Agenzia Delle Entrate Accerta Omissioni In Dichiarazioni Integrative: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché nella tua dichiarazione integrativa sono state riscontrate omissioni o errori? In questi casi, l’Ufficio presume che i dati corretti non siano stati riportati in modo completo, con conseguente evasione parziale di imposte, e procede al recupero delle somme dovute con sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la buona fede o la natura meramente formale dell’errore.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta omissioni in dichiarazioni integrative
– Se i redditi o i ricavi non sono stati indicati correttamente nella dichiarazione correttiva
– Se i crediti d’imposta o le detrazioni risultano riportati in modo incompleto o non coerente
– Se vi sono incongruenze tra la dichiarazione originaria, quella integrativa e i dati bancari o fiscali in possesso dell’Agenzia
– Se le integrazioni non rispettano i termini previsti dalla legge
– Se l’Ufficio ritiene che l’integrazione sia stata utilizzata solo per ridurre la pretesa tributaria senza reale fondamento

Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte non dichiarate o non correttamente integrate
– Applicazione di sanzioni per infedele dichiarazione o omessa indicazione di dati rilevanti
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile esclusione dai benefici del ravvedimento operoso
– Maggiori controlli anche sulle dichiarazioni relative ad altri anni d’imposta

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che l’omissione è stata un errore materiale privo di rilevanza sostanziale
– Produrre documentazione contabile e fiscale a supporto dei dati corretti
– Contestare l’interpretazione restrittiva dell’Agenzia quando i requisiti per la dichiarazione integrativa sono rispettati
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di calcolo o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la dichiarazione originaria, quella integrativa e gli atti contestati
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione delle norme fiscali
– Redigere un ricorso fondato su vizi sostanziali e formali dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro pretese fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio personale e aziendale da conseguenze economiche sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o l’eliminazione delle sanzioni applicate
– Il riconoscimento della correttezza della dichiarazione integrativa presentata
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce per tempo, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile opporsi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi in caso di contestazioni per omissioni nelle dichiarazioni integrative e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta omissioni o errori nelle dichiarazioni integrative, il contribuente si trova in una posizione delicata. Da un lato, la dichiarazione integrativa è lo strumento che l’ordinamento mette a disposizione per correggere spontaneamente precedenti dichiarazioni fiscali inesatte o incomplete; dall’altro, se l’integrazione stessa risulta omissiva o inesatta, il Fisco può avviare accertamenti e sanzionare il contribuente. In questo contesto, è fondamentale conoscere i propri diritti e le strategie difensive disponibili, soprattutto alla luce delle più recenti norme e pronunce giurisprudenziali (aggiornate ad agosto 2025).

In questa guida avanzata – pensata per avvocati tributaristi, imprenditori e privati con conoscenze giuridiche – affronteremo in modo approfondito come difendersi efficacemente da contestazioni dell’Agenzia delle Entrate relative a omissioni in dichiarazioni integrative. Utilizzeremo un linguaggio tecnicamente accurato ma dal taglio divulgativo, fornendo riferimenti normativi italiani, commentando le ultime sentenze di rilievo e includendo tabelle riepilogativedomande e risposte frequenti e simulazioni pratiche. Il tutto sarà esaminato dal punto di vista del contribuente (debitore), ossia di chi subisce l’accertamento, con l’obiettivo di chiarire quali strumenti può attivare per tutelarsi, sia sul piano amministrativo sia in sede di contenzioso tributario e, se del caso, penale.

Cosa intendiamo per “omissioni in dichiarazioni integrative”? Si tratta delle situazioni in cui un contribuente ha presentato una dichiarazione integrativa per correggere o completare una precedente dichiarazione dei redditi (o IVA, IRAP, ecc.), ma tale dichiarazione integrativa risulta anch’essa incompleta o errata su alcuni elementi reddituali, patrimoniali o d’imposta. Ad esempio, si pensi a un caso in cui un contribuente integra la propria dichiarazione dei redditi per includere redditi inizialmente dimenticati, ma omette ulteriori redditi esteri in Quadro RW; oppure a una società che presenta un’integrativa a sfavore (dichiarando maggior imponibile e versando le imposte dovute) ma dimentica alcuni componenti positivi rilevanti. In queste ipotesi, l’Agenzia può avviare controlli – automatici o mirati – e, se emergono differenze o omissioni, emettere atti impositivi (es. avvisi di accertamento, avvisi di rettifica/liquidazione o cartelle di pagamento) per recuperare le imposte non dichiarate, con relative sanzioni e interessi.

Nei paragrafi che seguono delineeremo dapprima il quadro normativo di riferimento: cosa prevede la legge in materia di dichiarazioni integrative (incluse le varie tipologie: correttiva nei termini, integrativa a favore del contribuente e a sfavore dell’erario), quali sono i termini per presentarle e i termini di decadenza per l’accertamento, nonché le sanzioni amministrative previste per violazioni come dichiarazione infedeleomessa dichiarazione e specificamente omessa compilazione del Quadro RW sugli investimenti esteri. Successivamente, esamineremo il procedimento di accertamento dell’Agenzia delle Entrate in caso di omissioni contestate in una dichiarazione integrativa, illustrando i diritti del contribuente (ad esempio il contraddittorio endoprocedimentale) e le possibili strategie difensive in fase amministrativa – inclusi strumenti come il ravvedimento operoso, l’istanza di autotutela, l’accertamento con adesione e la mediazione.

Ampio spazio sarà dedicato alla difesa in sede contenziosa: come predisporre un efficace ricorso tributario (dinanzi alla Commissione Tributaria/Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) e quali argomentazioni giuridiche sollevare. Forniremo anche modelli esemplificativi di atti, come uno schema di ricorso introduttivo e una memoria difensiva, per aiutare a tradurre in pratica i principi esposti.

Un capitolo apposito riguarderà i profili penali: alcune omissioni o inesattezze dichiarative possono integrare reati tributari (in particolare la dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. 74/2000, la omessa dichiarazione ex art. 5 D.Lgs. 74/2000, e in certi casi le dichiarazioni fraudolente ex artt. 2 e 3). Analizzeremo le soglie di punibilità e le sanzioni penali, nonché le cause di non punibilità recentemente introdotte, ad esempio la possibilità di estinzione del reato mediante pagamento integrale del dovuto prima del processo (art. 13 D.Lgs. 74/2000).

Saranno inoltre inclusi dei “focus” specifici per ambito: uno sulle imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP), uno sull’IVA, e uno dedicato proprio al Quadro RW (monitoraggio fiscale delle attività finanziarie estere), dato che questo quadro è spesso oggetto di omissioni e relative contestazioni. In ciascun focus vedremo le peculiarità di quelle materie (ad esempio, in IVA l’omissione può emergere incrociando fatture elettroniche o esterometro; in Quadro RW l’Agenzia dispone di dati esteri tramite scambio di informazioni) e come difendersi nei casi più frequenti.

La guida include infine una sezione di Domande e Risposte frequenti che riassumono i dubbi principali, e tabelle riepilogative che condensano in forma schematica i punti chiave (ad esempio, le sanzioni applicabili, i termini da ricordare, ecc.). Ogni concetto rilevante è accompagnato da riferimenti a fonti autorevoli, incluse recenti sentenze di Corte di Cassazione e note ufficiali, per garantire l’aggiornamento e l’autorevolezza delle informazioni fornite.

Passiamo quindi all’analisi del quadro normativo di base, prima di approfondire le strategie difensive.

Quadro normativo: dichiarazioni integrative, termini e sanzioni

Per capire come difendersi, è necessario conoscere le regole del gioco: quali sono le norme che disciplinano le dichiarazioni integrative e quali violazioni possono emergere. In questa sezione esaminiamo la normativa italiana rilevante, suddividendo i temi chiave:

  • Tipologie di dichiarazioni integrative e relativi termini (correttiva nei termini, integrativa “a favore” o “a sfavore”)
  • Termini di accertamento da parte dell’Agenzia in caso di integrativa presentata
  • Distinzione tra dichiarazione tardiva e omessa
  • Ravvedimento operoso e sue condizioni
  • Sanzioni amministrative applicabili (per infedele dichiarazione, omessa dichiarazione, omissione del quadro RW, ecc.)
  • Soglie penali per le violazioni dichiarative

Vediamo ciascun punto nel dettaglio, facendo riferimento alle norme principali (D.P.R. 322/1998 sulle dichiarazioni, D.Lgs. 471/1997 sulle sanzioni amministrative, D.Lgs. 74/2000 sui reati tributari, Statuto del contribuente – L. 212/2000 – per i diritti, ecc.) e alle innovazioni intervenute sino al 2025.

Dichiarazione integrativa: definizione e tipologie

La dichiarazione integrativa è una dichiarazione fiscale presentata successivamente alla dichiarazione originaria, allo scopo di correggere errori od omissioni in essa contenuti. L’art. 2 del D.P.R. 322/1998 disciplina tale possibilità, prevedendo due principali casistiche, tradizionalmente note come integrativa “a sfavore” (o pro erario, quando dall’errore originario derivava un’imposta insufficiente o un credito non spettante) e integrativa “a favore” (o pro contribuente, quando l’errore originario ha comportato un maggior reddito o debito d’imposta, cioè un danno per il contribuente).

In passato (prima del 2016) queste due situazioni avevano termini differenti: la dichiarazione integrativa a sfavore poteva essere presentata entro il termine di decadenza per l’accertamento (tipicamente il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione, poi quinto anno a seguito della riforma dei termini nel 2016), mentre l’integrativa a favore doveva essere presentata al più tardi entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo (dunque entro l’anno seguente) . Dal 2016, con il D.L. 193/2016 convertito in L. 225/2016, il legislatore ha uniformato i termini, consentendo al contribuente di integrare sia a favore che a sfavore fino al termine ultimo dell’accertamento . In altre parole, oggi tutte le dichiarazioni annuali – redditi, IVA, ecc. – possono essere integrate (per aggiungere elementi omessi o correggere errori) fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione originaria (essendo 5 gli anni a disposizione del Fisco per accertare, come vedremo a breve).

È importante sottolineare che per presentare una dichiarazione integrativa occorre che vi sia una dichiarazione originaria valida da rettificare. Se la dichiarazione originaria non è mai stata presentata entro i termini (dichiarazione omessa), l’eventuale dichiarazione inviata dopo 90 giorni costituisce tecnicamente una “dichiarazione tardiva” che viene considerata omessa (pur producendo alcuni effetti, ad esempio fungendo da base per la riscossione delle imposte dichiarate, come spiegheremo) . In tal caso, non si parla propriamente di “integrativa” ma di dichiarazione tardiva o ultratardiva.

In sintesi, possiamo distinguere i seguenti casi pratici:

  • Dichiarazione correttiva nei termini: è una dichiarazione presentata entro la scadenza ordinaria (ad esempio entro il termine di ottobre dell’anno stesso, nel caso dei redditi) per correggere quella già inviata in precedenza nello stesso termine. Viene definita “correttiva” ed è semplicemente una nuova dichiarazione che sostituisce integralmente la precedente entro la deadline originaria.
  • Dichiarazione integrativa “a sfavore”: integrativa che comporta un maggior debito d’imposta o minor credito rispetto all’originario (dunque a svantaggio del contribuente). Oggi è ammessa entro la fine del quinto anno successivo a quello di presentazione originaria (termine di accertamento). Esempio: dichiarazione redditi 2022 presentata a settembre 2023; integrativa a sfavore possibile fino al 31 dicembre 2028, se emergono redditi non dichiarati. Va barrata nell’apposito frontespizio la casella “Dichiarazione integrativa” indicando il riferimento normativo (art. 2, c. 8 del DPR 322/98).
  • Dichiarazione integrativa “a favore”: integrativa da cui scaturisce un minor debito o un maggior credito per il contribuente (cioè corregge errori che avevano penalizzato il dichiarante, ad es. avevamo dichiarato un reddito troppo alto o dimenticato oneri deducibili). Anch’essa oggi è possibile entro i termini di accertamento (quinto anno successivo). In passato, se presentata oltre il termine dell’anno successivo, dava diritto solo a utilizzare il credito in compensazione e non al rimborso diretto, salvo presentare apposita istanza di rimborso. La normativa attuale (dopo il 2016) ha chiarito che il contribuente può presentare integrativa a favore entro il quinto anno e chiedere contestualmente il rimborso del credito emergente: la richiesta inserita in dichiarazione vale come istanza di rimborso, come confermato anche di recente dalla Cassazione . Ad esempio, Cass. ord. 18715/2025 ha ribadito che una dichiarazione “ultratardiva” (presentata oltre 90 giorni, quindi formalmente omessa) contenente un espresso richiamo di rimborso può fondare il diritto al rimborso stesso, superando l’orientamento formale che avrebbe richiesto un’istanza separata ex art. 38 DPR 602/73 . Questo orientamento garantisce che, pur se la dichiarazione è fuori termine, la volontà di chiedere il rimborso manifestata nel modello non sia ignorata, ferma restando la necessità di rispettare il termine di decadenza di 48 mesi per i rimborsi ex DPR 602/73.
  • Dichiarazione tardiva: se una dichiarazione (redditi, IVA, etc.) viene presentata oltre il termine ordinario ma entro 90 giorni dalla scadenza, essa è considerata valida ai fini tributari, ancorché soggetta a sanzione per tardività. Ad esempio, per un modello Redditi con scadenza 30 novembre (ipotetico), presentando entro fine febbraio successivo si rientra nei 90 giorni. In tal caso non è “omessa”, ma si applica una sanzione fissa per ritardo (oggi €250 ridotta a €25 se ci si ravvede entro 90gg, come vedremo) .
  • Dichiarazione omessa: se la dichiarazione viene presentata con oltre 90 giorni di ritardo, la legge la considera omessa, pur avendo effetto per la riscossione delle imposte in essa eventualmente indicate . Significa che il contribuente non può più considerare quella dichiarazione come adempimento regolare, ma se ha dichiarato spontaneamente dei redditi tardivamente, l’erario può comunque riscuotere quelle imposte. La presentazione oltre i 90 giorni non è tecnicamente una “integrativa”, bensì un tentativo tardivo di sanare l’omissione: rimane però un illecito (sanzionabile) e, se vi sono imposte dovute sopra soglie, potenzialmente un reato di omessa dichiarazione. La legge prevede per l’omessa dichiarazione sanzioni più gravi (vedi oltre), attenuate solo se il contribuente presenta comunque la dichiarazione entro il termine dell’anno successivo e prima di aver ricevuto formale avviso di accertamento .

Norme di riferimento: l’art. 2 del DPR 322/1998, commi 8 e 8-bis, come modificati dal 2016, stabilisce quanto sopra. In particolare, il comma 8 oggi recita che “le dichiarazioni annuali possono essere integrate per correggere errori ed omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini di decadenza dell’accertamento”, mentre il vecchio comma 8-bis (oggi abrogato) limitava l’integrativa a favore all’anno successivo . Anche l’Agenzia delle Entrate, con proprie circolari esplicative, ha recepito questi principi: ad esempio la Circolare 30/E/2020 e ancor prima la 42/E/2016 hanno chiarito le modalità di regolarizzazione degli errori (distinguendo tra errori rilevabili o meno dal controllo formale/automatizzato, e se le integrative incidono su importi a credito o a debito).

Di seguito presentiamo una tabella riepilogativa semplificata delle varie situazioni di dichiarazione integrativa/tardiva:

Tipo di dichiarazioneTermine di presentazioneEffettiSanzioni (in assenza di ravvedimento)
Correttiva nei termini (entro scadenza ordinaria)Entro la scadenza originaria (es. stesso termine di presentazione)Sostituisce la dichiarazione originaria come se fosse l’unica.Nessuna sanzione per la correzione entro termini.
Integrativa a sfavore (maggior imposta dovuta)Entro termine di accertamento (31/12 del 5° anno successivo alla dichiarazione originaria)Rimedio volontario: emerge maggior debito d’imposta da versare.Sanzione ridotta con ravvedimento; in caso contrario, sanzione “infedele” 90-180% sulle differenze .
Integrativa a favore (minor imposta o maggior credito)Entro termine di accertamento (allineato a integrativa a sfavore dal 2016)Rimedio per errori a danno del contribuente; può esporre credito e chiederne il rimborso.Nessuna sanzione se il maggior credito è legittimo. Se si chiede rimborso oltre 48 mesi dal versamento, possibile decadenza.
Dichiarazione tardiva (ritardo ≤ 90 gg)Entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria (oltre termine ordinario, ma entro 3 mesi)Valida ai fini fiscali (dichiarazione considerata valida).Sanzione fissa per tardività: €250 ridotta a €25 se pagata con ravvedimento entro 90gg . Eventuale sanzione 30% su imposta versata in ritardo .
Dichiarazione omessa (ritardo > 90 gg o mai presentata)Oltre 90 giorni dalla scadenza (può comunque essere presentata spontaneamente in ritardo, ma resta “omessa”)Non valida come dichiarazione (illecito formale), ma costituisce titolo per riscuotere le imposte autoliquidate .Sanzione 120-240% imposta evasa (min €250) . Se presentata entro l’anno seguente e prima di accertamento: sanzione ridotta a 60-120% (min €200) . Se imposte non dovute: sanzione fissa €250-1000 (ridotta €150-500 se entro anno) .

Nota: Le sanzioni indicate potranno essere ridotte in caso di ravvedimento operoso (vedi più avanti). Inoltre, la presentazione di dichiarazione omessa entro l’anno successivo evita le conseguenze penali dell’art. 5 D.Lgs. 74/2000 (omessa dichiarazione) se tutte le imposte dovute sono versate in tempo grazie al ravvedimento (come chiariremo nella parte penale).

Termini di decadenza per l’accertamento e effetti delle integrative

Un aspetto cruciale è capire fino a quando l’amministrazione finanziaria può accertare e come la presentazione di una dichiarazione integrativa influisca su tali termini. In generale, per le imposte sui redditi e l’IVA, il termine ordinario di decadenza per notificare avvisi di accertamento è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (art. 43 DPR 600/1973 per le imposte dirette; art. 57 DPR 633/1972 per IVA) . Questo termine è esteso a 7 anni in caso di omessa dichiarazione originaria (quindi, se una dichiarazione non viene presentata, il fisco ha tempo fino al 31 dicembre del settimo anno successivo al periodo d’imposta) .

Quando però il contribuente presenta una dichiarazione integrativa, la legge prevede un meccanismo di “allungamento” del termine di decadenza limitatamente agli elementi modificati. In sostanza, per i soli elementi oggetto di integrazione, il termine ultimo per l’accertamento decorre dall’anno di presentazione dell’integrativa anziché dall’anno della dichiarazione originaria . Ciò risulta sia da fonti normative sia da chiarimenti ufficiali:

  • La Legge 190/2014 (legge di stabilità 2015) all’art. 1 comma 640 lett. b) introdusse espressamente questa previsione: “la presentazione di dichiarazione integrativa… comporta che i termini di decadenza dell’accertamento… sono computati a partire dall’anno di presentazione della dichiarazione integrativa, limitatamente agli elementi oggetto di integrazione” .
  • L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 31/E del 24.09.2013 (riferita a un regime antecedente ma concettualmente analogo), affermò che in caso di integrativa “l’attività accertativa si esplica nei termini di decadenza… calcolati a partire dall’anno di presentazione della dichiarazione integrativa, in relazione e nei limiti degli elementi ‘rigenerati’ in tale dichiarazione” .
  • La giurisprudenza ha confermato questo principio, precisando che l’estensione opera solo per i dati oggetto di modifica, mentre per gli altri vale il termine originario. Ad esempio, Cass. n. 2735/2022 ha ribadito che l’integrativa sposta in avanti i termini (in quel caso per la notifica della cartella di pagamento da controllo automatizzato) solo per gli elementi variati, lasciando invariati i termini per gli elementi non toccati .

Facciamo un esempio: Dichiarazione Redditi 2020 presentata a settembre 2021; senza integrativa, accertabile fino al 31/12/2026. Se però il contribuente presenta un integrativa nel 2024 (dichiarazione Redditi 2021 integrativa che modifica dati 2020), gli elementi “rettificati” nel 2024 saranno accertabili fino al 31/12/2029 (2024 + 5 anni) . Tutto il resto dei dati 2020 (non modificati) resterà accertabile fino al 31/12/2026 . Questo bilancia due esigenze: da un lato permette al Fisco di avere tempo per controllare i nuovi dati comunicati (evitando che un contribuente faccia un’integrativa all’ultimo momento, magari poco prima della scadenza del termine, per sfuggire al controllo); dall’altro, tutela il contribuente su ciò che non è stato modificato, che non verrà “tenuto aperto” più a lungo del dovuto . Se invece la dichiarazione è stata presentata tardivamente (entro 90gg) o omessa (oltre 90gg), la legge non prevede alcuna estensione dei termini di accertamento oltre quelli ordinari o lunghi già citati; l’anno considerato resta quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata .

È bene chiarire che l’estensione dei termini riguarda l’accertamento (avvisi di accertamento o di rettifica); non direttamente la riscossione tramite cartelle post-controllo automatizzato ex art. 36-bis DPR 600/73, anche se Cass. 2735/2022 citata sopra ha applicato analogia a una cartella da liquidazione. In altre parole, il concetto chiave è: se integri dichiarando qualcosa in più (redditi o basi imponibili maggiori), il Fisco avrà il solito periodo (5 anni) per controllare quei nuovi elementi a partire dalla dichiarazione integrativa. Se invece correggi un errore “a favore” (ad esempio un credito maggiore spettante), quel credito può essere utilizzato e, se contestato dall’AdE, la disputa sarà nell’ambito del normale termine di accertamento calcolato dall’integrativa.

Dichiarazione infedele vs omessa: differenze e sanzioni amministrative

In materia tributaria occorre distinguere tra due grandi categorie di violazioni dichiarative, con discipline sanzionatorie differenti:

  • Dichiarazione infedele: quando la dichiarazione è stata presentata ma riporta dati incompleti o non veritieri, determinando un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore al spettante. L’art. 1, comma 2, D.Lgs. 471/1997 prevede per l’infedeltà dichiarativa una sanzione amministrativa dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato . La stessa sanzione si applica anche in caso di indebite detrazioni o deduzioni dichiarate. Ad esempio, se in dichiarazione ometto €10.000 di redditi imponibili, che avrebbero comportato €3.000 di IRPEF in più, la sanzione base va dal 90% al 180% di €3.000, cioè da €2.700 a €5.400. La determinazione concreta (entro il range) dipenderà dalla gravità, dalla recidiva, ecc. In presenza di ravvedimento operoso, come vedremo, questa sanzione può essere ridotta fino a 1/5 del minimo.
  • Omessa dichiarazione: quando la dichiarazione non è stata presentata affatto entro il termine di 90 giorni, oppure è stata presentata ma oltre tale termine (quindi considerata omessa). L’art. 1, comma 1, D.Lgs. 471/1997 punisce l’omessa dichiarazione con una sanzione più elevata: dal 120% al 240% delle imposte dovute, con un minimo di €250 . Se non vi erano imposte dovute (dichiarazione a zero o a credito, ma non presentata), la sanzione è fissa da €250 a €1.000 . Tuttavia, se il contribuente presenta la dichiarazione omessa entro il termine della dichiarazione dell’anno successivo (ad esempio entro il 30 novembre dell’anno successivo per i Redditi, ossia entro il “anno dopo”) e prima che l’Amministrazione gli contesti formalmente la violazione, allora si applica una sanzione ridotta: dal 60% al 120% delle imposte dovute (minimo €200) oppure da €150 a €500 se non sono dovute imposte . Questa è una forma di “attenuante” amministrativa introdotta dalla riforma del 2015, volta a incentivare la regolarizzazione spontanea anche se tardiva. Ovviamente resta ferma la possibilità, anzi la necessità, di pagare tutte le imposte dovute con relativi interessi.

È importante notare che dichiarazione infedele e omessa sono fattispecie alternative: se presento seppur tardivamente la dichiarazione (entro i 90 giorni), non è omessa ma infedele (se mancano dati); se la presento dopo 90 giorni è omessa (anche se contenesse tutti i dati, il solo ritardo oltre i 90gg la qualifica come omessa ai fini sanzionatori, salvo l’attenuante indicata) .

Una domanda comune è: se correggo tardivamente una dichiarazione infedele (ad esempio presento integrativa a sfavore e pago il dovuto), quali sanzioni restano? Sul piano amministrativo, ravvedendosi si pagherà la sanzione ridotta per infedele. L’Agenzia in passato tendeva ad applicare anche la sanzione per omesso versamento sui maggiori acconti eventualmente dovuti, ma la Cassazione ha chiarito che in caso di ravvedimento ciò non è corretto: la sanzione per infedele assorbe quella per il correlato omesso versamento degli acconti. In particolare, la recente ord. n. 4187/2025 della Cassazione ha stabilito che se un contribuente ravvede una dichiarazione infedele presentando integrativa, non sono irrogabili le sanzioni per il tardivo versamento dei maggiori acconti d’imposta emersi . Ciò perché il mancato versamento deriva dall’omessa indicazione in dichiarazione (infedeltà) e dunque viene punito dalla sanzione più grave dell’infedeltà stessa, che copre sia l’aspetto formale (dichiarazione errata) sia l’aspetto sostanziale del mancato pagamento . In pratica, per un reddito non dichiarato poi integrato, si applica la sanzione 90-180% (ridotta col ravvedimento, ad es. 1/8 o 1/7 a seconda di quando si ravvede), ma non ulteriori 30% per acconti tardivi relativi a quel reddito . Questo principio è in linea con la circolare AE 42/E/2016, citata dalla Cassazione, secondo cui l’insufficiente versamento di acconto è autonomo solo se il contribuente aveva indicato correttamente l’imposta dovuta; se invece l’errore è a monte nella dichiarazione, il tardato acconto non fa che conseguire ad essa e non va punito separatamente . (Si veda più avanti un approfondimento sulle interazioni ravvedimento/sanzioni).

Sanzioni per IVA ed altre imposte: le stesse percentuali di sanzione (90-180%, 120-240%) valgono anche per le dichiarazioni IVA e IRAP infedeli o omesse, per effetto di rinvii normativi. Inoltre, l’omessa dichiarazione IVA comporta, se c’è imposta dovuta, anche l’indetraibilità dell’IVA a credito eventualmente assolta sugli acquisti (che però esula dal tema difensivo e attiene al calcolo dell’imposta).

Omissioni nel Quadro RW e relative sanzioni

Un capitolo a parte meritano le omissioni riguardanti il Quadro RW, cioè il quadro della dichiarazione dei redditi dedicato al monitoraggio fiscale di investimenti e attività finanziarie detenute all’estero da persone fisiche residenti (o entità assimilate). L’omessa compilazione del Quadro RW non incide sul calcolo dell’imposta sui redditi (se i redditi esteri eventualmente prodotti da quegli asset sono stati comunque dichiarati altrove, es. in altri quadri), ma è considerata una violazione sostanziale degli obblighi tributari, in quanto ostacola la trasparenza sui patrimoni esteri .

Le sanzioni amministrative per omissioni RW sono stabilite dall’art. 5, comma 2, D.L. 167/1990 (come modificato nel tempo, da ultimo dal D.Lgs. 90/2017). Attualmente prevedono: una sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati (valori al 31/12 o movimenti) per ogni periodo d’imposta non monitorato. Se le attività estere sono in Paesi non collaborativi a fini fiscali (c.d. black list), la sanzione sale al 6% – 30%. Trattandosi di sanzione proporzionale al patrimonio non dichiarato, gli importi in gioco possono essere molto elevati. Ad esempio, non dichiarare €500.000 su conto estero può comportare sanzioni da €15.000 a €75.000 per ogni anno.

Importante: la Corte di Cassazione ha più volte affermato che l’omissione del RW non è una mera irregolarità formale, ma un inadempimento sostanziale, legittimamente sanzionato anche in misura significativa . In una recente sentenza (Cass. n. 28077 del 30/10/2024), è stato chiarito che applicare la sanzione minima del 5% (prevista all’epoca dei fatti) non viola il principio di proporzionalità, poiché la mancata compilazione di RW pregiudica le finalità di controllo del Fisco . In quel caso, la Cassazione ha cassato la pronuncia di merito che aveva annullato le sanzioni RW ritenendole “sproporzionate” per mancanza di evasione diretta, ribadendo invece che l’obbligo di monitoraggio ha una sua autonomia . Dunque difendersi sostenendo che si trattava di violazione formale è una strategia destinata all’insuccesso.

Un altro aspetto delle violazioni RW è che se l’omissione si protrae per più anni, si applicano le regole del cumulo giuridico (continuazione) previste dall’art. 12 D.Lgs. 472/1997: in pratica, viene irrogata un’unica sanzione, riferita alla violazione più grave aumentata da 1/4 al doppio (oggi fino al triplo) in base al numero di anni. La Cassazione ha confermato che per omesse dichiarazioni RW pluriennali si adotta appunto l’aumento fino al triplo sulla sanzione-base dell’anno più grave, escludendo un cumulo materiale delle sanzioni di ogni anno . Ad esempio, Cass. n. 11849/2023 ha stabilito che per più annualità RW omesse si applica l’aumento ex art. 12, e non singole sanzioni sommate . Ciò attenua l’importo complessivo rispetto a una somma pura, ma resta comunque potenzialmente oneroso.

Un aspetto incoraggiante per il contribuente è che l’omessa compilazione del RW non costituisce di per sé reato tributario. Non esiste, infatti, nel D.Lgs. 74/2000 un reato specifico per l’omesso monitoraggio. Talvolta la Procura ha tentato di far rientrare condotte di mancata dichiarazione di capitali esteri nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) – che punisce chi pone in essere artifici per rendere inefficace la riscossione di imposte dovute. Tuttavia, la Cassazione penale ha chiarito che “nessun reato è configurabile per la sola omessa compilazione del Quadro RW” (Cass. pen. Sez. III, sent. n. 20649/2025) . In tale vicenda, era stato disposto un sequestro preventivo su beni per omessa dichiarazione di capitali esteri ipotizzando una sottrazione al fisco, ma la Cassazione ha annullato il sequestro spiegando che senza un’imposta evasa a monte e senza atti diretti a sottrarsi alla riscossione, non c’è reato . L’omessa RW comporta una sanzione amministrativa patrimoniale, ma non macchia la fedina penale del contribuente . Ovviamente, se dietro l’omessa RW vi sono anche redditi esteri non dichiarati, questi ultimi possono far scattare il reato di infedele dichiarazione (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se superano le soglie penalmente rilevanti – su cui torneremo. In tal caso, Cassazione ha affermato che le sanzioni sono autonome e cumulabili: l’Agenzia può sanzionare sia l’infedele dichiarazione (per i redditi non dichiarati) sia l’omessa compilazione RW per i relativi patrimoni . Non si tratta di doppia punizione per lo stesso fatto, perché sono due obblighi diversi (dichiarare il reddito vs dichiarare l’esistenza dell’attività finanziaria) . Ad esempio, se un contribuente non dichiara interessi da un conto estero (violazione reddituale) e non dichiara neppure il conto RW (violazione monitoraggio), potrà subire la sanzione 90-180% sull’imposta evasa sugli interessi e la sanzione 3-15% sul capitale non monitorato: due sanzioni distinte.

In sintesi, per il Quadro RW le linee guida normative e giurisprudenziali sono:

  • Sanzione proporzionale 3-15% (o 6-30%) per anno, con cumulo giuridico se pluriennale (una sanzione aumentata e non somma aritmetica di tutte) .
  • Violazione considerata sostanziale, non definibile come mera formalità .
  • Non esistono cause di non punibilità specifiche (se non il ravvedimento operoso generale, che permette riduzioni).
  • Nessun reato immediato per il solo RW omesso , ma attenzione a eventuali reati connessi per i redditi non dichiarati connessi a quegli asset.

Di seguito una tabella riassume le sanzioni monitoraggio RW:

Violazione Quadro RWSanzione amministrativa (per singola annualità)Note
Omessa/infedele dichiarazione di attività estere (Paese collaborativo)dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato (valore attività finanziarie o investimenti)Sanzione riferita al valore al termine del periodo o al massimo movimentato, per anno. Riducibile con ravvedimento (1/8, 1/7, ecc. a seconda del tempo).
Omessa/infedele dichiarazione di attività estere (Paese non collaborativo)dal 6% al 30% dell’importo non dichiaratoPaesi black-list senza scambio informazioni. Oggi la lista nera classica si è ridotta con accordi, ma la norma resta applicabile se il paese non fornisce dati.
Omessa compilazione RW per più anniCumulo giuridico ex art. 12 D.Lgs. 472/97: sanzione per l’anno più grave aumentata da 1/4 fino al doppio (ora fino al triplo)Ad es.: 3 anni di omissione, sanzione base 15% per anno peggiore → sanzione unica 15% aumentata fino a +200%. Cass. 11849/2023 conferma niente cumulo materiale .
Violazione RW definibile come “formale”?No, è sostanziale . Non rientra nelle sanatorie per violazioni formali senza imposte.Ad es. la “sanatoria formale” 2023 (L.197/2022) escludeva RW, poiché incide su obblighi sostanziali di monitoraggio .
Reati tributari collegatiNessuno specifico per RW omesso. Eventuale rilevanza se comporta evasione di imposte (es. redditi esteri non dichiarati) → vedi dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000).Cass. 20649/2025 (pen.) esclude automatismi penali per RW .

Ravvedimento operoso: regolarizzare prima dell’accertamento

Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997) è uno strumento fondamentale che consente al contribuente di regolarizzare spontaneamente violazioni tributarie, beneficiando di sanzioni ridotte, a condizione che ciò avvenga prima di essere scoperti (ossia in assenza di notifiche di accertamento o di avvisi di verifica già formalmente comunicati). Nel contesto delle dichiarazioni integrative, il ravvedimento assume spesso la forma di presentazione di un’integrativa a sfavore con versamento del dovuto e pagamento delle sanzioni in misura ridotta.

Le condizioni principali per il ravvedimento sono: la violazione non deve essere già stata constatata (ad esempio, non deve essere già stato notificato un pvc – processo verbale di constatazione – o altro atto di accertamento) e non devono essere iniziate ispezioni o verifiche di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza . In pratica, finché il contribuente “gioca d’anticipo” sul Fisco, può ravvedersi. Se invece arriva prima l’Agenzia (lettera di compliance, invito o, peggio, accertamento), il ravvedimento non è più ammesso per quei tributi/periodi specifici.

Quanto alle sanzioni ridotte, per dichiarazioni infedeli/omesse la situazione è particolare: il D.Lgs. 158/2015 ha rivisto l’art. 13 del D.Lgs. 472/97 stabilendo una gradazione di riduzioni a seconda del tempo trascorso. In generale, le riduzioni standard sono:

  • Entro 90 giorni dalla violazione (o dal termine di presentazione, nel caso di dichiarazione): sanzione ridotta a 1/9 del minimo. Esempio: dichiarazione tardiva presentata entro 90gg → sanzione fissa €250 ridotta a €27,78 (ma arrotondata a €25 come da prassi) ; dichiarazione infedele ravveduta entro 90gg → sanzione 90% ridotta a 1/9, ossia 10%. Infatti 1/9 di 90% è 10%. Quindi si pagherebbe il 10% dell’imposta differenziale.
  • Oltre 90 gg ed entro 1 anno (dal termine di presentazione): sanzione a 1/8 del minimo . Ad esempio, se ravvedo un’infedeltà a 6 mesi dal termine dichiarativo, pago 1/8 di 90% = 11,25%.
  • Entro 2 anni dall’omissione/errore: 1/7 del minimo .
  • Oltre 2 anni ma prima di accertamento: 1/6 del minimo .
  • Dopo la notifica di un atto di constatazione o accertamento: teoricamente sarebbe 1/5, ma in realtà dopo la contestazione formale il ravvedimento non è più ammesso per quella violazione, quindi 1/5 trova applicazione solo in ipotesi residuali (ad es. processo verbale di constatazione senza atto impositivo immediato su cui versare spontaneamente, ma non è il caso tipico per dichiarazioni) .

Nel caso delle dichiarazioni tardive (entro 90gg), la sanzione fissa di €250 è ridotta a 1/10 (€25) se ci si ravvede nei 90 giorni stessi . Parallelamente, se c’è un omesso versamento di tributi a saldo, anche quello va regolarizzato con sanzione ridotta (ad es. 0,1% al giorno entro 14gg, 1,5% entro 90gg, 1,67% entro 1 anno, ecc. – secondo le aliquote aggiornate ai vari ravvedimenti).

Quando un contribuente presenta una dichiarazione integrativa a sfavore con ravvedimento, in pratica deve: compilare il modello integrativo indicando i dati corretti, barrare la casella integrativa, e versare sia le maggiori imposte dovute che gli interessi legali calcolati dal termine originario, oltre alle sanzioni ridotte. Ad esempio, nel caso precedente di redditi 2008 integrati nel 2010 (caso Cass. 4187/2025 illustrato), la società pagò la differenza d’imposta, gli interessi e la sanzione infedele ridotta a 1/10 (all’epoca delle regole del 2010 era così previsto) .

Va evidenziato che il ravvedimento operoso, oltre a ridurre le sanzioni amministrative, può avere effetti positivi sul piano penale: l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 (come modificato dal DL 124/2019) stabilisce una causa di non punibilità per alcuni reati tributari (tra cui dichiarazione infedele e omessa) se il contribuente estingue integralmente il debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi, prima che l’autore abbia formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualsiasi attività di accertamento amministrativo o di indagine penale . In sostanza, se mi ravvedo e pago tutto prima che mi arrivino controlli, per i reati di cui agli artt. 4 e 5 D.Lgs. 74/2000 (infedele e omessa dichiarazione) non sono punibile penalmente. Questa è una forte spinta a ravvedersi spontaneamente quando ci si accorge di un’omissione rilevante, perché consente di azzerare il rischio penale (oltre a ridurre le sanzioni amministrative). Approfondiremo i dettagli più avanti nella parte penale, ma è importante introdurre qui il concetto: ravvedersi per tempo conviene, purché non si sia già nelle fasi avanzate di un accertamento.

Conclusione sul quadro normativo: la legge offre strumenti di correzione (integrativa) e mitigazione (ravvedimento), ma pone anche limiti temporali chiari e sanzioni significative per chi omette o dichiara il falso. Le recenti pronunce della Cassazione confermano un approccio sostanzialistico: da un lato tutelano il contribuente onesto che corregge errori prima o anche in sede di contenzioso (ad esempio ammettendo la correzione di errori a proprio sfavore anche in giudizio senza decadenze ), dall’altro ostacolano chi volesse abusare dell’integrativa per farsi “beccare” e poi correggersi. In particolare, la Cassazione ha chiarito che non è ammessa un’integrativa ex post, a controllo iniziato, per eludere sanzioni: una volta scoperta l’omissione, non ci si può “ravvedere tardivamente” sperando di sanare tutto . Su questo punto torneremo ora, parlando delle contestazioni da parte dell’Agenzia e di come il contribuente può reagire.

Agenzia delle Entrate e contestazione di omissioni in dichiarazione integrativa

Vediamo ora cosa accade quando l’Agenzia delle Entrate scopre (o ritiene) che vi siano delle omissioni o errori nonostante la presentazione di una dichiarazione integrativa. In pratica, si tratta della situazione in cui il contribuente ha provato a regolarizzare, ma per l’Ufficio non è ancora tutto corretto: o perché l’integrativa stessa presenta lacune, o perché è stata fatta fuori tempo massimo, o magari perché l’Agenzia ritiene che non fosse più effettuabile (ad esempio perché già era iniziata un’attività istruttoria).

Analizzeremo:

  • Come l’Agenzia può rilevare le omissioni (controlli automatici, controlli formali, verifiche sul campo, incrocio di dati, lettere di compliance, ecc.).
  • Quali atti l’Agenzia può emettere e in quali tempistiche.
  • Quali sono i diritti del contribuente nella fase pre-contenziosa (obbligo di contraddittorio, possibilità di produrre memorie, richiesta di annullamento in autotutela).
  • Quali sono i limiti oltre i quali il contribuente non può più “aggiustare il tiro” con integrative (lo abbiamo in parte anticipato).
  • Come prepararsi alla difesa già in questa fase amministrativa.

Modalità di controllo e accertamento delle omissioni

Controlli automatizzati e formali: La prima verifica su dichiarazioni integrative (come su quelle ordinarie) avviene spesso in modo automatico. L’esempio visto con Cass. 13408/2024 è emblematico: una società presentò un’integrativa per rideterminare imponibili di anni precedenti, e l’ufficio, tramite controllo automatizzato ex art. 36-bis DPR 600/73, riscontrò un’irregolarità e emise cartella di pagamento per l’imposta non riconosciuta . Dunque, un integrativa presentata viene caricata nei sistemi; se genera anomalie (ad esempio crediti utilizzati, differenze rispetto ai dati noti all’anagrafe tributaria), può scaturire una comunicazione automatica (cd. avviso bonario) o direttamente una cartella (per esiti 36-bis su imposte dichiarate dall’integrativa stessa). Nel caso di integrativa a favore, è prassi che se emerge un credito da rimborsare, l’ufficio effettui controlli formali ex art. 36-ter su quell’anno prima di liquidare eventuali rimborsi.

Lettere di compliance: Negli ultimi anni, l’Agenzia invia spesso comunicazioni bonarie (lettere di “compliance”) quando rileva possibili redditi non dichiarati, invitando il contribuente a regolarizzare. Ad esempio, se emergono dati bancari esteri non coerenti col dichiarato, possono inviare una lettera suggerendo di fare un integrativa. Se il contribuente a quel punto integra, tecnicamente sta ravvedendosi ma dopo aver avuto un alert dall’Agenzia. Occorre sapere che la ricezione di una lettera di compliance non preclude il ravvedimento (non essendo un atto formale di accertamento o ispezione), ma se l’errore è emerso da quell’incrocio, l’ufficio difficilmente rinuncerà alle sanzioni, sebbene ridotte. In ogni caso, le lettere di compliance non sono impugnabili (non essendo atti impositivi) e rappresentano un’occasione per regolarizzare prima di un accertamento vero e proprio.

Verifiche e accertamenti sul campo: Se le omissioni riguardano importi significativi o condotte considerate gravi (es. frodi IVA, fatture false), è possibile che intervenga la Guardia di Finanza o gli ispettori dell’Agenzia per una verifica fiscale completa. In tali casi, se durante la verifica il contribuente fosse tentato di presentare dichiarazioni integrative per i periodi controllati, l’efficacia sarebbe nulla come “scudo sanzionatorio”. Infatti, la Cassazione (ord. 32109/2024) ha affermato chiaramente che la notifica di una contestazione (o comunque l’avvio di un’attività accertativa nota al contribuente) preclude la possibilità di presentare legittimamente una dichiarazione integrativa su quei fatti . Il ragionamento dei giudici è che altrimenti il contribuente sarebbe incentivato a dichiarare il falso o omettere in prima battuta, riservandosi di “ravvedersi” solo se scoperto, vanificando il sistema sanzionatorio . Dunque, se è già stato elevato un PVC o notificato un avviso di accertamento, un’eventuale dichiarazione integrativa successiva non produce effetti giuridici per evitare sanzioni.

Esempio pratico: la ditta Alfa non dichiara ricavi nel 2022. Nel 2024 subisce una verifica fiscale, e i verificatori contestano l’omissione. A quel punto Alfa presenta un’integrativa per il 2022 e versa le imposte. Ciò non impedirà all’ufficio di portare avanti l’accertamento con le sanzioni piene, perché l’integrativa è tardiva dopo la constatazione. In casi del genere, l’unico beneficio potrebbe aversi sul penale (pagando tutto prima della denuncia si può evitare la punibilità, come da art. 13 D.Lgs. 74/2000), ma sul piano amministrativo le sanzioni non si azzerano. In sostanza: l’integrativa serve prima di essere presi, non dopo.

Atti emessi dall’Agenzia: A seconda del tipo di controllo e della violazione, l’Agenzia delle Entrate potrà emettere differenti atti:

  • Comunicazione esito controllo automatizzato (cd. Avviso bonario): è il caso di integrativa che presenta errori formali o debiti non versati. Ad esempio, integrativa a sfavore inviata ma non seguito il pagamento completo delle somme dovute: l’agenzia manderà un avviso bonario chiedendo il versamento (con sanzione 10% se entro 30 giorni). Oppure se dall’incrocio con CU, 770, fatture, l’integrativa risulta ancora difforme, possono segnalare.
  • Cartella di pagamento da controllo automatizzato: se l’integrativa esponeva un debito non versato, dopo 30 giorni l’avviso bonario sfocia in cartella (ex art. 36-bis). Nell’esempio Cass. 13408/2024, l’integrativa fu considerata irregolare e fu emessa direttamente cartella per recuperare l’IRES 2011 .
  • Avviso di accertamento: è l’atto “principe” con cui l’Agenzia rettifica la dichiarazione (originaria o integrativa) e accerta maggior imponibile e imposte. Può scaturire da controllo approfondito, da verifica o anche in seguito a mancata adesione alle comunicazioni. Ad esempio, se si omette di dichiarare parte di redditi anche dopo un alert, l’ufficio può notificare un avviso di accertamento entro i termini (5 anni, o 7 se originaria omessa).
  • Atto di contestazione sanzioni: talvolta, soprattutto su questioni come il Quadro RW o violazioni formali, l’Agenzia emette un atto separato solo per irrogare sanzioni (quando non c’è imposta da accertare). Ad esempio, se un integrativa a favore viene ritenuta indebita, potrebbero contestare l’indebita compensazione di credito con atto sanzionatorio.

Tutti questi atti sono impugnabili dal contribuente davanti alla giustizia tributaria (commissioni/corti tributarie), tranne l’avviso bonario che è solo una comunicazione. Prima di arrivare al ricorso, però, il contribuente ha alcune opportunità di difesa in sede amministrativa.

Diritti del contribuente e difesa nella fase pre-contenziosa

Prima che l’accertamento diventi definitivo o che si debba ricorrere al giudice, ci sono alcune strade da percorrere:

  • Contraddittorio endoprocedimentale: per alcune tipologie di accertamento, soprattutto in materia di tributi armonizzati (IVA) e dopo la riforma del 2020, l’Agenzia deve invitare il contribuente a comparire o quantomeno a fornire osservazioni prima di emettere l’avviso. Questo deriva sia da normative comunitarie che dallo Statuto del Contribuente (art. 12, c.7 per verifiche in loco, e giurisprudenza costituzionale). Se ricevete una lettera di compliance o un invito a produrre documenti/spiegazioni, sfruttatelo: presentare una memoria in cui spiegate le ragioni di eventuali omissioni o errori (se c’è un motivo oggettivo o una diversa interpretazione) può talvolta evitare l’accertamento o indurre l’ufficio a mitigare la pretesa. Ad esempio, su un credito emerso in integrativa che l’ufficio contesta, si potrà dimostrare documentalmente la spettanza.
  • Istanza di autotutela: se l’Agenzia ha già emesso un atto (es. cartella da controllo automatico) palesemente errato o fondato su un fraintendimento, si può presentare un’istanza di autotutela chiedendone l’annullamento o la rettifica prima di ricorrere. L’autotutela è discrezionale per l’ufficio e non sospende i termini di ricorso, quindi va usata con cautela. Tuttavia, in casi semplici (ad esempio: integrativa a favore scartata per un errore formale poi chiarito) può risolvere senza contenzioso.
  • Accertamento con adesione: dopo la notifica di un avviso di accertamento (o atto di contestazione sanzioni), il contribuente può chiedere entro 60 giorni l’attivazione del procedimento di adesione (D.Lgs. 218/1997). Ciò sospende i termini del ricorso e consente di discutere con l’ufficio, eventualmente raggiungendo un accordo. Nel contesto di omissioni in integrativa, l’adesione può servire a trovare un punto d’incontro su quanto dovuto. Se ad esempio l’integrativa era parziale e l’ufficio accerta di più, col dialogo si potrebbe convincere l’ufficio a riconoscere alcune spese o ridurre l’imponibile, evitando il giudizio. L’adesione comporta benefici: riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo (in luogo di 1/2 se si andasse in giudizio e si perdesse), e pagamento rateale. Ovviamente richiede la disponibilità a concordare e pagare, quindi va valutata caso per caso. Se si ritiene di avere ragione piena, l’adesione non è consigliabile.
  • Mediazione tributaria: per atti di valore non superiore a €50.000 (importo del tributo + sanzioni, al netto interessi), è obbligatorio presentare un reclamo-mediazione prima di fare ricorso (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). In tale istanza si può chiedere all’ufficio l’annullamento totale o parziale e proporre eventualmente una soluzione. Se l’ufficio accetta una mediazione, c’è il vantaggio ulteriore della sanzione ridotta del 35% (quindi un abbattimento delle sanzioni). Ad esempio, se viene irrogata una sanzione infedele del 100%, col mediatore si può chiudere pagando il 65% di quella sanzione. Anche qui, però, serve che l’Agenzia riconosca margini di trattativa. Spesso usano la mediazione per ridurre solo le sanzioni e riscuotere il tributo.
  • Sospensione della riscossione: se è stata emessa una cartella o se l’accertamento comporta un importo da versare immediatamente (in pendenza di ricorso), il contribuente può chiedere la sospensione in autotutela all’AdE-Riscossione o presentare istanza di sospensione cautelare al giudice tributario una volta depositato il ricorso. Questo per evitare di pagare subito somme poi forse non dovute. Bisogna però dimostrare sia il fumus boni iuris (ragioni valide nel merito) sia il periculum (danno grave dall’esecuzione).

In questa fase pre-contenziosa è consigliabile documentare tutto: conservare copia di integrative inviate, ricevute di invio, F24 pagati, eventuali comunicazioni con l’ufficio. Tutto ciò potrà servire se si arriverà al ricorso.

Caso pratico 1 (imposte dirette): Un imprenditore individuale si accorge di non aver inserito nella dichiarazione dei redditi 2021 alcuni ricavi incassati a fine anno. Nel 2023 riceve una lettera di compliance dall’Agenzia, che – incrociando i corrispettivi telematici – nota discrepanze. L’imprenditore a quel punto può: presentare una integrativa 2021 indicando i maggiori ricavi, pagare le imposte e ravvedersi (sanzione infedele ridotta). Essendo la lettera solo un invito bonario, il ravvedimento è ancora valido. Così facendo, quasi certamente l’Agenzia non procederà oltre (magari chiederà solo il pagamento della sanzione ridotta se non versata in F24 ravvedimento). Se invece ignorasse la lettera, probabile arrivi un accertamento con sanzione piena 90%-180%.

Caso pratico 2 (IVA): Una Srl presenta integrativa IVA annuale perché aveva omesso alcune fatture di vendita. Versa la maggiore IVA con ravvedimento. Il controllo incrociato con la fatturazione elettronica segnala però ulteriori fatture non contabilizzate. L’Agenzia convoca l’azienda per chiarimenti (invito). In sede di contraddittorio, la Srl ammette l’errore su quelle ulteriori fatture, magari frutto di errata numerazione, e propone di pagare la differenza. A questo punto l’ufficio potrebbe proporre un accertamento con adesione sul maggior imponibile IVA residuo. Se trovano l’accordo, la Srl pagherà quell’IVA con sanzione ridotta 1/3. Se non c’è accordo, l’ufficio emetterà avviso per quell’importo con sanzione piena e la Srl dovrà decidere se ricorrere.

In ogni caso, la chiave in fase amministrativa è interloquire con l’Agenzia in modo tempestivo, mostrando collaborazione ma anche facendo valere elementi a proprio favore (es. documenti che provano che non c’era dolo nell’errore, o che parte delle somme contestate non erano redditi imponibili). A volte l’ufficio, di fronte a solide argomentazioni, può archiviare o ridimensionare la pretesa.

Nel paragrafo successivo considereremo la situazione in cui, nonostante tutto, ci si trova a dover impugnare l’atto impositivo e difendersi in sede giudiziaria: il ricorso tributario e il successivo contenzioso.

Il ricorso in Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria) e la difesa in giudizio

Se l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può essere risolto in via amministrativa, l’ultima parola spetta al giudice tributario. Dal 2023, con la riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022), le Commissioni Tributarie hanno cambiato nome in Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, ma la sostanza del processo rimane simile. In questa sezione vedremo come predisporre un ricorso efficace e quali strategie difensive adottare in giudizio, specialmente in casi riguardanti omissioni in dichiarazioni integrative.

Termini e procedure per presentare ricorso

In generale, l’avviso di accertamento o altro atto impositivo va impugnato entro 60 giorni dalla notifica (estesi a 90 giorni se si è esperito il procedimento di adesione, che sospende per 90 giorni dalla richiesta). Nell’autunno 2023 sono state introdotte alcune modifiche procedurali, ma il termine dei 60 giorni è rimasto invariato (salvo sospensioni feriali dal 1 al 31 agosto, e dal 2023 ridotte al 31 luglio – ma ad agosto 2025 questa regola era vigente con sospensione fino al 31/8, in evoluzione dal 2026 secondo le ultime proposte).

Il ricorso va notificato all’ente impositore (di solito via PEC se si ha un domicilio digitale) e poi depositato presso la segreteria della Corte di Giustizia Tributaria competente (provinciale per primo grado) entro 30 giorni dalla notifica all’ente.

Nel caso di valore della lite fino a €3.000, è ammesso il ricorso senza assistenza tecnica; oltre tale soglia, serve il difensore abilitato (avvocato, commercialista, ecc.). Dato il taglio avanzato di questa guida, presumiamo che si operi con assistenza legale.

Contenuto e struttura del ricorso

Un ricorso tributario deve contenere, a pena di inammissibilità: l’indicazione dell’atto impugnato, il soggetto che ricorre, la Commissione/CGT adita, i motivi del ricorso, le conclusioni (richiesta). Inoltre va indicato il valore della lite e le eventuali prove di cui ci si intende avvalere.

Nel contesto di omissioni in integrative, spesso i motivi di ricorso ruoteranno attorno a questioni quali:

  • Violazione di legge: ad esempio si potrà eccepire la violazione di una norma se l’ufficio ha preteso di più di quanto consentito (es.: accertamento notificato oltre i termini di decadenza perché non si è applicata correttamente la regola degli elementi integrati; oppure applicazione errata di una sanzione).
  • Vizio di motivazione: contestare che l’atto non spiega adeguatamente le ragioni per cui l’Agenzia ritiene l’integrativa insufficiente o l’omissione sussistente. Ad esempio, se l’avviso di accertamento non dà conto delle osservazioni presentate dal contribuente in sede di contraddittorio, violando l’obbligo di motivazione rafforzata post-contraddittorio.
  • Errore di fatto: dimostrare che l’ufficio ha commesso un errore fattuale (e.g. ha considerato non dichiarata una somma che invece era inclusa altrove, oppure ha scambiato per reddito un movimento che era un trasferimento patrimoniale non tassabile).
  • Inosservanza di norme procedurali: ad esempio, l’omesso invio del previo invito al contraddittorio in ambito IVA (divenuto obbligatorio generalizzato dal 2020 in poi, salvo casi di urgenza). La Corte di Cassazione ha annullato accertamenti emessi senza contraddittorio quando doveva esserci, riconoscendo la nullità dell’atto per violazione del diritto di difesa del contribuente.
  • Disapplicazione sanzioni per obiettiva incertezza: raramente accolte, ma se la questione è molto controversa e ci sono state circolari contraddittorie, si può chiedere di non applicare sanzioni amministrative ex art. 6, c.2 D.Lgs. 472/97 (es. casi in cui l’integrativa era dubbia se dovuta, ecc.).

Un esempio di schema di ricorso potrebbe essere:

  1. Epigrafe: “Ricorso avanti la Corte di Giustizia Tributaria di I grado di [luogo]”. Indicare ricorrente (nome, CF, residenza/domicilio), difensore e contro (Ente impositore, nella persona del Direttore pro tempore).
  2. Atto impugnato: descrivere l’atto (es. “Avviso di accertamento n… notificato in data … relativo a IRPEF anno…, emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di …”).
  3. Fatti: narrare la vicenda. Esempio: “Il ricorrente presentava in data … dichiarazione integrativa per l’anno … versando i tributi dovuti. Con l’atto impugnato, l’Agenzia accertava ulteriori redditi ritenuti non dichiarati…”. Qui si espone la cronologia, includendo se ci sono stati ravvedimenti, adesioni tentate, etc.
  4. Motivi di diritto: elencare in punti i motivi. Esempio:
  5. Motivo 1 – Violazione dell’art. 2 DPR 322/98 e art. 43 DPR 600/73, per intervenuta decadenza dall’accertamento sugli elementi non integrati: spiegare che l’accertamento è tardivo per certe componenti.
  6. Motivo 2 – Infondatezza nel merito della pretesa tributaria: argomentare che il reddito contestato in realtà non era imponibile o era già tassato, ecc., con eventuali documenti.
  7. Motivo 3 – Violazione art. 7 L. 212/2000 (difetto di motivazione): se adatto.
  8. Motivo 4 – Errori di calcolo o duplicazioni: se l’ufficio ha calcolato male sanzioni o interessi.
  9. … (quanti motivi servono).
  10. Richiesta (Conclusioni): tipicamente, “Si chiede l’annullamento dell’atto impugnato, con vittoria di spese”. In via subordinata, si può chiedere una rideterminazione (es: ridurre sanzioni al minimo se proprio).
  11. Documenti allegati: elencare i documenti a supporto (copia dichiarazioni, ricevute, eventuali circolari, sentenze pertinenti, ecc.). Nel caso di contestazioni su integrative, allegare la copia della dichiarazione integrativa presentata e delle ricevute di invio è fondamentale per provare cosa è stato dichiarato.

Ricordiamo che dal luglio 2023 il processo tributario consente anche la prova testimoniale scritta in alcuni casi, e la digitalizzazione del processo (Processo Tributario Telematico) è ormai la norma: il deposito degli atti avviene telematicamente tramite il Portale Giustizia Tributaria. Quindi il difensore dovrà predisporre il PDF del ricorso firmato digitalmente e caricarlo, ecc.

Strategie difensive e giurisprudenza favorevole

Nel merito della difesa, alcune strategie argomentative utili in casi di omissioni e integrative includono:

  • Principio di emendabilità delle dichiarazioni: invocare quella giurisprudenza di Cassazione secondo cui il contribuente può sempre correggere errori a suo danno, anche in sede contenziosa, oltre i termini amministrativi . Questo è fondamentale se, ad esempio, l’integrativa a favore è stata presentata tardi e l’ufficio nega un rimborso: si può sostenere in giudizio il diritto al rimborso appellandosi al fatto che la dichiarazione (atto “di scienza”) può essere emendata per rispettare la capacità contributiva, come affermato da Cass. SU 13378/2016 e successive . Nel nostro contesto, se l’Agenzia rifiuta un credito emergente da integrativa tardiva dicendo “dichiarazione inesistente”, citiamo Cass. 18715/2025 e analoghe, che dicono il contrario.
  • Sui termini di accertamento: se l’atto arriva fuori tempo per certe componenti, evidenziare la presentazione dell’integrativa e applicare la regola del termine spostato solo per elementi integrati . Ad esempio: “L’avviso notifica nel 2029 pretese su voci non modificate dall’integrativa presentata nel 2024 per l’anno d’imposta 2018: ciò è tardivo, poiché per gli elementi non integrati la decadenza restava al 31/12/2023.” Si può citare la L. 190/2014 e magari Cass. 2735/2022 .
  • Contestare la sussistenza dell’omissione: a volte l’ufficio può aver considerato “omessa” una dichiarazione integrativa per un cavillo. Ad esempio, se un contribuente inviò via PEC una integrativa, e l’ufficio dice “non vale perché non su canale Entratel ufficiale”, si può sostenere la validità dell’invio o comunque che l’ufficio era a conoscenza dei dati. Oppure se contestano che l’integrativa a favore non sarebbe ammissibile dopo un certo termine (tesi superata dal 2016), si porta la norma aggiornata e la prassi che la consente .
  • Prova dei fatti: sul piano probatorio, il contribuente deve controbattere alle presunzioni dell’ufficio. Ad esempio, se l’ufficio ha ricostruito ricavi non dichiarati in integrativa sulla base di movimenti bancari, il contribuente dovrà fornire prova che quei movimenti non erano redditi (magari erano finanziamenti soci, ricavi già tassati altrove, ecc.). In giudizio è possibile produrre documenti, perizie, e dal 2023 anche far testimoniare terzi (in forma scritta e solo su richiesta congiunta delle parti o per fatti eccezionali). Usare la testimonianza non è ancora prassi comune, ma potrebbe essere utile in casi ad esempio in cui un terzo attesti che una certa somma sul conto era un prestito, non un ricavo di vendita.
  • Aspetti penali e cautelari: se pende parallelo un procedimento penale (ad esempio per infedele dichiarazione), segnalare al giudice tributario se vi sono esiti di esso (a volte l’assoluzione penale può aiutare nel tributario, pur con le differenze di standard probatorio). Non è raro chiedere di attendere l’esito penale, ma di norma i due procedimenti viaggiano separati.
  • Equità sulle sanzioni: se proprio la violazione c’è stata, puntare almeno a ridurre le sanzioni. Il giudice tributario oggi può rideterminare le sanzioni entro il range minimo/massimo se ritiene vi siano circostanze meritevoli (prima c’era il divieto del “reformatio in peius” e poca possibilità di intervento, ora con le nuove norme e principi di proporzionalità c’è un certo spazio). Ad esempio si può invocare l’art. 7 D.Lgs. 472/97 sulla riduzione per collaborazione fattiva, o l’art. 6 comma 3 (errore in buona fede su norma poi chiarita). Nel caso di Quadro RW, magari evidenziare che l’ufficio ha applicato il 15% massimo senza motivare perché non il minimo del 3%, e chiedere al giudice di ridurre almeno al minimo edittale (specialmente se il contribuente ha poi aderito e pagato subito).

Esempio di memoria difensiva (fase pre-accertamento o in adesione)

Prima di concludere questa sezione, forniamo un esempio di memoria difensiva che il contribuente (o il suo avvocato) potrebbe presentare prima che l’accertamento venga emesso, ad esempio dopo un Processo Verbale di Constatazione della Guardia di Finanza, esercitando il diritto di osservazioni (art. 12, c.7 Statuto):

Oggetto: Osservazioni al PVC n. 123/2025 della Guardia di Finanza – Società Beta Srl

Egregio Ufficio,

la scrivente Beta Srl, in persona del legale rappresentante, intende formulare le seguenti osservazioni in merito al Processo Verbale di Constatazione del 30/06/2025, notificato il 15/07/2025, relativo al periodo d’imposta 2022.

1. Integrale versamento delle imposte ravvisate come dovute. In via preliminare si evidenzia che la Società, ancor prima di ricevere il PVC, aveva provveduto a presentare Dichiarazione integrativa per l’anno 2022 (in data 20/06/2025, protocollo telematico … allegato) includendo i ricavi contabilizzati erroneamente nel 2023 ma di competenza 2022 (Euro 100.000) e versando in data 28/06/2025 l’importo di Euro 27.500 tra IRES e IVA, come da modelli F24 (All. 2). Tale comportamento collaborativo e tempestivo rientra nell’ambito del ravvedimento operoso ex art. 13 D.Lgs. 472/97, e ha comportato il pagamento anche della sanzione ridotta e degli interessi. Si chiede quindi all’Ufficio di tenere conto dell’intervenuta regolarizzazione spontanea, ai sensi anche dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000, che esclude la punibilità per eventuali violazioni penali e rende comunque non più attuale la pretesa impositiva per le imposte già versate.

2. Deducibilità dei costi contestati come indeducibili. Il PVC, par. 4, contesta l’indebita deduzione di costi per “consulenze estere” da ritenersi prive di inerenza. Al riguardo, si allegano i contratti e la documentazione (All. 3) attestanti la reale prestazione di servizi di marketing internazionale da parte della società UK XYZ Ltd, con la quale Beta Srl ha avuto rapporti nel 2022. Tali documenti erano già in possesso dei verbalizzanti, che tuttavia paiono non averli adeguatamente valutati. Si sottolinea che i pagamenti esteri sono avvenuti tramite bonifico bancario regolare (All. 4) e soggetti a ritenuta alla fonte, come evidenziato. Pertanto i costi sono genuini e inerenti all’attività (espansione su mercati esteri) e la loro deduzione va riconosciuta integralmente. In difetto, l’accertamento risulterebbe in contrasto con l’art. 109 TUIR e la consolidata giurisprudenza di legittimità sull’inerenza economica delle spese.

3. Quadro RW – non applicabilità delle sanzioni. In merito all’omessa compilazione del quadro RW per il conto corrente in Germania (saldo €10.000), si fa presente che tale omissione è dovuta a obiettiva incertezza interpretativa, poiché il conto era cointestato con persona non residente e il saldo pro-quota non superava la soglia di esenzione di €15.000 (saldo max €10.000 < €15.000). Come da istruzioni ministeriali, in casi simili vi è dubbio se sussista obbligo dichiarativo. La Società, per scrupolo, ha già provveduto a dichiarare tale attività nel Quadro RW 2023. Si chiede quindi la non applicazione di sanzioni RW, in virtù dell’art. 6 co.2 D.Lgs. 472/97 (incertezza normativa). In subordine, si chiede l’applicazione della misura minima della sanzione (3%), considerata la modestia dell’importo e l’assenza di qualsiasi intento evasivo (nessun reddito sottratto a tassazione, trattandosi di giacenza infruttifera).

Conclusione: Alla luce di quanto esposto, si confida che codesto Ufficio voglia archiviare parzialmente il procedimento accertativo, limitandolo eventualmente ai soli aspetti non già regolarizzati, e riconoscendo le deduzioni documentate. Restando a disposizione per eventuale contraddittorio, si porgono distinti saluti.

(Firma del legale rappresentante o del difensore)

Questa memoria, pur simulata, mostra come si possano impostare le difese: evidenziando ravvedimenti fatti (per mitigare sanzioni e reati), controbattendo punto per punto con prove, e chiedendo clemenza su sanzioni se ci sono margini.

Se l’Ufficio ignora tali osservazioni e procede comunque, almeno saranno servite a preparare il terreno per il ricorso: il contribuente avrà già chiara la propria linea difensiva e potrà dire al giudice di aver segnalato tutto all’AdE, la quale ingiustamente non ne ha tenuto conto.

Esito del giudizio e gradi successivi

In primo grado, la Corte Tributaria emetterà una sentenza: potrà annullare in toto l’atto (accogliendo il ricorso), oppure confermarlo (rigetto), oppure accoglierlo parzialmente (ad esempio togliendo sanzioni o riducendo imponibile). Dal 2023 le sentenze non completamente favorevoli al contribuente (quindi rigetto totale o parziale) non comportano più il raddoppio del contributo unificato in appello, il che è un piccolo sollievo.

Si può appellare in secondo grado (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, ex CTR) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. L’appello rivede il merito, ma dal 2023 c’è la figura del giudice monocratico per appelli di valore sotto €3.000 e per quelli su sola materia di sanzioni sotto €50.000, con procedimento semplificato.

Infine, c’è il ricorso per Cassazione per soli motivi di diritto.

È fuori dallo scopo entrare nei dettagli di appello e Cassazione, ma è bene essere consapevoli che la giurisprudenza citata in questa guida proviene spesso dalla Cassazione, ultimo grado di legittimità, che ha fissato principi che le corti di merito dovrebbero seguire. Ad esempio, se portiamo davanti al giudice la questione del termine di accertamento dopo integrativa, menzioneremo Cass. 2735/2022 e Cass. 8282/2025 (ordinanza del marzo 2025 che ripete il concetto di decorrenza termini dall’integrativa ). Allo stesso modo, se litighiamo su Quadro RW diremo che Cass. 28077/2024 ha chiarito che è sostanziale , e così via, in modo da orientare il giudice verso la tesi già avallata dalla Suprema Corte.

Profili penali delle omissioni dichiarative

Il tema non sarebbe completo senza affrontare i profili penali connessi alle omissioni o falsità nelle dichiarazioni fiscali. Dal punto di vista del contribuente-debitore, è cruciale sapere quando un errore o omissione può sfociare in un procedimento penale e come eventualmente evitarlo o difendersi. Le situazioni penalmente rilevanti nel nostro contesto sono principalmente tre:

  • Dichiarazione fraudolenta (art. 2 e 3 D.Lgs. 74/2000): riguarda condotte dolose e artificiose, come l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti o altri artifizi per frodare il fisco (art. 2), ovvero l’alterazione contabile con mezzi fraudolenti (art. 3). Queste ipotesi esulano un po’ dal caso “dichiarazione integrativa”, perché chi presenta una integrativa di solito sta correggendo errori, non creando fraudolenze. Tuttavia, si pensi a chi presenta un’integrativa fittizia per ottenere un rimborso: se includesse elementi falsi, potrebbe configurarsi una frode. In generale, i reati fraudolenti non hanno soglie minime di punibilità (per l’art. 2 basta usare fatture false indipendentemente dall’importo, per l’art. 3 vi è una soglia di €30.000 di imposta evasa e 5% del volume o €1.5M di elementi attivi sottratti, stando alle modifiche attuali). Le pene vanno dalla reclusione 4 a 8 anni (art. 2) e 3 a 8 anni (art. 3), incrementate dalla riforma 2019. È bene sapere che anche in caso di ravvedimento con pagamento, per la dichiarazione fraudolenta inizialmente non c’era causa di non punibilità, ma dal 2019 è stata estesa (discutibilmente) la possibilità di estinguere anche i reati di cui agli artt. 2 e 3 pagando interamente il debito . Dunque oggi, se uno emette fatture false ma poi paga tutte le imposte evase prima che parta la verifica, teoricamente potrebbe non essere punibile penalmente (questo è stato oggetto di dibattito dottrinale, ma la norma lo enuncia per art. 2 e 3, oltre che 4 e 5, come da D.L. 124/2019).
  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): è il reato più tipico nel caso di omissioni in dichiarazione. Scatta quando l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare degli elementi sottratti all’imposizione (redditi non dichiarati, detrazioni non spettanti, ecc.) supera il 10% del totale degli elementi dichiarati o comunque €2.000.000. Ad esempio, se dichiaro €30.000 di reddito ma in realtà erano €300.000, ho omesso €270.000; se l’imposta evasa supera 100k (plausibile in questo esempio) e l’omesso è >10% del dichiarato (sì, è di gran lunga) e >2M? (no, 270k < 2M, quindi soglia 10% è il discriminante). Le soglie devono entrambe ricorrere: ossia imposta >100k e (elementi omessi >10% dich. oppure >2M). La pena è reclusione da 2 a 4.5 anni (dopo aumenti 2015). È un reato di pericolo presunto, non serve il dolo specifico di frode, basta la volontà di evadere. Molte situazioni di integrativa parziale potrebbero rientrare in infedele se le cifre sono alte: es., un contribuente dichiara 0 reddito e ne aveva 5 milioni all’estero – anche se poi fa integrativa, se scoperto dopo può essere incriminato. Come difendersi: qui gioca molto l’art. 13 comma 1, che dice che se prima di accertamenti pago tutto, il reato non è punibile . Quindi, come già evidenziato, il ravvedimento tempestivo salva dal penale infedele. Se invece si è oltre, resta la possibilità dell’art. 13 comma 2: se pago tutto il dovuto dopo la formale conoscenza di accertamento ma entro il dibattimento di primo grado, ciò costituisce un attenuante che può ridurre la pena fino alla metà e, per dichiarazione infedele e omessa, consente al giudice di anche sostituire la pena con una sanzione amministrativa (il che in pratica evita il carcere). Quindi anche in ritardo conviene sistemare le pendenze.
  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta se non si presenta affatto la dichiarazione entro il termine dell’anno successivo (oltre, è omessa anche per il penale) e l’imposta evasa supera €50.000. Pena 2 a 5 anni di reclusione. Se uno presenta una dichiarazione tardiva entro il termine dell’anno successivo e paga il dovuto, in genere non si procede per omessa (perché la norma dice “fuori dai casi di cui all’art. 4”, e c’è giurisprudenza che se presenti entro il termine dell’anno seguente non c’è reato). In ogni caso, anche per omessa vale la causa di non punibilità per pagamento integrale ex art. 13 (che testualmente include art. 5). Dunque, se integrativa e pagamento arrivano prima di controlli, niente reato; se dopo, art. 13 co.2 attenua la pena.
  • Altri reati correlati:
  • Omesso versamento di IVA o ritenute (artt. 10-bis e 10-ter): non direttamente legati a cosa si dichiara, ma al non pagare quanto dichiarato. Non riguardano l’integrativa se non nel caso in cui uno in integrativa palesa un debito IVA e poi non lo paga. Art. 10-ter punisce omesso versamento IVA > €250k entro il termine per l’acconto dell’anno successivo. Se la tua integrativa a sfavore fa emergere un’IVA di 300k e non la paghi entro il 27/12 dell’anno dopo, potresti avere questo reato. Ma se l’hai evidenziata volontariamente è contraddittorio non pagarla… Comunque, su questi reati non c’è causa di non punibilità integrale (pagare dopo riduce pena ma non estingue). Non approfondiamo oltre perché esula un po’.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art. 11): citato sopra in contesto RW, punisce chi pone in essere atti simulati o fraudolenti sui propri beni per evitare il pagamento di imposte già accertate (es. vendo tutti i miei immobili a parenti per non farmeli pignorare). Non c’entra con la dichiarazione in sé, ma se dopo un avviso uno sposta i beni all’estero potrebbe incorrervi. Cassazione ha detto che il semplice trasferimento all’estero di soldi non dichiarati non integra art. 11, se non c’è un debito erariale scaduto e manovre per non pagarlo .

Punto di vista del contribuente: la cosa più importante è agire in modo da evitare di arrivare al penale. Come? Lo ripetiamo: ravvedersi e pagare prima che l’illecito sia scoperto. La normativa attuale è abbastanza favorevole in questo: vuole incentivare il pagamento spontaneo. Anche a procedimento penale avviato, dimostrare pentimento attivo pagando il dovuto aiuta enormemente (attenuanti, in alcuni casi causa di non punibilità come detto). Certo, se c’è frode con false fatture di mezzo, la situazione è più complessa, ma in quelle situazioni di solito non c’è neppure la volontà di ravvedersi se non dopo essere scoperti.

In sede di processo penale per dichiarazione infedele/omessa, la difesa potrebbe consistere nel contestare l’entità dell’evasione (portandola sotto soglia) o la consapevolezza dell’errore (ad esempio errore del commercialista, mancanza di dolo). Non di rado i procedimenti penali per infedele si concludono con proscioglimenti perché non c’è dolo specifico provato (il dolo richiesto è generico di evasione, ma serve pur sempre dimostrare che l’imputato sapeva di evadere oltre soglia e ha accettato ciò). Un’integrativa presentata, anche se tardiva, può essere usata in un processo penale come prova di buona fede o pentimento. Ad esempio: Tizio non dichiara €120k di reddito (supera soglia €100k imposta evasa? dipende dall’aliquota, ma supponiamo sì). Prima di essere indagato, fa integrativa e paga €30k di tasse. Art. 13 lo salva penalmente: il procedimento dovrà essere archiviato per non punibilità sopravvenuta. Se Tizio facesse integrativa dopo essere stato scoperto, però, potrebbe dire al giudice: “Ho pagato tutto, quindi merito le attenuanti”. E con le attenuanti, magari ottiene la condizionale o la multa al posto della detenzione.

Va detto che sebbene la legge consenta addirittura la non punibilità dei reati fraudolenti pagando, nella prassi è rarissimo che accada, perché chi usa fatture false di norma non si autodenuncia poi ravvedendosi. Ma tecnicamente se uno lo facesse, eviterebbe il carcere (certo resterebbero le sanzioni amministrative e gli effetti civili). La logica del legislatore recente è: l’obiettivo primo è incassare le imposte, e se il contribuente paga spontaneamente tutto, allora non serve punirlo penalmente, salvo nei casi più gravi di frode reiterata (dove comunque spesso c’è già un’attività investigativa in corso prima che il pagamento possa avvenire).

Conclusione sezione penale: dal punto di vista del contribuente, la difesa migliore è prevenire: verificare sempre se eventuali omissioni significative potrebbero sfociare in reato e, in tal caso, intervenire immediatamente con integrativa e versamenti. In caso di contestazione penale già in atto, affidarsi a un legale penalista tributario esperto, coordinando la strategia tra contenzioso tributario (per l’aspetto economico) e penale (per l’aspetto personale). Tenere presente che l’esito del processo tributario non vincola quello penale (principio di separazione, anche se qualche comunicazione tra i due ambiti esiste – es., se al penale viene accertato definitivamente che un fatto non sussiste, in teoria quell’accertamento dovrebbe avere peso anche nel tributario e viceversa per le questioni pregiudiziali). In pratica, però, un giudice penale attenderà spesso l’esito del contenzioso tributario, soprattutto se c’è una questione se il reddito fosse tassabile o no.

Focus specifici

Dopo aver visto in generale la materia, passiamo a tre focus tematici promessi: uno sulle imposte dirette, uno sull’IVA e uno sul Quadro RW, per evidenziare particolarità e simulare situazioni tipiche in ciascun ambito, con consigli mirati.

Focus Imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP)

Omissioni tipiche e come vengono scoperte: Nel campo delle imposte dirette, le omissioni in dichiarazione (anche dopo integrativa) riguardano spesso: – Redditi di lavoro autonomo o d’impresa non dichiarati: p.es. compensi in nero, ricavi non fatturati. L’Agenzia può scoprirli con controlli incrociati (spesometro, e-fattura confrontando acquisti di altri vs vendite nostre, dati corrispettivi, ecc.) o con analisi finanziarie (movimenti bancari non giustificati). Anche il cosiddetto redditometro (spesa per incrementi patrimoniali vs reddito dichiarato) può far emergere incongruenze, sebbene il suo utilizzo sia attualmente meno aggressivo e vincolato al contraddittorio. – Redditi di capitale o esteri non dichiarati: es. dividendi percepiti su conti esteri, canoni di locazione esteri, plusvalenze da vendita di crypto o immobili esteri, ecc. Spesso connessi a Quadro RW non compilato. – Componenti negativi indebiti: deduzioni/detrazioni non spettanti (spese fittizie, familiari a carico inesistenti, ecc.), che se integrati tardivamente per regolarizzare comportano l’emersione di maggior imposta. – IRAP: l’omissione tipica è non dichiarare la base IRAP, o errarne il calcolo. L’IRAP è accertata di solito insieme a IRES/IRPEF.

Difesa specifica nelle imposte dirette: Qui la lotta è spesso sulle prove. Se contestano ricavi non dichiarati, il contribuente deve provare che quei flussi erano esenti o già tassati. Un classico esempio: accrediti su conto corrente. La legge (art. 32 DPR 600/73) presume che ogni accredito su c/c di imprenditore o professionista sia un ricavo tassabile se non provi il contrario. Quindi, in un contenzioso, se l’AdE porta estratti conto con versamenti per €200k e tu li avevi omessi, devi spiegare voce per voce. Magari €50k erano un finanziamento soci (documenta con atto/delibera), €20k rimborsi spese anticipate (mostra fatture), €30k prestito ricevuto da un parente (mostra contratto e movimento speculare dall’altro lato), ecc. Quel che resta senza giustificazione convincente verrà tassato. Il contribuente deve essere proattivo nel fornire prove, perché a distanza di anni la memoria svanisce e l’onere della prova, sebbene formalmente dell’Agenzia (deve provare l’evasione), di fatto si sposta sul contribuente che conosce la sua situazione.

Giurisprudenza favorevole: Esistono sentenze che aiutano il contribuente onesto. Ad es., Cassazione ha affermato che prelevamenti bancari non giustificati non possono più essere considerati ricavi salvo per i soggetti obbligati a tenuta scritture (imprenditori), mentre per i professionisti la presunzione ora vale solo per accrediti e non per prelievi (Corte Cost. 228/2014). Altra giurisprudenza: se l’Agenzia rifiuta deduzioni per costi ritenuti “antieconomici”, il contribuente può difendersi invocando la libertà d’impresa: solo l’antieconomicità macroscopica e ingiustificata può far presumere un costo fittizio. Oppure, se l’integrativa riguardava un errore di competenza (spostare redditi da un anno all’altro), la Cassazione (SU 13378/2016) consente di sistemare l’errore in giudizio, come visto .

Simulazione pratica – Caso IRPEF: Mario è un professionista che nel 2022 ha dimenticato di inserire €20.000 di compensi occasionali nella dichiarazione, presentando un integrativa nel 2024 solo dopo aver ricevuto un controllo formale. L’Agenzia però gli contesta anche €5.000 di interessi bancari esteri non dichiarati (dei quali Mario non s’era accorto). Mario in ricorso potrebbe: – ammettere il compenso di €20.000 (ormai pagato con ravvedimento) chiedendo di non applicare ulteriori sanzioni (essendo integrato spontaneamente prima dell’accertamento? se però la integrativa l’ha fatta dopo il controllo avviato, su questo la Cassazione 32109/2024 non lo avvantaggia – integrativa tardiva post contestazione è inefficace come scudo sanzioni). – sul fronte interessi esteri €5.000: fornire la prova che magari su quei €5.000 è già stata applicata ritenuta estera a titolo definitivo (e quindi in Italia non erano tassabili se non per eventuale eccedenza). Se può provarlo con documenti bancari e convenzioni, può far annullare quella parte. – contestare eventualmente la sanzione infedele su €5.000: essendo l’imposta evasa modesta, forse convincere l’ufficio a ridurre a minimo o il giudice a disapplicare per buona fede (se c’erano dubbi normativi sul doverli dichiarare, ad es. se erano depositi non produttivi di reddito).

Simulazione pratica – Caso IRES: La società Gamma SpA ha presentato integrativa IRES 2021 nel 2023 aggiungendo €100.000 di ricavi non contabilizzati e pagando le imposte. Nel 2025, l’AdE fa un controllo e trova che in realtà i ricavi nascosti erano €150.000. Inoltre scopre che Gamma non aveva dichiarato una plusvalenza da cessione macchinario per €50.000. L’accertamento chiede imposte su ulteriori €100k (50 di ricavi in più non integrati e 50 plusvalenza) + sanzioni. In ricorso, Gamma può: – Riconoscere i €50k di ricavi ulteriori ma chiedere sanzioni attenuate perché comunque aveva iniziato a ravvedersi mostrando collaborazione (questo magari non evita la sanzione ma potrebbe spingere il giudice a minimo 90%). – Sul punto della plusvalenza €50k, magari contestare la tassabilità: forse era soggetta a regime di sospensione o era un bene ceduto intra-gruppo con neutralità? Se trova appiglio normativo, lo solleva. – Far leva su eventuali errori procedurali: l’accertamento arrivato a fine 2025 su anno 2021 integrato nel 2023 è ok per i €50k ricavi integrati nel 2023 (termine 2028) ma per i €50k plusvalenza (se era già nota o dichiarata in origine come esente e ora la riqualificano) sarebbe 2026. Se l’avviso è oltre 2026 potrebbe eccepire decadenza parziale.

Focus IVA

L’IVA, pur essendo collegata alle imposte dirette (spesso gli stessi fatti generano effetti su reddito e IVA), merita una trattazione specifica.

Omissioni IVA tipiche: – Vendite non fatturate o corrispettivi non registrati: comportano IVA non dichiarata e non versata. – IVA a credito non spettante: ad es. indebita detrazione di IVA su fatture non inerenti o inesistenti (questo sconfina nella frode se voluto). – Operazioni estere non dichiarate: omessa dichiarazione di operazioni intracomunitarie (che emergono poi da VIES) o di vendite online (ora monitorate da esterometro, ecc.). – Dichiarazione IVA omessa: se non si invia la dichiarazione annuale IVA. Anche se i debiti IVA risultano dai periodici, l’omissione dell’annuale è sanzionata e può complicare la detrazione corretta nelle liquidazioni.

Strumenti di controllo per IVA: – L’Agenzia ha incroci immediati con il sistema SdI (Sistema di Interscambio delle fatture elettroniche). Ogni fattura emessa o ricevuta è nei database: se un contribuente non la include in dichiarazione (o Lipe trimestrali), scattano allerte automatiche. Per esempio, se emetto fattura da 10.000€ + IVA ma non verso quell’IVA né la dichiaro, l’Agenzia lo vedrà. – Liquidazioni periodiche (Lipe) e esterometro: il mancato invio di queste comunicazioni già segnala irregolarità. – Indagini finanziarie e confronto con acquisti di clienti: se X vende senza fattura a Y, e Y viene controllato (magari perché ha costi elevati), l’assenza di fattura nel SdI fa emergere sospetti. – Verifiche mirate: settori a rischio (commercio al dettaglio, edilizia, ecc.) sono oggetto di verifiche in loco (anche verifiche di cassa, etc.). Se trovano vendite in nero, scatta il recupero IVA.

Difesa in ambito IVA: – Spesso il contribuente potrebbe contestare la qualifica di certe operazioni: es. l’Agenzia dice “questo incasso è vendita con IVA evasa”, il contribuente dice “no, è un finanziamento soci, fuori campo IVA”. Oppure “questa prestazione era esente/art. 10, non imponibile” e l’ufficio invece l’ha tassata. – Se l’omissione è vera (non ho dichiarato quell’IVA), magari l’unica difesa è sul calcolo: ad esempio, se ho incassato €10.000 senza fattura, l’AdE talvolta calcola l’IVA a ritroso (10k considerandoli già comprensivi d’IVA, quindi imponibile €8196 e IVA €1804) se si dimostra che il prezzo convenuto era lordo. Quindi dire “il prezzo era finale, includeva l’IVA non scorporata” può ridurre l’imponibile accertato. – Sanzioni IVA: Omessa fatturazione/dichiarazione comporta sia la sanzione infedele del 90-180% imposta evasa, sia quella accessoria: la chiusura dell’esercizio da 3 giorni a 1 mese se l’evaso supera certe soglie (ma questa è in mano all’Ufficio comminarla, raramente applicata se non in casi gravi). Una difesa può puntare a evitare provvedimenti accessori dimostrando che l’evasione non supera le soglie di abitualità. – Frodi carosello: se l’Agenzia contesta frode IVA (es. fatture soggettivamente inesistenti, società cartiere), in giudizio è molto complesso – rientriamo nel penale art. 2 – serve provare la buona fede, che il contribuente ignorava la frode e ha fatto acquisti reali. Questo va oltre l’integrativa, che in tali casi non salva, perché non integreresti mai se usi fatture false.

Simulazione pratica – Caso IVA: La ditta individuale Delta nel 2024 presenta un’integrativa IVA 2023 aggiungendo vendite per €50.000 che erano state incassate senza scontrino. Paga l’IVA dovuta con ravvedimento (sanzione 1/6 del 90%, essendo oltre l’anno ma prima di accertamento). Nel 2025, un controllo incrociato con le fatture dei fornitori di Delta mostra acquisti di materie prime per €80.000, ma Delta ha dichiarato vendite totali (dopo integrativa) di €100.000. L’Agenzia sospetta che Delta abbia ancora vendite in nero perché il ricarico (20k su 80k costi) pare basso rispetto al settore. Emana un accertamento induttivo stimando vendite per €120.000 totali. Delta in giudizio può: – contestare il metodo induttivo: portare evidenze che parte degli acquisti erano per prodotti invenduti a magazzino al 31/12 (quindi non tutte le materie prime si sono tradotte in vendite), giustificando il ricarico basso. – evidenziare di essersi in parte ravveduto già, segno di collaborazione, e chiedere almeno la non applicazione di aggravanti o il riconoscimento del ravvedimento per ridurre le sanzioni (se l’ufficio gli ha negato la riduzione sul ravvedimento tardivo riguardo la quota integrata). – se l’accertamento è analitico-induttivo, cercare vizi formali (magari omissione contraddittorio se IVA, che è obbligatorio: il DL 119/2018 art. 4 ha previsto dal 2018 l’obbligo di invitare al contraddittorio prima di accertamenti IVA, pena nullità salvo urgenza). Se nel caso non hanno inviato invito, eccepire nullità seguendo Cass. a Sezioni Unite n. 24823/2015 che in ambito imposte armonizzate riteneva il contraddittorio obbligatorio.

Focus: In IVA, più che altrove, prevenire è meglio: chi ha omesso IVA conviene che integri e paghi presto, perché l’IVA non pagata è anche reato (omesso versamento IVA > €250k) se dichiarata ma non versata, o frode se non dichiarata con artifici. Inoltre l’UE preme per recuperare ogni euro.

Focus Quadro RW (Monitoraggio estero)

Abbiamo già trattato normativa e sanzioni RW in dettaglio, qui facciamo un focus operativo: – Casi tipici di omissione RW: conti correnti esteri, case all’estero, partecipazioni in società estere, criptovalute su exchange esteri, polizze estere. Molti contribuenti ignorano di doverle dichiarare. Quindi riceviamo spesso domande: “ho ereditato un conto in Svizzera, mai dichiarato, e ora?” Oppure “ho comprato Bitcoin su Coinbase, devo mettere in RW?” – Come scopre il Fisco?: oggi c’è lo scambio automatico di informazioni (CRS – Common Reporting Standard, e accordi FATCA). Banche estere comunicano saldi e intestatari all’Agenzia delle Entrate. Già dal 2018 in poi l’AdE riceve milioni di record: se trova codice fiscale italiano con conto non dichiarato, e importo sopra soglie, può far partire lettera di compliance o accertamento. – Difesa in caso di omesso RW contestato: – Spesso l’ufficio notifica direttamente un “Atto di contestazione sanzioni” con sanzione 15% su saldi esteri. In sede difensiva, come detto, argomenti possibili: sproporzione (ma Cass. 2024 ha detto no), formale vs sostanziale (no, è sostanziale) – quindi poche scappatoie sull’an della violazione. – Ci si concentra sul quantum: assicurarsi che l’importo della sanzione sia calcolato correttamente. Ad esempio, se avevo €10.000 costanti ogni anno per 3 anni e non ho dichiarato, l’ufficio magari ha applicato 15% per ciascun anno = 45%. Ma con il cumulo giuridico dovrebbe fare 15% + aumento. Cass. 2023 dice aumento fino al doppio/triplo, però l’ufficio a volte sbaglia e cumula male. Oppure se il paese nel frattempo è diventato collaborativo in certi anni: es. un conto a Monaco, nel 2016 Monaco non era scambiante, nel 2018 poi ha firmato accordi – se quell’anno la sanzione era 6-30% per 2016, ma per 2018 forse 3-15%. Vedere normative e contestare eventuale applicazione dell’aliquota più alta se non dovuta. – Non duplicazione con infedele: se oltre al RW contestano anche la mancata dichiarazione di redditi prodotti da quell’attività (es. interessi sul conto), attenzione che non applichino sia 90-180% sull’IRPEF evasa sugli interessi che il 15% sul capitale. Legittimamente, potrebbero applicare entrambi (sono diversi), ma cercare di negoziare in adesione su uno dei due forse conviene (spesso in adesione riducono RW se paghi tasse sui redditi). – Voluntary disclosure?: le VD 1 e 2 (2015 e 2017) erano opportunità di sanare pagando ridotto. Ora non sono più aperte. Qualcuno invoca analogia o trattativa simile, ma ufficialmente non c’è. Tuttavia, se uno spontaneamente si autodenuncia di beni esteri e paga, potrebbe cercare di ottenere dall’ufficio l’applicazione del minimo delle sanzioni RW in virtù della collaborazione (anche se ravvedimento oltre 90gg formalmente è 1/6 di 15% = 2.5%, possibile se integra prima di essere pescato). – In giudizio, un argomento potrebbe essere l’applicazione del cumulo giuridico se l’ufficio non l’ha fatto: Cass. 11849/2023 va citata .

Simulazione – Caso RW: Il sig. Rossi ha dal 2018 un conto in Svizzera, saldo medio €100.000, mai dichiarato. Nel 2024 riceve un avviso sanzioni: 2018-2019-2020-2021, sanzione proposta 15% annuo = €15k x 4 = €60k. Rossi ricorre: – Sostiene che doveva applicarsi il cumulo: 15% + aumenti, non somma: col cumulo, violazione più grave = 15%, aumentiamo di, ad es., 50% (due anni in più) = 22.5% invece di 60%. Già questo abbatterebbe a €22.5k la sanzione. – Chiede minimo 3% anziché 15%, se può dimostrare che nel frattempo la Svizzera nel 2020 ha iniziato a trasmettere i dati, quindi cooperativa (in realtà Svizzera scambia dal 2018 dati, quindi considerata cooperativa, ergo la sanzione doveva essere 3% non 15%. Questo è un punto: la norma dice 6-30% se Paese black list. Svizzera dal 2017 ha accordi, quindi è whitelisted. L’ufficio spesso sbaglia su questo!). Rossi porta la lista paesi cooperativi. – Rossi evidenzia inoltre che su quel conto gli interessi erano già tassati alla fonte in Svizzera (35% di imposta elvetica definitiva, con possibilità di credito). Anche se ciò non toglie l’obbligo RW, segnala la sua buona fede di aver pagato delle tasse su quei fondi. Un giudice clemente magari riduce per equità al minimo 3% anche se l’ufficio aveva messo 15%. – Se nel frattempo Rossi a gennaio 2024 ha fatto integrativa RW per il 2022 dichiarando finalmente il conto, può dire: “ho iniziato a regolarizzare spontaneamente” per mostrarsi non totalmente inadempiente.

Cripto e RW: menzione breve: il 2023 ha portato norme che equiparano cripto-attività per RW e tassazione. Quindi oggi chi non dichiara cripto rischia sanzioni RW allo stesso modo (3-15%). E con gli exchange che comunicano (anche quelli esteri in base a MiCA e accordi), tra qualche anno fioccheranno lettere su crypto non dichiarate.

Abbiamo dunque esaminato i focus. È evidente come ogni ambito abbia specificità, ma il filo conduttore è uno: massima trasparenza e proattività del contribuente. Se si è in difetto, cercare di porvi rimedio il prima possibile; se si viene contestati, difendersi con i documenti e la conoscenza delle regole.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “dichiarazione integrativa”?
R: È una dichiarazione fiscale (redditi, IVA, ecc.) presentata dopo la dichiarazione originaria, per correggere errori o omissioni di quest’ultima. Può essere a favore del contribuente (riduce imposte dovute o aumenta crediti) o a sfavore (dichiara imposte in più da pagare). Oggi può essere presentata entro i termini di decadenza dell’accertamento, quindi generalmente entro il quinto anno successivo a quello di riferimento .

D: Qual è la differenza tra dichiarazione integrativa e dichiarazione correttiva nei termini?
R: La “correttiva nei termini” è inviata entro la scadenza ordinaria (es. invio un nuovo modello Redditi entro la stessa data di ottobre, sostituendo il precedente). La integrativa invece è fatta dopo la scadenza, entro i limiti di legge (quinto anno). La correttiva è considerata come se la precedente non esistesse; l’integrativa aggiunge informazioni successivamente.

D: Ho dimenticato di inserire un reddito nella dichiarazione e me ne sono accorto dopo la scadenza. Posso ancora regolarizzare?
R: Sì. Se non hai ricevuto controlli, puoi presentare una dichiarazione integrativa “a sfavore” dichiarando il reddito mancante, e contestualmente versare la maggiore imposta dovuta con ravvedimento operoso (sanzioni ridotte e interessi). Così eviti sanzioni piene e, se fai tutto prima di essere scoperto, eviti anche eventuali problemi penali . Ricorda che prima lo fai (in termini temporali) minore è la sanzione: ad esempio entro 1 anno la sanzione infedele è ridotta a 1/8 (circa 11%) , mentre se aspetti quasi la contestazione, sarà 1/6 (15%) .

D: Dopo quanti anni l’Agenzia non può più farmi accertamenti su un certo anno?
R: Di regola, dopo il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ad esempio, per l’anno d’imposta 2020 (dichiarazione presentata nel 2021) il termine è il 31/12/2026 . Se la dichiarazione era omessa, il termine diventa il 31/12 del settimo anno . Attenzione però: se hai presentato una dichiarazione integrativa, per gli elementi integrati il termine di 5 anni decorre dall’anno di presentazione di quella integrativa . Quindi l’integrativa “tiene aperto” più a lungo solo ciò che modifichi, non l’intera posizione .

D: L’Agenzia delle Entrate mi ha notificato un avviso di accertamento per un anno che avevo già regolarizzato con integrativa. Possono farlo?
R: Dipende. Se l’integrativa copriva solo in parte la situazione, l’Agenzia può accertare gli aspetti non regolarizzati o contestare che la regolarizzazione era errata. Ad esempio, se hai integrato dichiarando 50 di redditi ma in realtà ne avevi omessi 100, possono accertare i restanti 50. Oppure se hai chiesto un rimborso con integrativa a favore oltre certi termini, possono negarlo e accertare che non spettava. Tuttavia, non possono riaprire questioni già coperte dall’integrativa se quella integrativa era valida e completa. Inoltre, come detto, l’accertamento deve essere notificato in tempo: per i dati integrati, entro 5 anni dall’integrativa stessa . Se arrivano oltre, puoi eccepire la decadenza. In più, se pensi che l’accertamento colpisca voci che l’integrativa copriva e l’Agenzia semplicemente le ignora, hai buone possibilità di difesa in giudizio, perché in genere le integrative, se accettate dai sistemi (senza scarto), sono atti validi.

D: Ho ricevuto una lettera di compliance che mi segnala un reddito non dichiarato invitandomi a correggere. Che faccio?
R: In linea generale, conviene aderire all’invito se effettivamente hai omesso qualcosa. Le lettere di compliance non sono formali avvisi, quindi sei ancora in tempo per ravvederti. Puoi presentare una dichiarazione integrativa per l’anno in questione e pagare quanto dovuto con sanzioni ridotte. Rispondi possibilmente entro il termine indicato nella lettera, comunicando di aver provveduto. Così eviterai l’emissione di un avviso vero e proprio. Se invece ritieni che la lettera sia infondata (magari l’Agenzia ha fatto un errore di persona, o quel reddito in realtà non era imponibile), puoi comunicare le tue spiegazioni all’Agenzia (anche tramite CIVIS o PEC) e attendere: se li convinci, non faranno accertamento; se non li convinci, lo faranno e a quel punto potrai impugnarlo.

D: Ho presentato la dichiarazione con 2 mesi di ritardo ma ho pagato tutto, è vero che è considerata “omessa”?
R: Purtroppo sì. La normativa dice che oltre 90 giorni di ritardo la dichiarazione è considerata omessa, anche se conteneva i dati e le imposte dovute . Tuttavia, il fatto di presentarla spontaneamente entro il termine dell’anno successivo e pagare tutto riduce le sanzioni amministrative (60-120% invece di 120-240% dell’imposta) e soprattutto, se hai pagato tutte le imposte, non scatterà il reato di omessa dichiarazione (che richiede anche imposta evasa > €50.000) e in ogni caso l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 ti tutela. Quindi, di fatto hai sanato gli effetti sostanziali, restando però la violazione formale. In commissione tributaria potresti chiedere la disapplicazione totale della sanzione per particolare tenuità o buona fede, ma non è garantito. L’approccio migliore è sempre: se ti accorgi di non aver presentato, fallo entro 90 giorni (così non è considerata omessa ma solo tardiva con sanzione fissa ridotta a €25).

D: Se correggo un errore in dichiarazione a mio favore (cioè che mi fa avere un rimborso) l’anno dopo, posso avere i soldi indietro?
R: Sì, oggi sì, entro certi limiti. Mi spiego: se presenti un’integrativa a favore, puoi scegliere di usare il credito risultante in compensazione su F24 per pagare altre imposte (la via più rapida), oppure chiederlo a rimborso barrando l’apposita casella. L’importante è rispettare il termine di decadenza per i rimborsi, che è di 48 mesi dal pagamento (art. 38 DPR 602/73). La Cassazione (ordinanza 18715/2025) ha confermato che anche se la dichiarazione originaria era omessa, la richiesta di rimborso in una dichiarazione tardiva vale come istanza, purché nei 48 mesi . Quindi, se hai pagato un’imposta non dovuta, hai 4 anni per chiedere rimborso; presentare l’integrativa entro i 5 anni va bene, ma se aspetti troppo rischi che per cassa l’istanza sia tardiva. In pratica: integrativa a favore entro 5 anni ok, ma se vuoi rimborso di importi pagati, presentala il prima possibile e comunque considera i 4 anni dal versamento.

D: Cosa rischio penalmente se ometto di dichiarare redditi?
R: Rischi il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) solo se l’imposta evasa supera €100.000 e gli elementi sottratti all’imposta superano il 10% di quanto dichiarato (o comunque €2 milioni). Se ometti completamente la dichiarazione e dovevi più di €50.000 di imposte, scatta il reato di omessa dichiarazione (art. 5). Le pene vanno da 2 a 5 anni (infedele: 2-4.5, omessa 2-5, dopo modifiche del 2015). Se i redditi omessi derivano da attività fraudolente (fatture false, ecc.), può configurarsi la dichiarazione fraudolenta con pene maggiori. Tuttavia – e questo è fondamentale – se prima di essere scoperto regolarizzi e paghi tutto, la legge prevede la non punibilità per i reati di infedele e omessa (e anche per i fraudolenti, dopo le modifiche 2019) . Quindi, ad esempio, se ti sei dimenticato un reddito grande, ravvediti e paga il dovuto: in caso di controllo penale potrai dimostrare di aver estinto il debito e non verrai punito. Se invece arriva la Guardia di Finanza e trova evasione grossa non regolarizzata, allora partirà la denuncia. In quel caso, pagando dopo, non potrai evitare il reato ma avrai un forte sconto di pena come attenuante.

D: L’omessa compilazione del Quadro RW è reato?
R: No, di per sé no. Non c’è un reato specifico per RW. Attenzione però: se quei capitali esteri non dichiarati hanno prodotto redditi (interessi, dividendi, capital gain) che non hai dichiarato, e se l’imposta evasa su quelli supera le soglie, allora rientrerai nel reato di infedele per quei redditi occultati. Ma la mera detenzione di patrimoni non segnalati non è reato – comporta sanzioni amministrative anche pesanti (fino al 15-30% del valore) ma non il penale . Ci sono stati tentativi di usare la norma penale di “sottrazione fraudolenta” (art. 11) contro chi spostava capitali all’estero, ma la Cassazione ha chiarito che se non c’è un’imposta esigibile e un’attività fraudolenta di distrazione dei beni, non si applica . Dunque, ricevere sanzioni RW non significa essere un criminale: pagherai una multa salata ma niente casellario giudiziale.

D: L’Agenzia Entrate mi contesta sanzioni del 15% annuo per conto estero non dichiarato: posso farle ridurre?
R: Puoi provare. La legge prevede un range 3-15% (o 6-30% in casi gravi), quindi l’ufficio spesso applica il massimo (15%) per dissuadere. In sede di ricorso, evidenziando circostanze (ad es. conto piccolo, magari sempre sotto soglia e solo tecnicamente doveva essere dichiarato) si può chiedere al giudice di ridurre la sanzione verso il minimo, invocando il principio di proporzionalità. La Cassazione ha detto che il 5% su RW non è sproporzionato , dunque figuriamoci il 15%: però ha anche ribadito che è sostanziale la violazione, quindi non illegittimo. Non c’è garanzia, ma se il contribuente dimostra buona fede (es. ignoranza non colpevole, poi sanata) qualche giudice in passato ha annullato o ridotto (prima che la Cassazione diventasse severa). Oggi come oggi, la riduzione è più ottenibile in fase di adesione con l’ufficio: magari concordando il 5% invece del 15% (specie se paghi subito). E ricordati il cumulo giuridico: se sono più anni, devono applicare un’unica sanzione aumentata, non la somma semplice .

D: In caso di avviso di accertamento, è vero che mi conviene pagare subito per avere sconti?
R: Se condividi (totalmente o parzialmente) l’accertamento e vuoi chiudere, ci sono istituti premiali: – Acquiescenza: pagare entro 60 giorni ti dà sanzioni ridotte a 1/3 (invece di 1/2). Solo se non presenti ricorso e accetti tutto. Utile se l’errore c’è ed è inutile litigare, ma magari la sanzione è stata messa al 100% e pagando avresti 1/3 (cioè circa 33%).
– Accertamento con adesione: se trovi un accordo col Fisco, le sanzioni sono 1/3 anch’esse.
– Mediazione: se la lite è sotto 50k e trovi accordo in reclamo, sanzioni 1/3 ridotto del 35% (praticamente paghi il 65% di 1/3, cioè ~21.7%). – Definizione agevolata sanzioni: non confonderti con condoni, intendo dire che in primo grado se perdi e non appelli, puoi avere sanzioni ridotte a 1/3 (vecchia norma art. 15 D.Lgs. 218/97), e in appello se non fai ricorso in Cassazione, sanzioni 1/2. Ma queste sono riflessioni a valle di un giudizio. Insomma, se sei colpevole di omissione e hanno ragione, pagare subito è saggio per risparmiare su sanzioni. Se invece pensi di avere margine di vittoria, ricorrere conviene. Valuta con un esperto la tenuta del tuo caso prima.

D: Ci sono stati di recente condoni o sanatorie su queste materie?
R: Nel 2023 c’è stata la cosiddetta “tregua fiscale” (L. 197/2022) con varie misure: ad esempio il ravvedimento speciale permetteva di ravvedere violazioni dichiarative fino al 2019 pagando sanzioni ridotte 1/18 in 8 rate (scaduto a fine settembre 2023) – una sorta di integrativa agevolata. Poi c’era la definizione delle sole sanzioni formali (200€ ad anno) che però escludeva le violazioni RW (considerate non formali) . Nel 2024 non risultano nuovi condoni su integrative/omissioni, ma è stata prospettata una riforma generale. In ogni caso, non fare affidamento su condoni futuri: se hai situazioni pendenti, meglio agire con gli strumenti ordinari (ravvedimento, ecc.). Le misure straordinarie vanno prese quando ci sono, ma ad agosto 2025 al momento non c’è attivo nulla di specifico se non qualche definizione agevolata per controversie in Cassazione (che è molto di nicchia).

Conclusioni

Affrontare un’accusa dell’Agenzia delle Entrate relativa ad omissioni in una dichiarazione (anche integrativa) richiede una conoscenza approfondita delle norme tributarie sostanziali e procedurali, nonché delle più recenti interpretazioni giurisprudenziali. Dal nostro excursus emerge chiaramente un messaggio: la correttezza e la tempestività premiano. Un contribuente che si rende conto di aver sbagliato e interviene subito, di regola, riuscirà a circoscrivere i danni (sanzioni ridotte, niente penale) e a mantenere la propria posizione gestibile. Viceversa, ignorare le omissioni sperando che non vengano scoperte è una strategia molto rischiosa, data la crescente capacità dell’Amministrazione Finanziaria di incrociare dati (si pensi alle banche dati finanziarie, alle fatture elettroniche, agli scambi internazionali di informazioni). Le dichiarazioni integrative rappresentano un utile paracadute, ma vanno utilizzate correttamente: prima che l’Agenzia accerti e in maniera completa.

Dalla prospettiva del debitore (il contribuente sotto accertamento) abbiamo sottolineato i diritti e le opportunità difensive: lo Statuto del Contribuente garantisce il contraddittorio e una serie di garanzie procedimentali; il processo tributario offre possibilità di far valere ragioni di merito e di equità davanti a un giudice terzo; persino in sede penale esistono spazi per difendersi mostrando l’assenza di dolo o l’avvenuto integrale pagamento del dovuto.

Le sentenze recenti che abbiamo citato rafforzano sia la tutela del contribuente in buona fede (ad esempio Cass. 13408/2024 che ribadisce l’emendabilità delle dichiarazioni per errori, anche oltre i limiti decadenziali, pur di evitare ingiuste pretese ) sia l’impossibilità per il contribuente “furbo” di fare la finta integrativa dopo essere stato scoperto (Cass. 32109/2024 lo definisce un comportamento inammissibile ). Il sistema, insomma, tende a equilibrare incentivi e deterrenti: ti incentivo a collaborare (ravvedimento, non punibilità) ma ti disincentivo dal pensare di poter fare il furbo senza conseguenze (sanzioni salate, ampli poteri di indagine, nessuno sconto se reagisci solo post-verifica).

In conclusione, come difendersi efficacemente? Riassumiamo i punti chiave: – Prevenire è meglio: se hai anche il minimo sentore di aver omesso qualcosa, valuta il ravvedimento operoso immediato. Costa molto meno (sanzione ridotta) e chiude la questione spesso senza nemmeno far scattare l’accertamento. – Documentare tutto: la difesa tributaria è quasi sempre basata su carte. Conserva estratti conto, fatture, contratti, comunicazioni con il Fisco. Saranno le tue prove. – Conoscere le norme: tempi, modi, e opportunità. Sapere, ad esempio, che un integrativa sposta i termini di accertamento solo per i suoi elementi , o che pagando prima eviti il penale , può fare la differenza nelle decisioni strategiche. – Usare i canali di dialogo: non temere di confrontarti con l’Agenzia nelle fasi pre-contenziose. Mostrare collaborazione può risparmiarti un processo; e se anche si finirà in giudizio, potrai dimostrare al giudice di aver tentato ogni soluzione bonaria (atteggiamento che spesso rende il contribuente più credibile). – Farsi assistere da professionisti: la materia, come si è visto, è complessa e cambia. Un commercialista o avvocato tributarista potrà cogliere sfumature che sfuggono e indirizzare al meglio la difesa (o l’adesione, se opportuna). Ad esempio, decidere se una tesi è meglio sostenerla in adesione o direttamente in ricorso richiede esperienza. – Non scoraggiarsi: se la posizione è difendibile, insistere con ricorsi e appelli. La giustizia tributaria italiana sta migliorando in terzietà e specializzazione. Inoltre, abbiamo strumenti come la mediazione e la conciliazione che possono risolvere la lite con compromessi accettabili.

Infine, un consiglio: fare tesoro degli errori. Un contribuente che è dovuto ricorrere a un’integrativa per omissioni passate dovrebbe poi implementare sistemi di controllo interni (o migliorare la comunicazione col proprio consulente fiscale) per evitare di ritrovarsi in situazioni simili per il futuro. La compliance fiscale non è solo un obbligo, ma un investimento in serenità: consente di pianificare il business o le proprie finanze senza l’incubo di accertamenti e liti fiscali. E qualora un errore onesto capiti (perché nessuno è infallibile), sappiamo ora che l’ordinamento ci offre vie d’uscita eque, se agiamo con tempestività e trasparenza.

Fonti: Questa guida ha integrato disposizioni normative (DPR 600/1973, DPR 633/1972, DPR 322/1998, D.Lgs. 471/1997, D.Lgs. 472/1997, D.Lgs. 74/2000, Statuto del Contribuente) con la prassi dell’Agenzia Entrate e soprattutto con la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità. In particolare, si sono citate: Cass. 32109/2024 sul divieto di integrativa post-verifica ; Cass. 13408/2024 sull’emendabilità in giudizio ; Cass. 18715/2025 sulla validità delle dichiarazioni ultratardive ai fini dei rimborsi ; Cass. 4187/2025 sull’assorbimento tra sanzione infedele e omessi versamenti ; Cass. 28077/2024 e 11849/2023 sul Quadro RW (natura sostanziale e continuità) ; Cass. 20649/2025 pen. sull’assenza di reato per omesso RW ; oltre a numerose altre pronunce e circolari menzionate nel testo. Queste fonti autorevoli confermano e chiariscono i principi applicabili, dando solidità alle strategie difensive suggerite; Cassazione civile Sez. Trib. ordinanza n. 8282 del 29 marzo 2025.

In un panorama fiscale in continua evoluzione, restare aggiornati è essenziale: alle soglie della riforma tributaria 2025-2026, alcuni istituti potrebbero cambiare (si discute di revisioni alle soglie penali, di ulteriori semplificazioni nelle dichiarazioni, ecc.). Pertanto, il lettore è incoraggiato a verificare eventuali novità successive ad agosto 2025 e, in caso di dubbio, a consultare un esperto. Conoscere i propri diritti e doveri è il primo passo per trasformare un momento di crisi (un accertamento fiscale) in un’occasione di chiarimento e regolarizzazione, limitando i costi e proteggendo la propria attività o patrimonio.

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestate omissioni nelle dichiarazioni integrative? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Le dichiarazioni integrative consentono di correggere errori o omissioni nelle dichiarazioni originarie. Tuttavia, se non vengono compilate correttamente o se omettono elementi rilevanti, l’Agenzia delle Entrate può contestare infedeltà dichiarativa e avviare un accertamento, con il recupero delle imposte non versate.

👉 Prima regola: verifica se l’omissione riguarda un errore sostanziale (che incide sulle imposte) o un vizio meramente formale.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Mancata indicazione di redditi o compensi nelle integrative;
  • Errori nei crediti d’imposta riportati;
  • Omissione di operazioni IVA (vendite, acquisti, corrispettivi);
  • Incongruenze tra integrativa e dichiarazione originaria;
  • Uso improprio dell’integrativa per compensazioni non dovute.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte non versate;
  • Sanzioni dal 90% al 180% delle somme non dichiarate;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di procedimento penale in caso di dichiarazione fraudolenta;
  • Possibili controlli ulteriori sulle annualità collegate.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Tipo di omissione: errore sostanziale o formale?
  • Correttezza dei dati riportati nell’integrativa;
  • Prove documentali a supporto di crediti, costi e redditi;
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve specificare gli errori contestati;
  • Rispetto dei termini: l’integrativa era stata presentata nei limiti consentiti?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Copia delle dichiarazioni originarie e integrative;
  • Ricevute telematiche di invio;
  • Documentazione contabile e fiscale di supporto;
  • Estratti conto e quietanze di pagamento;
  • Comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la buona fede e la volontà di correggere errori tramite integrativa;
  • Provare che l’omissione non ha comportato evasione, ma solo un errore formale;
  • Contestare gli errori dell’Agenzia nella ricostruzione dei dati;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, motivazione insufficiente, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se la contestazione è manifestamente infondata;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare o ridurre la pretesa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le dichiarazioni originarie e integrative;
📌 Verifica la reale portata delle omissioni contestate;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione più sicura delle dichiarazioni future.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti su dichiarazioni fiscali e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di contribuenti e imprese contro contestazioni su integrative;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle omissioni nelle dichiarazioni integrative non sempre sono fondate: spesso riguardano errori formali o irregolarità minori.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza della tua posizione fiscale, ridurre sanzioni e interessi ed evitare ulteriori conseguenze.

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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