Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché i rimborsi spese erogati ai soci non risultano adeguatamente documentati? In questi casi, l’Ufficio presume che le somme corrisposte non siano veri rimborsi ma utili distribuiti in modo occulto, imponibili sia per la società sia per i soci. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con un’adeguata difesa è possibile dimostrare la reale natura dei rimborsi.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i rimborsi spese ai soci
– Se mancano ricevute, fatture o altra documentazione a supporto delle spese
– Se i rimborsi sono forfettari e non collegati a spese effettivamente sostenute
– Se le somme corrisposte non risultano inerenti all’attività sociale
– Se vi sono incongruenze tra i rimborsi contabilizzati e i movimenti bancari
– Se i rimborsi appaiono come una distribuzione occulta di utili anziché come rimborso di costi
Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione delle somme come utili distribuiti ai soci
– Recupero a tassazione sia in capo alla società che ai soci beneficiari
– Applicazione di sanzioni per infedele dichiarazione e indebita deduzione di costi
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di ulteriori accertamenti fiscali sulla gestione societaria
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare con documentazione successiva la reale natura delle spese sostenute
– Fornire prove della connessione tra i costi rimborsati e l’attività sociale
– Contestare la riqualificazione come distribuzione di utili in assenza di elementi concreti
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o difetti procedurali dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i rimborsi contestati e la documentazione disponibile
– Verificare la legittimità della contestazione secondo normativa e giurisprudenza
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere la società e i soci davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della reale natura dei rimborsi spese erogati ai soci
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce per tempo, la pretesa diventa definitiva e non sarà più possibile opporsi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni sui rimborsi spese ai soci non documentati e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate in materia di rimborsi spese ai soci non documentati sono sempre più frequenti e insidiose. In sostanza il Fisco sospetta che dietro la voce “rimborso spese” corrisposta a un socio (o amministratore) di una società si celino in realtà utili distribuiti occultamente o compensi non dichiarati . Questo scenario può riguardare sia le società di capitali (ad esempio S.r.l. o S.p.A.) sia le società di persone (S.n.c., S.a.s.), oltre che altre forme associative. Le conseguenze delle contestazioni sono potenzialmente gravi: recupero a tassazione delle somme “riqualificate”, sanzioni fiscali molto elevate (dal 90% fino al 180% dell’imposta evasa) , richieste di interessi di mora e, nei casi estremi, perfino contestazioni penali per infedele o omessa dichiarazione.
Dal punto di vista del contribuente-debitore (socio o amministratore destinatario dell’accertamento, oppure la società stessa), è fondamentale comprendere come nasce questo tipo di contestazione, quali norme e principi sono in gioco e, soprattutto, quali strumenti di difesa sono disponibili per tutelarsi. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – fornisce un quadro avanzato della normativa italiana vigente in materia fiscale e civilistica sui rimborsi spese ai soci, arricchito con le più recenti pronunce giurisprudenziali (sentenze della Corte di Cassazione fino al 2025) e indicazioni pratiche di difesa. Pur trattandosi di un testo tecnicamente approfondito (pensato anche per avvocati e professionisti), il linguaggio sarà il più possibile divulgativo, per renderlo utile anche a imprenditori e privati che vogliono capire come difendersi efficacemente da queste accuse.
Cosa vedremo? Innanzitutto delineeremo il quadro normativo di riferimento, distinguendo i profili fiscali (imposizione sui redditi, deducibilità dei costi, presunzioni tributarie) e civilistici (regole sulla distribuzione di utili ai soci, limiti ai prelevamenti, ecc.). Analizzeremo le condizioni di legittimità dei rimborsi spese e cosa li differenzia da utili o compensi veri e propri. Approfondiremo poi le modalità con cui il Fisco effettua le contestazioni (dalle verifiche contabili alle presunzioni di utili occulti nelle società a ristretta base sociale) e le implicazioni fiscali: tassazione sia in capo alla società che al socio, sanzioni e altri effetti (come la possibile ripresa a tassazione dei costi indeducibili). Dal lato difensivo, illustreremo le strategie per contestare gli addebiti: la rilevanza di una documentazione accurata, gli argomenti giuridici per contrastare le presunzioni dell’Amministrazione finanziaria, le procedure per impugnare un avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (nuovo nome delle Commissioni Tributarie) e gli eventuali profili penali. Non mancheranno esempi pratici, tabelle riepilogative, una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni, nonché alcuni fac-simile di lettere e atti difensivi che il debitore-contribuente può utilizzare (come memoria difensiva o ricorso). L’obiettivo è offrire una guida completa dal punto di vista del difensore: come impostare una difesa efficace per vedere riconosciuta la natura reale di un rimborso spese e ottenere l’annullamento (o almeno la riduzione) delle pretese fiscali contestate.
Quadro normativo di riferimento
Affrontiamo anzitutto le norme essenziali che regolano i rimborsi spese e la distribuzione di utili, suddividendo il tema in ambito fiscale (imposte sul reddito e contributi) e civilistico/societario (regole di diritto societario e obblighi documentali). Comprendere la cornice normativa è fondamentale per distinguere un legittimo rimborso spese (non tassabile) da un’erogazione illecita o un reddito occulto.
Normativa fiscale sui rimborsi spese
Nel sistema tributario italiano vige il principio per cui i rimborsi di spese sostenute nell’interesse di un’attività economica non costituiscono reddito imponibile, a condizione che rispettino precisi requisiti formali e sostanziali. Tali condizioni sono state ulteriormente dettagliate da recenti riforme legislative (in particolare la riforma della tassazione del lavoro autonomo attuata nel 2024) e da una copiosa giurisprudenza. Di seguito distinguiamo le regole per diverse categorie di soggetti:
- Professionisti (lavoratori autonomi) – L’art. 54 del TUIR (D.P.R. 917/1986) disciplina il reddito di lavoro autonomo. A seguito della riforma introdotta dal D.Lgs. 192/2024 (attuativo della L. 111/2023) è stato chiarito che dal 1° gennaio 2025 i rimborsi spese analitici addebitati al cliente non concorrono a formare il reddito imponibile del professionista . In particolare, il nuovo art. 54, comma 2, lett. b) TUIR stabilisce che “non concorrono alla formazione del reddito le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente al committente” . Ciò significa che se un professionista anticipa spese in nome e per conto del cliente (per esempio viaggi, vitto, alloggio per svolgere l’incarico) e le riaddebita con dettaglio analitico (specificandole in fattura o in nota spese), tali somme non sono considerate compenso e non sono tassate. Di contro, la stessa riforma ha introdotto un nuovo art. 54-ter TUIR prevedendo che le spese riaddebitate analiticamente non sono deducibili dal reddito del professionista . In altre parole, dal 2025 si ha neutralità fiscale: il professionista non paga IRPEF sul rimborso (perché non è un reddito), ma neppure può dedurre quel costo (evitando doppi benefici). Resta inteso che per godere di questa esclusione dal reddito, il rimborso deve essere correttamente documentato e inerente all’incarico. La riforma ha infatti chiarito il concetto di “addebitato analiticamente”, ma non ha eliminato la necessità della prova documentale: sono esclusi dal reddito solo i rimborsi effettivamente sostenuti in nome e per conto del cliente e supportati da idonea documentazione .
- Lavoratori dipendenti e collaboratori – Per i rimborsi spese erogati nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente (o assimilato) valgono le norme degli artt. 51 e 95 TUIR. In generale, le indennità di trasferta e i rimborsi spese documentati corrisposti al dipendente non concorrono a formare il reddito imponibile di lavoro dipendente, entro limiti stabiliti (ad esempio, per le trasferte fuori comune vi sono soglie giornaliere esenti per vitto e alloggio, e rimborsi chilometrici con tabelle ACI) . La Legge di Bilancio 2025 (L. 30/12/2024 n. 207) ha introdotto a sua volta novità in tema di tracciabilità: dal 2025 l’esenzione fiscale dei rimborsi per vitto, alloggio e trasporto è condizionata all’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili (ad esempio carta o bonifico) . Sul fronte del datore di lavoro, l’art. 95 TUIR regola la deducibilità dei costi di trasferta: anche qui la L. 207/2024 ha previsto che dal 2025 l’impresa possa dedurre le spese rimborsate al dipendente solo se pagate con strumenti tracciabili . In sintesi, per i lavoratori dipendenti: i rimborsi documentati e nei limiti non sono tassati in busta paga, mentre eventuali eccedenze o importi non giustificati diventano reddito imponibile; specularmente, l’azienda può dedurre il costo solo se rispetta i requisiti formali (pagamenti tracciati, pezze giustificative).
- Amministratori di società – Gli amministratori di S.r.l. o S.p.A., se remunerati, rientrano fiscalmente tra i lavoratori autonomi (se svolgono l’incarico senza subordinazione) oppure tra i redditi assimilati al lavoro dipendente. In genere i rimborsi spese agli amministratori seguono le stesse regole appena viste: se si tratta di rimborsi analitici per spese documentate, sostenute nell’interesse della società, non costituiscono reddito imponibile aggiuntivo per l’amministratore . Tuttavia, occorre che tali rimborsi siano previsti o autorizzati dagli organi sociali (es. dal Consiglio di Amministrazione o dall’assemblea dei soci) e siano congrui rispetto all’attività svolta . In assenza di delibere o di pezze d’appoggio, il Fisco potrebbe considerarli diversamente: a seconda dei casi, come parte del compenso dell’amministratore (se il soggetto aveva un compenso formalmente basso e riceveva rimborsi forfettari a integrazione, questi possono essere riqualificati come compensi in nero con recupero di IRPEF e contributi previdenziali) , oppure – se l’amministratore è anche socio – come utili occulti distribuiti (vedi infra). In pratica, un rimborso non documentato a favore di un amministratore-socio rischia una doppia riqualificazione: indeducibilità per la società (costo non certo né documentato) e tassazione in capo al percettore, come reddito da lavoro o reddito di capitale a seconda delle circostanze.
- Soci di società di persone – Nelle società di persone (S.n.c., S.a.s., società semplici), il regime fiscale è “trasparente”: il reddito sociale è imputato pro quota direttamente ai soci (art. 5 TUIR) . Pertanto, non esiste in tal caso la presunzione fiscale di distribuzione occulta di utili (perché gli utili, dichiarati o accertati, sono comunque tassati in capo ai soci anno per anno) . Tuttavia, anche in queste società i rimborsi spese ai soci possono essere oggetto di attenzione: se ad esempio una S.n.c. fa figurare tra i costi dei rimborsi al socio non suffragati da documenti, l’Agenzia potrà disconoscere quei costi come indeducibili (aumentando il reddito imponibile societario, e quindi quello dei soci) . Inoltre, se dalle scritture emergono prelevamenti del socio dal conto sociale al di fuori dell’utile risultante, il Fisco (e il giudice tributario) potrebbe contestare che si tratta di utilizzi personali di utili in nero, applicando in via analogica la stessa tassazione dei soci di società di capitali a base ristretta . La Cassazione ha in passato confermato, ad esempio, che i costi indeducibili di una società possono venir reinterpretati come utili extrabilancio distribuiti ai soci in società a ristretta base . Un’ordinanza del 2020 (Cass. n. 25501/2020) ha sancito proprio questo: alcuni costi contestati come indeducibili in una S.r.l. a ristretta base sociale furono assimilati a utili non contabilizzati e distribuiti ai soci, e la Suprema Corte ha ritenuto legittimo tassarli come redditi di partecipazione in capo ai soci stessi . Questo principio è estensibile alle società di persone in casi di accertamenti induttivi: se emergono spese non giustificate a favore dei soci, pur non essendovi la “doppia tassazione” (perché il reddito societario è uno solo), quelle somme possono comunque essere ricondotte a utili percepiti dai soci e quindi tassate come tali.
- Volontari e associazioni (Terzo Settore) – Anche negli enti non profit si possono presentare casi simili: la legge quadro sul volontariato (L. 266/1991) stabilisce che ai volontari possono essere rimborsate solo le spese effettivamente sostenute per l’attività e preventivamente autorizzate, entro limiti stabiliti dall’organizzazione (art. 2, co. 2) . Rimborsi forfettari o non documentati ai volontari sono dunque vietati. La Corte di Cassazione ha confermato che in mancanza di pezze giustificative, quei pagamenti assumono natura di compensi soggetti a tassazione e ritenute. Ad esempio, l’ordinanza n. 23890/2015 ha precisato che i rimborsi corrisposti a volontari sono esclusi da imposizione solo se riferiti a spese effettive e inerenti agli scopi dell’ente, e adeguatamente provati . Diversamente – se mancano documenti o si superano i limiti statutari – il Fisco li considera redditi del volontario (con applicazione di IRPEF, ritenuta d’acconto e contributi previdenziali, essendo di fatto lavoro retribuito) . Questo principio è analogo a quello per i soci: ciò che non è dimostrato come rimborso spesa si trasforma in reddito imponibile.
Possiamo dunque riassumere i principi fiscali essenziali nella tabella seguente.
Riassunto normativo fiscale – Trattamento dei rimborsi spese (regime ordinario)
Categoria | Normativa chiave | Condizioni per esclusione dal reddito | Effetti fiscali |
---|---|---|---|
Professionista (autonomo) | Art. 54, co.2, lett. b) TUIR<br/>(mod. da D.Lgs. 192/2024) | – Spesa anticipata per conto del cliente.<br/>– Addebito analitico al cliente (voce separata in fattura o nota spese).<br/>– Documentazione completa (fatture, ricevute intestate) | – Somme escluse da IRPEF (non sono compenso imponibile) .<br/>– Dal 2025: non soggette a ritenuta d’acconto.<br/>– Costo non deducibile per il professionista (art. 54-ter TUIR) . |
Regime forfettario (autonomo) | L. 190/2014 (art. 1 c.64)<br/>(nessuna norma specifica) | – Il forfait non prevede esclusione analitica dei rimborsi.<br/>– Rimborsi eventualmente inclusi nel compenso forfettario pattuito. | – In pratica, rimborsi inclusi nel reddito imponibile (non esenti), salvo chiarimenti futuri. (Il professionista forfettario paga imposta sostitutiva anche sui rimborsi ricevuti) |
Dipendente / Co.co.co. | Art. 51, co.5-6 TUIR (redditi lavoro dip.)<br/>Art. 95 TUIR (costi impresa)<br/>L. 207/2024 (L. Bilancio 2025) | – Spese di trasferta effettive e inerenti, documentate (ricevute, scontrini).<br/>– Pagate con strumenti tracciabili (dal 2025, per vitto/alloggio/trasporto) .<br/>– Rispetto dei limiti di esenzione (es. diaria max €46,48 in Italia). | – Non imponibili per il dipendente (entro i limiti di legge).<br/>– Deducibili per l’azienda solo se spese tracciate .<br/>– Importi extra o fuori regole = tassati come reddito di lavoro. |
Amministratore di S.r.l./S.p.A. (che è spesso anche socio) | Art. 2389 c.c. (compenso admin.)<br/>Art. 54 TUIR (se autonomo) | – Rimborso previsto dal contratto o delibera assembleare.<br/>– Spese inerenti all’attività sociale, documentate e autorizzate.<br/>– Importi non eccedenti livelli di normalità. | – Rimborsi legittimi (analitici) non costituiscono reddito aggiuntivo.<br/>– Rimborsi impropri (non documentati o extra-compenso) possono essere riqualificati come utili occulti ai soci o come compensi in nero all’amministratore (con tassazione IRPEF/INPS) . |
Socio di società di persone | Art. 5 TUIR (trasparenza fiscale)<br/>Art. 2303 c.c. (divieto distribuzione fittizia) | – Eventuali anticipi sugli utili solo se previsti da patto sociale (per S.s.) ; per S.n.c./S.a.s. la legge non prevede acconti (utili solo se realmente conseguiti) .<br/>– Rimborsi spese consentiti se inerenti e documentati come nelle imprese (altrimenti sono prelevamenti utili). | – Nessuna doppia imposizione: reddito sociale già imputato ai soci .<br/>– Costi non documentati = indeducibili per la società (aumentano il reddito dei soci) .<br/>– Prelievi non giustificati possono configurare utili extra tassati pro-quota ai soci (presunzione società di fatto) .<br/>– Distribuzioni di utili non da bilancio = violazione art.2303 c.c., possibile reato ex art.2627 c.c. . |
Volontario (ONLUS/APS) | L. 266/1991, art. 2 co.2 (volontariato) | – Rimborso solo per spese effettivamente sostenute per l’attività di volontariato.<br/>– Limiti e criteri predeterminati dall’ente (statuto/regolamento).<br/>– Documentazione di ogni spesa (scontrini, ricevute). | – Escluso da IRPEF se rispetta tutte le condizioni (natura meramente restitutoria).<br/>– Se forfettario o senza pezze giustificative: considerato reddito imponibile (compenso) con relative ritenute e contributi . |
(Legenda: TUIR = Testo Unico Imposte sui Redditi, DPR 917/1986; c.c. = Codice civile; ONLUS/APS = organizzazioni non lucrative/associazioni di promozione sociale. I riferimenti normativi indicati sono semplificati per categoria: in concreto potrebbero applicarsi ulteriori disposizioni specifiche.)
Normativa civilistica e societaria
Oltre agli aspetti tributari, i rimborsi ai soci non documentati sollevano questioni di diritto societario e civile. In molti casi, infatti, tali erogazioni possono violare i principi di corretta amministrazione della società e le norme sulla distribuzione degli utili. Qui riepiloghiamo le principali regole civilistiche da tenere a mente:
- Divieto di distribuzione di utili non realizzati: Il Codice Civile impone che si possano distribuire utili ai soci solo se effettivamente conseguiti e risultanti dal bilancio approvato. Per le società di capitali, l’art. 2433 c.c. stabilisce che la distribuzione degli utili avviene dopo l’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea e nei limiti degli utili realmente disponibili . È possibile deliberare acconti sui dividendi solo seguendo procedure rigorose (art. 2433-bis c.c., ad esempio verificando che vi sia un utile d’esercizio e riserve sufficienti). Per le società di persone, la disciplina è simile: ad esempio, per la società semplice l’art. 2262 c.c. prevede che “il socio ha diritto alla sua quota di utili solo dopo l’approvazione del rendiconto”, salvo patto contrario . Nelle S.n.c. e S.a.s., l’art. 2303 c.c. vieta espressamente di ripartire somme ai soci “se non per utili realmente conseguiti” . Quindi, a meno che sia diversamente pattuito nello statuto (ammissibile forse per le società semplici, mentre per S.n.c./S.a.s. la norma è imperativa salvo alcune interpretazioni giurisprudenziali), i soci non possono prelevare denaro in conto utili prima del bilancio. Qualsiasi somma erogata ai soci al di fuori degli utili accertati costituisce una distribuzione illegittima.
- Sanzioni per distribuzioni illegittime: Il legislatore prevede anche conseguenze, incluse penali, per chi distribuisce utili in violazione della legge. In particolare, l’art. 2627 c.c. (reato di “Illegale ripartizione di utili o acconti sui dividendi”) punisce con l’arresto fino a 1 anno gli amministratori che distribuiscono utili fittizi o acconti non autorizzati. Anche i soci che abbiano deliberato tali distribuzioni possono risponderne. Da notare che la condotta rilevante include anche i soci di società personali: ad esempio, se un socio di società semplice preleva utili senza permesso prima del rendiconto, di fatto realizza quella situazione vietata, integrando potenzialmente il reato ex art. 2627 c.c. . Tuttavia, va detto che la norma mira principalmente alla tutela dell’integrità del capitale sociale nelle società di capitali. Nelle società di persone, dove il capitale conta meno e la gestione è più informale, tali questioni emergono soprattutto come conflitti interni o di responsabilità civilistica, più che come reati.
- Restituzione degli utili illegittimi: In ambito civilistico, gli utili distribuiti in violazione delle norme sono in teoria ripetibili, cioè la società potrebbe chiederne la restituzione ai soci che li hanno incassati indebitamente. Un’eccezione è prevista dall’art. 2433 ultimo comma c.c. per i dividendi “in buona fede” (se i soci li hanno percepiti basandosi su un bilancio regolarmente approvato e non falsificato, non sono tenuti a restituirli). Ma nei casi di rimborso spese simulato, spesso non c’è alcuna delibera formale di dividendo né un bilancio da cui risultino: sono erogazioni extra-bilancio. In tali frangenti, in caso di crisi aziendale o azione di un curatore fallimentare, il socio potrebbe essere chiamato a restituire quelle somme alla massa dei creditori se qualificabili come utili anticipati o atti di mala gestio. Anche i amministratori possono essere ritenuti responsabili verso la società o i creditori per aver consentito pagamenti ai soci non dovuti (azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. o art. 2476 c.c. per S.r.l.). Ad esempio, se una società fallisce e si scopre che negli anni precedenti l’amministratore (anche socio) si era fatto rimborsare spese personali senza giustificativi, il curatore potrebbe agire per far restituire quelle somme come utili occulti distribuiti ai soci in danno ai creditori.
In sintesi, dal punto di vista civilistico la regola aurea è: nessun socio può arricchirsi attingendo alle casse sociali se non nei modi consentiti (utile vero o rimborso di spese vere). Ogni pagamento al socio privo di causa legittima rischia di essere qualificato come illecito – con dovere di restituzione e possibili sanzioni penali per gli amministratori – oltre a far scattare le note conseguenze fiscali di cui trattiamo in dettaglio qui di seguito.
Documentazione e prova dei rimborsi spese
La documentazione delle spese è la chiave di volta per difendersi da contestazioni sui rimborsi. Il principio generale, valido sia in sede fiscale che civilistica, è che un rimborso spese può considerarsi legittimo (e non un arricchimento occulto) solo se si può provare in modo concreto che la spesa in questione è stata effettivamente sostenuta in nome e per conto della società (o del cliente, nel caso di professionisti) . Pertanto, chi eroga o riceve rimborsi farebbe bene a raccogliere e conservare con cura una serie di documenti giustificativi, tra cui:
- Fatture, ricevute e scontrini intestati correttamente – Idealmente le spese dovrebbero risultare da documenti intestati alla società (o al professionista che poi le ribalta al cliente). Ad esempio: fattura dell’albergo intestata alla società, scontrino del ristorante con indicazione del cliente, ricevuta del taxi intestata. Se per ragioni pratiche il socio/dipendente ha dovuto intestare a sé (es. biglietto, pedaggio autostradale), è importante che questi documenti siano comunque allegati e riconducibili all’attività svolta (magari annotando il contesto). In mancanza di documenti intestati all’ente, può aiutare far risultare che la spesa è stata anticipata dal socio per conto della società – ad esempio mediante un’annotazione sulla fattura o una dichiarazione del fornitore.
- Note spese dettagliate – Vanno redatte delle note spese periodiche (mensili o per trasferta) in cui il socio o amministratore elenca giorno per giorno le spese sostenute, con data, importo, motivo/causale, luogo, e allega i relativi giustificativi. Ogni nota spese dovrebbe essere approvata: firmata dal richiedente e controfirmata da un responsabile (ad es. il presidente o un altro amministratore, o il socio di maggioranza, a seconda dei casi). Questa prassi formalizza il rimborso ed è una prima difesa contro l’accusa di arbitrarietà.
- Contratto o delibera che prevede il rimborso – È molto utile che a monte vi sia un documento contrattuale che legittima il rimborso. Per un amministratore di società, il verbale assembleare di nomina o il contratto con la società dovrebbe indicare se ha diritto al rimborso spese e per quali tipi di spesa (es: “l’amministratore ha diritto al rimborso delle spese di viaggio e alloggio sostenute per servizio, dietro presentazione di giustificativi”). Per un professionista, il contratto col cliente dovrebbe menzionare che le spese sostenute nell’esecuzione dell’incarico saranno rimborsate dal cliente. Una clausola scritta in tal senso rafforza enormemente la posizione del contribuente, perché dimostra che quelle somme erano dovute come rimborso e non come compenso occulto .
- Tracciabilità dei pagamenti – Come visto, da pochi anni è spesso obbligatorio usare metodi tracciabili. Ma anche dove non obbligatorio, è altamente consigliabile. Se il socio anticipa di tasca propria, poi riceve un bonifico dal conto societario con causale “rimborso spese per … (data/missione)”, quell’evidenza bancaria collega in modo preciso l’uscita di cassa al rimborso. Viceversa, pagamenti in contanti sono sospetti: un’ispezione fiscale potrà facilmente contestare prelievi di contante da parte di amministratori come possibili utili occulti . Perciò meglio privilegiare sempre movimenti tracciabili (carta aziendale, bonifico al socio). Dal 2025, ricordiamo, per dedurre/detrarre spese di vitto e alloggio aziendali è obbligatorio che siano pagate con mezzi tracciati , dunque un rimborso al socio di spese pagate in contanti non sarà fiscalmente ammesso.
- Prove indirette e contestuali – In mancanza di scontrini o fatture, qualunque altro elemento può tornare utile per corroborare l’esistenza della spesa: email di prenotazione di un viaggio, biglietti elettronici (aerei, treni) intestati, registri di trasferta (con date e luoghi visitati), fotografie o badge di ingresso a fiere/eventi, relazioni di missione, dichiarazioni di colleghi o clienti che confermino che la trasferta c’è stata e aveva scopi lavorativi, ecc. . In tribunale tributario, anche testimoni e presunzioni semplici possono aiutare, se coerenti. L’importante è dimostrare la realtà economica: far vedere che dietro il pagamento contestato c’è un’attività aziendale genuina.
Un punto cruciale da considerare è l’onere della prova. Formalmente, in ambito fiscale vale che chi vuol far valere un costo in deduzione deve provarne l’esistenza e inerenza, mentre l’Amministrazione deve provare i presupposti per tassare un reddito. Nel caso dei rimborsi spese, spesso si innesca una presunzione da parte del Fisco (es: “socio ha ricevuto soldi, ergo erano utili occulti”). La Cassazione ha affermato che quando l’Agenzia prova certi indizi (es. società a base ristretta e movimenti di denaro anomali), poi spetta al contribuente fornire la prova contraria per vincere la presunzione . Dunque, in pratica, il socio o professionista contestato deve mettersi nell’ottica di dimostrare la natura di rimborso genuino delle somme ricevute. In sede di verifica amministrativa, ciò significa esibire tutti i documenti e spiegazioni prima possibile, per convincere l’ufficio. In sede contenziosa (ricorso), significa produrre prove e magari chiedere CTU o testimonianze per ricostruire i fatti. Nell’ambito penale, ove in gioco c’è il dolo di evasione fiscale, la documentazione può dimostrare la buona fede: se il contribuente mostra di aver interpretato in modo ragionevole la norma e di aver tenuto registri regolari, può evitare la condanna penale (mancando l’intento fraudolento) . In sintesi: più documentazione c’è a supporto dei rimborsi, più forte sarà la difesa e la credibilità della tesi del contribuente.
Contestazione fiscale: accertamento e presunzioni del Fisco
Vediamo ora come si concretizza la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza e quali sono i tipici scenari in cui un rimborso spese al socio viene messo in discussione come operazione elusiva o dissimulatoria. Spesso queste contestazioni nascono nell’ambito di controlli più ampi sul reddito d’impresa o professionale, oppure a seguito di segnalazioni.
Quando scatta la contestazione
Le situazioni più comuni che insospettiscono il Fisco, inducendolo ad approfondire i rimborsi spese, sono le seguenti :
- Mancanza di documenti giustificativi: se nei conti della società figurano rimborsi a soci o amministratori senza alcuna pezza d’appoggio (fatture, scontrini), oppure con note spese troppo generiche, l’Ufficio presume che non siano spese reali ma utili camuffati. La “Mancanza di documentazione dettagliata” è al primo posto tra i motivi di contestazione dichiarati dal Fisco .
- Rimborsi forfettari anomali: l’erogazione di somme a titolo di rimborso forfettario (senza analitica corrispondenza a spese) viene vista con sospetto, specie se gli importi sono elevati o ricorrenti. Ad esempio, un amministratore che ogni mese riceve 1.000€ di “rimborso spese” fisso, senza distinzione, sta di fatto percependo un compenso fisso extra, per il Fisco . Oppure un professionista che fattura “onorario 5.000, rimborso spese forfettario 2.000” senza distinta: l’Agenzia potrebbe riqualificare quei 2.000 come parte del compenso.
- Spese non inerenti o personali: se la società paga spese evidentemente personali dei soci spacciandole per aziendali, è facile preda di verifica. Classici esempi: viaggi di piacere, vacanze, cene personali, acquisto di beni per uso privato (auto di lusso usate dai soci), polizze vita dei soci pagate dall’azienda ecc. La Cassazione elenca proprio “spese personali sostenute dalla società (auto di lusso, vacanze, assicurazioni vita, rimborsi non documentati)” come indizi di utili occulti distribuiti ai soci . Se tali oneri sono fatti passare in contabilità come costi aziendali, l’Agenzia li disconosce e li considera utili extra per i soci beneficiari.
- Società a ristretta base e rapporti familiari: quando la società ha pochi soci, magari parenti, il Fisco applica una presunzione di “complicità”: assume cioè che i soci, avendo il controllo totale della società, si possano spartire gli utili in nero. Questo è un punto fondamentale: secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in una società di capitali con pochi soci (specialmente se legati da vincoli familiari o di fiducia), è legittimo presumere che eventuali utili non contabilizzati siano stati automaticamente distribuiti tra i soci . Tale presunzione – che è semplice ex art. 2729 c.c. – sposta l’onere sui soci di provare il contrario (vedremo a breve le evoluzioni giurisprudenziali su questo tema). Dunque la “ristrettezza della base sociale” è il contesto tipico in cui un rimborso anomalo diventa sospetto: se c’è solo un socio o due, qualsiasi uscita ingiustificata tende a essere vista come una appropriazione di utili da parte loro.
- Movimentazioni bancarie non spiegate: moltissimi accertamenti scaturiscono dalle indagini finanziarie. L’Agenzia incrocia i dati dei conti correnti societari (e talvolta personali dei soci) con i redditi dichiarati. Se trova prelievi importanti dai conti aziendali senza giustificazione, oppure versamenti a favore dei soci (diretti o indiretti) non giustificati da fatture o distribuzioni ufficiali, scatta l’accusa di utili occulti. Ad esempio: bonifici periodici dal conto sociale al conto personale del socio con causali vaghe; uso della carta aziendale per spese non fatturate; prelevamenti in contanti esagerati. Tutte situazioni in cui l’Ufficio può dire: “questi soldi sono usciti dalla società e sono finiti al socio, quindi erano utili non dichiarati o compensi occulti”.
Riassumendo, la contestazione scatta quando emergono incongruenze tra quanto dichiarato e la realtà dei flussi finanziari o delle scritture contabili. Pochi soci + soldi in uscita non giustificati = utili occulti distribuiti è la formula (semplificata) che il Fisco applica di frequente . Non a caso si parla spesso di “presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci”. È bene chiarire che non serve una prova diretta che quei soldi siano stati divisi tra i soci: basta una serie di indizi gravi, precisi e concordanti (es. base sociale ristretta + spese personali a carico società + conti bancari anomali) perché, in base all’art. 2729 c.c., si formi la presunzione legale . Come vedremo, sta poi ai soci demolirla con prova contraria.
Profili fiscali della contestazione: doppia imposizione e sanzioni
Quando l’Agenzia contesta rimborsi spese non riconosciuti, emette uno o più Avvisi di accertamento. Tipicamente abbiamo due livelli di imposizione da considerare:
- Livello societario (IRES o reddito d’impresa) – Le spese non ammesse in deduzione vengono storniate dal conto economico. Ciò significa che il reddito imponibile della società viene aumentato di quegli importi. Ad esempio, se la società aveva dichiarato €100.000 di reddito ma tra i costi c’erano €20.000 di “rimborsi spese soci” indeducibili, l’accertamento ricalcolerà un reddito di €120.000 e applicherà le relative imposte (IRES 24% + IRAP se dovuta). Inoltre, se la società è a ristretta base, l’Ufficio procederà contestualmente (o con separati atti) a imputare quei €20.000 come utili ai soci (vedi punto 2 seguente). Attenzione: Nelle società di persone, come detto, non c’è IRES ma solo IRPEF in capo ai soci, quindi l’effetto di un costo indeducibile è immediatamente l’aumento dei redditi di partecipazione dei soci.
- Livello soci (IRPEF su utili occulti o compensi) – Se la società è una S.r.l. o S.p.A. a base ristretta, scatta la tassazione per trasparenza “presuntiva”: i maggiori utili extracontabili accertati vengono considerati distribuiti ai soci pro quota. Fiscalmente, per i soci persone fisiche, ciò di solito comporta: tassazione IRPEF come dividendi (redditi di capitale) oppure, a seconda dei casi, come redditi diversi. In passato, i dividendi percepiti dai soci erano in parte esenti; oggi il regime dei dividendi è a ritenuta fissa (26% imposta sostitutiva) o concorrono al 58,14% se partecipazione qualificata – ma qui entriamo in dettagli tecnici. L’importante è capire che il socio riceverà un accertamento che gli attribuisce un reddito aggiuntivo (non dichiarato) pari alla sua quota di utili occulti. Ad esempio, 2 soci al 50%: i €20.000 indeducibili di prima diventano €10.000 di reddito in più per ciascun socio. Questa è appunto la “presunzione di utili ai soci”. Tale meccanismo è stato avallato dalla Cassazione: “in caso di utili occulti in società di capitali a ristretta base, si presume la distribuzione ai soci salvo prova contraria” . Nota: se i rimborsi sono qualificati come compensi in nero all’amministratore (invece che utili), allora per il socio-amministratore il reddito aggiuntivo sarà trattato come reddito di lavoro autonomo o assimilato, con assoggettamento a IRPEF progressiva e contribuzione (Gestione Separata INPS, etc.). In entrambi i casi, comunque, il socio si trova a dover pagare imposte su somme che riteneva non tassabili.
Dal punto di vista sanzionatorio, un rimborso spese non ammesso viene equiparato a un reddito sottratto a tassazione. Dunque si applicano le sanzioni per dichiarazione infedele: normalmente il 90% dell’imposta evasa (D.Lgs. 471/97), elevabile fino al 180% in presenza di determinate aggravanti (ad esempio se l’imponibile evaso supera il 10% di quello dichiarato o comunque certe soglie) . Nel caso di riqualificazione come compenso di lavoro non dichiarato, oltre alle sanzioni fiscali può esserci la sanzione per omesso versamento di ritenute a carico della società (se avrebbe dovuto fare da sostituto d’imposta sul compenso occulto). Inoltre decorrono gli interessi di mora dal giorno in cui le imposte avrebbero dovuto essere versate (in genere dal saldo imposte dell’anno contestato).
In sintesi, i rischi fiscali concreti per una S.r.l. in caso di contestazione sono: pagare l’IRES sui costi non dedotti + pagare (o far pagare ai soci) l’IRPEF sui dividendi presunti + pagare sanzioni su entrambe le cose + interessi. Il tutto può sfociare anche in iscrizioni a ruolo (cartelle esattoriali) se non si paga nei termini, con possibili azioni di recupero coattivo su beni sociali e personali .
Di seguito elenchiamo le principali conseguenze in ottica riassuntiva:
- Recupero delle imposte evase: la società paga le imposte sui redditi maggiori accertati; i soci pagano imposta sui utili occulti attribuiti .
- Sanzioni tributarie: per infedele dichiarazione, dal 90% al 180% dell’imposta (oltre a eventuali sanzioni per omessa dichiarazione di redditi di capitale, omesso versamento ritenute se applicabile) .
- Interessi di mora: maturano sulle somme dovute fino al pagamento.
- Doppia imposizione economica: notare che, se non impugnato, si verifica un effetto punitivo di doppia tassazione: la stessa somma viene tassata una volta in capo alla società (come reddito non dedotto) e una volta in capo al socio (come utili occulto). Questo è un effetto voluto dal meccanismo presuntivo e viene talvolta contestato come ingiusto, ma la Cassazione lo ha ritenuto frutto della scelta del contribuente di occultare materia imponibile e dunque legittimo (salvo i limiti della prova presuntiva).
- Possibili conseguenze previdenziali: se le somme vengono qualificate come compensi di lavoro, l’INPS potrebbe richiedere i contributi non versati (ad es. gestione separata per amministratori senza altra copertura, o contributi INPS per lavoratori dipendenti se la riqualificazione investe anche il rapporto di lavoro) . Ciò rientra nella “riqualificazione del rapporto” – ad esempio, un socio di S.r.l. privo di busta paga che riceve regolarmente importi può essere considerato a tutti gli effetti un collaboratore occulto e assoggettato a contributi.
- Segnalazioni penali: qualora l’imposta evasa superi le soglie di rilevanza penale previste dal D.Lgs. 74/2000 (ad esempio, dichiarazione infedele se l’imposta evasa > €100.000 e l’importo occultato > 10% del reddito dichiarato, oppure altre soglie specifiche), l’Ufficio trasmette gli atti alla Procura. Per importi considerevoli di utili occulti, il socio può rischiare l’imputazione per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione (se addirittura non presentava la propria dichiarazione). La Cassazione penale ha di recente confermato che “il socio occulto che non dichiara utili extracontabili è colpevole di dichiarazione infedele” . Si pensi a un caso in cui un socio non sa nulla dell’accertamento sulla società e non dichiara nulla: se poi gli contestano che aveva utili, rischia penalmente. Anche gli amministratori potrebbero rispondere di reati societari (es. false comunicazioni sociali se hanno coperto gli utili occulti in bilancio) o di reati tributari in concorso.
Difendersi da un accertamento sui rimborsi ai soci
Passiamo ora al piano della difesa: quali strategie e argomentazioni può mettere in campo il socio (o la società) per contestare l’accertamento fiscale relativo a rimborsi spese non documentati.
Va premesso che la miglior difesa è la prevenzione. Come già accennato, tenere una contabilità trasparente, separare nettamente le spese personali da quelle aziendali e documentare tutto riduce drasticamente la probabilità di subire contestazioni . Ma una volta arrivato l’avviso di accertamento, occorre attivarsi tempestivamente.
Fase pre-contenziosa: confronto con l’Ufficio
In prima battuta, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, è possibile presentare all’Agenzia delle Entrate una istanza di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97) o comunque dei rilievi scritti (memorie) per cercare di evitare il giudizio. Durante questa fase di contraddittorio, è importante:
- Analizzare nel dettaglio la contestazione: capire esattamente quali rimborsi sono contestati, per quali annualità, e con quale motivazione (es. “spesa non documentata”, oppure “costo ritenuto non inerente”, o “presunzione di utili occultamente distribuiti” ecc.). Questa analisi permette di focalizzare la difesa sui punti deboli dell’accusa .
- Raccogliere tutte le prove disponibili: come già detto, presentare all’Ufficio eventuali documenti che non erano stati esibiti in sede di verifica, spiegazioni dettagliate per ciascun importo, affinché l’Ufficio possa ricredersi. Se ad esempio si trovano scontrini o ricevute che erano andati smarriti, è il momento di tirarli fuori. Conviene produrre anche documentazione integrativa come contratti, delibere, estratti conto, che dimostrino la natura aziendale delle spese .
- Contestare formalmente le presunzioni: nelle memorie difensive bisogna sottolineare se l’accertamento è fondato solo su presunzioni semplici senza adeguati riscontri. Ad esempio, evidenziare che “la circostanza della ristretta base sociale non può da sola comprovare la distribuzione di utili”, richiamandosi alla giurisprudenza che richiede presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. n. 32451/2022: base ristretta da sola è “indizio povero”) . Oppure contestare errori fattuali: se l’Ufficio ha considerato “non documentata” una spesa in realtà documentata (magari non l’aveva vista), farlo presente con i documenti.
- Evidenziare la buona fede e l’estraneità: Se il socio non ha ruoli gestionali (es. socio di minoranza passivo), sottolineare che non ha partecipato alla gestione e non ha ricevuto nulla, citando le pronunce recenti che escludono la presunzione per i soci totalmente estranei . Se invece è un amministratore, puntare sulla buona fede: mostrare che era convinto trattarsi di rimborsi legittimi, che ha seguito la prassi contabile usuale, che magari ha chiesto al commercialista (se documentabile) – ciò può essere utile sia in ottica di ridurre le sanzioni (non c’era dolo), sia per evitare denunce penali.
Spesso, un confronto ben preparato con l’Ufficio può portare a ridurre le pretese. Ad esempio, se forniamo documenti tardivi, l’Agenzia potrebbe riconoscere almeno in parte i costi e ridurre l’imponibile. Oppure si potrebbe giungere a un accordo in adesione, con abbattimento di sanzioni (in adesione le sanzioni sono ridotte a 1/3). Ovviamente, se si ritiene la contestazione totalmente infondata, si può decidere di non aderire e andare in contenzioso.
Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
Se non si raggiunge un accordo, occorre presentare entro 60 giorni dall’avviso (o 150 giorni se si è fatta istanza di adesione) il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Nella fase contenziosa, le linee difensive principali contro contestazioni di rimborsi ai soci sono:
- Dimostrare la natura di rimborso (non utile): il punto focale è convincere i giudici che le somme contestate erano realmente rimborsi di spese e non utili nascosti. Ciò si fa presentando i documenti, come già detto, ma anche spiegando in modo chiaro il nesso tra quelle spese e l’attività sociale. Ad esempio: “L’importo di €5.000 contestato come ‘trasferte soci’ in realtà corrisponde a spese di viaggio e alloggio che i soci X e Y hanno sostenuto per conto della società al fine di partecipare a fiere di settore in date … (allegate brochure fieristiche e badge ingresso). Si tratta quindi di importi dovuti ai soci a titolo di rimborso di spese anticipate per conto della società, come da delibera assembleare… Tali somme non rappresentano utili, in quanto la società per l’esercizio in questione ha anzi chiuso in perdita…” etc. Enfatizzare la funzione restitutoria delle somme.
- Evidenziare l’assenza di utili occulti reali: se la società in quell’anno non aveva in realtà utili extra (magari perché i costi disconosciuti sono stati poi davvero sostenuti come spese), sottolinearlo. Una delle prove contrarie ammesse, secondo la giurisprudenza tradizionale, è dimostrare che gli utili non ci sono o sono stati reinvestiti in azienda . Ad esempio, presentare bilanci successivi che mostrano riserve, o documentare che la società aveva perdite fiscali pregresse che coprono quei costi. Se si riesce a far capire che la società non ha “occultato” ricavi ma semmai c’è una diversa qualificazione di costi, si indebolisce l’ipotesi dell’utile occulto.
- Contestare vizi procedurali e motivazionali: controllare sempre se l’avviso è ben motivato. Deve indicare su quali elementi si basa la presunzione. Cassazione ha annullato avvisi che non spiegavano il perché dei numeri (ad es. quale spesa personale, quale movimento bancario) . Se l’avviso si limita a dire “società a base familiare => utili occulti ai soci” senza altro, si può eccepire violazione dell’art. 7 L.212/2000 (difetto di motivazione) e art. 2729 c.c. (doppia presunzione se deducono utile occulto da base ristretta e poi presunzione di distribuzione – questione dibattuta, ma qualche giudice di merito l’ha accolta). In pratica: attaccare l’impianto presuntivo dell’Ufficio sostenendo che manca la “prova presuntiva rafforzata” richiesta (esempio di sentenza a favore: CTR Lombardia 27/03/2024 n.3374/Cassano, citata in dottrina, che dice che la presunzione non è automatica, serve prova rafforzata) .
- Invocare la giurisprudenza evolutiva: Molto importante, nelle memorie difensive citare le ultime sentenze di Cassazione che aiutano il contribuente. Ad esempio, l’ordinanza n. 2464/2025 della Cassazione ha sancito che il socio può vincere la presunzione di utili occulti provando la propria assoluta estraneità alla gestione societaria . Ciò rappresenta un’evoluzione favorevole rispetto al passato. Quindi, se si assiste un socio di minoranza non amministratore, si citerà questa pronuncia dicendo: “la presunzione non può operare in capo al mio cliente perché egli non ha ruoli gestionali né possibilità di accedere agli utili: come affermato da Cass. 2464/2025, in tal caso la massima di comune esperienza perde rilievo” . Un’altra sentenza recente, Cass. 2288/2025, sembra aver confermato tale orientamento . Si possono citare inoltre Cass. 9519/2009, 18042/2018, 5575/2022 per la tesi che la presunzione colpisce solo i soci che sono anche amministratori o comunque coinvolti . In generale, far vedere al giudice che la Cassazione non è monolitica e che oggi tende a richiedere maggiore prudenza al Fisco nel presumere utili occulti (anche la Corte Costituzionale si è espressa sul riparto dell’onere probatorio in materia tributaria con l’art. 7, c.5-bis D.Lgs. 546/92 introdotto nel 2022, che impone all’Amministrazione di provare in giudizio le violazioni) .
- Dimostrare la reintegrazione o restituzione: In alcuni casi difensivi, specialmente se ormai le prove dei costi mancano, il socio potrebbe sostenere di aver restituito alla società quelle somme. Ad esempio: “è vero, ho prelevato 10.000€, ma li ho poi rimessi in cassa come finanziamento soci” (magari con date e movimenti). Se ciò è accaduto, va provato. Non annulla automaticamente l’accertamento (perché fiscalmente la distribuzione è avvenuta, a meno che avvenga entro l’anno), però può convincere il giudice che non c’era volontà di occultare redditi, ma solo tempistiche diverse, e talvolta questo può portare ad accoglimento totale o parziale del ricorso (ad esempio, se i soldi sono stati rimessi nell’anno successivo e tassati come ricavo allora, si evita doppia tassazione).
In sede di contenzioso, è bene chiedere la sospensione dell’esecutività dell’atto se gli importi sono elevati e c’è pericolo per il patrimonio. Le Corti di Giustizia Tributarie possono sospendere la riscossione se c’è fumus boni iuris e periculum (ovvero se la difesa appare non pretestuosa e se il pagamento immediato arrecherebbe danno grave). Nel nostro caso, si potrebbe evidenziare che imporre subito il pagamento al socio/società metterebbe a rischio la continuità aziendale o il patrimonio personale, e che la questione è controversa giuridicamente.
Difesa nei casi di sanzioni e penale
Un cenno va fatto infine alla difesa penale, qualora si attivi. Se il socio o l’amministratore viene indagato per reati tributari legati ai maggiori utili non dichiarati, la strategia difensiva punterà a dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo di dolo. Ad esempio, sostenere che si trattava di valutazioni opinabili (la distinzione rimborso/utili non è sempre nitida, e l’imputato poteva ragionevolmente credere di essere in regola) oppure che c’è stata colpa del consulente. Si possono produrre pareri professionali o circolari contraddittorie per far emergere l’incertezza normativa: se c’è incertezza, niente punibilità (art. 6 D.Lgs. 74/2000). In pratica, sul penale è cruciale far emergere la buona fede. Le condotte riparatorie – come il pagamento del debito tributario – possono attenuare le pene o estinguere il reato (ad esempio, per l’omesso versamento di ritenute la regolarizzazione estingue). Nel nostro caso di dichiarazione infedele, pagare il dovuto riduce di molto la probabilità di una pena detentiva effettiva.
Aspetti civilistici: tutele per il socio e la società
Oltre al contenzioso con il Fisco, i rimborsi non documentati ai soci possono generare controversie di natura civilistica interne o con terzi. Vale la pena accennare a quali sono i diritti e le tutele del socio debitore o della società in tali situazioni.
- Rapporti tra soci: Un socio di minoranza potrebbe lamentare che il socio di maggioranza si è attribuito fondi sociali sotto forma di rimborsi spese fasulli, lesivi della parità di trattamento. In tal caso, il socio leso può impugnare il bilancio (se quei rimborsi risultano a bilancio e hanno falsato l’utile) per violazione del principio di corretta amministrazione. Può anche esperire un’azione sociale di responsabilità contro l’amministratore (se il socio maggioranza-amministratore ha abusato del suo potere). Per esempio, se un amministratore ha prelevato soldi a titolo di rimborsi inesistenti danneggiando la società, i soci (o il curatore in caso di fallimento) possono chiedergli i danni ex art. 2393 c.c. (per S.p.A./S.r.l.) o art. 2260 c.c. (per società di persone).
- Creditori sociali: In caso di insolvenza della società, eventuali rimborsi ai soci potrebbero essere considerati atti pregiudizievoli per i creditori. Se fatti entro un anno dal fallimento, potrebbero essere soggetti a azione revocatoria fallimentare (come pagamento preferenziale a un socio). Inoltre, come detto, il curatore può chiedere la restituzione delle somme indebitamente percepite dai soci (soprattutto se classificate come utili anticipati che hanno violato art. 2303 c.c. o art. 2433 c.c.). Il socio potrebbe difendersi invocando la buona fede (se pensava fosse un rimborso legittimo) ma la società in crisi vorrà recuperare tutto il possibile.
- Buona fede del socio: Dal lato del socio che ha ricevuto il rimborso, c’è una tutela prevista nel codice: l’art. 2433 c.c. dice che i dividendi illegali non sono ripetibili dai soci se essi li hanno riscossi in buona fede su bilancio regolarmente approvato. Nel caso di rimborsi spese, spesso manca proprio la delibera di distribuzione, quindi questa protezione potrebbe non applicarsi (perché non c’è bilancio su cui fondare la buona fede). Però, se ad esempio il bilancio riportava quei rimborsi come crediti verso soci poi stornati, e il socio ha ragionevolmente creduto fossero leciti, potrebbe sostenere di aver agito in buona fede. Non è una difesa robusta in questo ambito, ma va considerata.
- Regolarizzazione postuma: A volte, per sistemare le cose civilisticamente, i soci possono decidere di “sanare” quei prelievi: ad esempio formalizzandoli come finanziamenti soci restituiti (cioè si finge che il socio avesse versato capitale prima, e quei rimborsi erano restituzione del suo finanziamento) oppure come acconti su utili poi compensati con utili reali futuri. Queste operazioni, se fatte prima di eventuali ispezioni, possono ridurre i rischi. Naturalmente, ai fini fiscali, fatte ex post possono non essere riconosciute. Ma sul piano societario possono mettere d’accordo i soci e allineare le scritture.
In conclusione su questo aspetto: il socio che si veda accusato di aver preso soldi indebitamente dalla società deve essere pronto, in scenario di crisi o di conflitto interno, a restituire il maltolto qualora non riesca a giustificarlo. D’altro canto, se egli era convinto della legittimità del rimborso e ha prove a supporto, potrà farle valere anche in sede civile per evitare sanzioni e responsabilità.
Simulazioni pratiche ed esempi
Per rendere più concreti questi concetti, esaminiamo qualche caso pratico simulato, ispirato a situazioni realmente accadute, con indicazione di come impostare la difesa.
Caso 1: Socio-amministratore con rimborso viaggio documentato
Mario è socio al 50% e amministratore di Alfa Srl. Nel 2024 effettua una trasferta a Milano per incontrare un cliente: spende 100€ di volo e 200€ di hotel, pagando con carta personale. Alfa Srl gli rimborsa 300€ a piè di lista. In verifica, l’Agenzia chiede prova. Mario presenta biglietto aereo intestato alla società, fattura dell’hotel intestata a sé ma con indicazione della società come oggetto, email di conferma dell’incontro col cliente e un bonifico ricevuto di esattamente 300€ dalla società con causale “rimborso trasferta Milano”. – Esito atteso: In questo caso la difesa di Mario è forte: tutti i tasselli combaciano. Egli mostrerà i documenti ed evidenzierà che la spesa era prevista dal contratto col cliente e deliberata dal CDA. L’Ufficio, vedendo la coerenza, dovrebbe riconoscere che è un rimborso legittimo e archiviare la contestazione. In caso di contenzioso, il giudice troverà documentazione ineccepibile e darà ragione al contribuente, escludendo quei 300€ dal reddito di Mario e della società .
Caso 2: Professionista con “rimborso auto” senza pezze giustificative
Lucia, consulente autonoma (regime ordinario), addebita a un cliente 500€ come “rimborso forfettario usura auto” per raggiungerlo, senza però aver tenuto traccia dei chilometri né ricevute di benzina. Il cliente paga in contanti. In sede di controllo, l’Agenzia contesta quei 500€ come compenso non dichiarato. – Esito atteso: Lucia qui ha difficoltà. Non avendo alcun documento (né ricevute né un foglio missione), la presunzione è tutta contro di lei: quei 500€ verranno trattati come un compenso (reddito) a tutti gli effetti. In giudizio, Lucia potrebbe sostenere che era un rimborso spese per carburante e manutenzione, ma senza prove sarà arduo. Potrebbe cercare di reperire dopo fatture dell’officina o una dichiarazione del cliente, ma la loro attendibilità postuma sarebbe dubbia. Molto probabilmente perderà la causa e dovrà pagare IRPEF su quei 500€ più sanzioni . La lezione qui è l’importanza di non accettare pagamenti in contanti senza ricevuta e senza mettere tutto per iscritto.
Caso 3: Volontario e rimborso spese non documentato
Laura fa volontariato in una ONLUS. Compra di tasca sua materiale di cancelleria per 150€ per l’associazione, ma perde gli scontrini. L’associazione comunque le rimborsa 150€ con assegno, fidandosi. In un controllo fiscale, all’ente viene contestato che quel rimborso a Laura è in realtà un compenso soggetto a ritenuta perché non ci sono pezze d’appoggio. – Esito atteso: La legge volontariato è chiara: senza ricevute, quel pagamento non è considerato rimborso spese. Infatti, secondo Cass. 23890/2015, spetta all’associazione provare la natura di rimborso inerente e documentato, altrimenti viene trattato come reddito di Laura . Quindi l’Agenzia richiederà all’ONLUS di versare le ritenute su 150€ come fosse un compenso a Laura, e Laura stessa dovrebbe dichiararlo. In difesa, l’associazione e Laura possono ancora raccogliere prove indirette: ad esempio, recuperare copia del registro di magazzino che mostra l’ingresso di cancelleria, o una dichiarazione del fornitore se individuabile. Se presentano queste evidenze, c’è qualche chance di convincere almeno la CTR a riconoscere che le spese furono effettive. Ma senza scontrini, la strada è in salita. Molto meglio sarebbe stato adottare sin dall’inizio un modulo rimborso con firma di un responsabile e allegare qualsiasi ricevuta anche non fiscale. In ogni caso, questo scenario enfatizza che nelle associazioni i rimborsi forfettari sono praticamente illegittimi: occorre sempre pezza giustificativa o nulla.
Caso 4: S.r.l. a base familiare e verifica bancaria
Beta Srl ha due soci (fratelli) al 50%. Nel 2023 dichiara utili modesti (€10.000) ma dal conto emergono movimenti sospetti: bonifici per €30.000 da un cliente non fatturati e prelievi di contante per €20.000 senza giustificazione. L’Agenzia presume: ricavi non dichiarati €30.000 (quindi utili extra) e “rimborsi spese” fittizi per €20.000 (ossia uscite a favore dei soci). Notifica due avvisi: uno alla società per maggior reddito €50.000, e due ai soci per utili occultamente distribuiti €25.000 ciascuno. – Esito atteso: Questo è un caso classico di presunzione di utili occulti in società di comodo familiare. La difesa qui deve lavorare su entrambi i fronti. Per i €30.000 in entrata, l’imprenditore dovrà spiegare quell’importo: se ad esempio erano apporti di capitale, o anticipi per lavori futuri, deve portare contratti o testimonianze. Se non ci riesce, quei €30k diventano ricavi non dichiarati, su cui nulla da fare (tasse e sanzioni). Per i €20.000 usciti, l’impresa dovrebbe mostrare per cosa furono spesi: se erano pagamenti a fornitori in contanti, presentare le fatture relative (magari il collegamento non è evidente, ma può provare con estratti conto e registri di cassa). Se non ci riesce, l’Ufficio li considererà utili ai soci. Dal lato soci, si potrà sostenere che quei due fratelli in realtà hanno reinvestito gli utili in azienda (se magari l’anno dopo risultano riserve o aumenti di capitale di pari importo). Oppure che uno dei due soci era estraneo (ma se entrambi gestivano, difficile). Probabilmente in CTR qualcosa potranno recuperare se portano qualche giustificativo per i 20k. Se invece non hanno nulla, pagheranno su tutti e 50k. Questo scenario mette in luce come la presunzione sui soci sia potente: con pochi elementi (pochi soci + movimenti extra) l’Agenzia può colpire sia società che soci . La difesa deve allora attaccare sul metodo induttivo: chiedere la prova “rafforzata” (che qui però c’è: i movimenti bancari concreti). Una strategia potrebbe essere conciliare parzialmente, ammettendo una parte e difendendosi su un’altra, per esempio riconoscendo €10k di utili ma contestando gli altri €40k. Dipenderà dalle prove a supporto.
Ogni caso reale avrà le sue peculiarità, ma da questi esempi traiamo alcuni insegnamenti pratici: (i) se hai i documenti, li mostri e vinci; (ii) se non li hai, difficilmente convincerai il Fisco o il giudice, a meno di situazioni molto particolari; (iii) nelle piccole società familiari, l’onere di provare che non hai preso utili in nero è molto stringente, quindi meglio evitare qualsiasi promiscuità nei conti.
Domande frequenti (FAQ)
D: Che cosa si intende esattamente per “rimborso spese non documentato”?
R: Si tratta di un rimborso di costi sostenuti (di norma dichiarato come “rimborso spese” nella contabilità) privo di giustificativi adeguati. In pratica, il socio o amministratore ha ricevuto denaro dalla società asserendo che era per spese anticipate o sostenute, ma non sono stati conservati né presentati scontrini, fatture, ricevute o altri elementi che provino l’effettiva esistenza e natura di quelle spese. Un rimborso spese è considerato correttamente documentato solo se c’è corrispondenza tra le somme erogate e specifici documenti di spesa. Se tale corrispondenza manca, il Fisco lo definisce “non documentato” (o “indebitamente documentato” se i documenti ci sono ma sono considerati inadeguati). Esempi tipici: rimborso forfettario tout court, importo fisso mensile non legato a note spese, rimborso di cui si è perso ogni scontrino.
D: Perché il Fisco trasforma i rimborsi spese in utili occulti o compensi?
R: Lo fa perché, in assenza di prova contraria, presume che quei soldi costituiscano reddito per chi li ha ricevuti. Dal punto di vista fiscale, o sono redditi di capitale (se distribuiti ai soci come utili) o redditi di lavoro (se corrisposti a un amministratore/dipendente come parte della sua remunerazione). L’Agenzia delle Entrate teme che la dicitura “rimborso spese” venga usata per eludere le tasse: ad esempio, pagando extra-compensi ai soci o ai dipendenti senza assoggettarli a imposta. Quindi, se vede un rimborso non sostenuto da pezze giustificative, lo “riqualifica” nella categoria reddituale più consona: utili ai soci (se si tratta di società a ristretta base e beneficiari soci) , oppure compensi in nero (se beneficiario amministratore o dipendente). Questa riqualificazione comporta tassazione e sanzioni, come abbiamo visto.
D: La presunzione di distribuzione di utili occulti vale anche per le società di persone?
R: No, non nelle stesse modalità. Nelle società di persone (S.n.c., S.a.s.) il reddito societario è già imputato per trasparenza ai soci ogni anno , quindi non avrebbe senso per il Fisco presumere una “doppia tassazione”. In altre parole, se emergono ricavi non dichiarati in una S.n.c., questi vanno comunque a aumentare il reddito dei soci in quell’anno (non esiste una tassazione separata della società). Dunque non c’è bisogno di un’ulteriore presunzione: i maggiori utili accertati sono automaticamente a carico dei soci perché per definizione nelle società di persone l’utile è loro. Detto ciò, in concreto l’Agenzia può comunque contestare a una S.n.c. dei costi indeducibili (come rimborsi ai soci non inerenti) e tassare di più i soci. Ma lo farà tramite la rettifica del reddito sociale (che poi si riflette sui soci), non con un avviso distinto per utili occulti. La “presunzione di utili occulti ai soci” è un istituto riferito alle società di capitali a base ristretta, dove altrimenti i soci non sarebbero toccati. Nelle società di persone questo problema non si pone, perché i soci rispondono fiscalmente di tutto comunque. Quindi, ad esempio, se in una S.n.c. due soci hanno prelevato soldi extra, il Fisco semplicemente negherà quei costi e i soci pagheranno più IRPEF (ma non serve presumere un’ulteriore distribuzione, è già la loro quota di reddito ad aumentare). In sintesi: società di persone = tassazione trasparente diretta sui soci, società di capitali = presunzione per tassare anche i soci oltre alla società .
D: Se la società non ha fatto utili (magari era in perdita), possono comunque contestare utili occulti?
R: Teoricamente sì, perché “utili occulti” significa utili non risultanti dal bilancio ufficiale. Una società può anche dichiarare una perdita, ma il Fisco potrebbe sostenere che in realtà aveva utili che ha nascosto (magari gonfiando costi fittizi, tra cui appunto rimborsi inesistenti). In tal caso contesterà l’esistenza di utili extracontabili. È chiaro che se la società era genuinamente in perdita e non c’erano ricavi occulti, difficilmente l’Agenzia potrà provare il contrario. Ma attenzione: se la perdita deriva proprio da costi indeducibili (ad es. hanno messo a costo “rimborso spese soci €100.000” e quindi sono andati in perdita), l’accertamento eliminerà quel costo e la società risulterà in utile. Dunque, indirettamente, anche con bilancio in rosso possono saltar fuori utili imponibili. La Cassazione ha ribadito che la presunzione di distribuzione si applica dopo aver accertato i maggiori utili (non dichiarati) in capo alla società . Quindi prima si rettifica il reddito societario (facendo magari da perdita a utile) e poi si imputano ai soci gli utili occulti risultanti. In conclusione: non basta aver dichiarato zero utili per stare al riparo; se il Fisco trova elementi contrari, agirà come sopra.
D: Ho smarrito alcuni scontrini: posso comunque difendermi in qualche modo?
R: Sì, non è una causa persa automaticamente. Se hai perso documenti originali, prova a vedere se riesci a ottenere duplicati (alcuni fornitori possono riemettere una copia fattura, o estratti conto carta di credito che mostrano la spesa). Se proprio non recuperi nulla, raccogli prove indirette: email, foto, testimonianze, qualunque cosa dia credibilità al fatto che quella spesa c’è stata. Presentale comunque al Fisco o al giudice: male che vada non le considerano prova piena, ma possono creare un dubbio. Inoltre, sottolinea che la mancanza di uno scontrino può essere una irregolarità formale ma la sostanza economica c’è stata (se riesci a dimostrarlo). A volte, in Commissione tributaria, i giudici – pur essendo formalisti in materia di onere della prova – possono accettare che, ad esempio, “è verosimile che Tizio abbia effettuato quella trasferta perché ci sono documenti di viaggio, e che abbia sostenuto spese di vitto e alloggio anche se non ha gli scontrini, quindi per congruità gli riconosciamo un tot”. Non è garantito, ma tentar non nuoce. Infine, potresti anche negoziare in adesione una soluzione di compromesso: “ho perso gli scontrini per 1000€, riconoscetemene almeno la metà come plausibili”. In pratica, vale la pena difendersi anche senza la documentazione perfetta, ma essendo consapevoli che la legge è dalla parte del Fisco in tal caso (costi non documentati = indeducibili ).
D: Un socio può evitare la tassazione restituendo i soldi alla società?
R: No, non automaticamente. Se la contestazione è già sorta, restituire i soldi (o rinunciarvi) non cancella l’avvenuto “possesso” agli occhi del Fisco. Le imposte si applicano su quanto percepito nel periodo d’imposta: se nel 2022 il socio ha ricevuto 10.000€, poi li restituisce nel 2024, comunque per il 2022 quel reddito c’è stato (al massimo nel 2024 potrà dedurlo come perdita, ma non è scontato). Quindi, purtroppo, una volta scattato l’accertamento, restituire le somme alla società non annulla l’illecito tributario e non ferma l’Agenzia dal pretendere le tasse (potrebbe però essere una mossa apprezzata in sede penale per dimostrare buona fede e attenuare sanzioni). Detto ciò, se la domanda è: “posso sanare la situazione prima che arrivi il Fisco?”, in teoria sì: se vi accorgete di un rimborso ingiustificato, potreste far riemettere al socio una fattura di consulenza (tassandolo come compenso) o classificare la somma come anticipo utili e poi non distribuire utili a fine anno, ecc. Ma dopo che l’Agenzia se n’è accorta, è tardi. In conclusione: la restituzione è utile per rimettere le cose a posto civilisticamente (la società riavrà i soldi) e come gesto di ravvedimento, ma non evita il pagamento delle imposte e sanzioni già maturate.
D: Una società può dedurre un rimborso spese se manca la fattura ma c’è solo una ricevuta interna?
R: In linea di massima no, la deducibilità richiede “elementi certi e precisi” (art. 109 TUIR) e quindi un documento esterno che provi la spesa. Una semplice ricevuta interna o nota spese firmata dal socio non basta di per sé a rendere deducibile il costo, se non è corroborata da prove del costo effettivo. Ad esempio, se il socio dichiara “speso 100€ in taxi” ma non c’è ricevuta del taxi, quel costo è indeducibile perché manca riscontro oggettivo. La Cassazione ha più volte affermato che solo documenti attendibili e specifici consentono la deduzione dei costi . Documenti interni privi di pezze d’appoggio esterne non sono considerati sufficienti. Quindi la società non dovrebbe dedurre tali importi (se lo fa, rischia l’accertamento). In pratica, se proprio succede un inconveniente (es. il socio non ha ottenuto ricevuta), si potrebbe valutare di fargli emettere una autodichiarazione e magari farla controfirmare dal fornitore o allegare un estratto conto della carta di credito: qualcosa che dia un minimo di terzietà. Ma al netto di ciò, formalmente senza documento esterno il costo è indeducibile.
D: Se un rimborso spese viene riconosciuto indeducibile, viene tassato due volte?
R: Può capitare, sì, nelle società di capitali a base ristretta: è il meccanismo di “doppia tassazione” che descrivevamo. Ovvero: la somma X viene aggiunta al reddito societario (prima tassazione IRES) e contemporaneamente trattata come utile distribuito al socio (seconda tassazione IRPEF) . Questo sembra ingiusto ma deriva dal fatto che si presume che la società e il socio abbiano ciascuno omesso la propria parte di imposta. Una consolazione: se poi la società realmente riprende quei soldi dal socio (restituzione), in futuro si eviterà tassazione su di essi come dividendo perché saranno già stati tassati. Ma intanto paga due volte. Diverso è il caso di rimborso a dipendente/amministratore: lì non c’è doppia imposta ma doppio contributo magari (l’azienda paga l’IRAP sul costo indeducibile e il dipendente paga l’IRPEF + contributi sul maggior reddito). Purtroppo la legge consente questa situazione, giustificandola col fatto che se c’è occultamento volontario è come una sanzione implicita. In sede contenziosa, si può tentare di far rilevare al giudice l’eccesso di imposizione, ma la giurisprudenza ad oggi è sfavorevole al contribuente su questo punto.
D: Quali accorgimenti pratici posso adottare per evitare contestazioni sui rimborsi in futuro?
R: Ecco alcuni consigli finali: 1) Redigi sempre una nota spese dettagliata per ogni trasferimento o attività, e falla approvare per iscritto. 2) Conserva in archivio tutti i giustificativi per almeno 5-6 anni (meglio scannerizzarli per sicurezza). 3) Usa carte aziendali o strumenti tracciati per pagare le spese dei soci, così l’estratto conto fa da prova supplementare. 4) Prevedi nei contratti (con clienti o con amministratori) clausole chiare sul rimborso spese, in modo da poter esibire il documento che fonda il diritto al rimborso. 5) Evita di erogare importi forfettari periodici senza criteri: se vuoi dare un rimborso forfettario mensile all’amministratore, valuta di includerlo nel compenso lordo ufficiale invece, così non avrai grane (pagherà le tasse ma almeno è regolare). 6) Se sei in società a base familiare, separa nettamente conti aziendali e personali: niente spese miste, niente prelievi di cassa se non strettamente documentati. 7) Consulta un fiscalista prima di fare operazioni dubbie: ad esempio, se vuoi rimborsare al socio l’uso della sua auto personale, fallo con criterio (c’è la possibilità dei rimborsi chilometrici con tabelle ACI, che sono riconosciuti se fatti bene, invece di importi arbitrari). Insomma, gioca d’anticipo sulla documentazione e non dovrai difenderti dopo.
Modelli di atti difensivi (fac-simile)
Di seguito proponiamo due brevi fac-simile: una lettera di risposta all’Agenzia delle Entrate in sede di contraddittorio e uno schema di ricorso in Commissione tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria). Naturalmente andrebbero adattati al caso concreto; qui servono da traccia su come impostare le argomentazioni.
Fac-simile 1 – Memoria difensiva in risposta a contestazione (fase pre-accertamento)
Destinatario:
Agenzia delle Entrate – Ufficio di […] – Settore Controlli
Via …, CAP … – PEC: …
Oggetto: Osservazioni del contribuente – Verifica n. … su Alfa Srl
Riferimento: Processo Verbale di Constatazione del … (o avviso di accertamento protocollo … se già emesso)
Egregi Signori,
in relazione ai rilievi formulati nel PVC in oggetto, concernenti in particolare la presunta distribuzione occulta di utili ai soci di Alfa Srl per l’anno d’imposta 2023, il sottoscritto Avv. XYZ, in qualità di difensore autorizzato della società e dei soci (procura allegata), intende presentare le seguenti osservazioni e richieste.
1. Rimborsi spese ai soci – natura e giustificativi:
L’Ufficio contesta che l’importo di €15.000, contabilizzato tra i costi come “rimborso spese amministratori”, costituisca in realtà utile extracontabile distribuito ai soci. Si rappresenta, invece, che tale importo corrisponde a rimborsi analitici di spese effettivamente sostenute dagli amministratori (soci al 50% Sig. A.B. e Sig. C.D.) nell’interesse sociale. In particolare: €9.500 riguardano spese di viaggio e alloggio per missioni commerciali in data 10/06/2023 e 22/09/2023 (si allegano copie di biglietti aerei intestati alla società, fatture di hotel e note spese firmate dai richiedenti e approvate dal Presidente del CdA); €3.000 sono spese di rappresentanza (pranzi con clienti) documentate da ricevute fiscali (allegate, con indicazione dei partecipanti e motivo); i restanti €2.500 si riferiscono a rimborsi chilometrici per uso dell’auto personale in trasferte locali (calcolati secondo tariffe ACI, si allegano prospetti km e targa automezzo). Tutti i documenti giustificativi sono già stati esibiti ai verificatori in data … e si riproducono in allegato. Si evidenzia che tali spese erano contrattualmente dovute agli amministratori ex delibera assembleare del 10/01/2023 (allegato verbale, punto 5) e pertanto la loro corresponsione è del tutto legittima e non configura alcun utile. La Cassazione ha ribadito che i rimborsi spese analitici e documentati non concorrono al reddito imponibile (cfr. Ordinanza n. 13764/2025, in materia di certezza del costo deducibile ). Si chiede dunque di voler riconoscere la deducibilità di tali costi e stralciare il rilievo de quo.
2. Insussistenza di utili extracontabili distribuibili:
Anche qualora, in via ipotetica, si volesse ritenere non provata parte delle spese di cui sopra, si fa presente che Alfa Srl ha chiuso l’esercizio 2023 con una perdita fiscale di €20.000 (come da dichiarazione dei redditi). Pertanto, l’eventuale mancato riconoscimento di €15.000 di costi ridurrebbe la perdita a €5.000, senza generare utile distribuibile. In altre parole, non vi sarebbero comunque “utili occulti” da tassare in capo ai soci, ma al più una minore perdita d’esercizio. La presunzione di distribuzione ai soci ex art. 5, co. 4, TUIR (ripresa dall’Ufficio) presuppone logicamente l’esistenza di utili extra-bilancio , che nel caso in esame difettano del tutto. Si richiama Cass. n. 19272/2024 che conferma come la presunzione di utili ai soci non operi in mancanza di utili accertati nella società. Si confida che vogliate tenere conto di ciò, eliminando ogni imputazione a reddito dei soci per l’anno 2023.
3. Ristretta base sociale – Prova contraria dei soci:
L’accertamento si fonda, in parte, sulla circostanza che Alfa Srl ha due soci, deducendo da ciò il vincolo di reciprocità tipico delle basi ristrette. Al riguardo, i soci signori A.B. e C.D. intendono fornire prova contraria ai sensi dell’art. 2729, co. 2 c.c. In particolare, il socio C.D. nel 2023 non ha partecipato alla gestione operativa dell’azienda a causa di trasferimento all’estero per lavoro (come da certificato di residenza UK allegato); tutti gli atti di gestione e le spese in contestazione sono stati decisi e sostenuti dall’altro socio A.B., in qualità di amministratore unico. Pertanto, almeno nei confronti di C.D., risulta superata la presunzione di distribuzione, secondo l’insegnamento della recente Cass. ord. n. 2464/2025: “il socio può vincere la presunzione offrendo dimostrazione della propria assoluta estraneità alla gestione” . Si diffida dunque l’Ufficio dal procedere ad imputare utili presunti al socio C.D., il quale non ha percepito alcunché.
4. Violazione del divieto di doppia presunzione:
Si osserva infine che l’impostazione dell’avviso sembra incorrere in una duplice presunzione: dapprima presume l’esistenza di utili extra in capo alla società dalla base ristretta e da asserite spese non documentate; poi presume la distribuzione di detti utili ai soci. Ciò configgerebbe col noto divieto di “praesumptio de praesumpto”. La Suprema Corte (ex multis, Cass. n. 5925/2015) ha chiarito che tale criticità è superata solo se il fatto noto è costituito da elementi ulteriori e non dall’utile medesimo . Nel caso in esame, non paiono evidenziati elementi indiziari adeguati (oltre alla ristretta base) per sostenere la distribuzione. In difetto, l’accertamento risulta giuridicamente fragile. Si invita pertanto a rivalutare la tenuta della pretesa alla luce di tale principio.
Richiesta:
Alla luce di quanto esposto, si chiede che codesto Ufficio proceda in autotutela all’annullamento totale, o quanto meno parziale, dell’avviso di accertamento n. …, eliminando i rilievi relativi ai rimborsi spese ai soci per €15.000 e la conseguente imputazione di utili ai soci A.B. e C.D. In via subordinata, si resta disponibili a valutare una definizione per adesione su basi conciliative (ad esempio limitatamente a €5.000 di costi, rinunciando alle sanzioni), al fine di chiudere bonariamente la vertenza.
Confidando in un positivo riscontro, si porgono distinti saluti.
Luogo, data – Avv. XYZ, per Alfa Srl e Soci
Allegati: Verbale assemblea 10/1/2023; Copie documenti spese (fatture, scontrini, note spese); Certificato residenza estero socio C.D.; … (altri allegati rilevanti).
Fac-simile 2 – Stralcio di ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
Di seguito uno schema semplificato di alcuni paragrafi chiave di un ricorso tributario, con enfasi sulle eccezioni e difese possibili. Si omette l’intestazione formale e i capi di rito, concentrandosi sul contenuto argomentativo:
Fatti e contestazioni: – […] In data 5/8/2025 l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di … notificava alla società Beta Srl (nonché ai suoi due soci Tizio e Caio) avvisi di accertamento per l’anno d’imposta 2022. Con tali atti, l’Ufficio recuperava a tassazione, per quanto qui interessa, un importo di €50.000 qualificato come utili extrabilancio distribuiti ai soci, in applicazione della presunzione di cui all’art. 5, co.4, TUIR, a fronte di costi indeducibili rinvenuti in capo alla società. Nello specifico, si contestava che l’importo di €30.000, iscritto a bilancio di Beta Srl come “rimborso spese amministratore”, fosse privo di giustificativi e dovesse quindi essere ripreso a tassazione come utile occultamente distribuito al socio-amministratore Tizio; parimenti, ulteriori €20.000 relativi a prelievi di denaro dal c/c aziendale venivano considerati utili extracontabili distribuiti pro quota ai due soci. Avverso tali atti i ricorrenti propongono tempestivo ricorso per i seguenti
Motivi di impugnazione:
1. Insussistenza di utili occulti per difetto di presupposto (spese documentate e reinvestite) – L’accertamento impugnato è erroneo e infondato in fatto, poiché presume l’esistenza di utili extrabilancio in realtà inesistenti. L’importo di €30.000 indicato come “rimborso spese amministratore” corrisponde in realtà a somme interamente giustificate da documenti di spesa e già restituite alla società nell’esercizio successivo. […] (si descrive come le spese fossero documentate da fatture e come l’amministratore abbia rinunciato al rimborso, ecc.). Pertanto manca il presupposto di fatto dell’utile non contabilizzato: le somme contestate non rappresentano un arricchimento occulto, bensì spese aziendali riconosciute, sebbene in sede di verifica non siano state inizialmente esaminate con la dovuta attenzione. Ne discende che la pretesa fiscale risulta priva di oggetto, avendo l’Ufficio costruito un utile occulto “figurativo” basato su costi che, in realtà, erano reali e provati (Cass. 17/09/2014 n.19593: “le spese sostenute, per essere portate in deduzione, devono risultare da elementi specifici e attendibili”; il costo non sufficientemente documentato può essere ripreso a tassazione , ma se la documentazione viene integrata il recupero va annullato). Si chiede quindi l’annullamento dell’accertamento in quanto l’importo di €30.000 non andava ripreso a tassazione né in capo alla società né tanto meno in capo ai soci.
2. Inconfigurabilità di distribuzione ai soci estranei alla gestione – In via subordinata e ulteriore, si deduce che l’eventuale presunzione di distribuzione di utili ai soci non può operare nei confronti del socio Caio, il quale è mero socio di capitale non coinvolto nella gestione di Beta Srl. Come da visura camerale e da verbali allegati, Caio non riveste cariche amministrative né ha deleghe operative; egli risiede all’estero per motivi personali nel periodo in esame, come da documentazione. La Suprema Corte, innovando l’orientamento tradizionale, ha stabilito che “il socio di una società a ristretta base può vincere la presunzione di utili extracontabili dimostrando la propria assoluta estraneità alla gestione sociale” (Cass., Sez. Trib., ord. 02/02/2025 n. 2464) . Nel caso di specie, Caio fornisce piena prova della sua estraneità: (i) non partecipava all’amministrazione (era Tizio l’amministratore unico); (ii) non percepiva alcun compenso o beneficio dalla società, come risulta dal bilancio 2022; (iii) durante l’anno 2022 era assente dall’Italia per buona parte del tempo (v. biglietti aerei allegati). In tali condizioni, la “massima di esperienza” alla base della presunzione (reciproco controllo e collusione tra soci familiari) perde ogni fondamento probatorio . Si richiama anche Cass. 31/01/2025 n.2288 che ha confermato l’orientamento in esame. Pertanto, almeno limitatamente al socio Caio, l’accertamento è da annullare perché la presunzione risulta vinta dalla prova contraria offerta.
3. Violazione dell’art. 7 L. 212/2000 – motivazione per relationem insufficiente – L’avviso impugnato risulta inoltre viziato da carenza di motivazione, in violazione dello Statuto del Contribuente, laddove si limita ad affermare la distribuzione di utili ai soci senza indicare gli elementi indiziari concreti posti a base di tale conclusione. In particolare, l’atto non esplicita quali sarebbero le “spese non documentate” contestate (menzionando solo genericamente una voce di bilancio) né fornisce spiegazioni sul calcolo delle somme attribuite a ciascun socio. Tale modalità non consente al contribuente di conoscere la ragione concreta della pretesa, impedendo un pieno esercizio del diritto di difesa. La giurisprudenza richiede che in materia di presunzioni il Fisco espliciti in motivazione i fatti noti da cui inferisce i fatti ignoti (cfr. Cass. 03/02/2015 n. 5925: “l’avviso deve indicare i presupposti logici della presunzione, pena nullità”) . Nel caso de quo, l’Ufficio si è limitato ad un rinvio alla verifica verbale, senza però dettagliare nell’atto impositivo gli elementi di fatto (es.: movimenti bancari specifici, nomi dei clienti, date dei prelievi) su cui si basa l’accertamento. Ne consegue la nullità dell’avviso per difetto di motivazione ed indeterminatezza della pretesa.
(seguono eventuali altri motivi)
Conclusioni: – […] (si chiede l’annullamento integrale dell’avviso, con vittoria di spese, ecc.)
Questi modelli, pur semplificati, mostrano come articolare una difesa scritta: occorre entrare nel merito dei fatti, fornire spiegazioni alternative plausibili e citare riferimenti normativi e giurisprudenziali a supporto della propria posizione. È bene adottare un tono fermo ma aperto al dialogo: a volte allegare già col ricorso i documenti probanti può indurre l’ufficio a un riesame in autotutela prima del giudizio.
Conclusione
Le contestazioni su presunti rimborsi spese non documentati ai soci rappresentano un ambito delicato e complesso, in cui si intersecano normative fiscali e principi di diritto societario. Dal punto di vista del debitore-contribuente, affrontare con successo queste accuse significa combinare una perfetta padronanza delle regole con un’accurata ricostruzione fattuale di ciò che è davvero accaduto. Come abbiamo visto, documentazione e trasparenza sono le armi principali: ogni scontrino conservato, ogni contratto ben scritto può fare la differenza tra una pesante sanzione e un’annullamento dell’atto impositivo .
È fondamentale ricordare che non tutti gli accertamenti del Fisco sono corretti: talvolta si basano su presunzioni automatiche o su interpretazioni eccessivamente rigorose, che possono essere confutate. La giurisprudenza più recente, infatti, mostra una maggiore attenzione ai diritti del contribuente, ammettendo prove liberatorie come l’estraneità del socio di minoranza o richiedendo veri indizi concreti per tassare utili occulti . Questo significa che il socio contestato ha margine di difesa, soprattutto se supportato da un consulente esperto.
In chiusura, dal punto di vista del debitore il messaggio è duplice: da un lato prevenire – gestendo i rimborsi in modo rigoroso e conforme alle norme per non offrire il fianco a contestazioni; dall’altro, difendersi con tenacia – qualora un accertamento ingiusto colpisca, mettendo in campo tutte le evidenze e le argomentazioni giuridiche disponibili. Con una difesa tecnica ben impostata è spesso possibile ridurre drasticamente (se non eliminare) le pretese fiscali infondate, tutelando così sia il patrimonio dell’azienda che quello personale dei soci coinvolti . Come recita un principio consolidato: rimborsi reali e documentati = fuori dal reddito; rimborsi fittizi o non provati = dentro il reddito . L’obiettivo ultimo è dimostrare, carte alla mano, che nel caso concreto ci si trova nella prima situazione e non nella seconda – ovvero che la sostanza economica è legittima e le contestazioni del Fisco non colgono nel segno.
Fonti: Normativa fiscale (DPR 917/1986 – TUIR, DPR 600/1973, D.Lgs. 74/2000), Codice Civile (artt. 2262, 2303, 2389, 2433, 2627 c.c.), prassi Agenzia Entrate (circolari su rimborsi spese), giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. sez. trib. nn. 25501/2020 , 2464/2025 , 2288/2025 , 13764/2025 , 23890/2015 , 9519/2009, 18042/2018, 5575/2022, etc.) e di merito (CTR Lombardia 3374/2024), dottrina tributaria.
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati rimborsi spese ai soci non adeguatamente documentati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati rimborsi spese ai soci non adeguatamente documentati?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
I rimborsi spese ai soci sono legittimi solo se giustificati da documentazione certa e inerente all’attività sociale. In mancanza di prove concrete, il Fisco può riqualificarli come utili occulti o compensi in nero, con conseguente recupero di imposte e applicazione di sanzioni.
👉 Prima regola: ogni rimborso deve essere tracciabile, giustificato e collegato all’attività della società.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Note spese prive di ricevute o scontrini;
- Rimborsi in contanti senza documentazione di supporto;
- Spese personali mascherate da spese aziendali;
- Importi sproporzionati rispetto all’attività svolta;
- Rimborsi sistematici ai soci non coerenti con la gestione della società.
📌 Conseguenze della contestazione
- Riqualificazione come utili distribuiti e tassazione in capo al socio;
- Indeducibilità del costo per la società;
- Recupero IVA se detratta indebitamente;
- Sanzioni fiscali e interessi;
- Rischio di accertamenti ulteriori sulla gestione della società.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Esistenza di documentazione alternativa (estratti conto, bonifici, email, contratti);
- Inerenza delle spese all’attività sociale;
- Regolarità delle delibere societarie che autorizzano i rimborsi;
- Motivazione della contestazione: l’Agenzia deve indicare i rimborsi specifici ritenuti irregolari;
- Eventuali errori formali che non incidono sulla sostanza delle operazioni.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Note spese dettagliate con allegati;
- Ricevute, scontrini e fatture;
- Estratti conto bancari o carte di credito;
- Verbali del CDA o assemblee che approvano i rimborsi;
- Contratti e documentazione che provino la necessità delle spese.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la reale natura aziendale delle spese con prove concrete;
- Contestare la presunzione di utili occulti se i rimborsi erano effettivamente spese della società;
- Eccepire vizi procedurali: motivazione carente, notifica irregolare, decadenza;
- Chiedere autotutela se la documentazione era già stata prodotta e non valutata;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare l’accertamento;
- Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e chiudere la controversia.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i rimborsi contestati e la documentazione disponibile;
📌 Verifica la legittimità della contestazione dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione sicura e trasparente dei rimborsi soci.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e utili occulti;
✔️ Specializzato in difesa di società e soci contro contestazioni su rimborsi spese;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui rimborsi spese ai soci non documentati non sempre sono fondate: spesso si basano su presunzioni o irregolarità formali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta natura aziendale delle spese, evitare la riqualificazione come utili occulti e ridurre drasticamente le sanzioni.
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