Contestazioni Su Società Schermo Create Ad Hoc: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la tua società è stata considerata una “società schermo”? In questi casi, l’Ufficio presume che l’impresa sia stata creata solo formalmente, senza reale attività economica, con lo scopo di occultare redditi, abbattere la base imponibile o aggirare obblighi fiscali. La conseguenza è il recupero delle imposte, l’applicazione di sanzioni e, nei casi più gravi, la responsabilità penale. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con una difesa mirata è possibile dimostrare la reale operatività della società.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una società schermo
– Se la società non ha struttura, dipendenti o mezzi idonei a svolgere l’attività dichiarata
– Se i conti correnti e le operazioni finanziarie vengono utilizzati solo dai soci a titolo personale
– Se i costi registrati superano di molto i ricavi, senza una logica economica sostenibile
– Se vi sono scambi di fatture con società collegate al solo fine di creare costi fittizi
– Se la società è ritenuta un “guscio vuoto” usato per schermare patrimoni o redditi personali

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione delle operazioni come redditi personali dei soci o degli amministratori
– Recupero delle imposte non versate e indeducibilità dei costi fittizi
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele o utilizzo di società di comodo
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibili contestazioni penali per frode fiscale e false comunicazioni sociali

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’effettiva operatività della società con contratti, documentazione contabile e prove di attività economica
– Produrre bilanci, scritture contabili e corrispondenza commerciale che attestino rapporti reali
– Contestare la presunzione di “società schermo” se l’attività è esistente e documentata
– Evidenziare errori di valutazione, carenze probatorie o vizi di motivazione nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura societaria e la documentazione fiscale disponibile
– Verificare la legittimità della contestazione secondo normativa e giurisprudenza
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere soci e amministratori davanti ai giudici tributari e, se necessario, in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale da azioni esecutive e responsabilità solidali

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della reale operatività della società
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di proteggere il patrimonio da indebite pretese fiscali

⚠️ Attenzione: le contestazioni su società schermo possono avere riflessi fiscali e penali molto gravi. È fondamentale predisporre una difesa tempestiva e ben documentata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni su società considerate “schermo” e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Cos’è una “società schermo”? In ambito giuridico italiano si definisce società schermo una società apparentemente regolare che viene però utilizzata come mero schermo giuridico per occultare la reale titolarità di redditi o patrimoni, o per conseguire indebiti vantaggi (fiscali, patrimoniali, legali) altrimenti non ottenibili. In altre parole, la società esiste sulla carta ma funge da facciata: dietro di essa opera di fatto un soggetto (persona fisica o altra entità) che ne è il vero beneficiario effettivo, il quale si “nasconde” dietro la personalità giuridica per eludere obblighi o responsabilità. Tali strutture sono spesso create ad hoc, cioè costituite appositamente allo scopo di servire da paravento per determinate operazioni o beni, piuttosto che per svolgere una reale attività commerciale autonoma.

Le società schermo possono essere impiegate in vari contesti. Ad esempio, un imprenditore gravato da debiti personali potrebbe intestare beni o attività a una nuova società formalmente intestata a terzi di fiducia (o soci compiacenti) per sottrarli ai creditori. Oppure un professionista potrebbe esercitare la propria attività attraverso una società di capitali di comodo al solo fine di ridurre l’imposizione fiscale, pur continuando a gestire personalmente i proventi . Analogamente, si parla di società “cartiere” quando entità fittizie sono create per emettere fatture false o gonfiare costi (fenomeni di frode IVA).

Perché le autorità le contestano? Dal punto di vista del Fisco e dei creditori, le società schermo rappresentano costruzioni artificiose che possono ledere interessi tutelati: innanzitutto il principio di capacità contributiva e di equa imposizione fiscale, nonché il diritto dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore . L’ordinamento italiano, pur riconoscendo la piena legittimità della personalità giuridica separata, prevede strumenti per “andare oltre” il velo societario quando questo viene utilizzato in modo abusivo o fraudolento (abuso della personalità giuridica). Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e creditori privati dispongono di azioni specifiche per smascherare l’interposizione fittizia e ricondurre redditi o beni al loro effettivo titolare . In ambito tributario, ad esempio, l’Amministrazione finanziaria può ignorare l’intestazione formale e imputare i redditi direttamente alla persona che ne ha avuto effettivo possesso (ex art. 37, comma 3, DPR 600/1973) . In ambito civilistico, i creditori possono agire con strumenti come l’azione revocatoria o chiedere l’estensione di un fallimento al soggetto occulto. Sul piano penale, infine, certe condotte connesse all’uso di società schermo integrano reati tributari (es. sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11 D.lgs. 74/2000, emissione di fatture false, ecc.) con conseguenti rischi di sequestro e confisca dei beni trasferiti .

Dal punto di vista del debitore (socio o amministratore occulto che abbia fatto uso di una società schermo), è fondamentale conoscere le contestazioni tipiche che può muovere l’Autorità (Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, creditori, curatore fallimentare) e, soprattutto, quali sono le strategie difensive per proteggere i propri diritti. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 con normativa e giurisprudenza recente – offre un’analisi approfondita di tutti i profili rilevanti: tributari (accertamenti fiscali e riscossione coattiva), penali-tributari (eventuali reati e sanzioni) e civili-patrimoniali (responsabilità verso creditori, eccezioni alla responsabilità limitata). Adotteremo un linguaggio tecnicamente accurato ma chiaro e divulgativo, con esempi pratici, domande e risposte e tabelle riepilogative. L’obiettivo è fornire uno strumento completo per avvocati, imprenditori e privati che si trovino a difendersi da contestazioni in materia di società schermo create ad hoc.

Società schermo: nozione e inquadramento giuridico

Prima di esaminare le contestazioni specifiche, è utile chiarire la nozione di società schermo e le norme generali che ne regolano (o ne limitano) l’uso. In linea di principio, l’ordinamento italiano consente ampio spazio alla libertà di iniziativa economica privata e alla scelta della forma societaria per svolgere un’attività. Costituire una società di capitali per esercitare un business legittimo è pienamente lecito – anzi, talvolta persino fiscalmente incentivato – e comporta vantaggi quali la separazione patrimoniale e la responsabilità limitata dei soci . La cosiddetta “societarizzazione” delle attività (ad esempio creare una SRL unipersonale per un’impresa individuale) è dunque lecita e comune, purché non sia portata all’eccesso e non persegua scopi illeciti o puramente elusivi .

Quando scatta l’abuso? Si parla di abuso della forma societaria (o abuso della personalità giuridica) quando la società viene piegata a fini extra-sociali e illeciti, fungendo da schermo per attività che in realtà arricchiscono o avvantaggiano direttamente i soci eludendo la legge. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’abuso si concretizza in operazioni solo formalmente regolari ma prive di valide ragioni economiche diverse dal mero risparmio fiscale o dal pregiudizio di creditori . In tali casi, siamo di fronte a una “costruzione artificiosa” che l’ordinamento non tutela: si può disconoscere l’autonomia della società per riattribuire effetti e responsabilità in capo al reale interessato. Come vedremo, ciò avviene in vari modi a seconda del contesto:

  • In materia tributaria, l’art. 37, comma 3, DPR 600/1973 consente all’Amministrazione di imputare al contribuente i redditi formalmente intestati ad altri soggetti, quando risulta provato (anche per presunzioni gravi, precise e concordanti) che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona . È la tipica ipotesi di interposizione fittizia: il fisco “guarda attraverso” la società schermo e tassa il socio come se quell’entità non esistesse. Inoltre, la norma sull’abuso del diritto (art. 10-bis della L. 212/2000, introdotto nel 2015) permette di disconoscere benefici fiscali ottenuti tramite operazioni prive di sostanza economica, ancorché senza formalmente violare norme tributarie. La Cassazione considera l’uso distorto della personalità giuridica una specifica forma di abuso del diritto .
  • In materia civile e fallimentare, vige il principio generale per cui il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Se un soggetto trasferisce beni a una società al solo scopo di sottrarli alla garanzia patrimoniale, i creditori possono reagire con l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), chiedendo al giudice di dichiarare inefficace verso loro tale trasferimento fittizio. Dal 2016, inoltre, l’art. 2929-bis c.c. consente ai creditori, in presenza di determinati atti gratuiti o vincoli di destinazione, di procedere direttamente al pignoramento dei beni alienati senza attendere l’esito di una causa di revoca (la cosiddetta “revocatoria semplificata”). In ambito concorsuale, l’art. 147 L.Fall. disciplina l’estensione del fallimento a soci occulti o di fatto: se una società di capitali è usata come schermo di una società di fatto con altre persone o entità, il fallimento può essere esteso a questi ultimi, superando la barriera della responsabilità limitata (si parla di “supersocietà di fatto” in giurisprudenza) .
  • In materia penale-tributaria, quando l’utilizzo di una società schermo si spinge fino a violare norme tributarie con artifici o raggiri, possono configurarsi reati. Ad esempio, costituire una società o altro ente per schermare beni e renderli inesigibili al Fisco integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.lgs. 74/2000) . Analogamente, utilizzare una società di comodo per fatturare operazioni inesistenti a fini evasivi configura reati di frode fiscale (dichiarazione fraudolenta mediante fatture false, art. 2 D.lgs. 74/2000, o emissione di fatture false, art. 8). La Cassazione ha tuttavia precisato che non ogni utilizzo di società interposte ha rilievo penale: operazioni elusive senza artifici fraudolenti restano confinate nell’illecito tributario amministrativo (sanzioni pecuniarie), mentre scattano conseguenze penali solo se vi è un quid pluris di falsità o simulazione . Su questo punto ritorneremo analizzando la distinzione tra elusione fiscale (abuso) ed evasione fraudolenta.

In sintesi, l’uso di società schermo di per sé non costituisce illecito automatico – esistono anche casi leciti di intestazione a terzi o di strutturazione societaria per finalità organizzative o successorie. Il confine sta nell’intento e negli effetti: se la società è costituita o usata allo scopo prevalente di aggirare obblighi di legge (pagamento di tributi, soddisfacimento di creditori, rispetto di divieti), allora le autorità potranno contestarne l’interposizione fittizia e attivare i rimedi per ripristinare la situazione sostanziale di responsabilità del debitore. L’analisi che segue esaminerà dettagliatamente tali contestazioni settore per settore (tributario, fiscale-penale, civile/fallimentare) e indicherà come il contribuente/debitore possa efficacemente difendersi in ciascuno di essi.

Profili fiscali: abuso della personalità giuridica e interposizione nei tributi erariali

Uno dei campi in cui il tema delle società schermo è più dibattuto è quello tributario. Qui lo scopo tipico della società schermo è ottenere vantaggi fiscali indebiti – ad esempio far tassare redditi a livello societario (aliquota più bassa) invece che in capo a persone fisiche (aliquote IRPEF progressive più elevate), oppure differire o evitare la tassazione di taluni proventi attraverso costruzioni societarie ad hoc. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza contrastano tali pratiche ricorrendo sia alla normativa anti-elusiva sia, in casi estremi, riqualificando le operazioni come evasione fiscale. Vediamo i principali aspetti:

Interposizione fittizia di società e imputazione dei redditi al socio

Il principale strumento normativo per contestare l’uso di una società come schermo fiscale è l’art. 37, comma 3, DPR 600/1973. Questa disposizione – in vigore da decenni – stabilisce che nei controlli tributari i redditi formalmente intestati ad altri possono essere imputati al contribuente che ne è l’effettivo possessore per interposta persona, purché ciò sia dimostrato anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti . Si tratta, di fatto, di ignorare l’intestazione formale quando questa è solo strumentale: l’Amministrazione finanziaria deve provare che dietro il soggetto “interposto” (la società) c’è un “interponente” (il socio o altra persona) che ha di fatto goduto dei redditi uti dominus.

Questo principio è stato ribadito dalla Cassazione in numerose sentenze recenti. Ad esempio, con la pronuncia n. 939/2025 la Suprema Corte (Sez. Trib.) ha confermato che l’art. 37, co.3 si applica sia ai casi di interposizione fittizia che reale . Ciò significa che non serve che la società sia totalmente inesistente o meramente cartolare sin dall’origine (interposizione fittizia simulata); la norma copre anche ipotesi di interposizione reale, in cui la società interposta svolge un’apparente attività ma poi trasferisce sistematicamente i proventi all’interponente . Conta la sostanza economica: se la società è asservita agli interessi personali del socio e funge da veicolo per fargli percepire redditi in forma attenuata fiscalmente, il Fisco può procedere a tassare direttamente il socio. Lo scopo della norma, sottolinea la Corte, è impedire al contribuente di sottrarsi al prelievo “nascondendosi” dietro schermi negoziali che attribuiscono formalmente redditi a terzi – in ossequio al principio di prevalenza della sostanza sulla forma in materia tributaria .

Esempio tipico: Tizio, professionista, costituisce la Alfa Srl di cui detiene il 100%. Tutti i compensi del suo lavoro vengono fatturati da Alfa Srl ai clienti, così da pagare il 24% IRES invece che le aliquote IRPEF personali (che sarebbero, poniamo, il 43%). I soldi rimangono nella società o vengono usati da Tizio in conto corrente societario per spese personali. Formalmente Tizio dichiara solo un modesto stipendio dalla Srl. In caso di verifica, l’Agenzia può sostenere che la Srl è un “mero schermo” e imputare a Tizio tutti i redditi sociali non distribuiti, tassandoli come reddito personale . Questo, naturalmente, comporta anche sanzioni e interessi sul maggior tributo dovuto.

La giurisprudenza recente ha identificato indici caratteristici delle società schermo in ambito fiscale. Uno di questi è la confusione tra patrimonio sociale e personale: quando i beni della società vengono sistematicamente confusi con quelli personali del socio, in modo che non si possa distinguere chiaramente a chi appartengano determinati asset o redditi, ciò è sintomo di uno schermo illecito . Ad esempio, l’uso personale e continuativo di beni intestati alla società (auto, immobili, barche) senza un corrispettivo a valori di mercato è un forte indizio. Altro indice è la gestione antieconomica o illogica della società finalizzata solo a vantaggi dei soci e non al profitto sociale . Un caso classico: la società vende il suo unico immobile e subito dopo i soci vendono l’intero pacchetto di quote sociali, beneficiando di un regime fiscale complessivamente inferiore rispetto alla vendita diretta dell’immobile da persona fisica (plusvalenza da cessione di partecipazioni tassata in misura fissa, vs tassazione piena della vendita e successiva distribuzione utili). Una sentenza della Cassazione del 2025 ha giudicato proprio questa sequenza come abuso della personalità giuridica, pur essendo la società inizialmente operativa: anche operazioni reali e non simulate, se prive di valide ragioni economiche e atte solo a risparmio d’imposta, configurano interposizione abusiva .

In particolare, la Cass. n. 2284/2025 (Sez. Trib., ord. dep. 31 gennaio 2025) ha fatto chiarezza su un punto importante: non occorre che la società schermo sia inattiva sin dalla nascita. Nel caso esaminato, una SRL immobiliare aveva effettivamente operato per anni, ma poi i soci (due familiari) avevano venduto l’immobile sociale e ceduto le quote, il tutto con finalità di risparmio fiscale. La Cassazione ha affermato che una società ben può divenire fittizia o strumentale anche in una fase successiva alla costituzione, in base all’uso che ne fanno i soci . Conta quindi l’utilizzo concreto: anche una società inizialmente genuina può trasformarsi in schermo quando i soci la impiegano per gestire affari propri come se fosse “cosa loro” e trarne benefici personali indebiti . Nel caso specifico, la vendita dell’immobile seguita dalla cessione delle quote è stata considerata prova di gestione uti dominus dei soci, avvalorata da operazioni “illogiche” volte solo a vantaggio personale e non sociale . Questa pronuncia ha confermato un orientamento ormai consolidato per cui la commistione tra sfera societaria e personale è il segnale più frequente di società schermo .

Abuso del diritto e assenza di valide ragioni economiche

Le società schermo rientrano dunque nel fenomeno più generale delle operazioni elusive. Il concetto chiave introdotto dalla norma antiabuso (art. 10-bis Statuto del Contribuente) è quello di mancanza di sostanza economica: se un’operazione, pur rispettando la forma delle norme, è strutturata in modo anomalo unicamente per ottenere un vantaggio fiscale, allora l’Amministrazione può disconoscerla. L’abuso del diritto non è di per sé un reato (non c’è sanzione penale, ma solo il recupero delle imposte e una sanzione amministrativa), però consente al Fisco di riqualificare i fatti.

Applicato alle società schermo, questo significa che i vantaggi fiscali indebitamente conseguiti dai soci tramite la “schermatura” societaria vengono eliminati. Nel caso della Cass. 2284/2025 sopra citata, ad esempio, l’operazione era formalmente lecita (vendita di un bene sociale e cessione di quote non violano alcuna norma in sé), ma priva di ragioni economiche genuine: l’unico fine era risparmiare tasse . La Cassazione ha dunque confermato la legittimità della rideterminazione del reddito dei soci operata dall’Agenzia delle Entrate, che aveva riattribuito ai due soci la maggiore plusvalenza che sarebbe emersa se avessero venduto come persone fisiche . In pratica, l’operazione è stata ignorata sul piano fiscale e i soci tassati come se avessero venduto direttamente l’immobile (con tassazione piena).

Un elemento importante da evidenziare è l’onere della prova nell’abuso fiscale tramite società interposta. In linea generale, spetta all’Amministrazione finanziaria provare gli elementi costitutivi dell’abuso, ossia il disegno elusivo e la manipolazione degli schemi negoziali volta ad ottenere vantaggi indebiti . La Cassazione ha più volte ribadito che il Fisco deve dimostrare, anche tramite presunzioni, il “totale asservimento” della società interposta agli interessi dell’interponente, provando che quest’ultimo è il vero regista e beneficiario delle operazioni . Ciò può avvenire, come detto, mostrando l’assenza di ragioni economiche diverse dal risparmio d’imposta, la confusione di patrimoni, la palese antieconomicità di certe transazioni, ecc. Una volta che questa prova (anche presuntiva) sia stata fornita dall’Ufficio, il contribuente si trova in una posizione di difesa: sta a lui dimostrare l’eventuale contraria.

Su tale aspetto, una recentissima ordinanza della Cassazione – la n. 20846/2025 – ha chiarito che, quando il Fisco prova uno schema di interposizione, incombe poi sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di valide ragioni economiche o il fatto che le imposte dovute siano state assolte dall’interposto . Nel caso esaminato (una complessa operazione tramite fondo immobiliare per eludere IVA e imposte dirette), la Corte ha sancito che, una volta accertata l’interposizione fittiziala posizione si inverte: il contribuente interponente deve provare che non c’è stata evasione d’imposta, ad esempio dimostrando che l’IVA sui proventi è stata comunque versata dal soggetto interposto . La decisione sottolinea dunque come l’onere probatorio dell’Ufficio riguardi il collegamento tra interponente e redditi, mentre il contribuente deve eventualmente evitare la doppia imposizione provando i tributi già pagati. In altre parole, nei casi di abuso tramite società schermo la sostanza economica prevaleuna volta smascherato lo schermo, le imposte vanno pagate dal beneficiario effettivo, a meno che costui provi che la tassazione è già avvenuta in capo all’interposto .

Difendersi dalle contestazioni fiscali: per il contribuente accusato di utilizzare una società schermo a fini elusivi, le strategie di difesa in sede contenziosa tributaria consistono principalmente nel dimostrare l’esistenza di valide ragioni economico-gestionali a supporto delle operazioni contestate. Bisogna cioè ribaltare la presunzione di abuso evidenziando elementi di sostanza: ad esempio, provare che la società interposta svolgeva effettivamente un’attività autonomamente redditizia e non era mera cashbox del socio; documentare che le operazioni avevano una logica imprenditoriale (investimenti, esigenze organizzative, tutela legale) indipendente dal risparmio fiscale; mostrare che i beni sociali non erano a disposizione personale del socio oppure che eventuali utilizzi personali erano accompagnati da un corrispettivo (es. pagamento di canoni di mercato per beni societari in uso al socio). In assenza di queste prove contrarie, la difesa puramente formale (“tutto è lecito perché ho rispettato le norme”) difficilmente vincerà, poiché, come visto, Cassazione e legislatore privilegiano la sostanza economica sull’artificio legale.

Va sottolineato che l’abuso del diritto tributario è ora codificato come violazione solo amministrativa (non comporta incriminazione penale): in caso di soccombenza nel contenzioso, il contribuente dovrà pagare le maggiori imposte oltre a sanzioni generalmente dal 90% al 180% dell’imposta (per dichiarazione infedele) salvo definizioni agevolate. Tuttavia, l’esito del giudizio tributario può riflettersi su altri fronti: ad esempio, una sentenza passata in giudicato che accerta l’abuso potrebbe fornire elementi a Procura o creditori per ulteriori azioni (penali o civili). Dunque, è fondamentale impostare la difesa tributaria in modo accurato, magari ricorrendo a strumenti deflativi (come l’accertamento con adesione) se vi sono margini per ridurre sanzioni evitando un contenzioso dall’esito incerto . In ogni caso, la best practice per evitare contestazioni è a monte: mantenere sempre separate la sfera societaria e personale, evitare commistioni di conti e beni, e non adottare architetture societarie prive di sostanza economica reale.

Elusione fiscale o reato tributario? Il confine sottile

Un aspetto delicato in tema di società schermo è distinguere i casi di semplice elusione fiscale (abuso del diritto, sanzionato amministrativamente) dai casi più gravi di evasione fraudolenta che integrano reato. In generale, secondo la legge italiana, l’abuso di per sé non è punibile penalmente: l’art. 10-bis, comma 13, L. 212/2000 stabilisce che le operazioni elusive “non rilevano penalmente”. Affinché un vantaggio fiscale ottenuto tramite società interposta diventi reato, occorre che siano stati posti in essere mezzi fraudolenti, simulatori o falsi in dichiarazione o nella contabilità .

In pratica, c’è evasione penalmente rilevante quando, ad esempio, vengono create fatture false, o inserite dichiarazioni mendaci, oppure simulate operazioni inesistenti al fine di occultare imponibili. Se invece il contribuente ha architettato un risparmio d’imposta tramite operazioni reali (per quanto artificiose) senza falsificare documenti, si resta nell’ambito dell’elusione (illegittima ma non criminale) . Questo principio è stato ribadito da Cassazione penale in casi recenti. Ad esempio, la Cass. pen. sez. III n. 5147/2022 ha riguardato un noto caso di utilizzo di una holding estera come società interposta: la Corte ha ritenuto che, nonostante la holding fosse “fittiziamente interposta” per scopi personali del socio, ciò potesse integrare un reato tributario (dichiarazione infedele) solo perché erano emersi profili di fraudolenza nelle modalità operative . La difesa invocava l’abuso del diritto non punibile, ma la Cassazione ha sottolineato che qui vi era stata una condotta concretamente idonea a ingannare il Fisco (ad es. occultando la reale provenienza di redditi, spostandoli in un’entità estera) e dunque configurabile come dichiarazione fraudolenta e non come mera elusione . In particolare, si è affermato che anche una interposizione “reale” (holding effettivamente operativa) può diventare penalmente rilevante se usata come mero schermo per finalità personali, perché in tal caso c’è simulazione sostanziale della soggettività fiscale .

Diversamente, quando manchino artifici, la stessa Cassazione ammette che si è nell’elusione non punibile. Ad esempio, nell’ambito della pianificazione fiscale aggressiva, se un’operazione societaria è solo elusiva (cioè volta ad approfittare di un regime fiscale di favore, pur attraverso schemi inusuali, ma senza documenti falsi), allora si potrà contestare l’abuso ma non vi sarà reato . Nella pronuncia 5147/2022 citata, la difesa insisteva proprio su questo: la holding era reale e le operazioni finanziarie effettive, dunque si trattava – a loro dire – di condotta meramente elusiva priva di rilevanza penale . La Cassazione però ha respinto questa tesi, adducendo elementi di simulazione/frode (accordi simulatori, uso strumentale di una struttura estera solo cartolarmente distinta).

Per il debitore, comprendere questa distinzione è cruciale. Se l’Agenzia delle Entrate contesta un abuso e scaturisce anche un procedimento penale, occorre valutare se ci sono estremi per far valere la non punibilità ex art. 10-bis co.13. Una strategia difensiva in sede penale può consistere nel dimostrare che l’operazione, per quanto elusiva, non ha coinvolto falsità documentali o intenti fraudolenti, ma era posta in essere alla luce del sole (magari confidando in interpretazioni fiscali favorevoli). Spesso queste argomentazioni vanno supportate da consulenze tecniche tributarie che evidenzino l’assenza di “smoking gun” (es. fatture false, doppie scritture, accordi occulti). Se il giudice penale riconosce che si tratta di elusione (abuso) e non di evasione fraudolenta, il procedimento penale dovrebbe concludersi con un proscioglimento per insussistenza del fatto di reato (come avvenuto in alcuni casi – v. infra). Un esempio emblematico è la Cass. pen. n. 53319/2018, in cui un imprenditore era stato accusato di emissione di fatture per operazioni inesistenti avendo fatto emettere fatture da una società schermo riconducibile a lui. La Cassazione annullò la condanna perché rilevò che le fatture in questione non erano soggettivamente inesistenti: indicavano la società formalmente emittente, che effettivamente aveva partecipato all’operazione, e dunque non vi era diversità tra i soggetti fatturanti e quelli reali . In altri termini, l’operazione c’era e la società esisteva, sebbene fosse di comodo; mancava però quella “diversità di soggetti” che configura la falsità fatturativa penalmente rilevante . Questo ha portato all’assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Dunque, non basta la mera interposizione per configurare un reato: occorre la prova di una qualche falsità (diversità soggettiva in fattura, simulazione di contratto, occultamento di documenti, etc.).

Ricapitolando i profili fiscali: l’Agenzia delle Entrate quando contesta una società schermo in genere riqualifica la situazione in sede di accertamento: imputa i redditi al soggetto occulto, nega eventuali vantaggi fiscali (deduzioni, aliquote ridotte, crediti d’imposta) e applica sanzioni per dichiarazione infedele o omesso versamento. Il contribuente, per difendersi, deve provare la realtà sostanziale dell’attività societaria o comunque l’assenza di intenti elusivi. Se la vicenda rimane in ambito amministrativo, la controversia si svolgerà dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie). Se invece emergono profilazioni penali, si attiverà parallelamente un procedimento penale (spesso a seguito di segnalazione della GdF o dello stesso Ufficio) per reati come dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture false o sottrazione fraudolenta (di quest’ultima parliamo nel prossimo paragrafo). In tali casi, la coordinazione delle difese è essenziale: il contribuente dovrà probabilmente difendersi su due fronti (tributario e penale) con argomentazioni coerenti ma adattate ai diversi standard probatori. Nel dubbio, è consigliabile muoversi preventivamente: consultare un esperto tributario appena si profilano contestazioni e valutare se vi sia spazio per rimedi quali ravvedimento operoso, definizioni agevolate o, al limite, transazioni fiscali (nei contesti di crisi d’impresa) per ridurre il danno.

Profili della riscossione coattiva: tutela del patrimonio e contestazioni dell’Erario

Oltre alla fase di accertamento delle imposte, il tema delle società schermo emerge anche (e soprattutto) in fase di riscossione coattiva dei tributi. Ci riferiamo a situazioni in cui un contribuente ha un debito tributario (derivante da avvisi di accertamento definitivi, cartelle esattoriali, ecc.) e avrebbe beni aggredibili, ma li ha celati dietro uno schermo societario per evitare che il Fisco li pignori. Dal punto di vista dell’Amministrazione finanziaria, questo comportamento è particolarmente grave, perché mira a frustrare la realizzazione del credito erariale. Pertanto, esistono strumenti ad hoc per contrastarlo, sia sul piano amministrativo (misure cautelari, azioni esecutive), sia sul piano penale (il già citato reato di sottrazione fraudolenta). Vediamo i principali.

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.lgs. 74/2000)

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è la risposta più vigorosa dell’ordinamento verso chi compie atti per eludere la riscossione tributaria. La fattispecie base (art. 11, co.1) punisce con la reclusione (da 6 mesi a 4 anni, aumentata da 1 a 6 anni se il debito supera 200.000 €) “chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte su redditi o IVA (o relativi interessi/sanzioni) di importo complessivo > 50.000 €, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione” . In parole povere: se un contribuente con un rilevante debito fiscale in corso trasferisce beni in modo fittizio (anche attraverso prestanome o società schermo) o compie manovre patrimoniali ingannevoli tali da pregiudicare il Fisco, commette reato.

Costituire una società ad hoc e trasferirvi dei beni (denaro, immobili, azienda) può senz’altro rientrare tra gli “atti fraudolenti” se è fatto allo scopo di sottrarsi al pagamento. Ad esempio, se Caio, avendo ricevuto una cartella esattoriale da 300.000 €, conferisce la sua casa e i suoi macchinari a Beta Srl (di cui risultano soci magari i familiari) per schermarli da possibili ipoteche/pignoramenti, questa operazione potrebbe integrare la sottrazione fraudolenta: c’è un vincolo simulato (la società controllata da Caio, o da suoi prestanome) e un evidente fine di frustrare la riscossione. Attenzione che la soglia di punibilità è bassa (50.000 € di debiti tributari): oggi basta accumulare poche cartelle IRPEF/IVA non pagate per superarla. Inoltre, conta il momento del debito: la legge richiede che il debito esista (anche non definitivo) al momento dell’atto. Quindi, trasferimenti fatti dopo l’insorgere del debito fiscale sono potenzialmente incriminabili .

La Cassazione ha chiarito alcuni punti chiave di questo reato, che val la pena evidenziare:

  • Si tratta di un reato a dolo specifico: occorre la volontà specifica di sottrarsi al pagamento del tributo . Se uno costituisce una società e vi conferisce beni per motivi estranei (es. riorganizzazione aziendale nonostante i debiti, con l’intento di pagare comunque il Fisco) potrebbe mancare il dolo specifico. Tuttavia, in pratica, provare un fine “innocente” è difficile se l’atto è objetivamente pregiudizievole e coincide temporalmente con le pretese del Fisco.
  • È un reato di pericolo concreto: non serve che il Fisco sia effettivamente rimasto insoddisfatto, basta che l’atto sia idoneo a mettere in pericolo la riscossione . Quindi non occorre aspettare l’esito finale: ad esempio, se Caio fa sparire beni durante un controllo fiscale, commette reato anche se poi l’accertamento non è definitivo – conta che abbia messo a rischio la futura esecuzione . Il pericolo va valutato concretamente: se Caio aveva altri beni sufficienti a pagare il debito, la difesa potrebbe argomentare che non c’era pericolo concreto (tesi qualche volta accolta: la Cassazione ha annullato sequestri quando il patrimonio residuo del contribuente era ampiamente capiente, ritenendo non configurato l’elemento di danno/potenziale danno ).
  • Gli atti fraudolenti includono ogni artificio atto a ingannare: tipicamente, alienazioni simulate (vendite fittizie a compiacenti, conferimenti in società controllate, costituzione di trust auto-destinati a sé stesso come disponente e beneficiario, vincoli di destinazione su beni) . La giurisprudenza ha considerato fraudolento costituire un trust dove il disponente e beneficiario sono la stessa persona per isolare beni dal Fisco . Similmente, la creazione di una newco con trasferimento di beni o ramo d’azienda può costituire atto fraudolento se finalizzata a far continuare l’attività su un soggetto formalmente diverso e “pulito” mentre il debitore originario resta vuoto.
  • In caso di condanna, oltre alla pena detentiva, scatta la confisca obbligatoria dei beni (o per equivalente) sino a concorrenza del “profitto” del reato, identificato di solito nel valore dei beni sottratti alla garanzia . Ciò significa che, già in fase di indagine, il PM può far sequestrare i beni trasferiti (anche se intestati alla società schermo) oppure beni equivalenti del responsabile, fino a coprire l’importo del debito fiscale. Questa misura cautelare è di immediato impatto sul patrimonio del debitore.

Difesa in ambito penale-riscossione: se un contribuente è indagato per art. 11 a causa di una società schermo, la linea difensiva può svilupparsi su più fronti:

  • Negare il dolo fraudolento, sostenendo che l’operazione aveva ragioni lecite. Ad esempio, provare che il trasferimento di beni alla società è avvenuto nell’ambito di un piano di ristrutturazione aziendale genuino e non con l’intento di evadere il Fisco. Se c’è stata consulenza professionale a supporto dell’operazione, mostrarla può aiutare a far emergere la buona fede (anche se non esclude il reato, può mitigare).
  • Evidenziare l’assenza di pericolo concreto: se dopo l’atto contestato il debitore aveva ancora sufficiente patrimonio per saldare il dovuto, non c’è stato reale pregiudizio. Cassazione, come accennato, ha accolto ricorsi in cui il patrimonio residuo era tale da garantire comunque il credito erariale . Ad esempio, se Caio trasferisce un capannone alla società ma resta proprietario di altri 10 immobili di valore superiore al debito, si può argomentare che l’atto non era idoneo a rendere “inefficace” la riscossione (manca il periculum in mora del credito).
  • Contestare la natura fraudolenta: se l’atto è stato pubblico e dichiarato, privo di inganni (es. conferimento pubblicamente registrato e riportato anche al Fisco), la difesa può sostenere che manca quell’occultamento tipico della frode. Naturalmente, se l’operazione è palese ma lo scopo elusivo è conclamato, questa linea è debole (non serve che l’atto sia nascosto, basta che sia idoneo a fregare il Fisco). Tuttavia, può essere rilevante per differenziare dall’abuso: richiamare l’art. 10-bis co.13 (operazioni abusive non punibili) se si ritiene che l’operazione fosse elusiva ma non fraudolenta. Ad esempio, in un caso di pianificazione fiscale aggressiva con società interposte, la difesa potrebbe dire: “Abbiamo fatto un uso spregiudicato della legge, ma tutto era denunciato, nessuna simulazione”. Se passa questa visione, potrebbe essere contestato civilmente/tributariamente ma non come reato (questo argomento va calibrato con attenzione, magari sostenendo l’assenza di artifici specifici).
  • Sul piano procedurale, un indagato per sottrazione fraudolenta può agire per limitare i sequestri: impugnare il sequestro preventivo davanti al Tribunale del Riesame, sottolineando ad esempio che il “profitto” sequestrabile non deve eccedere il valore dei beni effettivamente sottratti . Se la società schermo è una persona giuridica diversa, talvolta la difesa sostiene che non coincide con l’indagato, quindi sequestrare direttamente beni della società sarebbe illegittimo se questa non è imputata: ma di norma i giudici considerano quei beni come “pertinenti al reato” (essendo il veicolo della frode) e quindi procedono lo stesso, salvo far entrare anche la società nel processo (ipotesi di responsabilità 231, v. oltre).
  • Infine, valutare l’applicabilità del D.lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa degli enti). Dal 2019 alcuni reati tributari, inclusa la sottrazione fraudolenta, possono far scattare responsabilità anche per la società nell’interesse della quale l’autore ha agito. Ad esempio, se Caio ha usato Beta Srl come schermo, Beta Srl potrebbe essere chiamata a rispondere ex 231 se dall’operazione ha tratto beneficio (p.es. si è arricchita dei beni). Ciò comporta ulteriori sanzioni pecuniarie e patrimoniali. Dal punto di vista del debitore indagato, è un elemento da considerare per eventualmente patteggiare sanzioni 231 ed evitare interdittive alla società (questo però esula dallo scopo immediato di questa guida, che è focalizzata sul debitore persona fisica).

In conclusione, la miglior difesa è la prevenzione: se si hanno debiti col Fisco, qualsiasi atto dispositvo va ponderato. Piuttosto che trasferire tutto a una newco sperando di farla franca – incorrendo in rischi penali elevati – conviene esplorare soluzioni come la dilazione del debito, la richiesta di sospensione per autotutela se il debito è contestabile, o strumenti concorsuali (accordo col Fisco, transazione fiscale in crisi d’impresa). Se invece le contestazioni sono già partite, serve agire su più fronti: difendersi in sede penale come sopra e parallelamente trattare col Fisco per ridurre il debito magari tramite un concordato o saldo e stralcio, perché l’estinzione (o riduzione) del debito può portare anche all’estinzione del reato (sottrazione fraudolenta cessa se non c’è più debito o se si elimina il pericolo).

Altre azioni del Fisco in sede di riscossione: revocatoria e misure cautelari

Sul piano strettamente civilistico/amministrativo, l’Erario come creditore può attivare alcuni rimedi senza arrivare al penale. Tra questi:

  • Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.): l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può promuovere una causa civile per far dichiarare inefficace un atto dispositivo verso la società schermo, purché provi che il debitore e l’altro contraente erano consapevoli del danno ai creditori (scienter fraudis). Ad esempio, se Sempronio, grande debitore fiscale, cede un immobile alla sua società semplificata appena creata, entro 5 anni il Fisco può chiedere al tribunale di revocare quella cessione, dimostrando che Sempronio era insolvente e che la società era parte correlata (facile provarlo se amministrata da un parente o socio unico). Se l’azione riesce, l’immobile torna aggredibile come se fosse ancora di Sempronio. In pratica, però, l’azione revocatoria richiede tempo e una sentenza; per questo spesso il Fisco preferisce la via penale, più rapida nei sequestri.
  • Misure cautelari: il D.P.R. 602/1973 consente all’Agente della Riscossione di iscrivere ipoteca sui beni del debitore e di chiedere al Tribunale misure d’urgenza, come il sequestro conservativo, se vi è pericolo nel ritardo. Di fronte a beni intestati a società, l’ente creditore può cercare di dimostrare che la società è mera alter ego e l’intestazione è fittizia, per convincere il giudice ad autorizzare un sequestro conservativo su quei beni (magari in attesa di esito di revocatoria). Ad esempio, se una casa è formalmente di Alfa Srl ma vi abita stabilmente il socio debitore e la Srl non ha altra attività, il Fisco potrebbe tentare un sequestro conservativo sostenendo che è verosimilmente di proprietà sostanziale del debitore. Non sempre tali misure vengono concesse, ma è uno scenario possibile.
  • 2929-bis c.c. (Espropriazione semplificata): introdotta nel 2016, questa norma permette, se un debitore ha compiuto un atto di trasferimento a titolo gratuito o ha costituito un vincolo di indisponibilità su un immobile (o bene mobile registrato) dopo il sorgere del credito, che il creditore proceda direttamente a pignorare quel bene entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto, senza dover attendere la revocatoria. Applicata al nostro contesto, supponiamo che Mario trasferisca la propria villa a una nuova società (di cui egli è magari solo amministratore occulto, e i soci formali sono i figli) a titolo gratuito (per esempio, come versamento a fondo perduto o con una vendita simulata a prezzo irrisorio, che potrebbe qualificarsi come donazione mascherata). Il Fisco, se il credito era già sorto, potrebbe iscrivere pignoramento sulla villa direttamente, invocando l’art. 2929-bis c.c., trattando quell’atto come non opponibile. Questa norma dunque fornisce un’arma potente contro i passaggi gratuiti di beni a schermi societari familiari. Va detto però che l’ambito di 2929-bis è limitato a atti gratuiti o trust/fondi patrimoniali: se c’è una vendita a corrispettivo, bisognerà fare la normale revocatoria provando la simulazione del prezzo.

Come difendersi su questo fronte? Se il Fisco agisce con revocatoria o misure esecutive, il debitore (e la società coinvolta) possono difendersi contestando i presupposti:

  • Nella revocatoria, ad esempio, provare che l’atto non era in frode: magari la cessione alla società è avvenuta a prezzo di mercato effettivamente pagato (quindi non è né gratuita né pregiudizievole perché il debitore ha ricevuto denaro che poteva usare per pagare i creditori). Oppure che quando fu fatto l’atto, il debito col Fisco non esisteva o non era conoscibile (manca il creditor anterior). O ancora, che la società non era parte consapevole del disegno perché in buona fede (difficile se controllata dallo stesso soggetto, ma potrebbe essere se ad esempio fu venduta a terzi estranei che non sapevano dei debiti).
  • Nella procedura ex 2929-bis, la difesa sta nel dimostrare che l’atto non rientra nella norma: ad esempio che non è un atto gratuito ma a titolo oneroso (con corrispettivo congruo), oppure che il credito non era sorto prima dell’atto. Si può proporre opposizione all’esecuzione sollevando queste eccezioni. Inoltre, la norma prevede la possibilità per eventuali terzi (qui la società acquirente) di evitare la vendita all’asta pagando nel frattempo il debito (non sempre praticabile, ma è previsto).
  • Se c’è un sequestro conservativo concesso sui beni in capo alla società, si può proporre reclamo sostenendo che la società è distinta e non era debitore diretto, quindi il periculum doveva essere valutato più severamente. In parallelo, se l’importo è sproporzionato (es. sequestro di beni di valore eccedente il debito), far rilevare l’eccesso.

In generale, per il debitore che ha trasferito beni a una società schermo e vede il Fisco all’attacco, la miglior difesa sostanziale è cercare un accordo sul debito. Spesso infatti queste azioni (penali e civili) vengono intraprese in modo deciso proprio contro chi appare inadempiente totale. Se si riesce a trovare un piano di rientro (rateizzazioni, accordi) o se si paga almeno in parte il dovuto, l’Erario può attenuare l’aggressività. Nei casi estremi, esiste la via del concordato preventivo o accordo di ristrutturazione per includere il Fisco: ciò sospende le azioni esecutive (ma l’utilizzo delle società schermo potrebbe essere considerato elemento di mala fede, quindi attenzione).

Infine, ricordiamo che la tutela del patrimonio familiare in presenza di debiti fiscali richiede pianificazioni lecite e tempestive: costituire fondi patrimoniali o trust prima che i debiti sorgano, e con finalità legittime, può offrire protezioni (se fatti con anticipo e nel rispetto delle norme, e comunque con efficacia limitata rispetto al 2740 c.c.). Creare una società quando i buoi sono già scappati (ossia con debiti già noti) è invece quasi sempre perdente: l’ordinamento difficilmente consente di farla franca, e come abbiamo visto ha vari strumenti per colpire questi tentativi.

Profili civilistici e fallimentari: responsabilità patrimoniale oltre il velo societario

Passando dall’ambito tributario strettamente inteso a quello civilistico generale, il tema delle società schermo si pone nei rapporti con creditori privati (banche, fornitori, ex soci, coniugi, ecc.) e nelle procedure concorsuali (fallimento/liquidazione giudiziale). Qui la questione centrale è: in che casi un socio o amministratore che ha usato una società come schermo può essere chiamato a rispondere personalmente dei debiti sociali? E viceversa, i beni schermati in una società possono essere aggrediti per debiti personali del socio? Vediamo le situazioni principali, tenendo conto che la regola generale – da cui si deroga solo eccezionalmente – è quella della separazione patrimoniale (art. 2462 c.c. per SRL, 2325 c.c. per SPA: “per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio”).

Società schermo e “abuso di identità”: estensione della responsabilità ai soci

In linea teorica, il codice civile italiano non contiene una norma generale che permetta di “ignorare” la personalità giuridica e attribuire d’ufficio ai soci i debiti di una società di capitali. La cosiddetta “piercing the corporate veil” anglosassone non è espressamente codificata da noi. Tuttavia, la giurisprudenza ha individuato fattispecie concrete in cui, per evitare frodi, si supera il velo. Una di queste è proprio l’ipotesi della società schermo per sottrarre beni ai creditori. Se un giudice accerta che una società è stata usata dal socio per aggirare la legge e pregiudicare diritti altrui, può dichiarare che c’è stato “abuso della personalità giuridica” e trarne conseguenze. Ad esempio, in materia fallimentare, come accennato, l’art. 147 L.Fall. consente di dichiarare il fallimento non solo della società, ma anche di soci occulti o di fatto, se emerge che dietro la società formale vi era in realtà un rapporto societario di fatto con altri soggetti. Si parla di “supersocietà di fatto” quando una società di capitali è di fatto parte di una società di persone non dichiarata, insieme magari ad una persona fisica o altra società: in tal caso, fallendo la società di capitali, può essere dichiarato il fallimento anche della società di fatto e quindi dei suoi membri (che risponderanno illimitatamente) . Questa dottrina è nata proprio per reagire a situazioni di abuso in cui più entità venivano usate per spacchettare un’unica impresa comune e limitare responsabilità .

Un esempio concreto: la Alfa Srl (di Tizio) e la Beta Srl (di Caio) operano insieme come se fossero un’unica impresa, magari gestendo congiuntamente un ristorante e un bar; Tizio e Caio dividono utili e decisioni senza patti scritti. Se Alfa o Beta falliscono, il curatore potrebbe sostenere che esisteva una società di fatto Tizio-Caio-Alfa-Beta, ossia una supersocietà, chiedendo l’estensione del fallimento a tutti questi soggetti. In un caso del 2024, la Cassazione (ord. n. 204/2024) ha proprio esaminato una situazione del genere: una Srl fallita, un imprenditore individuale e un’altra Srl operavano in commistione; la Cassazione ha chiarito che per dichiarare la supersocietà di fatto non serve un atto formale di volontà, bastano comportamenti concludenti reiterati nel tempo che rivelino l’esercizio di un’attività comune con affectio societatis . Anche una mera tolleranza dei soci formali verso l’ingerenza gestoria di un terzo può indicare che quest’ultimo era socio di fatto . Inoltre, la confusione totale di patrimoni e gestione tra società e persona è fortemente indicativa di un unico centro d’interessi (spesso proprio il socio occulto) . In tali casi, la realtà sostanziale supera quella formale: si riconosce che dietro la società c’era una persona (o più) che agiva come socio occulto, dunque la si fa rispondere dei debiti.

Al di fuori del fallimento, i creditori possono tentare di sostenere l’abuso di identità in cause civili ordinarie. Ad esempio, se una società viene deliberatamente svuotata a danno dei creditori e i beni sono finiti al socio, un creditore potrebbe far causa sia alla società sia al socio, cercando di dimostrare che la società era un “alias” del socio e chiedendo la sua condanna in solido. Non esiste garanzia di successo, ma ci sono stati precedenti in cui i giudici hanno riconosciuto una sorta di “responsabilità extracontrattuale” del socio per abuso della personalità giuridica (in virtù dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni, ex artt. 1175 e 1375 c.c., violati da chi crea schermi per frodare).

Uno strumento più codificato è l’azione di responsabilità verso amministratori o soci ex art. 2476 c.c.: il settimo comma di tale articolo prevede che i creditori sociali, se il patrimonio della SRL risulta insufficiente, possano agire contro gli amministratori (e eventualmente contro i soci nei casi di decisioni prese da questi) che abbiano con atti di mala gestio pregiudicato intenzionalmente le ragioni creditorie. Se un socio unico o di maggioranza ha di fatto diretto operazioni dannose (come spogliare la società di beni a proprio vantaggio), il creditore potrebbe tentare questa via per far condannare il socio a risarcire il danno (che equivarrebbe al ripristino del patrimonio aggredibile). Non è una “estinzione del velo” automatica, ma un’azione di responsabilità specifica. Ad esempio, se la società vende sottocosto un immobile al socio, impoverendosi, i creditori potrebbero accusare l’amministratore (magari lo stesso socio) di inadempimento dei doveri e chiedere il risarcimento pari al valore dilapidato.

Difendersi da tali azioni: dal lato del socio o amministratore accusato di abuso, le difese consistono nel contestare i presupposti di fatto. Se viene ipotizzata una supersocietà di fatto, il socio occulto potrebbe negare l’esistenza di un affectio societatis e sostenere che la collaborazione con la società formale era in realtà un rapporto contrattuale distinto (ad es. un appalto, un comodato, etc.) e che la confusione contabile era dovuta a negligenza ma non implicava comunione di scopo. Molto importante è dimostrare la separatezza: separatezza di conti, di sedi, di personale, ecc. Più elementi si portano per distinguere le due sfere, meno probabile che il giudice dichiari un “unicum” economico. Se si parla di responsabilità da abuso, il socio potrà sostenere di aver sempre rispettato la distinzione tra sé e la società, e che eventuali atti di spoliazione sono stati compiuti con contropartite equivalenti (es. se ha prelevato utili, erano dividendi formalmente deliberati; se si è intestato beni, ha corrisposto il prezzo alla società).

Intestazione fittizia di beni a società e azioni dei creditori personali

L’altro lato della medaglia: un debitore persona fisica che intesta beni a una società “di comodo” (magari di cui non risulta formalmente socio) per evitare che i suoi creditori privati li aggrediscano. In questo scenario, il creditore personale (non tributario) ha strumenti analoghi a quelli dell’Erario visti sopra:

  • Azione revocatoria per atti a titolo oneroso o gratuito in frode. Ad esempio, se un imprenditore con debiti verso fornitori trasferisce l’azienda a una nuova società controllata dal figlio, i fornitori potranno agire in giudizio per far dichiarare inefficace il trasferimento, provando il consilium fraudis.
  • 2929-bis c.c. se l’atto è gratuito (es. conferimento senza corrispettivo). Molti casi giurisprudenziali recenti riguardano proprio il trasferimento di immobili dal debitore alla società del coniuge/figli: se il trasferimento è considerato donazione mascherata, i creditori hanno pignorato la casa direttamente con 2929-bis. La difesa contro questo è sempre sul carattere oneroso o meno dell’atto.
  • Sequestro conservativo e pignoramento: un creditore può tentare di pignorare un bene sostenendo che la società acquirente è mera prestanome, ma qui incontrerà difficoltà perché formalmente il bene non è del debitore. Dovrà prima vincere la causa revocatoria o di simulazione. Invece, può chiedere sequestro conservativo ante causam su quel bene, allegando forti indizi di fittizietà (è un rimedio cautelare concesso se c’è fumus boni iuris sulla revocatoria).
  • Azione di simulazione: se il contratto di trasferimento a società è puramente fittizio (es. una vendita con prezzo mai pagato), il creditore, quale terzo pregiudicato, può agire per far dichiarare la simulazione e quindi che in realtà il bene è ancora dell’alienante. Questa è una via diretta e potente, ma richiede prove solide dell’accordo simulatorio. Spesso la simulazione emerge in sede penale o fallimentare (intercettazioni, documenti interni, confessioni).

Dal lato difensivo, se un bene è intestato a una società e il debitore viene accusato che è suo in realtà, la società e il debitore devono dimostrare la reale effettività dell’operazione. Ad esempio, esibire prove di pagamento effettivo del prezzo, comportamenti conseguenti (il bene è gestito davvero dalla società e non dal debitore), una ragione economica della transazione (es. riorganizzazione aziendale). Se il debitore magari continua ad usare personalmente il bene senza pagare nulla, è arduo difendersi. Ma se possono mostrare che, ad esempio, il debitore paga un affitto alla società per l’uso del bene, questo già contrasta l’idea di schermo totale.

È utile far notare che l’intestazione fiduciaria lecita (es. a una società fiduciaria autorizzata) non rientra di per sé nell’alveo fraudolento: in quei casi il fiduciario è un soggetto regolamentato che potrebbe opporsi meno efficacemente ai creditori reali (c’è tutta una disciplina). Mentre l’intestazione fiduciaria occulta a una società ad hoc (con prestanomi) è quella che i giudici smantellano senza troppi complimenti quando individuata .

Debiti della società e chiusura “strategica”: i rischi per i soci

Un caso particolare è quando una società schermo viene chiusa (liquidata e cancellata) lasciando debiti insoddisfatti, con l’idea di far perdere tracce e responsabilità. La legge, all’art. 2495 c.c., prevede che dopo la cancellazione della società i creditori insoddisfatti possano far valere i loro crediti contro i socima solo entro il limite di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione . Quindi se i soci si sono spartiti attivi residui, devono restituirli fino a concorrenza per pagare i debiti rimasti. Se non hanno preso nulla, in teoria non devono nulla (principio di responsabilità limitata conservata).

Tuttavia, su questo c’è stata una evoluzione giurisprudenziale. Nel 2013, le Sezioni Unite (sentt. nn. 6070 e 6072/2013) affermarono che i soci succedono comunque nei debiti sociali, anche se non hanno avuto distribuzioni, perché la cancellazione non può pregiudicare i creditori: il credito sopravvive in capo ai soci pro-quota, e il titolo esecutivo può formarsi anche contro di loro . Di fatto, le SS.UU. suggerivano: il creditore può agire contro i soci per ottenere un titolo, ma l’effettiva escussione sarà limitata a quanto eventualmente ricevuto o a beni sociali occultati. Questo orientamento “estensivo” serviva soprattutto al Fisco per notificare avvisi ai soci di società estinte anche se dal bilancio finale risultava zero . Negli anni successivi, però, la Cassazione è tornata a una linea più restrittiva: senza attivo distribuito, niente obbligo di pagamento per i soci (l’azione serve solo a prendere atto che non hanno percepito beni) . Ad esempio, Cass. ord. 32729/2023 ha escluso che un socio unico debba pagare i debiti della SRL fallita se non ha avuto nulla in liquidazione . Insomma, oggi pare prevalere di nuovo l’idea originaria: i soci rispondono solo nei limiti di quanto riscosso.

Ciò non toglie che chiudere una società lasciando debiti sia una mossa pericolosa. Se la società era un puro schermo, i creditori possono sospettare che abbia nascosto attivi altrove. In tal caso, possono: – Cercare attivi postumi (ex art. 2495 c.c. i creditori possono chiedere al giudice di nominare un liquidatore per riaprire la liquidazione, se emergono attività residue non liquidate). – Agire, come visto, contro gli amministratori per mala gestione o anche contro i soci accusandoli di aver distratto beni prima della fine (ad esempio, se un mese prima di chiudere la società i soci si sono fatti cedere beni o rimborsare fittizi crediti, quei movimenti possono essere attaccati con revocatoria o azione risarcitoria). – In ambito penale, se la chiusura è accompagnata da sottrazione di beni, può configurarsi bancarotta fraudolenta (se la società fallisce) o sottrazione fraudolenta (se no fallimento).

Consigli pratici al debitore-socio: se si vuole cessare una società indebitata (specialmente se con debiti erariali o verso fornitori rilevanti), è sconsigliabile farla sparire nel nulla. Meglio adottare procedure concorsuali (liquidazione giudiziale, accordi) o transare coi creditori, perché una chiusura anomala attira inevitabilmente azioni legali. Se invece la società è stata chiusa e arrivano richieste ai soci, la difesa migliore è dimostrare documentalmente che nessun attivo è stato loro assegnato. Conservare il bilancio finale di liquidazione e le evidenze di mancata distribuzione è essenziale. E se qualche bene è stato distribuito, pagare almeno pro-quota quella parte può evitare cause lunghe.

Riassumendo, sul piano civilistico il velo societario regge salvo condotte eccezionali di abuso. Le società schermo create ad hoc rientrano proprio in quelle condotte eccezionali che i giudici non tollerano, quindi il socio occulto o debitore farebbe bene a non confidare troppo nella barriera della responsabilità limitata: in presenza di frode manifesta, come abbiamo visto, esistono mezzi per oltrepassarla. Dal lato difensivo, occorre mettere in luce tutto ciò che invece differenzia la società dalla persona e la genuinità (se c’è) dell’operato societario, per convincere che non vi è stata sovrapposizione illecita delle due soggettività.

Domande frequenti (FAQ) su società schermo e tutele del debitore

D: Utilizzare una società per ridurre il carico fiscale è sempre illecito?
R: No, di per sé avvalersi di una società per gestire un’attività può essere perfettamente lecito e anzi usuale. Diventa problematico quando la struttura societaria è usata soltanto per ottenere risparmi d’imposta altrimenti indebiti, senza una sostanza economica reale (ad es. società senza organizzazione propria, creata solo per fatturare il lavoro di una persona). In tal caso l’Agenzia delle Entrate può contestare l’abuso del diritto e imputare le imposte alla persona fisica . Quindi, l’ottimizzazione fiscale è lecita se avviene entro i limiti consentiti (es. scegliere il regime più vantaggioso tra opzioni previste), mentre l’elusione abusiva è vietata se si costruiscono artifici ad hoc privi di scopi genuini. Un esempio lecito: costituire una SRL per far crescere un business e reinvestire utili (qui la società ha funzione economica). Un esempio illecito: aprire una società per fatturare la stessa identica attività personale di prima, senza alcuna modifica sostanziale, solo per dimezzare le tasse.

D: Quali sono i segnali che il Fisco guarda per individuare una società schermo?
R: Tra gli indici rivelatori più comuni rilevati in giurisprudenza ci sono: la ristretta base sociale familiare (società con quote tra coniugi o parenti stretti, dove è forte il sospetto di gestione “casalinga” del patrimonio) ; la confusione dei beni (es. immobili, auto, conti correnti usati promiscuamente dal socio e dalla società) ; la sottocapitalizzazione cronica e finanziamento solo ad opera del socio; l’antieconomicità (società con fatturato esiguo rispetto ai beni posseduti, o che vende beni a prezzi non di mercato al socio); l’assenza di una sede operativa reale o di dipendenti (tipico delle scatole vuote). Anche operazioni come cessioni infragruppo a tempistica sospetta (subito prima di eventi tassabili o di pignoramenti) accendono un faro. La Cassazione ha sottolineato che spesso il sintomo principe è la commistione patrimoniale e gestionale tra socio e società : in pratica se la società appare come la “tasca” del socio, è facile bollarla come schermo.

D: Se il Fisco mi contesta un abuso con società schermo, rischio anche il penale?
R: Dipende dalla condotta. La mera elusione fiscale (operazioni abusive senza false dichiarazioni) comporta sanzioni amministrative, ma non è reato . Tuttavia, se per ottenere il vantaggio fiscale si è ricorsi a fatti penalmente rilevanti – tipicamente false fatturazioni, omissioni in dichiarazione di redditi dirottati su società, simulazioni contrattuali – allora può scattare il reato di dichiarazione infedele o fraudolenta. Inoltre, se la società schermo serve a nascondere beni dopo che il debito tributario è sorto, si può configurare la sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (penalmente perseguita) . In sintesi: se l’utilizzo della società rimane nei confini “formali” (senza falsificare nulla) al massimo si subisce un accertamento fiscale con sanzioni; se ci sono elementi di simulazione o frode, allora c’è rischio di processo penale tributario. Va detto che spesso contestazioni di un certo rilievo fiscale vengono trasmesse alla Procura: sarà questa, con la GdF, a valutare se vi sono estremi di reato. Molti casi di società schermo finiscono archiviati penalmente come abuso non punibile, ma alcuni no – vedi i casi di fatture soggettivamente false.

D: Ho intestato tutti i miei beni a una società di cui non compaio formalmente. I creditori privati possono attaccarli comunque?
R: Sì, se i creditori dimostrano che quell’intestazione è fittizia. Il nostro ordinamento non consente di sfuggire ai debiti semplicemente spostando la proprietà su un altro soggetto di comodo. Come visto, esistono l’azione revocatoria (entro 5 anni dall’atto) e l’art. 2929-bis c.c. (entro 1 anno per atti gratuiti) per rendere inefficaci verso i creditori quei trasferimenti . Inoltre, se c’è malafede, il creditore può anche agire per simulazione o, in casi estremi, denunciare per sottrazione fraudolenta (se riguarda il Fisco) o per frode in esecuzione. Quindi, anche se formalmente Lei non risulta proprietario, un giudice può riconoscere che la società è suo prestanome e rendere quei beni pignorabili. Dal punto di vista difensivo, l’intestazione “blindata” funziona solo se c’è una causa reale e lecita: ad esempio un trust legittimo o un fondo patrimoniale costituito prima, con scopi non fraudolenti, può offrire qualche scudo (benché anch’essi attaccabili). L’intestazione a società controllate nell’ombra, specie se avvenuta quando i debiti erano già noti, è invece considerata uno schermo fragile: i creditori hanno strumenti per infrangerlo, come abbiamo dettagliato.

D: Se la società schermo fallisce, i creditori sociali possono aggredire me personalmente?
R: Nel fallimento di una società di capitali, la regola generale è che solo la società fallisce, non i soci (a differenza delle società di persone). Però, come spiegato, il curatore può chiedere l’estensione del fallimento a soci occulti se prova l’esistenza di una società di fatto dietro quella fallita . In tal caso Lei verrebbe dichiarato fallito personalmente (con tutte le conseguenze: patrimonio personale liquidato, possibili azioni di responsabilità, ecc.). Se invece non c’è questa situazione di supersocietà, i creditori sociali potranno al massimo tentare di far valere responsabilità specifiche (ad es. azione di responsabilità per mala gestione o ricorso all’art. 2495 c.c. se la società è cancellata). Se Lei, da socio, non ha ricevuto nulla in liquidazione, le ultime pronunce la tutelano da richieste dirette oltre quel limite . Ma attenzione: se Lei ha distratto beni sociali a suo favore prima del fallimento, il curatore può farLe causa (revocatoria fallimentare, azione di responsabilità) e persino farLa incriminare per bancarotta fraudolenta. Quindi, de iure i soci non falliscono per i debiti sociali, ma de facto se la società era un Suo schermo, rischia di essere coinvolto per vie traverse. La difesa, in caso di estensione di fallimento o azioni del curatore, consisterà nel contestare di essere un socio di fatto e nel dimostrare di non aver commesso distrazioni.

D: È lecito creare una società all’estero (offshore) per proteggere beni o pagare meno tasse?
R: La costituzione di società estere è di per sé lecita, ma se la finalità è sottrarsi a tasse italiane o a obblighi verso creditori italiani, può costituire abuso o peggio. Il Fisco italiano può considerare esterovestita (fittiziamente estera) una società che in realtà è amministrata e ha sede di direzione effettiva in Italia, tassandola qui. E se la offshore serve solo a interporre uno schermo, l’Agenzia la ignorerà imputando redditi e beni al beneficiario residente (ci sono convenzioni e normative antielusive forti su questo) . In ambito creditori, ottenere tutela su beni spostati all’estero è più complesso, ma non impossibile: vi sono procedure di riconoscimento sentenze e cooperazione internazionale; inoltre, se emerge l’intento di frode, si può configurare reato (trasferire capitali su conti esteri per sfuggire a esecuzione può rientrare nella sottrazione fraudolenta, con rogatorie internazionali per bloccarli). In sintesi, usare giurisdizioni estere come rifugio patrimoniale o fiscale è molto rischioso. A maggior ragione oggi con lo scambio di informazioni finanziarie globali (CRS) e normative anti-abuso UE. Può avere senso strutturare investimenti all’estero per legittime ragioni (mercati esteri, diversificazione), ma come strumento per eludere la legge italiana è sconsigliabile: i costi legali e reputazionali rischiano di superare i benefici e in caso di scoperta le conseguenze sono gravi (tassazione retroattiva, sanzioni aumentate, possibili incriminazioni per trasferimento fraudolento).

Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Principali contestazioni e rimedi legali contro le società schermo (prospettiva dei creditori/Fisco) e relative difese (prospettiva del debitore)

Contestazione / StrumentoNorma di riferimentoConseguenze per il debitore/socio occultoPossibili difese del debitore
Accertamento fiscale per interposizione fittiziaArt. 37, co.3, DPR 600/1973; Art. 10-bis L.212/2000 (abuso del diritto)– Imputazione al socio dei redditi “schermati” dalla società ; <br>– Recupero imposte evase + sanzioni (tipicamente 90%-180% imposta); <br>– Possibile qualificazione di fatture soggettivamente inesistenti (se la società emette fatture per attività del socio, con rischio sanzioni più gravi) .– Provare l’autonomia economica della società (attività reale, diversa da persona); <br>– Dimostrare ragioni economiche valide delle operazioni (es. vantaggi organizzativi, non solo fiscali) ; <br>– Evidenziare che tutte le imposte dovute sono state versate (es. IVA assolta dall’interposto) per evitare contestazioni di evasione ; <br>– In sede legale, sollevare eccezione di assenza di abuso se c’era sostanza (onere però gravoso in base alle presunzioni del Fisco).
Sottrazione fraudolenta al Fisco (trasferimento di beni a società per non pagar tasse)Art. 11 D.lgs. 74/2000– Procedimento penale a carico del debitore; <br>– Sequestro preventivo dei beni trasferiti (o equivalenti) fino a concorrenza del debito ; <br>– Rischio condanna penale (reclusione 6 mesi – 6 anni) con confisca definitiva dei beni sequestrati ; <br>– Sanzioni interdittive (es. incapacità a contrattare con PA) per alcuni anni .– Contestare mancanza di dolo specifico (atto non finalizzato a evadere imposte, ma ad es. riorganizzazione lecita) ; <br>– Dimostrare assenza di pericolo concreto: patrimonio residuo sufficiente a pagare il debito (atto non idoneo a frustrare riscossione) ; <br>– Sequestri: chiedere riesame se valore beni sequestrati eccede il “profitto” (debito) o se bene è di terzi estranei; <br>– Eventualmente, estinguere o ridurre il debito tributario: il venir meno del debito può far cadere l’accusa (se manca il fine di sottrarsi al pagamento perché si paga).
Azione revocatoria di atti verso società schermo (creditori o Fisco)Art. 2901 c.c. (ordinaria, 5 anni); <br>Artt. 64-70 L.Fall. (fallimentare, 2 anni per atti a soci, etc.)– Sentenza civile dichiara inefficacia dell’atto verso il creditore: il bene trasferito è aggredibile come se fosse ancora del debitore; <br>– Se bene già venduto, il creditore può aggredire il corrispettivo; <br>– Spese legali e possibile condanna del debitore alle spese; <br>(N.B.: la revocatoria fall. in più può portare a responsabilità penale per bancarotta fraudolenta se atto doloso).– Provare che l’atto non era in frode: es. avvenuto quando ancora non c’erano creditori (“anteriorità” mancante) o che il debitore non era insolvente (manca eventus damni); <br>– Se a titolo oneroso: dimostrare la buona fede del terzo (la società) e un corrispettivo equo realmente pagato (escludere consilium fraudis); <br>– Eccepire decadenza termini (oltre 5 anni dall’atto l’azione ordinaria è inammissibile).
Esecuzione semplificata ex art. 2929-bis c.c. (attacco a beni vincolati o dati a società gratis)Art. 2929-bis c.c.– Pignoramento immediato del bene trasferito a società (o del diritto oggetto di vincolo) senza aspettare giudizio; <br>– Il bene va all’asta salvo opposizione; <br>– Creditore soddisfatto sul ricavato, eventuale eccedenza torna alla società/soggetti coinvolti.– Opposizione ex art. 2929-bis co. 4 c.c., sostenendo che non sussistono i presupposti: <br>• l’atto non è a titolo gratuito (es. vendita con prezzo effettivo); <br>• oppure il credito non è anteriore all’atto; <br>– In sede di conversione del pignoramento, società potrebbe pagare somma dovuta per evitare la vendita (soluzione estrema).
Estensione del fallimento a socio occulto (supersocietà di fatto)Art. 147 L.Fall., giurisprudenza Cass.– Dichiarazione di fallimento personale del socio occulto o dell’altra società di fatto: <br>• tutti i beni personali del socio diventano parte dell’attivo fallimentare; <br>• il socio subisce le incapacità personali del fallimento (es. divieto espatrio senza autorizzazione, interdizione cariche societarie etc.); <br>• Possibile azione per far valere responsabilità illimitata su tutti debiti sociali; <br>– Spesso accompagnato da azioni di responsabilità per mala gestio e possibili risvolti penali (bancarotta) se c’erano irregolarità.– Contestare la qualificazione di socio di fatto: <br>• negare esistenza di affectio societatis e scopo comune, spiegando rapporti come diversi (mandato, affitto d’azienda etc.); <br>• evidenziare la separatezza gestionale e patrimoniale tra le entità (no commistione conti, ruoli distinti); <br>– Contestare lo stato d’insolvenza della pretesa supersocietà, se la Corte d’Appello non l’aveva rilevato (argomento tecnico: ogni soggetto deve essere insolvente per fallire).

Tabella 2 – Giurisprudenza recente rilevante sul tema “società schermo” (principali massime e insegnamenti)

SentenzaMateriaPrincipio espresso
Cass. Sez. Trib. n. 939/2025 (ord. 15 gennaio 2025)Interposizione fiscale (art. 37 DPR 600/73)L’art. 37, comma 3, DPR 600/73 si applica sia alle interposizioni fittizie che a quelle reali: il Fisco può imputare redditi all’effettivo possessore anche se il soggetto interposto (società) è realmente esistito ed ha percepito i redditi, quando poi li ritrasferisce al dominus. Prevale la sostanza economica sulla forma, al fine di impedire al contribuente di nascondersi dietro interposti .
Cass. Sez. Trib. n. 2284/2025 (ord. 31 gennaio 2025)Abuso di personalità giuridica in ambito fiscale (elusione)Abuso della personalità giuridica: una società di capitali, anche se inizialmente operativa, può divenire una società schermo in una fase successiva in base all’uso fattone dai soci. Non serve provare che la società fosse fittizia fin dall’origine; è sufficiente dimostrare che di fatto è stata usata come schermo (es. confusione dei patrimoni, operazioni illogiche a vantaggio solo dei soci) per conseguire vantaggi fiscali indebiti . In tali casi è legittima la riqualificazione delle operazioni come elusive e la tassazione in capo ai soci beneficiari.
Cass. Sez. Trib. n. 7948/2025 (sent. 25 marzo 2025) – in sintesi da fonti pubblicheInterposizione reale vs fittizia; onere provaHa confermato che l’art. 37, co.3 DPR 600/73 “non distingue tra interposizione fittizia e reale” e che è sufficiente la prova (anche presuntiva) della gestione uti dominus da parte dell’interponente, senza dover provare la totale fittizietà della società. In pratica, basta dimostrare che la società era asservita alle finalità personali del socio, anche se formalmente operante. (Fonte: massime in linea con Cass. 939/2025 e note Eutekne) .
Cass. Sez. Trib. n. 20846/2025 (ord. 4 agosto 2025)IVA – interposizione tramite fondo (prova)In tema di IVA, una volta che il Fisco prova uno schema elusivo con interposto, scatta l’inversione dell’onere della prova: spetta al contribuente interponente dimostrare che l’IVA è stata assolta dall’interposto o comunque che non vi è evasione . La Corte chiarisce che l’art. 37 DPR 600/73 consente di andare oltre l’intestazione anche per l’IVA, configurando un rapporto di mandato senza rappresentanza tra interposto e interponente .
Cass. Sez. III Pen. n. 5147/2022 (sent. 14 febbraio 2022)Reato tributario vs abuso del dirittoNel caso di una holding interposta per incassare redditi di partecipazioni (carried interest) con regime fiscale di favore, la Cassazione ha ritenuto configurabile il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs. 74/2000) anziché un mero abuso: ciò perché la società, pur esistente (“interposizione reale”), era utilizzata come mero schermo per finalità personali del socio, integrando una condotta fraudolenta e non solo elusiva . Si sottolinea che l’art. 10-bis co.13 Statuto contrib. esclude punibilità penale solo per operazioni elusive non sorrette da artifici o simulazioni .
Cass. Sez. III Pen. n. 53319/2018 (dep. 28 nov. 2018)Fatture “soggettivamente” false – società schermoHa annullato la condanna di un imprenditore accusato di aver emesso fatture tramite una società schermo, chiarendo che il reato di fatture per operazioni inesistenti sussiste solo se le fatture riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli reali . Nel caso concreto, la società schermo fatturava operazioni effettivamente poste in essere nel suo ambito (anche se poi i vantaggi erano dell’imprenditore): non c’era diversità soggettiva fittizia, quindi “il fatto non sussiste”. Principio: l’utilizzo di una società schermo non comporta di per sé una fattura soggettivamente inesistente** se la società è effettivamente parte formale dell’operazione.
Cass. Sez. I Civ. n. 204/2024 (ord. 4 gennaio 2024)Fallimento – supersocietà di fatto (abuso forma soc)In tema di estensione del fallimento a supersocietà di fatto: l’abuso della forma societaria da parte di chi controlla una società, gestendola in comunione di scopo con altri soggetti, può portare a riconoscere una società di fatto sovrapposta alle strutture formali. Non serve un contratto esplicito: contano i comportamenti concludenti ripetuti volti a un’attività comune . La confusione patrimoniale e gestionale totale tra la società di capitali e la persona fisica (o altra società) che la gestisce di fatto, unita alla tolleranza degli amministratori formali, può provare la creazione di un fondo comune e quindi di una società di fatto tra loro . Ciò giustifica l’estensione del fallimento ai sensi dell’art. 147 L.F. per far rispondere illimitatamente il socio occulto.
Cass. Sez. Trib. SU nn. 6070/6072/2013 (Sent. SS.UU. 12 marzo 2013)Società estinta e debiti tributari (successione soci)Ha affermato che, in caso di società cancellata con debiti, i soci succedono nei rapporti passivi indipendentemente dall’aver percepito attivo: il creditore (specie l’Erario) può sempre agire contro di loro per ottenere titolo esecutivo. Tuttavia, l’escussione dei soci non potrà eccedere i limiti di legge (ossia quanto ricevuto più eventuali beni sociali occultati): il principio mira ad evitare che la cancellazione estingua fittiziamente i debiti a danno dei creditori . N.B.: orientamento poi ricalibrato dalle sezioni semplici nel senso di limitare effettivamente la responsabilità ai soli attivi percepiti, salvo situazioni di mala fede.

Esempi pratici e casi simulati

Per illustrare come i principi sopra esposti trovino applicazione concreta, presentiamo alcuni scenari pratici tipici, con indicazione di possibili sviluppi e strategie difensive dal lato del debitore.

Caso 1: Professionista che fattura tramite SRL unipersonale – Mario è un consulente informatico con redditi elevati. Nel 2022 crea la “TechConsulting Srl”, di cui è unico socio e amministratore, e inizia a far emettere alla Srl tutte le fatture ai clienti per le prestazioni che egli personalmente svolge. La Srl applica il 24% di IRES sull’utile, mentre se Mario avesse dichiarato come autonomo avrebbe pagato circa il 43% IRPEF. Mario lascia i soldi nella Srl o li utilizza pagando spese personali con la carta aziendale. Nel 2025 riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate che contesta la società come schermo: l’Ufficio ritiene che la Srl sia interposta e che i redditi vadano imputati a Mario ex art. 37, co.3 DPR 600/73. Chiede quindi a Mario le imposte aggiuntive su tre anni di redditi, con sanzioni per infedele dichiarazione. Inoltre, segnala la cosa alla Procura per valutare profili penali.

Strategie difensive: in sede tributaria Mario potrebbe sostenere che la Srl aveva una sua ragion d’essere (es. ha assunto un dipendente, ha investito in software, etc.), cercando di provare che non era una mera “scatola vuota” ma una struttura organizzata. Se, tuttavia, la realtà è che tutta l’attività era condotta da Mario senza apporto della società, sarà difficile evitare la riqualificazione. Mario potrebbe allora valutare un accertamento con adesione cercando di transigere per ridurre sanzioni, ammettendo di fatto l’elusione. Sul penale, molto dipende: se non ci sono elementi di frode (dichiarazioni infedeli di oltre 150k imposta evasa per anno, soglie penali), potrebbe anche non aprirsi un procedimento; se invece l’importo evaso supera soglie di punibilità, Mario dovrà difendersi arguendo che riteneva lecito operare tramite società (assenza di dolo) e che non ha occultato nulla (le fatture sono state emesse, solo da un soggetto giuridico diverso). Il rischio penale in un caso così – frequente nella pratica – spesso viene scongiurato sottolineando che si tratta di valutazione fiscale ex post di abuso, senza “truffa”: diverse procure archiviano, altre procedono. Mario dovrà quindi predisporre, con l’ausilio di un avvocato tributarista, una memoria evidenziando la natura elusiva e non fraudolenta della condotta, magari citando l’art. 10-bis co.13. Resta il fatto che sul piano fiscale dovrà con ogni probabilità pagare il dovuto con interessi e una sanzione (che se definita potrà essere ridotta ad 1/3). Inoltre, Mario farebbe bene a regolarizzare per il futuro: ad esempio potrebbe iniziare a pagarsi compensi adeguati dalla Srl o trasformare la Srl in una società di persone trasparente, così da non reiterare l’abuso.

Caso 2: Imprenditore indebitato che trasferisce beni a una NewCo – Luigi ha un’azienda individuale e debiti tributari e bancari per 500.000 €. Nel 2024 costituisce la “Beta Srl” intestando le quote alla moglie e ai figli (prestNominalmente soci) e conferisce alla Beta Srl l’intera azienda (macchinari, magazzino, avviamento), continuando però lui di fatto a gestire tutto come direttore. La sua ditta individuale resta un guscio vuoto e presto cessa lasciando i debiti insoluti. Beta Srl prosegue l’attività con lo stesso nome commerciale. Conseguenze: i creditori bancari e fornitori avviano azioni legali; il Fisco segnala la possibile sottrazione fraudolenta. La Guardia di Finanza avvia accertamenti e la Procura mette sotto sequestro i macchinari presso Beta Srl assumendo che siano frutto di atto fraudolento di Luigi. Beta Srl si trova i conti bloccati e Luigi è indagato penalmente. Inoltre, un fornitore ha promosso un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace il conferimento dell’azienda a Beta Srl.

Strategie difensive: la prima mossa per Luigi è cercare di sbloccare il sequestro: tramite il suo legale può presentare riesame al Tribunale, magari sostenendo che Beta Srl ha pagato un corrispettivo equo per l’azienda (se ciò è avvenuto) e che comunque Luigi possiede altri beni (immobili personali) di valore tale da garantire i creditori, cosicché il conferimento non ha reso Luigi insolvente (tentativo di far cadere l’accusa di pericolo concreto). Se però Beta Srl non ha pagato nulla o è palesemente una scatola familiare, sarà arduo. Luigi potrebbe allora tentare di transigere con i creditori: ad esempio offrire ai fornitori un pagamento parziale a saldo e al Fisco una richiesta di rateazione o adesione. Se riuscisse a ridurre il debito sotto 50.000 €, l’art. 11 non si applicherebbe più (soglia di punibilità) e il penale verrebbe meno . Nel frattempo, nella causa civile revocatoria Luigi (e Beta Srl) dovranno provare che Beta Srl non è un prestanome, ovvero che l’azienda fu trasferita per continuità d’impresa pagando quote o assumendo debiti di pari valore (cosa spesso non vera). Se la revocatoria appare senza scampo, Beta Srl potrebbe valutare di negoziare: se la società sta avendo successo, potrebbe usare parte degli utili per pagare i debiti di Luigi, ottenendo dai creditori la rinuncia all’azione (specie con le banche ciò a volte funziona, se vedono che l’azienda va e possono rientrare in parte). Dal punto di vista di Beta Srl, per non affondare con l’immagine di “società succeduta al fallito”, conviene mostrarsi terza buona fede: formalmente non avere Luigi come socio né amministratore (già fatto) e magari dotarsi di governance propria (ad esempio facendo amministrare la moglie realmente). Tuttavia, con la GdF alle calcagna che troverà di certo che Luigi tirava le fila, Beta Srl rischia di essere considerata continuazione e Luigi amministratore di fatto, con ciò che ne consegue (tra l’altro, Luigi come admin di fatto risponde dei debiti tributari di Beta Srl eventualmente). In conclusione, questo scenario è critico: Luigi avrebbe potuto piuttosto optare per un concordato preventivo cedendo l’azienda a Beta Srl in quel contesto con l’accordo dei creditori (modalità trasparente), oppure vendere l’azienda a terzi indipendenti e usare il ricavato per pagare in parte i debiti. Farlo di nascosto in famiglia lo ha esposto a reato. La exit strategy migliore ora è trovare un accordo globale con creditori e dimostrare collaborazione, nella speranza di evitare una condanna (magari ottenendo la sospensione condizionale se è incensurato e paga qualcosa).

Caso 3: Socio di SRL “vuota” ritenuto responsabile post liquidazione – La Gamma Srl, di cui Anna era amministratrice unica e socia al 100%, viene volontariamente messa in liquidazione nel 2023 perché non operava più e aveva troppi debiti. Dopo aver venduto gli ultimi asset per 50.000 €, Anna utilizza questa somma per pagare prima i crediti bancari garantiti e si tiene 5.000 € come rimborso parziale del finanziamento soci che vantava. Alla chiusura, alcuni fornitori restano però con 100.000 € di fatture non pagate. Nel 2024 uno di questi ottiene decreto ingiuntivo contro Anna personalmente per 50.000 €, sostenendo che ex art. 2495 c.c. Anna deve rispondere almeno entro il limite di quanto incassato (i 5.000 €, ma il creditore prova ad andare oltre). Anna si vede notificare atti di precetto su beni personali.

Strategie difensive: Anna può proporre opposizione al decreto ingiuntivo e contestare che lei ha ricevuto solo 5.000 € in liquidazione, dunque non può essere condannata per 50.000 €. Richiamerà la giurisprudenza recente che esclude responsabilità oltre l’attivo distribuito . È probabile che il giudice, seguendo Cassazione, riduca l’eventuale condanna a 5.000 € (o direttamente rigetti per l’eccedenza). Tuttavia, Anna dovrà esibire prove del bilancio finale di liquidazione e di quanto ricevuto (es. estratti conto che mostrino quell’importo e non di più). Il creditore potrebbe insinuare che Anna abbia occultato qualche attivo (es. merce non inventariata ceduta sottobanco). Se Anna ha agito correttamente, non ci sarà prova di ciò, ma se il creditore portasse elementi concreti di atti di occultamento, Anna rischierebbe di risponderne (anche penalmente come bancarotta postuma se emergesse dolo). Un aspetto da valutare: le Sezioni Unite 2013 dicevano che anche se nulla è stato percepito, il creditore può agire per un titolo nominale contro il socio, per poi cercare attivi occulti . Se il creditore è astuto, potrebbe voler ottenere comunque una sentenza dichiarativa di obbligo di Anna verso 50.000 (pur sapendo che oggi non escute nulla perché Anna ha preso solo 5.000) nel caso domani emergano beni di Gamma Srl non noti prima. Questo scenario è intricato: Anna nella sua difesa potrebbe invocare la dottrina prevalente attuale (“se niente percepito, niente dovuto”) e magari depositare una dichiarazione del liquidatore che attesta che non vi erano altri beni. Inoltre, Anna può sottolineare che ha usato i 50.000 € per pagare crediti privilegiati e non per arricchirsi, quindi ha agito in buona fede. In parallelo, Anna dovrebbe stare attenta a futuri introiti: se, poniamo, nel 2025 scoprisse un credito residuo di Gamma e lo incassasse, quel denaro sarebbe attaccabile da quel creditore grazie al titolo ottenuto. Quindi meglio trasparenza: se emergesse qualcosa, sarebbe corretto distribuirlo pro-quota (cioè tutto ad Anna, unica socia) e su quello i creditori potrebbero rifarsi fino a concorrenza. Dato il relativamente piccolo importo litigioso (5k vs 50k), forse le parti potrebbero accordarsi: Anna può offrire di restituire i 5k percepiti ai fornitori a saldo e stralcio, chiudendo la vicenda. Spesso un componimento è la soluzione più sensata quando ci sono dubbi di interpretazione giurisprudenziale.

Caso 4: Immobile intestato a società immobiliare per proteggere la casa – Paolo, imprenditore, anni fa ha comprato una villa ma l’ha intestata alla “Immobiliare XYZ Srl”, una società di famiglia (soci la moglie e un amico fiduciario). Paolo però ci vive con la famiglia come fosse casa sua, pagando un affitto simbolico. I creditori di Paolo non hanno potuto toccare la villa perché è della Srl. Nel 2025 tuttavia uno di questi presenta una denuncia sostenendo che la villa è in realtà di Paolo. La Guardia di Finanza avvia accertamenti e scopre che Paolo è amministratore di fatto della Immobiliare XYZ, che non ha altre proprietà né entrate se non quell’affitto irrisorio. L’Agenzia delle Entrate inoltre contesta a Paolo un reddito diverso in natura per l’uso gratuito di immobile sociale (benefit tassabile). Viene ipotizzato il reato di sottrazione fraudolenta verso il Fisco (Paolo ha anche cartelle esattoriali non pagate) e il PM sequestra preventivamente la villa.

Strategie difensive: in questa situazione la società immobiliare appare un classico schermo. Paolo può tuttavia tentare una linea: sostenere che la Srl fu costituita a suo tempo per motivi legittimi (es. ottimizzazione ICI/IMU, trasferimento a figli in futuro, ecc.) e non post debiti, e che l’affitto basso era dovuto al fatto che l’immobile necessitava di manutenzione a carico suo (giustificazioni deboli ma possibili attenuanti). Quanto al penale, la difesa può arguire che l’intestazione risale a prima che Paolo contraesse debiti fiscali (se vero) e quindi manca il fine specifico rispetto a quei debiti (questo potrebbe far cadere art.11 se i debiti sono successivi all’intestazione). Se invece i debiti preesistevano, occorre puntare sull’assenza di atti fraudolenti successivi: la società possedeva la casa fin dall’inizio, non c’è stata un’alienazione improvvisa “nel pericolo”. Forse il reato non sussiste se l’intestazione era originaria (la Cassazione ha annullato sequestri in situazioni in cui il patrimonio era segregato già da tempo e non in reazione a riscossione imminente, pur se con cautela). In sede civile/esecutiva, i creditori privati di Paolo potrebbero fare 2929-bis se la costituzione della Srl fu a titolo gratuito dopo insorgenza crediti; ma se la Srl ha la casa da decenni, resta solo la via di dimostrare la simulazione (non facile se all’epoca l’acquisto fu pagato dalla Srl stessa). La posizione fiscale (reddito da fringe benefit non dichiarato) comporterà una sanzione, ma minore, e Paolo potrà eventualmente sanare pagando la differenza d’imposta su quell’utilizzo. La chiave per Paolo sarebbe eventualmente negoziare: ad esempio proporre al Fisco di ipotecare/vendere l’immobile per saldare i debiti, ottenendo in cambio magari la non procedibilità penale (tramite pagamento del debito prima della sentenza, art. 13 D.lgs. 74/2000). Se la casa vale abbastanza, potrebbe soddisfare tutti. Altrimenti, Paolo deve prepararsi a perdere la villa: con il sequestro in atto, difficilmente la recupererà a meno di convincere il giudice che davvero la società immobiliare aveva ragione di essere e non era un trucco (cosa che dati gli elementi – socio occulto, affitto fittizio – suona poco credibile).

Conclusione: gli esempi sopra evidenziano come, dal punto di vista del debitore, l’uso di società schermo sia una strada lastricata di rischi. Se si è già intrapresa, è fondamentale attrezzarsi per la difesa: documentare ogni aspetto sostanziale che possa giustificare l’operato, agire tempestivamente per regolarizzare posizioni fiscali o trovare accordi con i creditori e, in caso di procedimento giudiziario, affidarsi a professionisti esperti sia in materia tributaria che fallimentare/penale. L’ordinamento offre certamente strumenti di pianificazione e protezione patrimoniale, ma vanno usati in modo intelligente e mai puramente sleale: quando un’operazione sconfina nell’aggirare fraudolentemente norme imperative (fiscali o a tutela dei creditori), gli organi preposti – Agenzia Entrate, GdF, autorità giudiziarie – hanno mostrato e mostrano fermezza nel colpire tali abusi, come confermano le più recenti sentenze . La miglior difesa, quindi, è agire sempre con la due diligence di avere una giustificazione economica reale per ogni assetto societario creato e, qualora ci si trovi sotto contestazione, adottare un approccio proattivo e competente per chiarire la propria posizione, evitando l’inasprirsi di conflitti legali che – specie per un debitore già in difficoltà – possono avere conseguenze gravissime sul patrimonio personale e sulla libertà.

Fonti

  • Cass., n. 939/2025 – Osservatorio Giustizia Tributaria.
  • Cass., Sez. 1, 4 gennaio 2024, n. 204, sulla “supersocietà” di fatto in presenza di abuso della forma societaria – ambito applicativo – onere probatorio.
  • Cassazione civile Sez. Trib. ordinanza n. 2284 del 31 gennaio 2025.
  • Cassazione penale Sez. III sentenza n. 5147 del 14 febbraio 2022.
  • Sentenza del 25/03/2025 n. 7948 – Corte di Cassazione.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la creazione o l’utilizzo di una società schermo per finalità elusive o fraudolente? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Le società schermo sono entità costituite formalmente ma prive di reale attività economica. Vengono spesso accusate dal Fisco di essere utilizzate per occultare redditi, spostare utili, dedurre costi inesistenti o schermare patrimoni. L’Agenzia delle Entrate può riqualificare le operazioni come simulate e attribuire i redditi direttamente a soci o amministratori.

👉 Prima regola: dimostra che la società ha sostanza economica reale e non è una costruzione artificiosa.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Mancanza di struttura operativa (dipendenti, uffici, mezzi propri);
  • Assenza di fatturato reale o fatture per operazioni inesistenti;
  • Interposizione fittizia tra società operative e clienti/fornitori;
  • Costituzione in Paesi esteri a fiscalità privilegiata senza sostanza economica;
  • Utilizzo per dedurre costi gonfiati o spostare utili.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Riqualificazione delle operazioni come simulate o elusive;
  • Recupero delle imposte non versate, con interessi;
  • Sanzioni dal 90% al 200% dell’imposta accertata;
  • Responsabilità patrimoniale diretta dei soci/amministratori;
  • Procedimenti penali per dichiarazione fraudolenta, utilizzo di fatture false o riciclaggio.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Attività concreta della società: esistono contratti, dipendenti, mezzi e struttura?
  • Documentazione contabile: bilanci, libri sociali, scritture regolari;
  • Esistenza reale delle operazioni: prestazioni o forniture sono effettivamente avvenute?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve fornire prove concrete, non solo presunzioni;
  • Rispetto dei termini: verifica la tempestività della notifica dell’accertamento.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Bilanci e registri contabili della società;
  • Contratti e fatture con clienti e fornitori;
  • Estratti conto bancari e prove dei pagamenti;
  • Documentazione sul personale, mezzi e struttura organizzativa;
  • Comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate e con professionisti.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la sostanza economica della società con prove documentali;
  • Contestare la riqualificazione come società schermo se priva di fondamento concreto;
  • Eccepire vizi procedurali: motivazione carente, decadenza dei termini, notifica irregolare;
  • Chiedere autotutela se la contestazione deriva da un’interpretazione eccessivamente restrittiva;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare l’accertamento;
  • Difesa penale se viene ipotizzata frode fiscale o utilizzo di fatture false.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la posizione fiscale della società e i rilievi contestati;
📌 Verifica la reale attività economica e la documentazione disponibile;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti assiste anche in sede penale se l’accusa riguarda frodi fiscali;
🔁 Suggerisce strategie preventive per strutturare società in modo trasparente e inattaccabile.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su società di comodo e società schermo;
✔️ Specializzato in difesa di imprese e soci contro contestazioni di interposizione fittizia;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni del Fisco sulle società schermo create ad hoc non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni eccessive o da interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la sostanza economica delle operazioni, evitare la riqualificazione come frode e ridurre drasticamente le sanzioni.

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