Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché i prestiti infruttiferi dichiarati sono stati considerati non reali? In questi casi, l’Ufficio presume che i contratti di prestito senza interessi siano stati utilizzati solo come giustificazione fittizia per giustificare movimenti di denaro, occultando in realtà redditi imponibili. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con la documentazione adeguata è possibile dimostrare la genuinità del prestito.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i prestiti infruttiferi
– Se manca un contratto scritto o una scrittura privata con data certa
– Se i movimenti finanziari non trovano riscontro in bonifici, assegni o altri strumenti tracciabili
– Se i prestiti sono di importo rilevante senza giustificazione economica plausibile
– Se non risultano restituzioni, anche parziali, delle somme erogate
– Se i prestiti sono considerati strumenti per coprire redditi non dichiarati o ricavi in nero
Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione delle somme come redditi imponibili non dichiarati
– Recupero delle imposte dovute con sanzioni dal 100% al 200%
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di contestazioni penali per dichiarazione fraudolenta nei casi più gravi
– Maggiori controlli su altri rapporti finanziari e patrimoniali
Come difendersi dalla contestazione
– Redigere e produrre contratti di prestito infruttifero con data certa e firme autentiche
– Dimostrare con bonifici, assegni e ricevute la movimentazione effettiva delle somme
– Provare la restituzione, anche parziale, dei prestiti effettuati
– Contestare la presunzione di fittizietà se i prestiti rispondono a reali esigenze familiari o societarie
– Evidenziare vizi procedurali, carenze probatorie o decadenza dei termini dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i contratti di prestito e la documentazione bancaria collegata
– Verificare la legittimità della contestazione rispetto alla normativa fiscale e civilistica
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro pretese indebite
– Tutelare il patrimonio familiare o aziendale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o l’eliminazione delle sanzioni applicate
– Il riconoscimento della legittimità dei prestiti infruttiferi realmente effettuati
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: le contestazioni su prestiti infruttiferi devono essere impugnate entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e patrimoniale – spiega come difendersi in caso di contestazioni su prestiti infruttiferi non reali e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
I prestiti infruttiferi tra privati, soci o familiari sono leciti e comuni, ma possono attirare l’attenzione del Fisco se riguardano somme rilevanti o se mancano adeguate prove documentali. Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli su movimenti finanziari anomali, contestando in molti casi la natura reale di certi prestiti senza interessi e qualificandoli come fittizi – cioè meri schemi per occultare redditi non dichiarati o liberalità non formalizzate . Dal punto di vista del debitore (ossia il contribuente che ha ricevuto il denaro e subisce l’accertamento fiscale) è fondamentale conoscere il quadro normativo e gli strumenti di difesa disponibili. In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 con le ultime norme e sentenze – esamineremo come il Fisco conduce gli accertamenti sui cosiddetti prestiti infruttiferi fittizi e quali sono le strategie difensive più efficaci sia in sede tributaria che, se del caso, penale. Il tutto in un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, adatto tanto ai professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) quanto a privati cittadini e imprenditori interessati a tutelarsi. Troverete inoltre tabelle riepilogative, una sezione di Domande & Risposte (FAQ) e alcune simulazioni pratiche per contestualizzare i concetti trattati. L’obiettivo è fornire al contribuente-debitore una panoramica completa su come affrontare un accertamento fiscale che mette in dubbio la genuinità di un prestito infruttifero, evitando errori e facendo valere i propri diritti.
Normativa di riferimento: presunzioni fiscali e onere della prova
In tema di accertamenti sui movimenti finanziari e riqualificazione dei prestiti, entrano in gioco diverse norme del diritto italiano, sia civilistiche che tributarie. Di seguito riepiloghiamo i riferimenti chiave e il loro effetto nel contesto dei prestiti infruttiferi (prestiti senza interessi):
Art. 1813 c.c. (Contratto di mutuo) – Definisce il mutuo come il contratto in cui il mutuante consegna al mutuatario una somma di denaro (o beni fungibili), e il mutuatario si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e quantità . Il mutuo può essere fruttifero (con interessi) oppure infruttifero (gratuito). Implicazione: un prestito tra privati è valido in diritto civile anche se privo di interessi (non genera reddito per il creditore), e si perfeziona con la consegna del denaro. Nota: non è richiesta la forma scritta a pena di nullità (il contratto può essere anche verbale), ma stipulare una scrittura privata è altamente raccomandato per poter provare l’accordo in caso di contestazioni future.
Art. 1815 c.c. (Interessi) – Se nel mutuo non sono pattuiti interessi, il prestito si presume gratuito . In altre parole, la legge civile conferma che l’assenza di interessi è lecita e anzi, in mancanza di accordo scritto sul tasso, il mutuo si considera non oneroso. Implicazione fiscale: poiché il contratto di mutuo può essere tacitamente gratuito, è bene dichiarare espressamente nel documento che “il prestito è infruttifero” per evitare dubbi. In teoria, l’Amministrazione finanziaria potrebbe sostenere che, se nulla è dichiarato sul tasso, si applichi quello legale e che dunque vi siano “interessi figurativi” non dichiarati . Si tratta di una posizione raramente sostenuta (vedremo oltre), ma per precauzione conviene indicare nel contratto che il prestito è gratuito e non dà luogo ad interessi.
Art. 782 c.c. (Forma delle donazioni) – La donazione richiede l’atto pubblico notarile (salvo il caso di donazioni di modico valore) a pena di nullità . Un trasferimento di denaro senza obbligo di restituzione è dunque una liberalità che, se di importo non modesto, deve essere formalizzato dal notaio. Se si simula un prestito per evitare l’atto pubblico (ad es. un genitore che “presta” grosse somme al figlio senza mai riaverle), si rischia di configurare una donazione nulla per difetto di forma, con possibili conseguenze: in sede civile gli eredi potrebbero pretenderne la restituzione, e in sede fiscale l’Agenzia potrebbe riqualificare la somma come donazione soggetta a imposta . Si tenga presente, infatti, che in ambito tributario le donazioni non formalizzate non sfuggono necessariamente: l’eventuale imposta di donazione (dovuta oltre certe franchigie) può essere richiesta, e comunque il Fisco tende a contestare queste situazioni come redditi occultati se ciò risulta più oneroso per il contribuente (vedi oltre).
Art. 32, co. 1, n. 2, DPR 600/1973 (Indagini finanziarie) – È la norma cardine in materia di accertamenti bancari: stabilisce che i versamenti (e originariamente anche i prelevamenti) sui conti correnti del contribuente, se non giustificati, si presumono ricavi o proventi tassabili non dichiarati . Si tratta di una presunzione legale relativa (iuris tantum): in altre parole, l’Amministrazione finanziaria non deve dimostrare che quei movimenti costituiscano redditi; è il contribuente a dover provare il contrario, fornendo adeguata prova contraria . Questa presunzione inverte l’onere della prova a carico del contribuente e costituisce il fondamento degli accertamenti basati sui movimenti bancari. Implicazione: ogni accredito sul conto corrente deve avere una spiegazione lecita. Se ricevo €50.000 sul conto e dichiaro che è un prestito infruttifero, devo poterlo dimostrare con documenti (contratto, evidenza della provenienza dal presunto prestatore, ecc.), altrimenti per il Fisco quel versamento verrà trattato come reddito evaso e tassato . (Nota: la presunzione vale per i conti intestati al contribuente; per conti di terzi o cointestati, possono applicarsi regole diverse, ma il concetto generale è che il Fisco guarda comunque alla sostanza dei flussi finanziari.)
Art. 37, co. 3, DPR 600/1973 (Interposizione di persone) – Prevede che, in caso di interposizione fittizia di persone, i redditi sono imputati al soggetto per conto del quale l’interposizione è stata attuata . È la norma sul beneficiario effettivo: consente al Fisco di guardare attraverso prestanome e schermi giuridici per attribuire i redditi al vero titolare. Implicazione: l’Agenzia può ignorare la forma di un prestito se chi eroga o riceve il denaro è solo un intermediario fittizio. Ad esempio, se un contribuente fa arrivare i propri soldi su un conto estero fiduciario intestato a un’altra persona o a un trust, poi li “riceve” come prestito da quella entità, il Fisco potrà sostenere che si tratta di un prestito simulato con interposto e applicare l’art. 37, co.3, imputando i redditi o le disponibilità direttamente al contribuente . In questi casi l’onere di provare l’interposizione in giudizio è in capo al Fisco, ma spesso bastano forti indizi (come la mancanza di una reale autonomia economica del terzo). Il contribuente, per difendersi, dovrà dimostrare l’effettiva indipendenza del soggetto terzo (operazione spesso ardua, v. il caso dei trust esteri più avanti).
Art. 37-bis DPR 600/1973 (ora art. 10-bis L. 212/2000 – Abuso del diritto) – Consente all’Amministrazione di disconoscere vantaggi fiscali indebiti ottenuti tramite operazioni prive di sostanza economica, finalizzate essenzialmente a eludere le imposte. In base alla norma anti-abuso (oggi art. 10-bis dello Statuto del Contribuente), il Fisco può riqualificare un’operazione secondo la sua sostanza economica effettiva, ignorando la forma giuridica utilizzata, purché l’operazione sia priva di valide ragioni extrafiscali. Implicazione: un prestito infruttifero simulato potrà essere riqualificato in ciò che realmente è – ad esempio una donazione o un dividendo occulto – se l’unico scopo del prestito era di risparmiare tasse . Tipicamente, l’abuso del diritto può essere contestato quando un prestito senza interessi viene usato per evitare un tributo dovuto: ad esempio, fingere un prestito familiare per evitare l’imposta di donazione, oppure un prestito socio-società per evitare la ritenuta sui dividendi. La norma prevede però garanzie procedurali: l’atto impositivo deve indicare specificamente la contestazione di abuso e le ragioni, e il contribuente ha diritto a presentare proprie osservazioni. In sede difensiva, sarà importante dimostrare che l’operazione aveva sostanza economica e motivazioni genuine (es. vero supporto finanziario temporaneo) e che non c’è stato alcun vantaggio fiscale indebito, oppure che tale vantaggio era marginale e secondario rispetto alle ragioni non tributarie (vedremo oltre gli argomenti difensivi) .
Art. 53 Cost. (Capacità contributiva) – Principio costituzionale secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva” . La tassazione deve cioè colpire manifestazioni effettive di ricchezza. Questo principio è alla base dei poteri antielusivi e anti-evasivi del Fisco (permette di tassare la sostanza oltre la forma, per impedire che attraverso artifici formali si evadano imposte) . Tuttavia, il contribuente può anche richiamare l’art. 53 Cost. in sua difesa in casi particolari: ad esempio sottolineando che tassare un prestito vero e restituito – che non ha arricchito il contribuente in via definitiva – significherebbe tassare qualcosa che non è reale capacità contributiva. È un argomento più equitativo che tecnico, ma può influenzare l’interpretazione delle prove da parte del giudice tributario . In sostanza: il Fisco può tassare la sostanza economica quando vi sono indizi di abuso, ma non può creare dal nulla una capacità contributiva inesistente – concetto da enfatizzare se un prestito è genuino e privo di effetti economici duraturi sul patrimonio del debitore.
D.Lgs. 74/2000 (Reati tributari) – Prevede varie fattispecie di reato in caso di evasione fraudolenta o rilevante. In materia di prestiti fittizi possono rilevare in particolare: il reato di dichiarazione infedele (art.4) se l’imposta evasa supera €100.000 annui ; la dichiarazione fraudolenta (art.3) se si usano mezzi fraudolenti, come documenti falsi o simulazioni artificiose ; l’omessa dichiarazione (art.5) se addirittura i redditi occulti non sono stati dichiarati del tutto; la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11) se, a seguito di un accertamento, il contribuente occulta i propri beni simulando debiti o altri artifici per evitare la riscossione . Implicazione: se un prestito infruttifero fittizio viene usato per evadere somme ingenti o per porre in essere frodi (es. creare un contratto falso a posteriori, far transitare capitali su trust fittizi, ecc.), oltre alle sanzioni fiscali possono scattare denunce penali . Approfondiremo più avanti i profili penali e le relative strategie difensive, ma è importante sapere sin d’ora che dimostrare la veridicità del prestito abbatte anche il rischio penale (venendo a mancare l’elemento di frode), mentre in caso contrario la collaborazione e l’integrale pagamento del dovuto possono attenuare le pene .
Obblighi antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007) – La normativa antiriciclaggio impone limiti e adempimenti che impattano indirettamente anche sui prestiti tra privati. In particolare vige il divieto di trasferimenti in contante pari o superiori a €5.000 fra soggetti diversi (soglia in vigore dal 2023), salvo tramite banche o intermediari abilitati . Inoltre banche, notai e professionisti hanno l’obbligo di segnalare le operazioni sospette di riciclaggio. Un prestito infruttifero tra soggetti non legati (es. tra estranei, o da società estera a individuo) potrebbe far scattare alert come operazione inconsueta. Implicazione: prestare grosse somme in contanti è doppiamente rischioso – si viola la legge amministrativa sul contante e si insospettisce il Fisco. Se un contribuente dichiara di aver ricevuto €10.000 in contanti da un amico, senza traccia, l’Ufficio difficilmente gli crederà (come vedremo, dichiarazioni orali e fogli non registrati valgono poco) . Dunque bisogna attenersi ai limiti al contante e usare sempre metodi tracciabili, indicando causali chiare, per non incorrere sia in sanzioni amministrative sia in sospetti di riciclaggio .
Imposta di registro sui finanziamenti (Art. 9 Tariffa, Parte I, DPR 131/1986) – I contratti di mutuo non esenti sono soggetti a imposta di registro proporzionale del 3% sull’importo erogato . Tuttavia, se il contratto è redatto in forma privata non autenticata, la registrazione non è obbligatoria immediatamente: l’imposta si paga solo “in caso d’uso” (ovvero se si porta il documento a conoscenza di un pubblico ufficiale, ad esempio in giudizio, o lo si registra volontariamente) . Implicazione: un prestito tra privati può rimanere documentato con una semplice scrittura privata non registrata senza violare alcuna norma (l’Agenzia delle Entrate di per sé non viene a sapere dell’esistenza del contratto finché non lo si registra) . Tuttavia, bisogna valutare i pro e contro della registrazione: registrare subito il contratto pagando il 3% dà data certa opponibile a terzi, il che può rivelarsi prezioso in caso di futura contestazione . Se si preferisce non registrare subito, è quantomeno consigliabile ottenere una data certa con metodi alternativi (ad es. scambiarsi il contratto via PEC, o spedire due copie firmate per raccomandata, così il timbro postale attesta la data ). Attenzione che, se il documento non registrato viene poi esibito al Fisco (ad es. allegato a un ricorso), scatterà la registrazione d’ufficio con richiesta del 3% e sanzione per tardiva registrazione . La sanzione è in genere moderata (spesso riducibile a 1/3 del 120% dell’imposta, circa lo 0,4% dell’importo, se regolarizzato subito) . In pratica, molti preferiscono non registrare subito per evitare il 3% immediato, salvo poi pagarlo eventualmente in caso di utilizzo del contratto. Riassumendo: la registrazione non è obbligatoria, ma assicurarsi la data certa e conservare la documentazione è fondamentale; pagare il 3% può essere un piccolo prezzo da pagare rispetto alle possibili conseguenze fiscali negative se il prestito venisse contestato come inesistente.
(Nella Tabella 1 sottostante sono elencate in sintesi alcune delle norme chiave sopra citate, con il loro ambito e implicazione pratica nei prestiti infruttiferi).
Tabella 1 – Norme chiave su prestiti infruttiferi e accertamento fiscale
Riferimento normativo | Ambito | Contenuto essenziale | Implicazioni pratiche nel contesto dei prestiti infruttiferi |
---|---|---|---|
Art. 1813 c.c. (Contratto di mutuo) | Codice Civile – Obbligazioni | Definisce il mutuo: il mutuante consegna una somma di denaro (o altri beni fungibili) al mutuatario, che si obbliga a restituire altrettanto dello stesso genere e quantità . Il mutuo può essere oneroso (con interessi) o gratuito (infruttifero). Si perfeziona con la consegna del denaro. | Un prestito tra privati è valido anche senza interessi (il creditore non percepisce reddito). Civilmente non serve atto scritto, ma è consigliato farlo. Ai fini fiscali, sapere che il mutuo può essere infruttifero legittimamente è il presupposto per opporsi a contestazioni: se ben documentato, un prestito genuino non genera reddito imponibile per il creditore né per il debitore. |
Art. 1815 c.c. (Interessi sul mutuo) | Codice Civile – Obbligazioni | Se non si pattano interessi, il mutuo si presume gratuito (niente interessi dovuti) . Eventuali interessi usurari sono nulli. | Conferma la liceità del prestito senza interessi. Attenzione: per evitare che il Fisco presuma interessi legali non dichiarati, è opportuno indicare espressamente nel contratto che è “infruttifero” . In generale, nessun reddito da dichiarare per il creditore se il prestito è gratuito; eventuali interessi pattuiti invece vanno dichiarati. |
Art. 782 c.c. (Forma della donazione) | Codice Civile – Contratti | La donazione richiede l’atto pubblico notarile (salvo donazioni di modico valore) a pena di nullità . | Un trasferimento di denaro senza obbligo di restituzione è una donazione. Se di importo non modico e fatta senza notai (spesso mascherata da “prestito”), è civilmente nulla e fiscalmente rischiosa: l’Agenzia può contestarla come liberalità non dichiarata . Difesa: Meglio formalizzare davvero come donazione (spesso esente entro franchigia) piuttosto che simulare un prestito, perché simulare espone a sanzioni . |
Art. 32, co.1 n.2, DPR 600/1973 (Indagini finanziarie) | Accertamento fiscale – Imposte sui redditi | Presunzione legale relativa: i versamenti su conti correnti, se il contribuente non ne prova la provenienza non tassabile, sono considerati redditi occulti sottratti a imposizione . (Vale anche per prelevamenti non giustificati nei conti di imprenditori, secondo la Consulta ). | È la base degli accertamenti bancari: l’Agenzia può riprendere a tassazione qualsiasi entrata sul conto non supportata da prova. Applicazione: se ricevo €50.000 e lo chiamo “prestito”, devo esibire contratto e tracce bancarie. Onere della prova a carico del contribuente . Se mancano pezze giustificative, quell’importo verrà tassato (es. come reddito diverso non dichiarato) con sanzioni. |
Art. 37, co.3, DPR 600/1973 (Interposizione fittizia) | Accertamento fiscale – Redditi | In caso di interposti fittizi (prestanome, trust fittizi ecc.), i redditi si considerano prodotti dal beneficiario effettivo . | Il Fisco guarda alla sostanza: un prestito tramite terzi sospetti (es. fiduciaria estera o trust riconducibili al contribuente) verrà ignorato come tale e trattato come reddito proprio del contribuente . Nota: spetta al Fisco dimostrare l’interposizione, ma se ci riesce, il prestito “da sé a sé” viene tassato (es. come reddito estero non dichiarato, o come utili occultamente distribuiti). |
Art. 10-bis L. 212/2000 (Abuso del diritto, ex art.37-bis DPR 600) | Accertamento fiscale – Elusione | Consente di disconoscere vantaggi fiscali indebiti derivanti da operazioni prive di sostanza economica, effettuate principalmente per evadere/eludere . | Usato per riqualificare prestiti simulati: es. un prestito infruttifero usato solo per evitare imposte sarà considerato per quel che è (dividendo occulto, reddito non dichiarato, donazione) . Difesa: dimostrare che il prestito aveva ragioni economiche genuine (esigenze reali di liquidità) e che non ha prodotto un vantaggio fiscale rilevante . L’Agenzia deve seguire la procedura (contraddittorio specifico sull’abuso) pena nullità. |
Art. 53 Cost. (Capacità contributiva) | Principio costituzionale – Fisco | Le tasse devono colpire ricchezza effettiva (“capienza economica”) di ciascuno . Vietata imposizione su basi fittizie. | È il fondamento per tassare la sostanza oltre la forma (lotta a evasione/elusione) . Ma tutela anche il contribuente: tassare un prestito vero e restituito equivarrebbe a tassare un flusso meramente temporaneo, in contrasto col principio che si tassano solo incrementi di ricchezza effettivi. In causa si può invocare questo principio in via equitativa . |
D.Lgs. 74/2000 (Reati tributari: artt. 4,5,10,11 ecc.) | Diritto Penale Tributario | Prevede reati per dichiarazioni infedeli (art.4), omesse (art.5), frodi fiscali (art.3 per artifici, art.10 per fatture false) e sottrazione fraudolenta al pagamento (art.11), ecc. Le soglie di punibilità variano (es. >€100.000 imposta evasa per dichiarazione infedele) . | Se un prestito fittizio genera evasione significativa o comporta frode/false attestazioni, scatta la dimensione penale . Esempi: utili in nero mascherati da prestiti → reato di dichiarazione infedele; documenti falsi retrodatati → reato di dichiarazione fraudolenta . Difesa: provare che il prestito era reale esclude il reato (manca l’evasione dolosa). Se invece la contestazione regge, la collaborazione (pagamento integrale del dovuto, ravvedimento) può evitare la punibilità per alcuni reati minori o attenuare la pena . |
D.Lgs. 231/2007 (Antiriciclaggio) | Norme finanziarie – Limiti al contante, registri, segnalazioni | Vietati trasferimenti in contanti ≥ €5.000 tra privati (dal 2023) . Obbligo per banche, notai etc. di segnalare operazioni anomale. | Un prestito in contanti sopra soglia comporta sanzioni amministrative a prescindere (violazione antiriciclaggio) . Inoltre, prestiti infruttiferi atipici (tra estranei, con entità estere) possono insospettire e venire segnalati come possibili schemi di riciclaggio . Best practice: evitare il contante per somme importanti e usare causali trasparenti nei bonifici (“prestito infruttifero a…”) , così da rendere chiaro subito di cosa si tratta. |
Art. 9 Tariffa Parte I, DPR 131/1986 (Registro sui mutui) | Imposta indiretta – Registro | Imposta di registro 3% sui contratti di mutuo non esenti, da registrare entro 20 giorni . Se il mutuo è stipulato per corrispondenza (lettere separate) o non registrato, l’imposta è dovuta solo in caso d’uso. | Un prestito privato può restare non registrato finché non serve, senza sanzioni . La registrazione anticipata dà però data certa (utile per opponibilità e prova) ma costa il 3%. Non registrare fa risparmiare subito, ma comporta che se dovrete produrre il contratto, pagherete 3% + sanzione (peraltro ridotta se spontaneamente tardiva) . Consiglio: per somme importanti, valutare la registrazione come “assicurazione” (es. su €20.000 la tassa è €600) . In ogni caso, ottenere la data certa via PEC, raccomandata, o notarile è essenziale. |
Perché il Fisco contesta i prestiti infruttiferi?
Un prestito infruttifero (cioè senza interessi) di per sé non genera reddito tassabile. Tuttavia, diversi fattori possono insospettire l’Amministrazione finanziaria e indurla a ritenere che quel “prestito” sia in realtà una copertura per altri fenomeni (redditi occultati, trasferimenti di ricchezza non dichiarati, ecc.). Ecco i principali motivi per cui l’Agenzia delle Entrate può contestare la genuinità di un prestito infruttifero:
- Mancanza di forma scritta: se non esiste un contratto scritto che disciplini il prestito, la posizione del contribuente è molto debole. Un prestito può anche essere verbale civilmente, ma in sede fiscale un accordo non documentato vale quasi zero. L’Ufficio tende a presumere che senza un documento firmato (meglio se con data certa) il cosiddetto prestito sia solo un pretesto inventato dopo, e dunque lo considera reddito non dichiarato .
- Movimenti finanziari non tracciabili o incoerenti: se le somme sono state trasferite in contanti o con modalità non tracciate, oppure se non c’è corrispondenza tra le date/importi del presunto prestito e i movimenti bancari, il Fisco dubiterà. Ad esempio, se sul conto appare un versamento di €20.000 e non c’è evidenza di un bonifico/assegno da un possibile creditore, la giustificazione “prestito” non è verificabile. Ogni prestito genuino lascia tracce (uscita di denaro dal conto del prestatore e corrispondente entrata sul conto del debitore). Senza tali riscontri, l’operazione appare “sospetta” . Inoltre, anche se tracciato, un flusso finanziario può risultare incoerente: ad esempio prestiti ripetuti o di importo elevato senza un’apparente giustificazione economica (perché un amico dovrebbe prestarti decine di migliaia di euro gratis, più e più volte?) vengono visti come possibili stratagemmi per mascherare qualcos’altro .
- Mancata restituzione delle somme: se a distanza di tempo manca qualsiasi prova di restituzione, nemmeno parziale, l’Agenzia inizia a pensare che forse restituzione non ce ne sarà mai. Un prestito autentico prevede che prima o poi il debitore restituisca il capitale. Se questo non avviene e non è neanche previsto in contratto (prestito “senza scadenza”), il Fisco potrebbe sostenere che in realtà si trattava sin dall’inizio di un trasferimento a fondo perduto (dunque una donazione dissimulata, o per un socio un utile anticipato) . La mancanza di piani di rimborso o scadenze è un campanello d’allarme. Certo, un prestito può essere a tempo indeterminato, ma più passa il tempo senza movimenti di ritorno, più l’Ufficio si convincerà che non era un prestito serio.
- Importi rilevanti o ripetuti tra le stesse parti: un singolo prestito di modesta entità tra familiari raramente scatena accertamenti (anche perché rientra magari nei limiti di modico valore). Ma se un soggetto riceve più volte somme ingenti da un altro (es. il figlio riceve 100.000€ l’anno “in prestito” dal padre, per 5 anni di fila), l’Agenzia potrebbe ritenere che si tratti di un meccanismo per trasferire redditi o patrimoni evitando le tasse (p.es. evitando di dichiarare un dividendo o di registrare una donazione). Prestiti ricorrenti senza chiara ragione appaiono come possibili elusioni . Anche nei rapporti socio-società, versamenti e prelievi frequenti classificati come prestiti destano sospetti di occultamento di utili o di ricavi in nero.
- Soggetti correlati o contesto elusivo: il Fisco presta particolare attenzione ai prestiti infruttiferi tra soggetti legati da rapporti economici o familiari in cui c’è potenzialmente un interesse a spostare basi imponibili. Ad es., socio e società: un socio potrebbe prelevare utili dalla società mascherandoli da prestito al socio (così evita la ritenuta sui dividendi) . Oppure una società controllante potrebbe finanziare infruttiferamente la controllata all’estero per spostare reddito. O ancora, come visto, trust e strutture estere potrebbero essere usati per schermare disponibilità. In questi casi l’Agenzia è particolarmente aggressiva: presume facilmente l’abuso del diritto. Anche un prestito tra estranei ma di importo molto elevato può sembrare poco credibile (chi presta €200k senza nulla in cambio?) a meno di giustificazioni forti – e può nascondere per esempio un pagamento in nero per una vendita, ecc. Dunque, contesti insoliti o complessi portano l’Ufficio a dubitare maggiormente della veridicità del prestito.
In definitiva, l’Agenzia delle Entrate contesta i prestiti infruttiferi quando appaiono come espedienti per ottenere liquidità evitando imposte. Il paradigma è: “nessuno regala somme ingenti senza un motivo (o un interesse)”. Se quel motivo, agli occhi del Fisco, è occultare redditi o trasferire ricchezza in modo esentasse, l’Agenzia attiverà tutti gli strumenti (presunzioni, riqualificazioni) per tassare comunque il fenomeno sostanziale, sia esso un reddito non dichiarato o una donazione non registrata . Dal canto suo, il contribuente deve essere consapevole di questo pregiudizio “antielusivo” e premunirsi: un prestito genuino non costituisce capacità contributiva (il debitore dovrà restituire la somma, il creditore non percepisce redditi), ma va dimostrato con forza e con adeguate pezze giustificative per convincere l’Ufficio .
Conseguenze dell’accertamento
Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate “non crede” al nostro prestito infruttifero e lo contesta formalmente? Le possibili conseguenze di un accertamento su prestiti ritenuti fittizi sono:
- Riqualificazione delle somme come redditi imponibili non dichiarati: l’importo “prestato” viene trattato dal Fisco come un vero reddito sottratto a tassazione. A seconda dei casi può essere inquadrato come reddito diverso per il beneficiario (se persona fisica) o come ricavo non contabilizzato (se riguarda una società) . Ad esempio, Tizio riceve €50.000 sul conto e sostiene che è un prestito dall’amico: se non convince, l’Ufficio considererà quei €50.000 reddito di Tizio (potrebbe qualificarli come “redditi diversi” ex art. 67 TUIR, o aggiungerli ai compensi professionali se Tizio ha P.IVA, ecc. a seconda della situazione). Di conseguenza Tizio dovrà pagare le imposte su quei soldi come se fossero un guadagno suo.
- Recupero a tassazione con sanzioni e interessi: sull’importo riqualificato vengono calcolate le imposte evase (IRPEF/IRES, addizionali, IVA se pertinente) e applicate le relative sanzioni amministrative per omessa/infedele dichiarazione, più gli interessi di mora maturati. Le sanzioni tributarie per redditi non dichiarati vanno generalmente dal 90% al 180% dell’imposta evasa (art.1 D.Lgs.471/97), modulabili a seconda della gravità e di eventuali attenuanti (vedremo dopo la possibile riduzione per buona fede). In breve, il contribuente si vede recapitare un avviso di accertamento in cui deve pagare: imposte arretrate + sanzioni + interessi. Importi che, per somme elevate, possono essere molto onerosi.
- Presunzione di distribuzione occulta di utili (per società): se il prestito contestato avviene tra un socio e la sua società, le conseguenze possono essere doppie. Poniamo il caso che una società abbia contabilizzato finanziamenti infruttiferi dai soci per coprire buchi di bilancio. L’Agenzia potrebbe dire: quei soldi in realtà sono utili extracontabili che i soci avevano precedentemente sottratto (magari incassi in nero) e poi “rimessi” in azienda facendoli passare per finanziamenti soci. Quindi potrebbe tassare la società per ricavi non dichiarati e al contempo considerare quei ricavi come utili distribuiti ai soci (in nero). Nelle società a ristretta base sociale, la Cassazione da tempo ammette la presunzione di utili occultamente distribuiti ai soci quando si accertano ricavi non contabilizzati . All’opposto, se il caso è che la società presta soldi al socio senza interessi, la somma potrebbe essere considerata una utilizzazione di utili societari in favore del socio: in pratica un dividendo anticipato mascherato . In tal caso il Fisco potrebbe pretendere la tassazione di un utile presunto in capo al socio (26% imposta sostitutiva sui dividendi) o contestare alla società la mancata applicazione della ritenuta sui dividendi distribuiti. In sintesi, nei rapporti socio-società, un prestito fittizio può portare a contestazioni sia in capo alla società sia in capo al socio, come utili non dichiarati.
- Imposta sulle donazioni (se configurabile liberalità): se il prestito fittizio di fatto celava una donazione (tipicamente tra parenti), l’Ufficio potrebbe (in alternativa o in aggiunta all’IRPEF) chiedere il pagamento dell’imposta di donazione sull’importo trasferito. Le aliquote variano a seconda del grado di parentela: ad esempio, 4% per linee dirette oltre la franchigia di €1.000.000; 6% tra fratelli oltre €100.000; 6% tra altri parenti fino al 4° grado oltre €100.000; 8% tra soggetti senza vincoli di parentela (nessuna franchigia) . Nell’accertamento fiscale, l’Agenzia di solito preferisce recuperare IRPEF (che spesso comporta sanzioni più pesanti e non ha soglie esenti) piuttosto che la donazione. Ma non è escluso che, soprattutto se la donazione sarebbe tassabile perché supera le franchigie, venga emesso un avviso di liquidazione per imposta di donazione. (Va detto che non è ammesso il “doppio colpo” su reddito e donazione insieme per la stessa somma: o è un reddito evaso o è una donazione tassabile, tertium non datur – il contribuente può opporsi a eventuali duplicazioni ).
- Segnalazioni antiriciclaggio e controlli patrimoniali a cascata: un accertamento su un prestito fittizio spesso porta l’Amministrazione a guardare più a fondo nella posizione del contribuente. Potrebbero scaturire segnalazioni all’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) se emergono movimenti sospetti, o comunicazioni alla Guardia di Finanza per estendere le verifiche ad altri periodi d’imposta. Inoltre, una volta “attenzionato”, il contribuente può aspettarsi una maggiore esposizione a futuri controlli su altri flussi finanziari o sul suo patrimonio. In casi gravi, se dal prestito fittizio emergono possibili reati (es. riciclaggio internazionale tramite trust), partiranno anche indagini penali parallele con sequestro di beni, ecc. Insomma, un’accusa di prestito simulato può avere effetti a catena: conviene affrontarla per tempo e con serietà, per evitare escalation.
Accertamento fiscale e strategie difensive in sede tributaria
Arriviamo al vivo del problema: il Fisco contesta il prestito infruttifero ritenendolo simulato. Tipicamente ciò avviene tramite la notifica di un avviso di accertamento per maggior reddito imponibile (o atto di contestazione per imposta di donazione). A questo punto il contribuente-debitore dovrà attivarsi tempestivamente per difendersi. Esaminiamo i passaggi chiave del procedimento e le possibili linee difensive da adottare, dal contraddittorio iniziale fino al ricorso in giudizio.
1. Fase pre-contenziosa: il contraddittorio con l’Ufficio. Spesso, prima di emettere l’accertamento, l’Agenzia invia al contribuente una richiesta di chiarimenti o un questionario (il c.d. invito al contraddittorio ex art. 5-ter D.Lgs.218/1997, obbligatorio per gli accertamenti “a tavolino” sui redditi delle persone fisiche). In tale sede viene data l’opportunità di spiegare l’origine di versamenti e prelevamenti anomali . È cruciale non ignorare queste richieste: se il contribuente non risponde o rifiuta di fornire informazioni, poi in giudizio non potrà far valere facilmente quei documenti (oltre a inimicarsi il funzionario). Inoltre il silenzio induce l’Ufficio a trarre le conclusioni più sfavorevoli. Dunque, in questa fase è bene: (a) fornire tutte le prove documentali disponibili a supporto della tesi del prestito (contratto, ricevute di bonifici, eventuali scritture private, dichiarazioni autenticate del creditore, ecc.) ; (b) se qualche documento non è immediatamente reperibile, rispondere comunque nei termini spiegando che si forniranno integrazioni appena possibile (meglio chiedere una breve proroga che restare silenti) ; (c) mantenere un atteggiamento collaborativo ma fermo sulle proprie ragioni, evitando ammissioni che possano essere travisate. Esempio: se l’Ufficio chiede “da dove proviene questo versamento di €50.000 sul suo conto?”, conviene limitarsi a dire “prestito ricevuto da X, come da contratto allegato e bonifico del… allegato”, piuttosto che divagare in spiegazioni confuse o non richieste . Mai fornire giustificazioni false o contraddittorie: mentire al Fisco è un errore gravissimo – se l’Ufficio verifica presso il presunto creditore (es. “lo zio”) e questi nega tutto, la credibilità del contribuente crolla . Molto meglio tacere su ciò che non si può provare e poi contestare eventualmente la pretesa su un piano giuridico, piuttosto che “inventare storie” che rischiano di essere smascherate (le bugie scoperte aggravano la posizione e possono perfino configurare reati di falsa attestazione o intralcio all’attività accertativa in casi estremi) .
Se le spiegazioni fornite non convincono l’Ufficio, si passerà all’emissione formale dell’atto: l’avviso di accertamento, con il quale vengono recuperate a tassazione le imposte su quei importi considerati redditi (o viene liquidata l’imposta di donazione, se il caso è trattato come liberalità). L’avviso deve essere motIVato adeguatamente, indicando i fatti, le norme e le ragioni della ripresa a tassazione . Di solito l’accertamento arriva non prima di 60 giorni dalla fine del contraddittorio (tempo durante il quale il contribuente potrebbe presentare memorie difensive), salvo casi di particolare urgenza. Una volta notificato l’atto, decorrono 60 giorni per impugnarlo.
2. Impugnazione dell’avviso – il ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Ricevuto l’accertamento, il contribuente (ora “ricorrente”) ha 60 giorni per proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale competente (cioè al giudice tributario). Nel ricorso, dal punto di vista del debitore-contribuente, sarà fondamentale impostare sia una difesa fattuale che giuridica :
- Difesa fattuale (onere della prova). Come visto, la legge pone l’onere della prova a carico del contribuente: quindi nel ricorso occorre allegare tutte le prove e le evidenze disponibili per dimostrare che la somma contestata derivava effettivamente da un prestito e non da un reddito evasO . In pratica, bisogna costruire un fascicolo probatorio solido. In particolare, è opportuno produrre:
- Il contratto di mutuo o la scrittura privata che documenta il prestito . Se già registrato all’Agenzia delle Entrate (con imposta di registro pagata) o con data certa, meglio, perché gli conferisce ufficialità . Se non era stato registrato, si può comunque allegare e specificare se la scrittura ha data certa per altra via: ad es. se fu autenticata da un notaio (non comune per i prestiti, ma possibile), oppure se esistono PEC, raccomandate o e-mail tra le parti datate da cui risulta l’accordo . Nel ricorso andrà descritto in dettaglio il contenuto del contratto: data di erogazione, importo, parti (chi presta a chi), assenza di interessi (o il tasso se invece c’era), modalità e tempi di rimborso previsti . Più il contratto appare coerente e completo, più sarà credibile. Un semplice foglio generico privo di scadenze fa sospettare che sia stato preparato dopo; viceversa un contratto che prevede ad esempio un piano di rimborso mensile o annuale, con eventuali quietanze firmate dal creditore per le rate già restituite, dà l’idea di un prestito vero e proprio . Insomma forma e sostanza devono combaciare: se davvero era un prestito, un minimo di formalizzazione ci si aspetta.
- Le prove dei trasferimenti finanziari: copie dei bonifici, degli assegni, o estratti conto da cui risultino l’erogazione del prestito e – possibilmente – la sua restituzione (anche parziale) . La causale del bonifico è cruciale: se sul bonifico c’è scritto “prestito infruttifero a favore di X” oppure (nel movimento opposto) “restituzione prestito del [data]”, è un riscontro immediato e forte . Se invece i movimenti sono avvenuti in contanti, la difesa si complica: occorre almeno dimostrare che il presunto creditore ha effettuato un prelievo in contanti in una data prossima a quella in cui il debitore ha ricevuto il denaro. Ad esempio, Tizio sostiene di aver ricevuto €10.000 in contanti dall’amico Caio il 5 marzo: sarebbe utile mostrare che Caio il 4 marzo prelevò €10.000 dal suo conto (o li aveva in casa da una precedente fonte lecita) . Questa concomitanza darebbe credibilità. È chiaro che pagamenti tracciabili sono sempre preferibili anche in ottica probatoria .
- Documentazione aggiuntiva: eventuali e-mail, lettere o messaggi tra le parti da cui emerga la volontà di prestito; dichiarazioni rese dal creditore in altre sedi (ad esempio un atto notarile dove si menziona che certa somma era un finanziamento); delibere societarie se il prestito è tra socio e società; copia dei bilanci societari che riportano quel finanziamento tra le passività . Ogni elemento che corrobori la versione va prodotto. Le dichiarazioni unilaterali di terzi (es. un foglio firmato dal creditore che attesta “ti ho prestato i soldi”) hanno valore limitato, ma se non si dispone di altro possono comunque essere allegate – magari in forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio firmata dal creditore, in cui questi conferma di aver prestato €X in data Y a titolo di mutuo infruttifero, ecc. . Anche se da sola non prova tutto, una dichiarazione del genere entra nel fascicolo e, se il Fisco non la smentisce con altri elementi, può contribuire a convincere il giudice. Ancora meglio sarebbe far comparire il creditore come teste in giudizio: il processo tributario formalmente non ammette prova testimoniale orale, ma è possibile produrre dichiarazioni giurate rese dal creditore davanti a un notaio o all’autorità giudiziaria (questa è una prassi usata, ad es. si allega l’affidavit del creditore) . In alcuni casi, i giudici tributari consentono persino l’esame testimoniale in forma scritta se lo ritengono opportuno – è raro, ma non impossibile. In sintesi, portare la voce del creditore nel processo in qualche modo aiuta, pur sapendo che la Cassazione non considera determinanti le sole dichiarazioni di terzi non suffragate da altro .
- Prova della capacità finanziaria del prestatore: questo aspetto è spesso determinante. Se Tizio (debitore) afferma di aver ricevuto €100.000 di prestito da Caio, ma Caio è un pensionato con reddito di €15.000 annui e nessun patrimonio noto, è poco credibile che avesse tutta quella somma da prestare. Il Fisco e i giudici guardano anche a questo: il mutuante aveva i mezzi per dare in prestito tale importo? . Dunque, fornire evidenza che il creditore aveva disponibilità lecita di quella somma (ad es. perché ha venduto un immobile, o aveva risparmi accumulati, o ha disinvestito titoli) rende l’operazione molto più credibile . Talvolta l’Agenzia contesta i prestiti infruttiferi anche in capo al prestatore, soprattutto se questi è a sua volta sotto controllo: c’è il rischio di un doppio fronte, col creditore che riceve domande su dove ha preso i soldi (per escludere che fossero in nero) e il debitore che deve provarne la natura di prestito . Se creditore e debitore sono collaborativi tra loro, è bene coordinare le difese presentando un quadro coerente e incrociato (ad es. il creditore dimostra il suo esborso e il debitore la ricezione e l’uso) .
- Avvenuta restituzione (anche parziale): se il prestito – in tutto o in parte – è stato effettivamente rimborsato al creditore, ciò è un indizio fortissimo della sua genuinità . Pensiamoci: un reddito o una donazione non verrebbero mai restituiti al mittente; invece la restituzione è proprio ciò che ci si aspetta da un prestito. Quindi, se avete già rimborsato (ad esempio) metà della somma, esibite le contabili dei bonifici di rimborso o le quietanze firmate dal creditore . In un caso reale, una Commissione Tributaria Regionale aveva dato molto peso al fatto che i prestiti tra privati contestati fossero poi stati integralmente restituiti, ritenendo infondata la tesi dell’Ufficio che li vedeva come ricavi in nero; la Cassazione (ord. n. 21546/2021) ha cassato quella sentenza per ragioni procedurali di riparto dell’onere della prova, ribadendo che spetta al contribuente fornire prova rigorosa , ma non ha negato la rilevanza dell’avvenuta restituzione – anzi, ha suggerito che in sede di rinvio il giudice dovrà valutare con attenzione tutta la documentazione prodotta, compresa la restituzione . Pertanto, poter dimostrare che il prestito era vero anche perché in fatto il debitore lo ha restituito (o sta restituendo secondo le scadenze) è un grande punto a favore. Da un punto di vista giuridico sostanziale, si può persino argomentare che se il capitale è stato interamente restituito, nessun arricchimento rimane in capo al debitore, quindi tassare quell’importo equivarrebbe a tassare un flusso meramente temporaneo, in contrasto con il principio di capacità contributiva (art.53 Cost.) . Questa argomentazione equitativa non è prevista espressamente dalla legge (che con l’art.32 DPR 600/73 di fatto consente di tassare redditi anche solo presunti, salvo prova contraria), ma può avere una presa morale sul giudice , specie se la buona fede del contribuente è evidente (un giudice ben disposto potrebbe ragionare: “in dubio pro contribuente, perché effettivamente tassare un capitale poi uscito dalle sue mani pare ingiusto”).
- Difesa giuridica. Oltre – e in subordine – alla prova fattuale, nel ricorso è bene sviluppare anche motivi di diritto, quali:
- Vizi dell’atto e violazioni di legge sulle presunzioni: verificare se l’Ufficio ha rispettato i limiti legali nell’applicare le presunzioni. Ad esempio, si può eccepire violazione dell’art. 32 DPR 600/73 o dell’art. 2697 c.c. (onere della prova) se l’accertamento ha preteso di invertire indebitamente la prova a carico del contribuente oltre quanto la norma consente . In concreto, l’atto impositivo deve indicare quali versamenti specifici considera non giustificati e su che base: spesso gli avvisi “bancari” elencano analiticamente i movimenti contestati; se così non fosse (se ad es. l’atto dice solo “abbiamo riscontrato versamenti non giustificati per €100.000” senza dettagli), si può eccepire nullità per difetto di motivazione, cioè mancata indicazione puntuale dei presupposti di fatto . Inoltre, se durante il contraddittorio il contribuente ha fornito spiegazioni e l’Ufficio le ha rigettate senza motivare adeguatamente il perché non le ritiene probanti, ciò può costituire un vizio di motivazione o un errore di diritto (ad es. se ha preteso prove impossibili, o ha ignorato prove validamente offerte) . Proprio il caso dell’ordinanza Cass. 21546/2021: la Suprema Corte ha censurato la CTR che aveva troppo facilmente ritenuto sufficiente un “incipit di prova” del contribuente e preteso dall’Ufficio ulteriori indagini – i giudici di legittimità hanno ribadito che no, è il contribuente che deve dare prova piena e rigorosa (quindi la CTR aveva invertito l’onere indebitamente) . Ma attenzione: ciò vale dopo che l’Ufficio ha chiaramente indicato gli elementi contestati. Se l’accertamento fosse stato emanato senza invitare al contraddittorio quando obbligatorio, o senza attendere 60 giorni dal P.V.C. se dovuto, si può eccepire anche violazione dello Statuto del Contribuente (art.12, c.7 L.212/2000 o art.5-ter cit.) . Insomma, esaminare tutti i possibili vizi formali e sostanziali dell’operato dell’Agenzia: a volte, un vizio procedurale (notifica errata, termini non rispettati, motivazione carente) può far annullare l’atto senza nemmeno entrare nel merito.
- Carenza dei presupposti dell’abuso del diritto: se nell’atto l’Agenzia ha fatto riferimento all’abuso del diritto (art.10-bis) per riqualificare il prestito, occorre contrastare tale impostazione dimostrando che l’operazione aveva sostanza economica e ragioni extrafiscali reali e non marginali . Ad esempio: “Non c’era alcun intento di donare occultamente: ho effettivamente richiesto e ottenuto la restituzione delle somme, come provato dai bonifici allegati. Lo scopo era di aiutare temporaneamente mio figlio a comprare casa, non di eludere imposte”. Oppure, se contestano un prestito socio-società come elusivo: “Il finanziamento era giustificato da esigenze finanziarie dell’azienda; la scelta di non applicare interessi derivava dai rapporti interni (socio di maggioranza che non voleva gravare la società di costi), non da intento evasivo – tra l’altro, se avessi applicato interessi li avrei dedotti in società e tassati come reddito di capitale per il socio, con effetto fiscale neutro nel complesso” . In altri termini, evidenziare che non c’è stato alcun vantaggio fiscale indebito dall’operazione, oppure che era talmente irrilevante da non poter essere considerato il motivo principale. Ciò svuota l’accusa di abuso. Inoltre, verificare se l’Ufficio ha seguito la procedura corretta per contestare l’abuso (deve aver emesso un apposito avviso di accertamento motivato dopo aver dato modo di rispondere): in caso contrario la contestazione potrebbe essere nulla.
- Inapplicabilità dell’imposta di donazione (se l’atto l’ha prevista): se l’Agenzia, convinta che fosse una liberalità, invece di (o oltre a) tassare come reddito ha notificato un avviso di liquidazione per imposta di donazione, il contribuente può difendersi sostenendo che non vi è stata donazione ma mutuo vero (vedi sezione Donazione o prestito? più avanti) . Ad esempio: “La donazione implica arricchimento senza obbligo di restituzione; qui invece l’obbligo di restituzione c’era ed è stato almeno in parte adempiuto, dunque non è tassabile come donazione”. Inoltre si può far notare che, anche volendo qualificare come donazione indiretta, per legge queste scontano imposta solo se emergono da atti soggetti a registrazione (art.1, co.4-bis D.Lgs.346/90); se invece – come di solito – non c’è un atto pubblico, non è recuperabile a tassazione una donazione indiretta non formalizzata, specie se rientra nelle franchigie esenti . (Su questo punto ci sono orientamenti diversi, ma è un argomento plausibile). Come detto, l’Agenzia spesso preferisce la strada dell’IRPEF – però bisogna essere preparati su entrambi i fronti, nel caso abbia tentato il recupero anche di imposta di donazione.
- Proporzionalità e capacità contributiva (argomento equitativo): come chiosa finale, si può invocare il principio di proporzionalità del prelievo rispetto alla capacità contributiva (art.53 Cost.). In sostanza: tassare un prestito reale equivale a colpire un patrimonio che poi deve essere restituito, quindi punire un arricchimento che in realtà non c’è o è solo provvisorio, il che va contro i principi generali . Ad esempio, se fosse ormai pacifico che il contribuente ha restituito la somma al suo amico, si può insistere sul fatto che l’IRPEF dovrebbe colpire solo arricchimenti stabili e definitivi – questo può far breccia nella coscienza del giudice . Benché non sia un motivo tecnico sufficiente da solo ad annullare l’atto, può orientare l’interpretazione delle prove in dubbio a favore del contribuente (in dubio pro contribuente), data l’anomalia di tassare un capitale poi uscito dalla disponibilità del soggetto.
Nel giudizio davanti alla Commissione (Corte Giustizia Tributaria), è importante strutturare bene il ricorso, esponendo in maniera chiara i fatti (cronologia del prestito, utilizzo delle somme, rapporti tra le parti) e inserendo richiami alle sentenze di legittimità che avvalorano la tesi del contribuente. Ad esempio, si potrebbe citare Cass. n. 10480/2018 dove la Corte afferma che il giudice di merito deve verificare con rigore l’efficacia probatoria delle prove contrarie fornite dal contribuente per ogni movimento contestato . Oppure Cass. n. 6405/2021 che ribadisce come non siano ammissibili (a superare la presunzione) prove meramente orali o dichiarazioni di comodo di terzi, facendo capire in controluce che servono documenti attendibili e riscontri oggettivi . Inserire massime giurisprudenziali pertinenti aiuta a dare autorevolezza all’impugnazione e a “istruire” il giudice sulla corretta applicazione delle regole di prova in casi simili.
- Esonero o riduzione delle sanzioni (buona fede e incertezza): va menzionato infine che, se il contribuente dimostra la propria buona fede e l’assenza di frode (era convinto della legittimità fiscale del prestito, ha agito in trasparenza), potrebbe chiedere l’annullamento o la riduzione delle sanzioni amministrative per obiettiva incertezza o errore scusabile. In generale, le sanzioni per infedele dichiarazione possono essere escluse se la violazione è dovuta a condizioni particolari non imputabili al contribuente (art.6 D.Lgs.472/97). Non è facile far riconoscere questa esimente nei casi di accertamenti bancari, ma – ad esempio – se la somma era davvero un prestito genuino e l’“errore” del contribuente è stato solo formale (non aver messo data certa, aver ignorato di dover conservare meglio le prove), alcuni giudici mostrano maggiore indulgenza sulle sanzioni . Magari confermano la maggiore imposta ma annullano le sanzioni o le riducono al minimo, riconoscendo la buona fede. Questo soprattutto se il contribuente, prima di qualsiasi controllo, ha spontaneamente cercato di regolarizzare – ad esempio registrando tardivamente il contratto e versando l’imposta di registro, magari mediante ravvedimento: segnali di condotta che denotano volontà di fare le cose per bene . Anche il pagamento immediato dell’importo accertato, qualora si scelga di definire in acquiescenza, può ridurre le sanzioni a 1/3. In sintesi, far emergere che non c’è stata volontà di frode ma al più un errore tecnico può aiutare a mitigare le penalità.
- Importanza della consulenza tecnica: data l’alta tecnicità della materia, è fortemente consigliabile affidarsi a professionisti esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale. Un avvocato tributarista o commercialista esperto può individuare vizi formali dell’atto che sfuggono al profano, conoscere precedenti favorevoli (magari proprio con quella Direzione Provinciale o su casi analoghi) , e in generale preparare il caso in modo efficace. Considerando che spesso in ballo ci sono decine (se non centinaia) di migliaia di euro tra imposte e sanzioni, l’investimento in una buona difesa specialistica è di norma giustificato . Inoltre, nel contenzioso tributario esistono tecnicismi procedurali (formulazione dei motivi di ricorso, domande di sospensione, istanze istruttorie) dove l’assistenza tecnica fa davvero la differenza.
In sintesi, in sede contenziosa la difesa ruota attorno ad un asse portante: dimostrare la natura di vero prestito dell’operazione . Tutto ciò che conferma l’effettività del prestito va messo in luce (documenti preesistenti, tracce bancarie, rimborsi effettuati), e tutto ciò che mina la ricostruzione fiscale va contestato (errori procedurali, forzature interpretative) . Con un dossier probatorio ben congegnato, è possibile vincere la presunzione e ottenere l’annullamento dell’accertamento. Viceversa, se le prove sono scarse o contraddittorie, le chance di successo diminuiscono sensibilmente.
Profili penali: quando un prestito “fittizio” può portare a reato
Oltre alle conseguenze tributarie (pagamento di imposte, sanzioni e interessi), i prestiti infruttiferi fittizi possono talvolta sfociare in responsabilità penali tributarie a carico del contribuente (e/o di eventuali consulenti che abbiano agevolato la frode) . È una situazione relativamente rara, che si verifica solo per i casi più gravi, ma va conosciuta. Vediamo brevemente i possibili reati configurabili e come difendersi sul piano penale:
- Evasione fiscale rilevante – Dichiarazione infedele od omessa: se le somme non dichiarate che il Fisco riqualifica a tassazione sono particolarmente ingenti, potrebbero superare le soglie di punibilità del D.Lgs.74/2000. In particolare, il reato di dichiarazione infedele (art.4) scatta se l’imposta evasa supera €100.000 in un periodo d’imposta e l’ammontare degli elementi attivi sottratti a tassazione eccede il 10% di quanto dichiarato (o comunque €2 milioni) . Un prestito “finto” di importo elevato potrebbe dunque far scattare, oltre alla pretesa fiscale, una denuncia penale se ha comportato un’evasione oltre soglia. Analogamente, l’omessa dichiarazione (art.5) è reato se non si è presentata proprio la dichiarazione dei redditi e sono dovute imposte oltre €50.000. Difesa: in tali casi la miglior difesa è dimostrare l’assenza del fatto: se si prova che il prestito era reale e dunque non vi era reddito nascosto, viene a mancare il presupposto dell’evasione. Diversamente, se il giudice penale ritiene che il prestito fosse simulato e servisse a occultare redditi, il reato può configurarsi. Va detto che, data la natura delle presunzioni fiscali, spesso nel processo penale è richiesta prova più solida di quella sufficiente in sede tributaria: può capitare che il contribuente venga assolto in sede penale per insufficienza di prove del reato, ma ciò non implica automaticamente l’annullamento dell’accertamento tributario (dove bastano indizi gravi, precisi e concordanti) . Tuttavia, se nel penale emerge evidenza chiara che c’era un contratto vero e una restituzione, ciò può riflettersi positivamente anche sul contenzioso fiscale.
- Evasione con artifici fraudolenti – Dichiarazione fraudolenta (art.3 D.Lgs.74/2000): è l’ipotesi più grave, punita fino a 8 anni, e ricorre se il contribuente pone in essere artifici fraudolenti per evadere. L’utilizzo di documenti falsi o di simulazioni rientra qui. Ad esempio, se si falsifica retroattivamente un contratto di prestito apponendo una data antecedente (per farlo sembrare stipulato in passato), oppure se si orchestrano schemi complessi (società schermo, conti esteri intestati a prestanome) per creare l’apparenza di un prestito, si rischia l’accusa di dichiarazione fraudolenta mediante artifici . Difesa: in tali casi, la strategia è più difficile. Si può tentare di sostenere che non vi fu dolo intenzionale di ingannare il Fisco – ad esempio evidenziando che la scrittura privata, pur non registrata, era genuina e non creata ad arte dopo (se davvero lo era), oppure che le operazioni sottostanti (es. un trust estero) avevano anche scopi leciti non fiscali. Spesso però, se l’impianto accusatorio di frode regge (es. prestanome inconsapevoli, false causali smascherate), diventa arduo difendersi, se non cercando di smontare uno ad uno gli elementi di prova e puntando su eventuali errori procedurali. In situazioni del genere, più che l’assoluzione piena, l’obiettivo realistico può diventare negoziare una pena ridotta (si veda il patteggiamento infra) e soprattutto evitare conseguenze patrimoniali eccessive (sequestri, confische).
- Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11 D.Lgs.74/2000): questo reato scatta se, dopo che un’imposta è dovuta (ad es. dopo la notifica di un accertamento o di una cartella), il contribuente compie atti fraudolenti per evitare la riscossione, come simulare cessioni di beni o creare vincoli fittizi. Nel contesto dei prestiti infruttiferi, si potrebbe configurare se, ad esempio, dopo un accertamento il contribuente trasferisce il proprio denaro a un terzo simulando un debito (un finto “prestito da restituire”) per non farsi pignorare i fondi dal Fisco . Difesa: anche qui la chiave è la simulazione: se il prestito è genuino e anteriore, non è reato; se invece è creato ad hoc come schermo per sottrarre beni alle pretese erariali, allora ricade nell’art.11. La difesa consisterebbe nel dimostrare la realtà dell’operazione o comunque l’assenza dell’intento di sottrazione (es. provando che quel trasferimento di fondi aveva ragioni precedenti e indipendenti dal sopraggiunto debito fiscale) . Da notare: l’art.11 punisce comportamenti successivi all’imposizione, dunque è un reato diverso dalle frodi dichiarative; ma in pratica se uno simula prestiti per rendersi insolvibile, di solito emergono anche evasioni a monte.
In generale, se un accertamento fiscale sfocia nel penale, la strategia difensiva deve coordinarsi su entrambi i fronti. Spesso conviene definire l’accertamento con pagamento, se possibile, perché l’integrale pagamento delle imposte, sanzioni e interessi prima del giudizio penale può costituire una causa di non punibilità per alcuni reati tributari. In particolare, l’art. 13 D.Lgs.74/2000 prevede che per i reati di omessa dichiarazione e dichiarazione infedele il pagamento integrale del debito tributario (imposte + interessi + sanzioni) estingue il reato se avviene prima dell’apertura del dibattimento . Per la dichiarazione fraudolenta, invece, il pagamento evita solo l’aggravante ma non estingue il reato . Quindi, ad esempio, un contribuente imputato di dichiarazione infedele può evitare la pena se – magari grazie anche alla definizione agevolata in sede amministrativa – paga tutto e chiude il conto col Fisco. Questa è un’informazione strategica: a volte, pur di evitare la macchia penale, conviene “rassegnarsi” a pagare il Fisco, sfruttando poi l’effetto premiale penale . Ovviamente ogni decisione va presa con l’assistenza di un avvocato penalista esperto in materia tributaria.
In conclusione, un prestito infruttifero fittizio può rappresentare ben più di un problema fiscale: può configurare frodi tributarie punite severamente . Dal punto di vista del contribuente, la regola d’oro è evitare comportamenti che possano apparire come artifici ingannevoli. Se si è in buona fede, occorre dimostrarlo con trasparenza già in sede fiscale (meglio eccedere in documentazione che lasciare dubbi); se invece si è effettivamente usata la scusa del prestito per evadere, bisogna essere consapevoli che le conseguenze penali rischiano di sommarsi a quelle finanziarie, e la via d’uscita sarà spesso negoziale (patteggiamento, pagamento del dovuto con attenuanti) più che assolutoria . In questi frangenti, farsi assistere da professionisti qualificati (tributaristi e penalisti) è imprescindibile.
Come prevenire le contestazioni: consigli pratici e adempimenti formali
La migliore difesa è senza dubbio la prevenzione. Evitare di incorrere in accertamenti – o, qualora ciò non sia possibile, farsi trovare preparati con la documentazione in regola – può fare la differenza. Di seguito un elenco di best practice e accorgimenti concreti, frutto dell’esperienza pratica sul campo, per gestire correttamente i prestiti infruttiferi:
- Formalizzare sempre il prestito per iscritto. Anche se la legge, come visto, non richiede la forma scritta ad substantiam, in caso di somme rilevanti tra soggetti non conviventi è obbligatorio de facto redigere una scrittura privata firmata da entrambe le parti. Nel documento indicate chiaramente: l’importo erogato, la data di erogazione, la modalità (bonifico, assegno, contanti), la dichiarazione di infruttuosità (cioè che non sono dovuti interessi) e le scadenze/modalità di restituzione (es.: “il mutuo sarà restituito entro il 31/12/2026 in un’unica soluzione” oppure “in 24 rate mensili da €X a partire da…”) . Questa scrittura costituisce la vostra prima linea di difesa. Non è necessario autenticare dal notaio (il che comporterebbe imposta di registro immediata), basta una doppia firma originale. Se possibile, fate almeno una copia per parte e ciascuna parte spedisca la copia all’altra con raccomandata A/R: il timbro postale darà data certa (conservate le buste!) . Anche una PEC può attribuire data certa (inviando il PDF del contratto con firme digitali, o scansionato con firma autografa). Insomma, trovate un modo per poter dimostrare che quel contratto esisteva già al momento in cui il denaro ha cambiato mano. Se la somma è molto elevata o il rapporto tra le parti è tale che potrebbero sorgere contenziosi, valutate seriamente di registrare il contratto presso l’Agenzia delle Entrate, pagando la relativa imposta (3%): avrete certezza di data e opponibilità erga omnes . Se non volete registrare subito, almeno predisponete la scrittura con i crismi sopra detti e datela a qualcuno di fiducia o inviatevela per raccomandata, così da poter dimostrare la data di formazione.
- Usare metodi di pagamento tracciabili e indicare la causale. Evitate assolutamente di dare/ricevere grosse somme in contanti. Oltre a violare le norme antiriciclaggio se sopra soglia (attualmente €5.000 dal 2023) , il contante è opaco e vi costringerà poi a onerose giustificazioni retroattive (come visto, dover dimostrare i prelievi combacianti, ecc.). Preferite sempre bonifico bancario o assegno, indicando chiaramente nella causale la ragione: es. “prestito infruttifero da Tizio a Caio, data XX/XX/XXXX”, oppure “finanziamento soci infruttifero”, o “restituzione prestito del… rif. contratto del…”. Queste diciture, che magari all’epoca sembrano superflue, diventano oro in caso di controlli futuri: permettono al funzionario di collegare immediatamente quel movimento al contratto di mutuo che gli esibirete . Viceversa, un bonifico ricevuto con causale vuota o generica (tipo “giroconto” o “trasferimento fondi”) vi obbligherà a spiegazioni aggiuntive e potrebbe far dubitare della reale natura. Quindi, massima trasparenza nelle causali. Se usate assegni, specificate l’uso: nell’assegno non c’è causale, ma potete scrivere “prestito infruttifero” nella lettera di trasmissione o nella girata per incasso.
- Tenere separati i conti personali e aziendali. Se siete imprenditori o professionisti con conti dedicati all’attività, non mescolate operazioni personali su conti aziendali (e viceversa). Ad esempio, se i vostri genitori vi prestano dei soldi per la casa, non fateveli versare sul conto della ditta individuale o sul conto dello studio: sarebbe complicato poi giustificarlo e il Fisco potrebbe considerarlo ricavo non dichiarato dell’attività. Ogni conto dovrebbe riflettere solo le operazioni pertinenti. Idem all’interno della famiglia: se avete conti cointestati con il coniuge o i figli, annotate sempre la provenienza di versamenti inconsueti (specie se uno solo dei cointestatari ha redditi). La chiarezza contabile è la prima prevenzione: ciò che non confonde, non insospettisce. In sintesi, evitate promiscuità finanziarie: un funzionario che vede soldi entrare su un conto aziendale penserà subito a ricavi, anche se voi dite che era un aiuto di papà per pagare i dipendenti. È un’inutile complicazione che può portare a contestazioni.
- Documentare subito ogni entrata straordinaria. Se ricevete una somma cospicua una tantum, non aspettate che passino gli anni: predisponete immediatamente un documento giustificativo di quell’entrata. Esempio tipico: la nonna vi regala €20.000 e decidete di intenderli come prestito da restituire in futuro. Ebbene, fate firmare alla nonna (o scrivete voi e fatele firmare) una breve dichiarazione: “Io sottoscritta [Nome nonna], consegno a mio nipote [Nome] in data [X] la somma di €…, a titolo di prestito infruttifero, che sarà restituita quando possibile”, allegando fotocopia del documento di identità della nonna . Questo foglio, conservato nel cassetto, vi metterà al riparo quando fra magari 5 anni l’Agenzia vi chiederà “da dove provenivano quei €20.000 accreditati nel 2025?”. Se invece la volontà reale era di donare, meglio ancora: fate un atto di donazione formale (tra nonna e nipote c’è franchigia €100.000 e aliquota 4%, probabilmente non pagherete nulla) . L’importante è non lasciare vuoti narrativi: ogni flusso di denaro inusuale deve avere un pezzo di carta a supporto.
- In caso di controllo, giocare d’anticipo. Non appena venite a sapere che il Fisco sta per controllare i vostri conti (es. vi arriva comunicazione che la Guardia di Finanza chiede i vostri estratti conto in banca), iniziate a prepararvi. Ricostruite uno schema di tutti i movimenti per anno: fatevi una tabella vostra con data – importo – segno (+/–) – causale effettiva – giustificazione/prova disponibile. In pratica, anticipate il lavoro del verificatore. Così, quando sarà il momento di rispondere, potrete consegnare un memorandum completo: “Vede, questo bonifico del 10/10 è un prestito da mio padre, come da contratto allegato; quest’altro del 20/11 è il rimborso di un’assicurazione; questo prelievo del 5/3 sono soldi che ho prestato a Tizio, ecco la prova della restituzione…” . In questo modo guiderete l’ispettore nella lettura dei dati, e dimostrerete un atteggiamento collaborativo. Se poi l’Ufficio ignorasse le vostre spiegazioni senza confutarle, ciò vi tornerà utile in contenzioso come difetto di motivazione dell’atto (potrete dire: “avevo dettagliatamente spiegato ogni movimento, l’Ufficio non ha considerato né contestato specificamente le mie prove”) .
- Non intestare fittiziamente conti o beni. Vale la pena ribadirlo: mettere case, auto o conti a nome di altri per sfuggire al Fisco è un gioco pericoloso. Se scoperti, si aggrava enormemente la propria posizione. Non solo si pagherà comunque l’imposta evasa, ma ci si esporrà a sanzioni aggiuntive (amministrative e penali) per aver tentato di ostacolare l’accertamento . Oggi l’Amministrazione finanziaria dispone di banche dati incrociate sui titolari effettivi (anche grazie al Registro titolari effettivi e alle norme antiriciclaggio) . Quindi, ad esempio, far comparire il proprio conto bancario come intestato solo al coniuge o al figlio non mette affatto al sicuro: in caso di contestazioni, l’art.37 co.3 consente di guardare attraverso e attribuire al disponente effettivo. Come regola generale, tenete presente: se qualcosa è vostro, dichiaratelo; se non volete dichiararlo, non fatelo apparire con un semplice schermo intestato a terzi, perché ormai gli strumenti per “vedere attraverso” esistono e vengono usati .
- Coerenza e veridicità nelle spiegazioni. Se siete sotto verifica, ogni affermazione deve essere accurata e verificabile. Evitate spiegazioni contraddittorie o improvvisate. Esempio di cosa non fare: prima dite che un certo versamento è “prestito di mio zio”, poi magari dai documenti salta fuori che i fondi provenivano da un conto di vostra moglie – avete appena peggiorato le cose, dimostrando incoerenza e forse malafede . Meglio ammettere di non avere al momento tutti i dettagli e chiedere tempo, piuttosto che fornire risposte avventate. Ogni discrepanza verrà evidenziata a vostro sfavore e ridurrà la credibilità di tutto l’impianto difensivo. Se proprio non avete prove su un movimento, potete provare a sollevare questioni di diritto (es. “la presunzione non può applicarsi perché è trasferimento infraconto/personale” ecc.), ma non inventate prove inesistenti. E se qualcosa non torna, è preferibile un silenzio strategico (per non mentire) associato alla contestazione giuridica della presunzione, piuttosto che una bugia che verrà scoperta .
- Rispetto dei termini e completezza delle memorie. Durante tutto il procedimento amministrativo, rispettate scrupolosamente i termini per presentare memorie, integrazioni, richieste. Se ad esempio ricevete un Processo Verbale di Constatazione (PVC) dalla Guardia di Finanza, avete 60 giorni per presentare osservazioni: fatelo e usate quello spazio per allegare documenti, spiegare la vostra versione, segnalare eventuali errori dei verificatori . Giocarsi tutte le carte già in fase amministrativa non è un male: se convincono il Fisco, l’accertamento potrebbe essere archiviato in autotutela; se non convincono, le riutilizzerete in giudizio. In ogni caso avrete mostrato di aver fatto tutto il possibile per chiarire – il che è ben visto dai giudici (che spesso penalizzano invece chi in contraddittorio tace e poi tira fuori le prove solo in giudizio). Tenete presente che nuovi documenti in appello potrebbero non essere ammessi se l’Amministrazione li aveva espressamente richiesti prima e voi non li avevate forniti senza motivo (art. 58 D.Lgs.546/92 limitato dalla riforma 2015) . Quindi non “nascondete le carte” strategicamente sperando di giocarle all’ultimo: rischiate di non poterle usare affatto. Meglio presentare tutto subito e semmai ribadire dopo.
Seguendo questi principi, ridurrete drasticamente la probabilità di un accertamento fiscale sfavorevole sui vostri prestiti. La chiave è documentare, tracciare e conservare. Un prestito tra privati, se ben formalizzato e tracciato, non offre appigli al Fisco: non c’è reddito da tassare né mistero da svelare, perché tutto risulta chiaro fin dall’inizio . Viceversa, un prestito gestito con leggerezza (magari solo verbale, in contanti, tra soggetti senza stretti legami) può apparire sospetto anche quando è genuino. Ricordiamo in particolare che tra familiari i finanziamenti infruttiferi sono frequentissimi e assolutamente leciti, ma proprio per questo vanno trattati con cura per non trasformare un gesto di fiducia in una fonte di guai: mettere tutto per iscritto, anche fosse solo una paginetta, e magari registrare il contratto pagando l’imposta (spesso poche centinaia di euro) è un piccolo investimento che evita infiniti problemi . Inoltre, considerate sempre l’alternativa: se l’intento reale è di regalare la somma al figlio o al parente, forse è meglio optare direttamente per la donazione formale (nel 90% dei casi tra familiari stretti non si paga imposta perché si sta sotto la franchigia, o comunque le aliquote sono contenute) . Simulare un prestito quando in realtà non si vuole la restituzione è una strategia miope: rischia la nullità civilistica e sanzioni fiscali, quando la stessa operazione poteva essere inquadrata correttamente come donazione esente . In sintesi, onestà e trasparenza pagano sempre nel lungo periodo, specialmente col Fisco.
Di seguito presentiamo alcune tabelle riepilogative che sintetizzano i concetti chiave fin qui esposti e confrontano diverse situazioni tipiche di prestiti infruttiferi, con relativi rischi e cautele difensive.
Tabelle riepilogative
Tabella 2 – Tipologie di prestito infruttifero: rischi fiscali e difese consigliate
Prestito infruttifero tra parenti stretti (es. genitore-figlio) – Scenario: Somma di medio-grande entità (es. decine di migliaia di euro) erogata dal padre al figlio senza interessi, sulla base di un accordo informale verbale, e accreditata in un’unica soluzione sul conto corrente del figlio.
- Rischi fiscali potenziali: l’Ufficio potrebbe chiedere conto di quella provvista utilizzata magari per un acquisto (casa, auto) dal figlio. In assenza di documenti a supporto, c’è il rischio che il Fisco consideri quei soldi come reddito non spiegato del figlio (quindi imponibile) oppure come donazione nulla (per difetto di atto pubblico) e dunque riqualificarla come trasferimento a titolo gratuito occulto . Il padre, se ha disponibilità lecita, potrebbe non avere problemi immediati; ma il figlio rischia un accertamento sintetico sul tenore di vita (redditometro) o sul maggior incremento patrimoniale se l’acquisto è sproporzionato al suo reddito dichiarato . In sostanza, senza prove, il Fisco può presumere che il figlio abbia percepito un reddito in nero o che il padre gli abbia donato soldi di nascosto.
- Contromisure e difese: prima di tutto formalizzare in una scrittura privata il prestito tra padre e figlio, datata (meglio se con data certa antecedente all’erogazione) . Indicare importo, dichiarazione che è infruttifero e tempi di rimborso (anche generici). Effettuare il trasferimento con metodo tracciabile (bonifico, assegno) e specificare nella causale ad es. “prestito infruttifero a favore di mio figlio” . Se non si è registrato il contratto, almeno conservarne copie originali e magari scambiarsi raccomandate per attribuire data certa . Evitare il contante, se non per piccole somme: se proprio c’è stato passaggio in contanti (es. padre preleva e consegna), formalizzare a posteriori con una dichiarazione firmata da entrambi su quanto avvenuto e – suggerimento pratico – fare un bonifico fittizio di restituzione: es. il figlio restituisce i €10.000 via bonifico al padre indicandone la causale, e il padre poi (se serve) può ritrasferirli con bonifico, in modo da creare traccia . Inoltre, dimostrare la restituzione almeno parziale: ad esempio, se il figlio restituisce €500 al mese o ha rimborsato già una tranche, conservare tutte le ricevute e i movimenti . In caso di accertamento, esibire immediatamente il contratto scritto e le contabili bancarie relative, sottolineando il rapporto familiare e lo scopo di aiuto (tra parenti stretti è fisiologico prestarsi soldi senza interessi) . Se l’importo era molto alto e di fatto non vi è intenzione di restituzione, può essere prudente – prima che il Fisco intervenga – valutare di regolarizzare con una donazione formale: ad esempio, se il padre aveva “prestato” €200.000 al figlio ma in realtà è un regalo, tanto vale stipulare ora un atto notarile di donazione (che tra padre e figlio probabilmente è esente da imposta sotto €1.000.000) per sanare civilmente e fiscalmente la situazione . Questo toglierà terreno alla tesi del prestito simulato.
- Riferimenti utili: Prestito infruttifero documentato con contratto e movimentazioni → evita la riqualificazione come donazione simulata . La Cassazione ha riconosciuto che tra parenti stretti è plausibile un prestito gratuito, ma servono riscontri oggettivi: Cass. civ. sez. VI n. 2625/2016 ha annullato un accertamento perché in quel caso vi era data certa e movimentazione bancaria a supporto . Ricordare che una donazione non formalizzata è nulla: art. 782 c.c. (atto pubblico necessario salvo modico valore) . Quindi, se il Fisco volesse intendere la somma come liberalità, potrebbe contestarne la nullità e pretenderne la tassazione come reddito. Meglio prevenire con la corretta formalizzazione.
Prestito infruttifero tra amici/conoscenti – Scenario: Somma significativa (es. €30.000) versata tramite bonifico da un amico a un altro, senza contratto scritto, solo accordo verbale fiduciario.
- Rischi fiscali potenziali: per l’Agenzia delle Entrate è molto sospetto che due semplici conoscenti si prestino denaro senza interessi e senza formalità. Tende a valere il principio: “chi presta soldi a un amico senza chiedere nulla in cambio?”. Dunque è elevata la probabilità che, se scoperto, tale movimento venga contestato come reddito occulto per il beneficiario, a meno che questi non fornisca solide prove contrarie . L’Ufficio potrebbe insinuare che la causale reale fosse diversa: ad es. che fosse in realtà il pagamento di una prestazione in nero, una vincita da gioco d’azzardo non dichiarata, o altro. In mancanza di un vincolo familiare che giustifichi l’altruismo, il prestito tra estranei appare all’Amministrazione come un possibile escamotage. Non di rado, accrediti di decine di migliaia di euro da amici vengono ripresi a tassazione come redditi diversi (oppure, se il beneficiario ha un’attività, come ricavi) se il contribuente non prova convincentemente il contrario . In sintesi, questo è uno scenario “classico” di accertamento.
- Contromisure e difese: anche qui, scrittura privata di mutuo è essenziale. Tra amici è ancora più importante indicare un termine di restituzione o un piano rateale, per dare serietà all’operazione (simulare la formalità di un prestito bancario e renderlo credibile) . Mai usare contanti su queste cifre: se è già stato fatto senza contratto, si può ancora rimediare firmando un contratto retrodatato registrato (pagando il 3%): la registrazione tardiva darà data certa anche se la firma è posteriore (si pagherà una piccola sanzione, ma meglio che essere tassati su €30.000) . È utile dimostrare eventuali restituzioni parziali: se l’amico debitore restituisce un po’ alla volta, conservare tutte le ricevute e gli estratti conto dei pagamenti di ritorno . In sede di verifica, presentare il contratto (anche se sottoscritto a posteriori ma con data certa) e magari una dichiarazione giurata del prestatore che confermi la vicenda . Certo, come detto le dichiarazioni di terzi da sole non bastano, ma servono come appoggio se coerenti col resto . Inoltre, è furbo provare che il prestatore aveva i mezzi: es. se Caio ha prestato €30.000 a Tizio, mostrare che Caio disponeva di quei fondi (stipendio alto, vendite di beni, ecc.), perché se Caio stesso non avrebbe potuto permetterselo, il Fisco sospetterà che fossero in realtà soldi di Tizio stesso riciclati o altra provenienza illecita . Infine, evidenziare perché Caio abbia prestato a Tizio: se c’è un motivo plausibile (es. investimento comune futuro, amicizia strettissima, un accordo di collaborazione in cui Caio aiutava Tizio) è bene dirlo, per dare sostanza economica all’operazione.
- Riferimenti utili: Cass. n. 13112/2020 – onere rigoroso della prova in capo al contribuente: dichiarazioni di terzi non bastano, serve dimostrazione analitica per ogni importo contestato . Cass. n. 6405/2021 – ribadito che dichiarazioni confidenziali (tipo lettere di amici) non sono prova sufficiente, ci vogliono riscontri documentali oggettivi . Prestiti tra estranei: la giurisprudenza è più severa, tende a vedere l’abuso del diritto più facilmente perché manca l’“animus donandi” naturale dei familiari . Bisogna quindi far emergere valide ragioni economiche (non fiscali) dietro al prestito, altrimenti l’operazione apparirà elusiva. In dottrina, le Norme di comportamento AIDC n.194/2016 ammettono che anche causali extra-bilancio (corrispondenza, causali bonifici) possano bastare a provare la gratuità tra soci , ma la Cassazione preferisce prove formali robuste. In sintesi: formalità e trasparenza massime, specie tra non familiari.
Finanziamento infruttifero di un socio alla propria società – Scenario: Una società (es. S.r.l.) riceve dal socio una somma importante (es. €100.000) classificata come “finanziamento soci infruttifero”. Non c’è una delibera assembleare specifica né un contratto di mutuo, solo un generico movimento di denaro del socio verso la società, riportato magari in bilancio come debito verso soci.
- Rischi fiscali potenziali: in questi casi l’Agenzia può muovere varie contestazioni. Primo: presumere che in realtà quei soldi fossero utili già appartenenti al socio (frutto di ricavi occultati della società) poi “rimessi” in azienda, quindi trattarli come ricavi non dichiarati della società e tassarli (con effetto di imputazione di utili occulti al socio) . Cioè, il Fisco potrebbe dire: “tu società hai nascosto redditi per €100.000, i soci li hanno presi (in nero) e poi li hanno fatti rientrare come finto prestito”. E li tassa come utili extrabilancio. Secondo: se la società non ha mai evidenziato formalmente l’infruttuosità del prestito, l’Ufficio potrebbe sostenere che il socio avrebbe dovuto percepire interessi su quel finanziamento e tassarli come interessi non dichiarati dal socio (oltre eventualmente a contestare alla società il mancato versamento della ritenuta del 26% sugli interessi corrisposti ai soci) . Infatti, esiste una norma antielusiva specifica: l’art. 46 TUIR prevede (per impedire di camuffare apporti in mutui) che i versamenti fatti dai soci si considerano dati a mutuo salvo risulti dai bilanci che erano a titolo di capitale . Inoltre, per default, un mutuo si presume oneroso salvo diversa volontà espressa delle parti (art.1815 c.c.) . Quindi, se la società è di persone o comunque non è chiaro dai documenti che il prestito era gratuito, il Fisco presume un interesse al tasso legale e lo tassa come provento del socio (anche se mai incassato) – questa è una posizione estrema ma in passato l’Agenzia l’ha avuta . Terzo: se questi finanziamenti soci infruttiferi sono ingenti e rimangono in bilancio per molti anni senza rimborso, l’Agenzia potrebbe parlare di “capitale mascherato”: in altre parole, sostenere che si tratta in realtà di apporto di capitale proprio, non di vero debito, con conseguenze sia fiscali sia civilistiche (ad es. applicazione dell’art. 2467 c.c. sulla postergazione dei finanziamenti soci). Sul piano fiscale questo potrebbe significare, ad esempio, che se la società ha poi cancellato quel debito senza rimborso, il Fisco lo considererà una sopravvenienza attiva tassabile o un utile distribuito ai soci occultamente. In passato inoltre c’era un obbligo di comunicazione annuale dei finanziamenti soci all’Agenzia (per monitorarli, poi abolito nel 2009), ma l’Ufficio potrebbe comunque chiedere informazioni in verifica.
- Contromisure e difese: per i soci finanziatori: è fondamentale formalizzare il finanziamento con una delibera assembleare o almeno con un contratto scritto tra socio e società, specificando chiaramente che è infruttifero . L’ideale è allegare tale contratto al bilancio, o quantomeno riportare in Nota Integrativa che “il socio X ha effettuato finanziamenti infruttiferi per €… nel corso dell’esercizio” . Ciò adempie al requisito richiesto dall’art.46 TUIR per superare la presunzione di onerosità (cioè far risultare dai rendiconti ufficiali la diversa natura) . In contabilità, usare un apposito conto “Debiti verso soci per finanziamenti infruttiferi” nel passivo, distinto dal capitale sociale, è una buona prassi . Se poi l’azienda produce utili negli anni successivi, è consigliabile rimborsare il socio appena possibile, per evitare che un finanziamento infruttifero ultradecennale insospettisca (ci sono stati casi in cui prestiti soci non rimborsati per oltre 10 anni sono stati considerati capitali propri dal Fisco) . Durante un accertamento, esibire il bilancio da cui risulta il finanziamento soci e copia della delibera/contratto. Se l’Ufficio volesse comunque imputare interessi figurativi al socio, opporsi richiamando la normativa (art.46 TUIR) e la circostanza che la società ha chiaramente indicato trattarsi di prestito senza interessi . Sottolineare che l’infruttuosità non genera alcun vantaggio fiscale al socio – anzi, il socio rinunciando a interessi perde un potenziale reddito, quindi non c’era motivo di simulare nulla: è stata una scelta gestionale dettata magari dall’interesse della società a non aggravarsi di costi . A supporto, citare le pronunce: Cass. n. 2735/2011 – un finanziamento socio-società si presume fruttifero a meno che dai bilanci emerga chiaramente la natura infruttifera . Cass. n. 1475/2020 – contratti con data certa che indicavano l’infruttuosità non sono stati ritenuti sufficienti se mancava evidenza nei libri contabili: la prova deve risultare dal bilancio, secondo un orientamento rigido . Quindi, consiglio pratico: includere sempre la dicitura “finanziamento infruttifero” nel verbale di assemblea o nella decisione del CDA che accetta il prestito . Se ciò è fatto, in genere l’Agenzia non ha appigli. Nel caso estremo in cui contestassero comunque (magari sostenendo che la società non aveva bisogno di quei fondi e i soci li hanno messi per coprire utili nascosti), si dovrà dimostrare la genuinità anche con gli altri elementi (capacità finanziaria del socio, motivazione economica del prestito, ecc., come già discusso).
- Riferimenti utili: Art. 46 TUIR – presunzione di mutuo oneroso dei versamenti soci salvo prova contraria da bilancio . Cass. 2735/2011: conferma la presunzione e richiede evidenza nei bilanci per riconoscere l’infruttuosità . Cass. 1475/2020: solo i contratti registrati non bastano, l’indicazione deve risultare nelle scritture contabili . Le Norme AIDC 194/2016 ammettono mezzi alternativi di prova (corrispondenza, causali bonifici) , ma la Cassazione è formale. In definitiva, se si seguono le best practice (delibera, nota integrativa, conto dedicato) difficilmente il Fisco contesterà. Se invece il socio non aveva formalizzato nulla e magari la società era in perdita (suggerendo che non servivano prestiti), allora l’accertamento sarà più insidioso e dovrà vertere sulla prova della provenienza lecita e necessità di quei fondi (vedi Cass. 27366/2023, dove la Cassazione ha ritenuto legittimo un accertamento che imputava ricavi occulti pari ai finanziamenti soci, perché mancavano delibere e prove di effettiva necessità finanziaria) .
Prestito infruttifero da società a socio (o ad amministratore) – Scenario: Una società concede al socio unico (o a un socio di maggioranza o a un amministratore) un prestito senza interessi di importo rilevante (es. €50.000), con poche formalità, rimborsi incerti e nessuna garanzia.
- Rischi fiscali potenziali: questo è uno degli schemi più pericolosi agli occhi del Fisco. Si configura quasi automaticamente come utilizzo personale di utili societari da parte del socio. L’Agenzia delle Entrate tende a qualificarlo come dividendo anticipato o compenso in natura non dichiarato . In passato esisteva un obbligo (poi abolito nel 2017) di comunicare annualmente i beni concessi in godimento ai soci: ecco, in quelle norme rientravano anche i finanziamenti o prestiti a tasso zero, considerati come possibili fringe benefit per il socio . Sebbene oggi non vi sia più l’obbligo di comunicazione, la filosofia rimane: un socio che dispone a titolo gratuito di beni o denaro della società sta ottenendo un beneficio patrimoniale. Il Fisco può tassare il socio su un beneficio equivalente agli interessi risparmiati (come reddito diverso da capitale) . Oppure, se il prestito non viene restituito in tempi ragionevoli, può arrivare a considerarlo alla stregua di un utile distribuito non dichiarato, con relative imposte e sanzioni. In parallelo, potrebbero contestare alla società la distribuzione occulta di utili (che per le società di capitali non è deducibile). Insomma, altissimo rischio di riqualificazione in chiave elusiva/abusiva: per l’Agenzia, un socio che prende soldi dalla società gratis sta semplicemente prelevando utili senza pagare la ritenuta del 26% . Inoltre ciò può configurare abuso del diritto (prelievo mascherato per evitare la tassazione dei dividendi) .
- Contromisure e difese: evitare questa prassi se possibile. In generale è sconsigliabile far transitare fondi dalla società al socio se non come dividendo ufficiale (se utili) o come compenso deliberato (se lavoro). Se tuttavia per ragioni temporanee si opta per un prestito al socio, conviene predisporre un contratto dettagliato con chiari termini di restituzione a breve termine . Valutare addirittura di applicare un tasso, sia pur minimo (es. tasso legale o 0,5%), proprio per rafforzare la natura di mercato del finanziamento (pagherete qualche euro di tasse su quell’interesse, ma togliete argomenti al Fisco) . Bisogna poi tracciare rigorosamente la decisione: far deliberare dal CDA o dall’assemblea l’approvazione del prestito al socio, motivando perché è nell’interesse della società (es. il socio userà i fondi per un investimento collegato all’azienda, oppure per far fronte a temporanee necessità personali ma si impegna a restituirli entro data X) . Attenzione alla normativa sulle distribuzioni occulte di utili: se la società ha riserve disponibili e presta soldi al socio, di fatto il socio sta godendo di liquidità societaria come se fossero utili . Quindi, in caso di verifica, per difendersi occorre provare che il socio ha restituito integralmente alle scadenze pattuite. In mancanza di restituzione, è pressoché certo che l’Ufficio la convertirà in dividendo con imposte relative . A livello difensivo, se contestano un utile occulto, bisogna sostenere con forza che si trattava invece di un mutuo genuino: evidenziare eventuali rimborsi avvenuti, la mancanza di volontà distributiva (es. nessuna riduzione di riserve, nessun altro socio leso nei suoi diritti), l’esistenza di un vero contratto . In extremis, per dimostrare buona fede, il socio potrebbe perfino corrispondere gli interessi legali non pagati in un’unica soluzione (sebbene non fosse previsto dal contratto), come segno di volontà di sanare e uniformarsi a condizioni di mercato – non è una soluzione normativa, ma potrebbe persuadere il Fisco a desistere dal calcolare interessi figurativi e chiudere con sanzioni minori. Infine, ricordare che la Circolare AdE 24/E 2012 (relativa ai beni ai soci) specificava che i finanziamenti concessi a tassi inferiori al mercato dovevano essere comunicati perché generavano un potenziale reddito diverso pari agli interessi risparmiati; normativa poi abrogata nel 2017 . Ciò fa capire che lo stesso Fisco ammetteva che un socio che non paga interessi ottiene in teoria un reddito (il risparmio di interessi) ma, abolendo quella comunicazione, di fatto oggi non tassano più quel fringe benefit in automatico. Resta però la giurisprudenza: Cass. n. 11230/2019 – ha affermato che se un socio utilizza somme sociali a titolo di mutuo senza interessi, il Fisco può riqualificare il tutto come utili occulti distribuiti . E questo è visto come un caso di abuso del diritto potenziale: socio preleva utili mascherandoli da prestito per evitare la ritenuta sui dividendi . Quindi i rischi sono concreti. L’unica vera salvezza è la rapida restituzione del prestito: se i soldi tornano in azienda entro breve, la contestazione perde forza (non c’è arricchimento stabile per il socio).
- Riferimenti utili: Cass. 11230/2019 – prestito infruttifero da società al socio riqualificabile come utili occulti distribuiti . In generale, Cassazione vede questi casi come abuso di diritto (dividendi mascherati) . La difesa si fonda su: prova della restituzione integrale nei termini (dimostra che era un vero prestito) e assenza di vantaggi fiscali (se davvero l’operazione era neutra o di minima utilità fiscale). Normativa sul punto non ce n’è più (abrogati obblighi comunicativi), quindi tutto sta nel convincere i verificatori. In caso di accertamento, spesso conviene transigere: pagare la ritenuta sui dividendi non versata (26%) e chiudere la questione, piuttosto che affrontare contenziosi incerti.
Prestito infruttifero con interposto (trust, fiduciaria, prestanome) – Scenario: Un contribuente fa transitare il proprio denaro attraverso un soggetto interposto: ad es. costituisce un trust estero opaco che formalmente concede un prestito infruttifero al contribuente stesso, oppure utilizza una società fiduciaria straniera che bonifica denaro in Italia come prestito.
- Rischi fiscali potenziali: qui entriamo in situazioni di massima allerta per il Fisco. Se viene individuato uno schermo interposto, l’Agenzia applicherà senz’altro l’art. 37, comma 3 DPR 600/73: guarderà alla sostanza, considerando il trust/fiduciaria un mero guscio e imputando tutto al contribuente . Di solito in questi casi si configura anche l’evasione internazionale: se sono coinvolti soggetti esteri, c’è spesso la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale (quadro RW) e magari l’imputazione di redditi esteri non dichiarati al beneficiario italiano . Ad esempio, se i soldi provenivano da un conto estero del trust non dichiarato, oltre al recupero imposte potranno contestare sanzioni RW e eventuale estero vestizione. Dal punto di vista penale, questi schemi possono addirittura configurare il riciclaggio o l’autoriciclaggio se i fondi erano di provenienza illecita (o frutto di reati tributari gravi) . In sintesi, il rischio è massimo: non solo l’accertamento fiscale andrà quasi certamente male per il contribuente, ma si apriranno fronti sanzionatori ulteriori e potenzialmente un procedimento penale per frode fiscale o riciclaggio.
- Contromisure e difese: l’unica difesa per simili situazioni è dimostrare che l’interposto è un soggetto reale e autonomo, non un mero alter ego. Compito arduo. Nel caso di un trust, ad esempio, bisognerebbe provare che il trustee aveva effettiva discrezionalità, che i fondi prestati provenivano davvero da attività proprie del trust e non dal disponente, che il beneficiario non aveva poteri di fatto sul trust . Ciò richiede esibizione di documentazione estera, pareri legali, testimonianze del trustee, ecc. Spesso però, la realtà è che il trust era di comodo e queste prove non esistono o sarebbero false. Se parliamo di una fiduciaria estera o un prestanome persona fisica, analogamente bisognerebbe far dichiarare al prestanome (anche in sede testimoniale) che il denaro era effettivamente suo e lo ha prestato al contribuente – ma se non è vero, questa sarebbe una falsa testimonianza con conseguenze penali sia per il prestanome sia per il contribuente che l’ha istigato . Insomma, difese di merito raramente reggono se le prove indiziarie del Fisco sono solide (di solito lo sono, perché questi casi vengono fuori da lunghe indagini). Una strategia difensiva alternativa è puntare su vizi procedurali: ad esempio, contestare l’invalidità di notifiche di atti al trust estero, o la carenza di motivazione specifica sulla natura fittizia. Sono battaglie tecniche dall’esito incerto, ma vanno tentate se si ravvisano errori formali . Un’altra via è cercare una regolarizzazione volontaria di quanto emerso: ad esempio, se sono coinvolti trust esteri con redditi non dichiarati, utilizzare strumenti come eventuali voluntary disclosure (se aperte) o cooperazione volontaria per dichiarare ciò che si è occultato, pagando e mettendosi in regola – questo può svuotare in parte l’accusa di frode, mostrando pentimento e facendo venir meno l’illecito originario . Nel penale, puntare magari a patteggiare con pena sospesa evitando condanne pesanti. Nel frattempo, se proprio esiste un trust legittimo, conviene far sì che i prestiti seguano pedissequamente ciò che è previsto dall’atto istitutivo, con decisioni formali del trustee, tassi di interesse di mercato anche se poi li restituisce, ecc., così da presentare almeno una parvenza di sostanza economica . Ma sono pezze a colori. La realtà è che, se l’interposto è solo figura di carta, è molto difficile difendersi. Lo conferma Cass. n. 9096/2025 (“King Trust”): in un caso emblematico di trust estero interposto, la Cassazione ha imputato tutti i redditi al disponente in Italia per mancanza di reale separazione, ribadendo che queste interposizioni rientrano nello schema dell’art.37, co.3 DPR 600/73 (substance over form) . E Cass. n. 9445/2025 ha fatto altrettanto (caso di trust opaco): massima: “in tema di interposizione fittizia, al contribuente vengono imputati i redditi formalmente riferibili al trust interposto” . Già Cass. 9749/2018 aveva imputato al residente le somme su un conto estero fiduciario, non rilevando il passaggio formale tramite fiduciaria . Inoltre l’art.4 DL 167/90 esplicitamente obbliga a dichiarare in RW anche le attività detenute per interposta persona, e la mancata compilazione è considerata indice di volontà evasiva . Insomma, con i trust e schermi esteri il Fisco va a nozze e difficilmente si perde la causa se l’impianto è ben costruito. La migliore difesa in questi casi, se la situazione è compromessa, è cercare un accordo col Fisco (transazione fiscale se possibile) e pagare il dovuto per chiudere, o confidare in qualche vizio procedurale.
- Riferimenti utili: Cass. 9096/2025 – trust estero interposto, redditi imputati al disponente italiano, confermato principio substance over form . Cass. 9749/2018 – disponibilità delle somme su conto estero fiduciario imputata al beneficiario residente, irrilevante il passaggio formale . Art. 4 DL 167/90 – obbligo di monitoraggio (quadro RW) anche per attività estere per interposta persona . In sostanza, su questi temi la giurisprudenza è totalmente a favore dell’Amministrazione finanziaria. Un prestito infruttifero che coinvolge entità offshore viene quasi sempre considerato fittizio e finalizzato all’evasione internazionale.
N.B.: Le casistiche sopra non esauriscono tutte le situazioni possibili, ma coprono i casi più frequenti. In ogni scenario, la trasparenza e la documentazione tempestiva sono gli antidoti principali contro le contestazioni. Le tabelle evidenziano come all’aumentare dell’“anomalia” (prestiti senza logica economica, tra soggetti estranei, con schermi societari, ecc.) aumentino i rischi e servano cautele aggiuntive.
Domande frequenti (FAQ)
D: Un prestito infruttifero tra privati va indicato nella dichiarazione dei redditi?
R: No, di per sé non va indicato, a meno che non produca redditi. Se il prestito è senza interessi, il creditore non ha alcun reddito da dichiarare, e il debitore non ha oneri deducibili (gli interessi passivi di un mutuo tra privati non sono comunque deducibili, diversamente dagli interessi di mutui bancari per l’abitazione) . In passato c’erano obblighi di comunicazione al Fisco solo per le società (finanziamenti soci) e per i beni ai soci, ma tali obblighi sono stati abrogati nel 2017 . Dunque un prestito tra privati (es. padre-figlio) non va comunicato preventivamente all’Agenzia delle Entrate. Tuttavia è vivamente consigliato custodire il contratto e le prove relative, in caso di futura richiesta. Se invece il prestito è fruttifero (con interessi), allora il creditore deve dichiarare gli interessi percepiti come redditi di capitale (nel Quadro RL o RM del Modello Redditi, o nel 730) . Ad esempio, se prestate €10.000 all’1% annuo, ogni anno avrete €100 di interessi tassabili che vanno riportati in dichiarazione. Ma per un prestito infruttifero puro, non sorge alcun obbligo dichiarativo fino a quando il Fisco eventualmente non chieda chiarimenti in un controllo.
D: Devo registrare presso l’Agenzia delle Entrate il contratto di prestito infruttifero?
R: No, non è obbligatorio registrarlo subito, a meno che non vogliate far valere l’atto in una sede ufficiale (ad esempio in un giudizio) o che l’Agenzia stessa non ve lo chieda espressamente. La registrazione volontaria comporta il pagamento dell’imposta di registro – generalmente il 3% dell’importo mutuato – quindi molti preferiscono evitarla, specie per somme consistenti . La legge dice che le scritture private non autenticate scontano l’imposta solo “in caso d’uso”, cioè se vengono depositate o prodotte avanti a un ufficio pubblico . Ciò significa che potete redigere il contratto in forma semplice, firmarlo e tenerlo nel cassetto senza registrazione: sarà comunque valido tra le parti. L’Agenzia delle Entrate di solito non viene a sapere dell’atto se non lo registrate (non esiste un archivio centrale dei contratti privati non registrati) . Tuttavia, valutate i benefici della registrazione: vi dà data certa opponibile a tutti. Se temete futuri accertamenti, registrare subito pagando il 3% potrebbe essere una specie di assicurazione. Un compromesso: se decidete di non registrare subito, ottenete almeno una data certa (come spiegato prima, via PEC, raccomandata, o firma digitale). In caso poi di controversia, potrete sempre registrare tardivamente, pagando il 3% + una sanzione ridotta (di solito intorno al 12% dell’imposta se fate ravvedimento operoso prima di contestazioni) . Ad esempio, su €20.000 di prestito il 3% è €600; se registrate tardivamente potreste pagare €600 + circa €72 di sanzione = €672. Un piccolo costo, rispetto a sanzioni fiscali ben maggiori che deriverebbero da un eventuale accertamento. In conclusione: consigliato registrare se la somma è molto elevata o se il rapporto tra le parti potrebbe deteriorarsi (la registrazione tutela anche civilisticamente: un prestito non registrato, se portato in giudizio, richiederà poi la registrazione con sanzioni) . Se l’importo è modesto e tra familiari fidati, si può anche evitare la registrazione subito, ma in caso d’uso ricordatevi di farla.
D: Ho fatto un prestito in contanti a un amico (senza contratto scritto). Se il Fisco lo scopre, posso avere problemi?
R: Sì, è possibile. Innanzitutto trasferire grosse somme in contanti è di per sé rischioso e talvolta illecito: sopra la soglia legale (€5.000 attualmente) configura violazione amministrativa con relative sanzioni . Ma anche sotto la soglia, il contante lascia poche tracce: se avete prelevato €10.000 dal conto e li avete dati a mano all’amico, e poi l’amico li versa sul suo conto, il Fisco vedrà un versamento di €10.000 sul conto dell’amico senza fonte apparente . L’amico dirà “è un prestito”, ma senza prove (né traccia bancaria né contratto) l’Ufficio potrebbe non credergli . Voi, come prestatore, potreste essere chiamato a confermare, ma la vostra parola è considerata dichiarazione di terzo e ha valore probatorio limitato . Quindi, mai prestare in contanti somme significative. Se è già avvenuto, la miglior cosa è formalizzare subito per iscritto ciò che è successo: redigete un documento con data e luogo, indicando l’importo consegnato in contanti e fatelo firmare a entrambi. Meglio ancora, effettuare a posteriori un bonifico “fittizio” di pari importo con causale “restituzione prestito contanti del [data]”: così almeno rimane traccia del rapporto di credito (ad esempio, l’amico vi restituisce i €10.000 via bonifico, e poi voi glieli riprestare con bonifico – operazione un po’ macchinosa ma chiarificatrice) . In mancanza di tutto ciò, se l’Agenzia contestasse, la vostra difesa dovrà puntare su testimonianze e indizi, ma come detto la Commissione Tributaria non è tenuta ad ammettere testimoni e comunque tende a non dare peso a dichiarazioni non supportate da documenti. Il rischio concreto è che quel versamento in contanti venga trattato come reddito occulto dell’amico (tassato e sanzionato) e magari – paradossalmente – come spesa non giustificata per voi (se foste un imprenditore e quel prelievo dal vostro conto risultasse anomalo rispetto alla vostra attività, potrebbero contestarlo) . Regola: mai cash se l’importo è rilevante. Sempre meglio transitare per banca o almeno avere pezze d’appoggio solide.
D: L’Agenzia delle Entrate può presumere che su un prestito infruttifero ci fossero interessi non dichiarati?
R: Può tentare, ma con margini limitati e solo in certe circostanze. Per i finanziamenti tra privati, la regola generale è che se non c’è patto di interessi, non vi sono interessi da tassare (vale il principio di cassa: se il creditore non li incassa, non ha reddito) . Tuttavia, nelle istruzioni del modello Redditi/730 c’è una nota che dice: se un privato presta denaro senza pattuizione scritta di interessi, si dovrebbero calcolare al tasso legale e dichiararli . Questo deriva dall’art.45, comma 2 TUIR e dall’impostazione civilistica che, in assenza di patto, il mutuo è oneroso al tasso legale. In pratica, il Fisco si riserva di affermare: “non hai scritto nulla sugli interessi? Allora presumiamo che tu li abbia applicati al tasso legale e non li hai dichiarati.” Ci sono stati casi in passato in cui, su prestiti tra società e soci, l’Agenzia ha preteso interessi figurativi: ad esempio, un socio presta soldi alla sua società e l’Agenzia ha detto “inconcepibile gratis” e ha voluto tassare un interesse minimo . O ancora, come citato, per i beni ai soci (uso di beni o denaro della società da parte del socio), l’Agenzia calcolava un beneficio in capo al socio pari al tasso ufficiale di interesse sul capitale utilizzato . Tuttavia, su prestiti tra familiari, già la prassi amministrativa (circolari) riconosce che è normale non applicare interessi e che non si può tassare un reddito mai percepito . La stessa Cassazione ha sostenuto che il nostro sistema tassa il reddito effettivo, non quello potenziale, salvo eccezioni di legge . Dunque, se avete ben specificato nel contratto “prestito infruttifero”, sarebbe arbitrario per l’Agenzia inventarsi degli interessi. In Commissione vincereste facilmente su questo punto, anche invocando il principio di capacità contributiva. Discorso diverso: se non avete scritto nulla e magari il prestito è tra soggetti indipendenti, potreste ricevere una contestazione di interessi legali non dichiarati (con sanzioni per omessa indicazione di redditi di capitale). È raro ma è capitato. In tal caso, la difesa è: “Abbiamo concordato verbalmente che fosse senza interessi, e ciò è lecito (art.1815 c.c.). Non c’era volontà di occultare interessi.” Si può portare testimoni o elementi che confermino l’intento gratuito (es. contesto familiare, oppure il fatto che il creditore per anni non abbia mai chiesto né ricevuto alcun interesse) . In sintesi: tra parenti stretti, è poco probabile che l’Agenzia insista su interessi figurativi (non sarebbe “in linea coi principi”, come ammettono loro stessi) . Tra estranei, invece, eviterei di lasciare l’argomento in bianco: meglio scrivere esplicitamente “senza interessi” nel contratto, per spegnere sul nascere ogni pretesa . Se proprio voleste essere iper-scrupolosi, potreste pattuirne uno simbolico (tipo 0,1%): paghereste pochi euro di tasse e nessuno potrebbe dire nulla – ma francamente, se il contratto dice chiaramente zero interessi, siete coperti.
D: Un prestito non restituito potrebbe essere considerato una donazione (e tassato come tale)?
R: Sì, è una possibilità concreta. Se un prestito viene formalizzato ma poi di fatto non viene mai restituito, l’Amministrazione finanziaria (o anche eventuali eredi scontenti in sede civile) potrebbe sostenere che, sostanzialmente, quel prestito era una liberalità e che la mancata pretesa di rimborso equivalga a una donazione indiretta . Dal punto di vista fiscale, l’imposta sulle donazioni si applicherebbe in tal caso (tenendo conto di franchigie e gradi di parentela) . La Cassazione e la dottrina hanno più volte affrontato casi di prestiti infruttiferi “sine die” tra genitori e figli usati per aggirare l’atto pubblico della donazione: se emergono gli elementi di una donazione (arricchimento definitivo di una parte, correlativo impoverimento dell’altra, assenza di un vero obbligo di restituzione), l’operazione può essere riqualificata come donazione nulla (per difetto di forma) con conseguente obbligo di restituire le somme agli eredi o pagamento dell’imposta dovuta . Quindi, se il Fisco scopre un “prestito” mai rimborsato tra parenti, potrebbe chiedere l’imposta di donazione su quell’importo (aliquote: 4% tra parenti stretti oltre franchigia €1.000.000; 6% tra fratelli oltre €100.000; 6% altri parenti fino al 4° grado oltre €100.000; 8% estranei, senza franchigia) . Cosa fare: in questi casi, di solito conviene regolarizzare spontaneamente. Se ad esempio un padre aveva “prestato” €200.000 a un figlio 10 anni fa e non c’è intenzione né possibilità di restituzione, tanto vale formalizzare ora una donazione con atto notarile (recuperando all’oggi la volontà liberale e magari sfruttando la franchigia se non superata) e chiudere il contenzioso . L’imposta di donazione, specie tra genitori e figli, spesso è zero o bassa se si rientra nelle soglie, quindi non ha senso rischiare sanzioni per evasione su quella. Da notare: l’Agenzia, per riscuotere l’imposta di donazione, deve comunque individuare l’evento donativo. Se la cosa emerge in occasione di un accertamento reddituale, forse punteranno più sull’IRPEF (che ha sanzioni più gravi e l’aggio del 100-180%). Ma potrebbero anche fare un approccio “doppio binario”: tassazione IRPEF in capo al figlio per reddito non dichiarato e tassazione di donazione per trasferimento a titolo gratuito – ipotesi non ortodossa ma talvolta ventilata in sede di adesione per convincere a transigere. Il contribuente può opporsi dicendo “o è reddito o è donazione, tertium non datur” . L’importante è capire che un prestito non restituito è vulnerabile: ai fini fiscali diventa di fatto una donazione (indiretta). E ricordo: donazioni indirette (tipo pagamento di un bene altrui) sono esenti se stipulate in atti soggetti a registrazione (es. genitore paga casa intestata al figlio e lo si menziona nell’atto di compravendita); ma un prestito non restituito non rientra in quell’esimente, quindi sarebbe tassabile . Quindi sì, se non pensate di farvi restituire il denaro, meglio fare una donazione subito. Se invece inizialmente c’era volontà di rimborso ma poi le cose cambiano, potete trasformare il prestito in donazione attraverso un atto di rinuncia al credito per spirito di liberalità, da farsi sempre con notaio (è un’altra strada per sanare, ma comunque atto pubblico e registrato) .
D: Esiste una soglia di importo entro cui posso prestare soldi senza allarmare il Fisco?
R: Non c’è una soglia fissa per legge oltre la quale scatti automaticamente l’accertamento. Il prestito tra privati è lecito per qualunque importo (anche milioni di euro) purché i fondi siano leciti. Tuttavia, in pratica, importi molto elevati attirano più attenzione. Se prestate €500 a un amico, verosimilmente nessuno indagherà; se un padre trasferisce €300.000 al figlio, è probabile che, se il figlio viene controllato (magari per redditometro), quel movimento venga analizzato . Le soglie da considerare sono: (a) antiriciclaggio – sopra €5.000 in contanti violate la legge; inoltre banche e professionisti segnalano operazioni tra privati di entità inconsueta; (b) franchigie donazioni – €1.000.000 tra genitore e figlio, etc., oltre cui la donazione sarebbe tassata; un prestito di poco superiore a questa soglia potrebbe far pensare che si voglia evitare l’imposta (es. “papà mi presta €1,1 milioni così non paghiamo 4% di donazione su 100k eccedenti” – un po’ tirata, ma il Fisco ci può fare caso); (c) soglie redditometro – se il finanziamento serve per acquisti che portano il tenore di vita oltre il reddito dichiarato, scatta l’accertamento sintetico . In generale, posso dire: prestiti fino a qualche migliaio di euro raramente causano problemi, soprattutto se occasionali; prestiti di decine o centinaia di migliaia di euro dovrebbero essere certificati (scrittura + tracciabilità) perché sicuramente in caso di controllo verranno scrutati . Quindi più che una soglia prefissata, ragioniamo in termini di coerenza: €20.000 prestati dal padre ricco al figlio per l’auto: ok se documentato; €100.000 prestati tra due amici studenti nullatenenti: scenario inverosimile, altissimo rischio di contestazione . Insomma, chiedersi sempre: “se io fossi il funzionario che vede questo movimento, lo troverei plausibile?”. Se la risposta è no, attrezzarsi di conseguenza con prove e formalità.
D: Se durante un controllo fornisco un contratto di prestito non registrato, possono multarmi per la mancata registrazione?
R: In teoria sì: se esibite un contratto non registrato, l’Ufficio potrebbe chiedere la registrazione d’ufficio e sanzionarvi per tardiva registrazione. Però è una questione separata dall’accertamento reddituale. Mi spiego: l’art. 22 DPR 131/86 prevede che, se un contratto non registrato viene esibito all’Agenzia (ad esempio allegandolo a un ricorso o a una risposta a questionario), scatta l’obbligo di registrazione d’ufficio . L’Ufficio del Registro liquiderà quindi l’imposta (3%) e applicherà una sanzione per tardiva registrazione (in misura fissa se presentato spontaneamente prima dell’uso, oppure del 120% dell’imposta ridotto a 1/3 se post uso, ecc.). Nella pratica, se producete il contratto non registrato magari in sede di contraddittorio o di ricorso, l’Agenzia spesso contesta contestualmente l’omessa registrazione e invita a regolarizzarlo. Non farlo non conviene, perché tanto quell’atto ormai “risulta” agli occhi del Fisco . Però, ecco, stiamo parlando di una sanzione minore (amministrativa, generalmente definibile con ravvedimento): tipicamente, come dicevamo, su €20.000 di prestito pagherete €600 di imposta e circa €240 di sanzione (poi ridotta a €80 se aderite). Quindi, a fronte magari di un accertamento che vi chiedeva migliaia di euro, questo aspetto è secondario. L’importante è salvare la sostanza (non far tassare la somma come reddito). Quindi la risposta è: sì, possono multarvi per la mancata registrazione, ma è un problema risolvibile facilmente pagando la tassa e una piccola multa. Conviene quasi sempre esibire il contratto (per difendersi sul merito) e poi pagare quel dovuto per sanare la registrazione tardiva – i benefici del presentare il contratto superano di gran lunga il costo della sanzione di registro.
D: In caso di accertamento, posso risolverla pagando subito tutto e magari evitare guai peggiori?
R: Sì, c’è la possibilità di definire l’accertamento in acquiescenza (entro 60 giorni) o con accertamento con adesione (in contraddittorio), pagando le imposte con sanzioni ridotte. Questo sul piano amministrativo. Se intendete chiudere la questione e non fare causa, pagando tutto (imposte + sanzioni ridotte a 1/3 + interessi), la vicenda tributaria si conclude lì. Va valutato caso per caso: se l’accertamento è fondato e le prove scarse, può convenire aderire per ridurre sanzioni e evitare spese di giudizio. Sul piano penale, come accennato, il D.Lgs.74/2000 prevede che per alcuni reati (dichiarazione infedele, omessa dichiarazione) il pagamento integrale di imposte, sanzioni e interessi prima del dibattimento estingue il reato . Quindi se temete anche il penale, pagare può risolvere tutto con una sorta di oblazione. Tuttavia, fatevi consigliare da un legale: a volte pagare un accertamento “toglie” motivi al penale, ma altre volte se l’evasione era massiccia l’azione penale parte lo stesso (specie se ci sono elementi di frode). In sintesi: sì, pagando subito fate pace col Fisco (ed evitate eventuali misure cautelari come fermi o ipoteche), e potreste beneficiare di cause di non punibilità penali, ma valutate con esperti perché ogni situazione fa storia a sé.
Esempi pratici e simulazioni
Per illustrare concretamente come può evolvere una situazione di prestito infruttifero contestato, presentiamo di seguito due scenari esemplificativi, con esito differente a seconda dell’atteggiamento del contribuente e delle prove fornite:
Esempio 1: Prestito familiare documentato vs non documentato.
Scenario: Marco, 30 anni, nel 2023 riceve €40.000 da suo padre per avviare una piccola attività. Nessun interesse previsto. Nel Caso A Marco e il padre formalizzano tutto: firmano a gennaio 2023 un contratto di mutuo infruttifero con cui il padre presta €40k a Marco da restituire entro 5 anni; il padre esegue un bonifico al figlio con causale “prestito infruttifero per avvio attività”; Marco inizia a restituire €500 al mese a partire da gennaio 2024 (bonifici con causale “restituzione prestito”). Nel Caso B invece nulla è stato scritto, i €40k sono stati bonificati con causale generica “finanziamento”, e dopo 2 anni Marco non ha restituito nulla (né il padre lo sollecita, considerandolo in realtà un aiuto a fondo perduto).
Controllo fiscale: nel 2025 l’Agenzia fa un accertamento redditometrico su Marco, notando l’acquisto di un’auto nuova da €30k. Chiede spiegazioni sull’origine dei fondi. – Esito Caso A: Marco esibisce immediatamente copia del contratto registrato (ha speso €1.200 di imposta di registro ma ora benedice quella scelta) , copia del bonifico ricevuto dal padre e l’estratto conto con i rimborsi mensili effettuati finora (24 rate da €500). L’Ufficio verifica anche la dichiarazione del padre, constatando che aveva disponibilità (aveva venduto un immobile nel 2022) e che quel prestito risulta menzionato nella Nota Integrativa del bilancio della società di famiglia del padre. A questo punto l’accertamento viene archiviato in sede di adesione senza nessuna ripresa a tassazione: la prova contraria fornita da Marco è piena e convincente . – Esito Caso B: Marco risponde che “era un aiuto di papà”. Alla richiesta di documenti, presenta solo un estratto conto con l’accredito di €40k dal padre; niente contratto, nessun piano di rimborso, nessuna restituzione effettuata. Il padre, interpellato, conferma a voce che sì, gli diede quei soldi come prestito, ma non sa dire quando Marco restituirà e ammette che non hanno scritto nulla. L’Ufficio non riconosce valore a queste affermazioni orali e procede a qualificare i €40k come reddito non dichiarato di Marco (in mancanza di prove, li considera redditi diversi ex art.67 TUIR). Emette avviso: €40k tassati come reddito 2023, con €18k di IRPEF + addizionali dovute, e ~€9k di sanzioni. Marco fa ricorso ma la Commissione Tributaria respinge: in effetti egli non ha fornito prova contraria adeguata alla presunzione ex art.32 . L’auto da €30k gli costa così un accertamento salato. Inoltre, poiché i €40k non risultano restituiti, il Fisco segnala la cosa all’ufficio registro che – visti padre e figlio – valuta se applicare l’imposta di donazione (in questo caso non la applica perché c’è ancora la foglia di fico del prestito; ma se fosse stato zio-nipote magari sì, 6% su €40k).
Morale: nel caso A il prestito genuino e ben documentato non ha creato problemi; nel caso B la mancata formalizzazione ha portato a una tassazione indebita. Il costo di registrare e rimborsare pian piano è stato di gran lunga inferiore al costo fiscale e sanzionatorio subito da Marco nel caso B.
Esempio 2: Prestito a un socio e mancata restituzione – conseguenze.
Scenario: La Alfa S.r.l. è controllata al 100% dal socio unico Luca. Nel 2019 la società “presta” a Luca €80.000 per esigenze personali, senza interesse, da restituire teoricamente in 3 anni. Non c’è un vero contratto, solo una delibera del CDA vaga. Luca usa i soldi per comprare casa. Nel 2022 la società viene verificata: i €80k sono ancora a credito verso Luca (nessun rimborso effettuato). La società ha nel frattempo chiuso il 2021 con utili e distribuito dividendi a Luca per €50k (sui quali è stata applicata la ritenuta 26%).
Accertamento: l’Agenzia contesta che gli €80.000 in realtà erano utili di Alfa S.r.l. messi a disposizione di Luca senza tassazione. Riqualifica quindi: (a) in capo alla società, considera gli €80k come utile extracontabile sottratto a tassazione IRES nel 2019 e recupera relativa imposta + sanzioni; (b) in capo a Luca, considera €80k come dividendo percepito nel 2019, non tassato, e glielo tassa al 26% + sanzioni; (c) in subordine chiede imposta di donazione 8% su €80k (padre socio – figlio società sono estranei ai fini donazione). – Luca e la società fanno ricorso: evidenziano che nel 2020 e 2021 Luca ha restituito in due tranche €30k (anche se in ritardo rispetto al piano) e che nel verbale assembleare 2019 era scritto “prestito infruttifero per esigenze temporanee del socio, da restituire entro 2022”. Inoltre, portano una mail del commercialista all’epoca rivolta ad Alfa in cui diceva “il prestito al socio è operazione permessa, non tassabile se restituita”. La CTR Lombardia però conferma l’accertamento: ritiene che mancasse prova di effettiva restituzione integrale e che comunque l’operazione fosse priva di valide ragioni economiche (la società aveva liquidità e Luca poteva ottenere un mutuo bancario – quindi per i giudici lo ha fatto solo per risparmiare sugli interessi e sulle tasse) . La Cassazione nel 2025 (sent. di legittimità ipotetica) rigetta il ricorso di Luca richiamando la sua giurisprudenza: “la legittimità di un finanziamento soci opponibile al Fisco richiede la regolarità formale delle delibere e scritture contabili”, diversamente l’erogazione si ritiene utili occulti reimmessi . Nel caso concreto, l’assenza di un vero contratto e il mancato integrale rimborso entro i termini fanno prevalere la tesi dell’utile occulto. Luca ha dovuto pagare imposte e sanzioni sul dividendo “presunto”; fortunatamente è riuscito ad evitare il pagamento dell’imposta di donazione convincendo che era piuttosto un utile (altrimenti rischiava doppia imposizione). La società Alfa ha dovuto pagare IRES e sanzioni sugli €80k come ricavi in nero.
Morale: i prestiti socio-società richiedono estrema cautela e disciplina. Se Luca avesse restituito puntualmente e documentato tutto, con bilanci in regola, forse l’accertamento non sarebbe neppure partito, o comunque avrebbero vinto mostrando la restituzione (nessun arricchimento per Luca). La mancata restituzione invece ha dato un assist al Fisco per riqualificare tutto come utile (doppia tassazione). In più la mancanza di interessi ha fatto scattare la presunzione di distribuzione occultA di utili secondo costante orientamento . Le società dovrebbero evitare di fare da “banca” ai soci: se accade, formalizzare bene e rientrare col rientrabile al più presto.
Conclusioni
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui prestiti infruttiferi fittizi non sempre reggono: spesso si basano su semplici presunzioni senza prove piene . Il contribuente, se ha operato in buona fede, ha a disposizione strumenti efficaci per difendersi e dimostrare la genuinità del prestito. Come abbiamo visto, la chiave è documentare tutto e agire con trasparenza: un prestito vero lascia tracce e viene restituito, quindi producendo contratti ben fatti, tracce bancarie e testimonianze coerenti, si può convincere il Fisco o il giudice tributario della propria ragione. Ovviamente, è meglio prevenire: stipulare sempre accordi scritti con data certa, usare mezzi tracciabili, conservare la documentazione. In caso di accertamento, non scoraggiarsi: far valere i propri diritti con un ricorso ben articolato può portare all’annullamento totale o parziale della pretesa. Bisogna anche valutare con lucidità quando conviene transigere (magari per chiudere subito e ridurre sanzioni) e quando invece si hanno buone chance in giudizio. Dal punto di vista del debitore-contribuente, è fondamentale ricordare che un prestito infruttifero, in sé, NON costituisce reddito né per chi presta né per chi riceve – se è autentico. Questa verità economica va fatta emergere con forza. In ultima analisi, ogni operazione finanziaria tra privati o tra soci e società andrebbe valutata anche per le sue implicazioni fiscali: a volte basta poco (una scrittura, una registrazione) per evitare grossi problemi. Difendersi si può, come dimostrano le tante sentenze favorevoli ai contribuenti (soprattutto nei casi familiari e domestici) , ma difendersi è molto più facile se ci si è preparati prima. Conoscere le norme, comportarsi con linearità e poter contare su consulenti esperti sono le armi migliori per mettere al sicuro i propri finanziamenti infruttiferi da indebite tassazioni. In un sistema fiscale che mira (giustamente) a colpire chi abusa di certi schemi per evadere, è importante saper distinguere e far distinguere i prestiti genuini dalle fattispecie elusive. Documentazione chiara, tempi rispettati, coerenza di comportamenti: così il contribuente onesto potrà dimostrare la bontà del proprio operato e ottenere giustizia, evitando di pagare ciò che non deve.
Fonti: Normativa citata (codice civile, TUIR, DPR 600/73, D.Lgs.74/2000, ecc.); Circolari AdE n. 61/E/2007 e 24/E/2012 (accertamenti finanziari, comunicazione beni ai soci); Norma di comportamento AIDC n.194/2016; Giurisprudenza di legittimità rilevante – Corte Cassazione: nn. 2735/2011, 23619/2011, 1475/2020, 10480/2018, 13112/2020, 6405/2021, 21546/2021, 28583/2021, 27366/2023, 9096/2025, 9445/2025 (trust esteri e interposizione), 11230/2019 (utili mascherati da prestito), ecc. – e sentenze di merito (C.T. Prov. Arezzo ord. rimessione n. 38/1/2022, C.T. Reg. Lombardia n. 12/2023). Si veda anche Corte Costituzionale n. 228/2014 e n. 10/2023 (presunzioni bancarie su prelevamenti/versamenti); Sentenza del 10/04/2025 n. 9445 – Corte di Cassazione.
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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
I prestiti infruttiferi sono strumenti legittimi, spesso utilizzati tra soci, familiari o soggetti collegati, per trasferire liquidità senza interessi. Tuttavia, il Fisco può presumere che dietro tali operazioni si celino redditi occultati o distribuzioni dissimulate di utili, contestando la mancanza di effettività del prestito.
👉 Prima regola: dimostra che il prestito è stato effettivamente erogato e restituito, con tracciabilità e documentazione certa.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Assenza di contratto scritto che regoli l’operazione;
- Mancata tracciabilità dei flussi di denaro (versamenti in contanti non giustificati);
- Durata indefinita e senza piani di restituzione;
- Prestiti tra società e soci usati come schermo per distribuzioni occulte;
- Operazioni prive di logica economica, non coerenti con la situazione patrimoniale delle parti.
📌 Conseguenze della contestazione
- Riqualificazione come redditi imponibili o utili distribuiti;
- Recupero delle imposte con sanzioni e interessi;
- Sanzioni tributarie per dichiarazione infedele;
- Accertamenti aggiuntivi su conti correnti e rapporti finanziari;
- Possibili profili penali se l’operazione è ritenuta strumentale a frodi fiscali.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Esistenza di un contratto di prestito con data certa;
- Tracciabilità dei movimenti bancari: i fondi sono stati effettivamente trasferiti?
- Restituzione delle somme: è dimostrabile con bonifici o quietanze?
- Motivazioni economiche: l’operazione aveva una giustificazione logica?
- Motivazione dell’accertamento: il Fisco ha prove concrete o solo presunzioni?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Contratto di prestito infruttifero firmato dalle parti;
- Bonifici bancari o assegni con causale di prestito;
- Ricevute di restituzione delle somme;
- Delibere societarie (per prestiti a soci o tra società);
- Dichiarazioni dei redditi delle parti coinvolte.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la realtà del prestito tramite contratti e tracciabilità bancaria;
- Contestare la riqualificazione come utili occulti se non vi sono prove concrete;
- Eccepire vizi formali: notifica irregolare, motivazione insufficiente, decadenza dei termini;
- Richiedere autotutela se la documentazione era già agli atti ma non valutata;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per ridurre o annullare l’accertamento;
- Difesa penale se l’Agenzia ipotizza frodi fiscali collegate.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i prestiti infruttiferi contestati e i relativi documenti;
📌 Verifica la legittimità della contestazione e l’esistenza dei presupposti economici;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in sede penale;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire in sicurezza prestiti infruttiferi tra privati e società.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su operazioni finanziarie;
✔️ Specializzato in difesa di soci, imprese e famiglie contro contestazioni su prestiti infruttiferi;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui prestiti infruttiferi non reali non sempre sono fondate: spesso si basano su presunzioni prive di riscontri concreti.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale esistenza dell’operazione, evitare la riqualificazione come redditi imponibili e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
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