Contestazioni Su Redditi Da Lavori Occasionali Agricoli: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcuni compensi da lavori agricoli occasionali non sono stati dichiarati o sono stati considerati imponibili in modo errato? In questi casi, l’Ufficio presume che i redditi percepiti rientrino nella tassazione ordinaria e procede al recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: i redditi agricoli hanno regole particolari e vi sono strumenti difensivi per ridurre o annullare la pretesa fiscale.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta i redditi da lavori occasionali agricoli
– Se i compensi non sono stati dichiarati nel modello 730 o Redditi PF
– Se superano i limiti previsti per i redditi esenti o occasionali
– Se i compensi sono stati percepiti senza ritenuta d’acconto da parte del committente
– Se vi sono incongruenze tra i dati comunicati dai datori di lavoro e la dichiarazione dei redditi
– Se i redditi sono stati considerati non agricoli ma assimilabili a redditi diversi o da lavoro dipendente

Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte IRPEF sui compensi agricoli contestati
– Applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile iscrizione a ruolo con cartella esattoriale
– Rischio di ulteriori accertamenti su altre annualità

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che i compensi rientrano effettivamente tra i redditi agricoli occasionali
– Produrre certificazioni uniche (CU), ricevute e documenti rilasciati dai datori di lavoro agricoli
– Contestare errori di qualificazione del reddito commessi dall’Agenzia delle Entrate
– Evidenziare vizi formali, difetti di motivazione o decadenza dei termini dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la tipologia di redditi contestati e la documentazione disponibile
– Verificare la corretta applicazione delle norme fiscali sui redditi agricoli occasionali
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro pretese indebite
– Tutelare il patrimonio personale da indebite tassazioni e procedure esecutive

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della corretta natura dei compensi percepiti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e fiscale agricolo – spiega come difendersi in caso di contestazioni sui redditi da lavori agricoli occasionali e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Le prestazioni di lavoro occasionale in agricoltura rappresentano una forma di lavoro saltuario, distinta dal lavoro subordinato o autonomo abituale. In Italia, questo tema è regolato da una complessa stratificazione normativa che coinvolge diritto del lavoro, previdenza sociale e fiscalità. Negli ultimi anni (fino ad agosto 2025) il legislatore ha introdotto e poi modificato regimi speciali per consentire alle imprese agricole di fruire di manodopera stagionale in modo semplificato, come il LOAgri (Lavoro Occasionale Agricolo) attivo nel biennio 2023-2024 . Parallelamente, la giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno chiarito i confini tra ciò che può definirsi “prestazione occasionale” e ciò che, invece, si configura come attività abituale o lavoro “in nero” con relative sanzioni .

Questa guida offre un approfondimento avanzato – con taglio pratico e linguaggio giuridico-divulgativo – sulle contestazioni che possono insorgere attorno ai redditi derivanti da lavori occasionali in ambito agricolo e su come il soggetto contestato (il debitore verso fisco o enti previdenziali) possa difendersi. Ci rivolgeremo sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti), sia a imprenditori agricoli e privati cittadini coinvolti in queste situazioni. Saranno esaminati:

  • Il quadro normativo italiano di riferimento, con aggiornamenti al 2025, inclusi interventi legislativi recenti e circolari di INPS, Agenzia delle Entrate e INAIL.
  • Le principali cause di contestazione: accertamenti fiscali su redditi non dichiarati o qualificati impropriamente, richieste di contributi previdenziali da parte dell’INPS, sanzioni amministrative per lavoro sommerso, fino ai possibili profili penali (ad es. dichiarazioni false o impiego di manodopera irregolare).
  • Gli strumenti di difesa a disposizione del soggetto contestato: strategie difensive, possibilità di regolarizzazione, modalità di ricorso e giurisprudenza favorevole recente (sentenze di merito e di legittimità aggiornate).
  • Tabelle riepilogative per una rapida comprensione dei limiti, obblighi e sanzioni, nonché casi pratici (simulazioni) con domanda e risposta per chiarire dubbi frequenti.

L’obiettivo è fornire un vademecum completo e aggiornato su “Contestazioni su redditi da lavori occasionali agricoli: come difendersi”, dal punto di vista di chi subisce l’accertamento o la contestazione. Proprio perché il tema abbraccia diversi ambiti (fiscale, lavoro, previdenza, penale), sarà necessario un approccio multidisciplinare, sempre supportato da fonti normative e pronunce giurisprudenziali autorevoli.

Quadro normativo dei lavori occasionali in agricoltura

In questa sezione si delineano le norme chiave che regolano le prestazioni occasionali in agricoltura, evidenziandone i confini e le recenti evoluzioni. Comprendere il quadro normativo è fondamentale sia per prevenire errori (ad esempio un uso scorretto di manodopera occasionale) sia per impostare una difesa efficace in caso di contestazione.

Lavoro autonomo occasionale: definizione e limiti

Il lavoro autonomo occasionale è disciplinato solo indirettamente nel nostro ordinamento, in quanto definito per differenza rispetto alle attività professionali abituali. In termini civilistici, lo si può ricondurre al contratto d’opera ex art. 2222 c.c., dove un prestatore d’opera compie un’opera o servizio con lavoro proprio e senza vincolo di subordinazione. La caratteristica decisiva è l’occasionalità: l’attività non deve avere i connotati della professionalità o abitualità. In base all’orientamento consolidato, un’attività si considera occasionale quando è episodica, non organizzata in forma d’impresa e priva del requisito dell’abitualità . Ciò implica che manca una strutturazione stabile del lavoro e una regolarità o sistematicità nelle prestazioni.

Dal punto di vista fiscale, i compensi derivanti da lavori autonomi occasionali rientrano tra i redditi diversi (art. 67, co.1, lett. l), TUIR), distinti dai redditi di lavoro autonomo professionale . Ciò comporta che, fiscalmente, non vi è apertura di Partita IVA né gestione come attività d’impresa, ma l’obbligo di indicare tali compensi nella dichiarazione dei redditi annuale. Quanto al trattamento tributario, il committente (se sostituto d’imposta, ad es. un’azienda o un professionista) applica di regola una ritenuta d’acconto del 20% sull’importo corrisposto, versandola all’erario a titolo di acconto IRPEF per il prestatore. Il prestatore poi calcolerà l’imposta definitiva nella sua dichiarazione, potendo scontare la ritenuta subita. Se invece il committente è un privato non sostituto d’imposta (es. un privato cittadino che paga un piccolo aiuto occasionale), nessuna ritenuta viene applicata e sarà il percettore a dover autonomamente dichiarare il reddito. Non esistono soglie di esenzione IRPEF per i redditi occasionali: anche pochi euro andrebbero dichiarati (salvo il caso particolare del LOAgri, di cui si dirà). Tuttavia, spesso importi molto modesti restano di fatto detassati perché coperti dalle detrazioni da lavoro o perché al di sotto della soglia imponibile minima.

Un elemento cruciale è la soglia dei 5.000 € annui: essa non ha rilevanza fiscale diretta (oltre tale importo il compenso è comunque tassato con le aliquote IRPEF ordinarie), ma è determinante ai fini previdenziali. La normativa previdenziale (art. 44, L. 326/2003 e circ. INPS n.9/2004) prevede infatti che i compensi da lavoro autonomo occasionale siano esenti da contribuzione fino a 5.000 € annui complessivi percepiti dal prestatore, mentre oltre tale soglia scatta l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS e il pagamento dei contributi sulla parte eccedente . In altri termini, i primi 5.000 € annui costituiscono una franchigia di esenzione contributiva, mentre sulle somme oltre 5.000 € devono essere versati i contributi previdenziali (aliquota vigente circa 33% a carico del prestatore, con ripartizione di 2/3 a carico committente e 1/3 a carico prestatore, salvo diverso accordo) . Importante: l’INPS considera tale soglia su base cumulativa annua per il lavoratore, sommando tutti i compensi occasionali percepiti da diversi committenti. In pratica, ad esempio, se Tizio nel 2025 presta piccoli lavori per vari clienti percependo 6.000 € totali, dovrà iscriversi alla Gestione Separata e pagare contributi sul reddito eccedente 5.000 €, quindi su 1.000 € .

La giurisprudenza recente ha tuttavia puntualizzato che questa soglia contributiva non “salva” automaticamente l’occasionalità se, di fatto, l’attività svolta era abituale. La Cassazione, Sez. Lavoro, n. 11535/2024 ha chiarito che il limite reddituale di 5.000 € rileva solo se l’attività è realmente occasionale e non abituale; diversamente, se il lavoro è abituale, l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata sussiste sin dal primo euro di compenso . La Suprema Corte ha dunque affermato che i requisiti di autonomia, episodicità e non abitualità sono imprescindibili per definire la prestazione come occasionale; in mancanza di tali requisiti, i contributi INPS sono dovuti anche se i redditi sono inferiori a 5.000 € . Questo approccio combacia con la prassi amministrativa sia dell’INPS che dell’Agenzia delle Entrate , volta a contrastare situazioni elusive (attività continuative celate sotto false occasionalità).

In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che professionalità e abitualità ricorrono quando un soggetto compie atti economici con regolarità e sistematicità, perseguendo uno scopo di lucro, anche se i redditi sono modesti . Addirittura, per le professioni regolamentate, l’iscrizione all’albo professionale è di per sé indicativa dell’intento di svolgere l’attività in modo non occasionale; come evidenziato in una risposta a interpello (AdE – Risposta n. 41/2020), il fatto di iscriversi all’albo costituisce manifestazione della volontà di esercitare la professione abitualmente, escludendo la natura occasionale delle prestazioni . La Cassazione ha fatto proprio questo principio, aggiungendo che l’abitualità va valutata ex ante, dalle scelte organizzative del lavoratore (apertura di partita IVA, iscrizione ad albo, predisposizione di mezzi, ecc.), e non soltanto ex post in base al reddito prodotto . Ad esempio, l’apertura di una partita IVA o l’allestimento di un laboratorio/ufficio sono elementi che creano una presunzione semplice di abitualità; in tal caso spetta al contribuente provare l’occasionalità, onere particolarmente gravoso perché neppure un reddito esiguo basta a dimostrare da solo la natura occasionale in presenza di altri indici di stabilità .

In sintesi, il lavoro autonomo occasionale agricolo è ammesso solo entro ristretti confini: sporadicità, mancanza di organizzazione professionale, e modesto importo annuale. Se questi limiti vengono superati, si rischia la riqualificazione dell’attività come impresa agricola o lavoro autonomo abituale, con obbligo di apertura di partita IVA, iscrizione come coltivatore diretto/imprenditore agricolo e versamento di contributi sin dall’inizio. Laddove l’Agenzia delle Entrate o l’INPS contestino tali situazioni, come vedremo, il debitore potrà difendersi dimostrando l’assenza dei requisiti di abitualità (ad es. provando che si è trattato di prestazioni del tutto episodiche, magari parallele a un altro lavoro principale, senza mezzi d’impresa né promozione sul mercato).

Contratto di prestazione occasionale (voucher “PrestO”) in agricoltura

Accanto al lavoro autonomo occasionale puro, nel panorama normativo italiano esiste (dal 2017) uno strumento dedicato alle prestazioni di lavoro subordinato di natura occasionale: il Contratto di Prestazione Occasionale, spesso abbreviato in “PrestO”, erede dei vecchi voucher lavoro. Introdotto con l’art. 54-bis del D.L. 50/2017 (conv. L. 96/2017) dopo l’abolizione dei voucher tradizionali, il sistema “PrestO” consente a datori di lavoro (imprese o enti) di impiegare lavoratori per brevi periodi, entro determinati limiti economici e temporali, attraverso una piattaforma INPS.

Tuttavia, nel settore agricolo l’utilizzo di questo strumento è sempre stato fortemente limitato. Fino al 2022, le regole prevedevano che le imprese agricole potessero accedere al “PrestO” solo in casi particolari: ad esempio, potevano avvalersene imprenditori agricoli con piccola dimensione e solo per determinate categorie di prestatori (pensionati, studenti sotto i 25 anni, disoccupati, percettori di prestazioni di sostegno al reddito) . Inoltre, vigevano requisiti stringenti su compensi e durata. Queste restrizioni, unite alla complessità operativa, hanno reso l’uso del contratto di prestazione occasionale in agricoltura scarso negli anni 2018-2022 .

Una svolta normativa si è avuta con la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022, commi 342-354), che ha abrogato le precedenti disposizioni sull’uso del “PrestO” in agricoltura e contestualmente ha introdotto un regime sperimentale ad hoc per il biennio 2023-2024, denominato LOAgri (lavoro occasionale agricolo a tempo determinato). In sostanza, dal 1° gennaio 2023 l’impiego del Contratto di Prestazione Occasionale ordinario è divenuto vietato nel settore agricolo : le imprese non possono più utilizzare la piattaforma INPS dei “voucher” per attivare rapporti occasionali in agricoltura. Le somme eventualmente già versate su tale piattaforma nel 2022 e non utilizzate sono state rimborsate dall’INPS .

Al posto del “PrestO”, per il 2023-2024 le aziende agricole hanno potuto utilizzare il nuovo contratto di lavoro subordinato occasionale a termine (LOAgri), con regole particolari. Attenzione: il regime LOAgri è scaduto al 31 dicembre 2024, poiché introdotto in via sperimentale per due anni . Tentativi di proroga al 2025 (mediante emendamento al decreto Milleproroghe) non hanno avuto esito positivo, lasciando un vuoto normativo a partire dal 2025 . Pertanto, allo stato attuale (agosto 2025) l’impiego di manodopera occasionale in agricoltura non gode di uno strumento speciale: si applicano le regole generali (ossia la necessità di instaurare contratti di lavoro subordinato “classici” anche per brevi periodi, salvo eventuali nuovi interventi normativi). Questo contesto spiega perché molte contestazioni possano sorgere nel 2025: datori di lavoro che, venuto meno il regime semplificato, ricorrono comunque a lavoro occasionale non regolarizzato, incorrendo in sanzioni.

Per completezza, riepiloghiamo le caratteristiche principali che aveva il LOAgri 2023-2024, poiché alcune contestazioni attuali potrebbero riferirsi a quel periodo di transizione:

  • Platea di datori di lavoro ammessi: imprese agricole fino a 10 dipendenti a tempo indeterminato (quindi piccole aziende) che rispettino i CCNL agricoli applicabili . Inizialmente non vi era limite dimensionale, poi la norma ha fissato il tetto di 10 unità stabili.
  • Categorie di lavoratori utilizzabili: persone disoccupate (ai sensi del D.Lgs. 150/2015), beneficiari di NASpI o DIS-COLL, percettori di Reddito di Cittadinanza o altri ammortizzatori sociali, pensionati di vecchiaia o anzianità, giovani under 25 regolarmente iscritti a un ciclo di studi (scuola o università), detenuti o internati ammessi al lavoro esterno . Esclusi invece i lavoratori agricoli attivi: tranne i pensionati, nessuno dei suddetti poteva aver avuto rapporti di lavoro agricolo (subordinato o assimilato) nei 3 anni precedenti . L’idea era evitare che lavoratori già del settore venissero ricollocati come “occasionali”.
  • Limiti di durata: massimo 45 giornate di lavoro effettivo per ciascun lavoratore nel corso dell’anno solare . Era possibile stipulare un contratto con durata più lunga (fino a 12 mesi) ma occorreva in ogni caso non superare 45 giorni di lavoro effettivo . Superare questo limite comportava la trasformazione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato fin dall’origine, per espressa previsione di legge . (Questa sanzione “civile” mirava a evitare abusi: 46 giorni di lavoro occasionale facevano scattare l’assunzione stabile automatica).
  • Obblighi formali: il datore di lavoro doveva acquisire un’autocertificazione dal lavoratore, prima dell’inizio, sul possesso dei requisiti soggettivi (es. stato di disoccupazione, studente, ecc.) . Inoltre, andava effettuata la comunicazione obbligatoria UNILAV al Centro per l’impiego prima dell’avvio, con un codice specifico H.03.03 indicante “lavoro occasionale agricolo” . Questa comunicazione assolveva anche agli obblighi di legge sul Libro Unico del Lavoro e informativa al lavoratore, semplificando la procedura (era ammesso redigere il LUL e il prospetto paga in un’unica soluzione a fine rapporto) . Da notare che, a differenza del “PrestO” gestito tramite piattaforma INPS, qui il pagamento del compenso era effettuato direttamente dal datore con strumenti tracciabili (bonifico, strumenti elettronici o contanti allo sportello bancario) , secondo la retribuzione stabilita dai contratti collettivi . In sostanza, il LOAgri funzionava come un normale contratto a tempo determinato di breve durata, solo con iter semplificato e vincoli di tempo.
  • Trattamento fiscale e contributivo: la norma ha previsto che il compenso LOAgri fosse esente da qualsiasi imposizione fiscale per il lavoratore . Dunque tali redditi non concorrevano all’IRPEF (sul modello dei vecchi voucher, non tassati). Invece sul fronte previdenziale, i compensi erano assoggettati alla contribuzione agricola unificata (IVS + assicurazione infortuni) con un’aliquota ridotta: quella prevista per le zone agricole svantaggiate, con riduzione del 68% . Questo significava un forte sgravio contributivo per i datori delle zone non svantaggiate, equiparati di fatto alle aziende montane in termini di costo contributivo. Restavano applicate le tutele tipiche del lavoro subordinato: assicurazione contro infortuni (INAIL), contribuzione pensionistica, ecc., seppur a aliquota agevolata .
  • Sanzioni in caso di violazioni: la legge (art. 1, co. 354 L.197/2022) prevedeva inizialmente tre fattispecie sanzionatorie: (1) superamento dei 45 giorni → trasformazione a tempo indeterminato; (2) omessa comunicazione UNILAV o utilizzo di lavoratori non appartenenti alle categorie ammesse → sanzione amministrativa da 500 a 2.500 € per ogni giornata di lavoro irregolare , salvo che l’errore derivi da false dichiarazioni del lavoratore nell’autocertificazione (in tal caso nessuna sanzione al datore) ; (3) violazione delle regole di pagamento tracciabile del compenso → sanzione da 1.000 a 5.000 € . Successivamente, il D.L. 19/2024 (c.d. decreto PNRR-quater) ha modificato il regime: da marzo 2024 le sanzioni (2) e (3) sono state eliminate, mantenendo solo la trasformazione del rapporto e la multa 500-2.500 € per ogni lavoratore impiegato fuori categoria autorizzata . In particolare non è più sanzionata l’omessa comunicazione (resta però l’illecito di lavoro nero generale di cui diremo) né il pagamento in contanti, ai fini specifici di LOAgri . Rimaneva la regola che se il lavoratore aveva mentito nell’autocertificazione sui propri requisiti, il datore di lavoro non veniva sanzionato per aver involontariamente impiegato un soggetto non ammesso .

Terminato il LOAgri senza proroghe, dal 2025 le aziende agricole che necessitano di manodopera temporanea possono utilizzare solo gli strumenti ordinari: contratti a termine (anche brevi, come i contratti giornalieri per operai agricoli stagionali) oppure, se ne ricorrono i presupposti, forme di lavoro flessibile come il contratto intermittente (a chiamata) o il lavoro accessorio tramite enti autorizzati. Non è più possibile fare ricorso a voucher o prestazioni occasionali autonome in agricoltura, salvo che il legislatore reintroduca nuove norme. Questa rigidità normativa può spingere alcuni datori a ricorrere a forme informali di impiego, esponendosi però a pesanti conseguenze in caso di verifica ispettiva (maxisanzione per lavoro nero, obblighi contributivi retroattivi, ecc.). Nei prossimi paragrafi affronteremo proprio queste possibili contestazioni e come fronteggiarle.

Collaborazione familiare e aiuto gratuito in agricoltura

Un aspetto peculiare del settore agricolo riguarda il lavoro dei familiari e di altri soggetti legati da vincoli personali (amici, vicini) nell’azienda agricola. È frequente, soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare, che parenti o conviventi diano una mano nei periodi di punta (semina, raccolto) in modo saltuario e spesso gratuito. La normativa riconosce questa realtà e, in parte, la disciplina per evitare che venga confusa con vero e proprio lavoro subordinato celato.

Secondo l’art. 74 D.Lgs. 276/2003 (come modificato dal D.L. 5/2009), le attività svolte in ambito agricolo da parenti e affini fino al 4° grado a titolo di mera collaborazione gratuita, non occasionale e di breve durata, non costituiscono rapporto di lavoro subordinato. In pratica, il legislatore presume che coniuge, figli, altri parenti che lavorano nell’impresa agricola del famigliare lo facciano per spirito di solidarietà familiare, senza paga. Pertanto, non è necessario assumerli formalmente, purché il loro apporto non sia “abituale e prevalente” nell’impresa . Se il familiare collabora in modo continuativo e preponderante, scatta invece l’obbligo di iscrizione previdenziale come coadiuvante familiare (presso la gestione coltivatori diretti) e copertura INAIL . Ma se l’aiuto è saltuario oppure il familiare ha già un’attività prevalente altrove (es. un parente pensionato o con altro lavoro full-time), il suo contributo è considerato non abituale né prevalente, e quindi non necessita di assunzione né di versamento contributi aggiuntivi .

Ad esempio, la moglie dell’imprenditore agricolo generalmente rientra in questo alveo: si presume che il coniuge collabori gratuitamente e senza subordinazione, salvo prova contraria. Tanto che è perfino vietato per legge assumere il proprio coniuge come dipendente, a meno che si riesca a dimostrare un vero vincolo di subordinazione retribuito (cosa in teoria possibile ma assai stringente, richiedendo prova di orario di lavoro, paga, ordini impartiti ecc.) . Lo stesso vale per figli e parenti: il loro lavoro si inquadra nella collaborazione familiare gratuita, con obbligo di iscrizione all’INPS solo se diventa continuativo e prevalente . Un caso tipico è il figlio dell’agricoltore che occasionalmente aiuta nei fine settimana pur avendo altro impiego: tale contributo è fuori dal lavoro subordinato perché né abituale né prevalente (ha già un lavoro principale) . Inoltre il D.L. 5/2009 ha esteso fino al 6° grado la cerchia dei parenti che possono collaborare occasionalmente a titolo gratuito, includendo anche figure come cugini di secondo grado, suoceri, ecc., sempre che l’attività sia meramente saltuaria.

Importante: la gratuità è un elemento essenziale. Se il familiare percepisce un compenso, formale o occulto, la prestazione non è più considerata gratuità familiare ma assume i contorni del lavoro subordinato o autonomo. Anche un modesto compenso può far presumere un rapporto di lavoro vero e proprio. Quindi, la difesa tipica nelle contestazioni che riguardano parenti è dimostrare che l’attività era volontaria e non retribuita. Ad esempio, conservare evidenze che il parente ha un proprio reddito indipendente (pensione, altro stipendio) e che l’aiuto era saltuario, può aiutare a contrastare un verbale ispettivo che qualifica il familiare come lavoratore “in nero”. La Cassazione ha in più occasioni affermato che il rapporto di lavoro subordinato tra stretti familiari non si presume, a meno di prova rigorosa degli indici di subordinazione (pagamento di salario, orario, direzione, ecc.) . Dunque, sul datore (che spesso coincide col capofamiglia) non grava la maxisanzione se riesce a far valere questa speciale disciplina. Ovviamente, resta la necessità di iscrivere i familiari come coadiuvanti se di fatto lavorano stabilmente: ad esempio, una moglie che quotidianamente lavora nei campi dovrà essere iscritta all’INPS come collaboratrice familiare, anche se non c’è busta paga, altrimenti l’INPS potrà richiedere i contributi omessi.

Discorso diverso per gli “amici” o vicini non parenti: qui il legislatore non presuppone alcuna gratuità per solidarietà. Se una persona senza legami di parentela presta attività nell’azienda agricola, anche se solo per un giorno, per la legge si presume che il lavoro sia oneroso (dietro compenso) e subordinato, a meno che quella persona sia un vero e proprio lavoratore autonomo con partita IVA contrattato per un servizio. In pratica, un amico che viene a dare una mano deve essere assunto con regolare contratto (anche breve) o comunque inquadrato in una forma lecita (es. somministrazione tramite agenzia) . Non esiste la figura dell’“amico volontario” in agricoltura al di fuori dei casi di volontariato organizzato in ambito sociale. Quindi, far lavorare un conoscente senza contratto espone l’azienda alle stesse sanzioni del lavoro nero comune.

Riepilogo normativo:

  • Lavoro autonomo occasionale: ammesso se episodico e non professionale; soglia 5.000 € annui esente contributi , obbligo contributivo oltre soglia; redditi da dichiarare come “diversi” . Se attività di fatto abituale → va considerata impresa o lavoro autonomo con tutti gli obblighi (Partita IVA, contributi dal primo euro) .
  • Contratto di prestazione occasionale (voucher): in agricoltura non utilizzabile dal 2023 (e fino ad eventuali nuove norme), sostituito nel 2023-24 dal LOAgri; attualmente (2025) l’azienda agricola deve ricorrere a contratti a termine tradizionali per qualsiasi manodopera, anche di breve durata.
  • LOAgri 2023-24: regime speciale ora cessato; consentiva 45 giornate annue per specifiche categorie di lavoratori, con obblighi di autocertificazione e comunicazione, contributi agevolati e redditi esenti IRPEF . Violazioni (giorni extra, platea non ammessa) portavano a trasformazione del contratto o sanzioni pecuniarie .
  • Collaborazione familiare: parenti fino al 4º (anche 6º in taluni casi) possono aiutare gratuitamente in modo occasionale; se lavoro abituale, iscrizione come coadiuvanti. Nessun obbligo di assunzione per coniuge, figli, ecc. se l’aiuto è saltuario e non remunerato .
  • Terzi non parenti (“amici”): ogni attività prestata, anche breve, va regolarizzata (es. contratto a tempo determinato) perché non si può presumere gratuità .

Questo quadro normativo servirà da base per analizzare le contestazioni tipiche e individuare le linee di difesa. Quando un comportamento esce dal perimetro consentito (es.: si supera la soglia delle prestazioni occasionali, oppure si impiega manodopera senza contratto), intervengono controlli fiscali e ispettivi con possibili sanzioni e recuperi. Passiamo dunque a esaminare tali scenari concreti.

Principali cause di contestazione (fiscale, contributiva, lavoro nero)

Nonostante le intenzioni semplificatrici del legislatore, la gestione dei lavori occasionali in agricoltura può facilmente dare luogo a contestazioni da parte degli enti preposti al controllo: Agenzia delle Entrate (profilo tributario), INPS/INAIL (profilo contributivo e assicurativo) e Ispettorato del Lavoro (regolarità dei rapporti). Vediamo le situazioni tipiche in cui possono insorgere contestazioni e quali sono le violazioni addebitate al lavoratore o al datore di lavoro.

Accertamenti fiscali sui redditi occasionali agricoli

Dal punto di vista fiscale, due macro-situazioni possono portare a problemi: omessa dichiarazione di redditi occasionali da parte del percettore, oppure riqualificazione di redditi dichiarati come occasionali in altra categoria imponibile (reddito d’impresa o di lavoro dipendente).

  • Omissione o infedele dichiarazione: se un contribuente ha percepito compensi per lavori occasionali (ad esempio aiutando come bracciante saltuario in varie aziende) e non li ha dichiarati nella propria dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle Entrate può contestare un’evasione fiscale. Tali redditi, essendo redditi diversi, vanno sommati agli altri redditi IRPEF dell’anno. L’accertamento fiscale può scaturire da vari elementi: controlli incrociati (ad es. se qualche committente ha operato ritenute e le ha comunicate, il sistema dell’Anagrafe Tributaria rileva la mancata dichiarazione), verifiche sul tenore di vita (redditometro), segnalazioni da parte di ispettori del lavoro (che informano l’Agenzia di pagamenti in nero emersi in sede di ispezione) . In caso di accertamento, il contribuente dovrà pagare le imposte evase più sanzioni amministrative per infedele dichiarazione (di regola il 90% dell’imposta non versata, riducibile se si aderisce all’accertamento) e interessi. Se l’ammontare evaso è rilevante, potrebbero profilarsi anche ipotesi di reato tributario: per il reato di dichiarazione infedele occorre un’imposta evasa sopra 100.000 € e redditi non dichiarati oltre il 10% del totale o 2 milioni di euro (art. 4 D.Lgs. 74/2000) – scenario improbabile per occasionali agricoli, a meno di attività in realtà molto grandi camuffate; più comune potrebbe essere l’omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se il contribuente non presenta proprio la dichiarazione pur avendo avuto redditi sopra la soglia di esonero (circa 5.500 € se solo redditi diversi): se l’imposta evasa supera 50.000 €, scatta il reato. Ad esempio, un lavoratore che abbia guadagnato, poniamo, 10.000 € da vendite di prodotti agricoli in nero e non presenta la dichiarazione, superando 50k di imposta evasa (cosa difficile, con 10k di base imponibile l’imposta sarebbe di gran lunga inferiore) potrebbe incorrere in sanzioni penali; casi del genere sono però rari nelle prestazioni occasionali minori. In sintesi, sul piano fiscale le contestazioni normalmente restano amministrative, salvo frodi grosse.
  • Riqualificazione come reddito d’impresa o lavoro dipendente: L’Agenzia può contestare che certe somme non fossero redditi occasionali, ma piuttosto frutto di un’attività stabile. Ad esempio, immaginiamo un piccolo agricoltore che, senza aprire partita IVA, venda ogni anno quantitativi significativi di prodotti (vino, olio, ortaggi) “in nero” dichiarando solo magari qualche ricevuta come reddito occasionale. L’Ufficio potrebbe sostenere che in realtà egli esercitava un’attività agricola d’impresa (o un commercio) abituale e doveva essere titolare di partita IVA agricola, con determinazione del reddito secondo le regole catastali o contabili dell’impresa agricola. Un altro caso: un soggetto presta servizi agricoli (es. arature con trattore per conto terzi) qualificandoli come “prestazioni occasionali”, ma lo fa in modo ricorrente ogni stagione; l’Agenzia può ritenere che fosse un’attività professionale di contoterzista agricolo con obbligo di regime IVA e contabilità. La riqualificazione comporta diversi effetti: l’IVA evasa può essere richiesta (con sanzioni), il reddito tassato secondo il regime proprio (ad esempio come reddito agrario o d’impresa invece che come “diverso”, il che potrebbe comportare importi differenti), l’eventuale IRAP se ne ricorrono i presupposti (per attività autonomamente organizzate). Inoltre, se l’attività doveva essere d’impresa, l’Agenzia potrebbe contestare l’indebita sottrazione di materia imponibile (anche se il reddito diverso e quello d’impresa sono comunque tassati IRPEF, la differenza sta nell’IVA e nei possibili costi deducibili non considerati, ecc.). Tipicamente, comunque, per importi modesti l’Agenzia preferisce sanzionare amministrativamente e intimare la regolarizzazione per il futuro (cioè aprire partita IVA).

Un’ulteriore ipotesi è che un rapporto di lavoro venga simulato da prestazione occasionale: ad esempio, Caio lavora tutti i giorni nell’azienda agricola Alfa senza contratto e viene pagato con compensi “occasionali” mensili. In un controllo, l’Agenzia (su segnalazione dell’Ispettorato) può riqualificare quei compensi come redditi di lavoro dipendente. Ciò comporta che il datore avrebbe dovuto operare ritenute IRPEF mensili (come sostituto d’imposta); l’omessa effettuazione e versamento di tali ritenute è un illecito che comporta il recupero delle ritenute non versate (con sanzione dal 20% al 30% di esse) e, se superano 150.000 € annui, anche il reato di omesso versamento ritenute (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Anche qui, nelle piccole realtà agricole difficilmente si toccano cifre simili, ma l’effetto pratico è che l’azienda si vede contestare imposte non trattenute ai lavoratori in nero, che deve poi versare (salvo possibilità di farle ricadere sui lavoratori, cosa improbabile in contesti del genere).

In caso di accertamenti fiscali su redditi occasionali, come vedremo, il debitore d’imposta può difendersi in vari modi: dimostrando eventualmente la vera occasionalità (fornendo documentazione che l’attività era episodica), oppure avvalendosi degli istituti deflativi (adesione, conciliazione) per ridurre le sanzioni. È fondamentale anche sapere che il ravvedimento operoso è possibile fino a quando non si riceve formale notifica di controllo: ad esempio, se ci si accorge di non aver dichiarato un reddito occasionale di qualche migliaio di euro, conviene presentare una dichiarazione integrativa spontanea e pagare la maggiore imposta con sanzioni ridotte (di solito il 15% circa) e interessi, evitando guai peggiori.

Contestazioni contributive INPS su lavoro occasionale

L’INPS può intervenire su due fronti: la posizione previdenziale del lavoratore autonomo occasionale e il recupero dei contributi per rapporti di lavoro riqualificati come subordinati.

  • Contributi gestione separata per autonomi occasionali: come detto, sopra i 5.000 € annui scatta obbligo contributivo. Se un lavoratore ha superato la soglia e non ha versato nulla, l’INPS può iscriverlo d’ufficio alla Gestione Separata e pretendere i contributi dovuti. Un caso di contenzioso sorto in passato era se fossero dovuti contributi anche sotto i 5.000 € in caso di attività abituale. La Cassazione (Sez. Lav. ord. n. 4178/2023) ha affermato che il giudice non può escludere l’obbligo contributivo basandosi solo sul reddito sotto 5.000 €, se emerge che l’attività non era genuinamente occasionale . In altre parole, la soglia 5.000 vale solo per veri occasionali; se l’INPS prova che il lavoro era continuo (magari con più anni di redditi prossimi a 5.000 o con carattere professionale), può chiedere contributi anche per importi minori. La Cass. n. 11535/2024 ha ribadito che i contributi sono dovuti dal primo euro qualora il lavoro sia connotato da abitualità (richiamando la circ. INPS 9/2004) . Di solito, l’INPS può venire a conoscenza di queste situazioni dall’Agenzia Entrate (che comunica i redditi dichiarati come occasionali): se vede che un soggetto ha dichiarato per più anni importi vicini a 5.000 € da attività simili, potrebbe istruire un accertamento per verificarne la natura. In caso di mancato pagamento, l’INPS emette un avviso di addebito con valore di cartella esattoriale, per recuperare i contributi non versati più sanzioni (interessi e somme aggiuntive). Va ricordato che i contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni (salvo atti interruttivi); l’INPS negli ultimi anni tende ad accelerare i controlli proprio per evitare prescrizioni. Dunque, un lavoratore che abbia sforato la soglia nel 2019 e non abbia versato nulla potrebbe ricevere nel 2024 un avviso INPS.
  • Difesa: il soggetto potrà opporsi sostenendo eventualmente che quel reddito includeva rimborsi spese non soggetti a contribuzione (ma in genere l’INPS considera imponibile il netto dopo deduzione spese fatturate ) oppure che l’attività non era in realtà da assoggettare a Gestione Separata perché rientrava in altra categoria (ad es. se era un agronomo iscritto al suo albo con propria cassa di previdenza). In passato, chi era iscritto a un albo con cassa pensionistica poteva ritenere di non doversi iscrivere alla GS per piccoli lavori occasionali; su questo punto la Corte Costituzionale ha dichiarato legittimo l’obbligo di iscrizione comunque, se l’attività è diversa da quella coperta dalla cassa (C. Cost. sent. n. 104/2022). Quindi la strada difensiva è stretta: o dimostrare che non si è superata la soglia (magari per calcoli diversi sulle spese deducibili) o puntare sulla prescrizione se l’INPS ha tardato troppo.
  • Contributi e sanzioni per lavoro subordinato non dichiarato: questo è il capitolo più consistente. Se un datore di lavoro agricolo utilizza manodopera senza regolare assunzione (quindi in nero) oppure con un finto inquadramento (es. facendo finta che fosse un autonomo occasionale), l’INPS (e l’INAIL per la parte assicurativa) potranno reclamare tutti i contributi omessi come se quei lavoratori fossero stati assunti regolarmente sin dall’inizio. In genere, ciò avviene a seguito di un verbale ispettivo: gli ispettori del lavoro, quando scoprono lavoratori non registrati, trasmettono gli atti all’INPS che quantifica i contributi evasi. Spesso il periodo lavorativo viene determinato in via presuntiva: ad esempio, se Tizio viene sorpreso a lavorare in campo senza contratto e dichiara di aver iniziato 2 mesi prima, l’INPS chiederà i contributi per quei 2 mesi; se non si riesce a stabilire esattamente, possono presumere almeno l’intero trimestre. Il datore riceverà dall’INPS un prospetto con i contributi dovuti (per le varie gestioni: IVS, disoccupazione agricola, ecc.) più sanzioni civili – queste ultime consistono in interessi e penali per omesso versamento, che possono arrivare sino al 40% dei contributi dovuti per lavoro nero scoperto tardivamente. Inoltre, è dovuta anche la quota contributiva a carico del lavoratore, che però l’azienda non può più trattenere a posteriori, finendo per dover coprire anche quella (salvo rivalersi civilmente sul lavoratore, eventualità rara).
  • Accanto ai contributi, l’INPS può irrogare una sanzione amministrativa per l’omessa registrazione sul Libro Unico del Lavoro e per l’omessa comunicazione d’assunzione (quest’ultima però è assorbita dalla maxisanzione sul lavoro nero gestita dall’Ispettorato, di cui sotto). In pratica, le sanzioni contributive pure sono: pagamento integrale dei contributi arretrati + sanzioni civili. Non c’è un “condono” se il datore regolarizza dopo essere stato scoperto; tuttavia, come vedremo, se regolarizza prima dell’ispezione, si evitano le sanzioni amministrative.
  • Difesa: contestare i conteggi contributivi è possibile provando, ad esempio, che il periodo effettivo di lavoro è più breve di quanto presumono gli ispettori, o che taluni lavoratori erano già assicurati altrove (in agricoltura potrebbe ridurre qualcosa, ma di norma se uno lavora in nero altrove o aveva già un contratto part-time, ciò non esime dal versare contributi anche per quell’attività). Un aspetto importante: se il datore ritiene che i lavoratori coinvolti non fossero in realtà suoi dipendenti – ad esempio sostiene che fossero autonomi occasionali o dipendenti di un appaltatore – può contestare la riqualificazione in sede giudiziale. Sarà il giudice del lavoro a stabilire la natura del rapporto. In tali casi, spesso l’INPS è parte del giudizio insieme all’Ispettorato. Una sentenza di particolare rilievo (Cass. civ. Sez. L, ord. n. 13182/2023) ha affermato che la maxisanzione per lavoro irregolare (lavoro nero) punisce un illecito istantaneo che si consuma al momento dell’omessa comunicazione di instaurazione del rapporto . Ciò incide anche sulla competenza e sulla normativa applicabile nel tempo (fa fede la legge vigente al momento dell’inizio del rapporto irregolare, non quella della scoperta) . Per il datore contestato, però, più rilevante è che se il rapporto non era di subordinazione, la maxisanzione non si applica: l’Ispettorato stesso precisa che se una prestazione non comunicata è in realtà autonoma occasionale e sono stati assolti gli obblighi fiscali/previdenziali connessi, non si configura lavoro “sommerso” sanzionabile . Ad esempio, se un agricoltore si avvale di un contoterzista con partita IVA per arature e non ne comunica l’instaurazione (perché non va comunicata, essendo un appalto di servizi), non è lavoro nero. Oppure, se un lavoratore autonomo occasionale ha emesso ricevuta e il datore ha assolto gli eventuali obblighi (ritenuta d’acconto, pagamento oltre 5.000 € dei contributi alla Gestione Separata), la prestazione non è “in nero” anche se manca la comunicazione all’INL introdotta dal 2022 (la cui omissione da sola comporta solo una piccola sanzione, non la maxi – v. infra) . Quindi un argomento difensivo è: dimostrare che il rapporto era di natura diversa da quella subordinata. In agricoltura è complicato, perché molte mansioni agricole implicano orari e direttive tipiche del lavoro dipendente; tuttavia, potrebbero esservi casi limite, come appalti tra agricoltori (uno fornisce manodopera all’altro con propria organizzazione, ma qui si rischia la “somministrazione illecita”), o lavori a cottimo autonomo (es. uno raccoglie frutta per conto dell’azienda ma con mezzi propri e senza vincolo di orario). Bisogna avere elementi solidi, altrimenti in giudizio prevarrà la qualificazione ispettiva.

Ispezioni del lavoro e maxisanzione per lavoro nero

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), tramite i propri funzionari e in sinergia con Carabinieri NAS e Guardia di Finanza, effettua controlli nelle aziende agricole per verificare il rispetto delle norme sul lavoro. La violazione più grave e frequente è l’occupazione di lavoratori in nero, ovvero senza preventiva comunicazione di assunzione. La legge (art. 3 D.L. 12/2002 conv. L. 73/2002, modificato nel tempo) punisce il lavoro nero con la cosiddetta maxisanzione amministrativa, il cui importo dipende dal numero di giorni di lavoro irregolare accertati.

Gli importi, aggiornati da ultimo dal D.L. 19/2024 (in vigore dal 2 marzo 2024) con aumento del 30%, sono attualmente (2025) i seguenti :

  • Fino a 30 giorni di lavoro nero: sanzione da € 1.950 a € 11.700 per ciascun lavoratore irregolare .
  • Da 31 a 60 giorni: sanzione da € 3.900 a € 23.400 per ciascun lavoratore .
  • Oltre 60 giorni: sanzione da € 7.800 a € 46.800 per ciascun lavoratore .

Queste sono le fasce ordinarie. Inoltre, è prevista una maggiorazione del 20% della sanzione in caso di: recidiva (il datore già sanzionato per nero nei 3 anni precedenti), impiego di stranieri senza permesso, impiego di minori in età non lavorativa, oppure lavoratori percettori di Reddito di Cittadinanza . Queste circostanze aggravanti fanno aumentare sia il minimo che il massimo edittale (ad es. da 1.950→2.400 e 11.700→14.400 nella prima fascia, e così via) . La sanzione è per ciascun lavoratore; dunque se un’azienda aveva 3 lavoratori in nero scoperti, le sanzioni si triplicano.

La maxisanzione colpisce l’illecito di mancata comunicazione d’instaurazione del rapporto. La Cassazione la qualifica come illecito omissivo istantaneo con effetti permanenti: ciò significa che si consuma nel momento in cui sarebbe dovuta la comunicazione (entro le 24 ore antecedenti l’inizio del lavoro) e non viene fatta . Gli effetti permanenti si riferiscono al protrarsi dell’uso del lavoratore in nero, ma giuridicamente l’illecito è unico. Questo incide, ad esempio, sulla possibilità di applicare la normativa vigente a quella data (non vale la pena attesa di normative successive più favorevoli, salvo che intervengano prima della contestazione) .

Sono esclusi dalla maxisanzione alcuni casi particolari, come chiarito dal Ministero del Lavoro: rapporti familiari e societari. In particolare, non si applica la maxi solo perché manca la comunicazione se il lavoratore coinvolto è un familiare coadiuvante o un socio dell’impresa. Ad esempio, se in un controllo trovano il fratello dell’imprenditore che aiuta nei campi, formalmente non è stata fatta alcuna comunicazione d’assunzione; ma se si dimostra che trattasi di familiare coadiuvante, quell’omissione non configura lavoro “nero” ai fini sanzionatori (semmai c’è l’irregolarità contributiva se non è iscritto). Allo stesso modo, un socio di società agricola che lavora in azienda senza busta paga non attiva la maxisanzione (perché, tecnicamente, il socio non è un dipendente da assumere con comunicazione). Attenzione però: queste situazioni non sono esenti da oneri, significa solo che la maxisanzione amministrativa specifica non si applica direttamente. Ad esempio, il socio lavoratore deve essere assicurato all’INPS comunque; se non lo è, l’INPS recupererà contributi ma l’Ispettorato non comminerà la sanzione art.3 L.73/2002.

Un’ulteriore precisazione ministeriale riguarda la comunicazione obbligatoria dei lavoratori autonomi occasionali (introdotta dal 2022): il mancato invio di tale comunicazione all’INL non fa scattare automaticamente la maxisanzione, a meno che in realtà quella prestazione si configuri come lavoro subordinato mascherato e il datore non abbia adempiuto ai relativi obblighi fiscali/previdenziali . In pratica: se un agricoltore chiama un lavoratore occasionale autonomo per potare le piante e non manda la nuova comunicazione all’Ispettorato, rischia la sanzione pecuniaria specifica (500 € fino a 2.500 €) prevista per quell’omissione; ma non la maxi da migliaia di euro, a meno che quell’“occasionale” fosse in realtà un dipendente camuffato e non paghi contributi né tasse. Questa distinzione è importante in sede difensiva: se vien contestato lavoro nero ma il datore prova che il lavoratore era pagato con ritenuta d’acconto e che lui (datore) ha anche corrisposto i contributi di Gestione Separata eventualmente dovuti, allora il rapporto non è sommerso: l’omessa comunicazione ex art. 14 D.Lgs. 81/2015 (introdotta dall’art. 13 D.L. 146/2021) comporterà la multa specifica (pari a 500 € per ciascun lavoratore coinvolto), ma evita la maxi-sanzione e le accuse di lavoro nero .

Un’altra sanzione da citare, spesso contestuale al lavoro nero, è quella relativa al divieto di pagamento in contanti delle retribuzioni. Dal luglio 2018 è vietato pagare stipendi in contante direttamente al lavoratore (art. 1, co. 910-913, L. 205/2017); bisogna usare metodi tracciabili. Se in un accertamento si scopre che un dipendente è stato pagato cash, si applica una sanzione amministrativa (fino a 5.000 €). Nel caso di lavoro nero, spesso il pagamento avviene in contanti “di nascosto”; la normativa prevede che in tali casi si cumulino le sanzioni: quindi, ad esempio, ad un datore che ha pagato in nero 3 braccianti, saranno contestate sia la maxisanzione lavoro nero per ciascuno, sia la sanzione per il pagamento non tracciato per ciascuno . Questo aspetto peggiora la posizione del trasgressore. Unica via di scampo è se il pagamento non risulta provato (ma spesso vi sono ammissioni degli stessi lavoratori).

Riassumendo sulle ispezioni lavoro e maxi-sanzione: se arrivano gli ispettori e trovano lavoratori agricoli non regolarmente assunti, il datore rischia multe molto elevate, oltre ai contributi. Tuttavia, la legge incentiva la regolarizzazione spontaneanessuna maxisanzione si applica se il datore, prima dell’ispezione, ha già provveduto a regolarizzare integralmente il rapporto in nero . Ciò significa: se un imprenditore si rende conto di aver fatto lavorare qualcuno irregolarmente, può correre ai ripari prima di essere scoperto assumendo retroattivamente il lavoratore e versando i contributi dovuti per tutto il periodo. In tal caso, se poi anche arriva un controllo, la maxi non si applica affatto (il rapporto non è più “sommerso”). Inoltre, la normativa prevede la possibilità, dopo un’ispezione, di evitare il peggio attraverso la diffida obbligatoria: istituto reintrodotto nel 2015, consente al datore colto in fallo di ottenere la sanzione ridotta al minimo se assume il lavoratore e lo mantiene per almeno 3 mesi . In particolare, la procedura di diffida (art.13 D.Lgs. 124/2004) per lavoro nero funziona così: entro 120 giorni dalla notifica del verbale ispettivo, il datore deve assumere (o mantenere assunto) il lavoratore per almeno 90 giorni e regolarizzare tutto il pregresso (pagare contributi, differenze retributive) . Se il lavoratore era ancora in forza al momento dell’ispezione, la regolarizzazione dev’essere con contratto a tempo indeterminato (anche part-time ma almeno 50% delle ore) oppure a tempo pieno determinato di almeno 3 mesi ; se era già cessato prima del controllo, il datore deve corrispondergli tutte le retribuzioni arretrate e contributi per il periodo in nero . Una volta adempiuto e provata la permanenza del rapporto per 3 mesi, la maxisanzione viene applicata nel minimo edittale (es. 1.950 € se entro 30 gg) . La diffida però non è ammessa nei casi più gravi (lavoratori irregolari extracomunitari clandestini, minori non occupabili, percettori di RdC): in tali situazioni non è concessa la sanatoria agevolata e la sanzione resta in misura piena . La logica è colpire più duramente chi sfrutta soggetti vulnerabili o froda lo Stato (caso RdC). Per gli altri, invece, il sistema premia il comportamento collaborativo del trasgressore nel regolarizzare (evitando ricorsi e integrando i contributi) .

Profili penali: false dichiarazioni, lavoro nero aggravato e altri illeciti

In ambito di lavoro occasionale agricolo emergono talvolta risvolti penali. Va subito detto che impiegare un lavoratore in nero, di per sé, non costituisce reato penale (è un illecito amministrativo, sanzionato con la maxi come visto). Tuttavia, possono configurarsi reati in determinate circostanze:

  • Falsità in atti e dichiarazioni mendaci: un esempio attuale è quello delle false autocertificazioni nell’ambito del LOAgri. Se un lavoratore, per farsi assumere come occasionale, ha falsamente dichiarato di possedere requisiti (es. ha dichiarato di essere disoccupato o studente mentre non lo era, oppure di non aver lavorato in agricoltura nei 3 anni mentre invece lo aveva fatto), può incorrere in sanzioni penali. L’autocertificazione resa al datore ai sensi del D.P.R. 445/2000 è infatti utilizzata per un adempimento di legge; dichiarare il falso in tale autocertificazione integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) o la falsa attestazione a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.), puniti con la reclusione fino a 2 anni o più a seconda dei casi. In particolare, l’art. 76 D.P.R. 445/2000 richiama l’applicabilità delle sanzioni penali per le dichiarazioni mendaci rese in autocertificazione. Nel nostro caso, il datore di lavoro agricolo che riceve l’autocertificazione è tenuto a conservarla per eventuali controlli: se un ente (INPS o Ispettorato) scopre che era falsa, segnalerà il fatto all’Autorità Giudiziaria. Ad esempio, se Caio ha nascosto di aver avuto contratti agricoli negli anni precedenti per rientrare tra i disoccupati ammissibili, e ciò viene scoperto, oltre a perdere i requisiti del LOAgri (con sanzioni amministrative per il datore che però sarà esente se c’è stata appunto dichiarazione mendace del lavoratore ), Caio stesso rischia una denuncia per falso. Similmente, false dichiarazioni ai verificatori costituiscono reato: se durante un’ispezione il datore o il lavoratore rilasciano dichiarazioni non veritiere in verbale, vi può essere il reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale. È sempre consigliabile evitare di mentire agli ispettori: meglio tacere o rimandare le risposte, perché una bugia può aggravare la posizione.
  • Somministrazione illecita di manodopera: in agricoltura è diffuso il fenomeno del caporalato, ossia intermediazione illecita di manodopera spesso sfruttata. Il caporale recluta braccianti e li fa lavorare presso aziende percependo una parte del loro compenso. Questo comportamento configura il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.), punito con la reclusione da 1 a 6 anni e multa fino a 1.000 € per ciascun lavoratore sfruttato. Affinché vi sia reato, occorre uno sfruttamento (paghe misere, orari massacranti, condizioni degradanti) e un approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori. Molti casi emersi riguardano l’agricoltura intensiva (raccolta ortofrutta) in cui extracomunitari vengono impiegati tramite caporali senza alcuna tutela. Dal punto di vista del datore di lavoro agricolo (il proprietario del campo), questi può essere incriminato se ha utilizzato manodopera attraverso il caporale e ha sfruttato i lavoratori (ad es. pagandoli 3 € l’ora). Si tratta però di situazioni estreme. Un piccolo imprenditore che ha un paio di persone in nero, pagandole magari anche decentemente, non ricade nel 603-bis (che richiede appunto le circostanze aggravanti di sfruttamento organizzato). Tuttavia, va menzionato perché in alcuni casi di contestazioni serie l’INL può trasmettere atti in Procura per valutare la sussistenza del caporalato. In un’ottica difensiva, l’imprenditore agricolo deve poter dimostrare di non aver sfruttato i lavoratori: ad esempio pagando salari in linea coi contratti (magari l’irregolarità era solo formale), non sottoponendoli a condizioni disumane, ecc. Se ci sono queste prove, difficilmente scatterà l’accusa penale (restando solo quella amministrativa).
  • Reati connessi al Reddito di Cittadinanza*: come già accennato, alcuni lavoratori occasionali agricoli potrebbero essere *percettori di RdC che arrotondano in nero. Questo incrocio è pericoloso. La normativa sul RdC (D.L. 4/2019 convertito) punisce severamente chi ometta di comunicare variazioni di reddito o occupazione. In particolare, l’art. 7, co. 2, D.L. 4/2019 stabilisce che il beneficiario di RdC che non comunica all’INPS l’inizio di un’attività di lavoro (anche breve) entro 15 giorni commette un reato. La Cassazione Penale ha confermato condanne a carico di percettori RdC sorpresi a lavorare in nero nei campi, ritenendo integrato il reato anche se il lavoro era a tempo determinato e di durata limitata . Ad esempio, la Cass. pen. n. 49047/2023 ha ritenuto colpevole un soggetto che aveva lavorato 43 giorni senza dirlo, ribadendo che l’obbligo di comunicazione è tassativo e serve a consentire la revoca/riduzione del beneficio . Le pene per questo reato vanno da 1 a 3 anni di reclusione. Inoltre il soggetto deve restituire tutte le somme del RdC percepite indebitamente. Dunque, per i percettori RdC il lavoro nero comporta un doppio rischio: la sanzione amministrativa come lavoratore in nero (che però colpisce soprattutto il datore) e la responsabilità penale personale per aver truffato lo Stato. Nel punto di vista del “debitore” consideriamo che spesso il percettore RdC è il lavoratore stesso contestato: come difendersi? Essenzialmente provando di non aver commesso l’omissione consapevolmente – il che è arduo, dato che la legge è chiara. Oppure, cercando riti alternativi (patteggiamento) per ridurre la pena ed evitando assolutamente di reiterare l’errore. Va notato che dal 2024 il RdC è stato sostituito da altre misure (AdI – Assegno di Inclusione), ma anche queste prevedono analoghi obblighi di comunicazione.
  • Altri reati fiscali o contributivi: un datore di lavoro che tenga lavoratori in nero potrebbe incorrere anche nel reato di omesso versamento di ritenute previdenziali (art. 2, co.1-bis, D.L. 463/1983) se, dopo aver regolarizzato, non paga i contributi entro il termine (oggi la soglia penale è omesso versamento > €10.000 annui). Tuttavia, questo reato interviene solo dopo una formale regolarizzazione: se il datore non versa, l’INPS può denunciarlo. In agricoltura capita di rado, perché di solito prima c’è l’azione ispettiva e la diffida. Anche il reato di omesso versamento ritenute fiscali (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) potrebbe, teoricamente, sussistere se il datore ha simulato pagamenti occasionali a lavoratori e trattenuto fittiziamente ritenute senza versarle. Ma più spesso, se erano in nero, non vi era neppure ritenuta formalizzata, quindi non si configura questo reato (che richiede che la certificazione sia rilasciata al dipendente – cosa che non avviene in nero).

In definitiva, i profili penali nelle contestazioni di redditi da lavori occasionali agricoli riguardano soprattutto false dichiarazioni/documenti e i casi di frodi a danno di enti pubblici (come il RdC), oltre ai casi estremi di sfruttamento lavorativo. La difesa in sede penale richiede un approccio diverso (avvocato penalista, valutazione della prova, eventuali cause di non punibilità come l’aver pagato i contributi prima del dibattimento che estingue il reato di omesso versamento, ecc.). In questa guida, orientata al punto di vista del debitore inteso come soggetto sanzionato amministrativamente o civilmente, basti la consapevolezza di queste possibili conseguenze. Nei prossimi paragrafi ci concentreremo su come difendersi efficacemente nelle sedi appropriate (commissioni tributarie, tribunale del lavoro, ecc.) rispetto alle contestazioni ricevute.

Come difendersi dalle contestazioni

Affrontare una contestazione su redditi da lavoro occasionale agricolo richiede un’analisi attenta della natura dell’accertamento e degli strumenti di tutela a disposizione. In generale, il debitore (sia esso il lavoratore chiamato a pagare imposte o l’imprenditore sanzionato) non è privo di difese: il sistema prevede vari rimedi sia in via amministrativa (istanze di autotutela, adesione, diffida) sia giurisdizionale (ricorsi alle commissioni tributarie o al giudice del lavoro, opposizioni a sanzioni). Vediamo le strategie difensive caso per caso.

Difendersi da un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate

Se si riceve un avviso di accertamento o una comunicazione di irregolarità dall’Agenzia delle Entrate riguardante redditi occasionali agricoli, le possibili contestazioni sono: imposte evase su compensi non dichiarati, o riclassificazione dei redditi. I passi da seguire:

  1. Verificare la fondatezza e l’eventuale documentazione: Innanzitutto, va esaminato in dettaglio l’accertamento. Se l’Agenzia contesta redditi non dichiarati, cerchiamo di capire come li ha individuati. Spesso allegano prospetti con i dati. Ad esempio, potrebbe essere stato segnalato dal sostituto d’imposta (es. un’azienda ha emesso CU per 1.000 € di prestazione occasionale a tuo nome e tu non l’hai dichiarata). Oppure hanno calcolato un maggior reddito d’impresa presunto sulla base di vendite. Occorre recuperare tutte le pezze giustificative: ricevute, CU, estratti conto bancari in cui compaiono bonifici, ecc. In sede di contraddittorio col Fisco, poter dimostrare pagamenti già tassati o errori di calcolo è fondamentale. Se ad esempio contestano 10.000 € non dichiarati, ma in realtà 2.000 erano rimborsi spese documentati (quindi non reddito) o duplicazioni, bisogna segnalarlo.
  2. Valutare gli istituti deflativi: L’Agenzia delle Entrate, prima di emettere un avviso definitivo, in certi casi invita il contribuente al contraddittorio (soprattutto negli accertamenti da indagini finanziarie o redditometro). È opportuno partecipare, magari con un consulente, e fornire spiegazioni e documenti. Se l’accertamento è già emesso, si può valutare la definizione agevolata: per avvisi bonari (comunicazioni di irregolarità) il pagamento nei termini con lieve sanzione ridotta chiude la faccenda; per avvisi di accertamento veri e propri c’è la possibilità di adesione all’accertamento (chiedendo incontro e trovando un accordo). L’adesione riduce le sanzioni a 1/3 di quelle piene. Ad esempio, su un’imposta accertata di 1.000 € con sanzione base 90% (900 €), si pagherebbero 300 € di sanzione invece di 900 €. Se il contribuente riconosce almeno in parte il debito, l’adesione conviene per risparmiare soldi ed evitare lite. In caso invece si ritenga l’accertamento totalmente infondato, si può optare direttamente per il ricorso.
  3. Ricorso in Commissione (Corte) Tributaria: Per importi e questioni non risolvibili bonariamente, il contribuente può presentare ricorso al giudice tributario (entro 60 giorni dall’atto). Nel ricorso si potranno far valere tutte le eccezioni: ad esempio, assenza di prova del reddito accertato, o natura non imponibile di certe somme. Si pensi ad un agricoltore hobbista a cui contestano la vendita occasionale di prodotti come reddito d’impresa: egli potrà difendersi sostenendo che trattavasi di redditi occasionali esenti entro certe soglie (ad esempio, la vendita di prodotti del proprio orto in mercatini per poche centinaia di euro potrebbe essere considerata attività non esercitata abitualmente e quindi reddito diverso di modesta entità; se è sotto 5.000 € e saltuaria, rientra comunque nei redditi diversi). In Commissione tributaria, sarà utile citare orientamenti di giurisprudenza: ad esempio sentenze che riconoscono come occasionale un’attività se manca organizzazione e volontà di stabilità . Nel caso di riqualificazione a lavoro dipendente, il datore (sostituto) potrebbe contestare che non vi era vincolo di subordinazione e che semmai quelle somme andavano trattate come redditi diversi (evitando così sanzioni su ritenute non operate). Serviranno testimonianze o contratti per provarlo.
  4. Prescrizione e decadenza: controllare se l’accertamento è stato notificato entro i termini. In materia di imposte sui redditi, di regola l’Agenzia può emettere accertamento entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (se omessa dichiarazione, entro il settimo). Ad esempio, per redditi 2019 non dichiarati, termine 31/12/2025. Se arriva oltre, è nullo per decadenza. Questo va eccepito nel ricorso, in via preliminare.
  5. Autotutela: In parallelo al ricorso, se vi sono errori evidenti dell’Ufficio (es. hanno attribuito redditi a persona sbagliata o doppi conteggi), si può presentare istanza di autotutela chiedendo l’annullamento parziale o totale. L’autotutela è discrezionale per l’ente, ma tentare non nuoce.
  6. Prova documentale e testimoniale: nel processo tributario la prova testimoniale non è ammessa (salvo per atti penali acquisiti). Quindi occorre puntare su documenti. Esempio: il Fisco presume vendite in nero guardando un conto corrente? Il contribuente può produrre documenti che spieghino quei movimenti (es. bonifico ricevuto da un parente come prestito, non una vendita). Oppure, se contestano reddito d’impresa mentre era occasionale, presentare evidenze che non c’era continuità: contratti di lavoro proprio (per dimostrare che l’interessato aveva un altro impiego e quindi l’attività agricola era hobbistica), mancanza di mezzi (nessuna attrezzatura professionale posseduta), ecc. Cassazione 10971/2022 insegna che l’abitualità si vede ex ante da elementi oggettivi ; quindi se mancano tutti i tipici indicatori (niente P. IVA, niente iscrizioni, niente macchinari se non di uso domestico), si corrobora la tesi dell’occasionalità.

In generale, per le imposte la difesa mira o a ridurre il quantum (ad esempio documentando spese deducibili che l’Ufficio non aveva considerato: i redditi diversi possono dedurre le spese inerenti sostenute per produrli ), o ad annullare l’accertamento per carenza di presupposti (es. dimostrare che quell’attività non era economicamente significativa, oppure che c’è stato doppio imposizione già tassata altrove, ecc.). È sempre consigliabile farsi assistere da un tributarista o commercialista in queste fasi, data la tecnicalità.

Un caso peculiare: se l’Agenzia notifica un atto per ritenute non operate su lavoratori in nero, il datore può evidenziare che i lavoratori hanno già dichiarato quei redditi e pagato l’IRPEF (succede a volte, se il lavoratore nel frattempo regolarizza la propria posizione fiscale). In tal caso, come stabilito da giurisprudenza, il Fisco non può pretendere di nuovo le imposte (per evitare doppia imposizione); al più sanzionerà l’omessa ritenuta formale ma senza richiedere l’imposta già assolta dal percettore. Quindi recuperare eventuali dichiarazioni dei redditi dei lavoratori è utile in questi casi.

Difendersi dalle richieste INPS e INAIL di contributi

Le richieste contributive dell’INPS relative a lavori occasionali agricoli assumono la forma di Avvisi di Addebito immediatamente esecutivi. Ciò significa che, trascorsi i termini, diventano come cartelle esattoriali su cui può agire Agenzia Entrate Riscossione (pignoramenti ecc.). Dunque, è importante attivarsi tempestivamente.

  • Opposizione giudiziaria: Le pretese contributive possono essere contestate davanti al Tribunale – Sezione Lavoro (competente per materia previdenziale) entro 40 giorni dalla notifica dell’avviso di addebito o dell’ordinanza-ingiunzione. Si introduce il giudizio con ricorso in tribunale (spesso tecnicamente un’opposizione ex art. 24 D.Lgs. 46/1999 se è già avviso). Il giudice del lavoro valuterà nel merito se quei contributi sono dovuti. Ad esempio: se l’INPS ha ingiunto contributi per un lavoratore X su 6 mesi di lavoro nero presunto, il datore può opporsi sostenendo che X ha lavorato solo 1 mese, producendo elementi (testimonianze raccolte in sede ispettiva, messaggi, calendario raccolta…). Il giudice potrebbe ridurre il periodo contributivo dovuto. Oppure, se l’INPS ha chiesto contributi gestione separata per un autonomo occasionale, il lavoratore può opporsi affermando che quell’attività era già soggetta a cassa separata (ad es. era medico iscritto all’ENPAM e l’attività occasionale era di natura medica, quindi doveva andare nella cassa ENPAM, non INPS GS). Si tratta di eccezioni tecniche, ma a volte valide.
  • Rateazione o sospensione: Contestualmente al ricorso, se l’importo è elevato, si può chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione, per evitare che l’INPS (tramite agente riscossione) proceda a ruoli. In genere i giudici concedono la sospensione se vedono fumus nelle ragioni del ricorrente e periculum (danno grave se si dovesse pagare subito). Inoltre, l’INPS consente di chiedere rateizzazioni amministrative del debito: presentare una domanda di dilazione non pregiudica il ricorso (purché magari si faccia salvo che è “senza rinuncia di diritti”). Se però si paga a rate, poi in caso di esito favorevole sarà più difficile recuperare; quindi spesso conviene chiedere al giudice sospensione e non pagare in attesa dell’esito, se il caso è fondato.
  • Decadenza e prescrizione: L’INPS per le contribuzioni successive al 2015 ha termini stringenti di decadenza per notificare accertamenti (90 giorni dal verbale ispettivo per emettere addebito, ad esempio). Se ha sforato questi termini, il ricorso può far leva su ciò (norme del D.Lgs. 46/1999 e L. 388/2000). La prescrizione, come detto, è 5 anni. Se l’INPS ha tardato oltre 5 anni dal periodo dovuto senza atti interruttivi, il debito è estinto: va eccepito dal ricorrente, altrimenti non è rilevato d’ufficio.
  • Difesa nel merito: Nel giudizio, il datore può portare testimoni (qui sì ammessi, diversamente dal processo tributario) e ogni elemento utile. Spesso la controversia verte sul rapporto di lavoro: l’INPS chiede contributi come per lavoro subordinato; il datore sostiene che non era subordinato. Sarà decisiva la valutazione di fatto: se i testimoni (es. il lavoratore stesso) confermano orari fissi, direzioni impartite, ecc., il giudice confermerà la natura subordinata e quindi i contributi. Se invece emergono dubbi (il lavoratore magari era autonomo con sua partita IVA), l’INPS potrebbe vedersi annullare la richiesta per infondatezza. In sede contributiva conta anche se eventuali compensi sono già stati assoggettati a qualche forma: per dire, se un lavoratore ha pagato la Gestione Separata su quell’attività perché considerata autonoma e poi INPS la riqualifica come dipendente, bisognerebbe evitare doppio pagamento. Il giudice potrebbe allora scalare quanto eventualmente versato alla GS.
  • Conciliazione: In materia previdenziale non c’è un vero istituto di adesione come nel fiscale, ma c’è sempre la possibilità di trovare un accordo transattivo con l’INPS (non su importi dovuti per legge, ma su sanzioni civili, oppure concordare il periodo). Tuttavia, l’INPS ha poteri limitati a ridurre sanzioni solo in casi di crisi aziendali con dilazioni. Diversamente, tutto il contributo dovuto per legge tende a pretenderlo.
  • INAIL: se c’è anche un verbale INAIL (per premi assicurativi sui lavoratori in nero, spesso modulato sul tasso agricolo), l’opposizione va fatta all’INAIL e poi al giudice del lavoro, analogamente. L’INAIL calcola premi evasi in base alle giornate lavorative contestate e al tasso di rischio; le difese saranno parallele a quelle contributive (ridurre le giornate, ecc.). Anche l’INAIL ha termine prescrizionale 5 anni.
  • Diffida accertativa: A latere, se l’Ispettorato ha emesso diffida accertativa per crediti patrimoniali (es. imponendo al datore di pagare differenze di retribuzione ai lavoratori in nero), il datore può opporsi entro 30 giorni al tribunale. Questo non riguarda l’INPS ma i lavoratori. È rilevante perché a volte, difendendosi, il datore può far emergere che i lavoratori erano già stati pagati a forfait includendo tutto (anche se in nero). Ma se c’è un verbale che liquida differenze paghe, occorre contestarlo se non corretto.

In sintesi, la difesa contro richieste INPS/INAIL ruota spesso attorno a contestare la base della pretesa (durata rapporto, natura rapporto) e a far valere aspetti procedurali (termini, errori formali). Data la tecnicità del rito del lavoro, è altamente consigliato farsi assistere da un avvocato giuslavorista o esperto in previdenza.

Difendersi da sanzioni per lavoro nero (maxisanzione)

La maxisanzione è irrogata tipicamente con un Verbale unico di accertamento e notificazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro, a cui segue un’ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione Territoriale del Lavoro competente. Il datore, in qualità di trasgressore, può:

  • Presentare scritti difensivi e chiedere audizione entro 30 giorni dalla notifica del verbale di primo accesso ispettivo (ex art. 13 L. 689/81). In questa fase amministrativa, si può argomentare che ricorrono motivi per l’archiviazione o la riduzione (ad esempio, sostenere che un soggetto non era lavoratore subordinato ma familiare coadiuvante – allegando stato di famiglia che provi la parentela e spiegazioni sul carattere gratuito). L’autorità amministrativa potrebbe, in teoria, archiviare o ridurre sanzioni se coglie l’errore (non frequente, ma possibile in caso di evidenti fraintendimenti).
  • Fare opposizione all’ordinanza-ingiunzione: una volta emessa la sanzione, il datore ha 30 giorni (60 se risiede all’estero) per proporre opposizione davanti al Tribunale civile in funzione di giudice del lavoro. L’opposizione è un atto di citazione (o ricorso, a seconda delle prassi) che introduce il giudizio di merito sulla legittimità della sanzione amministrativa. In questa sede, si possono far valere sia vizi formali (es. verbale notificato fuori termine, motivazione insufficiente) sia il merito (il fatto contestato non sussiste o non costituisce violazione). Ad esempio, si ribadirà la natura di collaborazione familiare occasionale se era un parente, o l’avvenuta regolarizzazione preventiva (che renderebbe non dovuta la sanzione, visto che la legge esclude la maxi se prima dell’ispezione c’è regolarizzazione ). Prova chiave è dimostrare che prima dell’accesso ispettivo si era già provveduto: qui sarà determinante esibire ad esempio l’UNILAV di assunzione inviata spontaneamente, con data certa antecedente l’ispezione, o copie di versamenti contributivi effettuati spontaneamente. Se si riesce a provarlo, il giudice annullerà la sanzione (come da art. 3, co.3-quater D.L. 12/2002 che esonera dalla maxi in caso di regolarizzazione spontanea integrale) . Un altro motivo di opposizione: contestare il quantum giornate. Spesso gli ispettori applicano la fascia massima (oltre 60 gg) se trovano il lavoratore in nero e non sanno da quanto lavorava. Il datore può portare prove (sms, testimonianze) che magari quella era la prima settimana di lavoro. Se convince il giudice, la sanzione scenderà alla fascia corretta (es. da oltre 60 gg a entro 30 gg, riducendo migliaia di euro).
  • Diffida e pagamento minimo: se il datore ha ottemperato alla diffida come da verbale (assunto a tempo indeterminato il lavoratore per 3 mesi, pagato contributi e salari arretrati), ha diritto alla sanzione minima . Quindi, se nonostante ciò l’ordinanza ingiunge un importo più alto, l’opposizione verterà sulla richiesta di riduzione al minimo edittale, provando il puntuale adempimento alla diffida (contratto in essere, contributi versati, ecc.). Il giudice verificherà se davvero il rapporto è proseguito per almeno 3 mesi al netto del periodo in nero . Se il lavoratore si è dimesso prima dei 3 mesi, purtroppo la diffida non si considera compiuta , salvo circostanze eccezionali (es. morte del lavoratore, ma in tal caso il Ministero ammise regolarizzazione con altro contratto successivo ).
  • Motivi formali: controllare che l’ordinanza-ingiunzione citi correttamente i fatti, le norme violate, e sia emessa dall’autorità competente. Se, ad esempio, più tempo è trascorso e la competenza sanzionatoria è passata all’Ispettorato Territoriale, un’ordinanza emessa da organo incompetente può essere annullata. Oppure se la notifica è viziata. Queste cose da sole possono far annullare l’atto, ma spesso l’amministrazione può riemetterlo correggendo.

Nel giudizio di opposizione, il giudice può rideterminare liberamente la sanzione tra il minimo e il massimo secondo equità, tenendo conto delle circostanze (art. 11 L. 689/81). Dunque se ad esempio erano 10 giorni di nero, il giudice potrebbe decidere di applicare il minimo 1.950€ e non 11.700€, se reputa non grave la violazione (specie se è stata sanata con assunzione stabile).

Chi ha ricevuto la maxi-sanzione deve valutare costi/benefici del ricorso: se ha effettivamente sfruttato lavoratori per lungo tempo, la contestazione troverà forti resistenze in giudizio. Se invece ha appigli (familiare, ecc.), conviene tentare. Ricordiamo che la procedura di diffida consente di pagare il minimo in 120 giorni senza interessi se si regolarizza: molti scelgono questa via perché elimina l’incertezza. Difendersi ha senso quando si mira all’annullamento totale (es. perché il “lavoratore” in realtà era un socio o familiare, quindi non c’era obbligo di comunicazione).

In caso di contestazioni miste (fiscali, contributive, sanzioni) conviene coordinare le difese: ad esempio, se si sostiene che era collaborazione familiare per evitare la maxi-sanzione, lo stesso argomento andrà usato contro l’INPS per non pagare contributi da dipendente. Un’incongruenza potrebbe nuocere (non si può dire in un giudizio che quello era dipendente e in un altro che non lo era: occorre coerenza).

Difendersi da accuse penali

Sul fronte penale, il “difendersi” assume un carattere diverso: si tratta di evitare condanne, eventualmente patteggiare, o ottenere assoluzioni dimostrando l’assenza di dolo o la non configurabilità del reato. Le ipotesi più comuni le abbiamo già analizzate:

  • False dichiarazioni (autocertificazioni): la difesa potrebbe consistere nel sostenere che la dichiarazione non aveva valore di atto pubblico (ma se resa ai sensi DPR 445/2000, lo ha) oppure invocare attenuanti (ad es. l’aver immediatamente ammesso l’errore, l’aver cagionato danno modesto). In pratico, in un processo penale per falso, il lavoratore imputato potrebbe chiedere misure alternative (messa alla prova, se incensurato, per estinguere il reato svolgendo lavori di pubblica utilità) o patteggiare ad una pena minima evitando il carcere effettivo.
  • Caporalato (603-bis): qui la difesa è molto incentrata sui fatti: dimostrare che le condizioni di lavoro non erano di sfruttamento, che i lavoratori erano liberi di accettare, che le paghe erano conformi ai minimi, ecc. Se ciò riesce, il fatto potrebbe essere derubricato in una semplice violazione amministrativa (lavoro nero) senza rilevanza penale. Vista la gravità (anche se raramente tocca il piccolo imprenditore se non c’è intermediazione organizzata), è un caso da gestire con avvocati penalisti specialisti.
  • Reati RdC: L’unica vera difesa per l’imputato è provare che ha effettuato la comunicazione (se magari c’è stata una comunicazione tardiva ma prima di scoprire il reato, potrebbe valere come causa di non punibilità? La norma non lo prevede espressamente, ma se l’INPS era stata avvisata e magari erroneamente non ha interrotto il RdC, l’imputato può sostenere la sua buona fede). Altrimenti, la strada è il patteggiamento con restituzione immediata dell’indebito (spesso i giudici, vedendo la restituzione del RdC percepito, concedono attenuanti). Ci sono stati casi di condanna a 1 anno e 8 mesi poi ridotti, ma sempre con condizionale se incensurati . Quindi la difesa punterà a contenere la pena sotto i 2 anni (sospendibili) e a risarcire il danno (restituzione).
  • Omessi versamenti: se in seguito l’imprenditore non versa contributi o ritenute e viene imputato, l’unica causa di non punibilità è il pagamento integrale di quanto dovuto prima del dibattimento (per i reati ex art. 2 co.1-bis DL 463/83 e art. 10-bis DLgs 74/2000). Quindi difesa = pagare e chiedere l’estinzione del reato. Altrimenti, si patteggia entro il minimo.

Infine, ricordiamo che un debitore (datore o persona fisica) sottoposto a procedimenti penali dovrebbe evitare di rendere dichiarazioni autoincriminanti durante le ispezioni: la Cassazione (SS.UU. sent. 35488/2007) ha stabilito che il datore non è obbligato a collaborare con affermazioni che potrebbero incriminarlo penalmente . C’è il principio nemo tenetur se detegere. Quindi, se un imprenditore teme il caporalato o il RdC fraudolento, farebbe meglio a farsi assistere da un avvocato sin dall’inizio e ponderare cosa dichiarare.

Riassumendo, la miglior difesa è spesso la prevenzione: mantenere la posizione contributiva in regola, evitare di superare limiti occasionali, usare i contratti di lavoro laddove necessari, e in caso di errore regolarizzare prima di essere scoperti. Quando la contestazione ormai c’è, occorre conoscere i propri diritti (presentare ricorso nelle sedi opportune, rispettare i termini brevi del lavoro, produrre prove) e, se possibile, negoziare (conciliare col Fisco o con l’Ispettorato) per ridurre il danno.

Nei prossimi capitoli, forniremo tabelle di sintesi e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni, con esempi pratici basati su casi reali semplificati, così da fissare i concetti esposti finora.

Tabelle riepilogative

Di seguito, alcune tabelle sintetiche per riepilogare i punti chiave relativi a normative, limiti e sanzioni riguardanti i lavori occasionali agricoli, nonché le possibili difese e rimedi.

Tabella 1: Tipologie di prestazioni occasionali in agricoltura e disciplina

Tipologia prestazioneNormativa di riferimentoCondizioni / LimitiTrattamento fiscaleContributi INPS
Lavoro autonomo occasionale (prestazione episodica senza abitualità, es. consulenza agronomica una tantum)– Art. 2222 c.c. (contratto d’opera)<br>– Art. 67 c.1 lett. l) TUIR (redditi diversi)– Autonomia e assenza vincolo direttivo<br>– Occasionale nel tempo, non organizzato in impresa<br>– No abitualità (non ripetuto regolarmente)<br>– Nessun limite di durata per legge; prudenzialmente <30 gg per committente– Reddito soggetto a IRPEF come “reddito diverso” <br>– Se committente sostituto: ritenuta d’acconto 20% <br>– Niente IVA (attività non professionale)– Esente contributi fino a €5.000 annui (complessivi) <br>– Oltre €5.000: iscrizione Gestione Separata e contributi su quota eccedente <br>– Aliquota 33% ca.; 2/3 a carico committente 1/3 prestatore (se pattuito netto, di fatto tutto a carico datore)
Prestazione occasionale tramite “Contratto di prestazione occasionale” (voucher PrestO) – NON più ammesso in agricoltura dal 2023– Art. 54-bis D.L. 50/2017 (conv. L.96/17) <br>– (Abrogato per agricoltura da L.197/2022 art.1 c.343)Fino al 2022 (regime abrogato):<br>– Consentito solo a imprend. agricoli con ≤5 dip. (poi 10) indeterminati <br>– Prestatori ammessi: pensionati, giovani <25, disoccupati, percettori NASpI/RdC, etc. (no operai agricoli con esperienza recente) <br>– Limite compensi per azienda €10.000/anno, per lavoratore €2.500 presso stesso datore<br>– Durata max 280 ore/anno (prima) o calcolo giorni (poi)<br>(Queste regole sostituite da LOAgri 2023-24)– Compenso minimo orario = paga oraria contrattuale (in agricoltura era specifico) <br>– Compensi esenti IRPEF (voucher netti per lavoratore)– Contributi gestione lavoro occasionale (INPS) e assicurazione INAIL dedotti dal valore nominale voucher<br>– Aliquote: IVS 33% + INAIL 3.5% (sul lordo)<br>(NB: il prestatore maturava contribuzione figurativa minima)
LOAgri (Lavoro occasionale agricolo a termine) – (vigente solo 2023-2024)– L. 197/2022 art. 1 commi 343-354 <br>– Circ. INPS n.102/2023 (istruz. operative)– Datori: impr. agricoli ≤10 dip. indeterminati , in regola con CCNL <br>– Prestatori: disoccupati, percettori NASpI/RdC, pensionati, studenti <25, detenuti (no ex-lav. agricoli ultimi 3 anni) <br>– Max 45 giornate/anno per singolo lavoratore (contratto può durare ≤12 mesi ma con al max 45 gg lavorati) <br>– Autocertificazione lavoratore sui requisiti prima dell’inizio ; Comunicazione UNILAV con codice dedicato prima di iniziare– Esente da IRPEF (no tassazione per il lavoratore) <br>– Pagamento compenso tracciato diretto da datore (no voucher INPS) <br>– Retribuzione oraria secondo CCNL di riferimento– Contributi agricoli unificati (IVS + assegni familiari + INAIL) dovuti<br>– Aliquota agevolata: come zone svantaggiate (riduz. 68%) <br>– Esempio: se normalmente contributi 100, con LOAgri datore paga 32 (nelle aziende non svantagg.) <br>– Tutela INAIL garantita (obbligo comunicaz. assunzione ad INAIL)
Prestazioni familiari gratuite (aiuto familiare occasionale)– Art. 74 D.Lgs. 276/2003 (esclusioni lavori familiari)<br>– Circ. Min. Lav. 104/2013 e D.L. 5/2009 (ampliamento parenti)– Ammessa per coniuge, parenti & affini fino 4° grado (estesi a 6° se attività non prevalente) <br>– Gratuità della prestazione (nessun compenso monetario) <br>– Occasionalità: apporto non deve costituire lavoro prevalente o abituale nell’azienda <br>– Esempi ammessi: moglie che aiuta saltuariamente, figlio che nel weekend lavora nei campi mentre ha altro impiego, zio pensionato che dà una mano in raccolta– Nessun compenso → nulla da dichiarare per il familiare<br>– Se tuttavia viene corrisposto un compenso fisso, rischia di qualificare un rapporto di lavoro (subordinato o autonomo) e allora cambiano le regole– Se il lavoro del familiare diviene abituale e prevalente, scatta obbligo iscrizione come coadiuvante (Gestione CD/CM INPS) con pagamento contributi fissi <br>– Per aiuti occasionali brevi: nessun obbligo contributivo (non vanno comunicati né iscritti) <br>– NB: In caso di infortunio del familiare non assicurato, l’INAIL potrebbe non coprire (valutare polizze volontarie)
Amici/vicini (non parenti) “aiuto”– Nessuna norma di favore (si applicano regole ordinarie lavoro)– Non esiste concetto di “aiuto amicale” continuativo: o è lavoro subordinato (se seguono direttive e orari) o prestazione autonoma (se un vicino aiuta con il suo trattore su compenso, potrebbe emettere fattura se ha P.IVA). <br>– Se onerosa (anche solo rimborsata), pro quota va regolarizzata. <br>– Conclusione: se un amico aiuta gratuitamente e sporadicamente, equipararlo a un volontario; ma attenzione che manca base normativa chiara, possibile solo se del tutto occasionale.– Se pagato: reddito da lavoro (dipendente o autonomo) da dichiarare secondo il caso. <br>– Se non pagato: nulla.– Se non pagato: nessun obbligo (ma anche nessuna copertura infortunio). <br>– Se pagato: <br> • come dipendente: contributi agricoli come per operai a tempo det.<br> • come autonomo occasionale: GS oltre 5k (improbabile superi).

Legenda: CCNL = contratto collettivo nazionale lavoro; RdC = Reddito di cittadinanza; IVS = invalidità, vecchiaia, superstiti (contributi pensionistici); CD/CM = Coltivatore diretto/Colono Mezzadro (gestioni speciali agricoltura).

Tabella 2: Violazioni e sanzioni frequenti in materia di lavoro occasionale agricolo

Violazione contestataSanzione / ConseguenzaRiferimenti normativiPossibili difese / esimenti
Omissione redditi in dichiarazione (es. lavoratore non dichiara compensi occasionali percepiti)– Recupero IRPEF evasa + sanzione 90% imposta (rid. a 1/3 se concilia/adesione) + interessi.<br>– Se imposta evasa > €50k (omessa dichiarazione) o >€100k (infedele) con soglie relative: procedimento penale (reclusione fino a 3 anni infedele, fino a 8 omessa).– D.Lgs. 471/1997 art.1,2 (sanzioni trib.)<br>– D.Lgs. 74/2000 art.4,5 (reati tributari)– Ravvedimento operoso prima di accertamento (sanzione ridotta 1/10).<br>– Dimostrare che i redditi erano esenti/non imponibili (ad es. LOAgri esente IRPEF ).<br>– Per reato: se l’imposta versata < soglia, reato insussistente; se >soglia, patteggiamento con pagamento.
Superamento soglia 5.000 € senza versare contributi Gestione Separata (lavoratore autonomo occasionale)– Avviso di addebito INPS per contribuzione 33% su quota eccedente 5.000 € (o anche su tutto, se INPS ritiene attività abituale) + sanzioni civili (interessi e mora).– L. 326/2003 art. 44 (esenzione GS)<br>– Circ. INPS 9/2004 <br>– Cass. 11535/2024 (contribuzione dovuta se abituale)– Se reddito totale ≤5k: contestare errore (nessun obbligo).<br>– Se >5k: provare che l’INPS ha computato importi non soggetti (rimborsi spese, ecc.), per scendere sotto soglia.<br>– Eccepire prescrizione 5 anni se avviso tardivo.
Mancata comunicazione preventiva lavoro autonomo occasionale (dal 2022 obbligo all’INL)– Sanzione amministrativa da €500 a €2.500 per ogni lavoratore autonomo occasionale omesso (non diffidabile). N.B.: Non è maxisanzione, è distinta.– Art. 14 D.Lgs. 81/2008 co.1, come modificato da L. 215/2021 (conv. DL 146/21)– Se attività in realtà subordinata e in nero: sanzione si converte in maxisanzione lavoro nero (più grave) .<br>– Difesa: dimostrare che prestazione era subordinata ma già regolarizzata (diffida possibile, vedi maxi) oppure che non era tenuta all’obbligo (es. prestazione esclusa per oggetto).
Lavoratore in nero (omessa comunicazione UNILAV di un lavoratore subordinato)– Maxisanzione amministrativa per lavoro sommerso:<br> €1.950–11.700 (0–30 gg lavoro) ;<br> €3.900–23.400 (31–60 gg) ;<br> €7.800–46.800 (>60 gg) .<br> +20% se recidiva o minore, clandestino, percettore RdC .<br>– Sospensione attività imprenditoriale se ≥10% forza lavoro in nero, revocabile con regolarizzazione e pagamento multa aggiuntiva €2.500 (in agricoltura soglia 5 lavoratori irregolari).– D.L. 12/2002 art.3 conv. L.73/02 (maxisanzione lavoro nero) ;<br>– L. 145/2018 art.1 c.445 (importi aggiornati) ;<br>– D.L. 19/2024 art. 29 (aumento 10% ulteriori dal 2024) ;<br>– D.Lgs. 81/2008 art. 14 (sospensione attività).– Regolarizzazione spontanea prima controllo → esenzione sanzione (provare data assunzione antecedente accesso ispettivo).<br>– Diffida obbligatoria: assumere a TI ≥3 mesi + contributi e retribuz. arretrate → pagamento minimo edittale .<br>– Dimostrare che lavoratore non era dipendente (familiare gratuito , autonomo con obblighi assolti ) → annullamento verbale.
Superamento limite 45 giorni LOAgri (2023-24)– Trasformazione del rapporto in tempo indeterminato ex lege (come se il lavoratore fosse assunto fisso dall’inizio).<br>– Quindi contributi, TFR ecc. da ricalcolare sull’intero periodo come lavoro stabile.– L. 197/2022 art.1 c.354– Verificare il calcolo giornate: togliere eventuali mezze giornate non lavorate, ecc., per stare entro 45.<br>– Se superamento di poco per causa forza maggiore (es. alluvione ritarda fine raccolto), chiedere in via amministrativa di non applicare trasformazione (non previsto in legge, ma tentare autocorrezione).<br>– Post-fatto: impossibile sanare, se non accettando la trasformazione (o impugnandola in giudizio del lavoro – es. se illegittima perché lavoratore non voleva, ma è raro).
Utilizzo lavoratore non appartenente a categorie LOAgri (es. assunto come occasionale ma non era disoccupato né studente)– Sanzione amministrativa €500 – €2.500 per ogni lavoratore impiegato fuori requisiti (inizialmente era per ogni giornata, ma dal 2024 riformulata a per lavoratore) .<br>– Esclusione sanzione se datore in buona fede su false dichiarazioni del lavoratore (ma il lavoratore potrà essere segnalato per falso).– L. 197/2022 art.1 c.354, come modif. da DL 19/2024– Se lavoratore ha mentito: provare l’autocertificazione mendace → esonero datore (e segnalare il lavoratore per eventuale azione penale).<br>– Se errore datore (es. assunto persona con contratto part-time altrove): evidenziare eventuale interpretazione dubbia (non sempre facile) o chiedere oblazione se possibile (non prevista espressa).
Omessa comunicazione UNILAV LOAgri– (Fino a DL 19/2024) Sanzione €500 – €2.500 per ogni giornata di lavoro non comunicata ; abolita da marzo 2024 (ora non sanzionata specificamente, resta maxi generale se era nero totale) .– L. 197/2022 art.1 c.354 ante modifica ; DL 19/2024 (abolizione)– Per contestazioni riferite a 2023/inizio 2024: difesa come per lavoro nero (sostenere regolarità sostanziale, o errore scusabile).<br>– Dal 2024: eventuale omissione rientra nel lavoro nero generale (vedi sopra).

Tabella 3: Strumenti di difesa e rimedi per il debitore

SituazioneRimedi disponibiliNote
Avviso di accertamento fiscale (redditi non dichiarati o riqualificati)– Istanza di adesione (entro 30 gg): negoziare con AdE riduzione imponibile/sanzioni.<br>- Ricorso tributario (entro 60 gg alla CTP/Corte Giustizia tributaria).<br>- Acquiescenza (pagamento entro 60 gg con sanzioni ridotte 1/3).<br>- Autotutela (istanza volontaria all’AdE per errori evidenti).Pagare con adesione riduce sanzione a 1/3. Il ricorso sospende riscossione se si paga 1/3 o se si chiede e ottiene sospensiva dal giudice. In giudizio tributario non sono ammessi testimoni, importante allegare documenti.
Avviso di Addebito INPS (contributi)– Opposizione giudiziaria al Tribunale Lavoro (entro 40 gg) .<br>- Chiedere sospensione al giudice se rischio esecuzione.<br>- Rateizzazione amministrativa (si può chiedere all’INPS, ma non ferma il termine ricorso).L’opposizione è atto tecnico (meglio avvocato). Il giudizio è soggetto a mediazione? (No, previdenza no). Termine breve 40 gg per non far decorrere.
Verbale e ordinanza maxisanzione lavoro nero– Diffida: se possibile, regolarizzare lavoratori e mantenerli 3 mesi -> diritto a pagare minimo .<br>- Ricorso amministrativo (osservazioni scritte entro 30 gg all’ITL) per far archiviare/rettificare prima di ordinanza.<br>- Opposizione ordinanza al Tribunale Lavoro (30 gg).La diffida è la via più rapida per chiudere con sanzione minima ma implica costi (assumere e pagare arretrati). L’opposizione in Tribunale può far annullare o ridurre la sanzione (giudice può applicare minimi se ricorrono attenuanti). Durante opposizione si può chiedere sospensiva all’esecuzione dell’ordinanza.
Contestazione penale (es. art. 603-bis c.p. caporalato o falso in autocert.)– Memoria difensiva durante indagini (tramite avvocato) per chiarire fatti.<br>- Patteggiamento o rito abbreviato per sconto 1/3 pena.<br>- Messa alla prova (per reati minori es. falsità) per estinguere reato.<br>- Dibattimento: difesa piena nel merito (testi, perizie).Nel penale occorre avvocato. Spesso per falsi o RdC fraudolento conviene patteggiare con pena sospesa restituendo il maltolto . Per caporalato grave, la difesa è più complessa (puntare su assenza di sfruttamento specifico). Importantissimo non rendere dichiarazioni autoincriminatorie a ispettori (diritto al silenzio).

Le tabelle sopra riassumono i punti salienti. Si raccomanda comunque di adattare le strategie difensive al caso concreto con l’ausilio di un professionista, poiché ogni contestazione ha le sue peculiarità.

Domande e Risposte frequenti

Di seguito una serie di FAQ (domande poste di frequente) sul tema dei redditi da lavori occasionali agricoli e relative contestazioni, con risposte concise basate sulla normativa e prassi attuale.

D1: Che cosa si intende esattamente per “lavoro occasionale agricolo”?
R: Si intende un’attività lavorativa svolta in ambito agricolo in modo saltuario, non abituale, al di fuori di un rapporto di lavoro stabile. Può trattarsi di una prestazione di lavoro autonomo (esempio: un agricoltore hobbista che occasionalmente vende i propri prodotti, o un tecnico che una tantum effettua potature dietro compenso) oppure di una prestazione di lavoro subordinato temporanea (esempio: un bracciante assunto per pochi giorni durante la vendemmia). La chiave è l’assenza di continuità: se l’impegno è episodico e limitato nel tempo, e non rientra nell’attività normale del prestatore, si può definire occasionale . Viceversa, se qualcuno svolge regolarmente mansioni agricole (anche se per periodi stagionali ogni anno), ciò è considerato abituale (lavoro stagionale, non occasionale).

D2: Quali sono i limiti di reddito oltre i quali un’attività cessa di essere considerata “occasionale”?
R: Dal punto di vista fiscale, non c’è un limite di reddito preciso per definire l’occasionalità: anche 50 € possono essere non occasionali se ottenuti in modo organizzato e ripetitivo; viceversa si può avere una prestazione unica da 50.000 € (si pensi alla vendita estemporanea di un appezzamento di prodotti pregiati) che potrebbe essere occasionale. Tuttavia, ai fini previdenziali esiste la soglia dei 5.000 € annui: sotto questo importo, i compensi da lavoro autonomo occasionale non richiedono iscrizione all’INPS . Oltre 5.000 €, scatta l’obbligo contributivo (sulla parte eccedente) . Questa soglia viene spesso confusa con un “limite di reddito” per definire l’occasionalità: in realtà è solo esenzione contributiva, non un confine giuridico. La Cassazione ha chiarito che sotto i 5.000 € un’attività è esente da contributi solo se effettivamente occasionale e non abituale, altrimenti contributi dovuti comunque . Riassumendo: non c’è un tetto di legge per il reddito occasionale, ma oltre 5.000 € il fisco/INPS guarderanno con maggiore attenzione ritenendo improbabile che si tratti di operazione isolata (richiedendo almeno contributi).

D3: Ho un piccolo uliveto e vendo l’olio che produco ai conoscenti, incassando circa 3.000 € l’anno. Devo aprire la partita IVA agricola?
R: Se l’attività rimane entro certi limiti, si può considerare reddito occasionale. Nel tuo caso, 3.000 € annui dalla vendita dell’olio del proprio fondo possono rientrare nei redditi diversi (attività commerciale non abituale) ex art. 67 TUIR. Non sei obbligato ad aprire partita IVA se la vendita è sporadica, non organizzata in forma d’impresa (niente etichetta con marchio, niente canali commerciali strutturati) e se il fondo non è condotto come imprenditore agricolo professionale. Dovresti però dichiarare quel reddito nella dichiarazione dei redditi (quadro RL – redditi diversi) se hai altri redditi, anche se su 3.000 € l’imposta sarà minima. Come reddito diverso, potresti detrarre eventuali spese inerenti (es. frantoio) . Non va aperta partita IVA finché l’attività resta occasionale e non abituale. Attenzione: se la produzione aumenta o inizi a vendere non solo a conoscenti ma sul mercato in modo continuativo, allora l’Agenzia delle Entrate potrebbe qualificarti come imprenditore agricolo di fatto. La soglia quantitativa non è tassativa, ma 3.000 € l’anno appare compatibile con l’occasionalità, soprattutto se hai un altro lavoro e questa è una piccola attività secondaria.

D4: Sono un giovane laureato in agraria e ho fatto qualche consulenza una tantum a piccole aziende, guadagnando 6.000 € in un anno senza partita IVA. Mi è arrivata dall’INPS una richiesta di iscrizione alla Gestione Separata e contributi su 1.000 € (oltre i 5.000). È corretta?
R: Sì, in linea generale l’INPS richiede i contributi gestione separata per il lavoro autonomo occasionale sulla parte eccedente i 5.000 € annui . Nel tuo caso, avendo percepito 6.000 € totali, l’INPS vuole i contributi (circa 33%) su 1.000 € (6.000 – 5.000) che corrispondono a 330 € di contributi, probabilmente aumentati di piccole sanzioni. Questa procedura è corretta secondo la legge. Puoi verificare se magari hai avuto delle spese deducibili (documentate e a carico del committente) che ridurrebbero il reddito imponibile sotto 5.000 € . Ma se i 6.000 € sono il netto effettivo, il contributo è dovuto. Fai attenzione, però: se quelle consulenze sono state svolte in maniera abituale (ad esempio hai aperto un tuo studio, anche se senza p.IVA formalmente), l’INPS potrebbe sostenere che dovevi iscriverti dall’inizio e pagare contributi su tutto. La Cassazione ha affermato che per i professionisti iscritti a un albo (sei agronomo iscritto? se sì, di per sé l’iscrizione indica abitualità ) l’attività non è occasionale neanche se reddito basso, quindi contributi su tutto. Però per un neolaureato con poche consulenze sporadiche, di solito considerano solo la parte oltre 5.000 €. Quindi direi: la richiesta INPS è corretta e ti conviene pagarla, iscrivendoti alla Gestione Separata (senza bisogno di partita IVA per questo). Per il futuro, se prevedi di superare regolarmente 5.000 € e di farne un’attività ricorrente, valuta apertura di partita IVA con regime forfettario (ma allora saresti un lavoratore autonomo abituale, non più “occasionale”).

D5: Sono un piccolo imprenditore agricolo. Posso utilizzare i voucher o prestazioni occasionali per assumere braccianti stagionali?
R: Attualmente (2025no, non direttamente. I vecchi “voucher INPS” non esistono più dal 2017, rimpiazzati dal Contratto di Prestazione Occasionale (PrestO) che però, dal 2023, è vietato in agricoltura . Nel 2023-24 hai potuto (se rientravi nei requisiti) usare il regime speciale LOAgri, ma dal 1° gennaio 2025 quello strumento non è più disponibile a meno di una proroga legislativa (che non c’è stata) . Quindi, per il 2025, la manodopera stagionale va assunta con i normali contratti di lavoro agricolo a termine. Puoi fare contratti di lavoro a tempo determinato anche di breve durata (ad esempio 10 giorni, 1 mese, ecc., rinnovabili se stagionali senza causale entro 24 mesi). Oppure puoi rivolgerti a cooperative di servizi o agenzie interinali autorizzate che forniscano lavoratori per brevi periodi. Non utilizzare forme fai-da-te come “ti pago con ricevuta di prestazione occasionale”: se il lavoro è di tipo subordinato (orari, direttive, inserito nella tua azienda), quella ricevuta non ti mette al riparo da sanzioni – anzi, l’Ispettorato potrebbe considerarlo lavoro nero travestito. L’unico caso in cui puoi considerare una prestazione senza assunzione è se coinvolgi parenti stretti in aiuto gratuito occasionale (es. tuo figlio studente viene a darti una mano in vendemmia per 2 settimane senza paga – le norme lo consentono, purché non lo retribuisci e non diventi fisso). Ma per lavoratori esterni, devi fare il contratto di lavoro. Ci sono agevolazioni contributive per assunzioni in agricoltura (es. under 40, disoccupati), informati presso Coldiretti o Confagricoltura. Il rischio di impiegare lavoratori occasionali non regolarizzati è altissimo: maxi multe fino a 46.800 € a lavoratore , sospensione attività, ecc.

D6: Durante un controllo in campo, hanno trovato mio zio (pensionato) che mi aiutava a raccogliere frutta. Io non l’avevo messo in regola. Rischio le sanzioni per lavoro nero?
R: Probabilmente no, se riesci a dimostrare che si tratta di familiare che prestava aiuto a titolo gratuito. La normativa esclude dall’obbligo di assunzione e dalla maxisanzione i parenti e affini fino al 4° grado che collaborano nell’impresa agricola in modo non predominante . Tuo zio rientra (è un affine di che grado? Dipende: se è fratello di un genitore, è zio di 3° grado; se è fratello del coniuge, affine 3°; in ogni caso entro 4° grado). Essendo pensionato e immagino impegnato solo per quel periodo, si presume che la sua attività non fosse né abituale né prevalente (ha la pensione come reddito principale) . In questi casi, la prassi ispettiva normalmente non applica la maxisanzione del lavoro nero. Potrebbero tuttavia chiederti evidenza del rapporto di parentela (stato di famiglia, certificato anagrafico) e magari una dichiarazione dallo zio che confermi di averlo aiutato senza compenso. Se, per ipotesi, gli avevi promesso un compenso, dovresti sostenere fosse un rimborso spese o un regalo non pattuito come corrispettivo di lavoro. Fondamentale è che non risulti un vincolo di subordinazione contrattuale: in famiglia, il vincolo è attenuato dal rapporto familiare. In passato, solo se l’ispettore trova elementi di “finta parentela” (ad esempio lo zio era in realtà pagato come gli altri braccianti e lavorava a tempo pieno da mesi) allora contestano lo stesso il lavoro nero. Ma con uno zio pensionato che aiuta in stagione, direi che sei coperto dall’esclusione per lavoro familiare. L’importante è che la collaborazione sia saltuaria: se invece tuo zio lavorasse stabilmente ogni giorno, allora andrebbe iscritto come coadiuvante all’INPS. Nel verbale di primo accesso, fai mettere a verbale questa circostanza e cita l’art. 74 D.Lgs. 276/03. In caso di sanzione, ricorrerai e quasi certamente avrai ragione.

D7: Ho assunto con contratto di lavoro agricolo a termine un lavoratore per 10 giorni, ma non ho fatto in tempo a inviare la comunicazione al Centro Impiego (UNILAV) prima che iniziasse. È scattata la maxisanzione: posso evitare di pagarla interamente?
R: Omessa comunicazione di assunzione = lavoratore in nero. Purtroppo la legge punisce anche un semplice ritardo come se fosse lavoro nero (illecito istantaneo all’inizio del rapporto) . Tuttavia, hai qualche appiglio per mitigare: se puoi provare che il rapporto era genuinamente regolare (contratto firmato, paghe conformi, contributi versati spontaneamente), puoi chiedere la conversione in diffida. Mi spiego: la norma, come aggiornata, prevede che la maxi non si applica se prima dell’accesso ispettivo tu hai già regolarizzato tutto . Tu hai stipulato il contratto (anche se dimenticato di mandare UNILAV) e magari hai già inviato i flussi contributivi DMAG all’INPS e pagato stipendi con bonifico. Se riesci a mostrare all’ispettore che l’unica mancanza è la comunicazione (magari gliela invii tardivamente subito quando ti accorgi), alcuni Uffici in sede di determinazione della sanzione potrebbero chiudere un occhio e applicare la disposizione del DL 19/2024 che ha eliminato la sanzione per comunicazione omessa nel regime LOAgri . Ma attenzione: formalmente, per lavoro subordinato ordinario non c’è esimente del “tutto in regola tranne comunicazione” (anche se logica vorrebbe una sanzione minore, la legge attuale non la prevede, salvo la diffida che porta a minimo). Quindi l’unica strada concreta è usare la diffida obbligatoria: se il lavoratore è ancora in forza, conservalo per almeno 3 mesi (trasformando magari il contratto a tempo indeterminato per sicurezza) ; se era già cessato, riassumilo per 3 mesi o regolarizza tutto il periodo pregresso pagando contributi e retribuzioni dovute . Così avrai ottemperato alla diffida e pagherai la sanzione minima (1.950 €) invece che l’importo più alto. Se la Direzione territoriale non concede la diffida (dovrebbe, ex lege, ma a volte contestano subito), proponi opposizione al tribunale spiegando la buona fede e chiedendo quantomeno l’applicazione del minimo per ottemperanza sostanziale. In pratica: , c’è modo di non pagare la maxi intera, ma devi agire rapidamente regolarizzando e sfruttare la procedura di diffida entro 120 giorni .

D8: Ho impiegato 5 lavoratori tramite un caporale, pagando quest’ultimo. Ora mi accusano di “caporalato”. Cosa rischio e posso difendermi sostenendo che non sapevo nulla?
R: Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato), art. 603-bis c.p., scatta quando qualcuno recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno. Se tu hai utilizzato 5 lavoratori forniti da un caporale, e queste persone erano pagate male, senza tutele, con orari massacranti, potresti essere considerato utilizzatore consapevole dello sfruttamento e quindi coimputato nel reato insieme al caporale (la norma punisce sia l’intermediario che il datore utilizzatore) con pene severe (1-6 anni reclusione + multa) e confisca di beni . La difesa “non sapevo” è difficile se le condizioni erano evidentemente anomale (es: pagavi 30 € al giorno per persona al caporale – era ovvio che i braccianti percepissero cifre infime). Se invece dimostri che hai pagato tariffe regolari e pensavi che il caporale fosse un fornitore lecito (ad esempio un’appaltatore registrato, con regolare iscrizione camerale), potresti sostenere di essere caduto in buona fede. In sede penale, tutto ruoterà sulle prove di sfruttamento: se i lavoratori testimoniano di essere stati minacciati, pagati 3 €/h, ecc., la tua posizione è compromessa. Se invece viene fuori che percepivano salari in linea con il contratto e non c’erano condizioni degradanti, potrebbe non configurarsi il reato (al massimo un illecito amministrativo per appalto non autorizzato o lavoro irregolare). Quindi la tua difesa punterà su: contestare l’elemento dello sfruttamento (mostrare che venivano rispettati orari umani, che magari fornivi dispositivi di protezione, che l’alloggio – se c’era – era dignitoso, ecc.), e negare la consapevolezza (magari il caporale si presentava come cooperativa agricola regolare e ti forniva ricevute – se c’è documentazione contrattuale, portala). In parallelo, preparati a sanare il lato civile: paga i contributi per quei lavoratori e ogni differenza salariale, perché anche se eviti la condanna penale, l’INPS ti chiederà comunque i contributi e l’Ispettorato la maxi-sanzione. Mostrare di aver riparato (pagato il dovuto ai lavoratori) può aiutare anche in sede penale come attenuante. In sintesi: se davvero “non sapevi” e i lavoratori non erano trattati male, hai margine di difesa; se invece le condizioni erano palesemente di sfruttamento, “non sapere” purtroppo non ti scusa – dovevi controllare.

D9: Un lavoratore occasionale che percepisce compensi deve emettere fattura o ricevuta? E l’IVA come si gestisce?
R: Il lavoratore autonomo occasionale non emette fattura con IVA perché non ha partita IVA. In genere rilascia una “ricevuta per prestazione occasionale” in carta semplice, con i suoi dati, quelli del committente, descrizione dell’attività svolta, importo lordo, data e firma. Se il committente è un’azienda/sostituto d’imposta, sulla ricevuta si indica anche “ritenuta d’acconto 20%” per la quota trattenuta dal committente. Facciamo un esempio: Tizio fa una consulenza a Caio Srl per €1000; Tizio fa una ricevuta di €1000 lordo, su cui Caio Srl tratterrà €200 di ritenuta che verserà allo Stato, e pagherà a Tizio €800 netti. La ricevuta conterrà: “Compenso lordo €1000, ritenuta d’acconto 20% €200, netto a pagare €800”. Se il committente è un privato (non effettua ritenuta), la ricevuta sarà solo per l’importo ricevuto (netto=lordo) e il lavoratore pagherà poi l’IRPEF in dichiarazione. IVA: non applicabile, perché l’attività occasionale non configura esercizio d’impresa o arte/professione abituale ai fini IVA (art. 5 DPR 633/72). Quindi sulle ricevute non c’è IVA. L’importo percepito è “fuori campo IVA” per carenza del presupposto soggettivo (non sei soggetto passivo IVA). Questo è un vantaggio: niente obblighi IVA (né fatturazione elettronica, né liquidazioni). Ma se l’attività perde l’occasionalità e devi aprire P. IVA, allora inizierai a emettere fatture con IVA agricola o ordinaria a seconda del caso. Ricorda che se superi €5.000 e scatta la gestione separata, dovresti anche indicare in ricevuta la trattenuta per contributi (anche se di solito la gestione separata in occ. si versa a posteriori, non come trattenuta immediata, salvo accordi). In pratica, molti committenti se prevedono di pagarti oltre 5.000 nell’anno, preferiscono farti aprire P.IVA o assumerti a progetto, per non gestire contributi extra.

D10: I compensi da LOAgri nel 2023 vanno dichiarati nei redditi?
R: No, non vanno dichiarati dal lavoratore. La legge li ha resi esenti da qualsiasi imposizione fiscale . Dunque, chi nel 2023-24 ha lavorato con contratto LOAgri, percependo chessò €3.000, non deve includerli nella dichiarazione dei redditi 2024. Sono analoghi ai vecchi voucher: non tassati. L’azienda d’altro canto non li deduce come costo per il reddito (il reddito agrario è catastale comunque, e se in semplificata deduce il costo del lavoro normalmente – su questo aspetto l’Agenzia non ha chiarito ma presumibilmente il costo resta deducibile). Attenzione: la esenzione IRPEF vale solo per quel regime speciale. Se invece hai compensi da lavoro autonomo occasionale (non LOAgri ma classico), quelli sono tassati come redditi diversi e vanno dichiarati. Anche le retribuzioni di operai agricoli a tempo determinato normale vanno dichiarate (di solito subiscono ritenuta alla fonte a titolo d’imposta se sono stagionali sotto 90 giornate, ma comunque vanno indicati nei 730 per eventuali conguagli, dipende). LOAgri ha fatto eccezione. Dunque, nella dichiarazione redditi 2024, i redditi LOAgri non compariranno. Inoltre erano già soggetti a contributi ridotti (quelli li ha versati il datore). Quindi il lavoratore LOAgri percepisce un netto pulito e non deve far altro (salvo eventualmente indicare quei periodi per richiesta di disoccupazione agricola, ma credo non fossero coperti da NASpI essendo contratto particolare).

D11: Ho ricevuto un verbale INAIL perché un lavoratore in nero si è infortunato sul campo. Dovrò pagare qualcosa?
R: Sì, purtroppo in caso di infortunio di un lavoratore irregolare, l’INAIL ha facoltà di chiedere al datore la cosiddetta “azione di regresso”: recupera le prestazioni erogate al lavoratore infortunato. Inoltre, c’è la sanzione amministrativa per omessa assicurazione obbligatoria (che è parallela alla maxi sanzione). In concreto: dovrai pagare all’INAIL i premi assicurativi evasi per quel lavoratore (come se fosse stato assicurato dal giorno 1), maggiorati delle sanzioni civili. Se l’infortunio ha comportato indennizzi (es. diaria, cure) l’INAIL potrebbe richiederti il rimborso di tali somme (soprattutto se c’è tua responsabilità per violazione norme sicurezza). La difesa qui è limitata: se il lavoratore era in nero, è difficile evitare il pagamento dei premi evasi. Potresti negoziare sulla quantificazione (es. dimostrare che il lavoro è durato meno di quanto l’INAIL presume, riducendo i giorni per cui calcolano il premio). Se poi l’infortunio è stato causato da una grave violazione di norme di sicurezza da parte tua, potresti incorrere in responsabilità penale (lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche) e l’INAIL farà sicuramente azione di regresso per farsi rimborsare rendite pagate. Quindi preparati a pagare e cerca un accordo rateale con l’INAIL. In futuro, mai più lavoratori senza assicurazione: le conseguenze in caso di infortunio sono devastanti (basti pensare se fosse un evento mortale, le richieste risarcitorie e le sanzioni penali). Spesso queste situazioni si chiudono con un esborso negoziato col legale dell’INAIL. Anche qui, se vuoi contestare formalmente, devi fare opposizione all’ordinanza ingiunzione INAIL al tribunale (simile a INPS). Ma se il fatto è palese (lavoratore infortunato non assicurato), il giudice confermerà la sanzione. Potrebbe semmai ridurla al minimo edittale se accerti la diffida (ma di solito per INAIL non c’è diffida come per INPS).

D12: Cos’è e come si effettua la “comunicazione preventiva” per i lavoratori autonomi occasionali introdotta di recente?
R: Si tratta dell’obbligo, introdotto a fine 2021, di comunicare all’Ispettorato del Lavoro l’avvio di un’attività di lavoro autonomo occasionale, per contrastare abusi. In pratica, se un’azienda o professionista si avvale di una prestazione di lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c., deve inviare (tramite email PEC) una comunicazione al competente Ispettorato Territoriale prima dell’inizio della prestazione, indicando i dati del lavoratore occasionale e la durata presunta . Ad esempio: un agriturismo chiama un fotografo amatoriale per un servizio occasionale; prima che inizi, deve mandare la mail all’INL (un modello semplificato, spesso basta indicare nome, CF, data inizio e fine prestazione). Se non lo fa, e arriva un controllo, scatta la sanzione amministrativa da 500 a 2.500 € . Come effettuarla? Sul sito del Ministero del Lavoro ci sono le istruzioni: va inviata una PEC a uno specifico indirizzo “LO.occasionali.NomeRegione@ispettorato.gov.it” con oggetto e corpo standard (i modelli sono allegati alla nota INL 29/2022). Alcuni servizi come Cliclavoro potrebbero integrarla in futuro, ma finora è via PEC. Per il settore agricolo, attenzione: la norma vale solo per rapporti di natura autonoma! Quindi se stai assumendo un bracciante a tempo determinato, non è questa la comunicazione (va fatto UNILAV). Se chiami uno a giornata senza assumerlo (il che non sarebbe regolare se subordinato), dovresti fare questa comunicazione, ma in realtà se è subordinato mascherato da autonomo la comunicazione non ti salva dalla maxi sanzione come visto . In sostanza, questa comunicazione serve in quei casi di genuino lavoro autonomo occasionale (non soggetto a contratto). Il consiglio è di farla sempre quando paghi qualcuno con ricevuta di prestazione occasionale, per evitare almeno la multa specifica di 500 €. La procedura è semplice (una email PEC) e non richiede particolari allegati.

D13: Un lavoratore occasionale agricolo ha diritto a qualche tutela (malattia, infortunio, disoccupazione)?
R: Dipende dal tipo di inquadramento: – Se è stato assunto con contratto LOAgri nel 2023-24, formalmente era un lavoratore subordinato con copertura INAIL (infortuni) e contributi pensionistici; tuttavia, per la disoccupazione agricola (NASpI) la legge non ha chiarito molto, ma essendo contratto a tempo determinato, probabilmente non dava diritto a NASpI, perché era fuori dalla normale gestione (in alternativa forse integrava comunque contributi utili a fini pensionistici). Comunque, LOAgri era subordinato, quindi tutele basi (infortunio, maternità) coperte. – Se è lavoro autonomo occasionale puro: no, non ha diritto a tutele come malattia o ferie, essendo prestatore autonomo. Non c’è copertura INAIL né altra assicurazione obbligatoria (a meno che il committente volontariamente lo assicuri, ma non previsto). L’unica tutela è che se supera 5.000 € versa contributi GS, il che gli accredita contributi pensionistici per quella quota. – Se è lavoro nero (purtroppo succede): formalmente nessuna tutela; se però si fa male sul lavoro, l’INAIL spesso interviene lo stesso (tutela il lavoratore anche se irregolare, poi rivale sul datore come detto). Disoccupazione: no, perché non essendoci contribuzione non matura diritto a disoccupazione agricola. Molti braccianti in nero perdono anche la possibilità di fare giornate contributive per maturare la disoccupazione agricola (che richiede almeno 51 giornate annue). – Se è contratto a termine regolare (subordinato a tempo determinato breve): allora sì, piena tutela come qualsiasi operaio agricolo. Godrà di assicurazione infortuni, contribuzione per pensione, e potrà fare domanda di disoccupazione agricola a fine anno se raggiunge il minimo di giornate, ecc.

In sintesi: la via dell’occasionalità comporta minori tutele per il lavoratore rispetto all’essere assunto regolarmente. Un capitolato su cui i sindacati insistono è proprio di non abusare di queste forme, perché il lavoratore occasionale autonomo non ha malattia, contributi (sotto 5k), né altre garanzie, ed è più vulnerabile. Dal lato datore, è allettante per risparmiare, ma come abbiamo visto i rischi di contestazione sono elevati.

D14: Quali sono le prove che un giudice guarda per capire se un lavoro era occasionale o no?
R: Le prove possono essere: – Durata e ripetitività temporale: se un’attività si protrae per mesi o si ripete ogni anno, difficilmente è definibile occasionale. Ad esempio, contratti o fatture trimestrali per 3 anni consecutivi indicano abitualità. – Mezzi e organizzazione: se il lavoratore dispone di mezzi propri, un’organizzazione di impresa (un magazzino, dei dipendenti a sua volta) per svolgere il lavoro, allora non è occasionale, è un’impresa. Se invece usa mezzi del committente ed è integrato, sembra più un dipendente. Quindi la presenza di Partita IVA, iscrizioni ad albi, pubblicità, sito web sono indizi di professionalità. La Cassazione ha detto che elementi come iscrizione ad albo, partita IVA, organizzazione materiale fondano una presunzione di abitualità . – Importo del reddito e numero di atti: se uno fa 50 vendite l’anno, anche piccole, è attività d’impresa (pluralità di atti coordinati) . Se ne fa 1 o 2, può essere occasionalità. Il volume d’affari molto alto spesso implica impresa, ma non è decisivo: più importante è la frequenza degli atti. – Rapporto di subordinazione: Per distinguere autonomo vs dipendente, guardano a ordini impartiti, orari fissi, inserimento nell’organizzazione del datore (es. timbratura cartellino, turni prestabiliti – questi aspetti se ci sono provano la subordinazione anche se formalmente presentato come occasionale) . – Compenso e modalità di pagamento: se c’è un compenso fisso mensile, tipico da stipendio, è strano per un occasionale. Se invece c’è un pagamento a risultato o a prestazione isolata, è più coerente con occasionale. – Testimonianze: nel lavoro, le deposizioni di colleghi, del lavoratore stesso, ecc., contano. Un lavoratore che dichiara “ero alle dipendenze fisse, lavoravo tutti i giorni dalle 8 alle 17 agli ordini del capo” fa crollare la tesi dell’occasionalità. – Documenti contabili: per fisco, se trovano libri mastri, registro clienti, note ordini – hai un’attività organizzata. Se trovano solo qualche ricevuta sporadica, no. – Autocertificazioni e iscrizioni: ad es. se il lavoratore si è registrato come disoccupato al centro impiego e poi dichiara 30 collaborazioni “occasionali”, c’è incoerenza.

In breve, un giudice fa un’analisi concretaquantità (quante giornate, quanti contratti), qualità (come era svolto il lavoro, con che mezzi, con che autonomia) e contesto (c’era già un’iscrizione, un’albo? L’intento era di farne professione?). E applica principi: per tributario, se atto ripetuto -> impresa; per lavoro, se etero-direzione -> subordinato. La forma scritta (es. ricevuta con dicitura “prestazione occasionale”) non vincola il giudice, che guarda la sostanza.

D15: Se l’Agenzia delle Entrate contesta un reddito occasionale come “reddito d’impresa”, può applicare l’IRAP?
R: L’IRAP (Imposta regionale attività produttive) in agricoltura si applica alle società agricole e agli imprenditori individuali solo se non rientrano nel regime di esonero (imprenditori individuali agricoli generalmente sono esclusi se determinano reddito agrario). Nel caso di un’attività occasionale, per definizione non c’è autonoma organizzazione, quindi non c’è presupposto IRAP. Tuttavia, se l’Agenzia la riclassifica come impresa abituale, può ipotizzare l’applicazione di IRAP se vede un “autonoma organizzazione”. Per un piccolo operatore agricolo individuale, spesso l’IRAP non è dovuta perché l’attività agricola tradizionale (coltivazione terra) è esclusa se si è nei limiti di reddito agrario. Ma se fosse attività di servizi (es. contoterzista che ara campi altrui abitualmente), allora quell’attività professionale abituale potrebbe essere soggetta a IRAP se supera una certa dimensione organizzativa. Diciamo che raramente l’Agenzia contesta IRAP a chi dichiarava redditi occasionali, a meno che scopra che aveva dipendenti o capitale impiegato. Ad esempio, un contoterzista con trattore costoso e dipendenti, ma che dichiarava redditi occasionali, oltre all’IVA e all’IRPEF evasa potrebbe vedersi chiedere IRAP arretrata. In generale, la soglia è: se c’è autonoma organizzazione (beni strumentali rilevanti, lavoro altrui impiegato), IRAP sì. Se era solo la tua opera, di solito IRAP no (vedi sentenze su professionisti senza struttura). Nel dubbio, se arriva contestazione IRAP, potrai difenderti citando le numerose sentenze che escludono IRAP per attività individuali di modesta entità senza organizzazione.

D16: Lavoro in agricoltura 60 giornate l’anno come dipendente saltuario per vari datori. Devo pagare io dei contributi o tasse?
R: Se sei assunto come operaio agricolo a tempo determinato dai vari datori, questi trattengono già l’IRPEF in busta paga e versano i contributi. Tu non devi pagare nulla di tuo (a parte eventuali conguagli a debito in dichiarazione se hai più CU). Anzi, probabilmente avrai diritto a presentare domanda di disoccupazione agricola a fine anno se hai almeno 51 giornate lavorate. Dunque, nulla a tuo carico. Diverso: se qualcuno di questi ti ha pagato in nero per qualche giornata (capita), per quelle non hai contributi né imposte pagate – in teoria dovresti dichiarare i compensi in nero come redditi diversi, ma pochi lavoratori lo fanno; sappi però che se un giorno l’Agenzia incrocia i dati e vede che hai percepito qualcosa (difficile se tutto cash), potrebbe chiederti imposte. Sul fronte contributi, se raggiungi 5.000 € annui netti come autonomo (ma tu sei dipendente, quindi no GS). Quindi la risposta è: no, non devi pagare contributi tu; ciascun datore versa i contributi all’INPS per le giornate che hai lavorato da lui. Se sommando arrivi a 102 giornate, maturi diritto a piccola pensione agricola in futuro ecc., ma niente da pagare. Verifica invece di essere sempre messo in regola, perché se qualcuno non ti ha assunto regolarmente, recuperare contributi poi è complicato.

D17: Un lavoratore in nero può fare causa al datore per farsi riconoscere le differenze retributive?
R: Sì, certamente. Il fatto che il lavoro fosse irregolare non impedisce al lavoratore di chiedere al giudice del lavoro il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato a seconda dei casi, e di ottenere il pagamento di tutte le retribuzioni dovute (se ad esempio è stato pagato a cottimo con meno del minimo sindacale, può chiedere la differenza) e la regolarizzazione contributiva. Anzi, spesso accade così: il lavoratore licenziato “in nero” si rivolge a un avvocato e promuove vertenza. In quel caso il giudice potrà dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro e condannare il datore a pagare retribuzioni, TFR, ferie non godute, contributi (questi tramite regolarizzazione INPS). Il lavoratore non viene sanzionato per essersi prestato al nero (non c’è sanzione per il dipendente) e mantiene il diritto alla retribuzione secondo contratto. Quindi dal punto di vista del datore, assumere in nero è un rischio doppio: dalle autorità (multe) e dal lavoratore stesso (vertenza privata). Unico limite: se era un rapporto illecito (esempio: immigrato clandestino poi espulso), potrebbe avere difficoltà pratiche a far causa; ma in teoria il diritto del lavoro tutela anche il clandestino. I termini: il lavoratore può agire entro 5 anni (termine di prescrizione per crediti lavoro, che però decorre dalla cessazione del rapporto se era in nero, perché finché lavora in nero la prescrizione è sospesa). Quindi ha tempo per pensarci. Difesa del datore in tali cause? Spesso debole, basata su negare il rapporto (ma se ci sono testimoni o verbali ispettivi, perde). Dunque sì, il lavoratore può fare causa e ottenere giustizia sul piano civile.

D18: È vero che i percettori di Reddito di Cittadinanza potevano lavorare in agricoltura senza perdere il beneficio?
R: C’era una disposizione (DL 4/2019) che permetteva ai percettori di RdC di stipulare contratti agricoli a termine fino a 90 giorni l’anno, con compenso entro €4.000, senza perdere il RdC. Questo per incentivare raccolta di lavoro stagionale regolare. Tuttavia, richiedeva comunque di comunicare l’assunzione e l’importo, in modo da decurtare la quota eccedente €3.000 dall’Rdc. Quindi non è che potevano lavorare completamente in nero: potevano accettare lavori brevi in agricoltura e lo Stato li incentivava non sospendendo subito il RdC. Ma se non comunicavano e lavoravano in nero, scattava il reato come abbiamo visto . Quella norma è stata valida fino al 2021-22. Con la fine del RdC (2023) e l’introduzione di Supporto Formazione e poi Assegno Inclusione (2024), le regole sono cambiate. In breve: chi prendeva RdC poteva lavorare in agricoltura ma doveva dire all’INPS. Molti però non lo hanno fatto per tenersi l’intero beneficio, incorrendo nel reato di truffa ai danni dello Stato.

D19: Nel 2024 ho ancora potuto fare un contratto LOAgri?
R: Sì, la norma copriva tutto il 2024. Ad esempio potevi stipulare a ottobre 2024 un contratto LOAgri di 3 mesi (fino max ottobre 2025, perché durata massima 12 mesi), mantenendo validi i 45 giorni di lavoro in quell’arco. Oltre il 31/12/2024 non si potevano attivare nuovi rapporti LOAgri (salvo proroga poi non avvenuta). Quindi se hai contratti LOAgri iniziati nel 2024, quelli proseguono con quelle regole fino a naturale scadenza (entro 12 mesi). Dal 2025 in avanti, formalmente non più. Il governo potrebbe reintrodurlo se ritenuto efficace, ma al momento non risulta. Quindi dal 2025: niente nuovi LOAgri, tornano le regole ordinarie (divieto PrestO, sì contratti a termine normali). Attento quindi: se hai fatto LOAgri a fine 2024 e vorresti ripeterlo nel 2025, non puoi a legislazione invariata. Dovrai assumere i lavoratori con contratto agricolo tradizionale (magari un contratto a tempo determinato stagionale, che comunque può essere anche breve).

D20: Cosa succede se supero i 45 giorni con un lavoratore LOAgri senza accorgermene?
R: Come accennato, la legge impone la trasformazione automatica a tempo indeterminato del rapporto . Ciò significa che il lavoratore avrà diritto ad essere considerato assunto fisso: potrà pretenderlo e, se il datore non lo assume di fatto, potrà far causa per riconoscimento rapporto indeterminato dal principio. L’INPS richiederà i contributi come se fosse stato a tempo indet. (differenze contributive notevoli). Inoltre, il periodo LOAgri eccedente era fuori legge, quindi potrebbero anche arrivare sanzioni. Per mitigare: se succede, conviene trovare un accordo col lavoratore. Magari lo si assume realmente a tempo indeterminato per non incorrere in contenzioso, oppure, se non lo si può tenere, si cerca di fargli firmare una conciliazione (ad esempio gli si paga una somma extra per chiudere, ma è rischioso perché la legge è inderogabile). In ogni caso, formalmente il contratto si considera a tempo indeterminato. Il mio consiglio: evita di superare i 45 gg, tieni un conteggio preciso delle giornate lavorate (non confondere giorni di contratto con giorni effettivi: contano le giornate di lavoro prestate ). Se proprio rischi di sforare per necessità, sappi la conseguenza. Forse potresti fare un secondo contratto LOAgri con altro lavoratore e far “dare il cambio” per restare nelle 45 gg per ciascuno. Lo scopo era far ruotare le persone. In definitiva, se l’hai superato anche di 1 giorno, legalmente scatta la trasformazione.

Queste FAQ coprono molte circostanze pratiche. Con esse, si conclude la guida. Affrontare correttamente le situazioni di contestazione su redditi da lavori occasionali agricoli richiede conoscenza delle norme e un approccio prudente: è sempre preferibile, ove possibile, prevenire le contestazioni scegliendo la forma contrattuale giusta e dichiarando il dovuto, piuttosto che subire sanzioni e dover ricorrere. Ma se la contestazione arriva, questa guida offre gli strumenti essenziali per orientarsi e difendere i propri diritti, supportati da fonti normative e giurisprudenziali aggiornate.

Fonti

  • Cassazione civile Sez. VI-lav. ordinanza n. 4178 del 10 febbraio 2023.
  • CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2025, n. 17549.
  • CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 21958.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati redditi da lavori occasionali agricoli non dichiarati o dichiarati in modo errato? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati redditi da lavori occasionali agricoli non dichiarati o dichiarati in modo errato?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

I redditi derivanti da prestazioni di lavoro occasionale agricolo sono assimilati a redditi da lavoro dipendente e devono essere dichiarati. L’Agenzia delle Entrate, attraverso i dati delle CU (Certificazioni Uniche) inviate dai datori di lavoro e i controlli incrociati INPS, può contestare omissioni o errori, anche quando si tratta di importi modesti.

👉 Prima regola: verifica sempre se i compensi agricoli occasionali sono stati effettivamente percepiti e se risultano già tassati alla fonte.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Omissione di redditi agricoli occasionali nella dichiarazione dei redditi;
  • CU non riportate correttamente nel modello 730 o Redditi PF;
  • Incongruenze tra quanto dichiarato e i dati trasmessi da INPS o datori di lavoro;
  • Compensi in contanti non giustificati o non tracciati;
  • Errata applicazione della ritenuta da parte del datore di lavoro.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero IRPEF sui redditi omessi;
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta dovuta;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali;
  • Controlli successivi su altre fonti di reddito.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Effettiva percezione dei compensi: risultano incassati o solo certificati?
  • Ritenute alla fonte: sono già state operate dal datore di lavoro?
  • Correttezza delle CU: gli importi contestati corrispondono a quelli effettivi?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve indicare esattamente gli importi omessi;
  • Rispetto dei termini di notifica previsti dalla legge.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • CU rilasciate dai datori di lavoro agricolo;
  • Estratti conto bancari con accrediti delle prestazioni;
  • Ricevute o quietanze firmate;
  • Dichiarazioni dei redditi già presentate;
  • Comunicazioni INPS relative alle prestazioni occasionali.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare che i redditi erano già tassati alla fonte e non dovevano essere dichiarati di nuovo;
  • Correggere errori formali con dichiarazioni integrative o ravvedimento operoso;
  • Contestare duplicazioni o importi non effettivamente percepiti;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione insufficiente, notifica irregolare, decadenza;
  • Richiedere autotutela se l’errore deriva da dati sbagliati trasmessi dal datore di lavoro;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza gli importi contestati e i dati delle CU;
📌 Verifica la reale percezione e tassazione dei redditi agricoli occasionali;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare l’accertamento;
⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti tributari e nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate;
🔁 Suggerisce soluzioni preventive per evitare errori nelle future dichiarazioni.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su redditi da lavoro;
✔️ Specializzato in difesa di lavoratori agricoli e contribuenti contro contestazioni su prestazioni occasionali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni sui redditi da lavori occasionali agricoli non sempre sono corrette: spesso derivano da errori dei datori di lavoro o da redditi già tassati alla fonte.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità della tua posizione, evitare la doppia imposizione e ridurre sanzioni e interessi.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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