Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché le plusvalenze derivanti da un conferimento non sono state tassate? In questi casi, l’Ufficio presume che l’operazione societaria sia stata utilizzata per trasferire beni o partecipazioni senza dichiarare il relativo guadagno imponibile. La conseguenza è il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: vi sono margini difensivi per dimostrare la correttezza del trattamento fiscale applicato.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta plusvalenze da conferimenti
– Se il valore attribuito ai beni conferiti è superiore a quello fiscalmente riconosciuto e la plusvalenza non è stata dichiarata
– Se il conferimento è stato effettuato in società collegate o controllate e considerato elusivo
– Se la documentazione di supporto non giustifica la valutazione adottata
– Se l’operazione è stata seguita da cessione immediata delle partecipazioni ricevute, con sospetto di abuso del diritto
– Se i conferimenti sono stati utilizzati per spostare utili senza tassazione
Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte sulle plusvalenze ritenute non dichiarate
– Applicazione di sanzioni per infedele dichiarazione o abuso di norme agevolative
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Maggior rischio di accertamenti su altre operazioni straordinarie collegate
– Possibili segnalazioni per elusione fiscale in caso di operazioni complesse
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la legittimità del trattamento fiscale con perizie, valutazioni indipendenti e documentazione contabile
– Contestare la presunzione di elusività se l’operazione aveva valide ragioni economiche o organizzative
– Evidenziare eventuali errori di calcolo o di diritto commessi dall’Agenzia delle Entrate
– Produrre verbali, atti notarili e relazioni tecniche che giustifichino i valori utilizzati
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare gli atti societari e fiscali collegati al conferimento
– Verificare la corretta applicazione delle norme sulle plusvalenze e sui regimi speciali
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi formali dell’accertamento
– Difendere la società e i soci davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione delle sanzioni e degli interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittimità del regime fiscale applicato
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce tempestivamente, l’accertamento diventa definitivo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni su plusvalenze da conferimenti non tassate e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Le operazioni di conferimento di beni o partecipazioni in società possono generare plusvalenze latenti – ossia incrementi di valore rispetto al costo fiscale originario – che talvolta non vengono immediatamente tassate. In ambito tributario italiano, la mancata imposizione immediata di tali plusvalenze da conferimento può derivare dall’applicazione di regimi fiscali speciali (ad esempio il “realizzo controllato” previsto per specifici conferimenti) oppure da scelte valutative che riducono il valore imponibile (come una sottostima del valore normale dei beni conferiti).
Perché sorgono contestazioni? Dal punto di vista dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate), il differimento o l’esclusione della tassazione di una plusvalenza da conferimento può rappresentare un indebito risparmio d’imposta, specie se ottenuto mediante costruzioni artificiose prive di sostanza economica. In altre parole, il Fisco può ritenere che il contribuente abbia abusato degli strumenti giuridici (ad esempio sfruttando un conferimento seguito da cessione di partecipazioni) al solo scopo di evitare o ridurre la tassazione della plusvalenza altrimenti dovuta. In questi casi l’Agenzia delle Entrate tende a contestare l’operazione, riqualificandola ai fini fiscali in base alla sua sostanza economica e richiedendo le maggiori imposte (oltre interessi e sanzioni).
Prospettiva del contribuente: Questa guida, rivolta in particolare ad avvocati tributaristi, imprenditori e privati avanzati, analizza dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta) come affrontare e difendersi da contestazioni dell’Amministrazione in tema di plusvalenze da conferimenti non tassate. Verranno esaminati i riferimenti normativi aggiornati ad agosto 2025, le fattispecie tipiche oggetto di accertamento, le più recenti sentenze di legittimità e di merito , nonché le possibili strategie difensive sia in sede amministrativa (procedimento anti-abuso) sia in sede contenziosa (ricorso avanti alle Corti di giustizia tributaria). Saranno inoltre fornite tabelle riepilogative, esempi pratici (simulazioni numeriche) e una sezione Domande & Risposte, per chiarire i dubbi più frequenti. In appendice, è incluso un fac-simile di memoria difensiva e di ricorso tributario, quale modello orientativo per impostare la difesa in casi analoghi.
Quadro normativo di riferimento
Per comprendere il problema delle plusvalenze da conferimento non tassate è fondamentale partire dalle norme del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) che disciplinano la valorizzazione fiscale dei conferimenti e le relative plusvalenze. Di seguito esamineremo le disposizioni chiave (aggiornate al 2025) e il loro significato pratico.
Articolo 9, comma 2, TUIR: valore normale nei conferimenti
L’art. 9 TUIR detta la regola generale per la determinazione dei corrispettivi in natura ai fini delle imposte sui redditi. In particolare, il comma 2 stabilisce che “in caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti” . Ciò significa che il conferimento di un bene (materiale o immateriale) o di una partecipazione societaria è, dal punto di vista fiscale, equiparato ad una cessione a titolo oneroso. Il corrispettivo imponibile ai fini della plusvalenza non è il valore “liberamente attribuito” dalle parti, bensì il valore normale di mercato del bene/partecipazione conferito.
In pratica, dunque, la plusvalenza (o minusvalenza) da conferimento si determina confrontando il costo fiscale originario del bene conferito con il valore normale (fair value) delle partecipazioni ricevute in cambio. Se il valore normale eccede il costo fiscalmente riconosciuto, la differenza costituisce plusvalenza imponibile da imputare al reddito d’impresa del conferente . Ad esempio, se Tizio conferisce un immobile dal costo storico di 100 (iscritto nelle sue scritture) in cambio di partecipazioni il cui valore normale è 180, egli realizza una plusvalenza di 80, immediatamente rilevante ai fini IRPEF/IRES . Questa regola è volta a evitare sottostime artificiose: il Fisco presume infatti che, specie tra parti correlate, il valore concordato possa divergere dal valore di mercato, e impone quindi quest’ultimo come riferimento per prevenire intenti elusivi.
È importante notare che l’art. 9, comma 2, TUIR ha portata generale (“qualunque sia il bene conferito”) : salvo eccezioni previste da norme speciali, ogni conferimento in società determina, per il conferente, un realizzo fiscale al valore normale. Dunque, in assenza di regimi particolari, l’operazione di conferimento fa emergere immediatamente le plusvalenze latenti e le sottopone a tassazione ordinaria (salvo che si renda applicabile la participation exemption di cui infra). In sintesi, il legislatore fiscale considera il conferimento un atto dispositivo realizzativo a tutti gli effetti, analogamente a una vendita .
N.B.: Il “valore normale” è definito dallo stesso art. 9 TUIR (commi 3 e 4) come il prezzo mediamente praticato per beni simili in condizioni di libera concorrenza, al medesimo stadio di commercializzazione e tempo e luogo del conferimento. Tale parametro funge da valore di mercato oggettivo. In mancanza di un mercato attivo per il bene conferito, si può ricorrere a stime peritali o altri criteri previsti dalle norme fiscali.
Articolo 175 TUIR: conferimenti di partecipazioni a “realizzo controllato”
In deroga alla regola generale del valore normale, il legislatore ha introdotto alcune discipline speciali per particolari tipologie di conferimenti, finalizzate a favorire riorganizzazioni societarie senza immediati costi fiscali. Rilevante per il nostro tema è l’art. 175 TUIR, che riguarda i conferimenti di partecipazioni societarie di controllo o di collegamento (ex art. 2359 c.c.) effettuati fra soggetti d’impresa residenti. Questo articolo non prevede un’esenzione totale, bensì un criterio alternativo di valutazione del realizzo, noto come regime del realizzo controllato (o “neutralità indotta”) .
In base all’art. 175, comma 1, TUIR: “ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 86 (tassazione delle plusvalenze, n.d.r.), fatti salvi i casi di esenzione di cui all’articolo 87 (participation exemption, n.d.r.), per i conferimenti di partecipazioni di controllo o di collegamento […] effettuati tra soggetti residenti in Italia nell’esercizio di imprese commerciali, si considera valore di realizzo quello attribuito alle partecipazioni, ricevute in cambio dell’oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente ovvero, se superiore, quello attribuito alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario” .
In parole più semplici, per i conferimenti agevolati ex art. 175:
– Si determina il valore di realizzo non in base al valore normale di mercato, ma guardando ai valori contabili di iscrizione. Precisamente, si prende il maggiore tra (i) il valore con cui il conferente iscrive in contabilità le partecipazioni ricevute a seguito del conferimento e (ii) il valore con cui il conferitario iscrive nelle sue scritture le partecipazioni conferite . Spesso, soprattutto in caso di società di capitali, tali valori contabili coincidono con il valore di libro pre-conferimento, garantendo una sorta di continuità dei valori fiscali.
– Confrontando questo valore di realizzo “controllato” con il costo fiscale della partecipazione conferita, si calcola l’eventuale plusvalenza. Se i valori contabili riflettono il costo storico (o comunque un valore inferiore al fair value di mercato), la plusvalenza emergente sarà minore di quella che si sarebbe avuta a valore normale, e in molti casi risulterà nulla (ad esempio se la partecipazione è iscritta al medesimo valore di carico fiscale). Tale plusvalenza “controllata”, se positiva, è tassabile secondo le regole ordinarie dell’art. 86 TUIR, salvo applicazione della PEX se ne ricorrono i requisiti . Se è negativa, costituisce minusvalenza non deducibile a norma di legge (come chiarito anche dall’Amministrazione finanziaria ).
Ambito di applicazione: L’art. 175 richiede congiuntamente: (a) che la partecipazione oggetto di conferimento configuri un controllo o collegamento ai sensi civilistici; (b) che sia realizzato tra soggetti d’impresa residenti (ad es. società o imprenditori individuali che operano in regime d’impresa commerciale) . Questa seconda condizione – il requisito soggettivo di commercialità del conferente – è piuttosto stringente e di fatto limita l’uso dell’art. 175 a fattispecie specifiche (tipicamente riorganizzazioni infragruppo tra società già legate da relazioni partecipative) .
Esempio numerico: Alfa S.r.l. conferisce a Beta S.p.A. una partecipazione di controllo (valore di mercato 1.500, costo fiscale nel libro di Alfa 1.000). Alfa iscrive la nuova partecipazione in Beta per 1.000 (costo storico trasferito), Beta iscrive l’apporto ricevuto anch’esso per 1.000 in bilancio. In base all’art. 175 il valore di realizzo è il maggiore tra il valore contabile in Alfa (1.000) e quello in Beta (1.000), dunque 1.000. Confrontato con il costo fiscale 1.000, ne deriva plusvalenza zero. A valore normale (art. 9) sarebbe emersa invece una plusvalenza di 500. L’operazione, in sostanza, è avvenuta in un regime di quasi-neutralità fiscale immediata, ovvero la tassazione della plusvalenza è stata evitata al momento del conferimento.
È importante precisare che l’art. 175 non equivale ad una totale esenzione: la plusvalenza è solo “ibernata” poiché le partecipazioni ricevute dal conferente hanno un valore fiscalmente riconosciuto corrispondente (nel caso sopra, 1.000). Se in futuro il conferente cederà quelle partecipazioni, potrà emergere una plusvalenza maggiore (avendo mantenuto un costo fiscale basso). Il vantaggio sta nel differire la tassazione al momento e, possibilmente, in un contesto fiscalmente più favorevole (ad esempio una cessione di partecipazioni che beneficia della PEX, v. oltre).
Rapporto con altri regimi (art. 177 TUIR): L’art. 175 coesiste con l’altro regime di realizzo controllato previsto dall’art. 177 TUIR . In sintesi:
– Art. 177, comma 2: consente il realizzo controllato per conferimenti di partecipazioni qualificati (tali da far acquisire o incrementare un controllo) anche effettuati da chiunque, quindi anche da soggetti non imprenditori (es. persone fisiche che conferiscono partecipazioni private) . In tal caso, il criterio di valutazione è diverso: si assume come valore di realizzo l’incremento del patrimonio netto della società conferitaria per effetto del conferimento .
– Gerarchia 175 vs 177: Se un’operazione soddisfa le condizioni di entrambe le norme (ad es. conferimento di partecipazione di controllo da parte di una società in una newco che acquisisce controllo), l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che prevale l’art. 175 . Ciò significa che in tali casi il regime 175 è obbligatorio, escludendo la scelta del 177. La ratio è che l’art. 175, similmente a quanto avviene per il conferimento d’azienda ex art. 176 TUIR, costituisce un regime necessitato e prioritario qualora ne ricorrano i presupposti . Il conferente quindi non può optare per il regime ordinario a valore normale se la fattispecie ricade in art. 175 (questo per evitare arbitraggi tra regole in presenza di plusvalenze o minusvalenze).
Nota: L’art. 177 TUIR (commi 2 e 2-bis) non è oggetto di trattazione estesa in questa guida, poiché il focus è limitato ai conferimenti in società in senso stretto (beni o partecipazioni) e relative contestazioni. Tuttavia, data la stretta connessione, se ne è fatto cenno dove necessario per completezza, soprattutto in riferimento alle operazioni straordinarie complesse (es. conferimenti preparatori a fusioni o a cessioni di partecipazioni) che vedremo tra poco.
Cenno sull’art. 176 TUIR: conferimenti d’azienda in neutralità
Benché la guida tratti principalmente i conferimenti di beni e partecipazioni (art. 9 e 175 TUIR), è utile menzionare il caso particolare del conferimento d’azienda o di rami d’azienda, disciplinato dall’art. 176 TUIR. Questa norma, non oggetto di dettaglio qui, prevede un regime di neutralità fiscale piena per i conferimenti di aziende tra soggetti d’impresa: in presenza di specifiche condizioni, la plusvalenza non viene rilevata né tassata, e i valori fiscali dell’azienda sono trasferiti “in continuità” al soggetto conferitario. Tale regime agevolativo si accompagna però a restrizioni sulla successiva rivendita delle partecipazioni conferite (periodo di possesso ai fini PEX, continuità aziendale, ecc.), che ne garantiscono la finalità non elusiva. Le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria sulle plusvalenze “non tassate” in conferimenti d’azienda neutralizzati ex art. 176 tendono a concentrarsi non sull’atto in sé (che è legittimamente neutro), ma sulle operazioni successive – tipicamente la cessione delle partecipazioni ricevute – specie se volte a realizzare esenzioni (PEX) in assenza dei requisiti sostanziali, come vedremo oltre .
Participation Exemption (PEX) e rilievo nelle operazioni di conferimento
Un ulteriore tassello normativo da considerare è l’art. 87 TUIR, relativo alla cosiddetta PEX (Participation Exemption). Si tratta dell’agevolazione che rende parzialmente esenti (95% per le società di capitali) le plusvalenze da cessione di partecipazioni che rispettino determinati requisiti: i) possesso ininterrotto per almeno 12 mesi; ii) classificazione della partecipazione fra le immobilizzazioni finanziarie; iii) residenza della partecipata non in paradisi fiscali; iv) esercizio da parte della partecipata di un’impresa commerciale (requisito di “commercialità”) . Questa ultima condizione richiede che la società partecipata svolga effettivamente un’attività commerciale attiva (non sia mera detentrice di immobili o partecipazioni). In mancanza, la PEX è negata e la plusvalenza da cessione di partecipazioni torna pienamente imponibile .
Perché è rilevante menzionare la PEX? Perché molte delle costruzioni elusive contestate in tema di conferimenti mirano proprio a beneficiare della PEX. Ad esempio, il classico schema di “conferimento + cessione partecipazioni” vede un imprenditore conferire la propria azienda in una nuova società e, trascorso il periodo minimo, cederne le quote confidando nella quasi totale esenzione della plusvalenza (95%) grazie alla PEX . Se quell’azienda fosse stata ceduta direttamente, la plusvalenza sarebbe stata tassata per intero come ricavo d’impresa. Dunque, l’uso combinato di conferimento (neutrale o a realizzo controllato) e PEX è potenzialmente molto vantaggioso in termini fiscali. Tuttavia, se i requisiti PEX non sono realmente soddisfatti (ad esempio, la società conferitaria non svolge autentica attività commerciale ma si limita a “godere” dei beni conferiti), l’Agenzia può negare l’esenzione appellandosi alla lettera dell’art. 87 TUIR e alla giurisprudenza, come ha fatto la Cassazione n. 12138/2019: in tale decisione si è affermato che la partecipata conferitaria deve ricevere un ramo prevalentemente commerciale e proseguire essa stessa tale attività fino alla cessione, pena la mancanza del requisito di commercialità per la PEX . In sintesi, la PEX non si applica se la newco è inerte o immobiliare, vanificando il beneficio fiscale ricercato. Questa è una forma di contestazione “mirata” ai requisiti dell’agevolazione più che un’applicazione della clausola anti-abuso generale.
Tabella riepilogativa – Norme chiave sui conferimenti e plusvalenze
Riferimento normativo | Ambito | Criterio di valorizzazione | Effetto su plusvalenza |
---|---|---|---|
Art. 9, c.2 TUIR | Conferimenti/apporti in società (regime generale) | Valore normale di mercato del bene conferito | Plusvalenza = valore normale – costo fiscale. Realizzo immediato al valore pieno di mercato. |
Art. 175 TUIR | Conferimenti di partecipazioni di controllo/collegamento tra imprenditori residenti | Valore di realizzo = maggiore tra valore contabile in capo a conferente e conferitario | Plusvalenza calcolata in base a valori contabili (realizzo controllato). Può risultare ridotta o nulla; tassazione differita. |
Art. 177, c.2 (e 2-bis) TUIR | Conferimenti di partecipazioni che conferiscono (o incrementano) il controllo, da chiunque effettuati | Valore di realizzo = incremento del patrimonio netto della conferitaria (quota di patrimonio netto apportato) | Plusvalenza da realizzo controllato (criterio “patrimoniale”). Possibile applicazione anche a conferenti non imprenditori. Se confligge con 175, prevale 175 . |
Art. 176 TUIR | Conferimenti di aziende o rami d’azienda tra imprenditori | Regime di neutralità fiscale (continuità valori fiscali) | Nessuna plusvalenza tassata al conferimento (realizzo neutrale). Tassazione posticipata; la conferitaria prosegue coi valori fiscali del dante causa. |
Art. 87 TUIR (PEX) | Cessione di partecipazioni “qualificate” (requisiti: 12 mesi possesso, iscrizione IMMO, commercialità, no paradisi fisc.) | Esenzione 95% delle plusvalenze realizzate (società di capitali) | Di fatto, solo il 5% della plusvalenza concorre a tassazione (al netto delle condizioni). Se requisiti non rispettati, plusvalenza pienamente imponibile . |
Art. 10-bis L. 212/2000 (Abuso del diritto) | Operazioni prive di sostanza economica con vantaggi fiscali indebiti | Valuta la sostanza oltre la forma; richiede prova di vantaggi extra-fiscali significativi | Consente all’Agenzia di disconoscere i vantaggi fiscali elusivi e riqualificare l’operazione, lasciando impregiudicati eventuali aspetti extra-fiscali. Niente sanzioni penali, ma amministrative sì (in base ai casi) . |
(Legenda: IMMO = immobilizzazioni finanziarie; paradisi fisc. = Paesi a fiscalità privilegiata; indebitamente = indebitamente)
Plusvalenze da conferimento “non tassate”: casi tipici
Chiarito il contesto normativo, identifichiamo le situazioni in cui nella pratica si originano plusvalenze da conferimento non immediatamente tassate. Comprendere la natura di queste operazioni è il primo passo per valutare le contestazioni e predisporre le difese.
1. Conferimenti in regime di realizzo controllato (art. 175/177): come visto, tali operazioni sono legalmente disegnate per non far emergere plusvalenze imponibili o per farle emergere in misura ridotta. Esempio: conferimento infragruppo di partecipazioni di controllo, contabilizzato in continuità di valori. Formalmente nulla di illecito: la legge consente di differire la tassazione. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può insospettirsi quando a questi conferimenti seguono a breve termine operazioni ulteriori che cristallizzano il risparmio fiscale. Il caso classico è il conferimento di azienda o di partecipazioni, seguito dalla cessione delle partecipazioni ricevute: l’eventuale plusvalenza, sfuggita al momento del conferimento, viene realizzata in forma attenuata o esente al momento della cessione (grazie alla PEX per le società o all’imposta sostitutiva ridotta per le persone fisiche). Questo doppio passaggio – spesso pianificato unitariamente – attira l’attenzione del Fisco, che potrebbe considerarlo un abuso del diritto finalizzato solo a evitare imposte. Ne parleremo diffusamente tra poco, poiché è scenario di numerose verifiche e sentenze (in particolare, Cass. 2054/2017, Cass. 3281/2023, ecc.).
2. Conferimenti con sottostima del valore (underpricing): un’altra situazione è quella in cui il conferimento viene contabilizzato ad un valore volutamente basso rispetto al mercato, evitando così plusvalenze. Ciò può accadere al di fuori dei regimi speciali: ad esempio, un imprenditore individuale conferisce un immobile alla sua S.r.l. a un valore prossimo al costo storico anziché al valore di mercato. Oppure una società conferisce a un’altra società un bene a titolo di capitalizzazione iscrivendo un valore contenuto. In base alla regola generale (art. 9 TUIR), il Fisco in questi casi pretende comunque l’imposizione sul valore normale: il comma 2 dell’art. 9 è chiaro nel prescindere dall’importo convenuto, imputando come corrispettivo il valore normale. Quindi, se il contribuente non ha dichiarato alcuna plusvalenza perché ha considerato l’operazione “neutra” a valore di carico, l’Ufficio potrà rettificare l’imponibile applicando il valore normale e calcolando la plusvalenza dovuta. Esempio: società X conferisce a società Y un terreno iscritto a 100, valore di mercato 500, ma lo contabilizza a 100. L’Agenzia può contestare una plusvalenza non dichiarata di 400, basandosi sull’art. 9. Spesso in questi casi il contribuente giustifica la sottovalutazione come scelta prudenziale o tecnica (ad es. iscrivendo il bene a un valore inferiore per non appesantire il patrimonio netto conferitario), ma in sede di controllo ciò viene letto come un tentativo di elusione. Va detto che un conferimento palesemente sotto valore può presentare profili contraddittori anche civilisticamente (specie se tra parti correlate, potrebbe configurare un apporto in conto capitale o una donazione indiretta): questo però esula dall’analisi fiscale immediata. Sul piano tributario, la contestazione qui è fondata sulla difformità tra valore normale e valore dichiarato. L’ente impositore notifica quindi un avviso di accertamento recuperando la maggiore imposta su quella differenza.
Correlata a questa ipotesi è la situazione in cui il conferimento sotto valore venga interpretato come assegnazione occulta di utili ai soci. Ad esempio, se una società cede o conferisce beni ai propri soci a prezzo irrisorio, l’Amministrazione potrà sostenere che la differenza tra valore normale e corrispettivo costituisce utili in natura distribuiti ai soci, soggetti a ritenuta alla fonte (tipicamente 26% o 12,5% a seconda dell’epoca e natura) . Un caso emblematico: società immobiliare in liquidazione cede ai soci l’intero pacchetto di quote di un’altra società a solo €70.000 contro un valore contabile rivalutato di €2.000.000; l’Agenzia contesta che in realtà è stata trasferita ai soci una ricchezza non tassata sotto forma di riserva occulta, pretendendo la ritenuta del 12,5% su tale plusvalore distribuito . In vicende del genere, se il contribuente non riesce a dimostrare ragioni extrafiscali valide per il prezzo incongruo, la giurisprudenza tende a dare ragione al Fisco, considerando l’operazione elusiva e riqualificandola (nel caso citato, la Cassazione ha cassato la pronuncia di merito favorevole al contribuente, evidenziando come la cessione infra-gruppo a prezzo irrisorio fosse indice di abuso del diritto volto a sottrarre plusvalori a tassazione ).
3. Conferimenti con neutralità fiscale (art. 176) seguiti da cessione partecipazioni: abbiamo anticipato questo schema a proposito della PEX. Qui la plusvalenza non tassata è quella che sarebbe emersa nel conferimento d’azienda, evitata per legge tramite la neutralità. La contestazione tipica verte sulla successiva vendita delle quote della conferitaria. L’Agenzia delle Entrate può agire su due fronti: (a) invocare l’abuso del diritto, se ritiene che l’intera operazione conferimento+vendita sia stata ordita al solo scopo di ottenere la PEX; (b) in alternativa, contestare direttamente la mancanza dei requisiti PEX (come la commercialità della conferitaria conferita, o il mancato rispetto del requisito temporale). Quest’ultima strategia è emersa proprio nel caso citato di Cass. 12138/2019: la Suprema Corte ha negato la PEX sulla vendita delle partecipazioni ricevute a seguito di conferimento d’azienda, perché la conferitaria non svolgeva attività commerciale “ininterrottamente” sino alla cessione – in pratica era una scatola vuota che deteneva immobili – e pertanto non poteva beneficiare dell’esenzione . In tal modo, pur senza scomodare la clausola anti-abuso, il Fisco è riuscito a tassare integralmente la plusvalenza in capo al cedente, riqualificando di fatto l’operazione come semplice cessione d’azienda (soggetta a imposta piena). È evidente come questa contestazione – più tecnica e basata su requisiti – sia complementare a quella anti-abuso: se anche vi fossero state ragioni economiche per l’operazione, la mancanza dei requisiti PEX rende comunque dovuta l’imposta sulla plusvalenza.
4. Altre ipotesi: in casi meno frequenti, si riscontrano contestazioni su plusvalenze da conferimento non tassate legate a errori o interpretazioni difformi del contribuente. Ad esempio, un contribuente potrebbe aver ritenuto (erroneamente) esente una plusvalenza da conferimento per analogia a normative non applicabili, o aver fruito di un’agevolazione decaduta. Oppure potrebbero sorgere questioni sul momento di realizzo: se, ad esempio, il conferimento è condizionato o annullato, può esserci disputa su quando (e se) la plusvalenza andasse tassata. Tali situazioni esulano dall’elusione vera e propria e rientrano nella normale dialettica accertativa (si dibatte il fatto imponibile stesso). La guida si concentra prevalentemente sulle ipotesi di contestazione elusiva/abusiva, che sono quelle dove la difesa richiede un approccio strategico più sofisticato.
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate: prassi e giurisprudenza
Passiamo ora ad esaminare come l’Amministrazione finanziaria contesta concretamente queste operazioni e quali sono gli orientamenti giurisprudenziali aggiornati in materia. È fondamentale capire la prospettiva del Fisco per poter poi impostare adeguatamente le controdeduzioni difensive.
In generale, le contestazioni possono suddividersi in due macro-categorie: (A) quelle fondate sulla normativa antielusiva/anti-abuso (oggi art. 10-bis dello Statuto del Contribuente), dove si mette in discussione la legittimità del vantaggio fiscale ottenuto; (B) quelle fondate sulla riqualificazione tecnico-giuridica dell’operazione ai sensi delle norme ordinarie (ad es. applicazione diretta dell’art. 9 TUIR, o disconoscimento di un requisito agevolativo, ecc.). Spesso le due linee si affiancano. Analizziamo i casi principali alla luce delle sentenze più recenti.
Abuso del diritto: conferimento seguito da cessione di partecipazioni
Schema tipico: Un contribuente conferisce un compendio (azienda o partecipazione) in una nuova società, operazione neutra o a realizzo controllato, e successivamente (talvolta molto rapidamente) cede le partecipazioni ricevute a un terzo investitore. Il risultato complessivo è la “vendita” indiretta dell’asset originario, ma con un carico fiscale molto inferiore rispetto a una cessione diretta. Ad esempio, nel caso esaminato dalla Cassazione n. 3281/2023, una società aveva conferito terreni in una newco e poi i soci vendettero le quote della newco a un compratore industriale, pagando solo il 12,5% (imposta sostitutiva su plusvalore da cessione di quote non qualificate) invece della tassazione IRES ordinaria che sarebbe derivata dalla vendita diretta del terreno . L’Agenzia ha riqualificato l’operazione come cessione diretta di terreno da parte della conferente, ritenendo che il conferimento + cessione di quote fosse privo di valide ragioni economiche e finalizzato unicamente a ottenere un indebito risparmio fiscale .
Profilo normativo: Fino al 2015 si applicava l’art. 37-bis DPR 600/1973 (norma antielusiva specifica), oggi sostituito dall’art. 10-bis L. 212/2000 (cd. clausola generale antiabuso). Quest’ultimo dispone che sono abusivi uno o più atti privi di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti . Nella fattispecie in esame, il vantaggio indebito consiste nel trasformare una plusvalenza tassabile al 27-24% (IRES) o al 26% (in capo a persona fisica imprenditore) in una tassazione sostanzialmente azzerata o ridotta (tramite PEX o aliquota sostitutiva minima) grazie al passaggio intermedio del conferimento. La sostanza economica dell’operazione, dal punto di vista del Fisco, è la vendita dell’asset, mentre la creazione della newco e il conferimento appaiono passaggi meramente strumentali.
Posizione della Cassazione: La giurisprudenza si è evoluta su questo tema. In passato (prima della codificazione dell’abuso), la Cassazione tendeva a dare ragione al Fisco, ammettendo la riqualificazione dell’operazione in base agli “effetti economici” anche senza provare l’intento elusivo, soprattutto ai fini dell’imposta di registro (storicamente l’art. 20 DPR 131/86 veniva interpretato in tal senso) . Una svolta c’è stata con la sentenza Cass. 2054/2017, che ha affermato principi più garantisti per il contribuente: in un caso di conferimento di ramo d’azienda seguito da cessione totalitaria di quote, la Corte ha stabilito che il Fisco non può riqualificare la cessione di partecipazioni come cessione d’azienda senza provare che l’unica ragione economica di quell’operazione sia di natura elusiva . Inoltre, si riconosce espressamente che il contribuente ha diritto di scegliere tra più operazioni quella fiscalmente meno onerosa, purché abbia anche convenienze economiche apprezzabili (es. vendere quote può essere preferibile per ragioni societarie, di responsabilità, etc.) . Questo orientamento, coerente col nuovo art. 10-bis, ribadisce che l’onere della prova dell’abuso ricade sull’Amministrazione: spetta al Fisco dimostrare la mancanza di sostanza economica e la finalità essenzialmente fiscale dell’operazione .
Tale principio è stato confermato e applicato anche di recente. Ad esempio, con Cass. 34917/2023 (ambito registro), la Suprema Corte ha cassato l’interpretazione dell’Ufficio che assimilava una cessione di quote al trasferimento d’azienda, ribadendo che – dopo la riforma dell’art. 20 DPR 131/86 – occorre valutare solo gli effetti giuridici dell’atto a meno che non si attivi la procedura antiabuso ex art. 10-bis . In pratica, non è più ammesso forzare la mano interpretativa: se si sospetta un disegno elusivo, bisogna esplicitamente contestarlo come abuso, offrendo al contribuente le tutele del contraddittorio preventivo.
Esiti nei casi concreti: Nonostante i principi favorevoli, l’esito dipende dalla valutazione delle circostanze. Nel caso Cass. 3281/2023 citato sopra (conferimento terreni + vendita quote), la Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la riqualificazione come cessione di terreni tassabile . La motivazione: i giudici di merito avevano correttamente ravvisato un’operazione elusiva priva di reali ragioni extra-fiscali. Il conferimento era avvenuto in una società (ST s.r.l.) costituita ad hoc pochi mesi prima, senza reale attività, detenuta da soci in gran parte coincidenti con la conferente; subito dopo il conferimento, era stato sottoscritto un preliminare per vendere l’intero pacchetto di quote a terzi, per un importo enorme rispetto al valore dei terreni conferiti . Tali elementi (brevissimo intervallo temporale, sovrapposizione soggettiva, inattività della newco, scopo unicamente transitorio) hanno evidenziato la mancanza di sostanza economica: secondo la Corte, la newco non fu creata per un progetto industriale autonomo, ma solo per incapsulare il terreno e rivenderlo in forma di quote, abbattendo l’imposta . Si trattava dunque di un abuso del diritto, perseguibile (all’epoca) ex art. 37-bis DPR 600/73, oggi inquadrabile nell’art. 10-bis. In situazioni analoghe, altre pronunce di legittimità hanno dato ragione al Fisco – ad esempio Cass. 36377/2021 e Cass. 29975/2019 – quando l’operazione appariva artificiosa e priva di valide contropartite economiche non fiscali.
Di contro, quando il contribuente è stato in grado di dimostrare concretamente che l’operazione rispondeva a esigenze economico-giuridiche genuine (ad es. una riorganizzazione societaria con ingresso di nuovi soci, o la segregazione di un ramo per ragioni di finanziamento, etc.), i giudici tributari hanno talora riconosciuto la legittimità della scelta fiscale meno gravosa. Ad esempio, in alcune decisioni di merito post-2015, confermate implicitamente dalla Cassazione, si è ritenuto lecito un conferimento seguito da cessione se inserito in un più ampio disegno di ristrutturazione del gruppo con motivazioni extrafiscali prevalenti . La differenza sta tutta nella prova e nella credibilità delle motivazioni addotte.
Abuso del diritto: onere della prova e difesa del contribuente: Giova ribadire che ai sensi dell’art. 10-bis L.212/2000 l’abuso va contestato tramite un’apposita procedura: l’Ufficio emette una comunicazione motivata al contribuente, il quale ha diritto a presentare osservazioni entro 60 giorni (memoria difensiva ante accertamento). Solo trascorso tale termine, valutate le controdeduzioni, l’Agenzia può emettere l’avviso di accertamento, eventualmente disconoscendo i vantaggi fiscali. In sede contenziosa, il giudice tributario deve poi verificare se sussistono gli elementi dell’abuso: assenza di sostanza economica e beneficio fiscale essenziale, a fronte di eventuali ragioni extrafiscali non marginali portate dal contribuente. Non è sufficiente la sequenza conferimento-cessione in sé a configurare l’abuso: deve risultare che l’operazione introduttiva (il conferimento) era priva di scopi se non quello di preparare la vendita più vantaggiosa. Se invece il conferimento e la successiva cessione si inseriscono in un disegno più ampio di riorganizzazione con proprie logiche imprenditoriali, allora l’abuso può essere escluso . La Cassazione ha sottolineato che, ad esempio, preliminari cessioni fra soci per rimuovere ostacoli tecnici e consentire un conferimento in regime agevolato non sono abusive di per sé, se non erodono ingiustamente gettito e rispondono a finalità organizzative reali .
Sintesi: Il takeaway per il contribuente è che le operazioni di questo tipo sono sotto la lente del Fisco e, in caso di verifica, verranno scandagliate per individuarne la sostanza. In un’ottica difensiva (che approfondiremo più avanti), occorre documentare attentamente le ragioni economiche e i vantaggi non fiscali che hanno motivato la scelta del conferimento anziché della cessione diretta.
Contestazione di sotto-valutazione: applicazione del valore normale e distribuzione occulta di utili
Un’altra frequente contestazione – più tecnica, meno “romanzata” dell’abuso multistep – riguarda la valorizzazione del conferimento. Come detto, l’art. 9 TUIR impone il valore normale come corrispettivo. Pertanto, se un bene viene conferito a un valore inferiore al suo fair value, l’Agenzia può procedere a un accertamento in aumento.
Modalità operative: Tipicamente, l’Ufficio, tramite la Guardia di Finanza o in sede di controllo documentale, rileva che un certo bene (immobile, partecipazione, macchinario ecc.) è stato conferito a valore X mentre, sulla base di elementi oggettivi, avrebbe un valore di mercato Y ben più alto. Può avvalersi di perizie di stima, valori OMI (per immobili), quotazioni di Borsa (per azioni quotate), bilanci e flussi reddituali (per aziende), ecc. Riscontrata la divergenza, quantifica la plusvalenza non dichiarata pari a (Y – costo fiscale) meno quella eventualmente dichiarata (X – costo).
Esempio: conferimento di un immobile in società: dichiarato €1 milione, costo storico €0,5 mln, plusvalenza dichiarata €0,5 mln. Ma l’immobile vale €1,5 mln secondo OMI. L’Agenzia contesta €0,5 mln di plusvalenza in più, calcolando imposte e sanzioni su tale differenza.
Base giuridica: L’art. 9, co.2 TUIR è di per sé la norma di riferimento, come si è visto. Da notare che il D.Lgs. 147/2015 ha introdotto una tutela per il contribuente in alcune situazioni: l’art. 5, co.3 di detto decreto vieta al Fisco di presumere una plusvalenza realizzata solo sulla base di valori dichiarati per altre imposte, senza ulteriori prove . Ad esempio, se per l’imposta di registro un bene è stato valutato ad un certo importo, ciò da solo non può giustificare un accertamento automatico sulle imposte dirette. La Cassazione ha di recente ribadito questo principio, evidenziando che per le imposte sui redditi conta il corrispettivo effettivamente percepito, non il “valore” del bene come per il registro . Ciò non significa però che l’Ufficio non possa rideterminare il corrispettivo effettivo: semplicemente non può farlo in modo acritico mutuando stime altrui. Dovrà motivare adeguatamente perché il prezzo dichiarato non è veritiero.
Distribuzione occulta di utili: Come accennato, se la sotto-valutazione avviene a favore dei soci o parti correlate, l’Agenzia può interpretarla come una liberalità verso di essi. Norme specifiche, come l’art. 47, c.1 TUIR, prevedono che si considerano utili anche le somme o il valore normale dei beni assegnati ai soci in sede di riduzione di capitale o distribuzione. Nel caso di conferimento, formalmente non c’è una distribuzione, ma se coincide con una cessione infra-soci a prezzo vile, la sostanza è analoga a un’assegnazione. Allora si contesta al soggetto conferente di aver realizzato una sorta di utile extracontabile distribuito al socio conferitario. Tipicamente, l’ufficio recupera la ritenuta d’imposta dovuta su tale utilità. Nel caso di prima illustrato (società che cede ai soci quote a 70.000 contro valore 2 mln), l’Agenzia ha chiesto il 12,5% su €1,93 mln come ritenuta su utili “in natura” distribuiti . La CTR inizialmente non ha approfondito la questione, ma in Cassazione l’amministrazione ha avuto la meglio: la sentenza (ord. n. 2320/2023, stando alla descrizione) ha cassato la decisione regionale proprio perché non aveva valutato gli evidenti indizi di elusione e violazione delle norme sulle assegnazioni ai soci . La Corte ha rimarcato che l’art. 86 TUIR contiene già specifiche disposizioni antielusive per impedire che beni d’impresa escano dall’impresa senza tassazione: in particolare, stabilisce che se un bene viene destinato a finalità estranee (ad es. ai soci), la plusvalenza imponibile è la differenza tra il valore normale e il costo fiscale . Dunque, non tassare quel differenziale configurava un indebito vantaggio.
Sintesi giurisprudenziale: In materia di sotto-fatturazione nei conferimenti, la giurisprudenza è generalmente allineata con l’Amministrazione, trattandosi spesso di accertamenti in fatto. Il contribuente può vincere la causa se dimostra che il valore normale assunto dal Fisco è errato o che vi erano vincoli oggettivi sul prezzo (es. normative settoriali, stato di necessità finanziaria, ecc.). Ma se la differenza è macroscopica e ingiustificata, difficilmente i giudici ignorano la rettifica. Vale la pena ricordare che la riforma del processo tributario (D.Lgs. 546/1992 come modificato nel 2022) ha introdotto il principio della prova: spetta all’ente impositore provare i fatti costitutivi della maggiore pretesa (qui: il maggior valore del bene conferito), ma una volta forniti elementi presuntivi gravi, il contribuente deve controbattere. Spesso si ricorre a consulenze tecniche in giudizio per stabilire il valore effettivo del bene al momento del conferimento. In caso di divergenze non clamorose, può prevalere la tesi del contribuente (anche invocando la valutazione come questione tecnica opinabile, con beneficio del dubbio).
Decadenza dai regimi agevolativi: diniego di PEX e altri casi
Un ulteriore filone di contestazione non direttamente legato all’abuso ma che ha effetti analoghi è il diniego delle agevolazioni che hanno reso non tassata la plusvalenza. Abbiamo già fatto l’esempio della PEX negata perché la conferitaria non era impresa commerciale attiva (Cass. 12138/2019) . In altri casi, l’Agenzia può contestare il mancato rispetto di condizioni temporali (ad esempio la partecipazione ceduta prima dell’anno di possesso richiesto per PEX, o riclassificata tra le rimanenze invece che immobilizzazioni finanziarie). Oppure ancora la non applicabilità di un regime di realizzo controllato per difetto dei requisiti soggettivi (es: se un soggetto non imprenditore tenta di applicare art. 175 in luogo del 177, o se il conferimento non raggiunge le soglie di controllo richieste). Tali contestazioni sono più “oggettive” e meno discrezionali: vertono su interpretazioni tecnico-giuridiche. Ad esempio, un interpello risposta 552/2021 dell’Agenzia Entrate ha chiarito che se un conferimento può ricadere sia sotto art. 175 che 177, deve applicarsi il 175 (come già menzionato) ; ciò serve ad evitare che un contribuente applichi art. 177 per far emergere una minusvalenza deducibile eludendo il limite di indeducibilità della minusvalenza “realizzo controllato” (oggi è espressamente indeducibile) . Insomma, l’amministrazione è vigile anche nel prevenire utilizzi distorti dei regimi di conferimento per creare benefici impropri (deduzioni di perdite, ecc.).
In sede contenziosa, questi casi si risolvono in un confronto interpretativo: il giudice verifica se le condizioni di legge erano soddisfatte. Ad esempio, se l’Agenzia nega la PEX, il contribuente può provare che la sua società partecipata aveva in realtà una struttura operativa commerciale (magari producendo contratti, documenti di attività, ecc.) per convincere che la commercialità c’era. Laddove però i fatti diano torto (la conferitaria era palesemente inattiva), la contestazione regge.
Un caso notevole (Cass. 12138/2019): la Corte ha affermato che per avere la PEX post-conferimento, la conferitaria deve aver ricevuto un ramo da una società commerciale e deve aver proseguito senza interruzioni l’attività commerciale fino alla cessione, rispettando l’anno di possesso . Inoltre, la stessa sentenza ricorda che sono presuntivamente non commerciali le società che si limitano a gestione immobiliare o detengono principalmente immobili “patrimoniali” (non strumentali né merce) . Queste puntualizzazioni offrono all’Agenzia basi solide per colpire operazioni in cui si usano società-veicolo non operative.
In conclusione su questo punto: non sempre l’Amministrazione deve invocare l’abuso del diritto; a volte applica semplicemente le norme esistenti (PEX, requisiti, ecc.) in modo rigoroso per recuperare a tassazione plusvalori latenti. Dal lato difensivo, ciò implica che il contribuente deve conoscere bene i requisiti formali e sostanziali delle agevolazioni utilizzate e prepararsi a dimostrare di averli rispettati (o argomentare giuridicamente in caso di incertezza interpretativa).
Sanzioni nelle contestazioni di plusvalenze non tassate
Un rapido cenno va fatto al tema sanzioni. In linea generale, le contestazioni di maggior imposta su plusvalenze non dichiarate comportano sanzioni amministrative per infedele dichiarazione, di regola dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/1997). Tuttavia, in caso di contestato abuso del diritto, la disciplina è particolare: l’art. 10-bis, comma 13 L. 212/2000 stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili penalmente, ma resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie “ove ne ricorrano i presupposti” . La prassi interpretativa ritiene quindi che anche in caso di accertamento per abuso siano dovute le sanzioni tributarie, salvo esimenti. Un’esimente importante è l’obiettiva incertezza normativa: se il contribuente ha seguito un comportamento in una situazione in cui la normativa era ambigua o di difficile interpretazione, può invocare l’esonero da sanzioni (art. 6, c.2 D.Lgs. 472/97). Nel passato, ad esempio, le oscillazioni giurisprudenziali sulle operazioni di conferimento+cessione (lecite o elusive?) potevano giustificare una certa incertezza. Oggi con la norma antiabuso codificata e diversi precedenti, tale argomento è meno forte, ma comunque valutabile caso per caso.
Va inoltre ricordato che la collaborazione del contribuente in sede pre-contenziosa può incidere sulle sanzioni: se ad esempio si opta per un accertamento con adesione o si rinuncia al ricorso versando il dovuto, le sanzioni sono ridotte (1/3 del minimo in adesione). Nel contenzioso, il giudice tributario può anche ridurre le sanzioni in considerazione della gravità del comportamento.
In casi di contestazioni su conferimenti, spesso il contribuente può sostenere di essersi basato su prassi o interpelli: ad esempio, se aveva fatto un interpello (non obbligatorio in abuso, ma facoltativo) e l’Agenzia aveva dato una certa risposta, poi magari contraddetta in verifica, ciò sicuramente aiuta a far eliminare le sanzioni per buona fede. Allo stesso modo, l’aver chiesto un parere professionale qualificato prima dell’operazione può essere indice di diligenza. Insomma, il tema sanzionatorio va tenuto presente nella strategia difensiva, perché anche se l’imposta viene confermata, c’è spazio talvolta per evitare almeno le penalità aggiuntive.
Strategie difensive in sede contenziosa e pre-contenziosa
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una plusvalenza da conferimento non tassata, il contribuente ha davanti a sé un percorso articolato di difesa. In questa sezione esamineremo le possibili strategie difensive, distinguendo tra la fase pre-contenziosa (in particolare il contraddittorio endoprocedimentale per abuso del diritto e gli istituti deflattivi) e la fase contenziosa innanzi al giudice tributario. L’obiettivo è fornire linee guida su come impostare una difesa efficace, evidenziando quali argomentazioni e prove possono risultare persuasive alla luce della normativa e della giurisprudenza attuale.
Contraddittorio endoprocedimentale e risposta all’addebito di abuso
In caso di sospetta operazione abusiva, l’Agenzia è tenuta a notificare al contribuente una comunicazione preventiva (ai sensi dell’art. 10-bis, co.4 L.212/2000), nella quale vengono illustrati i motivi per cui reputa l’operazione priva di sostanza economica e volta a ottenere un vantaggio fiscale indebito. Questo documento (talora chiamato “invito a dedurre” o “contestazione abuso”) è il primo terreno di difesa: il contribuente ha 60 giorni per presentare una memoria difensiva con le proprie osservazioni e spiegazioni.
Cosa fare in questa fase? È fondamentale sfruttare appieno questa opportunità, poiché una memoria convincente può talvolta persuadere l’Ufficio a non emettere l’accertamento (o quantomeno a rimodularlo). Nella risposta è opportuno:
– Ricostruire dettagliatamente la sostanza economica dell’operazione contestata. Bisogna descrivere il contesto imprenditoriale in cui è avvenuta: ad esempio, evidenziare se c’era un progetto di ristrutturazione aziendale, un’operazione di finanza straordinaria, esigenze di separare attività per mitigare rischi, volontà di far entrare nuovi soci/investitori, ottimizzazione della governance, etc. Ogni elemento che indichi uno scopo non fiscale concreto deve essere messo in luce.
– Documentare tali ragioni con evidenze: verbali del consiglio d’amministrazione o dell’assemblea in cui si deliberano le operazioni con motivazioni, perizie di stima indipendenti (che possano confermare valori e convenienza dell’operazione), corrispondenza con banche o investitori che giustifichi la necessità di procedere in un certo modo, studi di fattibilità, piani industriali. Ad esempio, se la motivazione dichiarata è “agevolare l’ingresso di un partner tramite conferimento in newco”, allegare eventuali LOI (lettere d’intenti) con quel partner, che mostrino come l’operazione fosse richiesta per ragioni negoziali.
– Ribadire la legittimità delle scelte e magari citare precedenti prassi o giurisprudenza a favore: ad esempio, menzionare che la libertà di scelta del contribuente tra operazioni diverse è sancita dalla legge antielusiva, richiamare Cass. 2054/2017 che riconosce lecitamente un conferimento + cessione se vi sono ragioni extra-fiscali , o eventuali circolari dell’AE che hanno trattato casi analoghi.
– Contestare l’interpretazione del Fisco qualora questa appaia forzata: spesso nella contestazione l’Ufficio sottolinea alcuni elementi (es. “subito dopo il conferimento c’è stata la cessione, segno che era già tutto pianificato solo per risparmiare imposte”). Il contribuente deve spiegare perché la sequenza temporale o la contestualità non equivalgono automaticamente a mancanza di sostanza. Ad esempio, si può argomentare: “È vero che la cessione era prevista, ma ciò avveniva perché il conferimento era condizione posta dal compratore per motivi di acquisizione pulita di una società target, il che costituisce una valida ragione economica”. In altre parole, provare a smontare la tesi della “forma senza sostanza” mostrando che la forma scelta era funzionale a scopi legittimi.
– Se applicabile, evidenziare eventuali incertezze normative o prassi favorevoli seguite, preannunciando che, in caso di accertamento, si chiederà la disapplicazione di sanzioni per obiettiva incertezza.
Questa memoria va scritta con linguaggio chiaro ma accurato, e può già prefigurare la linea difensiva del successivo ricorso (qualora l’Ufficio non faccia marcia indietro). Va tenuto a mente che gli stessi funzionari che leggeranno la memoria potrebbero poi sostenere la causa in giudizio: quindi una buona memoria può gettare semi di dubbio che torneranno utili più avanti.
Attenzione: la mancata risposta entro 60 giorni non preclude la difesa in giudizio, ma è comunque sconsigliabile tacere. Anche perché il mancato riscontro consente all’Ufficio di procedere più celermente. Meglio quindi inviare osservazioni, anche se sintetiche, per dimostrare collaborazione e buona fede.
Scelte deflattive: adesione o conciliazione
Una volta notificato l’eventuale avviso di accertamento, il contribuente può valutare soluzioni deflattive del contenzioso, specialmente se ritiene parzialmente fondato l’addebito o vuole ridurre il rischio. Nel caso di plusvalenze da conferimento, spesso le posizioni possono essere complesse, ma ipotizziamo alcuni scenari:
– Se la contestazione verte su una questione di valore normale (sotto-valutazione) e c’è margine per negoziare, l’istituto dell’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97) è uno strumento utile. Consente, prima di impugnare l’atto, di avviare un confronto con l’Ufficio: si può discutere del valore del bene conferito, magari presentando una perizia di parte per arrivare a un accordo sul valore (spesso a metà strada tra quanto sostenuto dalle parti). L’adesione ha vantaggi: sanzioni ridotte a 1/3, niente interessi di mora successivi, pagamento rateale possibile. Ad esempio, se l’Ufficio contesta valore 2 mln e il contribuente dichiarava 1 mln, si potrebbe concordare per 1,5 mln, chiudendo la vicenda con tassazione su quel delta e riduzione sanzioni. È chiaro che questa via implica di accettare in parte la pretesa, quindi va ponderata caso per caso.
– Se la contestazione è di abuso del diritto, raramente l’adesione viene proposta su aspetti di merito (il Fisco difficilmente transige sul “se” tassare, trattandosi di principio generale). Potrebbe esserci spazio sull’entità delle sanzioni o su aspetti secondari (ad esempio, in passato l’Amministrazione accettava talvolta di rinunciare alle sanzioni sull’abuso se il contribuente pagava le imposte). Nel nuovo contesto normativo però, la tendenza è che, riconosciuto l’abuso, l’imposta è dovuta e le sanzioni anche, quindi poca trattativa. Un’alternativa è la conciliazione giudiziale: se si va in causa, si può proporre un accordo in cui magari il contribuente rinuncia in parte al ricorso e l’Ufficio riduce sanzioni o importi. Su questioni di principio come l’abuso, non è comune, ma possibili incertezza sulla prova potrebbero spingere a patteggiare (es: pagare l’imposta ma togliere sanzioni per incertezza).
– Altro strumento: l’istanza di autotutela qualora emergano evidenti errori nell’accertamento (non di merito ma formali o di calcolo). Ad esempio, se l’Ufficio ha erroneamente ritenuto applicabile art. 9 quando invece per legge era art. 175, si può segnalare chiedendo l’annullamento in autotutela totale o parziale. Le chance dipendono dalla ragionevolezza dell’Ufficio.
In definitiva, l’adesione è sfruttabile prevalentemente su questioni valutative. Sulle questioni di principio, spesso si finisce per dover ricorrere, a meno che la posizione del Fisco sia debole (in quel caso potrebbe esso stesso proporre sconti in adesione per assicurarsi il gettito ed evitare un giudizio incerto).
Difesa in giudizio: impostazione del ricorso e argomentazioni chiave
Qualora si arrivi al contenzioso tributario, la predisposizione di un solido ricorso (ed eventuali successivi atti) è cruciale. Il ricorso deve contenere i motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo, esposti in modo chiaro e supportati da riferimenti normativi e giurisprudenziali. Nel contesto che trattiamo, alcuni motivi tipici di ricorso e linee argomentative sono:
- Inesistenza dell’abuso del diritto (motivo sul merito): qui si sviluppa l’argomento che l’operazione contestata non è abusiva. Si sottolinea la presenza di valide ragioni economiche non marginali che giustificano l’operazione e si contesta l’affermazione dell’Ufficio circa la mancanza di sostanza. Spesso conviene suddividere questo motivo in sotto-paragrafi:
- Sostanza economica dell’operazione: descrivendo come il conferimento e la successiva cessione fossero due fasi di un’operazione complessa con finalità economiche precise, ad esempio: riorganizzazione del gruppo, adeguamento a obblighi regolamentari, ricerca di partner, tutela del patrimonio personale dell’imprenditore separando l’azienda, ecc. Supportare con documenti (già prodotti). Citare che l’art. 10-bis esplicitamente non considera abusive le operazioni giustificate da “validi motivi economici e non marginali”.
- Assenza di vantaggio indebito, perché operazione conforme a norme agevolative: Ad esempio, se si è usufruito di PEX, argomentare che la PEX è stata introdotta dal legislatore per incentivare certe operazioni e il caso rientrava in pieno nella ratio. Richiamare magari documenti parlamentari o circolari sul fatto che conferimenti e PEX sono leciti strumenti di tax planning consentito.
- Confronto con precedenti giurisprudenziali: evidenziare se esistono pronunce in casi simili favorevoli. Ad esempio: “La Cassazione con sentenza n. 2054/2017 ha riconosciuto la legittimità di un’operazione di conferimento di ramo d’azienda e successiva cessione di quote, statuendo che il Fisco deve provare l’intento elusivo e che in mancanza l’operazione va rispettata nella forma scelta” . Oppure menzionare sentenze di merito (CTR) dove il contribuente ha prevalso grazie alla prova di valide ragioni. Questo serve a convincere il giudice che non c’è una presunzione assoluta di abuso, ma anzi vi sono casi in cui è stato negato.
- Onere della prova non assolto dall’Ufficio: rimarcare se il Fisco si è limitato a rilevare la sequenza conferimento-cessione senza fornire ulteriori evidenze. Ad esempio, far notare eventuali errori o carenze nell’atto impugnato: “L’Ufficio basa la contestazione solo sulla ravvicinata temporalità delle operazioni, senza individuare alcun elemento concreto (personale, organizzativo, contrattuale) che provi l’assenza di sostanza economica. Ciò è contrario ai principi di Cass. 4372/2015, che richiede una specifica analisi della finalità e non la mera sussunzione temporale” (enfatizzare la genericità accusatoria può aiutare, se effettivamente c’è).
- Motivi economici effettivi (prova contraria): elencare e spiegare ogni documento/prova prodotta che attesti i motivi reali. Ad esempio: lettera banca X del … che condizionava l’erogazione di un finanziamento alla creazione di una holding; accordo parasociale con l’investitore Y in cui si richiedeva che i beni fossero conferiti prima dell’ingresso, etc.. Lo scopo è far percepire al giudice la logica non fiscale che sottostà all’operazione.
- Violazione della procedura ex art. 10-bis L.212/2000 (motivo procedurale): qualora l’Ufficio non avesse rispettato il contraddittorio endoprocedimentale (ad esempio emanando l’accertamento senza inviare la preventiva comunicazione e attendere 60 giorni, oppure senza valutare le osservazioni presentate), ciò costituisce un vizio rilevante. Diversa giurisprudenza considera nullo l’atto emesso in violazione del contraddittorio obbligatorio nelle ipotesi di abuso (in quanto violazione di norme imperative sul procedimento). Si può dunque eccepire la nullità dell’atto per omessa osservanza del termine o mancato invio dell’avviso. Anche se l’Agenzia sostenesse che la violazione non comporta nullità, è un argomento a cui molti giudici sono sensibili, data l’importanza del contraddittorio.
- Insussistenza dei presupposti per la rettifica di valore (motivo sul merito, se pertinente): in caso di contestazione di sotto-valutazione, il motivo principe sarà: “L’Ufficio ha erroneamente determinato il valore normale del bene conferito”. Qui si confuta la stima del Fisco. Ad esempio, se l’Agenzia ha preso come riferimento un valore OMI medio per un immobile, il ricorso può argomentare che quell’immobile presentava caratteristiche peculiari (vizi, locazioni in corso, posizione infelice) tali da ridurne il valore rispetto alla media. Oppure, se ha usato una perizia interna su un’azienda, produrre una perizia di parte che illustra come la valutazione corretta fosse più bassa per x ragioni (mettendo in dubbio la perizia del Fisco). Questo motivo va corredato di documenti: “Si produce perizia dell’esperto Caio che quantifica il valore in €…, confutando l’elaborato dei verificatori”. In sintesi, si crea un contrasto di valutazioni, sperando che il giudice ritenga più convincente (o almeno possibile) la nostra. In diritto, si può aggiungere che, secondo giurisprudenza, le stime OMI non sono fonte certa di valore ma solo indizi , e che prevale il valore effettivo di scambio salvo prova contraria rigorosa.
Inoltre, rientra qui anche l’aspetto della distribuzione utili occulti: se contestata, andrà negata sostenendo che non vi era alcuna intenzione di arricchire i soci, l’operazione era a valori di mercato (da dimostrare) e comunque l’art. 86 TUIR non è eluso poiché il bene è rimasto nell’ambito imprenditoriale (nel caso di conferimento, il bene va alla società conferitaria, non fuori dall’impresa). Qualora però emergesse che il bene è uscito dall’attività (ad es. il socio persona fisica conferisce bene dalla sua impresa individuale a una società di cui è socio ma poi lo utilizza personalmente), la difesa è più debole, ma si potrebbe argomentare che la società conferitaria è un soggetto distinto e non c’è distribuzione ai soci se non giuridicamente deliberata. - Errori di diritto o di fatto nell’atto impugnato: conviene sempre scrutare l’atto per vizi ulteriori: errata individuazione del soggetto passivo, decadenza termini, difetto di motivazione, ecc. Spesso negli accertamenti complessi qualche imprecisione si trova. Es: se l’accertamento presumesse erroneamente che conferente e conferitaria sono soggetti correlati al 100% quando invece c’era un socio terzo (magari minore ma non irrilevante) – questo potrebbe minare l’assunto dell’abuso per mancanza di identità soggettiva completa (come tentò la difesa in Cass. 3281/2023, evidenziando che una parte minoritaria non era coinvolta e dunque l’operazione non era totalmente “in famiglia” – eccezione però respinta dalla Cassazione ). In ogni caso, evidenziare eventuali fragilità nella ricostruzione dell’Ufficio può seminare dubbi nel giudice.
- Sanzioni: non debenza o riduzione: come ultimo motivo (in subordine), argomentare eventualmente che, in caso di conferma del maggior tributo, le sanzioni andrebbero annullate per obiettiva incertezza normativa (data la complessità della disciplina, i contrasti giurisprudenziali, i mutamenti normativi come D.Lgs.128/2015) o quanto meno ridotte al minimo, magari applicando la continuazione o altre attenuanti (collaborazione del contribuente, etc.). Questo motivo va proposto cautelativamente, perché se si vince sui principali, non serve; ma se si perde, può salvare dall’aggravio sanzionatorio.
Prove testimoniali e consulenze tecniche: nel processo tributario le testimonianze sono vietate, ma nulla impedisce di produrre dichiarazioni rese da terzi (ad esempio, una lettera sottoscritta da un partner commerciale che confermi aspetti fattuali). Non hanno valore di prova legale, ma come documento possono essere valutate. Una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) può essere chiesta per determinare il valore di beni se controverso; spesso i giudici la dispongono se trovano le perizie di parte inconciliabili. Il difensore può suggerirla come istanza subordinata.
Atteggiamento processuale: Nei casi complessi come questi, è consigliabile un’attitudine collaborativa col giudice: presentare i fatti in modo trasparente, riconoscere eventuali punti deboli ma spiegare perché non inficiano la sostanza, e magari proporre soluzioni di giudizio equilibrate. Ad esempio, in un caso borderline di abuso, si può suggerire che, qualora il giudice ravvisi comunque un vantaggio fiscale, valuti la non applicazione di sanzioni per novità della norma, ecc. Ciò rende la difesa più credibile e “ragionevole” agli occhi della Corte.
Focus sulla giurisprudenza recente di legittimità
Come richiesto, riportiamo una breve panoramica di alcune sentenze recentissime (2023-2025) della Corte di Cassazione che hanno toccato i temi in oggetto, con il principio espresso. Questo può essere utile sia per citarle in giudizio, sia per capire il clima interpretativo attuale:
- Cass. 3281/2023 (Sez. V, deposito 2 febbraio 2023) – Conferimento di terreni e cessione quote – Abuso del diritto: confermando la legittimità dell’accertamento anti-elusivo, la Corte ha ritenuto abusiva l’operazione di conferire un bene (terreno) in una società veicolo e vendere poi le quote, essendo finalizzata unicamente a ottenere un risparmio d’imposta (12,5% sul capital gain invece dell’ordinaria tassazione) . Si ribadisce che sussiste abuso quando una serie di atti formalmente leciti è priva di sostanza economica e volta al solo fine fiscale indebito. Nel caso specifico, la conferente non ha fornito valida prova di controfinalità economiche, e la presenza di una newco con compagine quasi identica è stata vista come indizio di costruzione artificiosa .
- Cass. 34917/2023 (Sez. V, 13 dicembre 2023) – Cessione totalitaria di quote vs cessione d’azienda – Imposta di registro e abuso: la Corte ha escluso che una cessione del 100% quote possa essere automaticamente riqualificata come cessione d’azienda ai fini registro, soprattutto dopo la modifica dell’art. 20 DPR 131/86 . Si precisa che il Fisco deve attenersi alla forma giuridica dell’atto, potendo guardare alla sostanza economica solo attivando la procedura antiabuso ex art. 10-bis . Principio: “il fisco non può riqualificare l’atto… senza provare che l’unica ragione dell’operazione sia stata elusiva” . Difesa: questa sentenza avvalora la tesi difensiva sul ruolo centrale dell’onere probatorio dell’Amministrazione in ipotesi elusive.
- Cass. 35462/2023 (Sez. V, 19 dicembre 2023) – Plusvalenza da cessione d’azienda – Divieto di utilizzo di valori accertati a fini registro: pronunciandosi su un caso in cui il Fisco aveva rettificato la plusvalenza dichiarata dal venditore usando come base il maggior valore definito per l’imposta di registro (in un accertamento con adesione col compratore), la Cassazione ha affermato che ciò è illegittimo. Ha richiamato l’art. 5, co.3 D.Lgs.147/2015, che esclude l’accertamento induttivo delle plusvalenze ai fini reddituali basato solo su valori dichiarati per altre imposte . Principio: la base imponibile delle imposte sui redditi è il corrispettivo effettivo meno i costi, non il valore venale del bene; dunque un valore definito ai fini registro non può automaticamente essere traslato sulle dirette . Difesa: utile riferimento se l’Agenzia tenta di usare stime o valori di atti notarili come presunzioni contro il contribuente.
- Cass. 20673/2024 (Sez. V, 25 luglio 2024) – Abuso del diritto – ambito di applicazione (fuori tema conferimenti): interessante per completezza, chiarisce che l’abuso del diritto ricomprende ogni vantaggio fiscale indebito anche al di fuori di fattispecie nominate. Nel merito (benefici “prima casa”), la Corte richiama l’obbligo per il Fisco di provare l’intento abusivo e la non sussistenza di ragioni extrafiscali. Non direttamente su conferimenti, ma consolida il medesimo approccio rigoroso in favore del contribuente.
- Cass. 18374/2025 (Sez. V, 6 luglio 2025) – Cessione totalitaria quote vs cessione d’azienda – conferma orientamento: in linea con Cass. 34917/23, ha ribadito che la cessione di tutte le quote non può essere riqualificata come cessione d’azienda ai fini registro in assenza di prova di abuso . Retroterra: l’evoluzione giurisprudenziale e normativa (richiamo implicito all’art. 10-bis e art.20 DPR131 modificato).
- Cass. 7613/2024 (Sez. V, 21 marzo 2024) – Plusvalenza cessione d’azienda – criterio di competenza temporale: non attinente all’abuso, ma afferma che la plusvalenza da cessione d’azienda si realizza alla data dell’atto, indipendentemente dall’incasso. Lo citiamo solo come monito: talvolta, in difesa, i contribuenti sostengono che non avendo incassato nulla (es. conferimento a fronte di partecipazioni), non c’è realizzo. Ciò è errato: ai fini fiscali, anche un corrispettivo in natura (azioni) conta e il momento impositivo è quello del trasferimento . Quindi in giudizio non conviene dire “ma non ho avuto soldi”, perché fiscalmente irrilevante.
(Le suddette citazioni di giurisprudenza sono tratte da fonti autorevoli e aggiornate, come massimari ufficiali e commenti di esperti , e possono essere utilizzate nelle difese come riferimenti.)
Prospettiva del contribuente: consigli pratici
Oltre alle strategie legali classiche, è utile indicare alcuni consigli pratici al contribuente (imprenditore o società) che si trovi a dover giustificare un conferimento non tassato:
– Documentare ex ante le motivazioni: se state pianificando un conferimento a rischio contestazione, fate mettere nero su bianco (es. in delibere assembleari, relazioni degli amministratori) le ragioni economiche dell’operazione. Questi documenti interni, scritti prima di qualsiasi controllo, avranno più credibilità come prova a vostro favore.
– Interpello preventivo: valutate la possibilità di presentare un interpello probatorio all’Agenzia delle Entrate (oggi interpello sui nuovi investimenti o anti-abuso) descrivendo l’operazione e chiedendo se configura abuso. Se l’Agenzia risponde riconoscendo la liceità, siete al riparo da contestazioni (su quell’aspetto). Se risponde negativamente, quantomeno ne conoscete in anticipo la posizione e potete decidere se procedere o modificare la struttura. L’interpello è uno strumento prezioso ma in questi ambiti delicati non sempre viene utilizzato dal contribuente (che magari preferisce “non sollevare il problema” sperando di non essere controllato).
– Atteggiamento collaborativo in verifica: se subite una verifica fiscale, spiegate subito agli ispettori la logica dell’operazione, fornite le carte che la supportano. Far comprendere la bona fide e la sostanza durante l’audit può talvolta evitare che si irrigidiscano. Ad esempio, mostrando che l’operazione era nota al Collegio sindacale, inserita in bilancio con adeguata informativa, e magari evidenziando che il risparmio fiscale era conseguenza collaterale e non scopo primario.
– Valutazioni di mercato: se avete compiuto un conferimento in base a una perizia di stima (spesso obbligatoria per legge nel conferimento in natura in società di capitali ex art. 2465 c.c.), conservate quella perizia e ogni allegato. Se ben fatta (anche solo ai fini civilistici), potrà difendere la ragionevolezza del valore attribuito.
– Considerare la possibilità di ravvedimento operoso: in casi estremi, se vi rendete conto di una violazione chiara (es. plusvalenza non dichiarata per errore palese), valutate di autodenunciarvi col ravvedimento prima che arrivi l’accertamento, pagando il dovuto con sanzioni ridotte. Questo ovviamente non si applica all’abuso perché di solito uno non “ravvede” un abuso consapevolmente costruito; ma potrebbe valere per errori in buona fede (p.es. credevate applicabile un regime poi rivelatosi non applicabile). Ravvedersi evita il contenzioso e limita danni economici.
Domande frequenti (FAQ) e risposte
Di seguito una serie di domande comuni in materia di plusvalenze da conferimenti e relative contestazioni, con risposte sintetiche ma esaustive, per chiarire i principali dubbi emersi tra professionisti e imprenditori.
D: Cosa si intende esattamente per “plusvalenza da conferimento non tassata”?
R: È la plusvalenza (guadagno) che scaturisce quando si conferisce un bene o una partecipazione in una società e che, in virtù di particolari regole o comportamenti, non viene assoggettata a immediata imposizione fiscale. In situazioni ordinarie, conferire un asset a una società equivale a venderglielo al valore di mercato, generando quindi una plusvalenza tassabile . Si parla di plusvalenza “non tassata” quando, grazie a norme speciali (art. 175 TUIR, art. 176 TUIR) o ad artifici valutativi (sottostima del valore), tale plusvalore non è stato dichiarato né colpito dal Fisco al momento dell’operazione.
D: Il conferimento in società è sempre considerato una cessione ai fini fiscali?
R: Tendenzialmente sì. La regola generale (art. 9 TUIR) equipara i conferimenti alle vendite a titolo oneroso . Ciò significa che, salvo eccezioni, ogni conferimento realizza fiscalmente eventuali plusvalenze latenti. Esistono però eccezioni importanti: i conferimenti di partecipazioni di controllo/collegamento (art. 175) e i conferimenti d’azienda (art. 176) usufruiscono di regimi di realizzo controllato o neutralità, in cui la plusvalenza non è calcolata al valore di mercato ma con criteri particolari (valori contabili o continuità) . In questi casi, se i requisiti di legge sono rispettati, non si dichiara alcuna plusvalenza immediata (o se ne dichiara una inferiore al valore di mercato) ed è lecito farlo perché lo consente la norma.
D: Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un conferimento come elusivo/abusivo?
R: Avviene soprattutto in due circostanze: (1) quando il conferimento è parte di una costruzione complessa finalizzata a risparmiare imposte, ad esempio il caso tipico “conferisco un bene in una società e poi vendo le quote per pagare meno tasse” (trasformazione di vendita di beni in vendita di partecipazioni) ; (2) quando il conferimento avviene a valori anomali (troppo bassi, creando vantaggi per qualcuno) senza giustificazione economica. In generale, l’Agenzia contesta se vede che la forma giuridica scelta (conferimento) ha permesso di ottenere un vantaggio fiscale che, dal suo punto di vista, è indebito e non supportato da reali motivi economici. Dal 2015 si utilizza il concetto di abuso del diritto (art. 10-bis L. 212/2000): l’Ufficio valuta se l’operazione aveva sostanza economica o se era principalmente volta al risparmio fiscale. Se conclude per la seconda, emette la contestazione di abuso, a cui seguirà un avviso di accertamento se il contribuente non convince del contrario. Un esempio classico di contestazione è: “Riteniamo che il conferimento di azienda in Newco e la successiva cessione delle quote della Newco a terzi costituiscano un’operazione priva di sostanza economica, attuata al solo fine di ottenere un indebito risparmio d’imposta rispetto alla cessione diretta dell’azienda”. In tal caso, l’Agenzia tende a riqualificare il tutto come cessione diretta tassabile, ignorando il conferimento intermedio .
D: Come posso difendermi dall’accusa di abuso del diritto su un conferimento seguito da cessione?
R: La chiave è dimostrare che l’operazione aveva ragioni economiche valide e che il risparmio fiscale non era l’unico né il principale obiettivo. In pratica:
– Spiegare il “perché” aziendale: ad esempio, il conferimento serviva per isolare un ramo d’azienda e permettere l’ingresso di un socio che voleva investire solo in quel ramo, oppure per esigenze di finanziamento, o per ragioni organizzative (creare una holding, ecc.).
– Mostrare la sostanza: se dopo il conferimento la newco ha svolto effettiva attività, ha preso decisioni autonome, questo va evidenziato (contrasta l’idea che fosse un guscio vuoto).
– Documentare tutto: presentare in giudizio verbali societari, lettere, accordi che confermano queste motivazioni.
– Richiamare la legge e la giurisprudenza: ricordare che la legge consente scelte fiscalmente vantaggiose se supportate da ragioni extrafiscali (art. 10-bis). Citare magari Cass. 2054/2017 che ha detto che non si può riqualificare una cessione di quote come cessione d’azienda senza prova dell’intento elusivo e che il contribuente può scegliere operazioni anche per risparmiare tasse se c’è sostanza.
In breve, devi convincere che avresti fatto quell’operazione anche senza il vantaggio fiscale, perché aveva una logica di business.
D: Il fatto che dopo un conferimento abbia venduto le quote dopo poco tempo è di per sé indice di abuso?
R: È un indizio forte, ma non è da solo una prova assoluta. Certo, conferire e vendere subito le partecipazioni può apparire come un disegno unitario di vendita dissimulata. Tuttavia, potrebbero esserci situazioni di mercato che lo giustificano (es. un’offerta d’acquisto imprevista e molto conveniente arrivata subito dopo, oppure una decisione di disinvestire per cause sopravvenute). In sede di difesa, bisogna spiegare perché la cessione è avvenuta in tempi brevi e idealmente mostrare che non era pianificata sin dall’inizio come parte necessaria. Se invece la cessione era già programmata a monte (ad esempio c’era un preliminare prima ancora del conferimento), è molto difficile sostenere che i due atti non fossero coordinati. In sintesi: vendita a breve distanza = bandiera rossa, ma la contestazione non è automatica – il contribuente può provare circostanze attenuanti o motivi legittimi per la rapidità.
D: L’Agenzia può semplicemente riallineare il valore del conferimento al “valore normale” e tassare la differenza?
R: Sì. Se il conferimento è avvenuto al di fuori dei regimi di realizzo controllato/neutralità, allora l’art. 9 TUIR impone comunque il valore normale come corrispettivo. L’Agenzia, se ritiene che hai sottostimato il valore, può accertare la plusvalenza in più. In pratica, dice: “Tu hai conferito a 100, ma in realtà vale 150; quindi dovevi dichiarare 50 di plusvalenza in più, ti tasso su quella differenza”. Questo non è neanche un abuso in senso tecnico, è proprio applicazione letterale della legge (il valore normale dev’essere considerato). Quindi sì, è nei suoi poteri e lo fa spesso nei controlli. Come contribuente, in tal caso la difesa consiste nel contestare la valutazione: devi dimostrare che il valore normale era effettivamente 100 o comunque non 150. Magari producendo perizie, comparables, etc.
D: Ma se io conferisco un bene e non ricevo denaro (ricevo solo quote), perché dovrei pagare le tasse su un guadagno “virtuale”?
R: Questo dubbio è comprensibile, ma la logica fiscale è diversa dalla logica finanziaria. Per il Fisco, aver ricevuto delle partecipazioni che valgono più del costo del bene conferito è equivalente ad aver realizzato una plusvalenza. Non importa se non hai cash in mano: hai un asset (le quote) che incorpora quel plusvalore. L’ordinamento, in generale, tassa la plusvalenza al momento del realizzo, che coincide con l’atto di conferimento (perché scambi il bene con qualcos’altro di valore). È vero che potrebbe trattarsi di un guadagno “sulla carta”, ma è lo stesso principio delle permute: permutare un bene con un altro più prezioso genera imponibile. In alcuni casi la legge attenua l’effetto (come con art. 175 e 176, che differiscono la tassazione finché non monetizzi davvero), ma di base è così. Quindi non è una valida difesa dire “non ho incassato nulla”: fiscalmente hai comunque ottenuto un corrispettivo (le azioni) dal valore determinabile . Semmai, potresti far presente in sede di richiesta rateazione o cose simili che non hai liquidità perché non hai incassato, ma questo attiene alla riscossione, non al merito del tributo.
D: Quali sanzioni rischio in caso di accertamento su queste plusvalenze?
R: Le sanzioni amministrative per dichiarazione infedele vanno dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Ad esempio, se ti contestano €100.000 di imposte non pagate, la sanzione base può essere €90.000 (90%) fino a €180.000 (180%), a cui si aggiungono interessi. Se però viene configurato l’abuso del diritto, alcuni sostengono – erroneamente – che non ci siano sanzioni: in realtà l’abuso non è reato penale (non vai nel penale), ma le sanzioni amministrative restano applicabili . C’è però spazio per non applicarle se c’è incertezza normativa: per esempio, se la questione era dibattuta o hai seguito una interpretazione poi rivelatasi scorretta, il giudice potrebbe annullare le sanzioni. Inoltre, se decidi di definire la controversia con adesione, la sanzione viene ridotta a 1/3. E se paghi entro 20 giorni dall’accertamento con rinuncia al ricorso (acquiescenza), ridotta a 1/3 anch’essa. In sintesi: rischi sanzioni pesanti, ma c’è margine per ridurle o eliminarle in alcuni casi (buona fede, incertezza, ecc.). Non ci sono sanzioni penali a meno che la plusvalenza occultata sia talmente grande da configurare il reato di dichiarazione fraudolenta o infedele; ma con l’abuso, per legge, hanno escluso la rilevanza penale.
D: In concreto, conviene aderire e pagare o fare ricorso su queste contestazioni?
R: Dipende molto dalla situazione:
– Se la contestazione è chiaramente fondata (ad esempio ti sei dimenticato di dichiarare una plusvalenza e l’Agenzia ha ragione sul valore), fare ricorso sarebbe solo prendere tempo. In questi casi può convenire aderire, strappare magari una riduzione in sede di adesione e chiudere con sanzioni ridotte.
– Se invece sei convinto della legittimità del tuo operato e hai argomenti per difenderti (ragioni economiche solide, errori del Fisco, ecc.), allora ha senso fare ricorso. Le somme in ballo spesso sono alte e vale la pena tentare di far valere le proprie ragioni. Considera comunque i costi del contenzioso e che, se perdi, dovrai pagare anche interessi maturati nel frattempo (ma eviti le sanzioni penali perché non c’è reato).
– Talvolta una via intermedia è la conciliazione in corso di causa: vai in giudizio però tieni aperta la porta a un accordo con l’Ufficio (specie se intravedi che il giudice potrebbe non esserti favorevole). Ad esempio, potresti proporre di pagare l’imposta ma senza sanzioni. Dipende se l’ufficio è disposto.
In sintesi: conviene aderire se hai poche chance di vincere; conviene ricorrere se hai una posizione difendibile. Ogni caso è unico, un bravo consulente saprà consigliarti valutando prove e umori della giurisprudenza locale.
D: Come posso prevenire questi problemi in futuro?
R: Prevenzione è la parola chiave. Alcuni consigli:
– Quando pianifichi operazioni straordinarie (fusioni, conferimenti, cessioni), valuta fin dall’inizio gli aspetti fiscali con un professionista. Se l’unico motivo per cui stai scegliendo una certa strada è il risparmio d’imposta, chiediti se puoi inserire nell’operazione qualche elemento economico sostanziale (es: spostare effettivamente personale o attività in quella società, attendere un ragionevole lasso di tempo prima di vendere, ecc.) per darle maggiore credibilità.
– Considera di fare interpello anti-abuso all’Agenzia: è uno strumento poco usato perché allunga i tempi, ma se l’operazione è grossa e potenzialmente a rischio, avere un via libera scritto ti mette al riparo. Se l’Agenzia dice “per noi è abuso”, puoi ancora rivedere l’operazione prima di compierla o rinunciare. Certo, rivela le tue intenzioni, ma meglio sapere prima che trovarsi una cartella poi.
– Cura molto la documentazione interna: delibere, relazioni, devono spiegare bene le ragioni. Non lasciare che sembri tutto deciso solo per motivi fiscali. Ad esempio, se fai un conferimento per motivi di governance, fallo emergere nelle carte societarie.
– Mantieniti aggiornato sulle norme e prassi: il fisco cambia orientamento, ciò che ieri era tollerato oggi potrebbe non esserlo. Dal 2019, ad esempio, c’è stata attenzione alle donazioni di partecipazioni seguite da cessioni (altra forma elusiva analoga), e l’Agenzia ha chiarito alcune posizioni. Leggi circolari, risoluzioni (le trovi sul sito dell’Agenzia) relative a conferimenti e operazioni straordinarie.
– Infine, quando vendi un asset importante, valuta se la soluzione complessa vale il rischio: a volte la via dritta (cedere direttamente e pagare le tasse) è costosa ma sicura; la via tortuosa (conferisci e vendi quote) è meno costosa fiscalmente ma porta in dote anni di possibile contenzioso. È un trade-off: quantificare il risparmio atteso vs il costo potenziale di liti e interessi. Un imprenditore accorto deve mettere sul piatto anche questa considerazione, non solo l’aliquota. Ecco, valutare con consiglieri legali e fiscali “il gioco vale la candela?” fa parte della prevenzione.
Modelli pratici di difesa: memoria difensiva e ricorso tributario
Per rendere più concreti gli strumenti di difesa discussi, proponiamo qui di seguito due fac-simili: una memoria difensiva tipo (utilizzabile nella fase di risposta a comunicazione di abuso o anche come memoria aggiuntiva in giudizio) e un ricorso introduttivo davanti alla Corte di giustizia tributaria di primo grado. Entrambi i modelli sono adattati al nostro tema (contestazione di plusvalenza da conferimento non tassata) e utilizzano un linguaggio giuridico adeguato. Naturalmente andranno personalizzati e integrati sui fatti specifici di ciascun caso.
Fac-simile di Memoria difensiva (in sede di contraddittorio anti-abuso)
Oggetto: Risposta al PVC/Comunicazione prot. n. … del … (contestazione ex art. 10-bis L.212/2000 relativa a operazione di conferimento partecipazioni e successiva cessione)
Ill.mo Ufficio,
in relazione alla comunicazione in oggetto, con cui codesta Agenzia intende qualificare come abuso del diritto l’operazione di conferimento del … e successiva cessione di partecipazioni, il sottoscritto XY S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, intende formulare le seguenti osservazioni difensive, ai sensi dell’art. 10-bis, comma 4, L. 212/2000.
1. Sintesi della posizione dell’Ufficio:
Viene contestato che la società abbia conferito in data … la partecipazione (o il ramo d’azienda) … nella società NEWCO Alfa S.r.l., per poi cedere in data … l’intera quota di NEWCO al terzo Beta S.p.A., realizzando un indebito risparmio d’imposta. Secondo l’Ufficio, tale sequenza di atti configurerebbe un’operazione priva di sostanza economica, finalizzata essenzialmente a fruire della participation exemption (PEX) sul 95% della plusvalenza , in luogo della tassazione integrale che sarebbe stata applicata qualora la società XY avesse ceduto direttamente l’asset conferito. Si prospetta quindi di disconoscere i benefici fiscali ex art. 10-bis cit., riqualificando il tutto quale cessione diretta tassabile (ovvero negando la PEX sulla cessione di NEWCO).
2. Sostanza economica e ragioni extrafiscali dell’operazione:
Si contesta recisamente l’assunto che l’operazione sia priva di sostanza economica. Al contrario, conferimento e cessione rispondevano a precise esigenze imprenditoriali, di seguito illustrate:
– a) Riorganizzazione societaria funzionale all’ingresso di un nuovo socio investitore: Già mesi prima del conferimento, la società Beta S.p.A. (terzo investitore) aveva manifestato interesse ad entrare nel business … di XY, ma esclusivamente tramite acquisizione partecipativa. La soluzione negoziale concordata tra le parti è stata di creare NEWCO Alfa conferendovi il ramo … e far acquisire a Beta una quota di maggioranza di NEWCO. Ciò risulta dal “Term Sheet” sottoscritto in data … (Allegato 1), in cui Beta S.p.A. condiziona il proprio investimento alla creazione di un veicolo societario ad hoc contenente solo il ramo …, per ragioni di separazione dei rischi e governance semplificata. Dunque, il conferimento era un passaggio necessario e richiesto dal nuovo socio, senza il quale l’operazione di partnership non si sarebbe perfezionata. Questa è una valida ragione economica, indipendente dal risparmio fiscale: l’obiettivo era attirare capitali e know-how di Beta nel ramo conferito, cosa non ottenibile con una semplice cessione d’azienda (Beta aveva interesse ad assumere lo status di socio per co-gestire l’iniziativa, non ad acquisire l’asset spogliandolo).
– b) Continuità operativa e mantenimento di posti di lavoro: La creazione di NEWCO Alfa ha consentito di garantire continuità gestionale al ramo conferito. Tutti i contratti, i dipendenti (n. … persone) e le licenze d’autorizzazione amministrativa connessi al ramo … sono passati in NEWCO e sono stati preservati e proseguiti senza soluzione di continuità. In caso di cessione diretta del ramo a Beta, quest’ultimo avrebbe probabilmente incorporato il ramo nella propria struttura esistente, con rischio di sovrapposizioni e perdita di autonomia. Invece, mantenendo il ramo in una società separata (NEWCO), Beta ha potuto investire mantenendo intatta l’organizzazione originaria e valorizzando il know-how di XY. Questo ha comportato un beneficio economico concreto: ha evitato costi di integrazione e disservizi. Tale sostanza economica è dimostrata dal Rapporto del management (Allegato 2) presentato al CdA di XY il …, in cui si evidenziano i vantaggi operativi del conferimento.
– c) Ragioni di tutela legale e regolamentare: Il ramo conferito operava nel settore …, soggetto ad autorizzazioni amministrative non trasferibili a terzi se non tramite cessione di partecipazioni. In altri termini, una cessione d’azienda avrebbe richiesto nuove autorizzazioni con tempi e incertezze, mentre trasferendo le quote di NEWCO (già titolare delle autorizzazioni come soggetto giuridico invariato) si è garantita la continuità delle licenze. Ciò risulta da comunicazione dell’Ente regolatore … (Allegato 3) che, su quesito di XY, suggeriva proprio di procedere tramite spin-off societario per non dover rifare l’iter autorizzativo. Questa è un’ulteriore sostanza economico-giuridica dell’operazione: evitare interruzioni dell’attività e garantire compliance regolamentare.
Alla luce di quanto sopra, appare evidente che l’operazione in oggetto aveva motivi economici prevalenti e assorbenti rispetto all’aspetto fiscale. La forma adottata (conferimento + cessione di partecipazioni) non è stata scelta “a vuoto”, ma perché rispondeva meglio alle esigenze delle parti e del contesto normativo.
3. Assenza di vantaggi fiscali indebiti:
È vero che l’operazione ha comportato un risparmio d’imposta rispetto alla cessione diretta del ramo; tuttavia tale risparmio è connaturato alla disciplina fiscale vigente, che prevede: (i) la neutralità del conferimento d’azienda ex art. 176 TUIR (nessuna plusvalenza tassata in capo a XY al momento del conferimento) e (ii) l’esenzione PEX del 95% sulla plusvalenza da cessione di partecipazioni detenute da oltre 12 mesi (in capo a XY sulla cessione delle quote di NEWCO). Questi regimi sono stati pienamente rispettati nelle loro condizioni: il conferimento è avvenuto con continuità dei valori contabili (come da perizia giurata ex art. 2465 c.c.), e la cessione delle quote è avvenuta dopo 18 mesi dal conferimento, con NEWCO Alfa che per tutto il periodo ha esercitato effettivamente l’attività d’impresa (come attestano i bilanci di NEWCO, Allegati 4 e 5, da cui si evince lo svolgimento dell’attività e l’iscrizione della partecipazione nelle immobilizzazioni finanziarie di XY). Dunque, XY ha applicato regimi agevolativi previsti dalla legge, senza alcuna forzatura. La Cassazione ha più volte affermato che “il legittimo risparmio d’imposta” non può essere sindacato se ottenuto attraverso l’utilizzo di norme agevolative nel rispetto dei requisiti . Nel nostro caso, il risparmio deriva dall’art. 87 TUIR (PEX), il cui scopo è favorire la riorganizzazione di strutture societarie dotate di reale operatività commerciale . NEWCO Alfa era ed è una società operativa (non un guscio immobiliare), come si evince dall’oggetto sociale e dall’attività svolta (ha fatturato €… nel …, ha assunto personale etc.). Pertanto, non c’è alcun “vantaggio indebito”, ma solo l’applicazione di un beneficio fiscale voluto dal legislatore a fronte di precise condizioni economiche che qui risultano soddisfatte.
Si evidenzia, inoltre, che l’operazione in esame non ha comportato alcuna erosione della base imponibile complessiva: Beta S.p.A., che ha acquisito la partecipazione di NEWCO, non ha potuto dedurre alcun costo eccedente o generare doppie deduzioni. L’operazione è fiscalmente neutra per la conferitaria (NEWCO ha continuato con gli stessi valori fiscali) e trasparente per XY (che ha scontato la minima imposizione sulla plusvalenza in sede di cessione, come previsto per le partecipazioni PEX). In altri termini, non si ravvisa un artificio volto a ottenere un vantaggio non altrimenti riconosciuto: se XY avesse scelto la via alternativa della scissione parziale non proporzionale e successiva cessione, avrebbe ottenuto effetto analogo in termini di PEX; la via scelta è stata il conferimento, altrettanto legittima.
4. Conformità ai principi dell’ordinamento e onere della prova:
Richiamando i principi sanciti dall’art. 10-bis, commi 3 e 4, Statuto Contribuente, si sottolinea che l’operazione in oggetto:
– possiede sostanza economica (come argomentato al punto 2, non era un mero simulacro contrattuale);
– risponde a valide ragioni extrafiscali (riorganizzazione per ingresso socio, continuità aziendale e autorizzativa, vedi sopra) che non sono meramente marginali rispetto ai benefici fiscali ottenuti;
– pertanto non integra gli estremi dell’abuso del diritto.
Giova ricordare inoltre che la Cassazione (sent. n. 2054/2017) ha stabilito, in un caso molto simile di conferimento e successiva cessione di partecipazioni, che l’Amministrazione finanziaria non può procedere a riqualificare l’operazione senza fornire prova che l’unico motivo causale sia l’elusione fiscale . Nel nostro caso, come ampiamente illustrato, i motivi economici non fiscali esistono, sono molteplici e documentati. L’Ufficio, per contro, nella sua contestazione non ha addotto alcun elemento concreto se non la sequenza temporale degli atti, traendo da ciò – in modo del tutto presuntivo – la conclusione della finalità elusiva. Si segnala che la stessa Agenzia delle Entrate, con Circolare 6/E del 2016, ha riconosciuto che la presenza di ragioni economiche apprezzabili esclude la configurabilità dell’abuso e che la scelta tra diverse modalità operative, anche se orientata al risparmio d’imposta, è lecita ove le operazioni abbiano sostanza economica propria.
5. Conclusioni:
Alla luce di quanto sopra esposto, si invita codesto spett.le Ufficio a non dar seguito alla prospettata contestazione ex art. 10-bis L.212/2000, archiviando il procedimento. L’operazione di conferimento e successiva cessione di partecipazioni da parte di XY S.p.A. si rivela infatti giustificata da ragioni extrafiscali preponderanti e reali, come richiesto dalla normativa vigente per non configurare abuso. Non può dunque parlarsi di vantaggio fiscale “indebito”, ma di legittimo risparmio derivante dall’applicazione di norme agevolative a situazioni concrete volute dal legislatore.
In subordine, ove codesto Ufficio ritenesse comunque di dover emettere avviso di accertamento, fin d’ora il contribuente manifesta la propria disponibilità al confronto in sede di adesione, riservandosi di far valere tutte le summenzionate argomentazioni in sede contenziosa, con ulteriore richiesta, in tale eventualità, di esenzione da sanzioni per obiettiva incertezza del quadro normativo (stante la complessità della disciplina sull’abuso del diritto e i molteplici interventi giurisprudenziali succedutisi).
Confidando in una riesame favorevole della posizione, si porgono distinti saluti.
Luogo, data
XY S.p.A. – il Legale Rappresentante
Firma
Allegati:
1. Term Sheet XY-Beta del …
2. Rapporto management CdA XY n. …
3. Comunicazione Ente regolatore … del …
4. Bilancio NEWCO Alfa anno …
5. Bilancio NEWCO Alfa anno …
Fac-simile di Ricorso al Giudice Tributario (Corte di Giustizia Tributaria di I grado)
Destinatario: Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado di ___
Ricorso ex art. 18 D.Lgs. 546/92
Ricorrente: XY S.p.A., con sede legale in _, C.F./P.IVA _, in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. __, elettivamente domiciliata in _ presso lo studio dell’Avv. (C.F.___) che la rappresenta e difende giusta procura in calce/allegata al presente atto;
Resistente: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di ______, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata ex lege in ______;
Atto impugnato: Avviso di accertamento n. _/, emesso dall’Agenzia delle Entrate DP __ ed emesso il //, notificato in data /__/, relativo ad IRES 2020 e IVA 2020, oltre sanzioni ed interessi, con il quale si recupera a tassazione una plusvalenza da conferimento partecipazioni ritenuta non dichiarata (€ _) e si disconosce l’esenzione PEX su plusvalenza da cessione di partecipazioni (€ ), per asserita operazione abusiva ex art. 10-bis L.212/2000.
Fatti in breve: La società ricorrente, nel mese di __ 2020, conferiva la partecipazione pari al 100% del capitale della società Beta S.r.l. (valore contabile €_, costo fiscale €) nella neocostituita società Alfa S.r.l., ricevendo quote di Alfa valutate contabilmente €, avvalendosi dell’art. 175 TUIR (realizzo controllato) nonché dell’esenzione PEX in relazione alla successiva cessione del 70% di Alfa S.r.l., avvenuta nel dicembre 2021, alla società Gamma S.p.A. per €. L’Ufficio, ritenendo che tale operazione integrasse un mero artificio volto a evitare la tassazione della plusvalenza latente nella partecipazione Beta S.r.l., ha dapprima inviato comunicazione di contestazione di abuso (alla quale la ricorrente rispondeva con memoria difensiva in data _//2022) e quindi emesso l’avviso impugnato, con cui:
– riqualifica l’intera operazione come cessione diretta della partecipazione Beta S.r.l. da XY S.p.A. a Gamma S.p.A. avvenuta nel 2021, disconoscendo gli effetti del conferimento in Alfa S.r.l.;
– accerta, in via conseguente, maggior imponibile IRES 2021 pari a €__, corrispondente alla plusvalenza “realizzata” (a valore normale) sulla partecipazione Beta S.r.l., ritenuta interamente imponibile;
– recupera inoltre IVA (€_) ritenendo il conferimento in Alfa operazione fuori campo applicazione art. 2 co.3 lett. b DPR 633/72 e configurando invece una cessione di azienda soggetta a registro (profilo comunque non oggetto del presente ricorso, stante l’impugnabilità solo in separata sede, qualora necessario).
– irroga sanzioni per €_ (100% della maggior imposta).
Ritenendo tale accertamento illegittimo e infondato, si formula ricorso sulla base dei seguenti
MOTIVI DI IMPUGNAZIONE
1. Insussistenza di abuso del diritto – Operazione giustificata da valide ragioni extrafiscali (violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis L.212/2000)
L’assunto centrale dell’atto impugnato – ossia che la ricorrente abbia posto in essere un’operazione priva di sostanza economica al solo scopo di evitare tassazione – è radicalmente errato. Si dimostrerà infatti che il conferimento della partecipazione Beta S.r.l. in Alfa S.r.l. e la successiva parziale cessione di Alfa S.r.l. a Gamma S.p.A. rispondevano a concrete esigenze economico-giuridiche, con piena sostanza, e che il mero fatto di aver conseguito un risparmio d’imposta non rende affatto l’operazione abusiva, in ossequio ai principi di legge e giurisprudenza.
1.1 Ragioni economiche dell’operazione:
Come risulta dal verbale dell’assemblea straordinaria di XY S.p.A. del //2020 (Doc. 3) e dal Piano Industriale allegato (Doc. 4), la decisione di conferire Beta S.r.l. in Alfa S.r.l. è stata motivata dalla necessità di far entrare un investitore (Gamma S.p.A.) nel capitale della “sub-holding” Alfa, mantenendo però l’identità e l’autonomia gestionale di Beta S.r.l. Beta S.r.l. gestisce infatti il core business immobiliare del gruppo XY, e Gamma S.p.A. – interessata a una partnership – ha espressamente richiesto di acquisire una partecipazione in un’entità veicolo contenente Beta, piuttosto che acquistare direttamente Beta, per ragioni di protezione da passività pregresse e di flessibilità futura (cfr. Proposta vincolante di Gamma del //2020, Doc. 5). Il conferimento in Alfa S.r.l. ha soddisfatto tali condizioni, creando la struttura adatta all’operazione societaria tra XY e Gamma. Dunque, la causa reale del conferimento non era affatto elusiva, bensì funzionale a una strategia di investimento congiunto.
Successivamente, la cessione del 70% di Alfa S.r.l. a Gamma S.p.A. (Doc. 6, contratto di cessione) ha portato capitali freschi (€ ______) e know-how nella compagine, come da accordi. È importante notare che XY S.p.A. ha mantenuto il 30% di Alfa S.r.l., segno evidente che non si trattava di un disinvestimento completo mascherato da conferimento + cessione, bensì di un’operazione di partnership. Se l’intento fosse stato solo quello di monetizzare Beta S.r.l. a tassazione ridotta, XY avrebbe ceduto il 100%. Invece ha voluto conservare una quota significativa, sintomo che l’operazione aveva una logica industriale condivisa (joint venture con Gamma per lo sviluppo di nuovi progetti immobiliari, cfr. accordo parasociale Doc. 7).
Tutti questi elementi fattuali comprovano la sostanza economica e le valid business reasons dell’operazione. Pertanto, ai sensi dell’art. 10-bis, co.3, L.212/2000, non si configura abuso del diritto, difettando due requisiti su tre: l’assenza di sostanza e la finalità essenziale di vantaggi fiscali.
1.2 Applicazione dei principi giuridici:
L’Ufficio sembra aver adottato un approccio “formalista”, limitandosi a osservare la sequenza conferimento-cessione ed inferendone automaticamente l’elusività. Ciò contrasta con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale. Si richiamano in proposito:
– Art. 10-bis, comma 4, L.212/2000, secondo cui spetta all’amministrazione provare gli elementi dell’abuso (sostanza economica mancante e vantaggio indebito) e al contribuente è data facoltà di dimostrare le ragioni extrafiscali. Nel caso di specie, l’Agenzia si è limitata a evidenziare il risparmio fiscale ottenuto (non contestato, ma legittimo) e la brevità del lasso temporale tra conferimento e cessione (circa 15 mesi), senza però fornire alcuna prova concreta che l’operazione fosse priva di valide cause economiche. Ha ignorato la documentazione societaria prodotta in fase pre-contenziosa che attestava le ragioni imprenditoriali. In ciò l’accertamento è carente e non rispetta l’onere probatorio a suo carico.
– Giurisprudenza di legittimità: la Cassazione, con sent. 2054/2017 , ha affermato che un’operazione di conferimento d’azienda seguito da cessione di partecipazioni non può essere ritenuta elusiva iure subsuntivo (ai fini dell’imposta di registro, in quel caso) senza verificare l’intento effettivo delle parti, e che il contribuente ha diritto di scegliere operazioni consentite dalla legge anche se fiscalmente più vantaggiose, purché non siano iter privi di causa. Nella nostra vicenda, come dimostrato, la causa economica esiste ed è stata provata. Analoga attenzione al profilo motivazionale si rileva in Cass. 333/2021 e Cass. 4315/2021 (entrambe prodotte, Doc. 8 e 9), ove è stato escluso l’abuso in presenza di ragioni extrafiscali credibili.
– Vale inoltre il principio, recentemente ribadito (Cass. 34917/2023), che l’Amministrazione non può riqualificare atti giuridici in base alla loro sostanza economica senza passare per la contestazione di abuso formalizzata . Nel nostro caso la contestazione c’è stata, ma si evidenzia come la stessa sia rimasta su un piano assertivo, senza quel necessario approfondimento richiesto dai giudici supremi.
In conclusione su questo motivo, la ricorrente sostiene che manca la prova dell’abuso e anzi è dimostrata la controprova di validità economica dell’operazione, con conseguente illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 10-bis L.212/2000 (erronea applicazione ai fatti, stante la non riconducibilità degli stessi a fattispecie abusiva). Si chiede pertanto annullamento dell’avviso impugnato nella parte in cui recupera a tassazione la plusvalenza da conferimento/cessione pari a €______.
2. Violazione del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (art. 10-bis, co.5-7 L.212/2000) – Nullità dell’avviso
In subordine al motivo che precede, si eccepisce che l’avviso di accertamento impugnato risulta emesso in violazione della procedura prevista dalla legge per le contestazioni di abuso. In particolare, la ricorrente ha ricevuto la comunicazione di cui all’art. 10-bis, co.4, in data 10/09/2022 e ha trasmesso memorie difensive il 05/11/2022 (entro i 60 giorni previsti). L’Ufficio ha tuttavia emesso l’avviso definitivo in data 20/11/2022, notificato il 25/11/2022, senza attendere il decorso integrale dei 60 giorni dalla presentazione delle osservazioni. Infatti, dall’05/11 al 20/11 sono trascorsi appena 15 giorni. Ai sensi dell’art. 10-bis, comma 5, “l’avviso non può essere emesso prima della scadenza del termine di 60 giorni” dal ricevimento delle osservazioni. La norma intende garantire un lasso congruo di riflessione all’ente impositore e di effettiva considerazione delle difese. Nel caso di specie, l’emissione anticipata configura una palese violazione di tale termine dilatorio, come del resto confermato dalla stessa giurisprudenza (cfr. CTR ___, sent. ___ prodotta sub Doc. 10, che in fattispecie analoga ha annullato l’accertamento emanato in anticipo).
Inoltre, l’avviso impugnato non contiene alcuna confutazione puntuale delle argomentazioni svolte dal contribuente nella memoria del 05/11/2022, limitandosi a ribadire le posizioni iniziali dell’ufficio. Ciò configura un ulteriore profilo di difetto di motivazione e mancata valutazione dell’apporto partecipativo fornito dal contribuente, in violazione dei principi di leale collaborazione e buona fede (art. 10, L.212/2000).
Stante la natura di adempimento obbligatorio del contraddittorio in materia di abuso, la sua violazione determina – ad avviso della ricorrente – la nullità dell’atto per violazione di norme imperative sul procedimento. Si richiama la Cass. SS.UU. n.24823/2015, che ha affermato la nullità in caso di mancato contraddittorio endoprocedimentale ove previsto per legge. Nel caso in esame, il mancato rispetto del termine e della sostanzialità del confronto integra tale vizio.
Pertanto, si chiede in via gradata annullamento dell’avviso impugnato per vizi procedurali, ai sensi dell’art. 10-bis commi 5-7 L.212/2000 e art. 21-septies L.241/90 (nullità per difetto di presupposto procedimentale), con assorbimento degli ulteriori motivi nel merito.
3. In subordine sul merito – Legittima applicazione del regime del realizzo controllato ex art. 175 TUIR e della Participation Exemption ex art. 87 TUIR
Qualora, in via non auspicata, il Giudicante ritenga non condivisibili i motivi di cui sopra relativi all’abuso del diritto, la ricorrente intende far valere la correttezza, anche nel merito fiscale, del proprio operato, evidenziando l’erroneità giuridica dell’impostazione accertativa alternativa dell’Ufficio.
In particolare:
– 3.1 Sul conferimento in Alfa S.r.l.: Tale conferimento, tra soggetti d’impresa residenti e avente ad oggetto una partecipazione di controllo (100% Beta S.r.l.), rientrava pacificamente nell’ambito applicativo dell’art. 175 TUIR. La ricorrente ha infatti adottato il criterio ivi previsto, iscrivendo le partecipazioni ricevute (quote Alfa S.r.l.) al medesimo valore contabile che le partecipazioni conferite avevano nelle sue scritture (€ __), come da bilancio al 31/12/2020 (Doc. 11), e la conferitaria Alfa S.r.l. ha registrato la partecipazione Beta S.r.l. per un valore pari all’incremento di patrimonio netto corrispondente (€ _). Ne discende che, in base all’art. 175 TUIR, “si considera valore di realizzo” il maggiore tra questi due importi , nel caso di specie € (valore identico in capo a conferente e conferitaria), a fronte di un costo fiscale della partecipazione Beta S.r.l. pari a € . Dunque la plusvalenza realizzata da XY S.p.A. in sede di conferimento era pari a € , ossia zero. Ciò in piena legittimità, trattandosi dell’effetto voluto dalla norma di realizzo controllato. L’Ufficio nel rideterminare la plusvalenza ha, invece, disapplicato l’art. 175, considerando il valore normale ben più elevato. Ma una simile operazione di “disapplicazione” non è consentita, a meno di dimostrare un abuso (che si nega, vedi motivo 1). In assenza di abuso, la normativa fiscale speciale regola il caso, ed essa attribuisce pari dignità al regime del realizzo controllato rispetto a quello ordinario (Circ. AE 33/E/2010). Quindi la plusvalenza fiscalmente dovuta sul conferimento in Alfa S.r.l. era zero, come dichiarato.
– 3.2 Sulla cessione delle quote Alfa S.r.l.: XY S.p.A. ha ceduto il 70% di Alfa S.r.l. in data 15/12/2021, incassando € . Sulla quota ceduta, la plusvalenza realizzata (rispetto al valore fiscale di carico, € , pari al 70% del valore di conferimento) era pari a circa € . Tale plusvalenza è stata regolarmente assoggettata a participation exemption (95% esente), ai sensi dell’art. 87 TUIR, sussistendone tutti i presupposti:
– la partecipazione Alfa S.r.l. era detenuta da oltre 12 mesi (dal _//2020 al 15/12/2021);
– era iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie nel bilancio 2020 di XY (Doc. 11, voci partecipazioni);
– Alfa S.r.l. è società residente non paradisiaca;
– Alfa S.r.l., per il periodo di possesso, ha svolto esclusivamente attività d’impresa commerciale (è una holding operativa, controllando Beta S.r.l. che svolge attività immobiliare commerciale – affitto di immobili strumentali e servizi accessori, come da bilanci Beta allegati, Doc. 12). La natura commerciale non può essere messa in dubbio, attesa anche la presunzione assoluta di non commercialità che opererebbe solo per società di mero godimento immobiliare , ipotesi ben diversa dalla nostra in cui Beta S.r.l. gestisce immobili strumentali e servizi connessi in maniera organizzata (Doc. 12).
In definitiva, l’operazione si è svolta in pieno rispetto sia dell’art. 175 TUIR (conferimento) sia dell’art. 87 TUIR (PEX). L’Ufficio, disconoscendone gli effetti, ha applicato un doppio standard non previsto dall’ordinamento: da un lato ha tassato come realizzata nel 2021 una plusvalenza latente al 2020 (violando l’art. 175), dall’altro ha negato la PEX sostenendo che Beta S.r.l. non fosse commerciale, affermazione smentita dai fatti (Beta S.r.l. svolge locazione di centri commerciali con annessi servizi, attività qualificata come impresa commerciale ex art. 55 TUIR).
Per tutto quanto esposto, anche volendo prescindere dalla qualificazione abusiva (già confutata), l’accertamento risulta giuridicamente infondato nel merito, poiché recupera a tassazione imponibili inesistenti o esenti secondo la legge vigente.
4. Ulteriori profili: difetto di motivazione e erroneità quantificazione imponibile
Si rileva incidentalmente che l’avviso impugnato non esplicita adeguatamente le ragioni per cui ritiene non commerciali le attività di Beta S.r.l., né spiega il metodo con cui ha determinato in € __ il “valore normale” della partecipazione Beta S.r.l. a fine 2021 (si cita genericamente un NAV rivalutato, senza perizia né analisi comparativa). Tali carenze rendono l’atto motivamente lacunoso, ostacolando il diritto di difesa (art. 7, L.212/2000). Invero, solo in sede di controdeduzioni l’Ufficio ha allegato una relazione di stima interna (Doc. AE1) mai notificata, su cui la ricorrente si riserva di replicare compiutamente. Fin d’ora, comunque, evidenzia che:
– la stima AE attribuisce a Beta S.r.l. un valore sproporzionato (€ _) ipotizzando indebite rivalutazioni immobiliari e ignorando passività latenti (es. un contenzioso ambientale pendente – Doc. 13);
– conseguentemente, l’imponibile IRES rettificato (€ ) è errato per eccesso. Anche qualora (non concesso) si riqualificasse l’operazione, la plusvalenza imponibile per XY sarebbe al più € (differenza tra prezzo cessione quote € e costo fiscale € ), e non € ___ come preteso sommando ipotetiche plusvalenze duplicative.
Questi aspetti confermano l’approssimazione dell’azione accertativa, che va censurata.
5. Sanzioni amministrative – non debenza per obiettiva incertezza
Da ultimo, la ricorrente impugna le sanzioni irrogate (€ ______) e ne chiede l’annullamento, in via principale per insussistenza del fatto materiale (venendo meno l’imposta, cadono le sanzioni), e in via subordinata per obiettiva incertezza normativa. La vicenda de qua coinvolge norme complesse (175, 87 TUIR, 10-bis Statuto) la cui interpretazione non era univoca all’epoca dei fatti – si consideri che la disciplina antiabuso era stata introdotta nel 2015 e trovava ancora assestamento giurisprudenziale, con decisioni oscillanti . La contribuente ha fatto affidamento su testi di legge chiari (che consentivano il trattamento adottato) e su prassi conformi. In tali condizioni, ove anche si ritenesse dovuta l’imposta, le sanzioni andrebbero quantomeno annullate ex art. 6, co.2, D.Lgs. 472/97. In estremo subordine, si richiede la riduzione delle stesse al minimo edittale, tenuto conto della cooperazione del contribuente (che ha risposto al PVC, fornito documenti e non ha ostacolato l’indagine) e dell’assenza di frode o occultamento.
Conclusioni
Alla luce di tutti i motivi esposti, la ricorrente chiede che la Corte di Giustizia adita voglia:
- In via principale, annullare l’avviso di accertamento n. / nella sua interezza, per insussistenza di abuso del diritto e infondatezza della pretesa tributaria relativa ad IRES e IVA 2020 (maggiori imponibili e imposte per € ______), oltre sanzioni, come da motivo 1 e segg.;
- In via subordinata, annullare e/o ridurre conseguentemente le sanzioni amministrative irrogate, per le ragioni di cui al motivo 5;
- In via istruttoria, ammettere sin d’ora consulenza tecnica contabile sulla determinazione del valore normale della partecipazione Beta S.r.l. alla data del ____ qualora ritenuto rilevante, e acquisire ogni documento ritenuto utile dall’Ufficio ai fini del decidere;
- Con vittoria di spese del giudizio.
Si allegano i documenti menzionati (nn. 1-13) e copia dell’atto impugnato.
Luogo, data
XY S.p.A. – Avv. ______, difensore (firma)
Fonti
- Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/02/2023, n. 3281.
- Cass. civ. n. 12138 del 8 maggio 2019.
- L’abuso del diritto nell’art. 10-bis della Legge n. 212/00.
- Cassazione civile Sez. Trib. ordinanza n. 18374 del 6 luglio 2025.
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Conclusione
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