Contestazioni Su Trust Opachi Utilizzati Per Evasione: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché il trust opaco di cui sei disponente, beneficiario o trustee è stato ritenuto utilizzato per finalità elusive o evasive? In questi casi, l’Ufficio presume che il trust sia stato costituito solo come schermo patrimoniale per sottrarre redditi alla tassazione, con conseguente recupero delle imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: la disciplina dei trust è complessa e offre margini difensivi importanti.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un trust opaco
– Se i redditi prodotti non vengono dichiarati dal trust secondo le regole di tassazione proprie
– Se il trust è considerato interposto e privo di reale autonomia rispetto al disponente
– Se i beneficiari non sono individuati e ciò viene interpretato come mezzo per occultare imponibili
– Se i beni conferiti risultano gestiti come se fossero ancora del disponente
– Se il trust è istituito in Paesi a fiscalità privilegiata o con regole di trasparenza ridotte

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione del trust come interposto, con imputazione dei redditi direttamente al disponente
– Recupero delle imposte sui redditi prodotti dal patrimonio in trust
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile responsabilità penale in caso di operazioni fraudolente di occultamento patrimoniale

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale autonomia giuridica e gestionale del trust
– Produrre l’atto istitutivo, i bilanci e la documentazione contabile che attestano la corretta gestione
– Contestare la presunzione di interposizione se il trust ha finalità patrimoniali legittime (tutela familiare, pianificazione successoria)
– Evidenziare vizi di motivazione o errori procedurali nell’accertamento fiscale
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura del trust e la normativa fiscale applicabile
– Verificare la legittimità della contestazione e i margini di difesa riconosciuti dalla giurisprudenza
– Redigere un ricorso fondato su elementi documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere disponente, trustee o beneficiari davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio segregato e personale da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della validità del trust come istituto giuridico autonomo
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di proteggere il patrimonio conferito al trust da indebite pretese fiscali

⚠️ Attenzione: le contestazioni sui trust opachi spesso hanno implicazioni anche penali. È fondamentale intervenire subito con una difesa tecnica adeguata per evitare che l’accertamento diventi definitivo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, societario e trust – spiega come difendersi in caso di contestazioni su trust opachi ritenuti strumenti di evasione e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

trust sono strumenti giuridici di origine anglosassone che consentono di segregare un patrimonio e destinarlo a specifiche finalità tramite un trustee (gestore) a beneficio di determinati beneficiari. In Italia, sebbene il trust non sia istituto autoctono, è riconosciuto in forza della Convenzione dell’Aja del 1985 (ratificata con L. 364/1989) e ampiamente utilizzato sia per scopi leciti di pianificazione patrimoniale, sia – purtroppo – per tentare di sottrarre beni ai creditori o al Fisco. In particolare, il cosiddetto “trust opaco” (in cui i redditi restano imputati al trust stesso senza una tassazione immediata in capo ai beneficiari) è spesso sotto i riflettori dell’Amministrazione finanziaria quando viene impiegato in operazioni elusive o evasive.

La chiave del trust è infatti la separazione patrimoniale: i beni conferiti escono dalla disponibilità diretta del disponente e sono destinati a uno scopo o a beneficiari, formando un patrimonio separato anche rispetto al patrimonio personale del trustee . Questa peculiarità rappresenta il principale vantaggio del trust in termini di protezione dei beni, ma è anche il motivo per cui autorità fiscali e creditori vigilano attentamente: il timore è che la separazione venga usata in modo abusivo per sottrarre beni alle pretese erariali o di altri creditori . In altre parole, la dialettica tra contribuenti (o debitori) e Agenzia delle Entrate sui trust si incentra proprio sul crinale sottile tra pianificazione lecita e abuso di diritto.

Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 con le ultime novità normative e giurisprudenziali – si propone di analizzare in modo approfondito il tema delle contestazioni fiscali sui trust opachi utilizzati a fini evasivi, dal punto di vista del debitore/contribuente che intende difendersi. Adotteremo un linguaggio giuridico rigoroso ma con finalità divulgative, adatto sia ai professionisti (avvocati, commercialisti) sia a privati e imprenditori che abbiano istituito (o stiano considerando di istituire) un trust.

Saranno esaminati:

  • Il quadro normativo italiano e internazionale di riferimento (legislazione tributaria interna, principi antielusivi, standard internazionali come il Common Reporting Standard e iniziative OCSE/G20 come il progetto BEPS);
  • Le diverse tipologie di trust (revocabili/irrevocabilidiscrezionali/fissiautodichiaratiinterni o esteriopachi o trasparenti), con le relative implicazioni fiscali e i profili di rischio di contestazione;
  • I poteri e gli strumenti di cui dispone l’Agenzia delle Entrate per individuare e contestare trust usati per evadere le imposte (accertamenti, presunzioni, riqualificazioni, azioni cautelari e ispettive, collaborazione internazionale, ecc.);
  • Le strategie difensive e le soluzioni a disposizione del contribuente per opporsi alle contestazioni, sia in sede amministrativa (difesa in sede di accertamento, adempimenti collaborativi) sia in sede contenziosa (ricorsi presso le Corti di Giustizia Tributaria, riferimenti a giurisprudenza favorevole, ecc.), senza trascurare i possibili profili penali (reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e altre implicazioni);
  • Alcuni casi pratici, con domande e risposte frequenti e tabelle riepilogative, per riassumere i concetti chiave e simulare scenari tipici (es. trasferimento di beni in trust prima di un accertamento fiscale, distribuzione di utili da trust estero a beneficiari italiani, azione revocatoria del Fisco, ecc.), fornendo soluzioni concrete.

L’obiettivo è fornire una guida completa (oltre 10.000 parole) e aggiornata, capace di orientare il lettore attraverso questa materia complessa. Verranno citate le fonti normative rilevanti e le sentenze più recenti e autorevoli – ad esempio le pronunce della Corte di Cassazione fino al 2025 – per supportare ogni affermazione. In tal modo, chi legge potrà non solo comprendere la disciplina, ma anche disporre di riferimenti utili da invocare in un eventuale contenzioso.

Importante: vale sin d’ora una premessa fondamentale – usare un trust al solo scopo di “proteggersi dal Fisco” è una strategia pericolosa e spesso controproducente. Se il trust è istituito con intenti elusivi o fraudolenti (ad esempio subito prima o dopo la nascita di un debito tributario rilevante), l’Amministrazione finanziaria può “disconoscerlo” guardando alla sostanza economica sottostante e considerare i beni e redditi come ancora riferibili al disponente . Anche i giudici, in numerose occasioni, hanno affermato che un trust privo di reale autonomia – ad esempio quando il disponente ne mantiene il controllo di fatto – può essere qualificato come mero schermo simulato, inefficace nei confronti del Fisco e dei creditori . D’altro canto, un trust istituito con finalità legittime (protezione familiare, passaggio generazionale, tutela di soggetti deboli, ecc.) e in assenza di debiti attuali non è di per sé illecito e gode anzi della tutela dell’ordinamento, sebbene anch’esso possa essere scrutinato per verificarne la genuinità.

Nei prossimi paragrafi inizieremo delineando il quadro normativo, per poi addentrarci nella tassazione dei trust, nelle tecniche di accertamento e nelle difese del contribuente. Esempi concreti e domande frequenti aiuteranno a calare la teoria nella pratica quotidiana.

(N.B.: tutte le informazioni e i consigli qui forniti riguardano la normativa italiana e l’esperienza nazionale, salvo diversa indicazione. Le soluzioni prospettate vanno calate nelle specifiche circostanze del caso concreto con l’ausilio di professionisti qualificati.)

Quadro normativo: disciplina italiana e standard internazionali

Prima di affrontare le questioni operative, è essenziale inquadrare le norme di riferimento. La materia dei trust, specie quando coinvolge profili di elusione o evasione fiscale, è trasversale tra diritto civilediritto tributario (sia interno sia internazionale) e misure antiriciclaggio. Di seguito, esaminiamo sinteticamente i principali riferimenti normativi:

Normativa italiana rilevante

  • Riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano: l’Italia, con la L. 364/1989, ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sul riconoscimento dei trust. Ciò consente a un soggetto residente in Italia di istituire un trust scegliendo una legge regolatrice straniera (tipicamente di tradizione anglosassone) e vedere riconosciuti gli effetti di tale trust in Italia, purché non contrari a norme imperative o all’ordine pubblico interno. In assenza di una legge italiana sui trust, la legge regolatrice straniera ne disciplina struttura e funzionamento, ma per taluni aspetti (ad es. effetti verso terzi, trascrizioni immobiliari, imposte) intervengono norme italiane specifiche o principi generali.
  • Imposte dirette sui trust (TUIR): il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 917/1986) disciplina espressamente la fiscalità dei trust. In particolare:
  • L’art. 73 TUIR include i trust tra i soggetti passivi dell’Imposta sul Reddito delle Società (IRES) quando hanno residenza fiscale in Italia. Sono considerati residenti in Italia i trust con sede o amministrazione in Italia oppure, per i trust opachi, quelli in cui almeno uno dei disponente o dei beneficiari è residente in Italia (salvo prova contraria) . I trust residenti scontano l’IRES (attualmente 24%) sui redditi prodotti.
  • L’art. 44 TUIR (in particolare la lettera g-sexies modificata nel 2019) regola la tassazione dei redditi di capitale percepiti dai beneficiari di trust. In sintesi, i redditi attribuiti ai beneficiari di un trust trasparente (cioè con beneficiari di reddito individuati) sono imputati per trasparenza a questi ultimi e tassati come redditi di capitale, anche se non residenti . Viceversa, per i trust opachi, i beneficiari non sono tassati sui redditi interni accumulati dal trust, ma solo sulle eventuali distribuzioni. Un’importante novità introdotta dal D.L. 124/2019 (conv. L. 157/2019) è che le distribuzioni di redditi da trust opachi esteri “paradisiaci” (ossia stabiliti in Stati o territori a bassa fiscalità, individuati ai sensi dell’art. 47-bis TUIR) sono ora imponibili per cassa in capo ai beneficiari residenti . Ciò per evitare che, tramite trust offshore opachi, si accumulino redditi sottratti a imposizione italiana: quando tali redditi vengono trasferiti ai beneficiari in Italia, sono tassati integralmente (salvo prova che si tratti di mere restituzioni di capitale). La nozione di Paese “paradisiaco” per un trust estero è mutuata dalle regole CFC e sui dividendi esteri (art. 47-bis TUIR), con riferimento al livello nominale di tassazione estera inferiore al 50% di quello italiano . Su questo punto vi sono questioni interpretative (ad esempio, come qualificare i trust situati in Paesi UE/SEE con scambio di informazioni – si veda oltre).
  • L’art. 37, comma 3, D.P.R. 600/1973 è una norma di portata generale utilizzata per contrastare l’intestazione fittizia di redditi e patrimoni a soggetti interposti. Essa stabilisce che «in caso di interposizione fittizia di persona, i redditi si considerano prodotti dal soggetto per conto del quale l’interposizione è stata attuata» . La giurisprudenza ha interpretato estensivamente tale disposizione, ritenendo applicabile il principio anche alle ipotesi di interposizione reale tramite strumenti giuridici validi ma usati impropriamente: ciò che rileva è la sostanza economica, ossia chi ha la disponibilità effettiva dei beni e redditi, al di là della forma apparente . Dunque, se un trust – ancorché formalmente valido – viene utilizzato per far figurare redditi a un soggetto formalmente diverso (il trustee) mentre il disponente ne mantiene il controllo e ne beneficia di fatto, l’Amministrazione finanziaria può imputare quei redditi direttamente al disponente applicando l’art. 37, co.3 (si parla in tal caso di trust interposto). Questo è uno dei cardini delle contestazioni fiscali sui trust opachi abusivi.
  • Abuso del diritto (art. 10-bis L. 212/2000): dal 2015 nell’ordinamento tributario è formalmente prevista unacl ausola generale antiabuso. Qualsiasi operazione priva di sostanza economica che realizzi essenzialmente vantaggi fiscali indebiti può essere disconosciuta dall’Amministrazione, pur restando valida sul piano civilistico. L’istituzione di un trust privo di valide ragioni economico-familiari e volto principalmente a ottenere risparmi d’imposta (ad esempio evitare la tassazione di redditi finanziari o sfuggire all’imposta di successione) può essere contestata ai sensi dell’abuso del diritto, con onere a carico del contribuente di dimostrare le ragioni extrafiscali concrete e non marginali dell’operazione.
  • Imposte indirette sui trust (TUS): Il trasferimento di beni in trust e la successiva attribuzione ai beneficiari rilevano ai fini dell’Imposta sulle successioni e donazioni (D.Lgs. 346/1990) e delle imposte ipotecarie-catastali se vi sono immobili. La disciplina in questo ambito è stata oggetto di evoluzione: inizialmente, in base al D.L. 262/2006, l’Amministrazione finanziaria tassava immediatamente l’atto di dotazione del trust come una donazione ai beneficiari (anche se futura) applicando l’aliquota proporzionale sul valore trasferito . Tuttavia, la Corte di Cassazione – a partire da una celebre sentenza del 2016 – ha invertito l’orientamento, stabilendo che il conferimento di beni in trust ha natura meramente strumentale e transitoria, non comporta un arricchimento stabile di un beneficiario e dunque non integra il presupposto dell’imposta donativa . In mancanza di “attribuzione patrimoniale stabile”, la tassazione va rimandata al momento in cui i beni usciranno dal trust verso i beneficiari finali, realizzando l’arricchimento . Su queste basi la Cassazione (Sez. Trib.) ha emesso numerose pronunce conformi (es. Cass. 21614/2016, Cass. 9742/2019, Cass. 13142/2019, Cass. 22754/2021, fino alle più recenti Cass. 5800/2023, 2334/2024) sancendo la neutralità fiscale dell’atto istitutivo e di dotazione del trust . L’Agenzia delle Entrate, inizialmente resistente, ha dovuto adeguarsi: con la Circolare 34/E del 20 ottobre 2022 ha riconosciuto che la costituzione del trust sconta solo le imposte fisse (registro €200, ipotecaria-catastale €200 cadauna per immobili) e che l’imposta proporzionale sulle successioni e donazioni si applicherà solo al momento dell’attribuzione finale ai beneficiari, secondo grado di parentela col disponente . Inoltre, la circolare ha chiarito che se un trust viene considerato “interposto” o fittizio, i beni in realtà restano riferibili al disponente ai fini d’imposta: ad esempio, se il disponente muore con un trust interposto, quei beni andranno inclusi nel suo attivo ereditario ai fini dell’imposta di successione, come se il trust non esistesse .

Una recente riforma ha ulteriormente cristallizzato questi principi: il D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139 (attuativo della delega fiscale 2023), in vigore dal 1° gennaio 2025, ha modificato il TUS introducendo l’art. 4-bis rubricato “Trust e altri vincoli di destinazione”. Tale norma conferma per legge che l’imposta sulle successioni e donazioni colpisce i trust solo quando e nella misura in cui producono un arricchimento gratuito a favore di beneficiari . In particolare, l’art. 4-bis dispone che il presupposto d’imposta si realizza “al momento del trasferimento di beni o diritti a favore dei beneficiari”, applicando aliquote e franchigie ordinarie in base al rapporto di parentela tra disponente originario e beneficiario . Dunque l’atto di dotazione iniziale è neutro (soggetto solo a imposta fissa), mentre l’atto di attribuzione finale è tassato in misura proporzionale. Questa riforma elimina i dubbi residui e allinea la legge interna all’orientamento giurisprudenziale; tuttavia, si applica formalmente ai trust istituiti dal 2025 in poi. Per i trust pregressi restano validi i principi affermati dalle Corti, che ormai costituiscono “diritto vivente” e possono essere invocati dal contribuente .

  • Tutela dei creditori e revocatoria: sul piano civilistico, l’ordinamento offre ai creditori del disponente strumenti per reagire ai trust che pregiudicano le loro ragioni. In primis vi è l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., esperibile quando il debitore dispone a titolo gratuito (o con malafede anche del terzo se a titolo oneroso) di propri beni arrecando danno alle ragioni creditorie. La costituzione di un trust è considerata atto a titolo gratuito (salvo trust in funzione di garanzia) e, se compiuta da un debitore già insolvente o prossimo all’insolvenza, può essere revocata entro il termine di legge (5 anni) . L’effetto della revocatoria è rendere l’atto inefficace verso il creditore attore, consentendo di aggredire i beni come se fossero ancora in capo al disponente. In molte vicende giudiziarie l’Agenzia delle Entrate (anche tramite l’Agente della Riscossione) ha ottenuto la revoca di trust istituiti in frode al Fisco. Un trust revocato pro tanto non protegge più i beni dall’esecuzione tributaria di quello specifico creditore (lo Stato), ma resta valido tra le parti.

Oltre alla revocatoria, i creditori possono eccepire la simulazione/nulità del trust. Se si prova che il trust era “sham” (fittizio) – ossia che il disponente e il trustee non intendevano davvero sottrarre i beni al dominio del disponente, ma l’atto era solo apparente – allora il trust è nullo ab origine e i beni restano proprietà del disponente, aggredibili dai creditori . Tuttavia, la prova della simulazione è notoriamente difficile per un terzo estraneo, a meno di circostanze evidenti (ad es. il disponente ha continuato a usare i beni senza alcuna autonomia del trustee, il trustee è un suo prestanome palese, il trust act manca di causa reale, ecc.). La Cassazione ha affermato in sede penale che un trust autodestinato in cui il disponente-trustee mantiene pieno controllo e disponibilità dei beni è configurabile come negozio simulato e strumento fraudolento verso i creditori . Ciò riflette un principio utilizzabile anche in sede civile: in casi estremi, dunque, il trust può essere dichiarato nullo per difetto di causa o simulazione assoluta, liberando i beni per tutti i creditori (diversamente dalla sola revocatoria, che giova solo al creditore attore) . In pratica, però, le azioni revocatorie risultano il mezzo più comune e con maggior chance di successo.

  • Profili penali (D.Lgs. 74/2000): se un trust viene utilizzato per sottrarre beni al pagamento di imposte, oltre alle conseguenze tributarie e civilistiche possono emergere responsabilità penali. L’art. 11 D.Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione chiunque, al fine di evadere il pagamento di imposte o relativi accessori, compia atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere inefficace la riscossione coattiva. La giurisprudenza ha chiarito che la costituzione di un trust può rientrare in tali atti fraudolenti quando avvenga in presenza di un debito tributario scaduto (o di un accertamento in corso) ed abbia lo scopo di ostacolare il Fisco . Ad esempio, la Cassazione penale n. 13844/2024 ha confermato la condanna per sottrazione fraudolenta in un caso di trust autodichiarato creato dopo l’accumulo di un ingente debito IVA-IRPEF, in cui il disponente-trustee aveva continuato a controllare i beni; la Corte ha sottolineato che il trust, pur lecito nella forma, aveva l’effetto di complicare il recupero coattivo (richiedendo appunto un’azione giudiziale per “smontarne” la segregazione) e dunque integrava gli estremi del reato . Il reato scatta per debiti tributari sopra una soglia di rilevanza (attualmente €50.000) e comporta gravi conseguenze: sequestro penale dei beni trasferiti, processo a carico del disponente e possibili misure cautelari personali. Per il debitore, ciò significa che abusare del trust in funzione antifisco può portare non solo alla perdita dei beni (per via di revocatoria o pignoramento) ma anche a sanzioni penali .

Va precisato che la punibilità non richiede che il trust sia dichiarato nullo o inefficace prima: anche un trust formalmente valido può costituire atto fraudolento ai fini penali. Ai fini difensivi, chi si trovi indagato in tali casi potrà cercare di dimostrare l’assenza del dolo specifico di evasione (ad esempio provando che il trust era stato creato per ragioni non fiscali, in tempi non sospetti, e non aveva inciso sulla capacità di estinguere i debiti tributari) oppure addivenendo al pagamento integrale del debito tributario prima della sentenza, circostanza che potrebbe attenuare la posizione (in materia tributaria il risarcimento del danno erariale e la condotta riparativa possono talvolta giovare, ma dipende dal reato e dallo stadio del procedimento).

  • Obblighi di monitoraggio fiscale: i trust con elementi di internazionalità sono soggetti alle norme sul monitoraggio fiscale dei capitali esteri (quadro RW del modello Redditi). In particolare, un contribuente italiano deve indicare nel quadro RW le attività estere di natura finanziaria o patrimoniale di cui sia titolare effettivo ai sensi della normativa antiriciclaggio. Nei trust, l’obbligo può riguardare sia il trustee residente (che detiene attività estere per conto del trust), sia il disponente o beneficiario residente qualora il trust sia configurabile come interposto nei loro confronti. La disciplina non è del tutto cristallina, ma la prassi (Circ. AdE 38/E/2013, Circ. 34/E/2022) indica che il disponente di un trust opaco estero potrebbe dover dichiarare nel RW le consistenze estere del trust se conserva poteri di controllo tali da qualificarlo come titolare effettivo (beneficial owner), così come i beneficiari di trust discrezionali esteri devono monitorare le attività quando acquisiscono un diritto esigibile sui beni. L’omessa compilazione del quadro RW comporta sanzioni amministrative rilevanti (dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, raddoppiate se le attività sono in Stati non collaborativi) . In caso di trust non dichiarato, l’Agenzia delle Entrate può quindi contestare sia l’evasione di imposte sul reddito sia la violazione degli obblighi di monitoraggio. Una possibile difesa, in sede di contestazione RW, è dimostrare che il contribuente non era tenuto alla disclosure perché privo di poteri di disposizione sui beni (trust realmente autonomo) o perché aveva interpretato in buona fede la normativa in tal senso – ma si tratta di questioni complesse che spesso richiedono disclosure volontarie o accordi transattivi per sanare il passato.
  • Ulteriori norme: meritano un cenno, infine, le norme del codice civile in tema di garanzia patrimoniale generale (artt. 2740-2741 c.c.), secondo cui il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e non può sottrarre arbitrariamente beni alla responsabilità verso i creditori. I trust opponibili ai creditori sono solo quelli che rispettano le condizioni di legge (assenza di frode, atto posteriore non pregiudizievole, ecc.). Inoltre, l’art. 2645-ter c.c. consente di trascrivere vincoli di destinazione su beni immobili o mobili registrati per determinati scopi di utilità (pianificazione per disabili, pubblica amministrazione, etc.): tale figura interna è affine al trust ma non coincide (nel vincolo ex 2645-ter il bene resta di proprietà del disponente vincolato allo scopo, senza trasferimento a un trustee). Il vincolo ex 2645-ter, se utilizzato per scopi leciti, potrebbe offrire un’alternativa ai trust in certi casi, ma non se ne abusa per fini evasivi, perché anch’esso sarebbe soggetto a revocatoria/abuso del diritto in analogia.

Normativa internazionale e cooperazione fiscale

Negli ultimi anni, il contesto internazionale è diventato fondamentale per valutare l’effettiva opacità di un trust e le possibilità di utilizzare giurisdizioni estere a fini evasivi. Fra i principali riferimenti:

  • Common Reporting Standard (CRS): è lo standard globale di scambio automatico di informazioni finanziarie sviluppato dall’OCSE, cui aderiscono oltre 100 Stati (inclusa l’Italia). Dal 2017-2018 il CRS consente alle autorità fiscali dei Paesi partecipanti di ricevere annualmente dai propri istituti finanziari i dati sui conti detenuti da non residenti, scambiandoli con gli Stati di residenza dei titolari. I trust rientrano pienamente nel perimetro del CRS: un trust può qualificarsi come istituzione finanziaria dichiarante esso stesso (ad esempio se il trustee è una trust company o banca, e il trust genera prevalentemente redditi finanziari) oppure, se non lo è, saranno le istituzioni finanziarie presso cui il trust detiene conti a doverne comunicare l’esistenza . In pratica, oggi è molto difficile per un trust detenere disponibilità finanziarie all’estero senza che queste vengano segnalate al Fisco italiano, se uno dei soggetti collegati (disponente, beneficiario o trustee) è fiscalmente residente in Italia. Ad esempio, se un trust opaco ha un conto in Svizzera o a Jersey, la banca locale segnalerà via CRS alle autorità italiane le generalità dei soggetti coinvolti e il saldo, qualora risulti che il beneficial owner effettivo è italiano. Il CRS rappresenta dunque un potente deterrente: ha reso l’era del “segreto bancario” praticamente superata. Per di più, il CRS esplicitamente include i trust tra le entità oggetto di reporting, definendo criteri per identificarli come Financial Institutions (se soddisfano il cosiddetto “gross income test” e “managed by test”) . In sintesi, un trust gestito professionalmente o con significativi investimenti finanziari rientra nel radar dello scambio automatico. Dal punto di vista di chi volesse usare un trust estero opaco per nascondere ricchezze, il CRS è un ostacolo formidabile: i movimenti di denaro e i patrimoni all’estero lasciano tracce che arrivano all’Agenzia delle Entrate. (Unica scappatoia parziale potrebbe essere costituire trust con trustee persone fisiche e attività solo extrabancarie, per evitare segnalazioni dirette, ma restano comunque i flussi di denaro tracciati quando rientrano in Italia, oltre al rischio che il trust sia comunque oggetto di indagini mirate o scambio su richiesta).
  • Progetto BEPS e accordi internazionali anti-elusione: l’acronimo BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) indica il pacchetto di misure OCSE/G20 contro l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti, varato nel 2015. Sebbene focalizzato principalmente sulle multinazionali, il progetto BEPS ha promosso un generale irrigidimento verso i meccanismi opachi e i paradisi fiscali. Tra gli esiti di BEPS vi è la stipula del Multilateral Instrument (MLI), entrato in vigore per l’Italia nel 2019, che ha inserito in molti trattati fiscali una clausola antiabuso (Principal Purpose Test) atta a negare benefici convenzionali se un’entità o schema (ad es. un trust) è creato principalmente per ottenerli indebitamente. Inoltre, l’Azione 12 BEPS ha incoraggiato l’introduzione di obblighi di comunicazione per i meccanismi di pianificazione fiscale aggressiva: in UE questo si è tradotto nella direttiva DAC6 (Dir. 2018/822/UE), recepita in Italia nel 2020, che impone ad intermediari e contribuenti di segnalare al Fisco gli schemi transfrontalieri con determinati hallmarks. Ebbene, uno degli hallmarks (categoria D) riguarda proprio l’uso di strutture schermate con beneficiari non identificati o difficilmente individuabili: un trust offshore con fiduciari schermati potrebbe far scattare l’obbligo di disclosure DAC6. Anche se ciò attiene alla fase di monitoraggio e non direttamente all’accertamento, indica chiaramente la tendenza internazionale a fare luce sui trust opachi.
  • Scambio di informazioni e assistenza internazionale: a complemento del CRS, persistono le forme di cooperazione amministrativa su richiesta o spontanee. L’Italia ha accordi bilaterali e aderisce alle direttive UE sulla cooperazione fiscale (DAC 1-5) che prevedono scambi di informazioni anche su richiesta. Ad esempio, se in un accertamento l’Agenzia delle Entrate sospetta che un contribuente abbia costituito un trust in un certo Paese estero, può attivare una richiesta di informazioni a quel Paese (se è collaborativo) per ottenere documenti, quali l’atto istitutivo, bilanci, ecc. Inoltre, convenzioni contro le doppie imposizioni spesso includono disposizioni sulla assistenza alla riscossione, per cui anche beni segregati in trust all’estero potrebbero essere aggrediti tramite cooperazione, se il trust viene ignorato e i beni considerati del debitore. L’efficacia pratica di tali strumenti varia, ma il messaggio è che isolarsi in un’isola fiscale è oggi molto meno sicuro che in passato.
  • Registri dei titolari effettivi (UBO registers): sulla scia delle direttive antiriciclaggio UE (AMLD 4 e 5), anche l’Italia ha previsto l’istituzione di un Registro dei titolari effettivi per imprese, persone giuridiche private e trust produttivi di effetti fiscali. In particolare, il DM 11 marzo 2022 n. 55 ha introdotto l’obbligo di comunicare al Registro delle Imprese l’identità dei titolari effettivi dei trust “interni” (trust con trustee italiano o che producono effetti in Italia). Tale registro – sebbene oggetto di vicissitudini applicative e di pronunce cautelari che ne hanno temporaneamente sospeso la piena operatività – mira a rendere noti alle autorità (e parzialmente al pubblico, salvo limitazioni poste dalla Corte di Giustizia UE in tema di privacy) i nominativi di disponente, trustee, guardiano e beneficiari dei trust. La finalità è chiaramente quella di aumentare la trasparenza, riducendo la possibilità che trust con legami italiani rimangano completamente anonimi. In pratica, entro il 2023-2025 l’Italia sta cercando di implementare questo registro: gli amministratori di trust rilevanti dovranno effettuare la comunicazione e mantenerla aggiornata. Pur essendo uno strumento civil-amministrativo, incide anche sul fronte fiscale perché facilita il reperimento di informazioni su chi si cela dietro un trust.

In sintesi, il quadro internazionale attuale rende sempre più arduo utilizzare trust opachi esteri per scopi illeciti. Standard come il CRS assicurano che i flussi finanziari emergano , le norme BEPS e anti-riciclaggio puntano a smascherare costruzioni artificiose, e la cooperazione tra autorità fiscali è all’ordine del giorno. Un trust offshore opaco non è più un porto sicuro: se dietro vi sono interessi italiani, è probabile che prima o poi l’Amministrazione ne venga a conoscenza, o tramite flussi automatici o perché, al manifestarsi di certe operazioni (es. distribuzioni di utili, acquisto di beni in Italia con fondi del trust), scatteranno segnali d’allarme.

Dopo aver delineato il quadro normativo, possiamo passare ad esaminare come funzionano i trust e quali tipologie esistono, perché ciò è cruciale per capire quali trust destano sospetti e come vengono inquadrati dal Fisco.

Trust trasparente vs trust opaco: definizioni e differenze fiscali

Dal punto di vista fiscale italiano, i trust vengono distinti in “trasparenti” e “opachi”, a seconda del trattamento dei redditi prodotti:

  • Trust trasparente (o “look-through”): è il trust i cui beneficiari di reddito sono individuati e hanno diritto attuale o comunque certa riferibilità ai redditi del trust. In tal caso, per il Fisco italiano il trust funge da soggetto intermedio “trasparente”: i redditi, ancorché maturati in capo al trust, vengono imputati direttamente ai beneficiari e tassati in capo a questi ultimi come redditi di capitale (o redditi di altra natura a seconda della fonte) . Il trust stesso non paga imposte sul reddito (salvo acconti o ritenute eventualmente). Questo meccanismo è previsto dall’art. 44 TUIR: i redditi “imputati” ai beneficiari di trust trasparenti sono equiparati a dividendi o proventi di capitale percepiti per trasparenza. Un esempio tipico: trust con beneficiari figli del disponente, che prevede la distribuzione annuale dei redditi finanziari; tali redditi saranno dichiarati dai figli beneficiari (se residenti in Italia) come redditi di capitale.
  • Trust opaco: è il trust in cui i beneficiari di reddito non hanno un diritto attuale o individuato sui redditi – tipicamente perché il trustee ha discrezionalità sulle distribuzioni (trust discrezionale) o perché i beneficiari non sono nominati (trust a beneficiari non ancora determinati o trust di scopo). In tal caso il trust è considerato un soggetto passivo autonomo ai fini delle imposte sui redditi: se è fiscalmente residente in Italia, esso paga l’IRES sui propri redditi accumulati (aliquota 24%) . Se invece il trust opaco è non residente, in Italia sarà tassato solo su eventuali redditi prodotti in Italia (p.es. redditi immobiliari su immobili siti in Italia, dividendi da partecipazioni in società italiane – salvo convenzioni). I beneficiari di un trust opaco non sono tassati sui redditi del trust fintanto che rimangono nel trust. Tuttavia, se e quando ricevono distribuzioni di redditi dal trust, la tassazione può scattare in capo a loro, a seconda della residenza del trust e dello status “white list” o “black list”:
  • Se il trust opaco è residente in Italia: eventuali somme distribuite ai beneficiari costituiscono normalmente frutti già tassati in capo al trust (che ha pagato IRES). La distribuzione di per sé, in molti casi, non è soggetta a ulteriore tassazione per il beneficiario (trattandosi di attribuzione di utili già tassati). Occorre però distinguere la natura delle somme: se il trust distribuisce redditi di capitale da fonti italiane, potrebbe aver già applicato ritenute; se distribuisce utili derivanti da plusvalenze esenti in capo al trust, potrebbe emergere tassazione in capo al beneficiario secondo regole specifiche. La Circolare 34/E/2022 ha chiarito che i beneficiari di un trust opaco residente non sono tassati al momento della distribuzione dei redditi già imponibili in capo al trust stesso, per evitare doppie imposizioni – salvo che il trust sia interposto.
  • Se il trust opaco è non residente:
    • Trust in Paese collaborativo (white list): fino al 2019, le distribuzioni da trust estero opaco erano generalmente considerate non imponibili in capo al beneficiario italiano, in quanto interpretate come attribuzioni patrimoniali (assimilabili a liberalità) e non come redditi di capitale – a meno che si potesse qualificare il trust come interposto. Dal 2020, però, con la modifica dell’art. 44 TUIR, occorre verificare se il Paese di residenza del trust rientra tra quelli a fiscalità privilegiata. Se non è privilegiato (es. trust in UE/SEE con adeguato scambio informazioni), la distribuzione al beneficiario italiano dovrebbe continuare a non essere imponibile, trattandosi di un trust opaco non “paradisiaco” . In tal caso il reddito resta tassato (se del caso) solo nel Paese del trust. Ad esempio, un trust opaco con sede in Francia che distribuisce reddito a un beneficiario italiano: la Francia non è paradiso fiscale, quindi si applicano le regole ordinarie e la somma percepita dal beneficiario potrebbe considerarsi una attribuzione di capitale non tassata, a patto che siano chiari i confini tra capitale e reddito.
    • Trust in Paese a fiscalità privilegiata (black list): in questo caso, secondo la nuova lettera g-sexies art. 44 TUIR, il beneficiario italiano è tassato per cassa sull’importo ricevuto dal trust opaco estero . L’intero ammontare distribuito viene trattato come reddito di capitale imponibile (salva la facoltà, eventualmente, di dimostrare che in parte si tratti di capitale inizialmente apportato). Questa regola colpisce i trust stabiliti in giurisdizioni con tassazione inferiore alla metà di quella italiana e non aderenti allo scambio di informazioni adeguato. Ad esempio, un trust opaco residente in Panama che distribuisce €100.000 a un beneficiario residente: il beneficiario dovrà dichiarare €100.000 come reddito di capitale imponibile IRPEF (o più probabilmente assoggettato a imposta sostitutiva 26% se qualificabile come utile di fonte estera). La logica è impedire che i trust paradisiaci fungano da schermo: appena il denaro arriva in Italia, diviene imponibile.
  • La distinzione tra trust “paradisiaco” o meno può essere complessa. L’art. 47-bis TUIR esclude dagli Stati black list quelli UE/SEE cooperativi , il che lascia intendere che un trust opaco comunitario non dovrebbe far scattare la tassazione in capo al beneficiario italiano . Tuttavia l’Agenzia delle Entrate non si è ancora espressa in modo definitivo sul punto e qualche incertezza interpretativa rimane . La tesi prevalente tra gli esperti è che i trust residenti in UE (o in Paesi con accordo di scambio info) vadano equiparati ai trust domestici, sicché le loro distribuzioni non siano imponibili per il beneficiario (a meno che non si tratti comunque di trust interposti o di distribuzioni di redditi originariamente prodotti in Italia soggetti a ritenuta). Ad ogni modo, in sede di pianificazione e difesa conviene essere prudenti: se si ricevono somme da un trust estero, occorre analizzare la situazione fiscale del trust e, in caso di dubbi, considerare la possibilità di tassazione per evitare sanzioni per omessa dichiarazione.

Riassumendo in tabella le diverse situazioni di tassazione dei redditi da trust:

Tipologia di trustTassazione dei redditi prodottiTassazione delle distribuzioni ai beneficiari
Trust trasparente residenteNon soggetto IRES; redditi imputati ai beneficiari residenti (redditi di capitale IRPEF) . Se beneficiari non residenti, imputazione comunque operante ai fini italiani (salvo trattati).Beneficiari residenti: dichiarano i redditi imputati annualmente (anche se non effettivamente distribuiti). Beneficiari non residenti: tassazione secondo loro Stato (in Italia ritenute se fonte italiana).
Trust opaco residenteSoggetto a IRES 24% sui redditi ovunque prodotti (ente commerciale o non comm. a seconda dell’attività).Beneficiari italiani: in genere somme distribuite non imponibili (già tassate nel trust), salvo distribuzioni di redditi esenti/percipendi particolari (es. plusvalenze non tassate in capo al trust potrebbero essere imponibili se distribuite). Beneficiari non residenti: possibili ritenute su distribuzioni di fonte italiana.
Trust opaco estero in Paese “white list” (es. UE/SEE)Non tassato in Italia sui redditi esteri (tassato eventualm. nello Stato estero). Su redditi prodotti in Italia, tassato come non residente (es. ritenute su dividendi da società italiane).Beneficiari italiani: presumibilmente non tassati sulle somme ricevute, trattandosi di attribuzioni patrimoniali da trust non paradisiaco . (Resta l’ordinaria imposta di donazione eventualmente a fine trust.) Beneficiari non residenti: irrilevante per l’Italia.
Trust opaco estero in Paese “black list” (no scambio info o tassazione < half Ita)Non tassato in Italia sui redditi esteri; redditi di fonte italiana tassati con ritenute alla fonte (salvo non imponibilità per convenzione).Beneficiari italiani: somme ricevute tassate integralmente come redditi di capitale per cassa (aliquota 26% imp. sostitutiva su utili finanziari, oppure IRPEF su altri redditi). Beneficiari non residenti: non imponibili in Italia (salvo eventuali ritenute se somme provenienti da Italia).
Trust interposto/fittizio (qualunque residenza)Redditi considerati prodotti direttamente dal disponente o beneficiario effettivo (art. 37, co.3 DPR 600/73) . Se costui è residente, tassazione piena in Italia dei redditi ovunque prodotti (come se il trust non esistesse).Beneficiari formali non rilevano; il disponente/beneficiario effettivo è tassato come percettore diretto. Le attribuzioni dal trust sono viste come meri trasferimenti di disponibilità a sé stesso. (Eventualmente, imposta di donazione in caso di morte del disponente con beni ancora nel trust .)

(Legenda: per “white list” si intende Paesi non considerati a fiscalità privilegiata ai sensi delle norme italiane; per “black list” quelli a fiscalità privilegiata. La tassazione indicata può subire variazioni in presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni o di crediti d’imposta.)

Osservazione: sebbene la distinzione tra trust trasparenti e opachi sia netta in teoria, nella pratica può emergere contenzioso sulla qualificazione. L’Agenzia può ritenere trasparente un trust che il contribuente reputava opaco (imputando redditi ai beneficiari), oppure viceversa considerare interposto (quindi guardare al disponente) un trust formalmente opaco. È quindi importante definire chiaramente nell’atto istitutivo la natura del trust e soprattutto comportarsi coerentemente nella gestione, in modo da non lasciare adito a riqualificazioni (ad es., se si dichiara che i beneficiari non hanno diritti sui redditi – trust opaco – poi non si dovrebbero attribuire loro somme annuali costanti quasi fossero frutti predeterminati, poiché ciò contraddirebbe la natura opaca e potrebbe far pensare a un’entità interposta).

Tipologie di trust e profili di rischio fiscale

I trust possono assumere configurazioni molto diverse a seconda delle clausole istitutive e delle combinazioni di ruoli tra disponente, trustee e beneficiari. Alcune tipologie presentano particolari criticità dal punto di vista fiscale e della protezione dai creditori. Di seguito analizziamo le più rilevanti, con esempi pratici e indicazione dei possibili rischi di contestazione:

  • Trust autodichiarato (self-declared trust): è il caso in cui disponente e trustee coincidono nella stessa persona. Il disponente trasferisce formalmente beni a sé stesso quale trustee, dichiarando di amministrarli separatamente nell’interesse altrui (spesso beneficiari sono terze persone future, oppure lo stesso disponente riserva per sé il ruolo di beneficiario finale se i beni dovessero ritornare). Questo trust, molto usato in Italia, non comporta un effettivo spostamento di proprietà ad un soggetto diverso: vi è solo una segregazione formale. La Cassazione ha riconosciuto che l’atto istitutivo di un trust autodichiarato puro non produce arricchimento e dunque non è soggetto a imposta di donazione . Tuttavia, dal punto di vista sostanziale, è anche il trust più esposto all’accusa di fittizietà/simulazione: se il disponente resta anche beneficiario (trust auto-destinato) o comunque mantiene mano libera sui beni, il trust potrebbe essere considerato inesistente ai fini fiscali e verso i creditori . Un trust autodichiarato genuino dovrebbe prevedere meccanismi di controllo stringenti (es. un guardiano indipendente) e idealmente avere beneficiari diversi dal disponente. Rischi: l’Agenzia delle Entrate può facilmente sostenere che sia un trust interposto, tassando i redditi al disponente (art. 37, co.3), specie se questi continua a utilizzare i beni come propri; i creditori possono agire in revocatoria (atto a titolo gratuito) e insinuare la simulazione; in sede penale, come visto, proprio i trust autodichiarati post-debito sono stati qualificati come mezzi fraudolenti .
  • Trust con disponente-trustee e beneficiario coincidenti: variante estrema dell’autodichiarato, in cui una sola persona è disponente, trustee e anche beneficiario (magari beneficiario finale in difetto di altri). Praticamente è una auto-intestazione con vincolo: scenario assai sospetto perché manca un’effettiva alterità soggettiva. Anche se formalmente possibile, in casi simili i giudici tributari hanno negato effetti reali (CTR Lombardia 107/2023 ha escluso l’imposta di donazione proprio perché privo di trasferimento reale) . Ma sul piano sostanziale un trust del genere serve a poco, se non a ritardare i creditori, e verrà quasi certamente disconosciuto dal Fisco come simulato.
  • Trust discrezionale: qui il trustee ha piena discrezionalità nel decidere se, quando e quanto distribuire ai beneficiari. I beneficiari hanno solo un’aspettativa, non un diritto esigibile fino a decisione del trustee. Questo rende il trust opaco fiscalmente (nessuna imputazione ai beneficiari) e protezione forte dai creditori dei beneficiari (finché i beni restano nel trust, i creditori dei beneficiari non possono aggredirli perché i beneficiari non ne hanno diritto certo). Tuttavia, se il disponente è anche potenziale beneficiario discrezionale (ad esempio, il trustee potrebbe eventualmente restituire i beni al disponente in certe condizioni), l’Agenzia potrebbe sostenere che non vi sia vera attribuzione a terzi e che il trust è interposto. In generale il trust discrezionale puro con beneficiari terzi è rispettato, ma l’opacità fiscale richiede attenzione: come visto, se estero, può attivare la tassazione delle distribuzioni (black list). Rischi specifici: difficoltà di individuare la residenza fiscale (un trust discrezionale estero con trustee estero potrebbe comunque essere considerato residente in Italia se l’amministrazione effettiva risulta qui – es. decisioni prese dal disponente in Italia) ; in caso di controversie, maggiore onere probatorio per il contribuente di dimostrare che i beneficiari non erano noti ex ante (ad evitare riqualifiche).
  • Trust fisso (o con beneficiari determinati): opposto del discrezionale, in cui l’atto istitutivo identifica precisamente beneficiari e quote spettanti. Qui i beneficiari hanno un diritto definito al patrimonio o ai redditi. Fiscalmente è trasparente (se beneficiari di reddito presenti) e l’imposta di donazione può essere calcolata da subito (se beneficiari finali noti, il nuovo art. 4-bis TUS consente anche un’opzione di tassazione “in entrata” anticipata in alcuni casi, ma comunque i beni restano segregati fino all’evento di attribuzione). Dal punto di vista anti-evasione, un trust fisso lascia meno margini di manovra per occultare redditi: l’Agenzia può più agevolmente tracciare il flusso redditi->beneficiari. Il rischio di interposizione è minore (c’è effettiva attribuzione a terzi), ma si perde anche parte del vantaggio protettivo (i creditori dei beneficiari possono aggredire il loro diritto se attuale).
  • Trust revocabile vs irrevocabile: un trust revocabile è quello in cui il disponente si riserva il potere di revoca, cioè di “sciogliere” il trust e riprendersi i beni. Un trust irrevocabile invece non può essere sciolto unilateralmente dal disponente dopo la sua istituzione. Chiaramente, un trust revocabile offre minori garanzie di effettiva separazione: se il disponente conserva la facoltà di annullarlo, i beni in realtà non sono definitivamente usciti dalla sua sfera di controllo. Ciò ha conseguenze: i creditori potrebbero sostenere che, data la revocabilità, il trust non impedisce loro di aggredire (in dottrina si discute se si possa pignorare un “potere di revoca”; di certo però un trust revocabile è facilmente revocabile dal disponente su pressione dei creditori o autorità). Fiscalmente, un trust revocabile è spesso considerato trasparente o interposto, poiché il disponente può in qualsiasi momento rientrare in possesso dei beni: l’Agenzia potrebbe dire che manca un’effettiva alienazione. Dunque trust revocabili andrebbero maneggiati con cura: meglio evitarli se lo scopo è protezione da creditori di lungo periodo. Un trust irrevocabile, al contrario, dà un segnale di distacco patrimoniale più netto – il che aiuta a difenderne la validità (anche se non preclude revocatoria se fatto in frode, né impedisce di contestare eventuali poteri occulti del disponente). In sintesi, se l’obiettivo è mettere al sicuro patrimoni, l’irrevocabilità è consigliata; se invece il disponente vuole mantenere la possibilità di annullare tutto, allora il trust è più una temporanea parentesi e le autorità ne terranno conto (tendendo a disconoscerlo come artificio).
  • Trust interno vs trust estero: si parla di trust interno quando, pur essendo il trust regolato da legge straniera, tutti gli elementi sostanziali (soggetti, beni, scopo) sono localizzati in Italia. Esempio: un residente conferisce immobili siti in Italia in un trust Jersey law, con trustee società di trust italiana e beneficiari italiani. È “interno” perché nulla di effettivo è all’estero, salvo la legge applicabile scelta. Le autorità italiane guardano comprensibilmente con sospetto ai trust interni che usano leggi esotiche solo per ottenere benefici fiscali o opacità. Ormai, con l’evoluzione normativa, costituire un trust interno sotto legge di Jersey o Guernsey non offre particolari vantaggi fiscali (anzi, se considerato “black list” può peggiorare la posizione del beneficiario). Inoltre, in caso di contenzioso, i giudici italiani applicheranno comunque i principi interni per valutare effetti e abusi. Un trust estero genuino, invece, vede coinvolta una vera giurisdizione straniera con legami sostanziali (es. trust per un figlio residente all’estero, con trustee banca estera, beni fuori Italia): qui c’è maggiore legittimità nel trattamento come entità separata e il Fisco italiano potrà intervenire solo su aspetti di collegamento con l’Italia (p.es. redditi prodotti in Italia, o quando beneficiari italiani ricevono denaro). La residenza fiscale del trust è un punto cruciale: l’Agenzia può dichiarare residente in Italia un trust formalmente estero se ravvisa che la gestione amministrativa avveniva di fatto in Italia (riunioni del trustee tenute in Italia, scelte operate dal disponente in Italia, etc.) . In difesa, si dovrà provare l’autonomia e la gestione all’estero (documentando meeting, decisioni, professionalità del trustee straniero).
  • Trust con holding o società interposte: un uso frequente è porre un trust come azionista di società (es. il trust detiene le quote di una holding di famiglia). Ciò può avere motivi leciti (pianificare successione evitando frammentazione azionaria, affidare gestione a trustee in attesa che gli eredi crescano, ecc.), ma anche qui talvolta si cerca un vantaggio fiscale: ad esempio, alcuni ritengono che se le quote di una società a ristretta base familiare sono intestate a un trust estero, l’amministrazione finanziaria non possa applicare la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio tipica delle società di famiglia. In realtà, la Cassazione ha chiarito che questo escamotage non funziona: in presenza di un trust “schermo” che è socio di una società familiare, se emergono utili non contabilizzati, il Fisco può individuare i beneficiari reali dietro il trust e imputare a loro tali utili . Insomma, il trust non blocca l’accertamento sui soci occulti: se l’Agenzia dimostra con indizi che dietro il trust ci sono i membri della famiglia, questi saranno tassati sugli utili come se fossero soci diretti (principio di substance over form applicato anche qui). Pertanto, usare un trust per “raffreddare” le presunzioni fiscali sulle società non mette al riparo da accertamenti.

Alla luce di queste tipologie, appare evidente un concetto: più un trust è “anomalo” o artificioso nella struttura (disponente che si auto-assegna ruoli, beneficiari che coincidono, poteri di revoca totali, ecc.), più è alto il rischio che venga ignorato o dichiarato inefficace dal punto di vista fiscale e dai creditori. Viceversa, un trust con sana gestione – trustee indipendente, scopi chiari non esclusivamente fiscali, atti coerenti – ha maggiori probabilità di essere rispettato.

Di seguito presentiamo una tabella riassuntiva di alcuni tipi di trust con i rispettivi punti di forza e punti deboli in ottica di difesa:

Tipo di trustCaratteristicheRischi fiscali/legali
AutodichiaratoDisponente = Trustee (beni segregati ma non c’è trasferimento a terzi). Beneficiari possono essere terzi o lo stesso disponente.Alta probabilità di contestazione se il disponente mantiene controllo o è anche beneficiario (possibile simulazione) . Fisco può trattarlo come inesistente (interposizione). Utile come strumento transitorio ma debole verso creditori e Fisco se usato in frode.
DiscrezionaleTrustee decide distribuzioni, beneficiari con mera aspettativa. Opaco fiscalmente.Se trustee realmente indipendente, buon livello di protezione. Ma se disponente influenza trustee, rischio di riqualifica come interposto. Distribuzioni a beneficiari italiani tassabili se trust in black list .
Fisso (beneficiari determinati)Beneficiari e quote prestabiliti. Trasparente se di reddito.Minore flessibilità, beneficiari hanno diritti (aggredibili da loro creditori). Fisco tassa direttamente beneficiari sui redditi correnti. Meno chance di contestare la validità poiché c’è effettivo trasferimento a terzi (ma attenzione ai tempi di istituzione rispetto ai debiti).
RevocabileDisponente può revocare e riprendere i beni.Debole segregazione: giuridicamente valido finché non revocato, ma creditori possono più facilmente dimostrare che disponente non si è spogliato realmente dei beni. Fisco potrebbe ignorarlo per mancanza di alienazione definitiva.
IrrevocabileDisponente perde ogni potere di revoca sui beni conferiti.Forte segregazione formale. Maggior difficoltà per creditori (solo via revocatoria se frode). Contestazioni fiscali concentrate su eventuali poteri indiretti del disponente (es. se rimane beneficiario).
Interno (legge straniera ma elementi italiani)Trust istituito da italiani con beni in Italia, usando legge estera.Nessun vantaggio fiscale automatico, anzi possibili complicazioni (trust estero potrebbe essere considerato black list se giurisdizione low tax). A.E. lo tratta come fosse domestico di fatto. Potenziali problemi di validità se contrasta con norme italiane (es. lesione legittima successione).
Estero genuinoTrust con gestione e asset effettivamente all’estero, beneficiari internazionali.Se collegamenti con Italia (es. disponente o beneficiario italiano), soggetto a monitoraggio, CRS, etc. Rischio residenza fiscale Italia se amministrato di fatto da qui . In assenza di interposizione, distribuzioni potrebbero essere non tassate se white list, ma vigilare.
Con disponente beneficiario (auto-beneficiario)Disponente risulta anche unico beneficiario finale.Di fatto una segregazione “auto-restituiva”. Fisco e creditori lo considerano simulato: beni ancora del disponente (anche Cass. Pen. cit. supra). Praticamente indifendibile in caso di debiti fiscali.
Con scopo benefico (charitable)Trust senza beneficiari privati, ma per finalità benefica.Se autentico, di solito meno problematico fiscalmente (redditi spesso esenti se ente non commerciale). Poco usato per evasioni perché scopo non lucrativo. Creditori potrebbero attaccarlo se credono sia simulato e in realtà benefici velati al disponente.

(Nota: le caselle sui rischi indicano tendenze generali; ogni caso concreto può presentare peculiarità.)

Dopo aver analizzato le tipologie di trust e i rischi insiti, passiamo ora a esaminare come l’Amministrazione finanziaria scopre e contesta i trust opachi sospetti e quali strumenti può attivare in sede di accertamento e riscossione. Capire le “mosse” del Fisco è essenziale per predisporre un’adeguata strategia difensiva.

Come il Fisco individua e contesta i trust opachi

L’Agenzia delle Entrate dispone oggi di vari mezzi, sia informativi che giuridici, per intercettare l’esistenza di trust potenzialmente usati a fini evasivi e per contestarne gli effetti. In questa sezione vedremo le principali tecniche di accertamento e contestazione:

Fonti informative e indizi

  • Analisi dei flussi finanziari: grazie al CRS e ad altre forme di cooperazione, l’Agenzia può venire a conoscenza di trasferimenti di denaro tra l’estero e l’Italia. Ad esempio, se un contribuente riceve un bonifico estero di una certa entità (magari proveniente da un conto intestato a un trust), ciò costituirà un indizio. Anche senza CRS, l’Agenzia/dalla UIF ha accesso su richiesta ai dati bancari in ambito indagini finanziarie. Operazioni di accredito rilevanti sul conto di una persona fisica italiana, provenienti da entità offshore, sono tipicamente segnalate e, in sede di controllo, il contribuente dovrà giustificarle. Se risponde “erano soldi dal mio trust estero”, si apre il capitolo di verifica del trust: sarà chiesto l’atto istitutivo, la documentazione del trust, ecc. In generale, qualsiasi somma proveniente da un trust estero verso l’Italia è un potenziale campanello: l’Agenzia potrebbe presumere che sia un reddito non dichiarato (a meno che si provi trattarsi di restituzione di capitale). In base all’art. 12 del D.L. 78/2009, vige infatti una presunzione (difficile da applicare ma da citare) per cui i investimenti o attività finanziarie detenute in paradisi fiscali si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione, salvo prova contraria. Così, se emerge che un contribuente è beneficiario di un trust alle Bahamas non dichiarato, l’Agenzia potrà sospettare evasione.
  • Scambi di informazioni mirati: l’Agenzia può ricevere informazioni da autorità estere. Ad esempio, il fisco di San Marino o della Svizzera, nell’ambito di indagini penali, potrebbe trasmettere nominativi di cittadini italiani coinvolti in trust. Oppure, con l’implementazione di registri dei titolari effettivi in vari Paesi UE (ad es. Lussemburgo, Irlanda, ecc.), è possibile che l’Agenzia tramite i canali di cooperazione acquisisca dati su trust con beneficiari italiani.
  • Controlli formali e questionari: il Fisco può inviare questionari al contribuente (ex art. 32 DPR 600/73) chiedendo di dichiarare se è disponente, beneficiario o trustee di trust, e di fornire documenti relativi. Questo spesso avviene durante verifiche patrimoniali o redditometriche. Omettere di rispondere o rispondere il falso espone a sanzioni e soprattutto consente all’ufficio di presumere vero quanto accertato indirettamente. Ad esempio, se dall’analisi dei conti appare un flusso da un trust e il contribuente interrogato non fornisce prove contrarie, l’Agenzia può concludere si tratti di reddito evasoa.
  • Verifiche in loco e Guardia di Finanza: nelle verifiche fiscali presso società o individui, la Guardia di Finanza potrebbe imbattersi in tracce di trust – si pensi a documenti, email, registrazioni contabili che menzionano un trust. Tali elementi verranno segnalati nel PVC (processo verbale di constatazione) e da lì usati per emettere avvisi. Ad esempio, un imprenditore verificato potrebbe essersi pagato spese personali con fondi formalmente appartenenti a un trust estero: la GdF contesterebbe una distrazione e segnalerebbe la presenza del trust per la ripresa a tassazione.
  • Registri pubblici nazionali: se il trust possiede immobili in Italia, la sua esistenza può emergere dalla consultazione dei registri immobiliari. Si può scoprire che un bene è intestato a “XYZ, trustee del Trust Alfa”. Allo stesso modo, se un trust partecipa a società italiane, comparirà nei registri delle imprese. L’Agenzia utilizza sempre di più strumenti di data analysis incrociando banche dati: un trust registrato può essere segnalato se connesso a soggetti a rischio.
  • Dichiarazioni del contribuente stesso: in alcuni casi il contribuente dichiara l’esistenza del trust (ad esempio, in Unico – Quadro RW, o indicando nei quadri reddituali distribuzioni ricevute). Paradossalmente, un contribuente corretto che compila l’RW per i beni del trust estero potrebbe dare all’Agenzia gli elementi per approfondire la questione trust; ma questo è comunque preferibile all’omissione, perché fornisce trasparenza e buona fede.

Strumenti giuridici di contestazione

Una volta che l’Amministrazione ha individuato un trust potenzialmente elusivo, dispone di vari strumenti giuridici per procedere. I principali sono:

  • Accertamento con riqualificazione per interposizione fittizia: come già accennato, l’arma più tagliente è l’art. 37, comma 3, DPR 600/73. L’Agenzia può emettere un avviso di accertamento nei confronti del disponente (o di un beneficiario) ritenendo che il trust sia un soggetto interposto, cioè solo apparentemente titolare dei redditi. In pratica l’atto di accertamento “ignora” il trust e ricalcola il reddito della persona fisica includendo i redditi prodotti dal trust (redditi esteri non dichiarati, plusvalenze, interessi, ecc.). A supporto di ciò, l’Ufficio allegherà elementi indiziari che dimostrano la mancanza di autonomia del trust: ad esempio, che il disponente impartiva istruzioni al trustee, che il trustee era un suo fiduciario, che l’atto istitutivo gli riservava poteri, o che il disponente di fatto godeva dei beni (conto corrente del trust usato per spese personali, immobili in trust abitati dal disponente, etc.) . La Cassazione con la sentenza n. 9096/2025 ha confermato la legittimità di tale approccio: in quel caso un imprenditore aveva trasferito partecipazioni a un trust estero ma mantenendo ampi poteri e addirittura risultando beneficiario ultimo; l’Agenzia l’ha contestato come trust fittizio e la Suprema Corte ha avallato la tassazione in capo al disponente, affermando il principio di “substance over form” e la rilevanza dell’intestazione formale solo se accompagnata da effettiva separazione . Va rimarcato che per applicare l’art. 37, co.3, non è necessario provare una simulazione assoluta del trust in senso civilistico (il che richiederebbe il consenso simulatorio di tutte le parti), basta dimostrare che il trust è inefficace nella separazione patrimoniale e che il disponente ne ha conservato la disponibilità sostanziale . Il grado di prova richiesto è quello di “indizi gravi, precisi e concordanti”. Il contribuente dovrà confutare tali indizi e dimostrare l’effettiva autonomia del trust se vuole vincere la causa.
  • Accertamento per redditi di capitale non dichiarati (art. 44 TUIR): qualora il trust non sia considerato interposto ma ci siano state distribuzioni ai beneficiari tassabili (ad es. trust opaco estero black list che ha pagato somme a beneficiario italiano), l’Agenzia può emettere avviso al beneficiario recuperando l’IRPEF (o imposta sostitutiva) dovuta sui redditi di capitale non dichiarati. In questi casi la difesa ruota attorno a: (i) contestare la qualifica di “paradisiaco” del trust (se ad esempio era in UE – v. supra); (ii) dimostrare che la somma ricevuta era restituzione di capitale iniziale e non reddito del trust (onere complesso); o (iii) eccepire eventuali credit d’imposta per imposte pagate all’estero sui medesimi redditi (se il trust ha pagato tasse estere). Un tipico scenario: un beneficiario italiano riceve €200.000 dal Trust X estero e non lo indica in dichiarazione ritenendolo esente; l’Agenzia, venutane a conoscenza, notifica un accertamento qualificando i €200.000 come dividendi esteri imponibili al 26%. In difesa, se il trust era in UE e si può sostenere la non imponibilità, si citerà la norma e magari eventuali interpelli (purtroppo non risolutivi finora) a favore . Se ciò non fosse accolto, resta la possibilità di transigere (accertamento con adesione) cercando sanzioni minori.
  • Accertamento sulla residenza fiscale del trust: l’Agenzia può emanare un atto dichiarativo di residenza fiscale, spesso nell’ambito di un accertamento maggiore, stabilendo che un trust formalmente estero era in realtà fiscalmente residente in Italia (ex art. 73 TUIR, “sede dell’amministrazione” in Italia). Ciò comporta che tutti i redditi mondiali del trust (anche non distribuiti) fossero soggetti a tassazione in Italia, con relative sanzioni per omessa dichiarazione da parte del trust (che doveva presentare mod. REDDITI SC). Un caso simile è spesso complesso e finisce in contenzioso elevato . L’Agenzia per vincere deve provare che le decisioni gestionali avvenivano in Italia o che il trust era sostanzialmente amministrato da persone in Italia. Il contribuente (di solito il trustee o il disponente interessato) dovrà fornire evidenze contrarie: verbali di decisioni all’estero, prova che il trustee estero era indipendente etc. Questo fronte è delicato perché una volta dichiarato residente, il trust perderebbe eventuali vantaggi di tassazione estera e subirebbe la tassazione integrale italiana retroattiva.
  • Vizi formali negli atti esecutivi: quando si passa alla fase di recupero coattivo, può capitare che l’Agenzia delle Entrate Riscossione tenti di pignorare beni del trust. Come già accennato, un errore formale che talvolta accade è indicare come soggetto esecutato il “Trust X” anziché il nome del trustee. Ebbene, la Cassazione ha stabilito che un pignoramento intestato al trust (ente privo di soggettività giuridica propria) è nullo . Il creditore procedente deve agire contro il trustee in carica, menzionandolo in tale veste. Questo profilo tecnico può essere sfruttato dal debitore/trustee per eccepire nullità di atti esecutivi mal formulati, guadagnando tempo prezioso. Naturalmente, l’Agenzia può rinnovare l’atto correggendo l’errore, ma intanto il debitore può aver ottenuto una sospensione o la chiusura di una procedura esecutiva viziata .
  • Azione revocatoria fallimentare o misure concorsuali: se il disponente finisce in fallimento (o altra procedura concorsuale), il curatore può esercitare l’azione revocatoria fallimentare (ex art. 64 e segg. l.fall.) che ha criteri più stringenti per gli atti a titolo gratuito nei due anni precedenti. Il trust potrebbe quindi essere sciolto per far confluire i beni nella massa fallimentare. Questo attiene al diritto fallimentare più che tributario, ma è un’ulteriore minaccia in caso di insolvenza conclamata.

Iter tipico di un’accertamento su trust opaco

Per dare una visione concreta, consideriamo uno scenario esemplificativo:

  • Fase di scoperta: Tizio, imprenditore italiano, riceve nel 2023 un accredito di €300.000 sul proprio conto personale da “ABC Trust”. L’Agenzia, incrociando dati, rileva l’anomalia e invia a Tizio un questionario chiedendo spiegazioni sul rapporto con ABC Trust. Tizio risponde che trattasi di un trust di cui egli è beneficiario, istituito anni fa alle Isole Cayman con patrimonio derivante da utili aziendali accumulati all’estero. Non allega però documenti chiari sull’origine dei fondi.
  • Fase di analisi interna: L’ufficio approfondisce: vede che Tizio non ha mai dichiarato redditi esteri né il trust in RW. Reperisce tramite CRS i saldi dei conti riferibili al trust (risulta un conto intestato a “XYZ Ltd trustee of ABC Trust” con saldo medio $2 milioni). Inoltre scopre che Tizio figura come beneficiario anche nel registro titolari effettivi Cayman condiviso confidenzialmente. Mette insieme un dossier.
  • Avviso di accertamento: L’Agenzia può a questo punto scegliere come impostare la contestazione. Valuta che ABC Trust era probabilmente alimentato da redditi di Tizio non dichiarati negli anni passati (evasione pregressa) e opta per la strada dell’interposizione: emette avvisi di accertamento per gli anni 2018-2022 in capo a Tizio, imputandogli i redditi del trust (interessi e dividendi esteri) per ciascun anno, più l’importo di €300.000 come reddito di capitale 2023 non dichiarato. Contemporaneamente, irroga sanzioni per omessa dichiarazione RW dal 2018 al 2022.
  • Difesa del contribuente: Tizio, ricevuti gli atti, coinvolge professionisti e predispone ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria). La linea difensiva potrebbe essere: contestare l’interposizione sostenendo che il trust era reale, istituito dal padre di Tizio (quindi non da lui) per finalità successorie e che i €300.000 ricevuti erano parte del capitale originario (quindi liberalità esente, non reddito). Inoltre, evidenzia che il trust è in Cayman ma gestito da una fiduciaria UE, quindi forse non black list. Vengono citate sentenze (Cass. 21614/2016 e altre) sull’assenza di tassazione immediata del trust, cercando di assimilare la distribuzione a una successione. L’esito dipenderà dalle prove: se l’Agenzia mostra che Tizio aveva poteri sul trust (email dove dà ordini al trustee, ecc.), la tesi dell’indipendenza crolla.
  • Esiti possibili: se le prove dell’Agenzia sono forti, la Corte potrebbe confermare l’accertamento, ritenendo Tizio titolare effettivo dei redditi (applicazione di art. 37, co.3). In tal caso Tizio sarebbe tenuto a pagare le imposte evase più interessi e sanzioni (queste ultime magari ridotte dal giudice). Se invece Tizio riesce a dimostrare che il trust fu davvero creato da terzi e lui era solo beneficiario inconsapevole fino al 2023, la Corte potrebbe annullare in parte gli atti, limitando la tassazione al solo importo ricevuto nel 2023 (e magari qualificandolo come donazione non imponibile se convincente). Ogni caso è a sé.

In situazioni simili, spesso si trova un accordo tramite accertamento con adesione: il contribuente riconosce parte delle pretese (pagando le imposte su una base ridotta) e l’Agenzia riduce sanzioni. Questi accordi sono favoriti dal fatto che l’Agenzia stessa sa che dimostrare tutti gli elementi fino in Cassazione è oneroso; dall’altro lato il contribuente preferisce evitare il rischio penale (se in ballo). Dunque, ad esempio, Tizio potrebbe in adesione concordare di pagare imposte su €300.000 come reddito di capitale (26%) più una sanzione ridotta, mentre l’Agenzia rinuncia a contestare i redditi degli anni precedenti, chiudendo il caso.

Un altro scenario pratico comune: beneficiario inconsapevole tassato su redditi già tassati nel trust. Ad esempio, Caio riceve €100.000 da un trust opaco UK dove il trust aveva già pagato tasse UK su quei redditi. Caio non dichiara nulla in Italia pensando che, essendo redditi già tassati e provenendo da un trust UE, non siano imponibili. L’Agenzia però potrebbe, non avendo linee chiare sul trust UK, contestare l’omessa dichiarazione di €100.000 con imposta 26%. In difesa Caio invocherà la norma (trust UE escluso da black list) e magari la Convenzione Italia-UK se rilevante. È un ambito grigio: in mancanza di chiarimenti ufficiali, la prudenza vorrebbe che Caio consultasse prima l’Agenzia (interpello) o quantomeno dichiarasse cautelativamente i €100.000 chiedendo detassazione per evitare sanzioni.

Riscossione e misure cautelari

Quando l’Agenzia (o l’Agente della Riscossione) passa alla fase esecutiva, i trust offrono resistenza per via della segregazione. Come discusso, se il trust è opponibile (cioè non revocato né dichiarato simulato), i creditori del disponente non possono pignorare direttamente quei beni. Dovranno prima vincere una causa di revocatoria. Tuttavia, il Fisco ha alcune leve: – Può iscrivere ipoteca sugli immobili del trust (notificando al trustee, trattandosi di misura cautelare sui beni in trust). Ciò se dispone già di titolo (es. cartella esattoriale definitiva a carico del disponente) e se ottiene eventualmente autorizzazione a iscrivere ipoteca per beni di terzi (tema delicato). – In ambito penale, il Pubblico Ministero può chiedere il sequestro preventivo dei beni del trust strumentale alla confisca, se c’è un procedimento ex art. 11 D.Lgs. 74/2000 in corso. In tal caso, l’autorità giudiziaria penetra il trust e blocca i beni (come visto nella sentenza penale 2024: furono sequestrati i beni del trust Alfa riconducibile al debitore) . Questo congelamento penal-preventivo è indipendente dalle regole civilistiche: prevale l’interesse punitivo e il trust non costituisce scudo. Il trustee potrà eventualmente opporsi ma con limitate chance se gli indizi di reato ci sono.

  • Se il trust viene revocato con sentenza, i beni tornano aggredibili. Spesso l’Agente Riscossione attende l’esito della revocatoria (che dura qualche anno) e poi procede subito a pignorare i beni in questione come beni del debitore (disponente).
  • Può capitare che il trust stesso abbia debiti tributari propri (es. IRES non versata se era un soggetto fiscale o imposte locali su immobili): in tal caso la riscossione avverrà sul patrimonio del trust come per qualunque contribuente (qui il disponente non è coinvolto se non indirettamente).

In definitiva, la miglior “difesa” del trust contro la riscossione coattiva è non avere pendenze: se però il disponente ha debiti e pensa di salvarsi solo mettendo i beni in trust, rischia di subire comunque azioni legali invasive (revocatorie, sequestri, ecc.) e complicare la sua posizione.

Difendersi dalle contestazioni: strategie e consigli pratici

Passiamo ora al punto cruciale: dal punto di vista del debitore/contribuente, come ci si può difendere efficacemente se l’Agenzia delle Entrate contesta un trust opaco come mezzo evasivo? La difesa si gioca su due piani: preventivo (evitare a monte configurazioni rischiose e tenere condotte corrette) e successivo (reagire a un accertamento o a un’azione legale con strumenti giuridici appropriati).

Buone pratiche in fase di istituzione e gestione del trust

  1. Finalità non esclusivamente fiscali: Se decidete di costituire un trust, assicuratevi che vi siano solide ragioni economico-familiari alla base (protezione di un familiare debole, pianificazione ereditaria complessa, tutela patrimoniale prudenziale in tempi non sospetti). Un trust istituito subito dopo la notifica di un avviso di accertamento è praticamente indifendibile perché l’intento elusivo appare palese . Invece, un trust creato anni prima di qualsiasi problema fiscale, magari come strumento standard di pianificazione per i figli, potrà essere spiegato al giudice come operazione ordinaria, non volta a frodare il Fisco.
  2. Evitate configurazioni “troppo opache” o anomale: Ad esempio, non fate coincidere disponente, trustee e beneficiario nella stessa persona – è una red flag immediata. Se possibile, nominate come trustee un soggetto indipendente e di provata affidabilità (un professionista, una trust company estera riconosciuta, o almeno un parente non direttamente interessato ai beni). La presenza di un guardiano (protector) può dare ulteriore garanzia di controllo terzo. Più la gestione sarà percepita come autonoma dal disponente, meno l’Agenzia potrà insinuare che “dietro c’era sempre lui”.
  3. Documentazione e trasparenza minima: Conservate con cura tutti i documenti del trust (atto istitutivo, eventuali lettere di desiderio, verbali di decisione del trustee, rendiconti annuali). Mostrate un comportamento coerente: se il trust è discrezionale, evitate di far risultare distribuzioni regolari fisse come fossero rendite; se è irrevocabile, non interferite con atti che ne contraddicano l’irrevocabilità; se dite che il trustee è indipendente, non lasciate tracce di ordini impartiti da voi. Paradossalmente, un certo grado di trasparenza volontaria può essere utile: ad esempio, segnalare in dichiarazione l’esistenza del trust (quadro RW se dovuto) può dimostrare buona fede e togliere spazio all’accusa di occultamento doloso.
  4. Residenza fiscale e governance estera: per trust esteri, fate in modo che ogni aspetto della gestione avvenga fuori dall’Italia (riunioni trustee all’estero, firme digitali con time stamp estero, deleghe bancarie non in capo al disponente, etc.). Se il disponente vuole avere voce in capitolo, formalizzatelo in ruoli leciti (es. protector con poteri limitati) anziché agire nell’ombra. In caso di contenzioso sulla residenza, esibire contratti con trust company estere, ricevute di voli per meeting all’estero, consulenze pagate all’estero, aiuta a sostenere la tesi del trust non italiano.
  5. Attenzione alle distribuzioni ai beneficiari italiani: se prevedete di distribuire redditi da un trust opaco estero a beneficiari in Italia, consultate prima un esperto per valutare l’imposizione. In certi casi, potrebbe convenire distribuire solo capitale o attendere determinate condizioni. Se distribuite redditi tassabili, assicuratevi di far effettuare eventuali ritenute o di far dichiarare ai beneficiari gli importi. Meglio pagare il 26% subito che nascondere e poi subire sanzioni del 90% per omessa dichiarazione.
  6. Verificare periodicamente la compliance fiscale: la normativa evolve (vedi riforma 2024 su trust) – ciò che ieri era interpretabile come esente, domani potrebbe essere tassato. Esempio: prima del 2019, molti consideravano esenti le distribuzioni da trust black list; oggi non lo sono più. Quindi, riesaminate periodicamente con un fiscalista la struttura del trust e valutate se occorrono adeguamenti o interpelli per stare tranquilli.
  7. Non utilizzare il trust come “conto corrente personale”: un grave errore è confondere i beni del trust con i propri. Se usate i soldi del trust per spese personali (senza un titolo di prestito o rimborso chiaro), create la prova contro di voi che il trust era fittizio. Mantenete rigidamente le separazioni: il trust paghi solo spese coerenti con lo scopo e a beneficio dei beneficiari, non le vostre bollette o vacanze.

In breve: la miglior difesa è non dare pretesti di attacco. Un trust ben pianificato e gestito diligentemente è più facile da difendere di un trust raffazzonato all’ultimo minuto.

Strategie difensive in sede di accertamento e contenzioso

Se nonostante tutto arriva una contestazione dell’Agenzia, ecco alcune linee di difesa:

  • Dialogo preliminare (istruttoria e adesione): appena si riceve un PVC o un invito, conviene interagire con l’ufficio spiegando la propria posizione. Se l’accertamento non è ancora emesso, fornire documenti integrativi, pareri legali, ecc. può talvolta evitare il peggio. Ad accertamento emesso, valutare l’accertamento con adesione: presentare istanza entro 60 giorni sospende i termini per il ricorso e apre un confronto con l’ufficio . Durante l’adesione si può cercare di ridimensionare le pretese mostrando prove che magari non erano state considerate. Anche se l’ufficio raramente rinuncia all’impianto (ad esempio, difficilmente ammetterà di aver torto su interposizione), può essere disposto a transigere su importi o sanzioni (specie se intravede il rischio di soccombere parziale in giudizio). Inoltre l’adesione dà la chance di pagare con sanzioni ridotte a 1/3.
  • Sospensiva e tutela cautelare: se l’accertamento comporta importi ingenti da versare e si decide di ricorrere, è possibile chiedere alla Corte tributaria la sospensione dell’atto. Occorre dimostrare fumus boni juris (motivi fondati) e periculum (danno grave in caso di pagamento). Ad esempio, se l’Agenzia pretende 2 milioni e il trust nel frattempo è bloccato quindi non ci sono risorse per pagare senza vendere casa, si può argomentare ciò. Una sospensiva concessa evita azioni di recupero durante la causa.
  • Onere della prova invertito?: ricordare che in materia di interposizione l’onere iniziale è dell’Amministrazione, ma una volta forniti indizi seri, spetta al contribuente provare il contrario . Dunque, in ricorso occorre produrre effettivamente elementi a discarico: es. testimonianze (dichiarazioni del trustee estero), documenti di gestione, persino consulenze tecniche di parte. Se serve, si può chiedere al giudice di ammettere una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) per ricostruire movimenti finanziari complessi o la realtà economica, ma nei tributi la CTU è rara (il più delle volte il giudice si basa sui documenti) .
  • Precedenti giurisprudenziali favorevoli: un’arma importante è citare sentenze di Cassazione o di Corti di merito che avvalorano la propria tesi. Ad esempio, se il Fisco tassa un trust come donazione immediata, citare Cass. 2334/2024 e la nuova norma art. 4-bis TUS che conferma la tassazione differita . Oppure, se contesta interposizione ma il disponente era defunto e il trust di fatto già attribuito ai beneficiari, citare magari Cass. 5746-5748/2022 che trattano i trust in quella situazione . Bisogna usare le massime autorevoli per convincere il giudice. Anche circolari dell’Agenzia stessa possono essere usate contro l’Agenzia se favorevoli: nel nostro caso la Circ. 34/E/2022 riconosce molti principi a favore del contribuente (neutralità dell’atto di dotazione, irrilevanza fiscale se trust non produce arricchimento, ecc.) . Pure risposte a interpello dell’Agenzia (es. Risposta 176/2023 sul trust post-mortem) possono essere allegate come indice di un orientamento che l’ufficio locale dovrebbe seguire .
  • Dimostrare la sostanza economica lecita: in cause su trust, la difesa dovrebbe far emergere che il trust aveva una logica non fiscale. Se ad esempio serviva a tutelare un figlio disabile, portare evidenza di ciò (certificati, spese sostenute dal trust per il figlio, etc.). Se i beni nel trust erano stati accumulati lecitamente e già tassati, mostrarne la provenienza. Lo scopo è convincere il giudice che non c’era malafede ma genuinità. Anche far notare che il trust non ha nemmeno portato a un risparmio d’imposta particolare (se così è) può aiutare a sminare l’accusa di abuso: ad esempio, “questi redditi erano da capitale e avrei pagato il 26% comunque, non c’era motivo di evaderli, il trust era per governance familiare…”.
  • Limitare le pretese e contestare il calcolo: qualora la fondatezza della pretesa sia difficile da abbattere, almeno controllare che importi e sanzioni siano corretti. Spesso negli accertamenti su trust esteri ci sono anche contestazioni multiple (RW, redditi, ecc.). Verificare termini decadenziali (l’Agenzia ha rispettato i termini per accertare?), applicazione di eventuali penalty protection (se c’era incertezza normativa, si può chiedere quantomeno l’esclusione delle sanzioni per obiettiva incertezza), duplicazioni d’imposta (es. fidarsi che se imputano redditi al disponente poi non tassino di nuovo una distribuzione come donazione).
  • Autotutela: si può tentare, contestualmente al ricorso, un’istanza di autotutela all’ufficio per fargli correggere errori palesi . Ad esempio, se l’accertamento ignora la nuova legge 2024, segnalare che è errato tassare in entrata. L’autotutela raramente viene accolta in casi complessi, ma provarci non nuoce (non sospende però i termini di ricorso).
  • Approccio negoziale in sede giudiziale: oggi è possibile anche la conciliazione giudiziale (proposta dalle parti o dal giudice) per chiudere la lite con reciproche concessioni. In casi di trust, se durante il processo emergono fatti nuovi (es. il disponente decide di pagare spontaneamente alcune imposte), si può trovare un accordo parziale per chiudere. La conciliazione comporta sanzioni ridotte al 40% del minimo.
  • Profilo penale: se c’è parallelo un procedimento penale per sottrazione fraudolenta, la difesa è più complessa perché coinvolge giudici penali. Strategicamente, dimostrare nel tributario che il trust non era fraudolento aiuta anche nel penale (manca l’elemento soggettivo). La soglia modesta di €50.000 imposte rende facile aprire un penale; un rimedio forte per evitarlo è pagare il dovuto prima che la cosa degeneri – l’estinzione del debito tributario può portare all’archiviazione del reato in alcuni casi o comunque a escludere il pericolo di danno erariale. Quindi un debitore che vede profilarsi l’accusa penale farebbe bene a cercare di transare e pagare almeno la parte capitale delle imposte, se riesce, per poi chiedere al giudice penale la non punibilità per avvenuto pagamento (prevista per alcuni reati fiscali entro certi termini e condizioni).

Dopo il contenzioso: gestione dei beni nel trust

Infine, qualche nota su cosa fare con i beni nel trust qualora: – Si vinca la causa: se il trust esce “indenne” (riconosciuto valido e nessuna imposta dovuta), bene, potete proseguire con la gestione fiduciaria. Ma attenzione: se è servito un giudizio, significa che l’Agenzia aveva trovato delle criticità. Valutate se modificare qualcosa per il futuro (ad es., cambiare trustee, trasferire la sede del trust, ecc. per rendere meno attaccabile in futuro). – Si perda la causa: se il trust viene di fatto disconosciuto fiscalmente, il disponente dovrà farsi carico delle imposte. Il trust potrebbe comunque sopravvivere civilmente, ma a quel punto conviene valutarne l’utilità. In certi casi, potrebbe essere opportuno sciogliere il trust concordemente (se possibile) per evitare ulteriori complicazioni. Ad esempio, se tanto i beni vengono considerati del disponente, tanto vale riportarli formalmente a lui, a meno che ci siano altri motivi (es. protezione da altri creditori) per mantenerlo e tentare strade diverse.

  • Accordi transattivi: una curiosità, se un trust è attaccato ma vi è possibilità di accordo, talvolta si può considerare di offrire garanzie reali al Fisco (ipoteca su beni del trust a fronte di rateazione) in cambio di rinuncia a cause. Non è semplice ma in ipotesi il disponente/trustee potrebbe proporre all’Agenzia Riscossione: “non fate revocatoria, vi metto ipoteca di primo grado su questo immobile in trust e poi vi pago rate”. Sono soluzioni atipiche ma, specie con la transazione fiscale nei concordati, queste logiche iniziano a comparire.

Abbiamo dunque visto come difendersi sul piano legale. Per concludere la guida, elenchiamo alcune domande frequenti in materia, sintetizzando le risposte alla luce di quanto esposto, e fornendo un colpo d’occhio finale sui punti chiave.

Domande frequenti (FAQ) su trust opachi ed evasione

D: Cosa si intende esattamente per “trust opaco” rispetto a “trust trasparente”?
R: Si parla di trust opaco quando il trust non attribuisce ai beneficiari determinati i redditi prodotti anno per anno, mantenendoli invece nel patrimonio separato. In tal caso il trust è soggetto passivo d’imposta (IRES se residente) e i beneficiari verranno eventualmente tassati solo al momento di ricevere distribuzioni, secondo le regole viste (tassazione se trust estero in Paese black list, altrimenti no) . Il trust trasparente, invece, ha beneficiari di reddito identificati cui vengono imputati “per trasparenza” i redditi: il trust non paga imposte sui redditi, ma ciascun beneficiario dichiara la sua quota parte di reddito ogni anno . In pratica, l’opacità o trasparenza riguarda la tassazione dei redditi correnti: opacità = trust tassato, trasparenza = beneficiari tassati.

D: Perché i trust opachi vengono associati all’evasione fiscale?
R: Perché in passato (e talvolta ancora oggi) alcuni contribuenti hanno usato trust opachi – spesso in giurisdizioni offshore – per accumulare redditi lontano dal fisco italiano. Un trust opaco estero poteva, ad esempio, detenere investimenti finanziari: finché non distribuiva nulla, né il trust né i beneficiari scontavano tasse in Italia. Inoltre i trust opachi garantiscono riservatezza sui beneficiari finali, favorendo l’occultamento dell’arricchimento effettivo. Questi elementi li rendevano appetibili per celare patrimoni o rendite non dichiarate. Le norme introdotte dal 2019 (tassazione distribuzioni da black list) e il CRS hanno però fortemente limitato questi abusi, facendo emergere i flussi verso beneficiari italiani e colpendoli . Oggi un trust opaco può ancora essere usato lecitamente per scopi non fiscali, ma se lo scopo prevalente appare l’evasione, l’Agenzia può facilmente contestarlo (ad esempio applicando l’interposizione ex art. 37, co.3 DPR 600/73, come visto).

D: Quali sentenze recenti della Corte di Cassazione sono più rilevanti in materia?
R: Ne citiamo alcune fondamentali: – Cass. civ. Sez. Trib. n. 21614/2016: ha sancito il principio che il conferimento di beni in trust non sconta l’imposta di donazione immediata, per mancanza di arricchimento stabile. – Cass. civ. Sez. Trib. n. 9742/2019, 13142/2019, 22754/2021: hanno consolidato la linea pro contribuente sulla neutralità fiscale iniziale del trust. – Cass. civ. Sez. Trib. n. 5746/2022 e connesse: hanno iniziato a orientare l’Amministrazione sul cambio di prassi (poi recepito dalla Circ. 34/E/2022). – Cass. civ. Sez. III n. 34075/2024: (fine 2024) in ambito esecutivo, ha ribadito nullità del pignoramento intestato al trust stesso . – Cass. civ. Sez. Trib. n. 2334/2024: ha confermato la non imponibilità immediata del trust ai fini donazione, coerente poi con l’art. 4-bis TUS introdotto. – Cass. pen. Sez. III n. 13844/2024: ha affermato che costituire un trust autodestinato per sottrarre beni al Fisco integra il reato di sottrazione fraudolenta . – Cass. civ. Sez. Trib. n. 9096/2025: caso emblematico di trust estero (UK) usato per elusione: la Cassazione ha riconosciuto l’interposizione e tassato il disponente per i redditi non dichiarati, richiamando il principio “substance over form” . Questa sentenza 2025 è importantissima perché chiarisce che anche interposizioni “reali” (non fittizie in senso civilistico) rientrano nel 37, co.3 se c’è scopo elusivo. – (Altro: Cass. 24387 dell’11/09/2024 – ha stabilito che conferire un immobile in trust equivale ad alienarlo ai fini della decadenza dall’agevolazione “prima casa”, dunque attenzione: se beneficiate di agevolazioni prima casa, mettere l’immobile in trust entro 5 anni fa perdere l’agevolazione con recupero imposte ).

Queste pronunce, assieme alla Circolare 34/E/2022 e al D.Lgs. 139/2024, costituiscono la base aggiornata su cui impostare difese e pianificazioni.

D: Cosa rischia concretamente chi usa un trust per evadere?
R: Rischia una serie di conseguenze: – Fiscali: accertamenti con recupero delle imposte evase, maggiorate di interessi e sanzioni (generalmente dal 90% al 180% dell’imposta evasa, salvo definizioni agevolate se disponibili). Inoltre, se beni o redditi non dichiarati erano all’estero, può subire la sanzione per quadro RW omesso (3-15% valore attività per anno, raddoppiato se paradiso fiscale) . Le sanzioni possono cumularsi fino a importi rovinosi. – Civilistiche: azioni legali dei creditori (revocatoria, simulazione) per far dichiarare inefficace il trust e aggredire i beni. Con sentenza di revoca, i beni del trust possono essere pignorati per i debiti tributari o altri debiti pregressi del disponente. – Penali: se la condotta configura sottrazione fraudolenta (debito > €50k e trust fatto per sfuggire al fisco), scatta un procedimento penale con possibili misure cautelari (sequestro beni) e, in caso di condanna, pene detentive (fino a 4-7 anni nelle ipotesi più gravi, aumentate dalla riforma dei reati tributari). Inoltre, collocare beni in trust potrebbe esporre a imputazioni accessorie, come riciclaggio o autoriciclaggio, se si “ripuliscono” proventi illeciti tramite trust (questo però esula dal tema strettamente fiscale). – Costi e perdite di opportunità: difendersi è costoso (onorari legali, perizie) e i beni nel frattempo possono restare congelati o inutilizzabili per anni. Senza contare il danno reputazionale (un imprenditore coinvolto in vicende di trust evasivi potrebbe perdere fiducia di partner e banche).

In sintesi, usare trust per evadere può costare molto più delle imposte che si volevano risparmiare.

D: Un trust può proteggere il patrimonio dal Fisco in modo legittimo?
R: Può prevenire rischi futuri in modo legittimo, ma non può essere usato come scudo per debiti fiscali già sorti o imminenti. Se siete un imprenditore prudente, senza debiti attuali, potete legittimamente impiegare un trust per tutelare i vostri beni da possibili rischi generici (anche fiscali) futuri – ed è difficile che qualcuno possa contestarlo se fatto in tempi non sospetti e con scopi validi . Ad esempio, un professionista può istituire un trust per i figli quando ancora non ha alcuna pendenza: anni dopo, se subirà una verifica fiscale, quei beni saranno fuori dal suo patrimonio e attaccabili solo se si dimostra che all’epoca già pianificava di evadere (cosa improbabile se non c’erano accertamenti in vista). Dunque sì, come pianificazione preventiva il trust può offrire protezione. Ci sono anche strumenti alternativi: il fondo patrimoniale, le polizze vita, i vincoli ex 2645-ter c.c., ma anch’essi se creati post debito vengono revocati o considerati in frode . Quindi la regola aurea è: tempestività e buona fede. Se invece chiedete: “ho un debito fiscale, posso proteggermi col trust?”, la risposta è: no senza conseguenze. Ogni atto fatto dopo che il debito è sorto è potenzialmente revocabile e persino penalmente rilevante. Anche un trust istituito all’ultimo minuto, magari irrevocabile e con terzo trustee, non garantirà immunità: al più prenderete tempo, ma vi esponete ad accuse di reato. In conclusione, il trust non è una bacchetta magica contro il Fisco; è efficace solo inserito in una pianificazione lecita di lungo periodo e con obiettivi patrimoniali reali.

D: Che differenza c’è tra un trust e un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. per proteggere beni?
R: Il vincolo ex 2645-ter c.c. (introdotto nel 2006) consente di destinare un bene immobile o mobile registrato a uno scopo specifico per max 90 anni o vita di una persona, a beneficio di soggetti deboli o altri scopi meritevoli. Si trascrive il vincolo nei registri e il bene diviene segregato, ma resta di proprietà del disponente o di un soggetto conferente (non c’è trasferimento a un trustee) . In pratica è più limitato del trust: vincola un singolo bene per uno scopo pubblico/familiare, mentre il trust può riguardare patrimoni complessi, avere un trustee che amministra attivamente, ecc. Fiscalmente, il vincolo 2645-ter non genera transfer, quindi non dovrebbe scontare imposta di donazione immediata (salvo diversa interpretazione – non c’è molta giurisprudenza). Si può dire che il 2645-ter è l’alternativa “domestica” più vicina al trust per segregare un bene a favore, ad esempio, di un figlio disabile, senza dover ricorrere a un trust con legge straniera . Tuttavia, per scopi di evasione, il vincolo 2645-ter servirebbe a poco: anch’esso sarebbe revocabile in frode ai creditori e non offre la struttura sofisticata di un trustee. Inoltre è limitato a certi scopi meritevoli, quindi non potete usarlo semplicemente per “mettere al sicuro” denaro liquido o un complesso aziendale come fareste col trust. In sintesi, 2645-ter va bene per situazioni circoscritte e lecite, mentre il trust rimane lo strumento più flessibile ma anche più abusato se malinteso.

D: Se un trust possiede le quote della mia azienda, durante un controllo fiscale sulla società questo influenza qualcosa?
R: No, il fatto che le quote siano in trust non cambia le ordinarie attività di verifica sulla società. La società risponde delle proprie imposte come qualsiasi altra. Tuttavia, come già discusso, se la vostra è una società a ristretta base (es. SRL familiare) e il Fisco dovesse accertare utili non dichiarati, solitamente applicherebbe la presunzione di distribuzione ai soci. Se il socio è un trust, l’Agenzia cercherà di individuare i beneficiari effettivi del trust (es. la vostra famiglia) e imputare a loro quegli utili occultati . Quindi pensare di schermare la compagine sociale con un trust estero per evitare un accertamento su utili occulti non funziona: i verificatori andranno “a chi c’è dietro” e, se trovano che i beneficiari siete voi, vi contesteranno l’incasso occulto pro quota. A riprova, ci sono state diverse sentenze di merito e di Cassazione in tal senso (la guida citava un caso Cass. in materia). Dunque tenere le quote in trust è ottimo per la continuità generazionale, ma non vi esenta dal dover giustificare l’eventuale distribuzione di utili in nero, se avvenuta.

D: Conviene costituire un trust o ci sono alternative migliori per proteggersi dai rischi?
R: Dipende dalle circostanze e dallo scopo. Il trust è uno strumento potente e flessibile, ma anche costoso da amministrare e sotto osservazione. Alternative possibili: – Società fiduciarie: intestare beni a una fiduciaria italiana mantiene l’anonimato verso l’esterno, ma fiscalmente il fiduciante è sempre il proprietario effettivo (non c’è segregazione patrimoniale reale). Quindi non protegge dai creditori, né dal Fisco (che può risalire al fiduciante e tassarlo comunque). È utile per riservatezza, non per blindare patrimoni dal fisco. – Fondo patrimoniale: vincola beni a bisogni familiari. Offre una protezione relativa (creditori per debiti estranei ai bisogni famigliari potrebbero non soddisfarsi su quei beni). In caso di debiti fiscali, però, se contratti per attività d’impresa o professionale, il fondo patrimoniale non blocca l’azione (perché quelle obbligazioni non sono considerate per bisogni familiari). Inoltre, un fondo fatto in frode è revocabile come il trust. Quindi ha ambiti di efficacia limitati. – Polizze assicurative sulla vita: molti mettono liquidità in polizze vita (a premio unico) perché impignorabili e insequestrabili per legge fino a certi limiti. Sicuramente le polizze hanno un regime protettivo, ma trasferire massicciamente denaro in polizza “all’ultimo momento” può anch’esso essere oggetto di revocatoria se fatto con malafede (ci sono state cause in merito). Inoltre le polizze costano e hanno meno flessibilità (non è che poi potete disinvestire senza penali). – Fondazioni o veicoli esteri: per patrimoni enormi, talvolta si creano fondazioni di famiglia in Paesi come Liechtenstein, o si strutturano holding. Ma siamo su livelli di complessità e costo alti, e comunque l’aspetto fiscale va sempre curato (non è che una fondazione estera non possa essere anch’essa contestata se serve solo a occultare ricchezza).

In definitiva, non esiste la soluzione perfetta. Il trust è valido se inserito in un piano fatto con lungimiranza. Se l’unica motivazione è sfuggire a un creditore o al fisco, qualunque stratagemma si tenti (trust, vendita fittizia, donazione a parenti, intestazione a prestanome) sarà suscettibile di azione e sanzione . La scelta deve basarsi sugli obiettivi: se il vostro fine è la pianificazione successoria, il trust è ottimo; se è “non far prendere la casa da Equitalia”, il trust dell’ultim’ora rischia di farvi fare la fine peggiore (perdere la casa e avere guai penali).

D: Come incide la recente riforma fiscale 2024 sui trust già esistenti?
R: Il D.Lgs. 139/2024, in vigore dal 2025, ha introdotto l’art. 4-bis TUS che chiarisce la tassazione dei trust ai fini donazione/successione. Per i trust istituiti dopo l’entrata in vigore, la legge prevede espressamente la tassazione differita all’uscita verso beneficiario . Per i trust già esistenti, in teoria la legge nuova non si applica retroattivamente, ma trattandosi di norma di interpretazione autentica di un principio costituzionale (capacità contributiva), c’è da aspettarsi che l’Amministrazione allinei comunque la prassi (come aveva già fatto con la Circolare 34/E). Dunque, per i trust in essere, se dovesse capitare un accertamento su imposta di donazione, si potrà invocare la nuova norma come conferma dell’orientamento favorevole, chiedendo di applicarla in via interpretativa anche al passato (alcune tesi sostengono che sia interpretativa e quindi retroattiva) . Attenzione invece: la riforma prevede anche una opzione per la tassazione “in entrata” (pagare subito l’imposta sul valore conferito, come fosse donazione ai beneficiari). Questa potrebbe interessare chi vuole cristallizzare la tassazione ad aliquote correnti e franchigie attuali, specie in vista di possibili aumenti futuri delle imposte sulle successioni. È uno strumento di pianificazione: in pratica paghi ora per non pagare poi all’uscita (o pagare meno). Ogni trust case by case andrà valutato con consulenti se conviene optare. Sul fronte evasione, ciò non impatta molto: è più un tecnicismo per agevolare chi vuole mettersi in regola.

D: Se l’Agenzia delle Entrate mi contesta un trust, a chi devo rivolgermi per difendermi?
R: Trattandosi di materia complessa, l’ideale è rivolgersi a professionisti esperti in diritto tributario internazionale. Un avvocato tributarista con esperienza in trust e un commercialista esperto di fiscalità internazionale dovrebbero lavorare in team. Spesso nei casi grossi si coinvolge anche un notaio (per questioni civilistiche di validità del trust) e magari professionisti esteri (se servono pareri sulla legge straniera regolatrice del trust). Se c’è profilo penale, servirà anche un avvocato penalista tributarista. Insomma, è un ambito multidisciplinare. Diffidate del fai-da-te o del consulente improvvisato: errori nella difesa possono pregiudicare esiti (es. termini persi, prove non fornite tempestivamente). Considerate inoltre che a volte è possibile negoziare con l’Agenzia soluzioni transattive: qui conta molto l’esperienza del difensore nel saper interloquire con gli uffici locali o la controparte in giudizio.

Conclusioni

I trust opachi, nati come strumenti raffinati di gestione patrimoniale, sono finiti sotto i riflettori del Fisco italiano per gli abusi che ne sono stati fatti in chiave evasiva. Oggi la normativa e la giurisprudenza offrono armi affilate all’Amministrazione finanziaria per contrastare questi abusi – dal principio di effettività economica , alle presunzioni sui redditi esteri , fino alla cooperazione internazionale massiva . Un contribuente/debitore che abbia un trust deve esserne consapevole e agire di conseguenza: prevenire contestazioni con comportamenti corretti e, quando necessario, difendersi con tutti i mezzi legali e documentali a disposizione.

La chiave di volta è dimostrare la genuinità del trust. Se un trust ha una ragion d’essere lecita e non è stato creato solo per occultare ricchezze, ci sono buone probabilità di difenderlo con successo, appellandosi anche alle più recenti aperture normative (come il D.Lgs. 139/2024) e alle pronunce della Suprema Corte che hanno mostrato equilibrio (es. riconoscendo l’inopponibilità solo in presenza di chiari intenti simulatori). Viceversa, se il trust è meramente strumentale all’evasione, la difesa diventa debole: in tal caso può essere preferibile cercare un accomodamento (ad esempio adesione e pagamento del dovuto) per limitare i danni, piuttosto che incaponirsi in una causa persa che potrebbe aggravare anche il profilo penale.

In conclusione, il debito fiscale andrebbe gestito con trasparenza e dialogo: occultarlo dietro un trust opaco non è una soluzione sostenibile e, anzi, rischia di trasformare un problema tributario in uno più grande. Un trust è efficace se usato con anticipo e onestà di intenti; altrimenti, come la stessa Cassazione ha rimarcato, “il trust, ancorché valido nella forma, se usato per operazioni di occultamento dei redditi, sarà ignorato guardando alla sostanza” .

Chi però si trova nell’occhio del ciclone ha comunque diritti e strumenti di difesa: questa guida ha mostrato che le vie legali e le argomentazioni a favore del contribuente esistono e, con un’attenta strategia, possono condurre a esiti favorevoli o almeno ad attenuare sensibilmente le conseguenze. L’importante è agire tempestivamente, affidarsi a consulenti competenti e mantenere un atteggiamento collaborativo, fornendo al Fisco (e ai giudici) la prova che il trust in questione non è un semplice schermo opaco, ma qualcosa di più solido e legittimo.

Bibliografia e Fonti:

  • Codice Civile (artt. 2645-ter, 2740, 2901 c.c.); D.P.R. 917/1986 (TUIR: art. 44, art. 73); D.P.R. 600/1973 (art. 37 co.3); D.Lgs. 346/1990 (TUS, come mod. da D.Lgs. 139/2024 art. 4-bis); L. 212/2000 art. 10-bis; D.Lgs. 74/2000 art. 11;
  • Circolare Ag. Entrate 34/E/2022 – Disciplina fiscale dei trust ai fini imposte dirette e indirette;
  • Sentenze Cassazione: Cass. civ. 21614/2016; Cass. civ. 9742/2019; Cass. civ. 22754/2021; Cass. civ. 5746/2022; Cass. civ. 2334/2024; Cass. civ. 34075/2024; Cass. civ. 9096/2025; Cass. pen. 6737/2020; Cass. pen. 13844/2024;
  • Agenzia Entrate – Risposte interpello nn. 176/2023, 267/2023, 144-145/2025

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’utilizzo di un trust opaco come strumento di evasione fiscale? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

I trust opachi sono enti in cui i redditi prodotti non vengono imputati ai beneficiari, ma tassati direttamente in capo al trust. L’Agenzia delle Entrate può ritenere che il trust sia stato costituito in modo fittizio o elusivo, al solo scopo di occultare patrimoni o redditi, contestando quindi un uso improprio dello strumento.

👉 Prima regola: dimostrare che il trust ha una gestione autonoma e reale, non un mero schermo per nascondere ricchezze.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Trust esteri localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata;
  • Beneficiari individuabili di fatto, anche se non formalmente designati;
  • Disponente che mantiene il controllo totale dei beni conferiti;
  • Trasferimenti patrimoniali privi di giustificazione economica;
  • Trust creati poco prima di accertamenti o azioni esecutive.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Tassazione dei redditi imputata direttamente al disponente o ai beneficiari;
  • Recupero delle imposte non versate, con interessi;
  • Sanzioni tributarie per dichiarazione infedele o omessa;
  • Responsabilità patrimoniale diretta in caso di interposizione fittizia;
  • Rischio di procedimenti penali per evasione fiscale aggravata.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Atto istitutivo del trust: prevede regole chiare, indipendenza del trustee e finalità lecite?
  • Ruolo del trustee: era realmente autonomo nella gestione dei beni?
  • Rendicontazione annuale: sono stati redatti e conservati bilanci e relazioni di gestione?
  • Motivazione della contestazione: l’Agenzia ha prove concrete di evasione o solo presunzioni?
  • Residenza fiscale del trust: è stata determinata correttamente?

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Atto istitutivo e regolamento del trust;
  • Rendiconti annuali e bilanci del trust;
  • Estratti conto e documenti bancari intestati al trust;
  • Verbali delle decisioni del trustee;
  • Documentazione patrimoniale e contrattuale relativa ai beni conferiti.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’autonomia effettiva del trust e la sua gestione indipendente;
  • Provare le finalità legittime (protezione familiare, passaggi generazionali, gestione patrimoniale);
  • Contestare la presunzione di evasione se basata su elementi generici;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione insufficiente, irregolarità di notifica, decadenza;
  • Richiedere autotutela se la documentazione attestava già la legittimità del trust;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare la contestazione;
  • Difesa penale in caso di procedimenti per reati tributari.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la struttura e la gestione del trust contestato;
📌 Verifica se la riqualificazione fiscale dell’Agenzia è legittima;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre la pretesa fiscale;
⚖️ Ti assiste anche in sede penale in caso di contestazioni di evasione;
🔁 Suggerisce strategie preventive per istituire e gestire trust in modo trasparente e sicuro.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in fiscalità dei trust e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni di evasione tramite strumenti fiduciari;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui trust opachi usati per evasione non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni e interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità dello strumento, evitare la riqualificazione come evasione e proteggere il patrimonio conferito nel trust.

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