Agenzia Delle Entrate Rileva Sublocazioni Abusive: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché sono state rilevate sublocazioni abusive di un immobile? In questi casi, l’Ufficio presume che i canoni percepiti dal sublocatore siano redditi non dichiarati e che il contratto di sublocazione sia stato stipulato in violazione delle norme fiscali e civilistiche. La conseguenza è il recupero delle imposte con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben strutturata è possibile ridurre o annullare la pretesa fiscale.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta le sublocazioni abusive
– Se il contratto di sublocazione non è stato registrato
– Se i redditi percepiti dal sublocatore non sono stati dichiarati
– Se il contratto principale vietava espressamente la sublocazione
– Se i canoni dichiarati risultano inferiori a quelli effettivamente percepiti
– Se vi sono incongruenze tra le dichiarazioni fiscali e i movimenti bancari

Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte sui redditi da locazione non dichiarati
– Applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile accertamento induttivo dei redditi percepiti
– Rischio di contenziosi civili con il locatore per violazione del contratto originario

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale entità dei canoni percepiti con ricevute, bonifici e tracciabilità dei pagamenti
– Regolarizzare tardivamente la registrazione del contratto se ancora possibile
– Contestare l’accertamento se basato su mere presunzioni e non su prove documentali
– Evidenziare errori di calcolo o difetti di motivazione nell’atto di accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione contrattuale e fiscale relativa alla locazione e sublocazione
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione dei redditi
– Redigere un ricorso fondato su vizi formali e sostanziali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro pretese fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio personale da azioni esecutive e da conseguenze sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della reale entità dei redditi percepiti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica. Se non si agisce tempestivamente, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e immobiliare – spiega come difendersi in caso di contestazioni su sublocazioni abusive e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato la lotta agli affitti “in nero” e alle sublocazioni abusive (subaffitti non dichiarati), sfruttando nuove tecnologie e incroci di banche dati. Proprietari e inquilini che sublocano immobili senza dichiarare i relativi canoni al Fisco rischiano oggi sanzioni pesanti e accertamenti di massa. Un caso emblematico è quello di Airbnb: dopo una lunga disputa legale (culminata nella sentenza Corte di Giustizia UE Airbnb Ireland, C‑83/21 del 22/12/2022), nel 2022 la piattaforma ha dovuto versare 576 milioni di euro al Fisco italiano per sanare il periodo 2017-2021 e dal 2024 si è impegnata a operare come sostituto d’imposta, trattenendo alla fonte la cedolare secca sugli affitti brevi. Questo accordo ha aperto la strada a controlli incrociati capillari sui redditi da locazione percepiti tramite portali online e non dichiarati.

In tale contesto di crescente controllo fiscale, è fondamentale che privati, imprenditori e professionisti conoscano la disciplina fiscale relativa ai subaffitti e gli strumenti di tutela a disposizione del contribuente (il debitore in senso lato) per difendersi da contestazioni dell’Agenzia delle Entrate. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – affronta in modo tecnico ma divulgativo tutti gli aspetti rilevanti: dalla normativa italiana vigente (comprese le ultime novità) alle strategie di difesa in sede amministrativa e giudiziale. Analizzeremo le tipiche violazioni fiscali nei subaffitti non dichiarati (omessa dichiarazione dei canoni, contratti non registrati, ecc.), le sanzioni amministrative e penali applicabili, nonché le più recenti sentenze e interpretazioni autorevoli sul tema. Troverete inoltre tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti e alcune simulazioni pratiche di casi reali, il tutto dal punto di vista del debitore-contribuente chiamato a rispondere di presunte imposte evase.

Nota bene: le informazioni fornite riguardano esclusivamente il diritto tributario italiano (violazioni a fini fiscali) e tengono conto delle norme aggiornate al 2025. Aspetti civilistici (come la validità del contratto di sublocazione non registrato o i rapporti tra locatore e conduttore) saranno citati solo per contestualizzare il fenomeno, ma il focus rimane sulle conseguenze fiscali e sui rimedi difensivi verso l’Amministrazione finanziaria.

Quadro normativo e obblighi fiscali in caso di subaffitto

Cos’è la sublocazione? – La sublocazione (detta anche subaffitto) avviene quando un inquilino (conduttore principale), già titolare di un contratto di locazione con il proprietario, concede in locazione a sua volta l’immobile – o una parte di esso – a un altro soggetto (subconduttore) percependo un canone. In pratica, il conduttore “subaffitta” l’immobile (ad esempio l’intero appartamento o una stanza) a terzi. La sublocazione può essere totale (l’inquilino riaffitta l’intero immobile) o parziale (affitta solo una parte, ad es. una stanza, continuando ad abitare nel resto).

Dal punto di vista del diritto civile, la sublocazione è lecita solo se non è espressamente vietata dal contratto principale o dalla legge. In particolare, per le locazioni ad uso abitativo la legge equo canone (L. 392/1978) stabilisce che il conduttore non può subaffittare totalmente l’immobile né cedere il contratto senza il consenso del locatore, mentre salvo patto contrario ha facoltà di sublocare parzialmente l’immobile, previa comunicazione al proprietario (mediante raccomandata con indicazione del subconduttore, durata e vani subaffittati). Dunque per gli affitti di abitazioni: la sublocazione totale richiede sempre il consenso del proprietario, mentre quella parziale è ammessa di default a meno che il contratto non la vieti espressamente.

Per le locazioni commerciali (immobili ad uso diverso dall’abitativo) la disciplina è in parte diversa. La legge autorizza espressamente il subaffitto (o la cessione del contratto) di un immobile commerciale anche senza il consenso del locatore, purché contestualmente venga ceduta o locata l’azienda esercitata in quei locali; il conduttore deve darne comunicazione al locatore via raccomandata, e il locatore può opporsi solo per gravi motivi entro 30 giorni. In altre parole, un inquilino può sublocare un locale commerciale insieme all’azienda (attività) in esso svolta, e un eventuale patto contrattuale che vieti la sublocazione è nullo in tale ipotesi (Cass. 1966/2000). Attenzione: indipendentemente dalla validità civile dell’accordo di subaffitto (lecito o illecito che sia rispetto al contratto col proprietario), qualsiasi importo percepito dall’inquilino sublocatore costituisce comunque un reddito imponibile ai fini fiscali, che va dichiarato. In altre parole, anche un subaffitto non autorizzato (abusivo) dal punto di vista contrattuale genera reddito tassabile dal punto di vista tributario, e il Fisco pretende le relative imposte.

Obbligo di registrazione – Se il contratto di sublocazione ha durata superiore a 30 giorni complessivi annui, scatta l’obbligo di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, analogo a quello previsto per i contratti di locazione ordinari. La registrazione va effettuata entro 30 giorni dalla stipula, versando l’imposta di registro (normalmente pari al 2% del canone annuo, con minimo €67). Per i contratti di subaffitto la prassi è dividere l’imposta di registro al 50% tra sublocatore e subconduttore (in genere ciascuno paga l’1% del canone annuo). La mancata registrazione nei termini comporta la nullità civilistica del contratto (ex art. 1, comma 346, L. 311/2004, come interpretato dalla Corte Costituzionale) e specifiche sanzioni fiscali a carico sia del locatore sia del conduttore, di cui diremo più avanti. Nota: per i subaffitti “brevi” di durata fino a 30 giorni complessivi nell’anno non vi è obbligo di registrazione, ma i relativi redditi vanno comunque dichiarati.

Redditi da subaffitto: qualificazione fiscale – La qualifica fiscale del reddito derivante da sublocazione differisce da quella dei canoni di locazione percepiti dal proprietario. In base all’art. 26 del TUIR (DPR 917/1986), i canoni di locazione sono considerati redditi fondiari solo se percepiti da chi possiede un diritto reale sull’immobile (proprietario, usufruttuario ecc.). Il sublocatore invece non è proprietario né titolare di diritto reale: di conseguenza, i canoni di subaffitto non rientrano né tra i redditi fondiari del proprietario né tra quelli fondiari del sublocatore, bensì costituiscono redditi diversi per il sublocatore. Lo conferma anche l’Agenzia delle Entrate: “gli incassi da sublocazione rientrano nella categoria dei redditi diversi (art. 67, comma 1, lett. h del TUIR) e non tra i redditi di natura fondiaria”. Pertanto, se Tizio prende in affitto un appartamento da Caio e lo subaffitta a Sempronio, il canone che Tizio paga a Caio genera un reddito fondiario per Caio (proprietario), mentre il canone che Tizio incassa da Sempronio costituisce per Tizio un reddito diverso (da dichiarare separatamente). In sostanza, l’immobile può produrre due redditi imponibili distinti: uno fondiario in capo al proprietario e uno diverso in capo all’inquilino subaffittante. Il reddito da sublocazione non si “trasferisce” mai al proprietario ma rimane sempre imputato al sublocatore.

Di seguito una tabella riepilogativa del regime fiscale per il proprietario e per il sublocatore in diversi casi:

ScenarioReddito da dichiarareRegime fiscale e aliquote
Locatore proprietario (affitto ordinario)Reddito fondiario (95% del canone annuo)IRPEF progressiva (aliquote 23%–43% + addizionali) oppure Cedolare secca 21% (26% dal 2024 oltre il primo immobile) se esercitata.
Sublocatore – contratto > 30 ggReddito diverso (utile = incassi – costi)IRPEF progressiva sulle aliquote ordinarie, applicata sull’utile integrale (100% del margine, nessuna deduzione forfettaria del 5%).
Sublocatore – locazione breve ≤ 30 ggReddito diverso (incassi – costi)Cedolare secca affitti brevi: imposta sostitutiva 21% (26% dal 2024 se il contribuente ha più di un’unità affittata breve) se optata in dichiarazione. In alternativa, IRPEF ordinaria sul 100% dell’utile se non si sceglie la cedolare.

Nota: il proprietario, se percepisce un canone dall’inquilino, deve dichiararlo come reddito fondiario anche se l’inquilino subaffitta a terzi (il reddito fondiario spetta comunque al titolare dell’immobile ex art. 26 TUIR). D’altra parte, il reddito da sublocazione non “passa” mai al proprietario: rimane in capo al sublocatore come reddito diverso. Ciò significa che un appartamento dato in locazione e poi subaffittato può originare due flussi di reddito tassabili separatamente – uno per il proprietario e uno per il subaffittante.

Obblighi dichiarativi e documentali – Chi percepisce redditi da subaffitto deve dichiararli nel quadro apposito della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di percezione (quadro RL o RT/RD per redditi diversi, a seconda del modello). È irrilevante che il contratto di sublocazione sia stato o meno registrato: anche un accordo verbale produce reddito tassabile se genera incassi. Occorre conservare tutta la documentazione utile a comprovare l’entità del reddito effettivo e la sua natura, in particolare: copia del contratto di locazione principale e dell’eventuale contratto di sublocazione, ricevute dei canoni pagati al proprietario e incassati dal subconduttore (es. bonifici, quietanze firmate), eventuali comunicazioni fatte al proprietario e al subconduttore, ecc.. Tali prove saranno preziose in caso di contestazione fiscale – come vedremo – sia per dimostrare l’ammontare reale dei canoni percepiti (ed evitare che il Fisco lo sovrastimi presuntivamente) sia per attestare i costi deducibili (cioè il canone pagato al proprietario, deducibile dal reddito da subaffitto). Se la sublocazione era del tutto gratuita (ad esempio un familiare convivente ospitato senza corrispettivo), sarà fondamentale poterlo dimostrare documentalmente, poiché in assenza di prova il Fisco potrebbe presumere l’esistenza di un affitto in nero.

Come l’Agenzia delle Entrate scopre i subaffitti “in nero”

Dichiarare i redditi da sublocazione è un obbligo spesso disatteso, facendo erroneamente affidamento sul fatto che, trattandosi di accordi privati o “in famiglia”, possano sfuggire al radar del Fisco. In realtà, l’Agenzia delle Entrate oggi dispone di sofisticati strumenti di controllo incrociato e di banche dati integrate, grazie ai quali riesce a individuare con sempre maggiore facilità gli affitti non dichiarati, inclusi quelli relativi a subaffitti. Vediamo le principali modalità con cui il Fisco può scoprire una sublocazione non dichiarata.

Incrocio di banche dati catastali, fiscali e anagrafiche

L’Amministrazione finanziaria incrocia costantemente i dati delle dichiarazioni fiscali con una pluralità di archivi pubblici e privati a sua disposizione. In materia di locazioni immobiliari, alcuni incroci tipici sono:

  • Database catastale vs. dichiarazioni dei redditi: l’Agenzia sa, tramite il Catasto e l’Anagrafe Immobiliare Integrata, quanti immobili possiede ogni contribuente e con quale destinazione (abitazione principale, seconda casa, ecc.). Incrociando tali informazioni con i redditi dichiarati, può emergere che un soggetto possiede (o detiene) immobili che non risultano né occupati da lui né concessi in locazione dichiarata. Ad esempio, se un contribuente possiede un appartamento in una città diversa da quella di residenza e non dichiara redditi da locazione, il Fisco potrebbe insospettirsi: quell’immobile è realmente inutilizzato? Oppure è affittato “in nero” a terzi? Analogamente, se un soggetto non proprietario risulta avere la residenza in un’abitazione (es. uno studente fuori sede) ma a catasto il proprietario non dichiara affitti, può trattarsi di un affitto in nero sublocato segnalabile.
  • Archivio dei contratti di locazione registrati: l’Agenzia dispone dell’elenco di tutti i contratti di locazione registrati (banca dati del Registro). Può verificare se per ogni contratto registrato il locatore ha dichiarato i relativi redditi. In caso di sublocazione, anche il contratto di subaffitto (se soggetto a obbligo di registrazione) figura in questo archivio: si controllerà quindi se il sublocatore ha dichiarato i redditi percepiti. Una tipica anomalia riscontrata è la seguente: Tizio registra un contratto di locazione a Caio, e Caio registra a sua volta un contratto di sublocazione a Sempronio; Tizio dichiara il reddito da locazione ma Caio non dichiara quello da sublocazione. Questo scostamento emerge dai dati incrociati e viene segnalato come reddito da fabbricati non dichiarato. Più in generale, l’Agenzia confronta i contratti registrati con quanto riportato nel quadro dei fabbricati (per i proprietari) e nel quadro dei redditi diversi (per i sublocatori o comodatari) delle dichiarazioni dei redditi.
  • Dati delle utenze e consumi anomali: un altro indicatore di affitto occulto è l’intestazione delle utenze domestiche (luce, acqua, gas) e il livello dei consumi. Se un immobile risulta ufficialmente non affittato ma registra consumi elevati (magari utenze intestate al proprietario stesso o a un terzo) ciò può suggerire la presenza di occupanti “in nero”. L’Agenzia e la Guardia di Finanza analizzano anche consumi energetici e idrici anomali in zone turistiche, come parte delle strategie di controllo. Ad esempio, un picco di consumi in un appartamento dichiarato sfitto può far scattare un’indagine per affitto in nero.
  • Anagrafe tributaria dei rapporti finanziari: tutti i movimenti bancari significativi confluiscono nell’archivio dei rapporti finanziari, potenzialmente a disposizione del Fisco. Un subaffitto pagato con bonifico o ripetuti versamenti di denaro sul conto del locatore senza giustificazione potrebbero emergere. L’Agenzia dispone di algoritmi (il cosiddetto evasometro) per individuare soggetti con flussi finanziari non coerenti con i redditi dichiarati. Ad esempio, se un contribuente con basso reddito ufficiale riceve mensilmente bonifici di importo costante (magari con causale “affitto” o senza causale ma di importo fisso), questi dati vengono incrociati e possono portare a controlli mirati.
  • Tracciati fiscali dei conduttori: anche dal lato di chi paga il canone possono emergere segnalazioni. Ad esempio, se un subconduttore tenta di detrarre dalle imposte un canone di affitto per l’abitazione principale (bonus affitto giovani, detrazione 19% per canoni di studenti universitari fuori sede, ecc.), quella informazione è comunicata all’Agenzia. Se però il relativo contratto non risulta registrato o il locatore non dichiara quel reddito, scatta l’anomalia.

Controlli sul territorio e segnalazioni esterne

Oltre agli incroci automatizzati, persistono le tradizionali ma efficaci tecniche di controllo sul campo. La Guardia di Finanza (GdF) e l’Agenzia delle Entrate possono effettuare accessi, ispezioni e verifiche mirate in determinati contesti, spesso sulla base di segnalazioni specifiche:

  • Reclami e denunce degli inquilini o dei vicini: non di rado, sono gli stessi subconduttori (o altri soggetti a conoscenza dei fatti, come vicini di casa) a denunciare situazioni di affitto in nero. Un inquilino scontento può segnalare al Fisco di aver pagato canoni non registrati. Questa denuncia, se dettagliata, costituisce un elemento probatorio importante: ad esempio, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha ritenuto che la denuncia presentata da un’inquilina – in quanto proveniente da una parte del rapporto contrattuale – faccia piena prova dell’esistenza di un contratto di locazione verbale non dichiarato, non essendo una mera dichiarazione di terzi. Nel caso esaminato (sent. CTP Milano n. 2718/2019), l’Agenzia notificò un avviso di accertamento IRPEF recuperando canoni 2013 non dichiarati sulla base della denuncia dell’inquilina; la Commissione confermò la legittimità dell’operato, sottolineando che lo status di parte contrattuale dell’inquilina le conferiva attendibilità, e che spettava al locatore/sublocatore fornire prova contraria – onere risultato praticamente impossibile in assenza di tracce documentali (pagamenti in contanti, nessuna ricevuta). Difendersi da questo tipo di prove è difficile: una volta che l’inquilino denuncia e fornisce riscontri (es. ricevute, conversazioni, ecc.), spetta al sublocatore “smontare” la denuncia, compito arduo se l’accordo era effettivamente in nero.
  • Sopralluoghi e blitz mirati della GdF: in località turistiche e in grandi città universitarie, la Guardia di Finanza svolge periodicamente operazioni anti-evasione sugli affitti. Possono avvenire controlli “porta a porta” in interi condomini o quartieri noti per affitti brevi, con identificazione degli occupanti. Se risulta che l’occupante di un immobile non coincide col proprietario e non esiste un contratto registrato, scatta un accertamento. Ci sono stati blitz in città d’arte e zone costiere dove decine di appartamenti affittati ai turisti senza contratto sono stati scoperti, grazie anche alla collaborazione dei Comuni (che incrociano i dati della tassa di soggiorno) e delle forze dell’ordine (Polizia Municipale, Uffici Anagrafe). Ad esempio, in alcune operazioni la GdF ha controllato gli annunci online di case vacanza, individuato gli indirizzi e poi verificato sul posto la presenza di ospiti e l’assenza di registrazione fiscale.
  • Segnalazioni dai Comuni e da Agenzia Entrate-Riscossione: i Comuni hanno interesse a far emergere gli affitti in nero perché sugli affitti regolari percepiscono l’IMU (dal proprietario) e la tassa di soggiorno (dal turista). Alcuni Comuni scambiano dati con l’Agenzia: ad esempio, possono segnalare immobili locati che non risultano dichiarati ai fini IMU, oppure comunicare gli esiti di accertamenti sulle finte residenze (immobili dove formalmente risultano residenti persone che in realtà pagano un canone). Anche l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), pignorando conti o svolgendo indagini patrimoniali per la riscossione coattiva, può imbattersi in entrate periodiche anomale riconducibili ad affitti e girare l’informazione all’area Accertamento.

Piattaforme online e controlli 4.0: il nuovo tracciato degli affitti brevi

L’esplosione di Airbnb, Booking e simili ha portato il legislatore a intervenire con regole specifiche per le locazioni brevi turistiche. Tali regole, pur riferite principalmente ai proprietari, coinvolgono anche i sublocatori che affittano a breve termine. Le novità principali riguardano la tracciabilità delle locazioni brevi e lo scambio di informazioni tra portali e Fisco:

  • Codice Identificativo Nazionale (CIN): a partire da settembre 2024 è stato introdotto il CIN per gli immobili destinati ad affitti brevi turistici. Si tratta di un codice univoco rilasciato tramite un portale del Ministero del Turismo, che identifica ogni alloggio messo in locazione breve. È obbligatorio indicare il CIN in ogni annuncio online; la mancata esposizione comporta una sanzione fino a €8.000. Questo strumento mira a fornire al Fisco (e ai Comuni) una mappatura chiara degli immobili affittati brevemente. Anche un inquilino sublocatore dovrà dotarsi di CIN se offre in affitto breve l’immobile detenuto a sua volta: il codice serve infatti per identificare l’alloggio a prescindere da chi lo affitta. L’introduzione del CIN permetterà controlli incrociati ancora più efficaci, perché ogni portale dovrà verificare che l’annuncio riporti un CIN valido e comunicare alle autorità le prenotazioni relative a quel codice.
  • Accordi con i portali e ritenuta alla fonte: la vicenda Airbnb citata in introduzione ha portato ad accordi operativi con l’Amministrazione: dal 2024 portali come Airbnb e Booking trattengono alla fonte il 21% (poi 26% per le unità ulteriori) sui pagamenti fatti agli host, fungendo da sostituti d’imposta. Inoltre, tali piattaforme si sono impegnate a fornire regolarmente al Fisco i dati sulle prenotazioni e sui pagamenti relativi a immobili italiani. Già dal 2017 la legge prevedeva l’obbligo per gli intermediari di trasmettere all’Agenzia una comunicazione annuale con i dati dei contratti conclusi tramite il loro servizio (importi, nominativi dei locatori, giorni di locazione, ecc.). Ora, con la ritenuta, il flusso informativo è ancora più immediato: se Tizio (proprietario o subaffittuario) nel 2025 incassa €5.000 tramite Airbnb, quest’ultima gli tratterrà €1.050 (il 21%, supponendo sia la sua prima unità) versandoli al Fisco, e comunicherà a sistema che Tizio ha percepito €5.000. L’Agenzia confronterà tali comunicazioni con la dichiarazione 2026 di Tizio: se non troverà traccia di quei €5.000 (né come reddito dichiarato né come imposta trattenuta a credito), partirà un accertamento automatico. È bene evidenziare che la ritenuta piatta del 21-26% non esaurisce gli obblighi: il contribuente deve comunque dichiarare il reddito, indicando l’imposta già trattenuta come credito. La mancata dichiarazione viene vista come “omissione” a tutti gli effetti, nonostante il pagamento alla fonte.
  • Monitoraggio degli annunci online: l’Agenzia e la Guardia di Finanza hanno affinato strumenti tecnologici per setacciare il web in cerca di affitti nascosti. Vengono utilizzati software di data mining che scandagliano siti di annunci immobiliari, social network, portali specializzati, alla ricerca di inserzioni di locazione non riconducibili a contratti registrati o redditi dichiarati. Questo “web scraping” fiscale consente di individuare anomalie (ad esempio annunci ripetuti di affitto di appartamenti da parte dello stesso utente non presente nelle banche dati fiscali come proprietario né come locatore dichiarato) e far scattare controlli approfonditi sul soggetto.
  • Lettere di compliance e alert preventivi: oggi gran parte delle anomalie fiscali vengono inizialmente gestite tramite comunicazioni bonarie di compliance, anziché con immediati avvisi di accertamento. In pratica, se dai controlli automatizzati risultano redditi da locazione apparentemente non dichiarati, l’Agenzia spesso avvisa prima il contribuente con una lettera o PEC, invitandolo a verificare e, se del caso, correggere spontaneamente la situazione (ad esempio presentando una dichiarazione integrativa con ravvedimento operoso). Nel 2023, ad esempio, sono partite oltre 3 milioni di lettere di compliance su redditi non dichiarati, molte riguardanti canoni di locazione. Se il contribuente riceve l’alert e si ravvede pagando il dovuto, evita l’accertamento. Se ignora l’avviso, invece, l’Ufficio procederà con l’atto formale (avviso di accertamento) aggravando la posizione. Questa strategia “soft” è volta a favorire la compliance volontaria, in linea con lo Statuto del Contribuente, e a concentrare gli accertamenti sulle posizioni meno collaborative.

Conseguenze fiscali del subaffitto non dichiarato: imposte, sanzioni e profili penali

Quali rischi corre, concretamente, chi subaffitta un immobile “in nero” senza dichiararne i canoni? In sintesi, i principali effetti fiscali sono: il recupero delle imposte evase, le sanzioni amministrative tributarie (spesso molto elevate in rapporto all’imposta) e, in casi limite, la denuncia per reati tributari. Inoltre, un affitto in nero può comportare conseguenze civilistiche (come la nullità del contratto) e l’avvio di procedure esecutive per il recupero coattivo delle somme dovute. Esaminiamo questi aspetti uno per uno.

Recupero delle imposte evase e interessi

In caso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate provvederà innanzitutto a recuperare l’IRPEF (o imposta sostitutiva) dovuta sui canoni di subaffitto non dichiarati, per ciascun anno d’imposta accertato. Verrà quindi ricalcolata la dichiarazione dei redditi aggiungendo i redditi da sublocazione non dichiarati e determinando la maggiore imposta dovuta. Se il contribuente aveva diritto al regime della cedolare secca ma non l’aveva applicato (perché non aveva dichiarato affatto il reddito), di norma l’Ufficio applicherà l’IRPEF ordinaria su quei redditi – a meno che il contribuente, in sede di difesa, riesca a far valere l’applicazione tardiva della cedolare (tema su cui torneremo). Oltre alle imposte dirette, sarà richiesto il versamento dell’eventuale imposta di registro evasa per il mancato registro del contratto (2% annuo del canone, in genere diviso tra le parti) e relative sanzioni.

Agli importi evasi si aggiungono gli interessi legali di mora. Gli interessi sono calcolati giorno per giorno dal momento in cui l’imposta avrebbe dovuto essere versata (tipicamente, dal 30 giugno dell’anno successivo per l’IRPEF) fino alla data di notifica dell’accertamento (o cartella). Il saggio di interesse legale in Italia varia di anno in anno: per dare un’idea, era dello 0,05% annuo nel 2020, salito all’1,25% nel 2022, poi al 5% nel 2023, ridotto al 2,5% nel 2024 e al 2% nel 2025. Gli interessi di mora sulle cartelle esattoriali possono differire di poco (determinati periodicamente da Agenzia Riscossione), ma parliamo comunque di pochi punti percentuali l’anno. Dunque, l’onere degli interessi – pur non trascurabile soprattutto se passano molti anni – è di gran lunga inferiore a quello delle sanzioni, che esaminiamo ora.

Sanzioni tributarie per omessa dichiarazione di subaffitti

Le sanzioni amministrative per violazioni fiscali in materia di redditi da locazione sono stabilite dal D.Lgs. 471/1997 (come riformato dal D.Lgs. 158/2015). Si distinguono due ipotesi principali: omessa dichiarazione e dichiarazione infedele. Inoltre, esistono sanzioni specifiche per l’omessa registrazione del contratto (imposta di registro evasa). Nel caso di subaffitti in nero, spesso ricorrono entrambe queste violazioni (contratto non registrato e reddito non dichiarato). Di seguito una tabella riassuntiva delle sanzioni edittali (base) previste, con le particolarità per immobili abitativi:

Violazione fiscaleSanzione amministrativa (edittale)Normativa di riferimento
Omessa indicazione del canone di locazione/sublocazione nella dichiarazione dei redditi (affitto in nero non dichiarato del tutto)Dal 60% al 120% dell’imposta evasa, minimo €200. Se trattasi di immobile ad uso abitativo, la sanzione è raddoppiata: quindi dal 120% al 240%.Art. 1, co.1-2 D.Lgs. 471/1997; raddoppio per immobili abitativi ex L. 311/2004 art. 1 co. 344.
Dichiarazione infedele: canone dichiarato in misura inferiore a quello effettivo percepito (es. contratto registrato a canone più basso + integrazione in nero)Dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (range ridotto a 90–120% per infrazioni lievi). Anche qui, se immobile abitativo, sanzione raddoppiata: 180% – 360% della differenza.Art. 1, co.2 D.Lgs. 471/1997; L. 311/2004 art. 1 co. 344.
Omessa registrazione di contratto di sublocazione (imposta di registro evasa)120% – 240% dell’imposta di registro dovuta, con minimo €200. Se il contratto è registrato con ritardo (ravvedimento), sanzione ridotta proporzionalmente al ritardo (es. 15% se entro 90 gg). Proprietario e inquilino sublocatore responsabili in solido per questa sanzione.Art. 69 DPR 131/1986 (Testo Unico Registro); Circolare AdE 26/E/2011 (sul vincolo di solidarietà del conduttore).

Come si nota, le sanzioni “piene” sono draconiane: omettere di dichiarare un affitto può comportare, per legge, una multa pari a oltre due volte l’imposta evasa (240%). Ad esempio, se Caio non dichiara €5.000 di reddito da subaffitto (che avrebbero comportato poniamo €1.150 di IRPEF), la sanzione edittale può arrivare a €2.760 (240% di 1.150). In pratica però, queste sanzioni possono essere attenuate sfruttando gli strumenti deflattivi (ravvedimento, adesione, mediazione) o facendo valere eventuali esimenti. Vediamo i punti chiave in merito:

  • Cumulo e riduzioni: se un contribuente incorre contemporaneamente in più violazioni (es. omessa dichiarazione + omessa registrazione), le sanzioni si sommano. Tuttavia, l’ordinamento prevede la possibilità di definire in modo agevolato le sanzioni tramite ravvedimento operoso (con riduzioni dal 1/10 al 1/6 del minimo, a seconda del tempo trascorso) di cui diremo in seguito. Inoltre, in sede di adesione o di conciliazione giudiziale, le sanzioni vengono ulteriormente ridotte, rispettivamente a 1/3 e 1/2 di quelle minime.
  • Solidarietà del conduttore: come indicato in tabella, per la mancata registrazione sia il locatore (proprietario) sia il conduttore (sublocatore) sono considerati responsabili in solido del pagamento dell’imposta di registro evasa e relative sanzioni. Ciò significa che se Tizio (proprietario) e Caio (inquilino) concordano un affitto in nero, entrambe le parti possono essere sanzionate dall’Ufficio per l’imposta di registro non pagata. Questa previsione mira a incentivare l’inquilino a pretendere la registrazione; nella pratica, comunque, l’Agenzia tende a perseguire principalmente il locatore, essendo colui che detiene il bene. Resta il fatto che anche il sublocatore può legalmente essere colpito dalla sanzione per il 2% di registro, sebbene spesso – una volta emerso l’affitto in nero – l’attenzione del Fisco si concentri sulla tassazione del reddito evaso e il proprietario.
  • Sanzioni accessorie: in ambito tributario possono scattare anche sanzioni accessorie, come la pubblicazione del provvedimento o l’interdizione da benefici fiscali. Tali misure si applicano però solo in casi di violazioni gravi e reiterate (ad esempio, recidiva pluriennale). Per un singolo subaffitto in nero, di solito non entrano in gioco.
  • Nullità del contratto e conseguenze civilistiche: anche se esula dal campo fiscale, va ricordato che un contratto di locazione non registrato è considerato nullo dalla legge (L. 311/2004). Ciò comporta che il locatore non può avvalersi della procedura di sfratto in caso di morosità dell’inquilino, né ottenere un decreto ingiuntivo per canoni non pagati. Inoltre, se la mancata registrazione è dipesa dal solo locatore, l’inquilino può addirittura chiedere la restituzione di tutti i canoni versati (principio affermato in passato dalla Cassazione prima di modifiche normative). Insomma, l’affitto in nero è un boomerang: il proprietario/sublocatore rischia di perdere legalmente tutti i diritti sul contratto. E, paradossalmente, pur perdendo tali diritti civilistici, deve comunque pagare le tasse sui canoni eventualmente percepiti, essendo irrilevante ai fini IRPEF la nullità civile del contratto (conta il fatto di aver conseguito un reddito). La Cassazione ha più volte ribadito che “la tassazione del reddito locativo è collegata alla mera maturazione del diritto di percezione di un reddito”, anche se poi civilmente quel diritto non fosse azionabile. Dunque, chi affitta in nero paga il fio due volte: al Fisco e, potenzialmente, anche all’inquilino.

Profili penali: quando il subaffitto in nero diventa reato

L’evasione fiscale sui redditi da locazione può assumere rilevanza penale ai sensi del D.Lgs. 74/2000, qualora superi determinate soglie quantitative. Non esiste uno specifico “reato di affitto in nero”, ma se l’ammontare delle imposte evase eccede i limiti di punibilità fissati dalla legge, possono configurarsi i reati di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) o di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000). In particolare:

  • Dichiarazione infedele: si configura se l’imposta evasa supera €100.000 (e al contempo l’attivo sottratto a tassazione supera il 10% del reddito dichiarato, o comunque €2 milioni) . La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Nel caso dei subaffitti in nero, è piuttosto improbabile raggiungere tali cifre, a meno di situazioni di sublocazioni estese o pluriennali. Ad esempio, chi affittasse in nero 10 appartamenti incassando €150.000 annui e occultando imposte per €30-40 mila l’anno per più anni, potrebbe superare le soglie di punibilità .
  • Omessa dichiarazione: scatta se non si presenta proprio la dichiarazione dei redditi e l’imposta evasa supera €50.000 . La pena va da 2 a 5 anni di reclusione. Nel contesto subaffitti, questo reato potrebbe ricorrere se il contribuente, ad esempio, non presenta il Modello Redditi e omette di dichiarare più canoni significativi. Di norma, un singolo subaffitto di modesta entità non fa superare €50k di IRPEF evasa (bisognerebbe occultare oltre €120-130k di reddito imponibile) .

Va detto che, nella maggior parte dei casi, l’affitto in nero resta un illecito amministrativo tributario (sanzioni pecuniarie) e non sfocia nel penale, perché le somme evase sono ben al di sotto delle soglie di punibilità. Inoltre i reati tributari richiedono il dolo specifico di evadere: se ad esempio un contribuente dichiara regolarmente tutto tranne una stanza subaffittata per disattenzione, difficilmente verrà perseguito penalmente. Diverso è il caso di chi scientemente occulta sistematicamente redditi rilevanti. In situazioni estreme, per colpire affitti in nero reiterati sotto soglia, talvolta le Procure hanno cercato di contestare reati diversi (es. illecito profitto ai danni dello Stato, oppure violazioni urbanistiche se l’immobile è usato a fini turistici senza autorizzazioni), ma sono ipotesi marginali. Per il singolo contribuente medio, l’affitto in nero resta un illecito amministrativo, con conseguenze economiche serie ma non la galera.

Termini di accertamento e decorrenze

Un aspetto di primaria importanza è capire fino a quanti anni indietro il Fisco può contestare i redditi da subaffitto non dichiarati. I termini di accertamento sono stati modificati dalla Legge di Stabilità 2016 e, da ultimo, dal D.Lgs. 128/2021 (riforma della giustizia tributaria). In generale, oggi abbiamo:

  • Se il contribuente ha presentato la dichiarazione (anche se infedele): l’accertamento va notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione. Esempio: redditi 2020 dichiarati (parzialmente) nel 2021 ⇒ termine accertamento 31/12/2026.
  • Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione per quell’anno (dichiarazione omessa): il termine si estende al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Esempio: reddito 2020 non dichiarato e nessun Modello Redditi 2021 presentato ⇒ termine accertamento 31/12/2028.
  • Raddoppio dei termini per reato: attenzione, se dalla violazione emerge un obbligo di denuncia penale (cioè se si superano le soglie di reato di cui sopra), i termini di accertamento raddoppiano (diventano 10 anni in caso di dichiarazione infedele e 8 anni per omessa dichiarazione). Nel caso dei subaffitti, come visto, il penale è raro; ma qualora scattasse, l’orizzonte temporale di azione del Fisco si allunga di molto.

Queste tempistiche valgono per le imposte sui redditi (IRPEF). Per l’imposta di registro evasa, il termine è diverso: normalmente 5 anni dall’anno in cui andava richiesta la registrazione (raddoppiati a 10 anni in caso di omessa registrazione, in base a una norma introdotta nel 2011). Dato che l’imposta di registro su locazioni e sublocazioni è un tributo autoliquidato dalle parti (non c’è una dichiarazione annuale su cui basarsi), i termini di accertamento decorrono dalla violazione stessa. Esempio: un contratto di subaffitto non registrato stipulato nel 2020 può essere contestato fino al 31/12/2025 per la sola imposta di registro (o fino al 31/12/2030 se si applica il raddoppio). Di solito però, nei controlli sugli affitti in nero l’Agenzia notifica un unico atto che cumula sia il maggior IRPEF (con relative sanzioni) sia la sanzione per l’imposta di registro, e lo fa rispettando il termine più lungo disponibile (spesso quello IRPEF, cioè 5 o 7 anni).

Riassumendo: il Fisco può accertare subaffitti non dichiarati per diversi anni addietro, in genere fino a 5 anni (dichiarazione infedele) o 7 anni (dichiarazione omessa). Chi ha affittato in nero un immobile nel 2018 e non l’ha mai dichiarato potrebbe ancora ricevere un avviso fino a fine 2025 (se si considera dichiarazione infedele, 5 anni dal 2020) o fine 2026 (omessa dichiarazione, 7 anni). Conviene dunque, se si è in difetto, non confidare troppo nel tempo trascorso, ma piuttosto valutare di sanare con ravvedimento prima che arrivi un controllo.

Strategie di difesa del contribuente: come reagire e tutelarsi

Passiamo ora al punto cruciale: cosa può fare concretamente chi si trova oggetto di un accertamento per subaffitti non dichiarati (o ha comunque ricevuto una contestazione dal Fisco) per difendersi e tutelare i propri diritti. La difesa può articolarsi in diverse fasi e strumenti, a seconda dello stadio del procedimento e della fondatezza (o meno) della pretesa fiscale. In questa sezione esamineremo:

  • I rimedi preventivi e deflattivi (prima e subito dopo l’eventuale avviso di accertamento): ravvedimento operoso, procedura di autotutela, accertamento con adesione, mediazione, ecc., che possono evitare o ridurre il contenzioso.
  • La difesa nel merito: come contestare un accertamento infondato o eccessivo, quali argomentazioni utilizzare e quali prove produrre a proprio favore.
  • Gli strumenti del contenzioso tributario: il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (CGT, ex Commissioni Tributarie) e le fasi successive (appello, Cassazione), con focus sulle peculiarità dei casi di affitti non dichiarati.
  • Alcuni schemi esemplificativi: modelli di istanza di autotutela, di memorie difensive e di ricorso, utili come traccia operativa.

Prima di addentrarci, un principio generale: non esiste una difesa valida in assoluto per tutti i casi. Bisogna valutare caso per caso la strategia migliore, magari con l’ausilio di un professionista. A volte conviene riconoscere l’errore e transigere, altre volte è opportuno fare opposizione ferma su questioni di diritto. Vediamo dunque le opzioni in ordine logico.

Ravvedimento operoso: regolarizzare spontaneamente conviene

Il ravvedimento operoso è lo strumento che consente al contribuente di sanare spontaneamente una violazione fiscale commessa, beneficiando di sanzioni ridotte (art. 13 D.Lgs. 472/1997). È in sostanza un “pentimento attivo” con cui il contribuente si fa avanti volontariamente per regolarizzare la propria posizione pagando il dovuto prima di essere colto in fallo. Il ravvedimento è applicabile anche dopo aver ricevuto una lettera di compliance (finché non viene formalizzato un atto impositivo) e, in certi limiti, perfino dopo un avviso di accertamento (ravvedimento parziale sulle parti non contestate, se l’avviso riguarda altro). Nel contesto dei subaffitti non dichiarati, il ravvedimento è particolarmente vantaggioso se si riesce ad attuarlo prima che l’Agenzia contesti ufficialmente la violazione (ossia prima della notifica di un avviso di accertamento).

Le riduzioni di sanzione dipendono dal tempo trascorso dalla violazione. In estrema sintesi, possiamo distinguere due scenari tipici:

  • Ravvedimento entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva (violazione “fresca” nell’anno seguente): ad esempio, se nel 2024 ci si accorge di non aver dichiarato un affitto percepito nel 2023, si può presentare una dichiarazione integrativa per il 2023 e pagare imposta + interessi + sanzione infedele ridotta a 1/8. Per l’infedele (sanzione base 90%) ciò equivale a circa 11% dell’imposta evasa. In caso di omessa dichiarazione (se ad esempio l’anno precedente non si era proprio presentata la dichiarazione), la sanzione base è più alta (120%) ma applicando la riduzione 1/8 si resta su un 15% dell’imposta.
  • Ravvedimento oltre l’anno ma prima di accertamento: se sono passati più di 90 giorni dalla violazione (dunque la dichiarazione omessa o infedele è ormai oltre i termini ordinari) si applicano riduzioni meno generose, ma comunque considerevoli. In genere, entro 2 anni la riduzione è a 1/8 del minimo (come sopra, ~11-15% a seconda dei casi); dopo 2 anni si sale a 1/6 del minimo (es. circa 15% dell’imposta evasa per infedele, e 20% per omessa). Ad esempio, se Tizio nel 2025 si ravvede per un affitto in nero percepito nel 2020 (dichiarazione 2021 omessa), pagherà imposta + interessi + sanzione al 1/6 del 120%, ossia il 20% dell’imposta evasa, invece del 240% edittale.

In ogni caso, il risparmio di sanzioni col ravvedimento è enorme. Per fare un numero concreto: reddito in nero €10.000, IRPEF dovuta ipotizziamo €2.500. Sanzione minima edittale (omessa dichiarazione su immobile abitativo) 120% raddoppiata = 240% = €6.000. Col ravvedimento tardivo ad esempio a 1/6, la sanzione dovuta sarebbe di circa €500 (cioè il 20% di €2.500). È evidente il risparmio. Pertanto, se effettivamente avete subaffittato senza dichiarare e non avete motivi validi per contestare la pretesa, ravvedersi subito è la strategia migliore. Pagando spontaneamente il dovuto con sanzione ridotta, eviterete l’accertamento con sanzioni piene e ulteriori interessi.

Per effettuare il ravvedimento occorre: presentare una dichiarazione integrativa per gli anni d’imposta interessati, indicando i redditi da sublocazione precedentemente omessi, e versare tramite mod. F24 le somme dovute (imposta, interessi e sanzione ridotta). Nel modello F24 vanno indicati gli appositi codici tributo del ravvedimento (es: codice tributo imposta IRPEF “4001” per anno X; codice interessi “1989”; codice sanzione “8901”). È consigliabile farsi assistere da un commercialista per il calcolo esatto e la compilazione degli F24. Dopo aver pagato, occorre conservare con cura tutta la documentazione (nuove dichiarazioni inviate, ricevute F24), poiché l’Agenzia potrebbe chiedere prova dell’avvenuta regolarizzazione. In genere, se il ravvedimento avviene prima di qualunque atto formale del Fisco, la vicenda si chiude lì. Se invece arriva un avviso di accertamento per annualità diverse o per importi ulteriori non ravveduti, si potrà far presente i ravvedimenti già fatti a discarico delle sanzioni.

Contestare l’accertamento: chiarimenti informali e istanza di autotutela

Poniamo ora il caso in cui il contribuente non sia d’accordo con la contestazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate. Ad esempio, si riceve una lettera in cui il Fisco presume redditi da affitto non dichiarati, ma il contribuente ritiene che la pretesa sia infondata (magari perché quei redditi non erano imponibili, o c’è un errore di persona, o perché è già tutto dichiarato correttamente). In tali situazioni, il primo passo è spesso fornire chiarimenti all’Ufficio ed eventualmente presentare una istanza di autotutela.

Autotutela – L’autotutela è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o annullare i propri atti quando risultino palesemente illegittimi o errati. Nel contesto fiscale, si concretizza in una richiesta scritta (istanza) che il contribuente rivolge all’ufficio che ha emesso (o sta per emettere) l’atto, esponendo i motivi per cui l’atto sarebbe sbagliato e chiedendone l’annullamento totale o parziale. Attenzione: l’autotutela non è un ricorso giurisdizionale, bensì un procedimento amministrativo, facoltativo e discrezionale dell’Agenzia. Ciò significa che presentare un’istanza non sospende né proroga i termini per l’eventuale ricorso in Commissione Tributaria, e l’Ufficio non è obbligato ad accogliere la richiesta (può anche non rispondere). Tuttavia, in molti casi l’autotutela risolve problemi evidenti senza dover andare in giudizio.

Quando usarla: l’istanza di autotutela è indicata soprattutto se l’atto fiscale contiene errori manifesti o facilmente documentabili. Esempi tipici: un avviso di accertamento per subaffitti riferito alla persona sbagliata (scambio di persona o omonimia); oppure un conteggio manifestamente errato (come nel caso CTP Milano 2019 citato prima, in cui l’Ufficio aveva sbagliato il calcolo del reddito imponibile e lo ha poi riconosciuto); oppure ancora se avete elementi incontrovertibili che l’Agenzia non ha considerato (es. la sublocazione riguardava un familiare convivente e quindi non c’era un vero corrispettivo: a volte coabitazioni tra parenti sono scambiate per affitti). Anche situazioni borderline – come canoni non riscossi – possono essere chiarite: va ricordato che per i proprietari esiste una norma che esenta da IRPEF i canoni non percepiti a seguito di sfratto per morosità; per i sublocatori, invece, il reddito va per cassa (tassazione solo se incassato) e dunque se il subconduttore non ha pagato, quel reddito in teoria non andava dichiarato. Ma bisogna provarlo (ad esempio con decreti ingiuntivi per morosità, ecc.). Un’istanza di autotutela ben motivata, con documenti allegati (es: copia di un contratto di comodato gratuito registrato per dimostrare che non c’era affitto, oppure dichiarazioni del proprietario che confermano l’uso gratuito a parenti, copia di ingiunzioni per mancato pagamento canoni, ecc.), può convincere l’Ufficio a fare marcia indietro o almeno a sgravare in parte l’atto.

Come strutturarla: l’istanza va indirizzata all’ufficio locale dell’Agenzia che ha emesso l’atto (o inviato la lettera). Deve indicare i riferimenti dell’atto (numero di protocollo, data) e il contribuente interessato, quindi elencare in modo chiaro i motivi dell’errore. È utile citare norme o circolari a sostegno della propria tesi (es: “il reddito X non andava tassato perché esente ai sensi di…, come da documentazione allegata”). Occorre allegare copia dei documenti rilevanti. L’istanza va firmata e presentata preferibilmente via PEC (alla Direzione Provinciale di riferimento) oppure tramite protocollo all’Ufficio. Non c’è un termine per presentarla, ma se siamo in pendenza del termine di ricorso (60 giorni dall’avviso) è bene inviarla entro quel termine e, se l’Agenzia non annulla tutto in autotutela, fare comunque ricorso per sicurezza.

Fac-simile di istanza di autotutela: nell’Appendice in fondo troverete uno schema esemplificativo di istanza di autotutela (da adattare al caso concreto) da utilizzare come traccia. Vi si evidenziano le sezioni chiave: intestazione all’ufficio competente, estremi dell’accertamento impugnato, sintetica descrizione dei motivi di errore (es: “l’avviso contesta redditi da sublocazione ma l’immobile era in comodato gratuito a mio fratello, come da contratto registrato in allegato, quindi non vi era reddito”), ed esplicita richiesta finale di annullamento/riforma dell’atto in autotutela. Questo schema va personalizzato e inviato all’Ufficio, ricordando che l’autotutela non sospende i termini di ricorso.

Spesso, l’istanza di autotutela viene valutata durante l’eventuale successiva fase di adesione/mediazione: può capitare che in sede di contraddittorio l’Ufficio riconosca alcuni errori segnalati e li rettifichi (di fatto accogliendo parzialmente l’autotutela). Se invece l’Ufficio non risponde entro un tempo ragionevole, o rigetta l’istanza, l’unica via per evitare che l’atto diventi definitivo è procedere col ricorso tributario nei termini (60 giorni dalla notifica dell’avviso).

Fase pre-contenziosa: accertamento con adesione e mediazione

Se l’avviso di accertamento è fondato (in tutto o in parte) e non si è riusciti a farlo annullare in autotutela, il contribuente ha ancora strumenti per evitare il giudizio trovando un accordo con l’Amministrazione. I principali sono:

  • Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è una procedura che consente al contribuente di negoziare con l’ufficio il contenuto dell’accertamento, arrivando eventualmente a un accordo conciliativo. Si avvia su iniziativa del contribuente, presentando una istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (termine di ricorso). La presentazione dell’istanza blocca la decorrenza del termine di impugnazione per 90 giorni. Segue un invito al contraddittorio: si tiene un incontro (anche telematico) in cui si discutono i punti contestati e si può proporre un compromesso. Se si trova l’accordo, viene formalizzato con atto di adesione: il contribuente rinuncia al ricorso e paga quanto concordato, con sanzioni ridotte a 1/3 di quelle minime previste. Ad esempio, se l’ufficio concorda su un’imposta evasa di €1.000, la sanzione minima per omessa dichiarazione sarebbe 120% = €1.200, ma in adesione è ridotta a 1/3 = €400 (più interessi). L’adesione conviene se si riconosce la sostanza della pretesa ma si vuole ottenere uno sconto sulle sanzioni e magari limare un po’ l’imponibile. Nel caso di affitti in nero, spesso l’adesione viene usata per rideterminare al ribasso il reddito presunto: ad esempio, il Fisco ipotizzava €10.000 non dichiarati basandosi su evidenze incerte, il contribuente mostra che realisticamente erano €7.000; ci si accorda magari a metà strada (€8.000), con sanzione ridotta. Oppure, se c’è di mezzo la cedolare non applicata, si può tentare di far accordare l’ufficio sull’applicazione della cedolare (21%) in luogo dell’IRPEF, in cambio magari di qualche concessione (rinuncia a deduzioni, pagamento immediato, ecc.). Ogni trattativa è a sé. Se non si raggiunge l’accordo, viene redatto un verbale di adesione negativo e i 60 giorni per ricorrere ripartono (dall’esito o dallo scadere dei 90 gg).
  • Reclamo-mediazione (D.Lgs. 546/1992, art. 17-bis): per gli atti di valore non superiore a €50.000, prima di andare in giudizio è obbligatoria una fase di mediazione. In sostanza, il contribuente predispone il ricorso tributario ma, anziché depositarlo subito in Commissione, lo notifica (invia) alla Direzione Provinciale competente, formulando una proposta di definizione in via amministrativa. Si parla di “reclamo” perché il ricorso contiene normalmente la richiesta di annullamento totale dell’atto, ma viene comunque trattato come istanza di mediazione. L’ufficio ha 90 giorni per rispondere. Se accoglie anche solo parzialmente, formalizza un accordo di mediazione con riduzione delle sanzioni del 35% rispetto al minimo (equivalente a pagare 2/3 delle sanzioni minime, diverso dall’adesione dove si paga 1/3). Spesso la mediazione si traduce in uno sconto sulle sanzioni o su parte della base imponibile, se l’ufficio riconosce qualche margine di incertezza. Se trascorrono 90 giorni senza accordo, il reclamo si considera respinto e il ricorso va perfezionato (depositato in Commissione) entro i successivi 30 giorni. Nei casi di subaffitti in nero, essendo importi spesso modesti, la gran parte dei ricorsi rientra in questa soglia ≤50k, quindi la mediazione è un passaggio obbligato e potenzialmente utile per tentare un accordo. Esempio: il contribuente riceve un avviso che richiede €10.000 di imposte e €15.000 di sanzioni. Presenta ricorso con mediazione: potrebbe offrire di pagare tutte le imposte ma chiedere la cancellazione totale delle sanzioni; l’ufficio difficilmente annullerà tutte le penalità, ma potrebbe ridurle magari alla metà del minimo (es. dal 240% al 120%).

Confronto adesione vs mediazione: l’adesione può essere attivata su qualsiasi importo e prima del ricorso; comporta sanzioni ridotte a 1/3 del minimo e coinvolge direttamente i verificatori (ufficio controlli). La mediazione è riservata a importi più piccoli, si attiva contestualmente al ricorso; comporta sanzioni ridotte a 2/3 del minimo (o riduzione del 35% rispetto al minimo); spesso la gestisce l’ufficio legale dell’Agenzia, diverso da chi ha emesso l’atto. Nulla vieta di tentare prima l’adesione e, se fallisce, procedere con il reclamo/mediazione in fase di ricorso. Anzi, in pratica per un subaffitto non dichiarato con avviso di €10.000 imposte + €15.000 sanzioni, conviene: presentare istanza di adesione (sospendendo i termini); se va male, entro 30 gg dal diniego notificare il ricorso con mediazione. Durante la mediazione, avendo già trattato in adesione, l’ufficio potrebbe essere più disposto a un compromesso.

Di seguito una tabella di sintesi degli strumenti deflattivi e delle loro caratteristiche principali:

StrumentoQuando usarloVantaggiSanzioniNote
Ravvedimento operosoPrima che parta l’accertamento (o dopo una semplice lettera di anomalia).Niente contenzioso: si paga spontaneamente il dovuto con sanzioni minimali.1/10 – 1/6 del minimo (circa 1% – 15% dell’imposta, a seconda del ritardo)Ammesso finché non c’è atto formale (avviso). Richiede liquidità immediata per pagare tutto.
Autotutela (istanza)Dopo lettera o avviso, se c’è errore evidente.Possibile annullamento totale/rapido dell’atto senza andare in causa.Non determinabile (si punta ad annullare l’atto)Non sospende i termini per ricorrere. Procedimento discrezionale: se i motivi non sono chiarissimi, l’Ufficio può ignorarla.
Accertamento con adesioneDopo avviso (entro 60 gg). Valido per ogni importo.Contraddittorio col Fisco, si può ridurre l’imponibile e ottenere sanzioni ridotte a 1/3. Evita costi del giudizio.1/3 del minimo (es. ~30% dell’imposta se infedele).Sospende termini ricorso per 90 gg. Se fallisce, si torna al percorso normale (ricorso entro 60 gg dal diniego).
Reclamo-mediazioneContestualmente al ricorso, se valore ≤ €50k.L’Ufficio (legale) può accogliere parzialmente ed evitare il giudizio; sanzioni ridotte (se accordo): riduzione 35% dal minimo (equivale a pagare ~2/3 del minimo).~2/3 del minimo (mediamente, in caso di esito favorevole).Obbligatoria sotto 50k. L’accordo in mediazione comporta sanzione 2/3, se invece si concilia dopo l’avvio del processo la sanzione è ridotta a 1/2.
Acquiescenza (pagamento con riduzione)Entro 60 gg dalla notifica dell’avviso.Riduzione del 1/3 sulle sanzioni irrogate pagando tutto e rinunciando al ricorso.Sanzioni ridotte a 2/3 di quelle irrogate.Utile se l’atto è corretto e sanzioni già basse o vicine al minimo. Attenzione: se le sanzioni erano già al minimo edittale, la riduzione 1/3 porta a pagare 2/3 del minimo.

In pratica, ravvedimento è l’opzione ideale se si è colpevoli e ancora in tempo; adesione/mediazione servono se c’è margine di trattativa e si vuole evitare il tribunale; acquiescenza (che non avevamo prima citato: consiste nel pagare subito l’accertamento con sanzioni ridotte a 2/3) conviene raramente, perché il ravvedimento di solito offre sconti maggiori, ma rimane una via d’uscita se ad esempio l’Ufficio ha già applicato sanzioni minime per riconosciute attenuanti e non si vuole litigare.

Difendersi in giudizio: il ricorso al giudice tributario

Se non si trova un accordo in via amministrativa, resta la strada del ricorso giurisdizionale davanti alle Corti di Giustizia Tributaria (CGT, nuova denominazione delle Commissioni Tributarie dal 2022). Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (o entro 30 giorni dalla conclusione del tentativo obbligatorio di mediazione, se previsto), secondo le formalità stabilite dal D.Lgs. 546/1992.

Poiché questa guida si rivolge anche a un pubblico di avvocati e professionisti, tratteremo i punti salienti del contenzioso in materia di affitti in nero:

  • Giurisdizione e competenza: le controversie su avvisi di accertamento IRPEF e su imposta di registro sono di competenza delle CGT di primo grado (provinciali) – sezione territorialmente competente in base al domicilio fiscale del contribuente. Dal 16/9/2022, i giudici tributari sono magistrati professionali (affiancati ancora da qualche giudice onorario); sono cambiati i nomi degli organi (CGT provinciali e regionali), ma le regole di procedura restano simili a prima.
  • Atto introduttivo (ricorso): il ricorso deve contenere i dati del ricorrente e dell’atto impugnato, i motivi per cui si chiede l’annullamento/riforma dell’atto, l’indicazione delle prove di cui si chiede l’ammissione e la formulazione di precise conclusioni (la “domanda” rivolta al giudice). Va indicato anche il valore della lite (di solito somma di imposte e sanzioni contestate) e allegata copia dell’atto impugnato. Il ricorso, sottoscritto dal contribuente e dal difensore abilitato (se necessario), va notificato all’Agenzia delle Entrate (preferibilmente via PEC, altrimenti tramite ufficiale giudiziario o raccomandata A/R) entro i 60 giorni. Entro 30 giorni dalla notifica va poi depositato (telematicamente tramite il portale SIAT della Giustizia Tributaria, o in via residuale cartacea) presso la segreteria della CGT competente, assieme alla ricevuta di avvenuta notifica e alla ricevuta di pagamento del contributo unificato.
  • Assistenza tecnica: è obbligatoria se il valore della lite supera €3.000 (somma di imposte + sanzioni). Tale soglia è facilmente superata in materia di affitti in nero (basti pensare a pochi mila euro di canoni non dichiarati con relative sanzioni). Possono assistere e rappresentare il contribuente non solo avvocati, ma anche dottori commercialisti, consulenti del lavoro e altre categorie abilitate (es. periti commerciali, funzionari CAF). Dato che nei subaffitti in nero spesso l’aspetto fiscale si intreccia con questioni civilistiche (validità dei contratti, rapporti tra proprietario e inquilino, ecc.), la figura dell’avvocato tributarista può essere l’ideale per gestire entrambi i profili. Se il valore è modesto (< €3k), il contribuente potrebbe stare in giudizio da sé (senza difensore), ma visti i tecnicismi è comunque consigliabile farsi assistere da un esperto.
  • Svolgimento del giudizio: una volta depositato il ricorso, l’Agenzia si costituisce in giudizio trasmettendo le proprie controdeduzioni (memoria difensiva dell’Ufficio) e il fascicolo con gli atti. Eventualmente, il contribuente può depositare memorie di replica e documenti aggiuntivi entro i termini di rito (rispettivamente 30 e 20 giorni prima dell’udienza). La causa viene decisa di norma in camera di consiglio (senza pubblica udienza) salvo che una delle parti richieda espressamente la trattazione in pubblica udienza. Nel caso di subaffitti, spesso le questioni da decidere riguardano sia fatti (esistenza o meno di un rapporto di locazione, entità dei canoni percepiti) sia diritto (qualificazione del reddito, applicabilità di cedolare secca, ecc.). Il giudice valuterà gli elementi probatori disponibili e applicherà la normativa di riferimento al caso concreto.
  • Prove ammissibili: nel processo tributario vige il principio di libertà dei mezzi di prova, con l’eccezione del giuramento e della testimonianza orale, che sono espressamente vietati (art. 7 D.Lgs. 546/92). Ciò significa che non è possibile portare testimoni a deporre sull’affitto in nero. Tuttavia è ammesso praticamente tutto il resto: documenti, perizie, presunzioni, dichiarazioni sostitutive di terzi, ecc. Ad esempio, si può produrre una dichiarazione scritta e firmata del subconduttore che affermi “pagavo X al mese a titolo di rimborso spese, non era affitto” (magari accompagnata da copia dei bonifici denominati “contributo utenze”) – questo documento non ha valore di piena prova, ma costituisce indizio che il giudice può valutare liberamente. Si possono anche chiedere CTU (consulenze tecniche d’ufficio) se servono per ricostruire calcoli complessi, anche se in casi del genere di rado sono disposte. In pratica, le prove chiave saranno quelle documentali: e-mail, contratti, ricevute, denunce presentate dall’inquilino, visure anagrafiche, fotografie, insomma qualsiasi cosa che attesti la situazione reale.
  • Linee difensive tipiche: a seconda delle circostanze, ci sono varie possibili argomentazioni difensive nel merito. Tra le principali:
  • Negare l’esistenza di un rapporto di sublocazione tassabile: ad es. sostenere che l’importo incassato non era un canone di affitto ma un contributo spese condivise, oppure che l’occupante era un ospite a titolo gratuito. Naturalmente serve coerenza con i fatti: se c’erano annunci online e pagamenti periodici, è difficile far passare il tutto come “ospitalità gratuita”. Ma se si trattava, poniamo, di un coinquilino convivente che divideva bollette e affitto con il conduttore senza un vero contratto di subaffitto, si può provare a inquadrare quei versamenti come rimborso spese non tassabile (spetterà poi al giudice valutare).
  • Contestare la quantificazione del reddito: spesso il Fisco ricostruisce i canoni non dichiarati in via presuntiva (sulla base di consumi, tariffe medie di mercato, dichiarazioni di terzi, ecc.). Il contribuente può portare evidenze contrarie: es. estratti conto che mostrano incassi inferiori, un calendario che dimostri che l’immobile era occupato dalla famiglia per metà anno e affittato solo per pochi mesi, ricevute che attestano importi minori, ecc.. Se l’Agenzia ha ipotizzato un affitto mensile continuativo, ma in realtà l’immobile era affittato solo 3 mesi estivi, bisognerà dimostrarlo con elementi oggettivi.
  • Rivendicare la deducibilità dei costi: se l’accertamento ha tassato l’intero importo percepito dal sublocatore senza considerare che questi pagava a sua volta un canone al proprietario, va eccepito che va tassato solo il netto (incassi meno canone pagato). Ci si può richiamare all’art. 71 del TUIR e ai documenti di prassi (la Guida AdE sulle locazioni brevi 2017) che confermano l’imponibilità del solo reddito netto in caso di sublocazione. Questo può ridurre sensibilmente la pretesa, specie se il subaffitto generava un margine esiguo.
  • Eccepire la decadenza dei termini: se l’accertamento è arrivato fuori tempo massimo (es. oltre il 5º anno in caso di dichiarazione infedele, senza raddoppio), è un motivo di annullamento totale. Bisogna però fare attenzione ad eventuali sospensioni dei termini (ad es. durante la pandemia Covid i termini 2020-21 sono slittati di alcuni mesi).
  • Vizi procedurali dell’atto: verificare se l’avviso è motivatamente carente (ad es. se non indica sufficientemente i presupposti, magari cita “dati Airbnb” senza allegarli: la Cassazione richiede che gli elementi essenziali su cui si fonda l’accertamento siano resi noti al contribuente). Oppure controllare se manca la firma del capo ufficio o se la delega di firma non è valida. Sono aspetti tecnici che il difensore scruta sempre e che, se presenti, possono portare all’annullamento per vizio proprio dell’atto.
  • Cedolare secca “postuma”: è un tema dibattuto. La cedolare secca va esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui si percepiscono i canoni. Se uno non ha presentato affatto la dichiarazione, formalmente non ha esercitato l’opzione, e l’Agenzia tende a negare l’aliquota piatta in sede di accertamento (applica l’IRPEF progressiva + addizionali). Tuttavia, la giurisprudenza recente ha aperto all’idea che se il contribuente possedeva i requisiti per la cedolare, possa chiederne l’applicazione in sede contenziosa per equità. Ad esempio ci sono state pronunce in cui, per un canone concordato non dichiarato con cedolare al 10%, il giudice tributario ha concesso comunque l’aliquota agevolata. Non è un risultato garantito, ma vale la pena tentare: nel caso di un sublocatore che affittava brevemente in nero, si può chiedere al giudice di limitare l’imposta al 21% (cedolare) invece che al 43% IRPEF. Alcune CTP hanno accolto questo argomento, altre no; in Cassazione non c’è ancora uniformità, ma rimane un possibile punto di difesa.
  • Buona fede e riduzione delle sanzioni: se il fatto contestato c’è, si può puntare almeno a ridurre le sanzioni invocando l’art. 7 D.Lgs. 472/97 (circostanze attenuanti). Ad esempio si può argomentare che il contribuente era in buona fede convinto che, trattandosi di un rimborso spese tra coinquilini, non fosse reddito imponibile; oppure evidenziare che ha tenuto un comportamento molto collaborativo appena avvisato (aderendo subito alla definizione). Il giudice tributario può infatti ridurre le sanzioni se le reputa manifestamente sproporzionate al caso concreto, in applicazione del principio di proporzionalità (art. 6 CEDU come recepito in ambito tributario). Ci sono ad esempio decisioni che hanno ridotto una sanzione dal 200% al 50% in casi limite. Va sottolineato che ciò è lasciato alla discrezionalità del giudice: non è un diritto, ma se la condotta risulta scusabile o le sanzioni appaiono eccessive rispetto al danno erariale, molti giudici accordano un alleviamento.
  • Memorie difensive: durante sia la fase amministrativa (ad esempio dopo un PVC della Guardia di Finanza, entro 60 giorni) sia quella giudiziale (prima dell’udienza, secondo i termini) il contribuente può presentare memorie difensive per argomentare la propria posizione. In fase pre-accertamento, tali scritti si chiamano “osservazioni e richieste” (Statuto Contribuente art. 12, c. 7: diritto a controdedurre entro 60 gg dal verbale di verifica) e servono a convincere l’Ufficio a non emettere l’accertamento o a ridurlo. Ad esempio, in un controllo GdF su affitti in nero, se la Finanza redige un verbale segnalando canoni non dichiarati, il contribuente ha 60 giorni per inviare osservazioni difensive all’Ufficio imposizioni. È essenziale sfruttare questa opportunità per portare elementi a discarico prima che l’atto venga emesso: spesso buone memorie possono evitare l’accertamento o quantomeno ridurne l’impatto. Anche durante il processo, memorie integrative possono servire a replicare alle difese dell’AdE nelle controdeduzioni o a ribadire punti cruciali.

Schema di memoria difensiva pre-accertamento: in Appendice è fornito anche uno schema essenziale di memoria difensiva post-verifica (ex art. 12 c. 7 L. 212/2000) da utilizzare dopo un PVC della Guardia di Finanza. Andrà inviato con raccomandata A/R o PEC all’ufficio competente entro 60 giorni dal PVC. Tali memorie sono libere nella forma (meno rigide di un ricorso) ma è fondamentale che siano chiare e supportate da documenti.

  • Esito del giudizio: la Corte Tributaria può accogliere totalmente il ricorso (annullando l’atto), accoglierlo parzialmente (riducendo importi, eliminando alcune riprese) oppure rigettarlo confermando l’accertamento. In caso di soccombenza parziale o totale, ciascuna parte può proporre appello in secondo grado (presso la CGT di secondo grado, ex Commissione Regionale). I tempi possono essere lunghi: 1-2 anni in primo grado, altrettanto o più in appello.
  • Esecutività e riscossione: dal 2016 gli avvisi di accertamento sono esecutivi: ciò significa che, scaduti i 60 giorni senza pagamento né ricorso, essi valgono già come precetto e l’importo viene affidato a riscossione senza bisogno di ulteriore cartella. Se invece si propone ricorso, si può chiedere al giudice la sospensione dell’atto se il pagamento immediato causerebbe un danno grave (art. 47 D.Lgs. 546/92). Per importi modesti, la sospensiva viene concessa se c’è anche un fumus di fondatezza nel ricorso. In mancanza di sospensione, bisogna comunque pagare un terzo delle imposte accertate (più interessi) entro 60 giorni, anche se il processo è pendente – oppure, se l’atto contiene solo sanzioni, pagarle per intero per evitare misure cautelari. Questo aspetto va valutato: se non si ottiene la sospensiva e non si è in grado di pagare quel terzo, si rischiano azioni esecutive (fermo, ipoteca, pignoramenti); in tal caso, a volte conviene aderire in sede amministrativa per diluire i pagamenti, piuttosto che impugnare e ritrovarsi con importi da pagare subito.
  • Costi del contenzioso: oltre al contributo unificato (diritto di iscrizione a ruolo: €30 per liti fino a €2.582, €60 fino a €5.000, €120 fino a €25.000, €250 fino a €75.000, ecc.), vanno considerate le spese legali. Se si vince, di regola il giudice condanna l’Agenzia a rifondere una parte delle spese; se si perde, viceversa, si può essere condannati a rifondere le spese all’Amministrazione (anche se spesso nei giudizi tributari le spese vengono compensate). Pertanto, la convenienza di fare causa va ponderata col valore in gioco: per poche migliaia di euro, a volte può convenire chiudere in adesione o mediazione, evitando i costi di una causa; se invece sono in ballo cifre consistenti o questioni di principio, il ricorso è giustificato.

Cosa dimostrare: onere della prova in caso di affitti in nero

Un elemento chiave nelle liti sugli affitti non dichiarati è l’onere della prova. In linea generale, spetta all’Agenzia provare che il contribuente ha percepito redditi non dichiarati. Tuttavia, l’Ufficio può assolvere tale onere anche tramite presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti (art. 2729 c.c.). Ad esempio, l’Agenzia può basarsi su un accertamento bancario: se vede afflussi periodici di denaro sul conto del contribuente, scatta la presunzione legale che siano redditi non dichiarati (spetterà al contribuente giustificarli). Oppure può basarsi sulla denuncia dell’inquilino corredata da ricevute: in tal caso la prova è quasi piena. In giudizio, dunque, il contribuente dovrà spesso dimostrare il contrario: ad esempio, provare che quei bonifici non erano affitti ma altri pagamenti, o che i soldi li percepiva il proprietario, ecc. Come visto, la CTP Milano ha ritenuto la denuncia dettagliata di un inquilino prova sufficiente dell’affitto in nero, spostando sul locatore l’onere di smentirla (cosa che non è riuscito a fare).

In pratica, il contribuente che voglia difendersi da un’accusa di affitti non dichiarati deve cercare di produrre quanta più documentazione possibile a proprio favore: contratti che dimostrino usi diversi (comodati d’uso gratuito, ad esempio), quietanze che mostrino importi inferiori, comunicazioni inviate al Fisco in cui magari aveva già chiarito la situazione, ecc. La difesa sarà tanto più efficace quanto più riesce a creare dubbi sulla ricostruzione dell’Ufficio o a fornire una spiegazione alternativa credibile dei fatti. Come sottolineato, non sono ammesse testimonianze orali, quindi tutto deve risultare da carte e circostanze oggettive. Se ad esempio il Fisco vi contesta subaffitti per 12 mesi l’anno, e voi potete dimostrare che per 6 mesi l’immobile era occupato da un vostro parente a titolo gratuito (magari con una residenza registrata o bollette a carico suo), avrete elementi forti per ridurre l’imponibile presunto.

Infine, va ricordato che in materia di affitti in nero, spesso conviene transigere se le prove sono sfavorevoli. Tuttavia, se si scorge un errore macroscopico nella pretesa fiscale (canoni gonfiati, persona sbagliata, anni decaduti), vale assolutamente la pena di far valere le proprie ragioni con decisione, anche in giudizio.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “subaffitto non dichiarato” (sublocazione abusiva)?
R: Indica una situazione in cui un inquilino (o comodatario) concede in locazione un immobile – o parte di esso – a terzi senza dichiarare al Fisco il reddito derivante da tale sublocazione. In pratica è un caso particolare di “affitto in nero”, con la differenza che il locatore non è il proprietario bensì un altro conduttore. Ad esempio, Maria prende in affitto un appartamento e ne subaffitta una stanza a Luca percependo un canone; se Maria non dichiara quel canone nella sua dichiarazione dei redditi, sta realizzando un subaffitto non dichiarato. Ciò costituisce a tutti gli effetti evasione d’imposta. È irrilevante che il subaffitto fosse o meno consentito dal proprietario o che il contratto sia verbale/non scritto: fiscalmente conta solo l’incasso non dichiarato.

D: Quali tasse dovrei pagare sui redditi da subaffitto, se volessi regolarizzarli?
R: Devi pagare l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) su quanto guadagni dal subaffitto, al netto dell’affitto che eventualmente paghi al proprietario (solo la differenza è reddito imponibile). L’aliquota IRPEF è quella del tuo scaglione di reddito (23%, 25%, 35% o 43% circa). Se però si tratta di locazioni brevi (fino a 30 giorni), puoi optare per la cedolare secca, un’imposta fissa (21% fino al 2023, ora 26% salvo riduzione al 21% per un solo immobile). La cedolare secca è conveniente se il tuo scaglione IRPEF supera il 21%. Va esercitata in dichiarazione dei redditi. Ricorda inoltre l’imposta di registro: se il subaffitto dura più di 30 giorni, andrebbe registrato pagando lo 0,5% del canone (essendo una sublocazione, la legge prevede imposta di registro pari alla metà di quella ordinaria del 2%, tipicamente da ripartire tra sublocatore e subconduttore). Nota che se opti per la cedolare secca, questa sostituisce anche l’imposta di registro e di bollo, quindi non devi pagare registro sul subaffitto (ma rimane comunque la sanzione se ometti di registrare quando obbligatorio, in quanto la cedolare non ti esenta dall’obbligo di registrare se >30 gg).

D: Il subaffitto è sempre legale?
R: Dal punto di vista civilistico, la sublocazione è lecita solo a certe condizioni. Il Codice Civile (art. 1594) e la legge sull’equo canone (L. 392/1978) stabiliscono che l’inquilino può subaffittare parzialmente l’immobile salvo divieto nel contratto, mentre per subaffitto totale serve il consenso del proprietario. Se subaffitti violando il contratto (ad es. subaffitto totale senza permesso), il proprietario può chiedere la risoluzione per inadempimento. Tuttavia, ai fini fiscali, anche un subaffitto “illegale” dal punto di vista contrattuale genera reddito tassabile. Quindi le questioni civilistiche non incidono sulle tasse: dovresti dichiarare i proventi comunque. L’affitto in nero di per sé (che sia fatto dal proprietario o dall’inquilino) non costituisce reato penale (è un illecito amministrativo tributario), ma può avere conseguenze civili (nullità del contratto, impossibilità di sfratto, ecc.) e ovviamente fiscali (tasse evase + sanzioni). In breve: subaffittare senza permesso può farti litigare col proprietario, ma subaffittare senza dichiarare fa arrabbiare il Fisco – ed è quest’ultimo che sanziona col portafoglio.

D: Come fa l’Agenzia delle Entrate a scoprire se non dichiaro un subaffitto?
R: Incrociando dati e facendo controlli. Ad esempio, l’Agenzia vede dal Catasto che tu non abiti in un tuo immobile ma qualcun altro ha la residenza lì – se non risulta un contratto registrato, sospetta un affitto in nero. Oppure incrocia i dati delle piattaforme online (Airbnb, Booking) che ora comunicano i pagamenti agli host: se risultano incassi a tuo nome e tu non li dichiari, i software segnalano l’anomalia. Ancora: se il tuo coinquilino/subaffittuario prova a detrarre l’affitto in dichiarazione (bonus affitto giovani, detrazione 19% canoni), e tu non l’hai dichiarato come reddito, l’Agenzia se ne accorge subito incrociando le informazioni. Ci sono poi le verifiche sul territorio: la Guardia di Finanza può raccogliere informazioni da vicini, portieri, ecc., oppure fare blitz in condomini noti per affitti brevi. Spesso inoltre partono lettere di compliance che ti avvisano dell’omissione (nel 2023, come detto, milioni di contribuenti hanno ricevuto segnalazioni di redditi non dichiarati, molti per affitti). Insomma, tra banche dati unificate e “segugi” informatici, pensare di farla franca è sempre più azzardato.

D: Ho affittato via Airbnb ma non ho dichiarato nulla: è vero che Airbnb paga già le tasse al posto mio?
R: Attenzione: dal 2024 Airbnb e simili trattengono il 21-26% sui pagamenti agli host come ritenuta, ma questo non ti esonera dal dichiarare. Significa che se hai guadagnato €5.000, la piattaforma ne ha già versati circa €1.050 al Fisco (il 21%) e te ne ha girati €3.950. Tu, in dichiarazione, devi comunque indicare l’intero importo di €5.000 come reddito di locazione breve, ma potrai detrarre la ritenuta di €1.050 dall’imposta dovuta (in pratica non pagherai due volte). Se non dichiari nulla, l’Agenzia vedrà comunque che Airbnb ha trattenuto quell’importo per tuo conto e ti contesterà l’omessa dichiarazione di quei €5.000. Nei periodi precedenti (2017-2023) in cui Airbnb non fungeva da sostituto d’imposta, la piattaforma trasmetteva comunque i dati delle tue locazioni all’Agenzia (lo prevede la legge dal 2017). Quindi il Fisco sa quanti soggiorni hai venduto e per quanti soldi – e in sede di controllo può chiederti conto di ogni euro.

D: Se regolarizzo spontaneamente col ravvedimento, cosa devo pagare esattamente?
R: Devi presentare una dichiarazione integrativa per gli anni in cui hai omesso/diminuito i redditi da subaffitto. Poi devi versare: – l’imposta dovuta su quei redditi (IRPEF o cedolare secca, a seconda del regime applicabile e di cosa scegli per gli affitti brevi); – gli interessi legali maturati su ciascun anno (di solito importi modesti); – una sanzione ridotta per infedele/omessa dichiarazione: se sono passati oltre 90 giorni ma meno di due anni, la riduzione è a 1/8 del minimo (circa 11-12% dell’imposta evasa); se oltre due anni, a 1/6 del minimo (15% circa dell’imposta evasa, se infedele). Se presenti una dichiarazione omessa dopo oltre un anno, l’Agenzia in pratica accetta il 1/6 del 120%, cioè il 20% dell’imposta evasa. In ogni caso sono percentuali molto inferiori al 90-240% normale. Facciamo un esempio numerico: reddito in nero €10.000, IRPEF dovuta €2.500. Sanzione minima omessa dichiarazione 120% = €3.000 (raddoppiata a 240% = €6.000 se immobile abitativo). Col ravvedimento, ipotizzando sanzione a 1/6, paghi €500 di sanzione. Capisci il risparmio. È importante compilare correttamente gli F24 indicando i codici tributo del ravvedimento (il tuo commercialista saprà farlo) e conservare tutto, perché l’Agenzia potrebbe chiedere prova che hai sanato.

D: Posso ancora fare ricorso se ho ricevuto la cartella dall’Agenzia Riscossione per l’affitto in nero?
R: Dipende dalla situazione. Se hai lasciato decorrere i 60 giorni dall’accertamento fiscale e quello è divenuto definitivo, la cartella (o intimazione) che segue è solo un atto esecutivo di riscossione delle somme dovute: non è impugnabile nel merito, salvo vizi formali della cartella stessa. Purtroppo, se non hai contestato per tempo l’accertamento, hai ormai “perso il treno” per difenderti sul contenuto (reddito accertato, sanzioni, ecc.). Potrai al più chiedere una dilazione di pagamento o verificare con un avvocato se l’atto esecutivo presenta vizi formali (ma è raro che portino a un annullamento). Invece, se la cartella ti arriva a seguito di mancato pagamento di un accordo di mediazione o conciliazione che avevi sottoscritto, la situazione è analoga: il debito è ormai consolidato, potresti solo discutere errori di calcolo ma non il merito. In sintesi, la fase giusta per ricorrere è entro 60 giorni dall’avviso di accertamento. Dopo, le possibilità di difesa si riducono drasticamente. In casi estremi si può tentare un’istanza di riapertura dei termini per forza maggiore, o un ricorso per revocazione straordinaria (se c’è stato dolo, errore di fatto, ecc.), ma sono rimedi eccezionali da valutare con un legale.

D: L’inquilino che paga in nero rischia qualcosa dal punto di vista fiscale?
R: Sì, anche l’inquilino (subconduttore) può essere sanzionato per la mancata registrazione del contratto. Come detto, locatore e conduttore sono obbligati in solido all’imposta di registro e relative sanzioni. Quindi, se scoprono l’affitto in nero, di norma l’Agenzia chiede al proprietario le imposte sui redditi evasi e al contempo può sanzionare entrambi per il 2% annuo di registro non pagato (con sanzione 120-240% su quell’imposta). In pratica, l’inquilino rischia una cartella pari al 2% del canone per ciascun anno non registrato, moltiplicato fino al 240%. Inoltre, se il locatore non paga l’imposta di registro, il Fisco potrebbe rivolgersi all’inquilino per l’intero importo (data la solidarietà). Dal lato penale, l’affittuario in nero di per sé non commette reati tributari (non è lui che evade le imposte sui redditi – a meno di casi particolari, tipo un subaffittatore società e un subconduttore che “occulta” un costo, ipotesi remota). Tuttavia, l’inquilino in nero perde i benefici legali: non può detrarsi eventuali canoni, non ha un contratto stabile, può essere sfrattato in qualunque momento perché formalmente occupa senza titolo, e potrebbe essere chiamato a testimoniare contro il locatore. Insomma, anche per l’inquilino le rogne non mancano: possibile multa da registro e nessuna tutela. È sempre meglio pretendere la registrazione del contratto, anche a costo di contribuire alle spese, per essere in regola e tutelati.

D: Ho ricevuto un avviso per affitti in nero ma secondo me c’è un errore nei calcoli: posso fare qualcosa senza andare in causa?
R: Assolutamente sì. Come spiegato, puoi presentare un’istanza di autotutela all’ufficio, evidenziando l’errore di calcolo (magari allegando i documenti corretti). Se l’ufficio riconosce l’errore, può correggere l’avviso in via di autotutela oppure suggerire di procedere con un’adesione per sistemare il conteggio. Un classico errore è conteggiare 12 mensilità di affitto quando magari erano meno, oppure confondere importi lordi e netti. Se hai prove (es: estratto conto bancario che mostra 8 pagamenti annuali invece di 12), presentale subito in autotutela. Nel caso in cui la risposta tardasse o fosse negativa, hai comunque la carta dell’accertamento con adesione: chiedi l’adesione e durante l’incontro mostri l’errore; spesso l’Agenzia preferisce correggerlo lì piuttosto che andare davanti al giudice su un punto indifendibile. Solo in extrema ratio dovrai ricorrere al giudice per far valere l’errore, ma spesso l’Agenzia preferisce evitare cause perse e sistema gli sbagli se sono evidenti.

D: Ho subaffittato una stanza ma in realtà non ci ho guadagnato nulla perché serviva solo a coprire le spese di casa. Devo comunque pagare le tasse?
R: Formalmente, se hai percepito un importo periodico da un terzo, dovresti dichiararlo; tuttavia, come detto, puoi dedurre le spese inerenti prima della tassazione. Quindi se davvero il subaffitto serviva solo a coprire le spese (ad es. affitti la stanza a €300 e tu paghi €300 di affitto al proprietario per quella stanza), il tuo reddito imponibile è zero. Ma comunque dovresti dichiarare i 300 incassati e dedurre i 300 pagati – risultato: niente imposta dovuta. Se invece non dichiari nulla, il Fisco potrebbe contestarti i 300 come reddito imponibile, e starà a te provare che c’erano spese equivalenti. Meglio allora dichiarare subito e dormire tranquillo. Inoltre, se era una condivisione spese vera e propria (senza un contratto di affitto, tipo coinquilino convivente alla pari), potresti sostenere che non c’era intento locativo. Però attenzione: l’Agenzia difficilmente accetta la tesi “lo ospitavo e mi rimborsava solo le bollette”, specie se l’importo era fisso mensile e c’erano obblighi ben delineati. Quindi conviene comunque considerarlo affitto e azzerare il reddito col costo: se alla fine le tasse sono zero, tanto vale dichiarare ed evitare rischi futuri.

D: Se il subaffitto riguarda un immobile commerciale (es. un negozio o un ufficio), le regole fiscali cambiano?
R: Ai fini fiscali il principio resta lo stesso: ogni canone incassato va dichiarato e tassato, anche se relativo a un immobile non abitativo. Naturalmente, vanno rispettate le norme civilistiche specifiche sulle locazioni commerciali: la legge consente al conduttore di sublocare o cedere il contratto insieme all’azienda anche senza consenso del locatore (salvo opposizione per gravi motivi), e un eventuale patto che vieti la sublocazione è nullo in tale ipotesi. Ma se un inquilino subaffitta un locale commerciale in nero, percependo un corrispettivo e non dichiarandolo, commette la stessa violazione tributaria di omessa dichiarazione di redditi da sublocazione. Le conseguenze saranno analoghe: recupero delle imposte IRPEF/IRES evase, sanzioni dal 90% al 180% (raddoppiate se l’immobile è ad uso abitativo non è il caso) e interessi, più la sanzione da 120-240% per la mancata registrazione. Se il sublocatore è un soggetto IVA (es. una società), occorre anche considerare l’eventuale IVA sui canoni non fatturati: la sublocazione di immobili a uso commerciale è generalmente esente IVA salvo opzione, ma in alcuni casi (sublocazione di azienda) potrebbe essere imponibile. In ogni caso, l’omessa fatturazione e dichiarazione IVA è un’ulteriore violazione (sanzione dal 90% al 180% dell’IVA evasa). Quindi un subaffitto “in nero” di locali commerciali può comportare sia un recupero a fini IRES/IRPEF come reddito d’impresa non dichiarato, sia a fini IVA per l’imposta non versata, oltre a interessi e sanzioni amministrative.

D: Quali sono le sentenze più importanti e recenti su questo tema?
R: Ne citiamo alcune rilevanti:

  • Cass. n. 19166/2003 (e conformi successive: Cass. 26447/2017, Cass. 36488/2023) – Hanno stabilito che i redditi da locazione sono considerati fondiari solo se il locatore ha un diritto reale sull’immobile; diversamente, rientrano tra i redditi diversi. Ciò chiarisce che i subaffitti vanno tassati in capo al sublocatore come redditi diversi, e non imputati al proprietario (se non per la parte di canone che lui percepisce). In particolare, l’ordinanza Cass. 36488/2023 ha ribadito testualmente che “non va compreso fra i redditi da fabbricato quello derivante dalla locazione di un immobile stipulata da persona non proprietaria, né titolare di altro diritto reale sul bene”, confermando quindi l’imponibilità in capo al sublocatore.
  • CTP Milano n. 2718/2019 – (caso citato prima) Ha riconosciuto valore di piena prova alla denuncia dell’inquilina sul contratto in nero, legittimando l’accertamento basato su di essa. Ha anche affermato che sta al locatore fornire prova contraria dell’inesistenza dell’affitto, onere praticamente impossibile se i pagamenti avvenivano in contanti senza traccia. Questa pronuncia sottolinea dunque l’efficacia probatoria delle denunce dei conduttori e la difficoltà difensiva del locatore in caso di affitto in nero effettivo.
  • Cass. n. 10498/2017 e Cass. 32934/2018 – Hanno segnato un cambiamento sulla questione della nullità del contratto non registrato. La Cassazione (recependo Corte Cost. 50/2014) ha stabilito che la registrazione tardiva “sanante” fa riacquistare efficacia al contratto per il futuro. Ciò sul piano civile. Sul piano fiscale, comunque, anche per gli anni in cui il contratto era nullo i canoni restano tassabili se percepiti (come detto, la nullità civile non esime dal pagare le imposte). In sostanza, la tardiva registrazione evita che il contratto resti nullo in perpetuo, ma non cancella l’evasione passata.
  • Cass. SS.UU. 7305/2014 – Sentenza delle Sezioni Unite importante per gli effetti civilistici: ha confermato che il proprietario che aveva stipulato un contratto nullo (per omessa registrazione) può agire solo per “occupazione sine titulo” (indennità di occupazione), e non con lo sfratto per morosità, allungando i tempi di rilascio. Indirettamente, ciò fornisce un incentivo all’inquilino a denunciare l’affitto in nero: sapendo che il contratto è nullo, l’inquilino può difendersi dallo sfratto e può addirittura chiedere la restituzione dei canoni pagati. Questa sentenza quindi ha messo in luce il boomerang civile per il locatore evasore.
  • Cass. nn. 12076 e 12079 del 07/05/2025 – (segnaliamo queste pronunce recentissime) Sembrano affermare che la cedolare secca può applicarsi anche a contratti di locazione in cui il locatore è un soggetto con partita IVA (impresa/professionista), contraddicendo l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate che dal 2011 escludeva la cedolare in tali casi. Se tale principio fosse confermato, si aprirebbero spiragli per applicare la cedolare secca anche a soggetti normalmente esclusi (ad es. società, o persone fisiche che operano in regime d’impresa). Nel subaffitto, essendo di solito soggetti privati, l’impatto è relativo, ma è un’evoluzione da tenere d’occhio in generale.
  • Consiglio di Stato n. 2928/2025 – (aspetto non fiscale ma regolamentare) Ha annullato alcuni regolamenti comunali e regionali troppo restrittivi sugli affitti brevi, ribadendo che solo lo Stato può legiferare in materia di durata delle locazioni turistiche. Questo mantiene uniforme la disciplina nazionale: ad esempio, un Comune non può proibire subaffitti brevi generalizzati oltre una certa soglia, salvo deleghe specifiche come il caso di Venezia. In sintesi, il CdS ha confermato la competenza statale esclusiva sulle locazioni brevi, invalidando norme locali che cercavano di limitarle.
  • Corte di Giustizia UE C-83/21 (Airbnb Ireland) – Sentenza del 22/12/2022. Ha sancito la legittimità dell’obbligo per i portali come Airbnb di trasmettere i dati alle autorità fiscali italiane e di operare ritenute sui pagamenti ai locatori, respingendo le obiezioni di Airbnb (che invocava la libera prestazione di servizi). Conseguenza: via libera allo scambio di dati tra portali online e Fisco italiano, base di molti accertamenti dal 2017 in poi.

Queste pronunce, insieme alle circolari dell’Agenzia (es. circ. 24/E/2017 sulle locazioni brevi, applicabile anche alle sublocazioni) e ad altre sentenze di merito, compongono il quadro interpretativo aggiornato ad oggi.

D: Ho già un ricorso pendente su questa materia. Ci sono state novità nel 2023-2025 che possono aiutarmi?
R: Sì, come abbiamo visto la disciplina è in evoluzione. In particolare: – Dal 2024 l’aliquota della cedolare per affitti brevi è passata al 26% oltre il primo immobile (Legge di Bilancio 2024): se il tuo caso riguarda annualità precedenti forse non si applica retroattivamente, ma se è in corso per anni recenti in cui affittavi più immobili brevi, ora la legge è cambiata (puoi usare l’argomento che il legislatore ha riconosciuto la natura imprenditoriale oltre una certa soglia). – La riforma della giustizia tributaria 2022: ora i giudici tributari sono togati, ci si attende maggiore uniformità di orientamenti; inoltre è stata introdotta la possibilità di giudice monocratico per liti fino a €3.000 (che può snellire alcune cause minori). – Le sentenze di Cassazione 2025 citate (cedolare con P.IVA ammessa): se la tua causa verteva sul diniego di cedolare perché avevi P.IVA o affittavi tramite società (casi borderline successi in passato), ora puoi citare queste pronunce a tuo supporto. – La valanga di lettere di compliance 2023: dimostra un atteggiamento del Fisco più collaborativo nel pre-contenzioso. Se tu non hai ricevuto alcuna lettera di avviso e ti è arrivato un accertamento “a sorpresa”, potresti farlo notare come elemento procedurale: talvolta i giudici considerano la mancata compliance preventiva come una violazione dello Statuto del Contribuente (violazione dei principi di cooperazione), anche se non è un vizio invalidante di per sé. – Norme COVID: il DL 34/2020 ha sospeso gli sfratti ma anche introdotto una norma per cui dal 2020 i proprietari possono non dichiarare i canoni non percepiti se l’inquilino è moroso e c’è un’ingiunzione convalida. Per i subaffitti non c’è una norma simile, ma se nel tuo caso c’erano morosità durante la pandemia, puoi provare a invocare lo stesso criterio di non tassabilità dei canoni non incassati per causa di forza maggiore. Non è garantito che passi, ma in equità qualche giudice potrebbe considerarlo.

D: In conclusione, che consigli pratici dareste a chi subaffitta e vuole evitare problemi col Fisco?
R: Il consiglio principale è la trasparenza fiscale. In particolare:

  • Se subaffitti, registra il contratto (se >30gg) o comunque metti per iscritto gli accordi.
  • Dichiara sempre i redditi percepiti, anche se modesti. Puoi sfruttare la cedolare secca se ne hai diritto: pagherai il 21% fisso e stop, che spesso è meno della tua aliquota IRPEF.
  • Conserva traccia di tutti i pagamenti (usa mezzi tracciabili se possibile, o fatti firmare ricevute). Questo protegge sia te che l’inquilino.
  • Se hai dubbi sulla tassazione (ad es. subaffitti di stanze con servizi tipo B&B), consulta un esperto: potresti inquadrarti in un regime d’impresa “mascherato” (la legge distingue l’affitto puro dall’attività tipo B&B con colazione, pulizie, ecc.). Meglio saperlo prima che scoprirlo con una multa.
  • Infine, se l’Agenzia ti scrive o ti chiama per anomalie, non ignorarla: fai controllare al commercialista e, se effettivamente c’è un buco, aderisci subito al ravvedimento operoso per risparmiare.

Dal punto di vista del debitore-contribuente, mantenere un profilo collaborativo e informato è la miglior difesa. Se poi malauguratamente arriva un accertamento infondato, attivati subito con autotutela o ricorso: le armi del diritto non mancano, ma vanno utilizzate tempestivamente. In ogni caso, prevenire è meglio che curare: un subaffitto dichiarato e regolamentato oggi è un problema (e un costo) in meno domani.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate sublocazioni abusive e i relativi redditi non dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate sublocazioni abusive e i relativi redditi non dichiarati?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

La sublocazione, cioè la concessione in locazione a terzi di un immobile già preso in affitto, è consentita solo se prevista dal contratto di locazione principale. Quando manca questa autorizzazione o i redditi non vengono dichiarati, il Fisco può contestare evasione IRPEF e IVA, oltre a sanzioni per violazione delle norme civilistiche.

👉 Prima regola: verifica se il contratto principale consentiva la sublocazione e raccogli prove documentali dei canoni percepiti.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Sublocazione senza autorizzazione del proprietario;
  • Canoni percepiti non dichiarati come redditi fondiari o diversi;
  • Mancata registrazione dei contratti di sublocazione;
  • Utilizzo dell’immobile per finalità diverse da quelle previste nel contratto principale;
  • Segnalazioni da controlli incrociati (utenze, piattaforme di affitti brevi, banche dati catastali).

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte sui redditi non dichiarati;
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta dovuta;
  • Interessi di mora;
  • Risoluzione del contratto principale per violazione delle clausole;
  • Rischio di azioni civili del locatore per danni o sfratto.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Clausole del contratto di locazione principale: prevedeva la possibilità di sublocazione?
  • Tracciabilità dei canoni percepiti: sono stati regolarmente incassati e registrati?
  • Esistenza di contratti scritti di sublocazione: sono stati registrati all’Agenzia?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha prove concrete o si basa solo su presunzioni?
  • Regolarità delle notifiche e rispetto dei termini di legge.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Contratto di locazione principale;
  • Eventuali autorizzazioni del locatore;
  • Contratti di sublocazione e ricevute di registrazione;
  • Estratti conto e tracciabilità dei pagamenti;
  • Dichiarazioni dei redditi presentate negli anni contestati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la legittimità della sublocazione se prevista contrattualmente;
  • Provare la dichiarazione dei redditi già effettuata o la loro esenzione;
  • Contestare le presunzioni se mancano prove concrete dei canoni percepiti;
  • Eccepire vizi procedurali: motivazione insufficiente, notifica irregolare, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se i canoni erano già tassati;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare o ridurre l’accertamento.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i contratti di locazione e sublocazione;
📌 Verifica la legittimità della contestazione fiscale;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e in eventuali procedimenti civili con il locatore;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire in sicurezza locazioni e sublocazioni.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità immobiliare e locazioni;
✔️ Specializzato in difesa di contribuenti contro contestazioni su sublocazioni e affitti;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle sublocazioni abusive non sempre sono fondate: spesso dipendono da clausole contrattuali poco chiare o da semplici presunzioni.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità dei contratti o la corretta dichiarazione dei redditi, evitando la doppia tassazione e riducendo sanzioni e interessi.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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