le tue ragioni (come quelle elencate in questa guida). Una volta presentata l’opposizione, il decreto non è più definitivo: si apre un processo in cui potrai usare le tue difese. Nel frattempo, puoi chiedere al giudice di sospendere la provvisoria esecutività del decreto se c’è il rischio che l’architetto agisca subito (ad esempio pignoramento); la sospensione viene data se mostri che hai serie ragioni di opposizione (inadempimenti gravi, importi manifestamente erronei, ecc.). In giudizio, le tue difese saranno quelle di merito: contestare prestazioni non fatte, importi non concordati, errori del professionista, ecc., come discusso sopra. Importante: nel decreto ingiuntivo l’architetto avrà probabilmente incluso interessi e spese legali. Se tu non fai opposizione, dovrai pagare anche quelli (oltre al capitale richiesto). Facendo opposizione e magari vincendo in parte la causa, potresti ridurre o annullare anche quegli accessori. Quindi, agisci entro 40 giorni con un’opposizione ben motivata. Le difese specifiche dipendono dal caso: se per esempio sai di non aver mai ricevuto un preventivo o che la parcella include cose mai fatte, scriverai ciò nell’atto. Sappi anche che, opposto il decreto, sarà l’architetto a dover provare il suo credito in tribunale. Il decreto ingiuntivo non è una condanna irreversibile: è come un’accusa iniziale, a cui tu puoi rispondere punto per punto. In sintesi: fa’ opposizione tempestiva e prepara, con il tuo legale, tutte le eccezioni e prove a tuo favore.

D: Quali prove dovrei raccogliere per difendermi efficacemente contro la parcella dell’architetto?
R: È utile raccogliere: (a) Documenti contrattuali: se c’è un contratto o anche solo email/messaggi in cui si parla di compensi o di confini dell’incarico. Questi delimitano ciò che è dovuto. (b) Cronologia della prestazione: ad esempio protocolli di consegna elaborati, date di presentazione di pratiche, stati di avanzamento lavori firmati, ecc., per dimostrare cosa è stato fatto e cosa no. (c) Ricevute di pagamento di eventuali acconti o fatture già pagate, per evitare richieste duplicate. (d) Corrispondenza: eventuali lettere o PEC in cui l’architetto sollecita pagamenti o tu contesti, utili soprattutto riguardo alla prescrizione (se non ti ha scritto per oltre 3 anni, enfatizza il silenzio; se ti ha scritto, quella è un’interruzione). (e) Testimoni: persone coinvolte (direttore dei lavori, impresa, altri tecnici) che possano confermare ad esempio che l’architetto non ha svolto un certo compito o che l’incarico non includeva qualcosa. (f) Pareri tecnici: se contesti la qualità dell’operato (errori progettuali, ritardi), una perizia di parte di un tecnico che evidenzi le mancanze può convincere il giudice. (g) Normativa e tariffe: predisponi stampe dei parametri ministeriali o tabelle dell’Ordine per far vedere quanto sarebbe normale chiedere, in confronto a quanto chiede l’architetto. In sintesi, più elementi oggettivi porti, meglio il giudice potrà valutare la congruità della parcella. Ricorda che, in base alla legge, la prova del lavoro fatto e del giusto compenso spetta al professionista, ma tu devi dare al giudice gli spunti per dubitare della pretesa e gli strumenti per quantificare correttamente. Quindi qualsiasi documento che dimostra “questo lavoro non è stato fatto” o “questa somma non era accordata” è utile. Anche il semplice confronto fra progetto consegnato e progetto completo pattuito (se incompleto) può servire. Fai un dossier cronologico con tutto ciò che è successo nel rapporto, per avere un quadro chiaro da presentare.

D: Quanto dura e quanto costa opporsi a una parcella/causa dell’architetto? Ne vale la pena?
R: La durata dipende dal carico del tribunale e dalla complessità: un’opposizione a decreto ingiuntivo può durare da pochi mesi (se si concilia o se le questioni sono semplici) a 1-2 anni o più, specie se viene disposta una CTU tecnica. I costi: dovrai pagare un avvocato (concorda subito un preventivo anche su quello!) e le spese di giustizia (contributo unificato, ecc., che variano in base al valore in causa). Se viene nominata una CTU, di solito le parti anticipano metà ciascuna delle spese di perizia. Alla fine, il giudice ripartisce i costi: se vinci del tutto, spesso condanna l’architetto a rifonderti le spese legali; se vinci parzialmente, può compensare le spese o dare una parte a carico tuo in proporzione. Vale la pena opporsi se la somma richiesta è significativa e se hai buone ragioni di contestazione. Ad esempio, se la parcella richiesta è di poche centinaia di euro, forse conviene cercare un accordo transattivo (anche perché i soli costi legali supererebbero la cifra). Ma se parliamo di migliaia o decine di migliaia di euro, allora opporsi ha certamente senso, a maggior ragione se sai di aver pagato il giusto o se l’architetto è in torto su qualche aspetto. Tieni conto che spesso la minaccia del giudizio spinge le parti a trattare: potresti, presentando l’opposizione ben argomentata, arrivare a un compromesso con l’architetto (es. pagare il 50% subito e chiudere la vicenda). La convenienza dunque va valutata in concreto, ma l’importante è non subire passivamente richieste ingiustificate. Il sistema giudiziario, nonostante i tempi, ti mette a disposizione vari strumenti per far valere le tue ragioni – come hai visto, la legge e le sentenze non danno sempre ragione al professionista, anzi tutelano il cliente da parcelle arbitrarie o da lavori mal eseguiti.

D: Se perdo l’opposizione (o non mi oppongo) cosa rischio?
R: Se non ti opponi entro 40 giorni, il decreto ingiuntivo diventa esecutivo in via definitiva: l’architetto potrà procedere con pignoramenti sui tuoi beni o conti per ottenere la somma, aumentata di interessi (dal giorno fissato nel decreto, di solito dalla domanda o dalla scadenza fattura) e spese legali liquidate. Non potrai più contestare nel merito il debito: è come una sentenza passata in giudicato. Quindi non opporsi è consigliabile solo se sei certo di non avere difese e preferisci magari chiedere una dilazione di pagamento al creditore. Se ti opponi ma poi perdi in giudizio (il giudice rigetta la tua opposizione confermando il decreto o comunque condannandoti a pagare), dovrai pagare la somma stabilita dal giudice. Essa potrebbe essere la stessa del decreto o una diversa (magari il giudice ti dà torto sul principio ma riduce un po’ l’importo). In più, probabilmente sarai condannato a pagare le spese di lite all’architetto (parcella del suo avvocato, costi di CTU se c’è stata), salvo rare ipotesi di compensazione. In pratica, perderesti ancora più soldi. Va detto però che l’opposizione non è “o tutto o niente”: potresti anche perdere in parte e vincere in parte (es. il giudice ti dà ragione su alcune contestazioni, quindi riduce la somma). In tal caso le spese potrebbero essere compensate o ciascuno paga le proprie. Quindi il rischio di una soccombenza totale va ponderato: se le tue difese erano pretestuose, sì, pagherai di più tra interessi e spese; ma se erano fondate in parte, difficilmente il giudice ti condannerà a più di quanto chiesto inizialmente. In ogni caso, perdere significa che entro pochi mesi dalla sentenza dovrai adempiere, se no partiranno procedure esecutive. Valuta con l’avvocato la solidità della tua posizione: se è debole, magari conviene cercare prima un accordo transattivo con uno sconto, anziché andare a sentenza.

D: L’architetto vuole farmi causa, ma sono già passati 4 anni da quando ha finito i lavori e non si è fatto vivo prima. Posso opporre la prescrizione?
R: Sì. Come spiegato, il credito dell’architetto si presume pagato dopo 3 anni. Se lui è rimasto in silenzio per 4 anni e poi spunta con una parcella, la prima cosa da fare è non ammettere di non aver pagato, e la seconda è eccepire formalmente la prescrizione presuntiva triennale (art. 2956 c.c.) appena ne hai l’occasione (idealmente nella risposta alla diffida o direttamente in causa). In giudizio, ciò può portare al rigetto della sua domanda senza nemmeno esaminare il merito, a patto che tu mantenga la linea che “dopo così tanto tempo il debito deve considerarsi estinto (presumibilmente pagato)”. Lui potrà contrastare l’eccezione solo mostrando di averti inviato un sollecito scritto entro i 3 anni (che interrompe la prescrizione) o farti confessare il mancato pagamento. Quindi sì, la prescrizione è un ottimo scudo nel tuo caso. Nota: se in questi 4 anni tu gli hai riconosciuto qualcosa (es. una mail “lo so che devo ancora pagarti ma…”) la prescrizione si interrompeva e non puoi più invocarla da quel momento. Ma se davvero non c’è stato alcun contatto di messa in mora, sei in una posizione favorevole. Un consiglio: lascia che sia il tuo legale a formalizzare l’eccezione; tu personalmente evita comunicazioni dove dichiari “non ti pago perché prescritto” (sarebbe contraddittorio). Limitati a far decorrere i termini e poi solleva la questione solo nell’ambito protetto della difesa legale.

D: L’architetto ha incluso l’IVA, il 4% CNPAIA, ecc., posso contestare queste cose?
R: L’IVA e il contributo previdenziale 4% (Inarcassa) sono per legge a carico del cliente, aggiuntivi sul compenso netto. Non sono facoltativi: se il professionista è iscritto a Inarcassa, deve applicare il 4% di rivalsa; e deve aggiungere l’IVA (22% allo stato attuale) salvo il caso di regime fiscale esente. Quindi non puoi contestare l’applicazione di IVA o 4% se dovuti: fanno parte del conto finale. Ciò che puoi controllare è: (a) che il netto a pagare sia stato calcolato giusto (spesso un errore di calcolo può gonfiare la cifra); (b) se l’architetto è in regime forfettario o simili, potrebbe non dover applicare IVA – ma in tal caso di norma lo avrebbe evidenziato. Altro onere a tuo carico per legge è la ritenuta d’acconto del 20% se sei un sostituto d’imposta (es. un’azienda che paga un professionista). I privati non agiscono come sostituti, quindi quell’obbligo non li riguarda (pagano il lordo e l’architetto versa le sue imposte). Se invece sei un’impresa o un professionista tu stesso, avresti dovuto trattenere la ritenuta sul pagamento. Questi sono aspetti fiscali: contestarli in sede civile non ti esime dal pagarli, al massimo si aggiusta il modo (ad es. il giudice indica l’importo al netto ritenuta se era il caso). In sintesi: non concentrarti su IVA e 4%, che sono dovuti per legge e non profitto dell’architetto, ma focalizzati sul compenso netto e sulle voci che lo compongono. Pagherai IVA e contributo su qualunque importo netto il giudice riterrà giusto.

D: L’architetto ha inserito nella parcella cose tipo “spese generali 15%”, “maggiorazione urgente 25%”, “diritti di archivio”… devo pagarle?
R: Molte di queste voci derivano dalle vecchie tariffe professionali o da prassi. Ad esempio, le “spese generali 15%” erano previste automaticamente dalla tariffa del 1949 (coprivano costi di studio, cancelleria, etc.), ma oggi non c’è più una tariffa vincolante. Alcuni Ordini suggeriscono ancora percentuali forfettarie, ma se non pattuite potresti contestarle. In giudizio spesso i CTU riconoscono comunque una percentuale forfettaria per spese generali (di solito 10-15%), ma dev’essere ragionevole. La “maggiorazione d’urgenza” del 25% era un’altra previsione tariffaria (per lavori svolti con particolare celerità su richiesta cliente). Se l’architetto la applica arbitrariamente senza che tu abbia richiesto urgenza, puoi rifiutarla. “Diritti di archivio”, “fotocopie”, “trasferte”: se non erano concordate analiticamente, valgono come spese vive che l’architetto deve provare di aver sostenuto (biglietti, fatture). Diverso se nel contratto o preventivo c’era scritto che sarebbero stati addebitati forfettariamente. Insomma, le voci aggiuntive tratte dal vecchio tariffario non sono dovute ex se. Molti giudici però le concedono come equo rimborso spese (es: 15% generali, 25% se dimostrata urgenza vera). Tu intanto contestale: “non erano pattuite spese generali forfettarie né urgenze”. Se poi in CTU risultasse che davvero hai preteso consegne impossibili costringendo il tecnico a straordinari, il giudice potrebbe riconoscergli qualcosa per urgenza. Ma deve essere motivato. Il principio chiave: nulla è dovuto che non sia pattuito o giustificato. Quindi sì, puoi legittimamente mettere in dubbio quelle voci. Magari offriti di pagare le spese vive effettivamente documentate (marche da bollo, visure catastali, ecc.), ma non percentuali automatiche. Questa posizione ti tutela da addebiti standard non contrattualizzati.

D: Posso rivolgermi all’Ordine degli Architetti per risolvere la disputa sulla parcella?
R: Sì, è una strada possibile soprattutto in fase pre-contenziosa. Gli Ordini professionali spesso hanno commissioni di conciliazione o pareri di congruità. Attenzione però: il parere di congruità l’architetto di solito lo chiede per sé, per avvalorare la parcella (ed è quello che poi usa per il decreto ingiuntivo). Invece, alcuni Ordini prevedono che, su richiesta del cliente, si tenti una conciliazione o comunque si ascoltino le ragioni di entrambi. Nulla vieta a te, committente, di scrivere all’Ordine provinciale competente rappresentando la controversia (in modo pacato e documentato) e chiedendo un intervento bonario. L’Ordine potrebbe convocarvi per trovare un accordo, oppure verificare se il comportamento del loro iscritto è corretto deontologicamente (ricorda: il mancato preventivo scritto è violazione deontologica). Questa pressione a volte aiuta a far ragionare il professionista. Tieni presente però che l’Ordine non è un organo giudiziario: il suo parere non è vincolante per te (né per lui, a meno che decida di attenersi). Serve più che altro come mediazione. In alternativa, potete rivolgervi ad organismi di mediazione civile per trovare un accordo evitando la causa. Se la somma in gioco non è enorme, spesso conviene accordarsi in mediazione con una cifra di compromesso, risparmiando tempo e denaro di tutti. L’Ordine in genere tende a tutelare il decoro professionale: se la tua posizione è ben fondata (ad es. parcella oggettivamente spropositata e lavori incompleti), anche all’Ordine faranno notare al collega che forse deve ridurre la pretesa. Dunque sì, puoi provare la via dell’Ordine come passo preliminare. Se non risolve, dovrai comunque far valere i tuoi diritti in tribunale.

D: In concreto, com’è strutturata un’opposizione a decreto ingiuntivo? Devo raccontare tutta la storia?
R: L’atto di opposizione è essenzialmente una citazione in cui tu (opponente) spieghi perché il decreto è ingiusto. Si compone di una parte narrativa (fatti) e della parte in diritto (motivi di opposizione). Devi esporre la vicenda: quando e perché hai incaricato l’architetto, cosa è successo, quali erano gli accordi (o la loro assenza), come si è giunti alla parcella e al decreto. Poi elenchi i motivi formali e sostanziali per cui il decreto va revocato: ad esempio, “1) Mancato adempimento delle obbligazioni da parte dell’architetto – eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.”, “2) Insussistenza di un accordo sul compenso – richiesta eccessiva da rideterminare ex art. 2233 c.c.”, “3) Prescrizione presuntiva del credito ex art. 2956 n.2 c.c.” (se del caso), ecc. Ogni motivo andrebbe argomentato richiamando i documenti che allegi (es. “vedasi lettera del … in cui l’arch. ammette che i lavori erano fermi”) e citando magari giurisprudenza rilevante (che l’avvocato può inserire, come quelle che abbiamo riportato). Infine chiudi con le conclusioni: tipicamente chiedi che il decreto ingiuntivo venga revocato e, in via riconvenzionale, magari chiedi rimborso di acconti indebitamente già incassati o danni se ne hai. In più chiedi le spese di giudizio a carico dell’opposto. Sì, devi raccontare la storia, ma in modo sintetico e focalizzato sui punti controversi. Non serve dilungarsi su dettagli inutili; meglio mettere quelli che supportano le eccezioni. Nel seguito di questa guida trovi anche un modello di atto di opposizione che può darti un’idea di struttura.

D: Se invece volessi scrivere una “memoria difensiva” prima che si arrivi al giudice, come dovrei impostarla?
R: Una memoria difensiva in fase stragiudiziale potrebbe essere una lettera (meglio tramite avvocato) indirizzata all’architetto, dove contesti formalmente la parcella e esponi i motivi. Non diversamente da quanto faresti in un’opposizione, ma in tono più colloquiale e di trattativa. Ad esempio: “Egregio Arch., in merito alla Sua parcella n… del…, Le rappresento quanto segue: – l’importo richiesto risulta non concordato e ben superiore ai parametri ordinari per le prestazioni svolte; – parte delle opere da Lei elencate (direzione lavori) non sono state da Lei effettivamente eseguite, come può evincersi dal verbale di sospensione lavori del…; – risulta altresì non dovuta la maggiorazione del 25% da Lei aggiunta, non ricorrendone i presupposti normativi. Pertanto ritengo non dovuto quanto da Lei preteso oltre a € X già corrisposti, e La invito a voler rivedere la Sua richiesta etc…”. Insomma, punti chiave chiari e fermi. Questa memoria ha lo scopo di far capire al professionista che sei informato dei tuoi diritti e pronto a dare battaglia. A volte basta a farlo desistere o a indurlo a trovare un compromesso. Se poi si arriva in giudizio, sarà l’atto formale di opposizione a sviluppare compiutamente la difesa, come detto prima.

Modelli di atti difensivi (esempi)

Di seguito forniamo due modelli esemplificativi di atti legali inerenti le contestazioni di parcelle architetto, utili come traccia. Si raccomanda di adattarli al caso concreto e di farsi assistere da un legale per la stesura definitiva, in quanto vanno rispettate le formalità di legge e inseriti i riferimenti specifici.

Esempio 1 – Atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo

(Da proporre dinanzi al Tribunale competente entro 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo. I dati in maiuscolo andranno compilati con le informazioni del caso.)

TRIBUNALE ORDINARIO DI [Città]
Atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo n. /_ RG

Promosso da: Sig. __ (C.F. __), residente in __, via __ n., elettivamente domiciliato in _ via n._, presso lo studio dell’Avv. __ (C.F. _, fax _, PEC __) che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce/ a margine del presente atto; – Opponente –

Contro: Arch. __ (C.F. __), con studio in __, via __ n., PEC __, rappresentato e difeso dall’Avv. ______ (oppure: – Opposto – se non ancora costituito);

Oggetto: Opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso Decreto Ingiuntivo n. /_ emesso dal Tribunale di __ in data /__/_, su ricorso dell’Arch. _____, per presunto credito professionale.

Fatti e svolgimento del rapporto:
– In data //_ l’opponente conferiva informalmente all’Arch. __ l’incarico professionale relativo a (descrizione: es. “progettazione ristrutturazione appartamento in …” oppure “direzione lavori e pratiche urbanistiche per …”), come da documentazione allegata (Doc. 1: mail del _//_). Non veniva stipulato alcun contratto scritto né concordato per iscritto un compenso predeterminato; l’architetto si limitava a prospettare verbalmente un range di costo indicativo di € _.
– L’Arch. __ svolgeva parzialmente la propria opera: in particolare, consegnava il progetto preliminare e definitivo in data //_ (Doc. 2) e otteneva il permesso comunale n. ___ (Doc. 3); non eseguiva invece la progettazione esecutiva né la direzione lavori, poiché i lavori non venivano mai avviati dal committente.
(Oppure, secondo i casi: “non completava la direzione lavori, interrompendo la prestazione al % per sopravvenuti contrasti / revoca dell’incarico in data _//_”; oppure: “svolgeva l’attività di progettazione ma tale progetto veniva respinto dal Comune con provvedimento del _//____ per vizi progettuali”; etc.)
– Senza mai fornire un preventivo scritto dettagliato né rendicontare le proprie prestazioni durante il rapporto, l’Arch. a distanza di (mesi/anni) dalla suddetta attività inviava al Sig. la parcella n. __ del _//_ (Doc. 4) dell’importo di € + IVA, indicante genericamente “compenso professionale per ”.
– L’opponente contestava tale richiesta ritenendola non conforme agli accordi e all’opera effettivamente svolta, e corrispondeva solo quanto reputato congruo: € , pagamento eseguito in data _//_ (Doc. 5, copia bonifico).
– L’Arch. , ritenendo ancora dovuto l’importo residuo di € , ricorreva a questo Tribunale per decreto ingiuntivo, ottenendo in data _//_ il D.I. n. /_, notificato in data _//_ (Doc. 6). In detto decreto si ingiunge al Sig. il pagamento di € , oltre interessi e spese legali liquidate in € .
– Avverso tale provvedimento il Sig. ___ è tempestivamente opponente, per i motivi di seguito illustrati.

Motivi di opposizione:

  1. Inesistenza di un accordo scritto sul compenso – Violazione obbligo di preventivo – Necessità di determinazione giudiziale ex art. 2233 c.c.:
    Non esiste tra le parti alcun contratto o scrittura attestante un importo pattuito per le prestazioni svolte dall’Arch. __. L’importo ingiunto deriva da una parcella unilateralmente predisposta dal professionista, priva di approvazione del committente. Già solo per questo, la pretesa non può ritenersi liquida ed esigibile nella misura pretesa. Si rammenta che l’architetto, in base all’art. 9, co. 3 D.L. 1/2012 conv. L. 27/2012 come modificato dalla L. 124/2017, avrebbe dovuto fornire un preventivo in forma scritta o digitale al momento dell’incarico, con indicazione del grado di complessità e di tutte le voci di costo. Ciò non è avvenuto. Tale omissione, sebbene non sanzionata con nullità, rileva ai fini civilistici perché grava il professionista dell’onere di provare la fondatezza e congruità del compenso richiesto. L’opponente contesta che l’importo di € ____ richiesto sia dovuto in mancanza di accordo, risultando esso del tutto sproporzionato rispetto all’opera svolta (come si argomenterà oltre). Pertanto, ai sensi dell’art. 2233 c.c., il compenso eventualmente spettante all’architetto dovrà essere determinato dal giudice, previo accertamento dell’opera espletata, facendo ricorso – in via subordinata e solo se necessario – ai criteri sussidiari (parametri professionali e valutazione equitativa). Si chiede sin d’ora, ove il Tribunale ritenesse non provata una convenzione specifica, di voler disporre consulenza tecnica d’ufficio per la quantificazione del compenso dovuto in base ai parametri ministeriali vigenti, tenuto conto di quanto pagato.
  2. Inadempimento parziale dell’architetto – Prestazioni non eseguite ma fatturate:
    L’opponente ha legittimamente sospeso i pagamenti in ragione del grave inadempimento dell’architetto ex art. 1460 c.c. Nella parcella, l’ingiungente include voci relative a prestazioni mai svolte. In particolare, risulta addebitato anche “__” (es.: direzione lavori €… oppure accatastamento €…), attività che l’Arch. __ non ha in concreto eseguito, poiché (descrivere circostanza: es. i lavori non sono mai iniziati oppure l’incarico gli è stato revocato per sue inadempienze prima di tali fasi). Secondo giurisprudenza costante, la parcella vistata dall’Ordine non fa prova dell’effettiva esecuzione delle prestazioni, e basta la contestazione del committente sulla loro esecuzione per far gravare sul professionista l’onere di provarle. L’opponente afferma che dette prestazioni non sono state rese, e ne offre prova: ad esempio, nessun verbale di inizio lavori è presente (Doc. 7), il che conferma l’assenza di direzione lavori; similmente, la visura catastale (Doc. 8) mostra che l’immobile risulta ancora non aggiornato, segno che nessuna pratica catastale è stata curata dall’architetto. Tale inadempimento contrattuale dell’ingiungente giustifica il rifiuto (o quantomeno la sospensione) del pagamento ex art. 1460 c.c., nonché l’assenza del diritto al compenso per le prestazioni non eseguite. Si chiede quindi che nulla venga riconosciuto per le voci corrispondenti a attività ineseguite, con conseguente riduzione/eliminazione dell’importo ingiunto. In via subordinata, ove il contratto fosse da intendersi comunque risolto anticipatamente, si evidenzia che nelle prestazioni d’opera intellettuale il compenso va parametrato all’opera svolta (art. 2237 c.c.), senza che l’architetto possa pretendere corrispettivi per la parte non realizzata, tanto meno indennizzi aggiuntivi essendo mancato un accordo sul punto. L’eventuale maggiorazione del 25% ex art. 10 L. 143/1949, di cui pare che l’ingiungente si sia avvalso nella parcella vistata, è istituto inapplicabile nel caso di specie: da un lato perché, essendovi stata un’intesa negoziale (quantomeno implicita) sull’intero incarico, quella norma non opera; dall’altro perché la sospensione dell’opera è dipesa da causa non imputabile al committente (nel caso di specie: ____, come da doc. __) e/o da inadempimento dello stesso architetto (errori progettuali). Dunque l’ingiungente non può invocare alcuna pretesa per prestazioni future non eseguite.
  3. Compenso richiesto incongruo e superiore ai parametri – Eccesso di parcella non dovuto:
    Anche a voler ritenere che l’Arch. __ abbia svolto correttamente parte dell’incarico (es. la progettazione preliminare/definitiva), l’importo preteso di € _ appare sproporzionato rispetto a tale opera. Si evidenzia che, sulla base dell’importo dei lavori (€ , come da computo metrico Doc. 9) e dei parametri ministeriali (D.M. 17/06/2016) per la sola fase progettuale, un compenso congruo sarebbe di circa € (si veda calcolo di parte, Doc. 10). L’ingiungente invece richiede oltre il doppio. Non avendo le parti convenuto un diverso criterio né essendo più obbligatorie le tariffe minime, qualunque pretesa oltre il compenso “equo” determinato per legge non è dovuta. Come affermato dalla Cassazione, il giudice deve escludere l’applicazione della tariffa professionale (e quindi di importi superiori) in presenza di fissazione convenzionale o, in mancanza, quando il professionista si sia dichiarato soddisfatto di una certa somma. Nel caso di specie, l’architetto per giunta inizialmente aveva fatto capire che il costo si sarebbe aggirato intorno a € (Doc. 11, testimonianza o email), e dunque la richiesta di € ___ è contraria alla buona fede e all’affidamento ingenerato. Si chiede pertanto al Tribunale, ove riconosca dovuto alcunché all’opposto, di contenerlo entro i limiti del compenso equo e parametrico, riducendo drasticamente la somma rispetto a quanto ingiunto. Ogni importo eccedente sarebbe un indebito arricchimento del professionista a spese del committente, in violazione dei criteri di cui all’art. 2233 c.c. e dei doveri deontologici.
  4. Prescrizione presuntiva del credito ex art. 2956 n. 2 c.c.:
    (Questo motivo va inserito solo se applicabile, ad es. se sono trascorsi oltre 3 anni dalla fine prestazione.) L’opponente eccepisce inoltre che il credito azionato dall’architetto era già estinto per prescrizione presuntiva triennale al momento della notifica del decreto ingiuntivo. Infatti, la prestazione professionale è terminata in data //_ (o ultimo contatto/pagamento il _//_), mentre l’ingiunzione è stata chiesta solo in ___ 20__. Pertanto sono decorsi abbondantemente più di 3 anni senza che il professionista abbia ottenuto né richiesto formalmente il pagamento. Ai sensi dell’art. 2956, n. 2 c.c., decorso tale termine si presume che il compenso sia stato pagato. Si tratta di presunzione iuris tantum che l’opponente intende far valere. Si osservi che alcun atto interruttivo risulta essere stato inviato dall’ingiungente in detto periodo (nessuna raccomandata o PEC di messa in mora, come confermato dall’assenza di produzioni di parte opposta in tal senso). Parimenti, l’opponente non ha mai riconosciuto il debito oltre tale termine. Ne consegue che, in applicazione della norma codicistica, il credito deve ritenersi estinto. L’opposto, ove volesse contestare tale eccezione, avrebbe dovuto fornire prova contraria, ad esempio producendo un’esplicita ammissione dell’opponente circa la mancata corresponsione entro il triennio. Prova che nel caso di specie difetta. Si chiede dunque dichiararsi non dovuto il compenso azionato anche per intervenuta prescrizione presuntiva.

(Eventualmente, aggiungere altri motivi di opposizione specifici per il caso, es. nullità della notifica del decreto, difetto di legittimazione, ecc.)

Tutto ciò considerato, l’opponente, come sopra rappresentato e difeso, conclude chiedendo che il Tribunale Ill.mo voglia:

  • In via principale: revocare il Decreto Ingiuntivo n./_ emesso il //_ dal Tribunale di e, per l’effetto, rigettare la domanda di pagamento proposta dall’Arch. __ nei confronti del Sig. __, dichiarando nulla o inesigibile la pretesa di € ___ azionata, per i motivi di cui sopra.
  • In via subordinata: accertare e dichiarare che nulla è dovuto dall’opponente all’opposto oltre quanto eventualmente già corrisposto, ovvero ridurre il credito vantato dall’opposto ad equa minor somma da determinarsi in giudizio (anche tramite CTU), comunque inferiore a quella ingiunta, stante la parziale inesecuzione dell’incarico e l’assenza di accordo sul compenso.
  • In via riconvenzionale (se del caso): condannare l’Arch. __ al risarcimento dei danni patiti dall’opponente per il suo inadempimento contrattuale, quantificati in € __ oppure da liquidarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c., oltre interessi e rivalutazione; nonché alla restituzione di € ____ percetti in eccedenza rispetto al dovuto.
  • Con vittoria di spese, competenze e onorari del presente giudizio di opposizione, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario.

Si offrono in comunicazione, ai sensi di legge, i seguenti documenti:
1) Doc. 1 – Copia email del //_ con cui si conferisce incarico (o altro documento iniziale);
2) Doc. 2 – Copia progetto consegnato dall’architetto (estratto);
3) Doc. 3 – Permesso di costruire n./_ del _//_;
4) Doc. 4 – Parcella/fattura Arch. __ n._ del //____;
5) Doc. 5 – Ricevuta bonifico € ____ del //____ versato dall’opponente;
6) Doc. 6 – Copia Decreto Ingiuntivo /_ Trib. ____ + relata notifica;
7) Doc. 7 – Verbale sospensione lavori del /__/____ (ad es.);
8) Doc. 8 – Visura catastale aggiornata al __ (a riprova mancanza accatastamento);
9) Doc. 9 – Computo metrico lavori (o altri doc. utili parametri);
10) Doc. 10 – Calcolo di parte compenso secondo parametri (se redatto);
11) Doc. 11 – (Eventuali ulteriori, es. corrispondenza, foto, perizie).

Si indica sin d’ora che l’opponente intende avvalersi delle seguenti prove orali: … (es. Tizio, Caio quali testimoni sui fatti X e Y). (omissis dettagli citazione testi).

Ai sensi del D.Lgs. 196/03 come novellato, si dichiara che i documenti allegati contengono dati personali trattati nei limiti del procedimento in corso.

Luogo, data
Avv. ____ (firma digitale/autografa)

(Segue procura alle liti se non già apposta separatamente.)

Esempio 2 – Stralcio di memoria difensiva (contestazione parcella in sede stragiudiziale)

(Supponiamo che il cliente voglia inviare una lettera formale di contestazioni prima del giudizio. Può essere inviata dal cliente stesso o preferibilmente dal suo legale, via PEC o raccomandata, all’architetto.)

Oggetto: Incarico professionale per _____ – Contestazione parcella e invito a riduzione.

Egregio Arch. __,
in riferimento alla Sua parcella n. __ del //_ di € da Ella richiesta per l’attività professionale svolta per mio conto riguardo ___ (oggetto incarico), con la presente intendo formalizzare la mia contestazione circa l’importo e le voci ivi contenute, per le ragioni di seguito esposte.

  1. Mancata definizione preventiva del compenso: Come Lei sa, non abbiamo mai sottoscritto un contratto né Lei mi ha fornito un preventivo dettagliato prima di eseguire l’incarico. Ciò mi ha impedito di conoscere ex ante l’ammontare delle Sue spettanze. Solo a posteriori, con la parcella in oggetto, ho appreso la Sua pretesa economica, che risulta a mio avviso non conforme a quanto verbalmente discusso (Lei mi aveva prospettato costi indicativi ben inferiori). Questa omissione contrasta con l’obbligo di preventivo scritto sancito dalla L. 124/2017 e mi pone in una situazione di sfavore che contesto sin d’ora.
  2. Prestazioni fatturate ma non eseguite/comprese nell’incarico: Nella parcella, Lei addebita anche le seguenti voci che non ritengo dovute in quanto non effettivamente svolte o non pattuite:
  3. _” per € ___: (es.) direzione lavori cantiere. Preciso che Lei non ha svolto alcuna direzione lavori, poiché i lavori edilizi non sono mai partiti (come da circostanza ben nota). Pertanto tale voce non può essermi addebitata.
  4. _” per € ___: (es.) pratica catastale fine lavori. L’incarico originario concordato non includeva l’aggiornamento catastale post-opere, tant’è che mi ero riservato di affidarlo ad un geometra. Lei vi ha provveduto autonomamente e senza mia richiesta esplicita: pur apprezzando l’iniziativa, non posso però accollarmi costi ulteriori non autorizzati preventivamente. Non vi è stato alcun accordo su tale prestazione extra.
  5. (Elencare analogamente altre voci contestate, es: consulenza arredo, rendering aggiuntivi, spese forfettarie, ecc.).

Pagherò ovviamente le prestazioni da Lei effettivamente svolte e richieste, ma non intendo corrispondere importi per attività non eseguite o non richieste.

  1. Compenso richiesto eccessivo: Anche al netto delle voci di cui sopra, l’importo complessivo appare sproporzionato. In base ai miei calcoli e a informazioni raccolte (anche considerando parametri professionali vigenti), per le prestazioni da Lei svolte un compenso equo sarebbe nell’ordine di € __ (al netto di IVA e CPA). Lei richiede oltre € ____, una somma che considero ingiustificata. Le chiedo di voler riesaminare la parcella alla luce di questi elementi e di ridurre volontariamente l’importo a una cifra congrua. In difetto, mi vedrò costretto a contestare la pretesa nelle sedi competenti, facendo valere ogni mio diritto (compreso l’eventuale eccepimento di prescrizione presuntiva, essendo trascorso molto tempo dall’ultima prestazione).

In conclusione, La invito a voler rettificare la parcella n.__ in oggetto, eliminando le voci non dovute e riducendo il totale ad un ammontare commisurato all’attività effettivamente resa. Resto disponibile a un confronto per definire bonariamente la questione, auspicando di evitare spiacevoli contenziosi.

La presente vale quale formale contestazione ex art. 1193 c.c. e seguenti, nonché messa in mora inversa ai sensi dell’art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento).

Distinti saluti,
Luogo, data …
Firma …

(Eventuali allegati: es. documenti che comprovano le affermazioni del cliente, per dare maggior peso alla lettera.)

Fonti: Le informazioni e i principi giuridici esposti in questa guida trovano riscontro nella normativa vigente (Codice Civile, D.L. 1/2012 conv. L.27/2012, L.124/2017) e nella più recente giurisprudenza italiana in materia. In particolare, si è fatto riferimento a pronunce di legittimità e di merito quali Cass. civ. Sez. II ord. 3377/2023, che ha ribadito l’onere probatorio a carico del professionista sulla prestazione e la non decisività della sola parcella vistata; Cass. civ. Sez. II ord. 37788/2021, sul regime delle contestazioni specifiche del debitore in rapporto al dettaglio della parcella; Cass. civ. 5612/2016, che conferma come il visto dell’Ordine non provi l’esecuzione dell’opera e basti la contestazione del cliente per far gravare sul professionista la prova del quantum. Inoltre si sono citati i principi affermati da Cass. civ. 23562/2019 sull’assenza di forma scritta e determinazione giudiziale del compenso, e da Cass. civ. 451/2020 riguardo al diritto del professionista alla maggiorazione del 25% in caso di prestazione parziale non per sua colpa, evidenziando per contro la limitazione di tale indennizzo in presenza di accordo pattizio sull’intero compenso (Cass. ord. 29745/2021). I riferimenti alla prescrizione presuntiva derivano dall’art. 2956 c.c. e dalla relativa dottrina, che ne sottolinea la natura e i rischi di implicita ammissione del debito oltre i 3 anni. Si è tenuto conto, infine, dell’obbligo del preventivo scritto sancito dalla L. 124/2017, ben sintetito da fonti tecniche del settore. Tutte le fonti citate confermano ed aggiornano lo stato del diritto al 2025**, offrendo un solido supporto alle strategie difensive delineate in questa guida.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate parcelle parzialmente fatturate come architetto? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate parcelle parzialmente fatturate come architetto?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Nel settore delle professioni tecniche, l’Agenzia delle Entrate effettua controlli incrociati tra contratti, permessi edilizi, fatture elettroniche, pagamenti tracciati e parcelle depositate agli ordini professionali. Se emergono compensi percepiti ma non integralmente fatturati, il Fisco presume evasione o sottofatturazione. Tuttavia, non sempre questa presunzione è fondata: bisogna distinguere tra acconti, saldi, spese anticipate e importi realmente dovuti.

👉 Prima regola: dimostra la corrispondenza tra i pagamenti ricevuti e le fatture emesse.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Differenze tra compensi dichiarati e importi effettivamente incassati;
  • Fatture emesse solo per acconti, senza saldo finale;
  • Pagamenti diretti da parte del cliente non documentati;
  • Incoerenze tra lavori svolti e parcelle registrate;
  • Segnalazioni da parte di enti locali o committenti pubblici.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero IRPEF, IVA e contributi previdenziali sui compensi non dichiarati;
  • Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte evase;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di contestazioni penali in caso di importi rilevanti e condotte fraudolente;
  • Possibili verifiche sugli anni precedenti.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Contratti professionali e lettere d’incarico: riportano importi e modalità di pagamento?
  • Ricevute e bonifici bancari: tutti i pagamenti sono tracciabili?
  • Spese anticipate per conto del cliente: sono state correttamente escluse dal reddito?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha individuato compensi certi o solo presunti?
  • Coerenza con la dichiarazione dei redditi e con i modelli ISA.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratti di incarico e preventivi firmati;
  • Fatture elettroniche emesse (acconti e saldi);
  • Estratti conto bancari e bonifici dei clienti;
  • Ricevute di spese anticipate per il cliente;
  • Comunicazioni PEC o email con i committenti.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la corretta fatturazione di acconti e saldi;
  • Contestare la presunzione di sottofatturazione se i compensi non erano ancora dovuti;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione carente, errori sui calcoli, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se i pagamenti erano già stati fatturati ma non rilevati dall’Agenzia;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare l’atto.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le parcelle contestate e la documentazione dei pagamenti;
📌 Verifica la legittimità della ricostruzione fiscale;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce procedure preventive per una gestione trasparente e sicura delle parcelle professionali.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali sui liberi professionisti;
✔️ Specializzato in difesa di architetti e professionisti tecnici contro contestazioni fiscali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle parcelle parzialmente fatturate degli architetti non sempre sono corrette: spesso derivano da errori di interpretazione o da controlli incrociati incompleti.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta emissione delle fatture, evitare la riqualificazione dei compensi e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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