Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza perché alcune operazioni bancarie frazionate sono state considerate sospette di riciclaggio? In questi casi, l’Ufficio presume che i versamenti o prelievi ripetuti e di importo contenuto siano stati effettuati per eludere i controlli antiriciclaggio o per occultare la reale provenienza del denaro. La conseguenza può essere duplice: accertamento fiscale e segnalazione penale. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: esistono strategie difensive per dimostrare la liceità delle operazioni.
Quando vengono contestate le operazioni bancarie frazionate
– Se risultano versamenti o prelievi ripetuti sotto la soglia dei 10.000 euro per evitare segnalazioni automatiche
– Se i movimenti appaiono incoerenti con i redditi dichiarati o con l’attività svolta
– Se vi sono più operazioni ravvicinate riconducibili allo stesso soggetto o finalità
– Se i flussi di denaro non sono giustificati da contratti o documentazione contabile
– Se l’Ufficio ritiene che il frazionamento sia stato usato per mascherare ricavi in nero o fondi illeciti
Conseguenze della contestazione
– Presunzione di ricavi non dichiarati con recupero di imposte, sanzioni e interessi
– Segnalazione per operazione sospetta all’UIF (Unità di Informazione Finanziaria)
– Possibile blocco o sequestro delle somme movimentate
– Procedimenti penali per riciclaggio o autoriciclaggio nei casi più gravi
– Maggiori controlli futuri su rapporti bancari e attività patrimoniali
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la provenienza lecita delle somme con contratti, ricevute, dichiarazioni sostitutive e tracciabilità dei flussi
– Documentare la reale necessità operativa del frazionamento (es. esigenze aziendali, vincoli contrattuali, limiti bancari)
– Contestare l’interpretazione automatica dei movimenti come riciclaggio in assenza di prove concrete
– Evidenziare errori, vizi di motivazione o violazioni procedurali nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per la parte fiscale e predisporre difese in sede penale, se necessario
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i movimenti contestati e la documentazione bancaria
– Verificare la legittimità della contestazione sotto il profilo fiscale e penale-tributario
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e penali contro richieste e accuse indebite
– Tutelare il patrimonio personale da sequestri e azioni esecutive sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione fiscale
– L’esclusione della responsabilità penale se le somme hanno provenienza lecita
– La restituzione di somme eventualmente sequestrate
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto secondo la legge e di difendere la tua reputazione
⚠️ Attenzione: le contestazioni per operazioni bancarie frazionate possono avere riflessi fiscali e penali. È fondamentale agire tempestivamente con una strategia difensiva ben documentata.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e penale-tributario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per operazioni bancarie frazionate considerate riciclaggio e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Operazioni frazionate – ovvero la suddivisione di importi in più transazioni minori – sono spesso oggetto di attenzione da parte delle autorità italiane in materia di antiriciclaggio e contrasto all’evasione fiscale. In particolare, frazionare versamenti, prelievi o pagamenti bancari per eludere soglie di tracciabilità può far scattare sospetti di riciclaggio di denaro o autoriciclaggio. Dal punto di vista di chi compie le operazioni (il debitore in senso lato, sia esso un privato cittadino, imprenditore o professionista), essere coinvolti in contestazioni del genere significa doversi difendere su più fronti: amministrativo, tributario e perfino penale. Questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – ha l’obiettivo di fornire un quadro completo della normativa italiana sulle operazioni bancarie frazionate e di illustrare le migliori strategie difensive, con un taglio giuridico ma dal taglio divulgativo adatto sia ai professionisti del diritto sia ai non addetti ai lavori.
Affronteremo dapprima la normativa antiriciclaggio sulle limitazioni all’uso del contante e sui concetti di operazione frazionata lecita vs. artificiosa. Passeremo poi agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette (SOS) e al ruolo degli organismi di vigilanza – dall’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) alla Guardia di Finanza e alla Banca d’Italia – nel monitoraggio di movimenti bancari anomali. Verranno esaminati i profili penalistici (reati di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. e autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 c.p.) e i profili fiscali (accertamenti tributari basati su movimenti finanziari sospetti, presunzioni legali di reddito da versamenti non giustificati, ecc.). Dal punto di vista del soggetto segnalato, spiegheremo come difendersi efficacemente: quali documenti produrre per giustificare le operazioni contestate, come impostare il contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, come contestare eventuali sanzioni amministrative del MEF, e come affrontare un’eventuale indagine penale. Il tutto sarà corredato da sentenze aggiornate (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, giurisprudenza tributaria recente) e riferimenti a fonti ufficiali. Troverete inoltre tabelle riepilogative per sintetizzare i punti chiave (ad es. soglie e sanzioni), domande e risposte ai quesiti più frequenti, e casi pratici simulati per contestualizzare le regole nella pratica quotidiana.
⚠️ Nota: le segnalazioni bancarie di operazioni sospette non costituiscono di per sé prove definitive di un illecito, ma solo indizi da verificare . Molte contestazioni si basano su presunzioni che possono essere vinte con una difesa ben documentata. Sarà quindi fondamentale, per il soggetto coinvolto, comprendere quali sono i propri diritti e come controbattere a tali presunzioni nel rispetto della legge. Procediamo quindi ad esaminare nel dettaglio la disciplina delle operazioni frazionate e gli strumenti di tutela per il debitore.
Normativa italiana sulle operazioni frazionate e soglie di contante
Il primo riferimento normativo per comprendere il tema è l’art. 49 del d.lgs. 231/2007 (decreto antiriciclaggio), che impone limiti all’uso del contante e dei titoli al portatore. In base a tale articolo, è vietato trasferire denaro contante tra soggetti diversi per importi pari o superiori a una certa soglia, se il trasferimento non avviene tramite intermediari finanziari abilitati (banche, Poste, ecc.) . Dal 1° gennaio 2023, la soglia generale è fissata in 5.000 euro (dopo essere stata per alcuni anni più bassa, come vedremo nella tabella seguente). Ciò significa che, ad esempio, non è lecito pagare direttamente in contanti una somma di 10.000€ tra privati: occorre utilizzare strumenti tracciabili (bonifico, assegno non trasferibile, ecc.) o affidare i contanti a un intermediario abilitato (versandoli in banca per l’importo dovuto) .
Un aspetto cruciale della normativa è la definizione di “operazione frazionata”. La legge prevede espressamente che il divieto si applica “anche quando [il trasferimento] è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati” . In altre parole, spezzettare un pagamento dovuto in più tranche di importo minore per eludere il limite è comunque vietato. Il valore da considerare è quello complessivo dell’operazione unitaria: se quell’operazione supera la soglia, frazionarla non evita l’illecito . La Cassazione ha ribadito questo principio in più occasioni, ad esempio confermando che il divieto (originariamente art. 1 legge 197/1991, ora trasfuso nell’art. 49 d.lgs. 231/2007) si applica anche quando il trasferimento viene realizzato mediante più operazioni ciascuna sotto soglia, ma funzionalmente collegate a un’unica transazione economica . In un caso, gli acquirenti di un immobile avevano corrisposto il prezzo pattuito suddividendolo in assegni bancari e contanti ciascuno sotto il limite all’epoca vigente (≈12.500€); la Suprema Corte ha ritenuto ciò una violazione della normativa, poiché i singoli pagamenti erano funzionali al perfezionamento di un’unica operazione di importo superiore al consentito . Il frazionamento artificioso costituisce dunque un comportamento elusivo sanzionabile.
È però importante distinguere le operazioni artificiosamente frazionate (vietate) da quelle naturalmente o contrattualmente frazionate (consentite). La legge stessa, come interpretata dal MEF e dalla giurisprudenza, non vieta i pagamenti in più rate se tale pluralità di pagamenti è connaturata all’operazione o prevista da un accordo tra le parti . Ad esempio, è perfettamente lecito pagare un servizio o bene a rate, purché le rateizzazione abbia una giustificazione reale (es. pagamento dilazionato concordato contrattualmente). Una FAQ ufficiale del Dipartimento del Tesoro chiarisce proprio questo punto con un esempio: un trattamento medico dal costo di €3.600, svolto in un anno, può essere pagato con 12 acconti mensili da €300 in contanti senza violare la legge, in quanto le parti hanno convenuto un pagamento rateale coerente con la natura della prestazione (durata annuale) . In tal caso non si ha un intento elusivo, ma un frazionamento fisiologico: ogni rata è autonoma e riferita a una porzione della prestazione. Di contro, se una fattura unica mensile riepiloga forniture quotidiane e viene pagata con varie somme in contanti sotto soglia alla consegna delle merci, questo comportamento sarà considerato illecito: poiché alla fattura (di importo totale sopra soglia) corrisponde un’unica operazione economica, pagare ogni giorno €2.999 per aggirare il tetto costituisce frazionamento artificioso sanzionabile . Il criterio, dunque, è sostanziale: bisogna guardare alla finalità unitaria del trasferimento di valore. Se i pagamenti multipli servono solo a schivare il limite legale, restano vietati ; se invece riflettono una dilazione reale o più operazioni distinte, sono ammessi .
Evoluzione delle soglie di contante in Italia (1991–2025)
Per contestualizzare, si riporta un riepilogo storico delle soglie all’uso del contante fissate dal legislatore italiano negli ultimi decenni, spesso modificate con l’obiettivo di contrastare evasione e riciclaggio . Tali variazioni spiegano anche perché alcune operazioni frazionate degli anni passati fossero rapportate a limiti diversi (es. 12.500€, 1.000€, ecc.). La tabella seguente elenca i principali cambiamenti:
Periodo | Soglia contante | Riferimento normativo |
---|---|---|
1991 – 2002 (legge 197/1991) | 20 milioni di lire (≈ €10.329) | DL 143/1991 conv. L.197/1991 |
2002 – 2007 | €12.500 | DM Tesoro 17.10.2002 |
2008 (gennaio – giugno) | €5.000 (prima versione d.lgs. 231/07) | d.lgs. 231/2007, art.49 come emanato |
2008 (25 giugno in poi) – 2009 | €12.500 (soglia rialzata) | DL 112/2008 conv. L.133/2008 |
2009 (novembre) – maggio 2010 | €12.500 (confermata, frazionabile solo se non artificioso) | d.lgs. 231/2007 art.49 (testo 2009) |
31 maggio 2010 – giugno 2011 | €5.000 (soglia ridotta) | DL 78/2010 conv. L.122/2010 |
13 agosto 2011 – 5 dicembre 2011 | €2.500 | DL 138/2011 conv. L.148/2011 |
6 dicembre 2011 – 2015 | €1.000 (soglia “Monti”) | DL 201/2011 conv. L.214/2011 |
1º gennaio 2016 – 30 giugno 2020 | €3.000 (soglia “Renzi”) | L. 208/2015 (Stabilità 2016) |
1º luglio 2020 – 31 dic. 2021 | €2.000 | DL 124/2019 conv. L.157/2019 |
Initially previsto: 2022 | (€1.000) (abbassamento poi sospeso) | DL 124/2019 modificante art.49 |
2022 (effettivo) | €2.000 (proroga) | DL 228/2021 (Milleproroghe) |
Dal 1º gennaio 2023 – oggi (2025) | €5.000 (soglia attuale) | L. 197/2022 (Bilancio 2023) |
(Tabella: principali soglie contante e loro vigenza. Per completezza, dal 2017 vige anche una soglia speciale di €500 per i compro oro: importi pari o superiori a 500€ per operazioni di compravendita oro devono essere tracciati .)
Come si nota, il limite sul contante ha oscillato più volte. Al 2025, è fissato a 5.000 €; tuttavia, è in discussione a livello UE l’introduzione di una soglia unificata (ad esempio €10.000 come tetto massimo comunitario) nell’ambito di un Regolamento antiriciclaggio europeo, che potrebbe in futuro armonizzare le soglie nazionali – fermo restando che gli Stati membri potrebbero mantenere limiti più bassi. Per ora, dunque, in Italia vige 5.000€: trasferimenti pari o superiori a tale importo in contanti tra soggetti diversi sono vietati salvo tramite intermediari.
Sanzioni per il trasferimento contante sopra soglia (e frazionamenti illeciti)
La violazione delle norme appena descritte non costituisce reato, ma è punita con sanzioni amministrative pecuniarie molto salate a carico di chi ha effettuato o ricevuto il contante oltre soglia. In sintesi, l’art. 63 del d.lgs. 231/2007 prevede una multa da un minimo di 3.000€ fino a un massimo di 50.000€ per ogni trasferimento illecito . In realtà, la sanzione è proporzionale all’importo dell’operazione: per somme non troppo elevate la sanzione va dall’1% al 40% dell’importo trasferito (con minimo sempre 3.000€) ; per somme molto ingenti (oltre 50.000€) si parte dal 5% fino al 40% . Ad esempio, se venissero pagati €100.000 in contanti violando la soglia, la sanzione potrebbe variare tra 5% (€5.000) e 40% (€40.000) dell’importo, a discrezione dell’autorità competente . In ogni caso non meno di €3.000 per singola infrazione, anche se l’importo eccedente era minimo. La legge consente una forma di definizione agevolata (oblazione): per violazioni che riguardano importi fino a 250.000€, il trasgressore può estinguere il procedimento pagando entro 60 giorni una somma pari al 2% dell’importo trasferito (ossia il doppio del minimo edittale dell’1%) . Questo pagamento in misura ridotta chiude la pendenza amministrativa senza ulteriori conseguenze.
Le sanzioni colpiscono sia chi paga che chi riceve il contante oltre soglia (entrambi i soggetti della transazione sono responsabili). Ad esempio, se Tizio consegna €8.000 in contanti a Caio frazionandoli in 4 tranche da €2.000 ciascuna per eludere il limite di 5.000€, entrambi rischiano la multa. Importante: queste sanzioni sono irrogate dal Ministero dell’Economia e Finanze (MEF – Ragioneria Territoriale dello Stato) spesso a seguito di accertamenti della Guardia di Finanza. Il procedimento prevede la notifica di un verbale di contestazione, cui segue, in assenza di pagamento ridotto, un ordinanza-ingiunzione con la sanzione. Il destinatario ha diritto di opporsi in sede giudiziaria (generalmente di fronte al Tribunale civile) entro 30 giorni. In alcune pronunce, la Cassazione ha confermato l’applicazione di sanzioni in casi di frazionamento artificioso, ribadendo che non ci si può difendere invocando una lettura “formalistica” delle soglie . È quindi fondamentale, per il soggetto sanzionato, dimostrare eventualmente che le operazioni erano davvero separate e indipendenti (o che esisteva una rateizzazione lecita concordata) per poter ottenere l’annullamento della sanzione.
Esempio pratico: Mario doveva €10.000 a un fornitore. Avendo timore di incorrere nel divieto, consegna in data 10 marzo €4.000 in contanti, il 15 marzo altri €4.000 e il 20 marzo i restanti €2.000, ottenendo tre ricevute separate. Questa condotta configura un frazionamento artificioso illecito, se quei pagamenti erano in realtà dovuti tutti per la stessa fattura o debito complessivo. Mario e il fornitore rischiano ciascuno una sanzione tra 1% e 40% sui €10.000 trasferiti (minimo €3.000). Mario potrebbe difendersi solo dimostrando che, ad esempio, i €10.000 non erano un unico debito ma tre forniture diverse ciascuna da 4k+4k+2k euro fatturate separatamente (scenario poco credibile se il timing è così ravvicinato). In assenza di tale prova, il frazionamento apparirà chiaramente come espediente per aggirare la soglia, e la sanzione sarà confermata. – Se invece Mario e il fornitore avessero stipulato prima un accordo di pagamento rateale (es. 5 rate mensili da €2.000, con relativa dilazione in contratto), quei pagamenti sarebbero stati leciti, purché rispettosi dell’accordo e con fatturazione coerente per ciascuna rata .
Assegni e titoli al portatore: un breve cenno merita la normativa su assegni bancari/postali e altri titoli, che è complementare al discorso sul contante. Dal 2008 in poi, infatti, è fatto obbligo di utilizzare assegni non trasferibili per importi pari o superiori a una soglia (inizialmente €5.000, poi ridotta a €1.000 dal 2011, soglia tuttora in vigore) . Ciò significa che un assegno da €1.500, ad esempio, deve indicare il nome del beneficiario e la clausola “non trasferibile”; non può essere girato liberamente. La violazione di queste regole (emissione di assegno sopra 1.000€ senza clausola, o girata di assegno non trasferibile, ecc.) comporta ulteriori sanzioni amministrative (anch’esse da €3.000 in su). Tuttavia, utilizzare più assegni di importo inferiore alla soglia per la medesima transazione non è vietato espressamente: secondo una circolare del MEF, la soglia per gli assegni si riferisce al singolo titolo, non alla somma di più titoli . Ad esempio, se un cliente deve pagare €9.000, potrebbe teoricamente emettere 9 assegni da €1.000 ciascuno senza clausola di non trasferibilità. Questa prassi, sebbene formalmente ammessa dal punto di vista sanzionatorio , è fortemente sconsigliata: dal lato sostanziale potrebbe insospettire le banche e le autorità (perché equivale a rendere non tracciato un pagamento rilevante, spezzettandolo in assegni “liberi”). Difatti, pur non integrando un illecito di per sé, una simile condotta potrebbe far scattare una segnalazione di operazione sospetta per possibili finalità elusive. In generale, l’uso di assegni trasferibili è ormai residuale e ogni frazionamento anomalo viene visto con sfavore nell’ottica antiriciclaggio. Nel dubbio, è sempre preferibile seguire la ratio della legge: usare strumenti tracciabili nominativi per importi significativi, ed evitare artifici che, seppur non sanzionati automaticamente, possono mettere in allarme gli organi di controllo.
Segnalazioni di operazioni sospette (SOS) e ruolo dell’UIF
Al di là delle sanzioni amministrative per chi materialmente trasferisce contante in violazione di legge, un altro pilastro del sistema antiriciclaggio è l’obbligo di segnalazione delle operazioni finanziarie sospette. Questa obbligatorietà ricade sui cosiddetti soggetti obbligati: banche, Poste, istituti finanziari, professionisti (notai, commercialisti), intermediari in genere. Se un soggetto obbligato sa, sospetta o ha motivi ragionevoli per sospettare che un’operazione possa essere collegata a riciclaggio o finanziamento del terrorismo, deve inviare senza indugio una Segnalazione di Operazione Sospetta (SOS) all’UIF (l’Unità di Informazione Finanziaria presso la Banca d’Italia) . La soglia di rilevanza qui non è fissa in termini monetari: qualsiasi importo può diventare oggetto di SOS se appare ingiustificato o anomalo in rapporto al profilo del cliente . Dunque, diversamente dai limiti sul contante, per le SOS conta la qualità dell’operazione, non la cifra in sé. Anche movimentazioni relativamente modeste ma reiterate, incoerenti o strutturate in modo insolito possono destare sospetto .
Indicatori di anomalia: il frazionamento come campanello d’allarme
Per aiutare banche e altri intermediari a individuare i movimenti sospetti, la normativa e la stessa UIF forniscono degli indicatori di anomalia – liste di comportamenti o caratteristiche che, spesso, ricorrono nei casi di riciclaggio. Tra gli indici più tipici figurano: l’uso frequente e ingiustificato di contante (versamenti o prelievi ingenti non coerenti con l’attività dichiarata), operazioni incoerenti con il profilo economico del cliente, impiego di tecniche di frazionamento dei movimenti per evitare soglie di tracciabilità, rifiuto immotivato di usare metodi tracciati, interposizione di terzi (cioè fare operare prestanome) e assenza di adeguata documentazione giustificativa . Nel nostro contesto, è evidente come l’anomalo frazionamento di operazioni venga visto come un segnale d’allarme: spezzare importi per restare sotto soglie (di legge o anche sotto soglie “interne” oltre cui scattano controlli) suggerisce la volontà di eludere i controlli, quindi può indicare un tentativo di riciclare denaro di provenienza illecita. Ad esempio, un cliente che nel giro di poche settimane versa in banca decine di migliaia di euro in contanti, però sempre sotto i 5.000€ per singolo versamento, senza un chiaro motivo, presenta una operatività frazionata che la banca dovrebbe valutare attentamente.
Va sottolineato che ai fini dell’obbligo di segnalazione non serve la certezza del reato sottostante: la banca (o altro soggetto) non deve accertare l’illiceità, bensì agire anche solo sulla base di un ragionevole sospetto fondato su elementi oggettivi . Proprio la Cassazione ha chiarito che la segnalazione scatta con un “giudizio puramente tecnico” sulla idoneità dell’operazione, per caratteristiche oggettive e soggettive, a costituire uno strumento di elusione delle norme antiriciclaggio, senza richiedere che il segnalante abbia la prova di un reato o la certezza della provenienza criminosa . Ad esempio, se un commercialista nota nei conti di un suo cliente numerosi movimenti in contanti anomali (non tracciati, incongrui rispetto all’attività, magari frazionati senza giustificazione), egli deve segnalarli all’UIF, anche se non ha prova che quei contanti vengano da spaccio, corruzione o altro – la mera ricorrenza di comportamenti anomali (come il frazionamento ingiustificato) è sufficiente a far sorgere l’obbligo . Ovviamente gli indicatori di anomalia non sono matematici: la presenza di un indicatore non comporta automaticamente la segnalazione se nel caso concreto ci sono spiegazioni plausibili, così come la loro assenza non garantisce che l’operazione sia lecita . Si tratta però di red flag che, se non adeguatamente giustificate dal cliente, spingono l’intermediario a inviare la SOS.
L’UIF ha aggiornato periodicamente questi indicatori, emettendo anche “schemi rappresentativi di comportamenti anomali” specifici per certi ambiti. Ad esempio, nel 2023 l’UIF ha pubblicato nuovi schemi di anomalia (in vigore dal 1º gennaio 2024) mirati proprio ai reati fiscali spesso connessi al riciclaggio: false fatturazioni, frodi IVA, utilizzo improprio di crediti d’imposta, trasferimenti verso paradisi fiscali, ecc. . Ciò dimostra la crescente attenzione verso operazioni finanziarie che, attraverso frazionamenti o strutture complesse, potrebbero celare evasione tributaria reimpiegata (un tipico caso di autoriciclaggio, come vedremo oltre). Per gli operatori finanziari, questi schemi fungono da guida pratica su cosa osservare; per il cliente, questo significa che schemi sospetti noti (come spezzettare versamenti sotto soglia, magari contemporaneamente ricevere bonifici dall’estero che escono subito in contanti, ecc.) sono ben presenti all’occhio vigile del sistema antiriciclaggio.
UIF e flusso informativo: dalle segnalazioni alle autorità
Una volta che la banca (o altro soggetto obbligato) individua un’operazione sospetta, trasmette la segnalazione all’UIF, che è l’autorità centrale preposta a raccogliere e analizzare queste SOS. L’UIF, istituita presso la Banca d’Italia, agisce in autonomia e coopera strettamente con gli organi investigativi: Guardia di Finanza, Direzione Investigativa Antimafia, autorità giudiziaria e anche l’Agenzia delle Entrate per i profili fiscali . In pratica, l’UIF riceve la segnalazione, la elabora (anche incrociando con altre informazioni, database, ecc.), e se la ritiene fondata e meritevole di approfondimento la inoltra alle autorità competenti: tipicamente alla Guardia di Finanza e alla Procura della Repubblica territorialmente competente per possibili reati, oppure segnala trend significativi all’Agenzia delle Entrate per l’avvio di accertamenti tributari mirati. Va detto che la segnalazione è riservata: il soggetto interessato non viene informato della SOS, né può conoscere l’identità di chi l’ha effettuata (es. la banca) – ogni rivelazione in tal senso costituirebbe tipping off, illecito di divulgazione abusiva. Tuttavia, in concreto, il cliente può intuire di essere oggetto di sospetti se nota determinate circostanze: ad esempio, se la banca improvvisamente chiede spiegazioni/documenti per vecchie operazioni, o limita operatività del conto, o ancor più se intervengono accertamenti della Finanza o del Fisco in tempi successivi.
Oltre alle SOS soggettive, esistono le cosiddette “comunicazioni oggettive”: si tratta di segnalazioni automatiche che gli intermediari devono inviare per certe operatività in denaro contante oltre soglie prefissate. In particolare, l’art. 47 del d.lgs. 231/2007 impone alle banche di comunicare mensilmente all’UIF i clienti che, in un mese solare, hanno effettuato movimentazioni in contanti (entrate o uscite) superiori a 10.000 € complessivi, anche se frazionate . Ad esempio, se in un mese un cliente esegue vari versamenti e prelievi cash per un totale di €15.000, la banca – a prescindere dal sospetto soggettivo – lo segnalerà nella comunicazione oggettiva. Questo flusso di dati massivi (anche noto come sistema SARA, di aggregazione delle operazioni in contante) serve all’UIF per individuare soggetti con uso anomalo del contante, su cui concentrare analisi o incroci (magari facendo emergere sospetti dove inizialmente la singola operazione non era stata segnalata). Attenzione: la comunicazione oggettiva è distinta dalla SOS e non implica di per sé un’accusa – molti clienti onesti possono avere versato >10k in un mese (es. incassi di un’attività commerciale); tuttavia, in combinazione con altri elementi, quei dati oggettivi possono contribuire ad aprire indagini. Per l’utente bancario, questo significa che superare certe soglie di utilizzo del contante non passerà inosservato anche se fatto in tranche: le banche sono obbligate a riportare il totale mensile >10k€ .
In sintesi, l’UIF è il crocevia informativo: riceve SOS “qualitative” e dati oggettivi quantitativi, li analizza, e li trasmette agli organi di controllo competenti. Da quel momento, per il soggetto segnalato possono attivarsi due filoni di conseguenze: un filone penale/investigativo, se si sospetta un reato (riciclaggio, autoriciclaggio, reati fiscali presupposto, ecc.), e/o un filone amministrativo-tributario, se emergono violazioni finanziarie o fiscale (p.es. sanzioni antiriciclaggio, accertamenti per redditi non dichiarati). Nei paragrafi successivi esamineremo separatamente questi aspetti, focalizzandoci su come la Guardia di Finanza, la Banca d’Italia e l’Agenzia delle Entrate agiscono e su come il soggetto coinvolto possa difendersi.
Accertamenti della Guardia di Finanza e prassi di vigilanza (UIF, GdF, Banca d’Italia)
Guardia di Finanza (GdF): La GdF è il corpo specializzato sia in polizia economico-finanziaria sia in polizia giudiziaria per reati tributari e riciclaggio. Nel contesto delle operazioni frazionate, la GdF può intervenire in diversi modi:
- Ispezioni antiriciclaggio presso operatori obbligati (es. banche, professionisti): in questi controlli, la GdF verifica che tali soggetti abbiano adempiuto agli obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione. Un esempio è il caso già citato di un commercialista sanzionato per omessa segnalazione di operazioni sospette dei suoi clienti: la GdF durante un controllo accertò che egli non aveva segnalato movimenti di denaro contante ingiustificati e frazionati di un cliente, e su proposta della GdF il MEF gli comminò una multa di oltre €68.000 . Questo per dire che la GdF vigila anche sull’adempimento degli obblighi antiriciclaggio da parte di chi deve segnalare. Ciò indirettamente tutela il sistema: un’operazione frazionata sospetta dovrebbe sempre emergere perché se la banca o il professionista non la segnala, rischia esso stesso sanzioni pesanti . La Cassazione ha confermato che la mancanza di prova sull’origine illecita del denaro non esime dal segnalare: il dovere sorge sui meri indizi di anomalia .
- Accertamenti sul campo e indagini: Quando la UIF trasmette una segnalazione, la GdF (spesso tramite i Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria) avvia verifiche. Possono essere accertamenti fiscali (accessi in azienda, analisi dei conti correnti, riscontri documentali) oppure vere e proprie indagini penali sotto direzione della Procura (con deleghe a svolgere perquisizioni, sequestri, ascolto testimoni, etc.). Nel caso di operazioni frazionate, la GdF cercherà di capire perché quei movimenti sono stati fatti in quel modo: se emergono reati, invierà un rapporto alla Magistratura; se emergono irregolarità amministrative o tributarie, procederà in quelle sedi (ad es. elevando un processo verbale di contestazione per violazione dell’art.49, o un verbale di constatazione per redditi non dichiarati).
- Verifiche fiscali su base UIF: Dal punto di vista tributario, la GdF (o l’Agenzia Entrate) può utilizzare le segnalazioni UIF come input per controlli sul contribuente. Ad esempio, se un soggetto risulta aver movimentato molti contanti in modo anomalo, la GdF potrebbe avviare un’indagine finanziaria chiedendo a tutte le banche i dati dei suoi conti e verificando i versamenti effettuati, per poi confrontarli con i redditi dichiarati. È prassi sempre più comune quella di mettere in correlazione antiriciclaggio e fisco, considerando – come detto – che spesso riciclaggio ed evasione sono due facce della stessa medaglia . La GdF ha anche unità specializzate (ad es. il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e altri reparti) che incrociano le SOS con altre informazioni (es. anagrafe conti, registri immobiliari, ecc.) per far emergere “reti” di frazionamenti o schemi ricorrenti (tipicamente, smurfing: tanti piccoli versamenti fatti da persone diverse su un conto target per evitare attenzione).
Banca d’Italia: Oltre a ospitare l’UIF, la Banca d’Italia è Autorità di Vigilanza sugli intermediari. Ciò significa che Banca d’Italia può sanzionare le banche stesse se non rispettano le norme antiriciclaggio (inclusa la mancata segnalazione). Inoltre, Banca d’Italia emana istruzioni e linee guida che le banche devono seguire nell’organizzare i controlli interni. Ad esempio, le banche devono dotarsi di procedure informatiche per rilevare operatività anomala: transazioni in contante frequenti, movimenti sotto soglia ricorrenti, bonifici esteri in entrata seguiti da prelievi cash, ecc. Dal punto di vista del cliente, questo si traduce nel fatto che spesso i sistemi bancari assegnano un “alert” automatico a certi comportamenti (es. prelievo di 9.900€ in contanti subito prima di un versamento simile – schema tipico di giroconto cash – o appunto versamenti ripetuti di poco inferiori a 5.000€): tali alert fanno scattare l’analisi dell’ufficio antiriciclaggio interno, che può decidere la segnalazione. La Banca d’Italia ha richiamato le banche a non abusare della pratica del “de-risking” (chiusura indiscriminata dei rapporti con clienti ritenuti a rischio): le banche dovrebbero valutare caso per caso, segnalando le operazioni sospette ma mantenendo un approccio proporzionato con i clienti. Tuttavia, nella realtà, accade che conti vengano chiusi o operatività limitata quando un cliente è percepito come troppo rischioso dal punto di vista AML. Su questo tema torneremo parlando dei rimedi del cliente (reclamo, Arbitro Bancario, ecc.).
UIF: Abbiamo già descritto il ruolo dell’UIF nel trattamento delle segnalazioni. Qui rileviamo una prassi operativa: l’UIF invia spesso alla Guardia di Finanza sia le singole segnalazioni ritenute rilevanti, sia analisi aggregate. Ad esempio, l’UIF potrebbe notare che in una certa zona d’Italia avvengono molti frazionamenti sospetti in contanti collegati a un certo settore merceologico: invierà alla GdF uno schema di possibile fenomeno di riciclaggio. Oppure può attivare la collaborazione con omologhe FIU estere se i movimenti riguardano l’estero (es. tanti bonifici sotto soglia verso un Paese a fiscalità privilegiata). La collaborazione internazionale e inter-agenzia è oggi molto intensa.
In termini di prassi difensiva, è utile sapere che: se si viene convocati dalla Guardia di Finanza per chiarimenti su operazioni bancarie, è probabile che abbiano in mano o una segnalazione UIF o i risultati di una comunicazione oggettiva. In tale sede (audizione, questionario, o verifica) fornire spiegazioni e documentazione è cruciale. Una diffidenza o reticenza può spingere l’organo a procedere più severamente (ad esempio con un rapporto penale). Viceversa, chiarire subito le ragioni economiche legittime delle operazioni può talvolta convincere le autorità che non c’è stato riciclaggio, evitando l’escalation. È quindi buona prassi cooperare con la GdF, eventualmente tramite il proprio legale o commercialista, presentando ogni elemento atto a giustificare le transazioni contestate (es. contratti, ricevute, estratti conto collegati, movimenti di cassa, provenienza dei contanti da redditi dichiarati, ecc.).
Profili penalistici: riciclaggio e autoriciclaggio
Quando le operazioni frazionate nascondono realmente denaro di provenienza illecita, si entra nel campo del diritto penale. Le figure criminose di riferimento sono principalmente due:
- il riciclaggio (art. 648-bis c.p.), che punisce chiunque reimpieghi, sostituisca o trasferisca denaro o beni provenienti da un delitto altrui, in modo da ostacolare l’identificazione della loro origine delittuosa;
- l’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), introdotto dal 2015, che punisce l’autore del reato presupposto che impieghi, sostituisca o trasferisca i proventi *del proprio delitto, sempre con finalità di occultarne l’origine.
Nel contesto delle operazioni bancarie frazionate, il classico schema illecito è quello del “structuring” (in italiano, frazionamento o smurfing): un soggetto ha una certa somma di denaro sporco (derivante magari da corruzione, spaccio, evasione fiscale rilevante, ecc.) e per ripulirla la versa poco per volta sul conto, oppure la trasferisce a terzi in piccole dosi, così da non destare sospetti. Questa condotta di per sé può costituire il “trasferimento” o la “sostituzione” di denaro di provenienza illecita richiesta dalle norme sul riciclaggio. Ad esempio, depositare periodicamente 1.900€ in contanti sul proprio conto, quando l’origine è un’evasione fiscale o un furto, significa reintrodurre quel denaro nel circuito finanziario in maniera frazionata, ossia riciclarlo (o autoriciclarlo se il delitto presupposto è commesso dallo stesso soggetto che ricicla).
È importante notare che il mero superamento di soglie legali (come i 5.000€ in contanti) non è di per sé un reato penale: se Tizio paga 10.000€ in contanti a Caio (frazionati o meno), commette un illecito amministrativo, ma non viene automaticamente incriminato per riciclaggio. Per configurare il reato di riciclaggio/autoriciclaggio serve che quel denaro sia profitto di un delitto e che la condotta di frazionamento sia finalizzata a occultarne la provenienza delittuosa. Spesso però le due cose coesistono: chi fraziona lo fa proprio perché i soldi sono “neri” (non dichiarati o illeciti) e vuole evitare controlli.
Dal punto di vista probatorio, la giurisprudenza ha stabilito alcuni principi chiave. Primo: non è necessario identificare esattamente quale reato a monte ha generato i soldi, né tantomeno avere una sentenza di condanna per tale reato presupposto; è sufficiente però che vi sia la certezza o quanto meno un’evidenza logica chiara della provenienza illecita dei beni riciclati . La Cassazione ha detto che l’esistenza del delitto presupposto può essere provata anche “in via logica”, ossia tramite indizi e circostanze, purché il giudice individui la tipologia di illecito originario in modo sufficientemente concreto . Ad esempio, se un soggetto con reddito dichiarato modesto versa in banca 200.000€ in contanti frazionati, si potrà logicamente ritenere che quei soldi provengano o da evasione fiscale o da attività criminali: non si sa esattamente, ma si tratta comunque di proventi delittuosi astrattamente configurabili. Secondo: però, la “prova logica” non può ridursi alla semplice ingiustificatezza del denaro . La Cassazione ha chiarito nel 2024 che affermare “non si sa da dove vengono questi soldi, quindi sono illeciti” non basta per condannare per riciclaggio, specialmente a dibattimento . È necessario che gli indizi portino a un fatto penalmente rilevante specifico: ad esempio, che si tratti verosimilmente di evasione fiscale oltre soglia penale, o di peculato, o di traffico di droga – e non semplicemente di redditi non dichiarati ma derivanti da condotte non costituenti reato (come potrebbe essere un’evasione fiscale di lieve entità, un lavoro pagato in nero ma sotto soglia penale, ecc.). Se l’origine può essere solo illecita in senso lato ma non si individua alcun delitto concreto, la legge penale non può punire il riciclaggio. Terzo: l’elemento soggettivo – la consapevolezza di riciclare – va provato. Nel caso dell’autoriciclaggio, l’autore sa bene da dove vengono i soldi (perché li ha ottenuti col proprio reato), ma potrebbe sostenere che il depositarli non avesse intento di occultare (es. li ha messi su conto solo per custodirli, non per “ripulirli”). La norma sull’autoriciclaggio esclude la punibilità delle condotte di mera “utilizzazione o godimento personale” dei proventi illeciti (ad es. se uno spende il denaro per le proprie necessità senza immetterlo nel circuito economico). Quindi, versare denaro sporco su un conto potrebbe apparire come semplice detenzione, ma la Cassazione l’ha ritenuta comunque potenzialmente condotta di reimpiego punibile se idonea a ostacolare l’identificazione dell’origine. Ad esempio, la Cassazione ha escluso l’autoriciclaggio in un caso in cui i ladri di un bancomat avevano versato il contante rubato su una carta prepagata intestata a loro stessi: la Corte ha valutato che quel mero versamento su una carta non costituisse un’attività economico-finanziaria vera e propria idonea a “dissimularne” l’origine, trattandosi solo di parcheggiare i contanti su uno strumento nominativo . Mancava dunque l’elemento della “capacità dissimulatoria” richiesto dalla norma . Ma attenzione: se invece quei contanti fossero stati frazionati e versati su carte intestate a prestanome, o su conti di società, ecc., molto probabilmente la valutazione sarebbe opposta (condotta dissimulatoria presente).
In sintesi, per avere un’accusa di riciclaggio o autoriciclaggio da operazioni frazionate, gli inquirenti cercheranno di dimostrare: (a) che il denaro in questione proviene da un reato presupposto (ad es. evasione fiscale aggravata, truffa, spaccio, corruzione, ecc.); (b) che l’indagato ha compiuto atti di impiego/sostituzione/trasferimento di quel denaro (es. lo ha depositato in banca a piccole dosi, oppure lo ha fatto transitare su vari conti, lo ha convertito in altri beni finanziari, ecc.) allo scopo di ostacolare l’identificazione dell’origine; (c) che aveva la consapevolezza dello scopo di occultamento. Il frazionamento, di solito, è un forte indizio sia del punto (b) che del punto (c) – infatti perché mai uno spezzetterebbe un importo se non per non dare nell’occhio? Sta poi alla difesa contrastare queste inferenze, mostrando magari che il frazionamento aveva ragioni lecite.
Difendersi dall’accusa penale: Dal punto di vista del debitore imputato, la linea difensiva può svilupparsi su più livelli. In primo luogo, contestare la sussistenza del reato presupposto: se i soldi non provengono effettivamente da un delitto, non c’è riciclaggio. Ad esempio, se l’origine è evasione fiscale di per sé non penalmente rilevante (importi sotto soglie di punibilità del diritto tributario), allora manca il delitto presupposto – su ciò la giurisprudenza ha dibattuto, ma tendenzialmente riciclaggio/autoriciclaggio richiedono proventi da reato e non da semplice illecito amministrativo . Dunque, se l’accusa è che Tizio ha riciclato soldi da evasione fiscale, ma l’evasione era di importo inferiore alle soglie di reato (es. €30.000 di imposte evase, punibile solo amministrativamente), la difesa può sostenere l’assenza del presupposto delittuoso (e la Cassazione ha confermato che va individuata la soglia, nel 2024) . In secondo luogo, si può argomentare che le operazioni effettuate non avevano carattere di vera “sostituzione” o “trasferimento” finalizzato a occultare – come nel caso della carta prepagata di cui sopra, dove la difesa è riuscita a far qualificare il deposito come privo di finalità dissimulatoria. Ad esempio, se l’imputato versa sul suo conto i proventi illeciti e li tiene fermi lì a proprio nome, potrebbe sostenere che non ha veramente “nascosto” l’origine (anche se comunque li ha messi nel circuito bancario). Ogni caso concreto ha le sue peculiarità. Un’altra strategia è dimostrare che le risorse contestate in realtà provenivano da fonti lecite (onere tutt’altro che facile in sede penale, dove spetterebbe all’accusa provare il contrario – ma portare prove a discarico è sempre utile). Se ad esempio l’imputato può documentare che i contanti versati derivavano da risparmi accumulati negli anni (da redditi regolarmente tassati) o dalla vendita di un bene personale, ciò può distruggere l’ipotesi accusatoria di provenienza illecita.
Va evidenziato che, in caso di processo penale, un’assoluzione per insussistenza del fatto di riciclaggio potrà esservi se il giudice ritiene non raggiunta la prova di un’origine delittuosa specifica: “l’insufficienza della prova sul punto comporta l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste” . Questa frase (dalla sentenza Cass. 19133/2023) significa che se rimane solo un sospetto generico (soldi “sospetti” ma non chiaramente da reato X), l’imputato va assolto.
Rapporto con il reato fiscale presupposto: spesso le operazioni frazionate riguardano somme sottratte al fisco. In tali casi, si può avere un doppio binario: procedimento per il reato tributario (es. dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, fatture false) e procedimento per autoriciclaggio di quei proventi. La legge prevede cause di non punibilità in ambito tributario se il contribuente paga integralmente il dovuto (ad es. per alcuni reati tributari, il pagamento del debito tributario prima del dibattimento estingue il reato). Se l’imputato riesce a “sistemare” la propria posizione fiscale (pagando tasse, sanzioni e interessi) e quindi il reato presupposto fiscale viene meno, cade anche la base dell’autoriciclaggio – ma occorre attenzione: l’art.648-ter.1 c.p. punisce anche chi ricicla proventi di reati commessi prima della sua entrata in vigore (2015) , e la non punibilità sopravvenuta del reato fiscale va valutata se equivalente a una mancanza originaria di reato (questioni tecniche delicate). In linea generale, sanare il debito tributario aiuta in sede penale, quantomeno come circostanza attenuante e per l’eventuale confisca (le somme autoriciclate possono comunque essere confiscate in aggiunta alle somme evase recuperate dal Fisco ). Quindi, una difesa coordinata con il tributarista, per regolarizzare il possibile reato fiscale, è spesso opportuna.
Riassumendo le differenze chiave: la normativa antiriciclaggio amministrativa punisce il mezzo (frazionare contante sopra soglia) a prescindere dalla provenienza, ma con sanzione pecuniaria; la normativa penale punisce il fine (nascondere soldi criminali), a prescindere dal superamento di soglie, ma occorre provare l’origine illecita. Una stessa condotta può quindi implicare tre livelli: ad es. Tizio fraziona €100k in contanti depositandoli sul conto – viola l’art.49 (multa), viene segnalato e subisce un accertamento fiscale (tasse evase su €100k), e se quei €100k provengono da reato (mettiamo fatture false) verrà indagato per autoriciclaggio. Le sorti di ciascun livello possono divergere (può pagare la multa e le tasse ma venire assolto penalmente o viceversa); vediamo ora più nel dettaglio il livello tributario.
Profili fiscali e penale-tributari: accertamenti dell’Agenzia delle Entrate
Le operazioni bancarie frazionate e inusuali finiscono spesso sotto la lente del Fisco, indipendentemente (o parallelamente) dall’aspetto penalmente rilevante. Come anticipato, l’Agenzia delle Entrate ha accesso ai dati finanziari (tramite le comunicazioni oggettive, l’archivio dei rapporti finanziari, e segnalazioni della UIF) e li utilizza per contrastare l’evasione fiscale. Negli ultimi anni vi è stata una sinergia crescente tra antiriciclaggio e accertamento tributario: movimenti bancari “sospetti” fanno scattare sempre più spesso verifiche fiscali mirate . Ad esempio, se una persona fisica con basso reddito dichiarato movimenta sul conto cifre elevate in contanti (o riceve bonifici esteri ingenti e subito li preleva), l’Agenzia può avviare un accertamento sintetico/finanziario, contestando redditi non dichiarati.
La normativa cardine qui è l’art. 32 del DPR 600/1973 (per le imposte dirette, e l’analogo art.51 DPR 633/72 per l’IVA). In base a tali disposizioni, l’Amministrazione finanziaria può presumere che tutti i versamenti su conto corrente effettuati dal contribuente (se non risultano dalle dichiarazioni) costituiscano redditi imponibili occultati, salvo che il contribuente provi diversamente . È una presunzione legale relativa a favore del Fisco: una volta che l’Ufficio dimostra semplicemente l’esistenza di accrediti sul conto, spetta al contribuente fornire prova contraria analitica che quelle somme non sono reddito tassabile . La Cassazione ha più volte ribadito che questa presunzione non richiede i requisiti delle comuni presunzioni semplici (gravità, precisione, concordanza) proprio perché è stabilita dalla legge . In altre parole, l’Agenzia delle Entrate non deve dimostrare che quei soldi provengano, ad esempio, da vendite in nero o da evasione IVA – è il contribuente a dover dimostrare caso per caso da dove venivano e perché non dovevano essere dichiarati .
Ciò posto, appare evidente come i movimenti bancari anomali (tipicamente associati a possibili riciclaggi) siano anche fortemente indizianti di evasione fiscale. L’Agenzia delle Entrate, ricevute le segnalazioni dall’UIF, spesso notifica al contribuente un questionario o invito a fornire chiarimenti su quei movimenti. È fondamentale non ignorare tali inviti: presentare subito le proprie spiegazioni e documentazione può a volte evitare l’emissione dell’accertamento o ridurne l’ambito . Se le spiegazioni non sono convincenti, l’Ufficio procederà a emanare un avviso di accertamento in cui aggiunge al reddito imponibile le somme ritenute non giustificate, con relative imposte evase e sanzioni (spesso al 90% del tributo evaso).
La difesa del contribuente in sede tributaria consiste nel fornire quella prova contraria analitica di cui sopra. Ciò vuol dire spiegare operazione per operazione la natura non reddituale dei movimenti contestati . Ad esempio, potrebbe trattarsi di somme già tassate in precedenza (es. trasferimento da altro conto dello stesso soggetto, o da risparmi già tassati), di rimborsi, di donazioni familiari esenti, di movimentazione meramente finanziaria (girofondi), ecc. La Cassazione ha sottolineato che la prova deve essere rigorosa e puntuale per ciascun accredito . Non basta una generica dichiarazione: occorre presentare pezze d’appoggio (es. se uno sostiene che quei contanti derivano da risparmi accumulati in casa, dovrebbe almeno mostrare da quali prelievi bancari pregressi provengono; se sostiene che sono prestiti o doni di terzi, preferibilmente produrre dichiarazioni scritte o atti notarili; se dice che sono ricavi già tassati in capo a una società, produrre evidenze contabili di uscita dalla società, ecc.). La difficoltà sta proprio nell’analiticità: ogni euro contestato va spiegato. Spesso, nel caso di operazioni frazionate, la traccia documentale non c’è (per definizione si è operato in contanti, fuori dai canali). Il contribuente potrebbe trovarsi a dover reconciliare entrate e uscite: ad esempio, provare che quel contante versato in banca in vari giorni non era altro che la stessa somma che aveva prelevato qualche tempo prima (il c.d. ricircolo). In assenza di tracciabilità, queste prove sono ardue, e il rischio fiscale concreto è che l’intero ammontare venga considerato ricavo non dichiarato. La Cassazione (ord. n.22047/2023) ha di recente ribadito la rigidità di tale regola: è costituzionale perché iuris tantum (come già affermato dalla Corte Cost. 228/2014), e può essere vinta solo con prova dettagliata . Anche il fatto che si tratti di “movimenti ingiustificati” scoperti grazie a segnalazioni UIF non dà adito a eccezioni sul metodo presuntivo: i giudici supremi considerano legittimo l’uso di tali dati bancari e li trattano alla stregua di qualunque elemento indiziario finanziario .
Esempio pratico: Caio, piccolo imprenditore, riceve un accertamento perché nel 2024 ha versato sul conto €30.000 in contanti, a fronte di soli €10.000 di redditi dichiarati. Caio sostiene che erano risparmi accumulati negli anni precedenti in casa. La Commissione Tributaria, in base alla legge e alla giurisprudenza, probabilmente non accoglierà questa giustificazione se Caio non produce prove convincenti (e.g. estratti conto di anni passati da cui risultano prelievi di simile importo poi non spesi). In mancanza, quei €30.000 saranno trattati come ricavi in nero dell’anno, con tasse e sanzioni relative. – Diverso scenario: Caio dimostra che quei €30.000 provengono da una donazione di suo padre (mostrando un atto di donazione registrato, o almeno una dichiarazione del padre e i prelievi del padre); allora la presunzione viene vinta, perché Caio ha provato che non erano reddito suo ma regalo (il padre potrà dover giustificare a sua volta quel denaro eventualmente, ma Caio evita la tassazione su di sé). Un altro scenario: Caio aveva fatto una grossa evasione fiscale negli anni passati (reato), e quei €30.000 ne sono frutto; se però riesce a includerli in una definizione fiscale (ravvedimento, adesione o altra procedura) pagando le imposte su di essi, allora l’Agenzia non li considererà più non dichiarati. Resta l’eventuale responsabilità penale per l’evasione (se non sanata) e l’autoriciclaggio, come discusso sopra.
Contraddittorio preventivo: va segnalato che, specie per i tributi non “armonizzati” (come IRPEF, IRES), la legge non impone sempre un contraddittorio prima dell’accertamento, ma la giurisprudenza recente tende a ritenere necessario un confronto anticipato col contribuente se dalle sue spiegazioni possono emergere elementi decisivi . Quindi se si ricevono questionari o inviti a comparire, è essenziale rispondere adeguatamente. Durante il ricorso tributario, poi, si possono far valere sia motivi di merito (assenza di materia imponibile provata) sia eventuali vizi di procedura (es. mancata instaurazione del contraddittorio, motivazione insufficiente dell’atto, ecc.), che in alcuni casi possono portare all’annullamento indipendentemente dal merito .
Profili penali-tributari connessi
Come visto, se i movimenti frazionati corrispondono a evasione fiscale di rilevante entità, avremo da un lato l’accertamento tributario e dall’altro un potenziale procedimento penale per reati fiscali (d.lgs.74/2000, es. dichiarazione infedele se imponibile evaso > €100k, omessa dichiarazione se > €50k imposta evasa, emissione di fatture false, ecc.). Tali reati possono fungere da reato presupposto per il riciclaggio/autoriciclaggio. Un tema delicato è la doppia punibilità: cioè, in casi estremi, l’imprenditore può subire sanzioni amministrative (multe antiriciclaggio), sanzioni tributarie (imposte e soprattasse) e sanzioni penali (per reato fiscale e autoriciclaggio) insieme. L’ordinamento tende a coordinarle: ad esempio, pagare il dovuto evita la pena per il reato fiscale e di riflesso spegne l’autoriciclaggio; oppure, in sede penale spesso si cerca di unificare il giudizio (il Tribunale valuta sia l’autoriciclaggio che il reato fiscale). Dal punto di vista difensivo, è utile coinvolgere subito un esperto penalista e uno tributarista per una strategia comune. Potrebbe convenire aderire a un’eventuale definizione agevolata fiscale (se proposta) o chiedere la sospensione del processo in attesa di definire il tributario, ecc. – ma questi aspetti esulano dalla guida, basti sapere che esistono interazioni complesse tra i diversi piani sanzionatori.
Una menzione meritano i rapporti bancari cointestati o con familiari: capita che, per sottrarsi a sospetti, una persona faccia transitare denaro su conti altrui (moglie, figli, prestanome). Fisco e Cassazione considerano questi casi come interposizione fittizia: se Tizio fa versamenti sul conto del figlio non giustificati dai redditi del figlio, l’Agenzia può presumere che siano sempre redditi di Tizio (frutto magari di evasione di Tizio) e tassarli a Tizio, salvo prova contraria . La Cassazione conferma la legittimità di tale approccio quando c’è evidenza che il dominus muove i soldi “altrui” . Penalmente, può configurarsi riciclaggio in capo al prestanome e autoriciclaggio in capo al dominus. Dunque usare conti di terzi è una pessima idea: si rischia di aggravare la propria posizione (anche perché il terzo potrebbe non saper giustificare quei flussi, consolidando la prova a carico del dominus).
In conclusione su questo capitolo fiscale, va tenuto presente che la prospettiva del Fisco è diversa da quella penale: in ambito tributario, non conta dimostrare che i soldi erano leciti, ma dimostrare che non erano reddito imponibile. Anche denaro proveniente da reato è comunque reddito imponibile (salvo poche eccezioni come il principio ne bis in idem per importi già confiscati in penale, ecc.). Quindi, paradossalmente, uno può essere assolto in penale perché non si prova il reato specifico, ma comunque tassato in sede fiscale perché non sa dire un’origine tracciabile. La Cassazione ha anzi esplicitamente affermato che i dati bancari provenienti da indagini (e da SOS) sono liberamente utilizzabili dal Fisco e non violano il segreto o la privacy . Ciò significa che l’accertamento da antiriciclaggio è pienamente legittimo. Starà al contribuente tirarsi fuori dalle presunzioni con documenti e dettagli .
Vediamo ora, più operativamente, come difendersi quando ci si trova coinvolti in queste situazioni, riassumendo le strategie e rispondendo ad alcune domande frequenti.
Strategie di difesa del soggetto segnalato (debitore)
Trovarsi al centro di contestazioni di “operazioni frazionate” come possibile riciclaggio può essere un’esperienza gravosa. È importante adottare un piano di difesa multidisciplinare, data la concomitanza di profili amministrativi, fiscali e penali. Di seguito, per punti, le principali azioni difensive e tutele a disposizione del debitore (ossia colui che ha eseguito o ricevuto i fondi frazionati):
- Regolarizzare quando possibile: Se i movimenti riguardano somme fiscalmente non dichiarate, valutare tempestivamente la possibilità di sanatoria fiscale (ravvedimento operoso, domanda di definizione agevolata se pendente un accertamento, ecc.). Pagare le imposte dovute prima che il contenzioso si irrigidisca può evitare il protrarsi di accertamenti e anche costituire un fattore di mitigazione in sede penale. Ad esempio, se un imprenditore sa di aver versato in banca ricavi in nero frazionandoli, può presentare una dichiarazione integrativa spontanea per includerli e pagare il dovuto: l’Agenzia a quel punto potrebbe rinunciare a ulteriori sanzioni (oltre a quelle da ravvedimento) e, se ci fosse un reato tributario, certe norme premiano l’adempimento col non doversi procedere.
- Documentare l’origine lecita dei fondi: sin dal primo segnale di allerta (richiesta info dalla banca, convocazione GdF, avviso di accertamento), raccogliere tutta la documentazione che può spiegare i movimenti. Contratti di mutuo, ricevute di vendita di beni, prelevamenti precedenti di contanti, scritture private di prestito, estratti conto di provenienza e destinazione delle somme… ogni carta può essere decisiva. Ricordiamo la regola: ogni movimento contestato va spiegato analiticamente. Meglio un documento in più che uno in meno. Se ad esempio i €50.000 frazionati su un conto derivavano dalla vendita di un’auto d’epoca pagata in contanti dall’acquirente, produrre la copia dell’atto di vendita o passaggio di proprietà, e magari una dichiarazione dell’acquirente, sarà risolutivo nell’ambito fiscale (diverso il penale, dove la vendita in nero resta reato, ma almeno la provenienza è nota e potrebbe escludere altre ipotesi peggiori).
- Non sottovalutare la fase pre-contenziosa: come detto, partecipare attivamente al contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate è cruciale. Fornire spiegazioni circostanziate già in sede di questionario o istruttoria amministrativa può convincere gli uffici a non procedere o a ridurre il rilievo. Anche nella fase di verifica GdF, collaborare (senza ammettere reati, ovviamente, ma fornendo dati oggettivi) spesso può indirizzare gli esiti. Ad esempio, se la GdF vi chiede perché avete fatto 20 prelievi da €4.000 in un mese, e la ragione è che dovevate fare un pagamento da €80.000 ma il fornitore vi ha consentito di spezzettare i pagamenti (caso borderline), portare il contratto/accordo col fornitore che prevedeva quella dilazione potrebbe evitare che vi contestino il frazionamento come riciclaggio (anche se rimane la violazione amministrativa in teoria).
- Impugnare le sanzioni amministrative antiriciclaggio: se vi viene notificata un’ordinanza-ingiunzione del MEF per violazione dell’art.49 (pagamenti frazionati), valutate l’opportunità di fare opposizione in tribunale. Ci sono termini stretti (30 gg). In tale sede, potrete far valere ad esempio che i pagamenti erano connaturati all’operazione o che non erano riconducibili a un unico debito. Come visto, la legge fa salvo il frazionamento “naturale”: quindi, se avete prove che i pagamenti contestati erano rate concordate, il giudice potrà annullare la sanzione . Anche errori procedurali (notifica oltre termini) vanno verificati con il legale.
- Tutela nei confronti della banca: spesso chi è segnalato si vede chiudere il conto o subire restrizioni (es. revoca fido, blocco operatività). Le banche agiscono così per politiche interne di compliance. Il cliente può: (a) chiedere spiegazioni (anche se difficilmente otterrà ammissione che la causa è la SOS, che è segreta); (b) presentare un reclamo scritto all’ufficio reclami della banca se ritiene il comportamento scorretto (ad esempio, chiusura conto senza preavviso in assenza di giusta causa); (c) ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) per far valutare il caso, oppure in giudizio ordinario per eventuali danni. C’è da dire che le condizioni generali dei c/c prevedono spesso la facoltà di recesso ad nutum della banca con preavviso (di solito 60 giorni). Se la banca motiva la chiusura con “sopravvenute considerazioni di antiriciclaggio”, difficilmente l’ABF condannerà la banca: l’orientamento è che l’intermediario può recedere se teme rischi di compliance. Tuttavia, se il conto viene bloccato senza nemmeno permettere di prelevare il saldo, ciò può essere illegittimo (salvo ordine di sequestro dall’Autorità). In assenza di provvedimenti giudiziari, i soldi del cliente non possono essere trattenuti indebitamente. Quindi, in tali (rari) casi, un’azione urgente (anche un reclamo d’urgenza a Banca d’Italia o un ricorso d’urgenza in tribunale) può essere valutata. Fortunatamente, la segnalazione SOS in sé non comporta il blocco automatico dei fondi: il congelamento può avvenire solo se interviene un sequestro penale o una misura di prevenzione. Dunque, se la banca rifiuta arbitrariamente operazioni (tipo non vi fa fare bonifici in uscita) dovete insistere nel chiedere un riscontro ufficiale e poi attivarvi legalmente. In alternativa, preparatevi a trasferire i rapporti presso un altro istituto meno “allarmato” (ovviamente la nuova banca verrà a conoscenza dei vostri precedenti movimenti tramite centrale rischi e data base, quindi la trasparenza paga: spiegate subito al nuovo istituto la natura delle vostre operazioni, presentando documentazione, così da evitare nuovi problemi).
- Difesa penale tempestiva: se si avvia un procedimento penale (anche solo un’indagine a vostro carico per riciclaggio/autoriciclaggio), nominare subito un avvocato penalista di fiducia è fondamentale. In fase iniziale, l’avvocato può interloquire con il PM presentando memorie difensive, documenti che chiariscono la posizione, o chiedendo interrogatori per dare spiegazioni. L’obiettivo è eventualmente ottenere un’archiviazione prima che la cosa sfoci in un processo. Se, ad esempio, siete indagati perché avete frazionato €50.000 e c’è il sospetto di riciclaggio, il vostro legale potrà fornire al PM la prova che quei €50.000 derivavano tutti da redditi leciti (ancorché non immediatamente apparente): se il PM è convinto, potrebbe chiedere l’archiviazione (poiché non c’è provento di delitto). Anche nell’eventualità di perquisizioni o sequestri, avere un legale pronto permette di interloquire subito con l’Autorità (es. chiedere il dissequestro di somme se si dimostra la legittima provenienza, ecc.). L’avvocato potrà inoltre consigliarvi se conviene eventualmente collaborare, patteggiare o altre scelte processuali.
- Coordinamento difensivo: come appare chiaro, le vicende multi-profilo richiedono spesso un lavoro di squadra: penalista, tributarista e civilista (per le sanzioni amm.ve) devono allineare le strategie. È bene che il contribuente condivida con i vari consulenti tutte le informazioni, evitando contraddizioni. Ad esempio, non si può in sede tributaria dire “quei soldi erano un regalo di mio zio” e poi in sede penale dire “provenivano da utili non tassati della mia società”: le autorità potrebbero incrociare le dichiarazioni e la credibilità verrebbe meno. Bisogna adottare una linea coerente e supportata da evidenze.
- Chiedere accesso agli atti e motivazioni: se arriva un accertamento fiscale basato su segnalazioni UIF, assicuratevi di ottenere copia integrale degli atti su cui si basa (spesso nell’atto è omessa la fonte, ma in istruttoria potete chiedere). Conoscere esattamente cosa ha insospettito il Fisco (es. un rapporto UIF che parla di “versamenti di contante incongrui”) vi aiuta a mirare la difesa su quei punti. Anche nel procedimento penale, tramite il difensore si potrà accedere agli atti dopo la chiusura indagini o in caso di incidenti probatori.
In generale, la miglior difesa è prevenire: se ci si rende conto che certe operazioni potrebbero apparire sospette, agire ex ante può evitare il problema. Ad esempio, se avete bisogno di versare in banca una grossa somma in contanti derivante da risparmi, avvisate la banca della provenienza prima, magari versando con un’autodichiarazione sull’origine lecita; se dovete saldare un debito consistente, evitate di farlo cash frazionato – meglio fare uno sforzo di tracciabilità (ad es. un bonifico, anche se ciò rende il denaro più visibile al fisco, è preferibile a un contante frazionato che vi espone a sanzioni e sospetti più gravi). Conoscere le norme consente di non incorrere in situazioni spiacevoli. Nel prossimo paragrafo, forniremo una sezione di Domande e Risposte per chiarire i dubbi più comuni su questi temi.
Domande frequenti (FAQ)
D1: Qual è l’attuale soglia per i pagamenti in contanti in Italia (2025)? È vero che tornerà a 10.000 euro?
R: Attualmente la soglia è 5.000 € per i trasferimenti di denaro contante tra soggetti diversi . Questo limite è in vigore dal 1° gennaio 2023 (innalzato rispetto ai 2.000 € del 2022). L’UE sta lavorando a un possibile limite uniforme di 10.000 €, ma al momento non è ancora in vigore alcun regolamento vincolante. Anche se venisse introdotta una soglia UE a 10.000 €, l’Italia potrebbe mantenere un limite più basso (come 5.000 €) in virtù di politiche più restrittive anti-evasione. Dunque, fino a nuove leggi, rimangono vietati i trasferimenti cash pari o superiori a 5.000 € (salvo tramite banca) e consentiti quelli fino a 4.999,99 €. Attenzione però: usare accorgimenti fittizi per aggirare la soglia (es. fare più pagamenti da 4.999€) è illecito comunque, perché considerato frazionamento artificioso .
D2: Cosa si intende esattamente per “operazione frazionata”? C’è un intervallo di tempo preciso entro cui i pagamenti si considerano un’unica operazione?
R: La legge antiriciclaggio non fissa un intervallo temporale rigido, ma parla di pagamenti “inferiori alla soglia” che risultino artificiosamente frazionati rispetto a un’unica operazione . Ciò implica una valutazione caso per caso. In generale, se più pagamenti sono dovuti per uno stesso motivo economico (stesso contratto, stesso debito) e appaiono suddivisi solo per non superare il limite, allora sono considerati un’unica operazione frazionata illecita . Non importa se i pagamenti avvengono in giorni diversi o settimane diverse: anche pagamenti distanziati nel tempo possono essere collegati (es. saldare in 3 mesi un importo dovuto tutto subito, senza accordo rateale, configura frazionamento). Viceversa, se i pagamenti multipli sono previsti da contratto o fisiologici (es. canoni mensili, forniture ripetute) sono frazionamenti leciti. Non esiste una “regola dei 7 giorni” o simili prevista da legge. Un famoso parere del Consiglio di Stato del 1995 suggeriva di valutare gli elementi del caso concreto: se l’autorità può ragionevolmente inferire che l’operazione era unica, la considererà frazionata artificiosamente anche se formalmente suddivisa . In pratica: più i pagamenti sono ravvicinati e di importo simile, e più evidente il legame (ad es. 5 bonifici da 2.000 € a pochi giorni di distanza verso lo stesso beneficiario per un totale di 10.000 € dovuto per una fattura: altamente probabile frazionamento). Se invece sono passati molti mesi ed erano legati a progressi differenti (es. stato avanzamento lavori in un appalto), allora potrebbero essere considerati distinti.
D3: Versare sul proprio conto somme in contanti oltre soglia, è vietato? Ad esempio, posso depositare 10.000 € in banca in un solo giorno?
R: Depositare denaro sul proprio conto non è considerato un “trasferimento tra soggetti diversi” ai fini del divieto – si ritiene infatti che la banca sia solo il tramite e che il denaro resti nella disponibilità dello stesso soggetto (tecnicamente il trasferimento avviene ma con l’intermediazione autorizzata). Quindi, non c’è un illecito amministrativo nel versare 10.000 € in contanti allo sportello: la soglia di 5.000 € riguarda i passaggi diretti tra privati . Tuttavia, attenzione: la banca deve rispettare norme di registrazione e segnalazione. Un versamento unico di 10.000 € in contanti molto probabilmente sarà segnalato come operazione oggettiva all’UIF . Se poi quell’importo appare incongruo per il profilo del cliente, la banca potrebbe anche inviare una SOS soggettiva. Dunque, si può depositare più di 5.000 € in contanti in banca (non è illegale farlo), ma bisogna aspettarsi possibili domande dalla banca sull’origine del denaro e, se l’operazione è anomala, una segnalazione alle autorità. Lo stesso vale per depositi frazionati: anche se versi 9.000 € spezzettandoli in più giorni (es. 3.000 + 3.000 + 3.000), eviti formalmente la comunicazione oggettiva dei 10k/mese, ma la banca potrebbe ugualmente notare il pattern e segnalarlo come sospetto. In sintesi: non c’è un limite legale all’importo che puoi versare sul tuo conto, però versare grandi somme in contanti è sempre operazione delicata che può innescare controlli. Il consiglio è di avvisare la banca e giustificare per iscritto l’operazione (es. “vendita auto, ecco copia atto”) al momento del versamento, così da rassicurare l’intermediario sulla liceità.
D4: E per i prelievi in contanti dal proprio conto? Posso prelevare somme elevate in una o più tranche?
R: Dal punto di vista normativo, non esiste un limite ai prelievi per le persone fisiche non titolari di ditta individuale (in passato c’era per imprenditori, ma la Corte Costituzionale l’ha abolito) . Quindi, se hai 20.000 € in banca, puoi prelevarli in un sol colpo o frazionati, senza commettere violazioni dell’art.49 (che riguarda trasferimenti a terzi). Tuttavia, i prelievi consistenti possono anch’essi attirare l’attenzione: le banche segnalano movimenti di contante anomali in uscita esattamente come quelli in entrata . Un cliente che svuota il conto con prelievi di contante potrebbe far temere che stia portando fondi “al sicuro” per operazioni illecite (es. pagarli fuori sistema a qualcuno, o trasferirli all’estero in valigia). Pertanto, aspettati domande se prelevi cifre importanti, e possibili segnalazioni se il comportamento è giudicato sospetto (per esempio, prelievi ripetuti di poco sotto i 10k possono generare alert). Il suggerimento è analogo: se devi prelevare molto contante per un motivo legittimo (acquisto di bene da un privato, spese impreviste in contanti, ecc.), informa la banca sul perché. Tieni presente che tutte le movimentazioni in contanti oltre 10k€ al mese (in entrata o uscita) verranno comunicate all’UIF . Quindi anche i prelievi cumulati oltre tale soglia finiranno nei dati analizzati: se poi il Fisco ti chiede “che ne hai fatto di quei soldi?”, dovrai poterlo spiegare (per evitare che ipotizzino vendite in nero pagate cash, ad esempio). Per concludere: puoi prelevare liberamente i tuoi soldi, ma se l’ammontare è elevato, meglio lasciare traccia dello scopo (ad es. fai un prelievo con assegno intestato al venditore se devi pagare un’auto usata in contanti, così risulta a chi li hai dati).
D5: La banca mi ha chiamato chiedendo spiegazioni per una serie di versamenti in contanti e bonifici esteri che ho effettuato. Devo rispondere? Rischio qualcosa nel dire la verità?
R: Quando la banca ti contatta (di solito l’ufficio compliance o il direttore) per chiedere informazioni su operazioni, di fatto sta effettuando l’adeguata verifica approfondita ai sensi della normativa antiriciclaggio. È un tuo dovere contrattuale (previsto anche dalle condizioni del conto) collaborare e fornire informazioni veritiere. Anzi, se ti rifiuti o non dai risposte convincenti, la banca è obbligata per legge a valutare la segnalazione e può anche chiudere il rapporto per impossibilità di adempiere agli obblighi antiriciclaggio. Quindi, sì: devi rispondere con sincerità, fornendo evidenze se le hai. Ad esempio, se ti chiedono “da dove provengono questi €15.000 versati in 3 mesi in contanti?”, e sono frutto di vari incassi della tua attività, potresti presentare le copie degli scontrini o ricevute fiscali corrispondenti a quell’ammontare. Oppure se sono risparmi che avevi a casa, dillo chiaramente (sapendo però che questa risposta potrebbe non prevenire una segnalazione, ma mentire sarebbe peggio se poi emergeranno incongruenze). Rischi legali nel dichiarare la verità alla banca non ce ne sono, a meno che tu stia essentially confessando un reato. Ma attenzione: la banca non è la polizia, e il dialogo con l’intermediario serve per evitarti guai, non per incriminarti. Se ad esempio ammetti “sì, ho incassato queste somme vendendo merce senza fattura” stai confessando un illecito tributario: sarebbe molto imprudente farlo. In tali frangenti, mantieni la spiegazione sui binari leciti o neutri (“sono vendite della mia attività” – senza specificare magari che non hai fatturato, se così fosse). La banca non è tenuta al segreto professionale legale come un avvocato, quindi ciò che dichiari potrebbe essere scritto nelle loro note interne e finire, indirettamente, sotto gli occhi di GdF/Ade (es. se la banca poi fa segnalazione, spesso riporta anche le dichiarazioni ottenute dal cliente). Quindi: collaborare sì, autodenunciarsi no. In caso di situazioni delicate, puoi anche coinvolgere il tuo commercialista o legale nelle interazioni con la banca, per dare risposte calibrate. Comunque, fornire elementi logici (es. “ho venduto un terreno, ecco l’atto”, “ho ricevuto un’eredità, ecco la dichiarazione di successione”) può addirittura evitare la SOS. Quindi è nel tuo interesse essere trasparente sulle operazioni lecite.
D6: Cosa succede dopo una Segnalazione di Operazione Sospetta? Mi avvisano? Mi bloccano il conto?
R: Come spiegato, la SOS è riservata: tu non verrai informato ufficialmente di essere stato segnalato. In genere continuerai a poter operare normalmente, salvo se contestualmente la banca ritiene di dover recedere dal rapporto (cosa che potrebbe comunicarti con preavviso, ma motivandola genericamente, es. “sopravvenute politiche”). Il conto non viene bloccato automaticamente dall’invio della SOS. Un blocco o congelamento di fondi può avvenire solo se interviene un provvedimento di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria. Ci sono casi particolari (es. finanziamento al terrorismo) dove la legge consente sospensione temporanea dell’operazione sospetta per 5 giorni, su richiesta UIF, ma parliamo di situazioni estreme e comunque tu non potresti prelevare quei fondi specifici in quei 5 giorni, ma il resto del conto resta operativo. In sintesi, dopo la SOS può succedere: (a) l’UIF analizza e magari archivia lì la cosa, senza ulteriori sviluppi immediati; (b) l’UIF trasmette a GdF o Procura, e dopo un tempo variabile potresti ricevere una visita ispettiva o convocazione; (c) la banca adotta misure di autotutela (revisione del rating cliente, eventuale chiusura rapporto a scadenza). Non essendoci notifica, spesso l’unico indicatore “soft” è un cambiamento di atteggiamento della banca (es. cominciano a non concederti più affidamenti, o a chiedere continuamente info anche per operazioni banali). Ma molti clienti segnalati non percepiscono nulla finché magari, mesi dopo, arriva un accertamento fiscale o un invito a comparire da parte della GdF. Il tempismo varia: a volte le autorità agiscono in poche settimane, altre volte le SOS restano “dormienti” e vengono riesaminate solo se altri fatti si collegano.
D7: Se vengo assolto nel processo penale per riciclaggio, l’Agenzia delle Entrate può comunque farmi pagare le tasse su quei soldi?
R: Sì. Il procedimento penale e quello fiscale sono indipendenti per molti aspetti. Una sentenza penale di assoluzione che dica “non vi è prova che il denaro provenisse da reato” non implica che il denaro non fosse un tuo ricavo non dichiarato. In altre parole, potresti convincere il giudice penale che non ci sono elementi sufficienti per ritenerti colpevole di riciclaggio, e tuttavia l’Agenzia delle Entrate (o i giudici tributari) potrebbero comunque esigere le imposte su quelle somme in base alla presunzione di cui abbiamo parlato. La Cassazione tributaria ha più volte affermato che il giudicato penale non vincola il giudizio tributario salvo il caso di sentenza penale definitiva che accerta che il fatto non sussiste proprio (ad esempio perché si è provato che i soldi venivano da redditi tassati). Ma se l’assoluzione penale è per insufficienza di prove, ciò non toglie che in sede tributaria la presunzione sui versamenti valga lo stesso . Addirittura, ci sono casi in cui uno è stato assolto da autoriciclaggio ma condannato per il reato fiscale e ha dovuto pagare tutte le imposte. Quindi la risposta è: l’assoluzione penale non ti garantisce esenzione fiscale. L’unico modo per evitare il fisco è dimostrare che quei soldi non erano reddito (cosa che coincide un po’ con il dimostrare che erano leciti e già tassati). Viceversa, se in penale vieni condannato per riciclaggio, il Fisco al 99% avrà facile gioco a pretendere le tasse, salvo forse chiederti di pagare solo una volta in caso di confisca.
D8: Le violazioni antiriciclaggio (pagamenti oltre soglia) cadono in prescrizione? Quando?
R: Le sanzioni amministrative per violazione dell’art.49 d.lgs.231/07 seguono i termini di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie: in generale, 5 anni dal giorno in cui è avvenuta la violazione (ossia dal giorno del trasferimento contanti vietato). Se però c’è un atto interruttivo (tipo la contestazione o altri atti notificati) il termine può prolungarsi. La normativa specifica non prevede termini diversi, dunque vale la L.689/81. Quindi, ad esempio, se hai fatto un pagamento frazionato illecito nel marzo 2020 e fino a marzo 2025 non ti è stato contestato nulla, la violazione amministrativa è ormai estinta per decorso del tempo. Attenzione però: spesso queste violazioni emergono in seguito ad accertamenti fiscali o penali anche molti anni dopo, ma se la contestazione arriva oltre 5 anni dall’evento, il tuo legale potrà eccepire la prescrizione in sede di ricorso. Discorso diverso per i reati di riciclaggio: quelli hanno termini di prescrizione penale ben più lunghi (in genere 6 anni + eventuali aumenti, attualmente arrivano intorno a 8-10 anni facilmente, essendo puniti fino a 12 anni di reclusione). E i reati fiscali hanno loro termini (ad es. dichiarazione infedele 6 anni, omessa 8, ecc.). Quindi amministrativo 5 anni, penale spesso 6-8 o più.
D9: Ho ricevuto un accertamento fiscale basato su segnalazioni UIF per movimenti frazionati. Posso contestare il fatto che l’Agenzia abbia utilizzato queste segnalazioni (magari ottenute senza che io sapessi)?
R: In linea di massima, no, non con successo. La legge consente ampiamente la collaborazione tra UIF e Agenzia Entrate. Le segnalazioni UIF sono considerate legittime fonti di innesco per l’accertamento . Inoltre, una volta che l’Agenzia acquisisce i dati bancari (tramite la GdF o direttamente), opera la presunzione legale sui versamenti . La giurisprudenza ha escluso che vi sia violazione del contraddittorio o della privacy: non ti devono comunicare prima “guarda che abbiamo ricevuto una segnalazione su di te”, ti contestano direttamente le conseguenze in sede di contraddittorio sull’accertamento, dove hai possibilità di difesa. In alcune difese si è provato a eccepire l’inutilizzabilità di dati provenienti da segnalazioni segrete, ma la Cassazione ha sempre rigettato: i dati bancari in sé sono stati ottenuti legittimamente (l’Agenzia può richiederli alle banche in forza di legge, art.32 DPR 600) e la segnalazione UIF è solo lo spunto che li ha fatti cercare. In sintesi, non puoi opporre un diniego sull’uso di quelle informazioni. Piuttosto, concentrati sul merito (giustificare le somme) o su eventuali vizi procedurali più concreti (es. mancato invito al contraddittorio se dovuto, motivazione inadeguata dell’atto).
D10: In concreto, quali prove posso portare per vincere la presunzione su un versamento?
R: Dipende dalla natura che dichiari per quel versamento. Alcuni esempi efficaci: – Prova che è trasferimento da te stesso: se il versamento in realtà proveniva da un tuo altro conto (es. hai prelevato 5.000 € dal conto A e li hai versati sul conto B a te intestato), produci estratto conto A con il prelievo in data X e estratto conto B con versamento in data Y, spiegando che è lo stesso denaro. Il Fisco solitamente, se riconosce che è un mero spostamento di fondi propri già esistenti, non lo tassa (perché non è “nuovo reddito”). Su questo punto, la giurisprudenza oscillava, ma oggi è abbastanza accettato che i giroconti intra-soggetto non siano reddito (devono però essere chiari e tracciabili). – Documenti di terzi: se sostieni che il contante te l’ha dato un familiare come prestito/donazione, l’ideale è avere un atto notarile o una scrittura privata con data certa. In assenza, almeno una dichiarazione firmata dal familiare e documentazione sui soldi di lui (es. estratto conto del padre che preleva 10k e il giorno dopo tu versi 10k). Questo per convincere che non era un tuo ricavo ma un supporto finanziario familiare (che fiscalmente non è tassabile per te, anche se andrebbe fatta la formalità della registrazione della donazione se rilevante). – Vendita di beni: se hai venduto beni mobili/usati (auto, gioielli) e hai incassato contanti, mostra il contratto di vendita o passaggio di proprietà. La cessione di beni personali non genera reddito imponibile (salvo plusvalenze su beni di investimento, ma per auto, oggetti usati no). Quindi quell’incasso non va tassato. Devi però dimostrare che c’è stata la vendita ed era un tuo bene. Anche foto, annunci, chat con acquirente possono aiutare, ma meglio se c’è scrittura. – Utili/somme già tassate: ad esempio prelevi contanti dalla tua SRL (già tassata) e li versi sul tuo conto personale. Qui è un caso controverso: per il Fisco, se un socio preleva contanti dalla società oltre i dividendi ufficiali, potrebbe essere utile non dichiarato (sociocamuffamento di utili extra). Ma se riesci a inquadrare la cosa come restituzione finanziamento soci o acconto utili già tassati, devi portare delibere societarie o bilanci. – Introiti esenti o fuori campo: es. hai incassato un risarcimento assicurativo in contanti (poco usuale ma poniamo) – porta lettera assicurazione; oppure avevi soldi ricevuti all’estero già tassati all’estero – porta documenti esteri e dichiara se li hai rimpatriati secondo le regole.
In generale, supporta ogni affermazione con qualcosa di oggettivo. La prova testimoniale non è ammessa nel processo tributario, quindi una dichiarazione di terzo ha valore di “elemento indiziario” ma non piena prova. Meglio sempre i documenti.
D11: La banca può chiudere il mio conto unilateralmente perché mi considera a rischio riciclaggio?
R: Può, nei limiti delle condizioni contrattuali. In Italia vige il principio di libera bancabilità: una banca può rifiutare il rapporto con un cliente dandone preavviso (tipicamente 60 giorni) senza dover motivare approfonditamente, salvo casi di discriminazione. Negli ultimi anni molte banche praticano il derisking, cioè chiudono rapporti considerati per loro rischiosi sul piano compliance. Dal tuo lato, puoi certamente lamentarti se ritieni la chiusura ingiustificata, ma raramente si ottiene il mantenimento forzato del conto (non esiste un obbligo per la banca di tenerti come cliente, tranne che per il conto base diritto di tutti – ma se ti considerano riciclatore non lo vogliono comunque). Il minimo è pretendere il rispetto del preavviso contrattuale: se la banca chiude immediatamente senza preavviso, puoi contestare la cosa in sede civile perché viola il contratto (a meno che adduca una giusta causa grave). Tieni presente che qualora tu abbia in corso transazioni, addebiti, ecc., il recesso deve permetterti di sistemare le cose. Molti, dopo segnalazione, preferiscono cambiare banca spontaneamente per avere un reset reputazionale. È un’opzione, ma come detto i nuovi intermediari avranno comunque evidenza di eventuali segnalazioni pregresse in certi data base (CRIF e segnalazioni di centralizzate antiriciclaggio di difficile accesso pubblico, ma circuitano informazioni in banca d’affari). Dunque la trasparenza col nuovo istituto – spiegando “ho avuto questi movimenti, ecco le prove che erano leciti” – può facilitare l’apertura senza problemi.
D12: Se l’UIF segnala i miei movimenti all’estero (es. bonifici frequenti sotto soglia), potrei avere problemi anche fuori Italia?
R: Possibile. Le FIU dei vari paesi collaborano. Ad esempio, se dall’Italia partono frequenti bonifici da 1.900 € verso persone in un dato Paese, l’UIF italiana può condividerne informazione con la FIU estera, che magari li gira alle autorità di là. Ci sono stati casi di schemi di frazionamento transfrontalieri scoperti così. Inoltre, a livello UE c’è un sistema di segnalazione congiunta (tra FIU.net e collegamenti diretti). Quindi, se la condotta ha dimensione internazionale, sì, potresti essere soggetto ad attenzioni anche di autorità estere. Ciò detto, se le tue operazioni sono lecite, vale la stessa difesa: documentare tutto. Ad esempio, se invii regolarmente 1.500 € a un familiare all’estero per sostentamento, chiariscilo (magari formalizzando che è un mantenimento familiare) così da dissipare eventuali sospetti di trasferimento frazionato di capitali illeciti.
Fonti: Questa guida ha citato le norme di riferimento (d.lgs. 231/2007, DPR 600/73) e numerose pronunce giurisprudenziali aggiornate. In particolare, si sono menzionati principi tratti da Cass. civ. Sez. II ord. 29315/2024 (obbligo di segnalazione deve scattare su anomalie formali senza bisogno di prova di reato) ; Cass. civ. Sez. Trib. 22047/2023 (presunzione legale sui versamenti, onere di prova analitica a carico contribuente) ; Cass. pen. Sez. II 29391/2024 (ribadisce dovere di segnalazione operazioni sospette anche di professionisti, come l’uso anomalo di contante) ; Cass. pen. Sez. II 1309/2024 (autoriciclaggio punibile anche per reati presupposto antecedenti 2015, e confisca cumulabile) ; Cass. pen. Sez. II 19133/2023 (necessità di specificità nella prova del reato presupposto: no a provenienza illecita genericamente intesa) ; Corte Cost. 228/2014 (illegittimità presunzione su prelievi per autonomi, ma conferma su versamenti) . Inoltre, sono stati richiamati documenti ufficiali come le FAQ del MEF 2010 (circolare 5 agosto 2010) sui pagamenti frazionati , nonché le più recenti indicazioni UIF sugli schemi anomali 2023 . Queste fonti confermano e supportano le affermazioni fatte, offrendo al lettore riferimenti solidi per eventuali approfondimenti.
Conclusione: Le operazioni bancarie frazionate possono facilmente trasformarsi da semplice espediente gestionale a boomerang legale per chi le pone in essere. È fondamentale conoscerne i rischi e approntare per tempo le contromisure difensive. Dal punto di vista del privato cittadino o imprenditore, ciò significa evitare comportamenti opachi, mantenere tracce documentali di ogni transazione e, se comunque si finisce sotto la lente delle autorità, agire con prontezza e trasparenza per chiarire la propria posizione. In un sistema sempre più integrato tra banche, UIF, Fisco e Forze dell’Ordine, la miglior strategia è fare in modo che ogni euro in entrata o in uscita possa “raccontare una storia” lecita: se i vostri soldi hanno un passato e un futuro chiaro, non temerete segnalazioni; in caso contrario, preparatevi a raccontare voi quella storia, fornendo prove convincenti. In tal modo, anche di fronte alle presunzioni più sfavorevoli, potrete far valere le vostre ragioni ed evitare conseguenze ingiuste.
Fonti consultate: Normativa antiriciclaggio d.lgs.231/2007 ; FAQ MEF (in Finanza & Fisco, 2020) ; Studio Trib. Iodice (Cass. 15103/2010) ; Cass. ord. 29315/2024 in Studio Cerbone ; Cass. sent. 15103/2010 ; Cass. UU 25767/2015 ; Cass. ord. 22047/2023 ; Cass. pen. 29391/2024 (cit. da DirittoBancario) ; Cass. pen. 1309/2024 ; Cass. pen. 19133/2023; DECRETO LEGISLATIVO 21 novembre 2007, n. 231; Sentenza n. 16012 del 2023; La Corte di Cassazione fornisce importanti indicazioni in tema di reato di riciclaggio. (Cass. Pen. Sez. II, 11 gennaio 2024, n. 1309).
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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste accuse?
Il frazionamento artificioso dei versamenti o dei prelievi bancari può essere interpretato come tentativo di eludere i controlli antiriciclaggio, soprattutto quando si superano soglie di attenzione (es. 10.000 € mensili o operazioni ripetute sotto i 1.999 €). In questi casi le banche sono obbligate a segnalare le anomalie e l’Agenzia delle Entrate può avviare accertamenti fiscali o addirittura penali.
👉 Prima regola: dimostra sempre la lecita provenienza e destinazione delle somme movimentate.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Versamenti o prelievi ripetuti frazionati in piccole somme;
- Movimenti incoerenti rispetto al reddito dichiarato;
- Bonifici circolari o multipli a breve distanza temporale;
- Operazioni con conti di terzi senza giustificazione;
- Segnalazioni di operazioni sospette (SOS) inviate dalla banca all’UIF.
📌 Conseguenze della contestazione
- Accertamenti fiscali per redditi non dichiarati;
- Recupero di imposte e sanzioni in caso di evasione presunta;
- Segnalazioni penali per sospetto riciclaggio o autoriciclaggio;
- Interessi di mora e blocchi cautelari su conti e patrimoni;
- Possibile responsabilità penale con rischi di reclusione se viene provata l’attività di riciclaggio.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Provenienza del denaro: è dimostrabile con buste paga, contratti, vendite regolari?
- Causale delle operazioni: erano destinate a pagamenti, prestiti familiari, rimborsi?
- Tracciabilità: esistono bonifici, contratti o ricevute che giustificano i movimenti?
- Motivazione della contestazione: l’Agenzia deve basarsi su elementi concreti, non solo su sospetti;
- Regolarità delle procedure: verifica termini e correttezza della notifica.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Estratti conto bancari dettagliati;
- Buste paga, contratti di lavoro o di prestito;
- Atti notarili, successioni o donazioni che giustificano i flussi;
- Fatture e ricevute di spese e investimenti;
- Comunicazioni con la banca o con l’Agenzia delle Entrate.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la natura lecita delle somme con prove documentali;
- Contestare la qualificazione come riciclaggio se i movimenti derivano da attività trasparenti;
- Eccepire vizi formali nella segnalazione o nell’accertamento (motivazione carente, decadenza, notifica irregolare);
- Richiedere autotutela se le operazioni erano già state giustificate alla banca;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per contestare le presunzioni di reddito occulto;
- Difesa penale dedicata se viene aperto un fascicolo per riciclaggio.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza le movimentazioni bancarie contestate;
📌 Verifica la legittimità della segnalazione e dell’accertamento;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste nei procedimenti penali connessi a presunto riciclaggio;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire i flussi bancari in modo trasparente e sicuro.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti bancari e normativa antiriciclaggio;
✔️ Specializzato in difesa da contestazioni fiscali e penali su operazioni sospette;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni sulle operazioni bancarie frazionate come riciclaggio non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni automatiche o da interpretazioni errate.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la liceità delle operazioni, evitare la riqualificazione come reddito occulto e difenderti da pesanti conseguenze fiscali e penali.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni per presunto riciclaggio inizia qui.