Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché l’utilizzo del Bonus Cultura 18app è stato considerato improprio? In questi casi, l’Ufficio presume che il beneficio sia stato usato per spese non ammesse dalla normativa o che vi siano state irregolarità nella procedura di utilizzo. La conseguenza è la revoca del bonus, con recupero delle somme spese e applicazione di eventuali sanzioni. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: è possibile difendersi dimostrando la correttezza delle spese effettuate.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta il Bonus Cultura 18app
– Se il bonus è stato utilizzato per acquisti non previsti (beni diversi da libri, musica, cinema, teatro, eventi culturali)
– Se i pagamenti non risultano tracciabili o correttamente registrati sulla piattaforma 18app
– Se emergono utilizzi in favore di soggetti diversi dal beneficiario originario
– Se vi sono incongruenze tra le ricevute fiscali e i dati comunicati dall’esercente
– Se l’importo del bonus è stato speso oltre i termini stabiliti
Conseguenze della contestazione
– Revoca del beneficio e obbligo di restituire le somme spese
– Applicazione di sanzioni per indebita fruizione del contributo
– Interessi di mora sulle somme da restituire
– Possibile segnalazione agli organi competenti per utilizzi fraudolenti
– Maggiori controlli su altri bonus o agevolazioni richiesti dal contribuente
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la regolarità degli acquisti con scontrini, ricevute e fatture conformi
– Produrre la documentazione rilasciata dall’esercente che attesti la natura culturale della spesa
– Contestare l’interpretazione restrittiva della normativa se la spesa rientra nello spirito del bonus
– Evidenziare errori tecnici della piattaforma o difetti di comunicazione tra esercente e sistema 18app
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della revoca
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le spese contestate e la normativa di riferimento sul Bonus Cultura
– Verificare la legittimità della revoca e la proporzionalità delle sanzioni applicate
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere il beneficiario davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare il diritto ad accedere pienamente alle agevolazioni culturali previste per i giovani
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della regolarità delle spese sostenute con il bonus
– La sospensione delle richieste di restituzione già avviate
– La certezza di mantenere il diritto ai benefici spettanti per legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la revoca del Bonus Cultura deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, la contestazione diventa definitiva.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e agevolazioni fiscali – spiega come difendersi in caso di contestazioni sul Bonus Cultura 18app e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Il Bonus Cultura 18App è un’agevolazione istituita nel 2016 in Italia per incentivare i diciottenni agli acquisti culturali, attraverso una carta elettronica da 500 euro destinata a spettacoli, libri, musei, musica e altre attività culturali . Sin dalla sua creazione (art. 1, comma 979, L. 208/2015, Legge di Stabilità 2016), la misura ha coinvolto centinaia di migliaia di giovani: per esempio, nei primi 13 mesi ne usufruirono circa 600.000 ragazzi nati nel 1998 . Tuttavia, nel corso degli anni sono emerse numerose criticità legate all’uso improprio del bonus. Alcuni beneficiari e operatori commerciali hanno sfruttato il sistema in modo fraudolento, utilizzando i voucher per acquisti non consentiti (ad esempio, dispositivi elettronici o altri beni estranei alle finalità culturali) o convertendo illegalmente il bonus in denaro contante anziché in beni culturali . Tali abusi hanno destato allarme nelle istituzioni: la Guardia di Finanza ha stimato frodi per circa 17 milioni di euro nell’utilizzo di 18App , rivelando la portata considerevole del fenomeno.
Di fronte a queste distorsioni, il legislatore è intervenuto con nuove norme a partire dal 2023, modificando radicalmente lo strumento. La Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha mandato in soffitta il bonus cultura 18App, sostituendolo con due nuove carte elettroniche cumulabili da 500 euro l’una: la Carta della Cultura Giovani e la Carta del Merito . Queste novità, operative dal 2024, introducono criteri più selettivi (limite di reddito e merito scolastico) e meccanismi anti-truffa rafforzati per “dire definitivamente addio alle frodi” secondo il Ministro della Cultura . Anche il quadro sanzionatorio è stato inasprito: la violazione delle regole d’uso del bonus oggi comporta sanzioni amministrative elevate (fino a 50 volte l’importo indebitamente ottenuto, con un minimo di 1.000 €) e misure severe a carico degli esercenti, come la sospensione dell’attività commerciale fino a 60 giorni nei casi più gravi .
In questa guida approfondita – rivolta ad avvocati, privati cittadini beneficiari e imprenditori esercenti – esamineremo il quadro normativo italiano aggiornato ad agosto 2025 in materia di bonus cultura e suoi succedanei, concentrandoci sugli usi impropri contestati e sulle possibili strategie di difesa dal punto di vista del “debitore” (cioè di chi riceve una contestazione e rischia di dover pagare sanzioni o restituire somme). Adotteremo un taglio giuridico ma divulgativo: dopo aver delineato la normativa di riferimento e le recenti riforme (18App vs. Carta Cultura Giovani e del Merito), passeremo in rassegna i casi tipici di abuso emersi nella prassi, le sanzioni amministrative e le conseguenze penali previste, per poi illustrare come difendersi efficacemente in sede amministrativa e giudiziaria. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti. L’obiettivo è fornire un quadro completo ed aggiornato, di livello avanzato, sul tema del bonus cultura contestato per uso improprio e sugli strumenti di tutela a disposizione di giovani beneficiari e operatori commerciali coinvolti.
Normativa di riferimento: dall’istituzione di 18App alle nuove Carte Cultura (2024)
Per contestualizzare il problema degli usi impropri e le relative sanzioni, occorre richiamare brevemente l’evoluzione normativa del bonus cultura in Italia:
- Introduzione di 18App (2016): Il bonus cultura nasce con la Legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di Stabilità 2016), che all’art. 1 comma 979 ha previsto per i residenti che compiono 18 anni nel 2016 una Carta elettronica del valore di 500 € finalizzata ad acquisti culturali . La misura fu resa operativa dal D.P.C.M. 15 settembre 2016 n. 187, che ne ha definito criteri e modalità di utilizzo . Inizialmente riservato ai nati 1998 (18enni del 2016), il bonus 18App è stato rifinanziato e confermato negli anni seguenti (con le Leggi di Bilancio successive) per le coorti di diciottenni dal 1999 in poi, divenendo un appuntamento fisso per ogni classe di neo-maggiorenni.
- Funzionamento di 18App: Il bonus veniva erogato in forma digitale tramite la piattaforma 18app.italia.it, accessibile con SPID. Ogni beneficiario poteva generare buoni elettronici (anche frazionabili) da spendere presso gli esercenti registrati, esclusivamente per beni e servizi rientranti in specifiche categorie culturali: biglietti per cinema, teatro, concerti, eventi culturali; ingressi a musei, monumenti, parchi archeologici; libri (anche ebook); musica registrata; corsi di lingua straniera, di musica o teatro; prodotti dell’editoria audiovisiva . Non erano consentiti acquisti di beni diversi (ad es. elettronica, moda, food, ecc.). Il bonus non costituiva reddito imponibile per il giovane né influiva sull’ISEE familiare . Gli esercenti, per accettare i buoni, dovevano registrarsi sull’apposito elenco tenuto dal Ministero della Cultura (MiC) e rispettare le condizioni d’uso.
- Abusi e prime reazioni: Già nelle prime edizioni di 18App, la Guardia di Finanza e altre autorità hanno riscontrato violazioni diffuse: alcuni esercizi compiacenti hanno consentito ai ragazzi di usare i 500 € per prodotti non ammessi (console, smartphone, computer, ecc.), spesso simulando vendite di libri o altri beni culturali inesistenti ; in altri casi, gli esercenti offrivano ai ragazzi la conversione “illecita” del buono in denaro (ad esempio, consegnando 200-300 € in contanti al beneficiario in cambio dell’utilizzo del voucher da 500 €) . Tali pratiche fraudolente, oltre a snaturare la finalità culturale del bonus, hanno cagionato un danno erariale significativo, stimato in decine di milioni di euro .
- Passaggio da 18App alle nuove Carte (2023-2024): La crescente consapevolezza dei limiti di 18App – sia in termini di equità (bonus “a pioggia” indipendentemente dal reddito) sia di vulnerabilità alle frodi – ha portato il legislatore, con la Legge 29 dicembre 2022 n. 197 (Bilancio 2023), ad abrogare l’ormai celebre 18App e istituire due nuovi strumenti selettivi. In particolare, l’art. 1 comma 630 L.197/2022 ha introdotto i commi 357, 357-bis e seguenti nella L. 234/2021, stabilendo che dal 2024 il bonus 18enni è sostituito da:
- Carta della Cultura Giovani: destinata ai residenti che compiono 18 anni (a partire dai nati 2005) appartenenti a nuclei familiari con ISEE non superiore a 35.000 € . Il contributo (500 €) è erogato nell’anno successivo al compimento dei 18 anni.
- Carta del Merito: destinata ai giovani (fino a 19 anni) che conseguono il diploma di maturità con votazione 100/100 . Anche questa carta vale 500 € utilizzabili nell’anno successivo al diploma.
Le due carte sono cumulabili: un diciottenne eccellente con basso ISEE può ottenere entrambe e dunque 1.000 € complessivi . Le finalità di spesa rimangono pressoché identiche a quelle di 18App (prodotti e attività culturali: libri, cinema, concerti, corsi, musei, ecc.) , e le somme erogate continuano a non costituire reddito né incidere sull’ISEE . In tabella riepiloghiamo le differenze tra il vecchio bonus 18App e le nuove carte:
Confronto | 18App (fino ai nati 2004) | Carte Cultura Giovani & Merito (dal 2024) |
---|---|---|
Importo | 500 € una tantum | 500 € Carta Cultura Giovani; 500 € Carta Merito (cumulabili) |
Requisiti | Tutti i residenti 18enni (nessuna soglia reddito o merito) | Carta Cultura: ISEE familiare ≤ 35.000 € <br> Carta Merito: voto maturità = 100/100 |
Nati coinvolti | 1998–2004 (diciottenni 2016–2022) | Dal 2005 in poi (diciottenni 2023 e seg.) |
Richiesta | Automatica via SPID su 18app (entro scadenze annuali) | Domanda da presentare su piattaforma MiC (es. finestra 31/1 – 30/6 dell’anno successivo ai 18 anni) |
Spesa consentita | Beni/servizi culturali (libri, musica, cinema, musei, ecc.) | Uguale (beni/servizi culturali indicati dal MiC) |
Termine utilizzo | Entro 31 dicembre dell’anno successivo all’assegnazione (es: nati 2004 → bonus spendibile entro 30/4/2024) | Edizioni annuali: per ogni annata beneficiari, carte utilizzabili entro il 31 dicembre dell’anno di erogazione (edizione 2025: spendibile entro 31/12/2025) |
Normativa sanzioni | Generale (art. 316-ter c.p. e L.689/1981 per illeciti amm.; previsti poteri di Prefetto su esercenti da 2020) | Specifica (L.197/2022 commi 357-quater e quinquies: disattivazione carte, radiazione esercenti, multe 10-50x importo indebito, sospensione attività) |
Nota: le nuove carte sono entrate in vigore formalmente il 31 gennaio 2024 (data di efficacia del D.M. 29 dicembre 2023 n. 225, regolamento attuativo ). In pratica, i nati nel 2005 (18enni del 2023) hanno iniziato a poterne usufruire nel 2024, mentre per i nati 2006 (18enni del 2024) la procedura di richiesta è aperta dal 31 gennaio 2025 al 30 giugno 2025 , con utilizzo dei 500 € (o 1000 € se cumulati) entro fine 2025 . Questo significa che, mentre scriviamo (agosto 2025), il vecchio 18App è definitivamente chiuso – l’ultima tranche (nati 2004) ha potuto spendere il bonus fino al 30 aprile 2024 – e sono in corso le prime edizioni delle nuove Carte Cultura Giovani e Merito.
Sul piano normativo va ricordato che già il regime 18App, specie a partire dal 2020, contemplava alcune misure di contrasto agli abusi. Ad esempio, era previsto che il Ministero vigilasse sul corretto funzionamento e potesse disattivare la Carta o escludere dall’elenco gli esercenti in caso di usi difformi o violazioni delle condizioni . Inoltre, una modifica normativa aveva attribuito al Prefetto il potere di sospendere l’attività commerciale degli esercenti responsabili di violazioni (norma poi ripresa e ampliata con la riforma 2023) . Come vedremo, però, la vera svolta sanzionatoria è arrivata con la Legge di Bilancio 2023, che ha introdotto un articolato regime di sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive specifico per il bonus cultura, oltre a chiarire – anche per via giurisprudenziale – i confini tra illecito amministrativo e reato penale in questo ambito.
Nei paragrafi seguenti analizzeremo i casi tipici di uso improprio del bonus, le sanzioni previste (amministrative e penali) e soprattutto come un soggetto accusato di utilizzo indebito possa difendersi, facendo valere i propri diritti ed eventualmente attenuare o annullare le sanzioni.
Uso improprio del bonus cultura: casi tipici e schemi fraudolenti
Che cosa si intende per uso improprio o illecito del Bonus Cultura? In generale, qualsiasi utilizzo del voucher in violazione delle finalità e regole stabilite dalla legge configura un uso indebito. Possiamo distinguere diverse fattispecie ricorrenti, emerse anche attraverso le indagini svolte dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia Postale in questi anni:
- Acquisto di beni non consentiti: è il caso più comune. Il bonus 18App doveva essere speso in prodotti culturali ben definiti (libri, ingressi a eventi, musica, ecc.), ma migliaia di giovani lo hanno utilizzato per comprare tutt’altro – tipicamente articoli di elettronica di consumo (console da gioco, smartphone, tablet, componenti PC) o altri beni esclusi. Ciò è avvenuto grazie alla complicità di alcuni esercenti: ad esempio, come emerso in un’operazione condotta dalla GdF di Jesi, un negozio vendeva a circa 2.500 ragazzi computer e telefoni mascherandoli come prodotti culturali, aggirando i controlli . In questo schema, il commerciante registrava fittiziamente la vendita come se rientrasse nelle categorie ammesse (ad es. libri o audiovisivi), permettendo così ai giovani di spendere il bonus su articoli altrimenti vietati. Tali pratiche configurano un uso illecito, poiché violano le “condizioni di utilizzo” del bonus che escludono espressamente quegli articoli . Si noti che anche sotto il nuovo regime Carta Cultura Giovani/Merito i beni acquistabili restano solo quelli culturali, quindi qualunque spesa extra ambito culturale costituisce un’irregolarità.
- Conversione del bonus in denaro (“cashback” illecito): questo stratagemma fraudolento, vietato in modo assoluto, è stato purtroppo molto diffuso. Consiste nel trasformare il valore del voucher in soldi contanti o simili, anziché usarlo per beni culturali. Lo schema tipico vede un esercente compiacente che “compra” il bonus dal giovane: in pratica il ragazzo cede il proprio buono 18App (o il codice generato) al negoziante e in cambio riceve una somma di denaro, ovviamente inferiore (spesso tra 100 e 300 euro per ogni 500 di buono) . L’esercente poi riscatta i 500 € dallo Stato simulando una vendita mai avvenuta, lucra sulla differenza e il giovane ottiene liquidità immediata rinunciando al bonus culturale. In alcuni casi venivano elargite anche ricariche su carte prepagate (Postepay) al posto del contante . Un’indagine del 2023 a Giugliano (Napoli) ha rivelato che un edicolante, tra 2017 e 2018, aveva monetizzato ben 530 buoni 18App, incassando circa 265.000 € dallo Stato e restituendo ai giovani solo 150-300 € ciascuno . Nessun bene veniva realmente ceduto, come provato dal fatto che l’esercente non aveva mai avuto a magazzino libri o altri prodotti equivalenti alle transazioni dichiarate . Questa condotta è particolarmente grave: non solo vìola le regole d’uso (il buono è personale e spendibile solo in cultura, non cedibile né convertibile in denaro), ma presenta gli estremi della frode ai danni dello Stato, come vedremo meglio in sede penale.
Figura 1: Sequestro di denaro contante nell’ambito di un’indagine sul bonus cultura. In alcuni casi, esercenti compiacenti “acquistavano” il voucher 18App dai giovani, restituendo loro una parte in contanti e incassando il rimborso pubblico completo, in palese violazione delle finalità culturali del bonus.
- Vendite simulate e false fatturazioni: strettamente collegato ai casi precedenti, questo modus operandi riguarda organizzazioni criminali più strutturate. Un esempio clamoroso è l’operazione “18App” condotta dalla GdF di Ercolano (Napoli): una libreria, in concorso con intermediari, ha simulato la vendita di migliaia di libri mai consegnati per riscuotere indebitamente i rimborsi statali dei bonus cultura . In circa quattro anni, il sodalizio ha ottenuto il rimborso di circa 6.400 voucher 18App, per un valore di 3 milioni di euro a danno del MiC . Il meccanismo prevedeva false registrazioni contabili e fatture fittizie: i giovani beneficiari fornivano le credenziali del proprio bonus agli organizzatori, i quali li “spendevano” presso l’esercizio compiacente emettendo fatture per libri o altri beni culturali mai venduti . Tutto avveniva tramite la piattaforma informatica del bonus, sfruttando l’assenza di controlli preventivi stringenti. Inizialmente, alcuni giudici avevano ritenuto che, mancando un’effettiva verifica immediata da parte del Ministero, non vi fosse un vero artificio o raggiro ai danni dello Stato, qualificando il fatto come un mero illecito amministrativo (indebita percezione) e non come truffa . La Cassazione però è intervenuta (sent. Sez. II n. 37661/2023) affermando che la sistematica simulazione di acquisti culturali per convertire il bonus in denaro integra comunque una truffa aggravata ai danni dello Stato, anche se i controlli statali sono solo eventuali o a posteriori . Torneremo su questo importante punto giurisprudenziale. In termini pratici, casi come questo hanno portato a arresti e sequestri ingenti: nell’operazione citata, 4 persone sono finite agli arresti domiciliari e sono stati sequestrati beni per circa 3 milioni di euro .
- Uso di credenziali SPID rubate o false (“truffa informatica”): un ulteriore scenario illecito è emerso recentemente (2023-2025) con la diffusione dell’identità digitale. La Polizia Postale ha scoperto frodi in cui gruppi di criminali attivavano SPID paralleli o falsi a nome di ignari diciottenni per appropriarsi del loro bonus cultura . In pratica, attraverso complicità in alcuni uffici di registrazione, venivano create credenziali SPID senza il reale coinvolgimento del giovane avente diritto; i truffatori accedevano così alla piattaforma 18App al posto del titolare, generavano il voucher da 500 € e lo utilizzavano presso esercizi “fittizi” da loro controllati, emettendo false fatture per ottenere dal MiC il rimborso . Si tratta di una frode informatica aggravata: nel giugno 2025 la Procura di Firenze ha coordinato un’operazione con 10 perquisizioni e 10 persone denunciate, accusate a vario titolo di frode informatica, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e riciclaggio dei proventi . L’indagine ha rivelato oltre 2.500 SPID irregolari utilizzati per emettere circa 2.000 voucher validati da 7 esercenti compiacenti in varie regioni . Fortunatamente, il MiC è riuscito a sospendere tempestivamente i rimborsi illeciti, bloccando un danno ulteriore: erano già stati sottratti circa 400.000 € e la sospensione ha impedito che tale cifra lievitasse . In questi casi i giovani sono vittime inconsapevoli (si sono visti “bruciare” il bonus da altri, al punto che in 70 hanno sporto denuncia); i reati contestati ricadono su chi ha architettato il sistema (in genere titolari degli SPID fraudolenti e falsi esercenti).
- Altre violazioni: ci sono poi condotte meno eclatanti ma comunque vietate, ad esempio: il beneficiario che cede il proprio buono a terzi (amico o parente) perché lo usino al posto suo; oppure l’acquisto di gift card o buoni di spesa non direttamente riconducibili a beni culturali (ad esempio alcuni cercavano di convertire il bonus in buoni Amazon di uso generale – pratica che Amazon ha dovuto bloccare limitando la conversione solo all’acquisto di prodotti librari e affini). Ancora, tentativi di doppia fruizione (un giovane che prova a riscattare due volte il bonus usando magari un secondo SPID fraudolento) o l’uso del bonus oltre la scadenza attraverso escamotage, sono tutti comportamenti che, se scoperti, configurano un indebito utilizzo. Vale anche la pena ricordare che presentare dichiarazioni false per ottenere il bonus – ad esempio, nel nuovo sistema, falsificare l’attestazione ISEE per far risultare il reddito sotto soglia, o dichiarare un voto di maturità diverso – costituisce anch’esso un illecito grave, potenzialmente un reato di falso ideologico oltre che una truffa ai danni dello Stato.
In sintesi, ogni deviazione dalle regole d’uso tracciate dalla normativa sul bonus cultura integra un uso improprio. Dai casi più semplici (comprare qualcosa di non ammesso) a quelli più organizzati (monetizzazione fraudolenta, finte vendite di massa, SPID rubati), il comune denominatore è l’indebita fruizione di una erogazione pubblica destinata ad altro scopo. Vediamo ora quali sanzioni prevede la legge per chi si rende responsabile di tali condotte, distinguendo tra il piano amministrativo e quello penale.
Sanzioni amministrative per l’uso illecito del bonus cultura
Dal punto di vista amministrativo-contabile, chi utilizza in modo improprio il bonus cultura subisce due conseguenze fondamentali: da un lato è tenuto alla restituzione delle somme indebitamente percepite (in sostanza, la revoca del beneficio e il recupero dell’importo da parte dello Stato) e dall’altro può essere colpito da una sanzione pecuniaria amministrativa (multa) calcolata in proporzione all’importo indebito. Inoltre, per gli operatori commerciali sono previste sanzioni accessorie come la cancellazione dagli esercenti accreditati e la sospensione dell’attività.
Le norme sanzionatorie sono state rafforzate dall’intervento legislativo del 2022. In precedenza, per i casi di indebita fruizione del bonus cultura si faceva riferimento principalmente alla disciplina generale dell’art. 316-ter del Codice Penale (“indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”) nella sua parte amministrativa. Tale articolo infatti prevede che se l’importo indebitamente ottenuto è pari o inferiore a € 3.999,96, il fatto non è reato ma comporta solo un illecito amministrativo, punito con la sanzione del pagamento di una somma da 5.164 € a 25.822 € (fino al triplo del beneficio indebito) . Molti giovani sorpresi ad aver abusato del bonus (importi di poche centinaia di euro ciascuno) sono dunque incorsi in sanzioni amministrative determinate secondo questo criterio: ad esempio, i 530 neo-diciottenni coinvolti nello schema dell’edicolante di Giugliano si sono visti contestare una sanzione di 1.500 € ciascuno, pari a tre volte i 500 € di bonus utilizzati in modo illecito . Analogamente, in un caso nelle Marche sono state contestate sanzioni per oltre 2.700.000 € complessivi a carico di circa 2.500 giovani e di un’imprenditrice, a seguito della scoperta di acquisti illegittimi di prodotti elettronici con 18App . Il calcolo, in quel caso, corrispondeva grosso modo a sanzioni di circa 1.080 € a ragazzo (segno che non tutti avevano speso l’intero bonus, oppure che è stato applicato un importo nei pressi del minimo edittale e non il triplo esatto per ciascuno).
Con la Legge 197/2022 le sanzioni amministrative relative al bonus cultura sono state tipizzate e inasprite nei nuovi commi 357-quater e 357-quinquies dell’art. 1 L. 234/2021. In sintesi:
- Recupero del beneficio e misure cautelari (comma 357-quater): il Ministero della Cultura vigila sull’uso delle carte e, in caso di usi difformi o violazioni delle disposizioni attuative, può procedere alla disattivazione della Carta, alla cancellazione dell’esercente dall’elenco accreditati, al diniego di ulteriori accrediti e soprattutto al recupero delle somme indebitamente rendicontate o spese per acquisti non ammessi . Inoltre, in via cautelare, il MiC può sospendere l’erogazione di rimborsi in corso oppure – nei casi di condotte più gravi o reiterate – sospendere temporaneamente l’esercente dall’elenco dei soggetti accreditati . Si tratta di misure amministrative immediate per bloccare l’illecito e prevenire aggravi del danno erariale (come abbiamo visto nell’esempio degli SPID falsi, il Ministero ha sospeso i pagamenti appena rilevato l’anomalia, per evitare di erogare altri rimborsi illeciti ).
- Sanzione pecuniaria e sospensione attività (comma 357-quinquies): oltre al recupero delle somme, la legge prevede ora espressamente una multa amministrativa salata. Testualmente, “Nei casi di violazione di cui al comma 357-quater, ove il fatto non costituisca reato, il prefetto dispone a carico dei trasgressori l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra dieci e cinquanta volte la somma indebitamente percepita o erogata e comunque non inferiore a 1.000 euro, nel rispetto delle norme di cui alla L. 689/1981” . Dunque il minimo edittale è di 10 volte l’importo illecito (con un floor di 1.000 €) e il massimo è 50 volte tanto. Questo intervallo è molto più severo del precedente “triplo” previsto dall’art. 316-ter c.p. comma 2 – che comunque continua ad applicarsi come regola generale in altre situazioni, ma per il bonus cultura la norma speciale deroga a quella generale in virtù del principio di specialità. Inoltre, lo stesso comma stabilisce che “il prefetto, tenuto conto della gravità del fatto, delle conseguenze e dell’eventuale reiterazione, dispone altresì la sospensione dell’attività della struttura/esercizio sanzionato per un periodo non superiore a sessanta giorni” . Quest’ultimo potere riprende una previsione già discussa in sede di conversione dei decreti nel 2020 e poi confermata: il Prefetto può chiudere temporaneamente il negozio/impresa che abbia abusato del bonus, ad esempio sospendendo la licenza fino a 2 mesi, in caso di illeciti particolarmente gravi o ripetuti.
Riassumendo in termini pratici, oggi un diciottenne che ha speso indebitamente i 500 € del bonus rischia una multa da 5.000 € fino a 25.000 €, a discrezione del Prefetto, oltre naturalmente a dover restituire i 500 € originari. Un commerciante che abbia incassato, poniamo, 10.000 € di rimborsi illeciti, rischia una sanzione da 100.000 € fino a 500.000 €, e nei casi più seri anche la chiusura forzata del negozio per alcune settimane. Rimane fermo che, ove il fatto integri estremi di reato, si procede in sede penale (come dettaglieremo tra poco) e le sanzioni amministrative pecuniarie si applicano solo “ove il fatto non costituisca reato” . Questo significa che non vi sarà doppia punizione: se un caso viene perseguito penalmente (ad es. per truffa aggravata), non si applicherà la multa amministrativa prefettizia in base al principio di specialità/sussidiarietà (art. 9 L. 689/1981). Invece, nei casi in cui, pur essendoci violazione, non si procede penalmente (perché il fatto è di lieve entità o perché manca l’elemento delittuoso), allora interviene la via amministrativa con le sanzioni suddette.
Di seguito uno schema riepilogativo delle sanzioni amministrative:
Violazione amministrativa Bonus Cultura | Sanzioni e provvedimenti | Riferimenti normativi |
---|---|---|
Uso difforme del bonus (acquisti non ammessi, utilizzo fraudolento senza rilievo penale) | – Revoca/disattivazione del bonus (Carta) <br> – Recupero integrale delle somme indebitamente spese (rimborso al MiC) <br> – Multa pecuniaria dal 10x al 50x dell’importo indebito (minimo 1.000 €) <br> – Cancellazione dall’elenco esercenti accreditati (per i negozianti) <br> – Sospensione cautelare dei rimborsi in corso | L. 234/2021 art. 1 commi 357-quater e 357-quinquies, introdotti da L. 197/2022 art. 1 c.630 ; <br> Art. 316-ter c.p., c.2 (illecito amm. se importo ≤ €3999,96) |
Uso reiterato o grave (violazioni multiple, accordo sistematico esercente-beneficiari) | – Oltre a quanto sopra, sospensione dell’attività commerciale fino a 60 giorni disposta dal Prefetto <br> – Segnalazione all’autorità giudiziaria per eventuali profili penali | L. 234/2021 art. 1 c.357-quinquies (ultimo periodo) ; <br> D.L. 24/2023 conv. L. 87/2023 (poteri prefetto) |
Procedimento amministrativo: l’accertamento di un uso indebito del bonus viene solitamente eseguito dalla Guardia di Finanza o da altre forze di polizia (talvolta su segnalazione del MiC stesso, che monitora le transazioni anomale). Ad esempio, la GdF esegue controlli incrociati sui codici spesa: se un esercente dichiara vendite di libri per importi enormi e sproporzionati rispetto al suo magazzino, scatta l’ispezione . Quando viene riscontrata una violazione amministrativa, gli organi accertatori redigono un verbale di contestazione ai sensi della L. 689/1981, notificandolo agli interessati (beneficiario e/o esercente) entro i termini previsti (in genere 90 giorni dall’accertamento, se la violazione è locale, ex art. 14 L.689/81). Nel verbale sono indicati i fatti contestati, le norme violate e la sanzione applicabile. Entro 30 giorni dalla notifica il presunto trasgressore può presentare scritti difensivi e documenti al Prefetto competente e chiedere di essere sentito . Si tratta di un’opportunità fondamentale per la difesa in sede amministrativa: ad esempio, il giovane potrebbe eccepire di non aver effettivamente commesso l’illecito (scambio di persona, SPID rubato, errore di identificazione del buono) o invocare circostanze attenuanti (es. assenza di dolo grave, ignoranza scusabile delle regole, comportamento indotto dall’esercente). L’esercente, da parte sua, potrebbe nelle memorie difensive sostenere che la vendita contestata rientrava in categorie ammesse o che vi è stato un malinteso (caso limite: un prodotto borderline, come un dispositivo di lettura ebook, scambiato per elettronica). In ogni caso, trascorsi 30 giorni, il Prefetto esamina gli atti e gli eventuali scritti difensivi e adotta un’ordinanza-ingiunzione con cui determina la sanzione (entro i limiti di legge) oppure emette un’ordinanza di archiviazione se ritiene infondata la contestazione (artt. 18 e 19 L.689/81). L’ordinanza ingiunzione viene notificata all’interessato e costituisce titolo esecutivo per riscuotere la somma indicata.
Pagamento e riscossione: una volta emessa l’ingiunzione, il destinatario deve pagare la sanzione entro il termine indicato (di solito 30 giorni). In difetto, si procederà ad iscrizione a ruolo e riscossione coattiva (affidata all’Agenzia Entrate-Riscossione, con emissione di cartella esattoriale). Data l’entità spesso elevata di queste multe, il trasgressore può chiedere una rateizzazione al Prefetto o all’ente riscossore in base alle normative generali (ad esempio, l’art. 26 L.689/81 consente al Prefetto di concedere il pagamento rateale per importi sopra 2.000 €, fino a 30 rate mensili). Va sottolineato che il pagamento estingue la sanzione, ma non estingue il reato eventualmente configurabile (nel caso in cui parallelamente vi sia un procedimento penale, che segue il suo corso a prescindere dall’esito della sanzione amministrativa, salvo il principio ne bis in idem come detto). Il pagamento inoltre non restituisce il beneficio: il bonus indebitamente usato è perso e le somme recuperate tornano allo Stato.
Ricorso giurisdizionale: contro l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto, il destinatario può proporre opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria entro 30 giorni (o 60 giorni se risiede all’estero), ex art. 22 L. 689/81. Competente è il Giudice di Pace o il Tribunale a seconda della materia e dell’entità: nel caso di sanzioni di questa natura (riconducibili in origine a violazioni di disposizioni penali), l’opposizione va proposta innanzi al Tribunale civile in composizione monocratica del luogo dell’illecito. Il giudice, con rito sommario di cognizione, valuta nel merito la fondatezza della violazione e può confermare, annullare o anche ridurre la sanzione (ma non può aggravare la posizione del ricorrente). Ad esempio, se un giovane oppone la multa di 5.000 € sostenendo di non aver mai ceduto il buono ma di averlo utilizzato per comprare effettivamente un bene culturale, il Tribunale riesaminerà le prove: se riscontra che la contestazione prefettizia era erronea (magari uno scambio di nominativo, o la merce rientrava tra quelle permesse), potrà annullare l’ordinanza ingiunzione. Oppure, se riconosce la violazione ma ritiene che il Prefetto abbia inflitto 50 volte l’importo in assenza di particolare gravità, potrà ridurre la multa al minimo edittale (10 volte). La sentenza del Tribunale è appellabile solo in Cassazione.
Sospensione attività commerciale: merita un cenno la chiusura temporanea dell’esercizio, sanzione accessoria per i commercianti. Questo provvedimento (fino a 60 giorni) viene disposto dal Prefetto valutando la gravità o reiterazione delle violazioni . Ad esempio, nel caso dell’edicolante di Giugliano che aveva monetizzato 530 buoni, sarebbe astrattamente giustificabile una sospensione dell’edicola, data la pluralità di atti e il lucro conseguito. In pratica, questo strumento è pensato come deterrente forte: un esercente rischia non solo una multa molto alta, ma anche di dover chiudere bottega per uno o due mesi, con ulteriore danno economico e reputazionale. Il provvedimento di sospensione è anch’esso soggetto a possibile impugnazione (ricorso gerarchico al Ministero dell’Interno o ricorso al TAR, trattandosi di atto amministrativo di pubblica sicurezza).
Infine, va ricordato che tutte queste sanzioni amministrative trovano applicazione solo se non si procede in sede penale. Quando infatti l’uso improprio configuri un reato (truffa, indebita percezione penale, etc.), si seguirà il percorso giudiziario penale e, in caso di condanna, si applicheranno le pene previste dalla legge penale (spesso comprendenti la confisca delle somme/profitti illeciti, equivalente al recupero). Ecco perché è fondamentale inquadrare correttamente quando un illecito da 18App resta amministrativo e quando diventa penale, cosa che chiariremo nel prossimo paragrafo. Prima di ciò, vale la pena sottolineare che le sanzioni amministrative sopra descritte si applicano anche alle nuove Carte Cultura Giovani e Merito: anzi, esse sono state scritte pensando proprio al nuovo sistema, ma valgono ovviamente anche per l’ultimo periodo di 18App (2022-23) in virtù della continuità normativa. Dunque, un abuso commesso nel 2024 su Carta Cultura Giovani (es. un 18enne che usa i 500 € per comprare una console) sarà sanzionato nello stesso modo di un abuso commesso nel 2022 su 18App, fatte salve le specificità del caso concreto.
Profili penali: reati connessi all’uso improprio del bonus (truffa, indebita percezione, ecc.)
Oltre alle sanzioni amministrative, l’utilizzo illecito del bonus cultura può dar luogo a responsabilità penale a carico dei soggetti coinvolti, qualora ricorrano gli estremi di specifici reati previsti dal Codice Penale. Le fattispecie penalmente rilevanti che tipicamente entrano in gioco sono principalmente due: l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). Vi possono poi essere reati connessi come la frode informatica (art. 640-ter c.p.), la falsità ideologica in atti (se vengono falsificati documenti o dichiarazioni), l’autoriciclaggio dei proventi illeciti (art. 648-ter.1 c.p.) e, nei casi organizzati, l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.). Esaminiamo i due principali reati base e i relativi confini:
- Indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.): questo reato punisce chiunque, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omettendo informazioni dovute, ottiene indebitamente per sé o per altri contributi, finanziamenti o altre erogazioni da parte dello Stato o enti pubblici, se il fatto non costituisce il più grave reato di truffa (art. 640-bis). La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 3 anni se l’importo indebitamente ottenuto supera 4.000 €; se pari o inferiore a tale cifra, come già detto, non è reato ma illecito amministrativo (sanzione pecuniaria) . L’art. 316-ter è dunque una norma sussidiaria rispetto alla truffa aggravata: si applica quando manca l’elemento dell’“artificio o raggiro” tipico della truffa, ossia quando l’indebita erogazione è stata ottenuta con mezzi non fraudolenti ma semplicemente mendaci (false attestazioni, omissioni, senza indurre attivamente in errore l’ente erogatore) . Nel contesto del bonus cultura, 316-ter potrebbe configurarsi ad esempio se un beneficiario o esercente ha reso una dichiarazione falsa senza ulteriori artifizi per ottenere il beneficio: pensiamo al caso di un esercente che autodichiari il falso (es.: dichiara vendite di libri mai avvenute, ma limitandosi a inserire dati falsi senza altri stratagemmi) e ottenga rimborsi per somme modeste; oppure a un giovane che in fase di registrazione presenti un documento di identità falso per ottenere il bonus due volte. Se la condotta ingannevole è “semplice” e l’importo totale oltrepassa i 4.000 €, si configurerebbe 316-ter (reato); se l’importo è minore, è illecito amministrativo. Tuttavia, come vedremo fra poco, molte condotte inizialmente inquadrate come 316-ter sono state invece ricondotte alla truffa aggravata dalla giurisprudenza, specie quando si tratta di operazioni sistematiche.
- Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.): è una forma di truffa (art. 640 c.p.) caratterizzata dallo scopo di ottenere indebitamente contributi o finanziamenti pubblici. Si ha quando l’autore, con artifizi o raggiri, induce in errore l’ente erogatore e procura a sé o ad altri l’ingiusto profitto (l’erogazione) con danno per lo Stato. La pena è la reclusione da 1 a 6 anni (più alta della truffa semplice, che è max 5 anni). Nel caso del bonus cultura, la truffa aggravata si configura in tutti gli schemi dove esiste una messa in scena fraudolenta per incassare il bonus: false vendite, false fatture, simulazione di transazioni, utilizzo di piattaforme con credenziali rubate, accordi occulti per monetizzare i buoni, ecc. In queste ipotesi, i “raggiri” sono evidenti: il sistema informatico del Ministero (e quindi lo Stato) viene indotto in errore perché crede di rimborsare una spesa culturale legittima mentre in realtà sta rimborsando qualcosa di fittizio o non consentito . La Cassazione ha chiarito in più occasioni che anche l’assenza di un controllo umano immediato non esclude il raggiro: approfittare della fiducia insita nel sistema auto-dichiarativo digitale costituisce comunque un artificio fraudolento . Ad esempio, nella sentenza Cass. n. 37661/2023 la Corte Suprema ha statuito che “L’illecita conversione in denaro del bonus cultura, simulando l’acquisto di beni/servizi previsti, integra l’ipotesi di truffa aggravata ex art. 640-bis c.p., a nulla rilevando né che le verifiche siano previste solo in forma eventuale e successiva, né la possibile mancanza di diligenza da parte dell’ente erogatore nei controlli, poiché tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo truffaldino” . In altre parole: non si può giustificare dicendo “tanto il Ministero non controllava prima, quindi non ho ingannato nessuno” – il raggiro c’è stato (dati falsi immessi) e la fiducia riposta dallo Stato nel dichiarante fa parte del meccanismo ingannato. Questa pronuncia ha ribaltato l’orientamento di alcuni giudici di merito che, come detto, avevano qualificato certi casi come semplici indebite percezioni amministrative . Anche una recente operazione della GdF di Ancona conferma la linea dura: un negozio di elettronica coinvolto in acquisti illegittimi di smartphone con 18App è finito sotto processo e, dopo la condanna, il Tribunale ha disposto la confisca di 530.000 € di beni agli imprenditori, ritenendo provata la frode (operazione “18App” a Jesi) .
In sintesi, attualmente la tendenza è considerare i grossi abusi di 18App come truffe aggravate (640-bis c.p.) – più gravi, perseguibili penalmente anche per somme ingenti e con pene fino a 6 anni – mentre l’indebita percezione (316-ter) copre situazioni più residuali o di minor dolo (spesso neppure contestata se l’importo è modesto, perché come visto sotto 4.000 € diventa illecito amm. e viene trattato in via amministrativa).
Esempi concreti: Nel caso dell’edicolante di Giugliano (265.000 € ottenuti convertendo buoni in soldi), inizialmente si è proceduto con sanzioni amministrative . Tuttavia, un’altra indagine parallela su scala più ampia (quella della libreria di Ercolano, 3 milioni di euro) ha portato a misure cautelari penali per truffa aggravata ai danni dello Stato, associazione a delinquere e autoriciclaggio nei confronti degli indagati . La differenza sta nel modus operandi: quest’ultima organizzazione presentava caratteri di professionalità criminale e collusione organizzata, tanto da configurare un’associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato . Tre membri del gruppo sono finiti agli arresti domiciliari e uno con obbligo di dimora, con sequestro di beni fino a 3 milioni di euro . Anche nella frode degli SPID falsi (Procura di Firenze 2025), le ipotesi di reato contestate sono state frode informatica (art. 640-ter c.p.) per l’accesso abusivo al sistema e truffa aggravata per erogazioni pubbliche (640-bis) per l’indebito incasso dei voucher, oltre a riciclaggio/autoriciclaggio per aver movimentato i proventi .
Altri reati correlati: in alcuni casi possono emergere ulteriori profili penali:
– Falsità in atti: se vengono falsificati documenti (es. certificati di diploma per ottenere la Carta del Merito senza averne diritto, o documenti d’identità per SPID) si configurano reati di falso (artt. 476 ss. c.p.).
– Ricettazione o autoriciclaggio: chi riceve denaro proveniente dalla monetizzazione illecita potrebbe rispondere di riciclaggio/reati finanziari. Ad esempio, i titolari dell’organizzazione Ercolano sono accusati anche di autoriciclaggio per aver reimpiegato i profitti della truffa .
– Associazione per delinquere: quando più persone si accordano stabilmente per commettere queste frodi su larga scala, scatta l’art. 416 c.p. (pene da 3 a 7 anni per i promotori). Come citato, nel caso Ercolano 2023 sono stati contestati 416 c.p. + 640-bis c.p. + 648-ter.1 c.p. a 9 indagati .
Dal punto di vista del “debitore”, ossia della persona chiamata in causa penalmente, è cruciale sapere che:
– La prescrizione del reato di truffa aggravata è di 6 anni (prorogabili fino a 7 anni e mezzo con atti interruttivi), mentre per l’indebita percezione (316-ter) è di 5 anni (prorogabili a 6 e mesi). Quindi lo Stato ha diversi anni di tempo per perseguire penalmente gli illeciti, e infatti molte indagini hanno riguardato buoni utilizzati 4-5 anni prima (es. nel 2023 si è proceduto per frodi commesse nel 2017-2018) .
– In caso di condanna penale, oltre alla pena detentiva (spesso sospesa se incensurati e pena contenuta) e/o pecuniaria, scatta quasi sempre la confisca obbligatoria del profitto del reato (art. 640-quater c.p.). Ciò significa che i soldi indebitamente ottenuti vengono confiscati allo scopo di restituirli alla pubblica amministrazione danneggiata. Ad Jesi, come visto, dopo la condanna per indebito ai danni dello Stato è stata eseguita la confisca di depositi bancari, immobili e contanti per 530.000 € agli imprenditori coinvolti (che corrisponde grossomodo all’importo indebito incassato). Quindi, che lo Stato agisca in via amministrativa o penale, in ogni caso mira a rientrare in possesso delle somme erogate indebitamente.
– La condanna penale comporta l’iscrizione del reato nel casellario giudiziale e possibili effetti pregiudizievoli (interdizioni dai pubblici uffici, problemi se si concorre a appalti pubblici o si partecipano ad altri bandi di contributo, ecc.). Inoltre, il giudice penale può applicare sanzioni accessorie come l’interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività commerciale (ad esempio, nel caso di truffa aggravata professionale, può essere disposta a titolo di pena accessoria la sospensione dall’attività imprenditoriale per la durata della pena).
Come si difende penalmente un soggetto accusato? Il beneficiario medio (diciottenne) raramente viene trascinato in sede penale se l’importo è di poche centinaia di euro – in tal caso si preferisce sanzionarlo amministrativamente. Tuttavia, se un giovane partecipa attivamente a un disegno truffaldino organizzato (ad es. raccoglie decine di buoni dei compagni per consegnarli al commerciante fraudolento, guadagnandoci), potrebbe essergli contestato un concorso nel reato o addirittura l’associazione a delinquere. In tal caso, la difesa punterà magari a dimostrare un ruolo marginale, la giovane età e l’assenza di vantaggi significativi, per ottenere magari la derubricazione in illecito amministrativo o l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità (art. 131-bis c.p., se il fatto è isolato e di basso impatto). L’esercente o organizzatore, se finisce imputato, potrà cercare di negoziare una pena patteggiata (ridotta di 1/3) soprattutto restituendo il maltolto: la restituzione integrale delle somme truffate prima del giudizio infatti è un elemento che può attenuare la pena (spesso la Procura la pretende come condizione per accordare il patteggiamento). In alcuni casi, gli imputati hanno contestato la qualificazione giuridica dei fatti: come visto, hanno provato a sostenere che non c’era raggiro e quindi non era truffa , ma la Cassazione li ha smentiti . Dunque quella strada difensiva appare oggi chiusa. Rimane la possibilità di richiedere misure alternative alla detenzione: se si viene condannati ad esempio a 2 anni (per importi medio-alti), un incensurato può chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali o la sospensione condizionale della pena. In generale, però, per i casi più organizzati, le Procure e i Tribunali tendono a mostrare severità: emblematiche le parole del GIP di Napoli nel 2023, che ha applicato le misure cautelari ritenendo l’attività “un’articolata operazione fraudolenta e vietata” che ha prodotto “ingenti rimborsi” e profitti cospicui per gli indagati .
Da ultimo, va segnalato un possibile riflesso sul piano della responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001): se la frode 18App è commessa nell’interesse o a vantaggio di una società o ente (es: una società titolare di punti vendita che orchestrano la truffa, come la libreria di Ercolano), l’ente potrebbe rispondere ai sensi del D.Lgs. 231 per il reato presupposto di truffa ai danni dello Stato (art. 24 D.Lgs. 231/01 include 640-bis c.p.). Ciò comporterebbe sanzioni pecuniarie a carico dell’ente e possibili misure interdittive (come il divieto di contrattare con la P.A., etc.). Si tratta di un livello ulteriore, applicabile ai casi più strutturati sul piano societario.
Tabella reati e pene (sintesi):
Reato (Codice Penale) | Quando si applica (casi 18App) | Pena prevista | Esempi |
---|---|---|---|
Art. 316-ter c.p. <br>Indebita percezione di erogazioni pubbliche | Ottenimento indebito del bonus con mezzi fraudolenti minimi (false dichiarazioni senza elaborati raggiri), importo totale > € 4000. Se ≤ €4000 è illecito amm. (multa fino a triplo) | Reclusione 6 mesi – 3 anni (oltre a confisca) . Sotto soglia: solo sanzione amm. (no penale) . | Esercente ottiene rimborsi con autocertificazioni false ma senza architettare un sistema elaborato; beneficiario dichiara ISEE fittizio <35k per avere Carta Cultura (sopra soglia) ottenendo 500€ indebitamente. |
Art. 640-bis c.p. <br>Truffa aggravata per conseguimento di erogazioni pubbliche | Ottenimento indebito del bonus con artifizi o raggiri che inducono in errore il MiC (sistema informatico o funzionari). Tipicamente vendite simulate, fatture false, SPID rubati, schemi organizzati di conversione buoni. | Reclusione 1 – 6 anni + multa € 309–1.559; confisca obbligatoria profitto . | Libreria simula vendita di 6400 libri per riscuotere 3 mln € bonus ; edicolante converte buoni in denaro contante ingannando lo Stato sulla destinazione ; gruppo crea SPID falsi e riscatta 2000 voucher con fatture fittizie . |
Art. 640-ter c.p. <br>Frode informatica | Accesso abusivo o alterazione di un sistema informatico per ottenere il bonus indebitamente. | Reclusione 6 mesi – 3 anni (base) oppure fino a 5 anni se aggravata (es. frode ai danni Stato). | Creazione di SPID “paralleli” per rubare bonus altrui ; hackeraggio account 18App per generare buoni a proprio favore. (Spesso contestata insieme a 640-bis c.p. se scopo è incassare contributo pubblico). |
Art. 648-ter.1 c.p. <br>Autoriciclaggio | Reimpiego in attività economiche/finanziarie dei proventi illeciti ottenuti con i reati sopra, in modo da ostacolarne provenienza. | Reclusione 2 – 8 anni + multa € 5.000–25.000. | Titolare libreria reinveste i 3 mln ottenuti dalla truffa 18App in acquisto di immobili, tentando di ripulire il denaro . (Contestato assieme alla truffa principale). |
Art. 416 c.p. <br>Associazione per delinquere | Organizzazione stabile di ≥3 persone per commettere più delitti (es. truffe 18App seriali). | Reclusione 3 – 7 anni per promotori; 1–5 anni per partecipanti. Aumentata se associazione finalizzata a reati gravi. | Gruppo di 9 indagati (commercianti e mediatori) pianifica e attua conversioni illecite di migliaia di buoni in tutta Italia . Costituisce associazione criminale finalizzata alla truffa ai danni dello Stato. |
(N.B.: Altri reati come falsità ideologica, sostituzione di persona, ricettazione, ecc. possono concorrere in singole condotte. La tabella riporta i principali.)
Con questo quadro, appare evidente che il confine tra illecito amministrativo e penale ruota attorno a due fattori: l’importo indebitamente ottenuto (sopra o sotto ~4.000 €) e la modalità (semplice dichiarazione mendace vs. comportamenti fraudolenti sofisticati). Nei fatti del bonus cultura, spesso i due elementi vanno insieme: chi ottiene pochi spiccioli tende a farlo in modo occasionale e semplice (e rientra nell’illecito amministrativo), mentre le grandi frodi comportano artifizi e somme ingenti (e sono truffe penali).
In ogni caso, per chi si trovi imputato penalmente, la linea difensiva dovrà essere costruita caso per caso con un legale. In generale, come suggerimenti: collaborare con gli inquirenti, risarcire o versare le somme indebitamente percepite anche prima del processo (questo può spingere il PM a concedere riti alternativi o il giudice a valutare attenuanti); dimostrare eventualmente che non si aveva la piena consapevolezza del disvalore (difficile, ma in taluni giovani l’ingenuità potrebbe ridimensionare il dolo). Va anche considerata la messa alla prova (art. 168-bis c.p.) per gli imputati incensurati: per reati con pena massima <= 4 anni (incluso 316-ter e 640-bis) è possibile chiedere la sospensione del processo e svolgere un programma di riparazione (es. lavori socialmente utili, restituzione del maltolto). Se la prova ha esito positivo, il reato è estinto senza condanna: potrebbe essere una via per alcuni giovani coinvolti marginalmente nelle frodi.
Come difendersi dalle contestazioni: strategie e consigli pratici
Dopo aver delineato cosa si rischia utilizzando il bonus cultura in modo illecito, passiamo al piano della difesa. Cosa può fare concretamente chi – beneficiario o esercente – si vede recapitare una contestazione di uso improprio di 18App (o della nuova Carta Cultura)? Quali strumenti giuridici ha a disposizione per tutelarsi e, se possibile, evitare o attenuare le conseguenze (sanzioni o condanne)? In questa sezione affronteremo separatamente il punto di vista del beneficiario privato (debitore) e quello dell’esercente commerciale, pur con inevitabili sovrapposizioni, dato che in molti casi la difesa sarà coordinata.
Difesa del beneficiario (neo-diciottenne) sanzionato
Immaginiamo il caso di un giovane (o ex giovane, se la contestazione arriva anni dopo) che abbia utilizzato in modo indebito il bonus e che ora riceva un verbale di accertamento dalla Guardia di Finanza o un atto di citazione in giudizio. Ecco i passi e le strategie da considerare:
- Analizzare il provvedimento ricevuto: la prima cosa è leggere attentamente cosa viene contestato. Si tratta di un verbale amministrativo? (es. “violazione dell’art. … – utilizzo del bonus per spese non ammissibili – importo indebito X euro – sanzione proposta Y euro”). Oppure è un avviso di garanzia/convocazione nell’ambito di un procedimento penale? (es. reato ex art. 640 c.p. o 316-ter c.p.). Comprendere la natura della contestazione è fondamentale per attivare la giusta difesa. In caso di dubbi, consultare subito un avvocato: per un giovane può essere utile rivolgersi a un avvocato di fiducia o chiedere il patrocinio a spese dello Stato se ne ha i requisiti, specie se la vicenda assume risvolti penali.
- Difesa in sede amministrativa (Prefetto): se si tratta di un illecito amministrativo, come detto, c’è la possibilità entro 30 giorni di inviare memorie difensive al Prefetto competente. In questa fase il giovane (eventualmente assistito da un legale) può spiegare le proprie ragioni per cui la sanzione non dovrebbe essere confermata o dovrebbe essere mitigata. Alcune possibili linee difensive:
- Contestazione dei fatti: verificare se effettivamente l’acquisto contestato era non consentito. Potrebbe esserci stato un errore: ad esempio, magari il bene rientrava tra quelli culturali ammessi ma è stato scambiato per un altro. Esempio: un ragazzo compra un e-reader (lettore di ebook) con il bonus; formalmente è elettronica, ma destinata alla lettura di libri digitali – può sostenere che l’uso fosse coerente con la finalità culturale. Se ha scontrini o schede prodotto che dimostrano la natura culturale, allegarli.
- Buona fede ed errore scusabile: spesso i diciottenni non hanno piena consapevolezza legale. Se il giovane è stato indotto in errore dall’esercente (“mi ha assicurato che potevo comprare quel prodotto col bonus”), vale la pena evidenziarlo. Ignorantia legis non excusat, ma far emergere l’assenza di dolo intenzionale può convincere il Prefetto a stare sul minimo della sanzione. Si può ad esempio dichiarare: “Non ero a conoscenza del divieto, ho agito consigliato dal venditore; appena informato dell’irregolarità, sono disposto a restituire l’importo”.
- Circostanze personali e proporzionalità: un ragazzo privo di reddito, magari ancora studente universitario, che si vede comminare 5.000 € di multa, può invocare la particolare tenuità della sua condotta rispetto alla sanzione draconiana. Pur non essendoci discrezionalità sul se punire, il Prefetto ha margine sul quanto (da 10x a 50x). Dunque si potrà chiedere espressamente di applicare il minimo edittale per vari motivi: incensuratezza, giovane età, ravvedimento operoso (ad esempio se spontaneamente il ragazzo ha già restituito i 500 € percepiti male, o è disponibile a farlo subito).
- Eventuale non coinvolgimento consapevole: se il giovane ritiene di non aver commesso affatto l’illecito contestato – ipotesi possibile nei casi di SPID rubato o di uso fraudolento a sua insaputa – lo deve far presente con forza. Ci sono stati 18enni che hanno scoperto di essere stati truffati (altri hanno usato il loro bonus) e addirittura hanno denunciato ciò . In simili situazioni, è paradossale ma potrebbe arrivare comunque a loro una contestazione formale (specie se all’epoca risultava che il loro bonus era stato speso per qualcosa di illecito). Qui bisogna fornire tutte le prove dell’estraneità: copia delle denunce presentate, screenshot che mostrano accessi non autorizzati, ecc., chiedendo l’archiviazione perché il fatto è attribuibile a terzi ignoti e il giovane ne è vittima.
- Pagare il dovuto per chiudere la vicenda: se la violazione c’è ed è innegabile, il beneficiario può prospettare di restituire immediatamente l’importo indebito (i 500 € o quel che sia) e magari di pagare una sanzione ridotta. Non esiste un “pagamento in misura ridotta” come per le multe stradali, però far sapere di essere pronti a sanare può predisporre meglio l’autorità. Talora, prima dell’ordinanza, la GdF invita spontaneamente a restituire il bonus per sanare l’aspetto contabile: aderire può evitare guai peggiori.
Una volta inviate le memorie, il giovane può anche chiedere di essere sentito personalmente in Prefettura: presentarsi (meglio con un avvocato) per spiegare a voce l’accaduto, mostrando ad esempio pentimento e ingenuità, può umanizzare il caso e influire sul provvedimento finale.
- Opposizione al giudice: se nonostante le difese il Prefetto emette ordinanza ingiuntiva con sanzione piena e il giovane la ritiene ingiusta, può ricorrere in sede giudiziaria (Tribunale). Qui servirà quasi certamente un avvocato. Il giudizio verte sui fatti: bisogna convincere il giudice che non si è commessa la violazione, oppure che c’è un vizio di forma (es. notifica tardiva del verbale oltre i termini di legge, che annullerebbe tutto), oppure ancora sollevare questioni di legittimità (ad esempio, sostenere che la sanzione è sproporzionata e confligge con principi costituzionali di equità – argomentazione non semplice, ma un giudice potrebbe, in via di interpretazione conforme, scegliere il minimo). Se però gli elementi sono tutti contro (ad es. c’è la prova evidente di un acquisto di uno smartphone con quel voucher), la strada giudiziaria rischia solo di allungare la vicenda e aggiungere spese. Spesso, infatti, i Giudici di Pace/Tribunali confermano le sanzioni in materia di bonus cultura se l’accertamento è solido (come in analoghe materie di indebite percezioni). Dunque è una valutazione caso per caso se convenga ricorrere o piuttosto accettare la sanzione e magari chiedere una dilazione di pagamento.
- Difesa in sede penale: se il giovane è coinvolto in un procedimento penale (ad esempio, viene chiamato come imputato per truffa aggravata in concorso con l’esercente), è imprescindibile farsi assistere da un avvocato penalista. Le strategie difensive qui escono dall’ambito amministrativo e sono quelle tipiche penali:
- Negare, se possibile, la propria partecipazione dolosa. Un giovane potrebbe dichiarare di non aver capito la natura fraudolenta dell’operazione orchestrata dall’esercente. Ad esempio: “Pensavo di aver davvero comprato un buono per dei libri futuri, non sapevo fosse una finta operazione”. Se credibile, potrebbe ridurre la responsabilità soggettiva (anche se difficile sostenere di non aver capito di ricevere soldi in cambio del voucher…).
- Dimostrare di non aver tratto un ingiusto profitto significativo. Se il ragazzo ha ricevuto solo 100-200 € mentre l’organizzatore ne ha presi 500, si evidenzia la disparità: in alcuni casi i PM hanno trattato i giovani come parte offesa di un’istigazione piuttosto che come complici. Ad esempio, in certe maxi-frodi (come quella di Ercolano) migliaia di ragazzi hanno consegnato il codice per pochi euro: la Procura ha preferito perseguire i capi e non i singoli “clienti”. Anche in un eventuale giudizio, la difesa può sottolineare che criminalizzare 18enni spesso poco consapevoli avrebbe scarso interesse pubblico, puntando magari a un proscioglimento per particolare tenuità del fatto per i singoli.
- Collaborare e patteggiare: se le prove sono schiaccianti (es. transazioni tracciate, testimonianze multiple), al giovane conviene magari patteggiare una pena minima, magari pari a pochi mesi con sospensione condizionale, anziché affrontare un processo lungo con il rischio di condanna più alta. Il patteggiamento può essere subordinato al risarcimento del danno: ciò significa che dovrà restituire i 500 € (se già non recuperati) allo Stato. Un sacrificio economico che però può chiudere la vicenda penale senza carcerazione.
- Messa alla prova: come accennato, per reati del genere la MAP è ammissibile. Un 20enne incensurato accusato di 640-bis c.p. potrebbe proporre al giudice di svolgere un percorso di riparazione (ad es. servizio civile gratuito per tot ore e rimborso dei 500 €) in cambio della sospensione del procedimento. Se l’Ufficio di esecuzione penale esterna e il giudice approvano un programma, il giovane potrà “redimersi” in 1 o 2 anni di prova e ottenere l’estinzione del reato. Questa sarebbe l’ideale per evitare macchie sul casellario.
- Porre dubbi giuridici: qualora si profilino situazioni borderline (esempio: bonus speso per un corso di formazione non convenzionato, zona grigia), l’avvocato può cercare di far valere che manca l’elemento oggettivo del reato perché la norma non era chiara sul divieto. Invero, su cosa fosse ammesso 18App esistevano FAQ e liste dettagliate, quindi la “non chiara norma” è difficile da sostenere. Però se emergessero vuoti normativi (ad esempio: periodo di transizione 2022-2023, carta del merito ottenuta ma piattaforma non pronta – ipotesi accademica), la difesa ne approfitterà.
- Riduzione del danno economico: qualora alla fine il ragazzo debba pagare, conviene cercare di ridurre il peso economico. Come? Innanzitutto, evitare ulteriori sanzioni per ritardato pagamento: rispettare le scadenze o concordare per tempo piani di rate. Si può anche provare a chiedere all’autorità che venga applicato l’importo base (10x) e non di più, mostrando la propria incapienza economica (certificando il reddito nullo, la condizione da studente, etc.). In alcune occasioni, gli organi accertatori (GdF) hanno modulato le sanzioni tenendo conto della condotta successiva: ad esempio, se il giovane collabora come testimone contro l’esercente fraudolento, la sua posizione amministrativa può essere guardata con maggiore clemenza (questo avviene de facto, pur non essendoci sconti di legge formalizzati).
In generale, il consiglio al beneficiario è di mostrarsi trasparente e cooperativo. Negare l’evidenza o sottrarsi (non presentare memorie né pagare) porta dritti a un aggravamento (cartella esattoriale con aggi, possibile pignoramento, ecc.). Al contrario, affrontare la cosa di petto – magari ammettendo l’errore se c’è stato – può portare a soluzioni più miti. È comprensibile che un diciannovenne si trovi spaesato davanti a minacce di multe da migliaia di euro: proprio per questo, muoversi con l’assistenza di un legale o almeno con il supporto di associazioni dei consumatori (alcune, come Confconsumatori, hanno pubblicato vademecum per difendersi dalle truffe sul bonus ) è importante.
Difesa dell’esercente (commerciante/imprenditore) sanzionato
Dal lato del commerciante o dell’azienda coinvolta, le poste in gioco sono ancor più elevate: sanzioni amministrative di entità potenzialmente enorme (decine o centinaia di migliaia di euro), rischio di sospensione dell’attività e, sul piano penale, possibilità di subire misure cautelari personali (arresti domiciliari, interdizioni) e sequestri preventivi di beni aziendali. La difesa dell’imprenditore-debitore dovrà quindi essere ben pianificata su entrambi i fronti.
Sul piano amministrativo, il commerciante riceverà analogamente un verbale di contestazione (spesso unico per tutti i buoni indebiti riscontrati nella sua attività). Anche qui: – Presentare memorie difensive al Prefetto: l’esercente può sostenere, se vi è margine, che non c’è stata volontà dolosa di violare le regole. Ad esempio, potrebbe affermare: “Ho accettato i buoni per l’acquisto di [prodotto X] ritenendo in buona fede che fosse compreso tra quelli ammessi”. Se la definizione dei beni culturali è in qualche caso ambigua, può essere una linea argomentativa. Esempio reale: un negozio di elettronica vende un abbonamento a una rivista digitale insieme a un tablet: potrebbe sostenere che l’acquisto del tablet era funzionale all’uso della rivista, quindi pensava fosse lecito. Queste tesi raramente convincono se appare come escamotage, ma tentare non nuoce, allegando magari documenti di come il prodotto fosse presentato come culturale. – Dimostrare regolarità formale: l’esercente può portare evidenza di aver seguito tutte le procedure richieste dalla piattaforma 18App: emissione fattura, registrazione corretta. Se la contestazione è ad esempio “beni mai consegnati”, e invece il commerciante può mostrare prove di consegna o ricevute firmate dai clienti, può confutare l’accusa di vendita fittizia. – Isolare i casi contestati: se le autorità contestano 100 transazioni irregolari, ma l’esercente ne ha fatte 10.000 regolari, si dovrebbe farlo presente. Far vedere di aver servito migliaia di clienti onestamente e che solo “qualche caso dubbio” può ridimensionare la gravità, magari convincendo il Prefetto ad escludere la reiterazione sistematica e quindi a evitare la sanzione della sospensione attività o a stare sul moltiplicatore minimo (10x). – Chiedere la non applicazione della sospensione attività: su questo punto l’esercente può allegare elementi sulle conseguenze che avrebbe la chiusura forzata: ad esempio, perderebbe contratti importanti, i dipendenti (se ne ha) rimarrebbero senza lavoro temporaneamente, ecc. Il Prefetto può decidere discrezionalmente se sospendere o meno l’attività (fino a 60 gg) in base alla gravità. Portando argomenti su una condotta nel frattempo corretta (es. “da quando ho capito l’errore, ho smesso di accettare buoni in modo improprio”) e sul danno socio-economico di una chiusura, l’esercente può sperare di evitarla. – Rateizzazione dell’eventuale sanzione: un imprenditore può con più facilità proporre un piano di rientro: “Non ho liquidità per pagare 100.000 € in un colpo, ma posso pagarli in 12 rate”. Non spetta al Prefetto decidere la rateazione (quello semmai all’Agente della riscossione una volta ingiunta), però inserirlo nelle memorie come impegno può testimoniare la volontà di rimediare.
Se l’esercente reputa che la contestazione sia infondata, preparerà un’opposizione al Tribunale dopo l’ingiunzione. Qui il suo avvocato potrà far leva su aspetti tecnici: ad esempio, contestare la qualità delle prove raccolte dalla GdF (magari sono presuntive), o eccepire irregolarità procedurali nell’accertamento. Un elemento da verificare è se la contestazione rientra esattamente nelle previsioni normative: se il MiC non aveva definito con sufficiente precisione cosa fosse “spesa inammissibile”, il legale potrebbe sostenere che manca un precetto chiaro e quindi non punibile. Tuttavia, va detto che i DPCM e DM attuativi del bonus elencavano in positivo le categorie ammesse, quindi tutto il resto era escluso implicitamente – abbastanza chiaro.
Sul piano penale, il commerciante deve fin da subito organizzare la difesa, specie se c’è un’indagine. In genere, se parliamo di importi alti, la Procura procede almeno per indebito > 4k o per truffa. In molti casi, la fase delle indagini vede già misure come sequestro preventivo di conti o beni pari al profitto ipotizzato. Ad esempio, nel caso di Jesi, ancora prima della condanna la GdF aveva bloccato immobili e denaro per quell’importo . L’imprenditore può fare riesame contro i sequestri, provando a dimostrare che quei beni non c’entrano col reato o che l’ipotesi accusatoria è debole.
Strategie difensive penali per l’esercente: – Negare gli artifizi (puntare a 316-ter): se c’è margine, l’obiettivo della difesa potrebbe essere ottenere una riqualificazione del fatto da truffa a indebita percezione. Come visto, ciò ridurrebbe le pene e addirittura potrebbe far uscire dal penale se per assurdo si considera ogni singolo rimborso sotto soglia. Ad esempio, un avvocato potrebbe sostenere che il suo cliente non ha messo in atto veri raggiri ma solo approfittato della mancanza di controlli inviando dichiarazioni (fatture) non veritiere. Questa tesi era stata accolta dal Tribunale del Riesame di Napoli in un primo momento , ma Cassazione l’ha rigettata . Ciò non toglie che in altri casi, con situazioni differenti, possa essere discussa. Ad esempio, se l’esercente effettivamente vendeva qualcosa di reale (anche se non ammesso): vendere un computer non autorizzato in cambio del bonus – l’avvocato potrebbe dire “non c’è truffa, perché il mio cliente ha consegnato un bene al ragazzo; c’è una violazione amministrativa ma non ha creato un bene fittizio inesistente”. È sottile, perché l’inganno verso lo Stato c’è (far credere fosse bene autorizzato). Ma l’avvocato può cercare di persuadere il giudice che manca l’elemento della induzione in errore: la PA non aveva un meccanismo valutativo sulla tipologia di bene, per cui (argomentavano quei giudici) non c’è stata una vera attività decettiva ma un semplice illecito di scopo. È un approccio tecnico-giuridico complesso, con chance ridotte dopo le pronunce della Cassazione, ma potrebbe tornare nei processi di merito. – Diminuire il grado di dolo e coinvolgimento: se il commerciante è uno fra tanti (es: era solo affiliato a un circuito ideato da altri), può cercare di apparire come ingranaggio minore. Oppure se mostra di aver interrotto spontaneamente la condotta a un certo punto (prima di essere scoperto), può argomentare il ravvedimento. – Restituire il profitto e patteggiare: come per il beneficiario, anche più per il commerciante vale la pena considerare il patteggiamento. Spesso, i grandi casi di frode ai danni dello Stato si chiudono con patteggiamenti, in cui gli imputati accettano pene attorno a 2 anni (spesso sospese) e risarciscono lo Stato. In proposito, l’aver messo a disposizione i contanti sequestrati per la confisca (o aver versato spontaneamente la somma corrispondente all’illecito prima del giudizio) è un segno concreto di pentimento che viene apprezzato. Oltre a ridurre la pena, ciò può evitare all’azienda ulteriori guai (in caso di condanna per truffa, come detto, potrebbe attivarsi la responsabilità 231 dell’ente con possibili interdittive: patteggiare può limitare l’eco). – Valutare rito abbreviato: se le prove non sono contestabili (fatture false trovate, conversazioni email con offerte di denaro ai ragazzi, ecc.), optare per un rito abbreviato conviene per avere lo sconto di 1/3 sulla pena ed eventualmente definire prima la vicenda. – Gestire l’impatto mediatico e professionale: un negoziante coinvolto in queste truffe rischia di perdere credibilità anche verso clienti onesti. Sebbene non sia strettamente giuridico, a volte la difesa pubblica conta: ad esempio, potrebbe rilasciare dichiarazioni (cautamente, senza confessare) spiegando di essere pronto a collaborare e che si è trattato di un errore. Questo può indirettamente influire sulla percezione del giudice in termini di atteggiamento collaborativo.
In termini pratici, una mossa spesso utile è che l’esercente faccia bonifico volontario al MiC dell’importo indebitamente ricevuto, prima della sentenza. Così al dibattimento potrà dire: “Ho già rimborsato lo Stato del danno causato”. Ciò attiva la circostanza attenuante del risarcimento del danno (art. 62 n.6 c.p.) che può ridurre la pena fino a un terzo.
Un capitolo a parte è la posizione dei soci/dipendenti: se l’attività è aziendale, occorre evitare il scaricabarile. Spesso le Fiamme Gialle denunciano sia il titolare che eventuali soci e impiegati coinvolti nelle transazioni. Chi è meno responsabile può cercare di dimostrarlo per uscirne o ottenere l’archiviazione. Ad esempio, un cassiere che materialmente validava i buoni su istruzione del titolare potrebbe convincere i PM a considerarlo non punibile per particolare tenuità (eseguiva ordini, vantaggio minimo). Le testimonianze incrociate possono essere delicate: se più soggetti sono indagati, le loro dichiarazioni vanno coordinate con attenzione tramite i legali.
Infine, impugnare eventuali misure: se il Prefetto ordina la sospensione di 60 giorni del negozio e l’imprenditore ritiene che sia eccessiva, può fare ricorso urgente al TAR chiedendone la sospensione. Ha senso se, ad esempio, l’illecito contestato era modesto e isolato ma il Prefetto ha usato mano pesante. Il TAR potrebbe sospendere l’atto se ravvisa sproporzione. Allo stesso modo, se in sede penale viene disposta un’interdizione dall’esercizio professionale in via cautelare (es. divieto di esercitare commercio per X mesi durante le indagini), si può fare Riesame al tribunale della libertà. Tutto questo fa parte di una strategia difensiva globale per contenere gli effetti immediati sul business.
Conclusione di sezione: In definitiva, per un esercente accusato di uso improprio di 18App, difendersi significa provare a rientrare nella sfera amministrativa anziché penale (se possibile), o comunque limitare i danni economici e penali. Spesso ciò richiede un approccio cooperativo e negoziale: ammettere gli errori minori, contestare solo l’eccesso, restituire il dovuto. Opporsi frontalmente negando tutto può funzionare solo se davvero c’è un abbaglio nelle prove; altrimenti porta quasi certamente a condanne più pesanti e all’inasprimento delle misure. D’altra parte, non bisogna nemmeno subire passivamente: la legge e il procedimento garantiscono diritti di difesa (contradditorio, ricorsi) che possono far emergere eventuali vizi procedurali (che in ambito amministrativo possono annullare la multa). Ad esempio, se la notifica del verbale iniziale è avvenuta dopo 1 anno dal fatto, ben oltre i 90 giorni, la difesa può far leva su questo per ottenere l’annullamento del procedimento sanzionatorio.
In qualsiasi caso, data la complessità della materia e gli importi in gioco, è fortemente consigliato all’esercente di affidarsi ad un avvocato esperto sia in diritto amministrativo che penale economico. Il legale potrà anche interloquire con la controparte pubblica (Prefettura o Procura) per valutare soluzioni: talvolta, ad esempio, la Procura potrebbe essere disponibile a chiudere un occhio su taluni giovani se il commerciante principale patteggia e paga (concentrandosi sul soggetto più rilevante). Una strategia difensiva calibrata su tutti i soggetti coinvolti può portare a esiti più favorevoli nel complesso.
Domande frequenti (FAQ) su contestazioni e difesa del Bonus Cultura
D1: Quali acquisti erano consentiti con il Bonus Cultura 18App e cosa invece era vietato?
R: Il bonus 18App (così come le nuove Carte Cultura Giovani e Merito) poteva essere usato solo per beni e servizi di natura culturale. In particolare erano ammessi: libri (in qualsiasi formato), musica registrata (CD, vinili, download digitali), biglietti o abbonamenti per cinema, teatro e spettacoli dal vivo, ingressi a musei, mostre, monumenti, parchi archeologici e gallerie, prodotti dell’editoria audiovisiva (es. DVD/Blu-ray), corsi di lingua straniera, corsi di musica, corsi di teatro o danza . Erano inoltre ammessi gli abbonamenti a quotidiani e periodici, anche in formato digitale . Tutto il resto era escluso. In particolare non si potevano acquistare: dispositivi elettronici (smartphone, tablet, e-reader, computer, console videogiochi), abbigliamento o gadget, alimentari, servizi non culturali, ricariche telefoniche o prepagate, viaggi e vacanze, ecc. Anche i videogiochi non erano inclusi (salvo quelli eventualmente considerati “prodotti di editoria audiovisiva”, categoria però riferita in genere a film e documentari, non ai game). Un criterio utile: se qualcosa non rientra esplicitamente nell’elenco delle categorie ammesse, va considerato vietato. Ad esempio, gli strumenti musicali non erano menzionati – in effetti con 18App non era possibile comprare una chitarra o un pianoforte, benché legati alla musica. Si poteva però pagare un corso di musica. In sintesi, il bonus copriva consumo culturale, non beni strumentali o di altra natura. Le nuove normative continuano su questa linea: le Carte Cultura Giovani/Merito non consentono acquisti diversi (anzi, i decreti attuativi ribadiscono le stesse categorie) e in più prevedono che il buono è personale, non trasferibile e non frazionabile in usi non consentiti. Dunque, qualunque utilizzo per finalità estranee (es. fare un regalo non culturale a qualcuno, o trasformare il buono in soldi) è illecito.
D2: È vero che alcuni ragazzi hanno convertito i buoni 18App in contanti? Cosa si rischia in questi casi?
R: Sì, purtroppo è accaduto spesso. Alcuni esercenti senza scrupoli offrivano ai neo-diciottenni la possibilità di avere soldi veri in cambio del bonus. In pratica: il ragazzo cedeva il codice del voucher da 500 € e il negoziante gli dava, ad esempio, 250 € in contanti (tenendo per sé il resto). L’esercente poi incassava i 500 € dallo Stato come se avesse venduto un bene culturale, cosa in realtà non avvenuta . Questa pratica è assolutamente illegale. Per chi l’ha fatta le conseguenze sono: il beneficiario rischia una sanzione amministrativa tripla o anche 10-50 volte l’importo indebitamente usato, a seconda di quando è stato scoperto (per violazioni antecedenti alla riforma 2023 di solito hanno applicato la sanzione pari a 3 volte, ad esempio 1.500 € per 500 € indebitamente monetizzati ; dopo la riforma si potrebbe arrivare almeno a 5.000 € di multa per quei 500 €). Inoltre dovrà restituire i 500 € integrali allo Stato (anche se magari ne aveva ricevuti solo 250 in tasca). Quindi il giovane ci rimette economicamente in modo enorme, oltre a subire il peso di un procedimento. Se il fatto è sistematico o organizzato, potrebbe perfino incorrere nel penale (in teoria concorso in truffa, ma come detto le autorità finora hanno sanzionato amministrativamente i giovani coinvolti). Per l’esercente, la condotta è gravissima: è quasi sempre configurata come truffa aggravata ai danni dello Stato, con rischio di processo penale, condanna a 1-6 anni di reclusione e confisca di tutti i proventi . Già solo in via amministrativa, l’esercente si vede applicare la sanzione massima (multipli elevati) e spesso la chiusura dell’attività fino a 60 giorni . Va sottolineato che anche solo tentare di vendere il buono per soldi è illecito. Ad esempio, alcuni hanno provato a vendere il proprio voucher su internet (ci sono stati annunci tipo “vendo buono 18App a metà prezzo”): queste situazioni se scoperte comportano comunque la revoca del bonus e possibili sanzioni, e in teoria potrebbero configurare tentata truffa. In sintesi: non fatelo! Convertire il bonus in denaro è un uso improprio che fa perdere il bonus stesso, comporta multe e rischia di farvi passare guai legali seri .
D3: Ho comprato un articolo con 18App e dopo tempo mi accusano che non era consentito. Come potevo saperlo?
R: Fin dall’inizio dell’iniziativa 18App, il Ministero della Cultura ha pubblicato elenchi e FAQ molto dettagliati su cosa si poteva acquistare. Gli esercenti accreditati inoltre stipulavano condizioni d’uso in cui dichiaravano di vendere solo certi beni. Quindi formalmente le informazioni c’erano (sul sito 18app.italia.it, sulla guida per esercenti , ecc.). È vero però che molti giovani potrebbero non aver letto in dettaglio tutte le regole. In genere ci si poteva basare sul catalogo dei negozi aderenti: se un negozio era di elettronica, avrebbe dovuto vendere con 18App solo eventuali prodotti culturali (per es. audiolibri, DVD) e non i suoi prodotti di punta tech. Se l’ha fatto, è l’esercente ad aver tradito le regole. Tuttavia, la legge non scusa il giovane che ne approfitta. Oggi come oggi, ogni beneficiario dovrebbe essere consapevole che se compra qualcosa di palesemente extra-cultura con il bonus, sta violando la legge. Un caso limite: alcuni dicono “ho comprato una chitarra perché è cultura (musica)”. Purtroppo no, l’hardware (strumento) non era compreso. La conoscenza delle regole è data per presunta una volta aderito a 18App. Va detto che se emergono situazioni in cui il ragazzo dimostra di essere stato indotto in errore dall’esercente, questo può essere considerato nella difesa (vedi risposta successiva). Ad esempio, se l’esercente gli ha garantito mentendo “sì sì rientra nel bonus, facciamo così…” e magari gli ha fatto firmare una falsa dichiarazione, il beneficiario può allegare ciò per alleggerire la sua posizione. In conclusione, la normativa era comunicata pubblicamente; se si dubitava che un articolo fosse ammesso, si poteva consultare le liste ufficiali o chiedere chiarimenti prima dell’acquisto. Ignorare le regole non esenta dalla sanzione, ma in sede di valutazione può essere apprezzata la buona fede (qualora plausibile).
D4: Mi è arrivata una lettera della Guardia di Finanza che contesta l’uso improprio del mio bonus e mi chiede di pagare una sanzione. Devo pagare subito? Posso fare ricorso?
R: Non bisogna pagare immediatamente, perché quella che hai ricevuto probabilmente è un verbale di accertamento/contestazione, non ancora una “multa” definitiva. Di solito, la procedura è: la GdF notifica al giovane (o all’esercente) un verbale in cui contesta formalmente la violazione amministrativa e indica la sanzione applicabile (es: “pagamento di € 5.000, pari a 10 volte l’importo…”). A quel punto, entro 30 giorni puoi presentare memorie difensive al Prefetto competente (come spiegato in dettaglio nella sezione precedente). È importante rispettare questo termine se intendi opporti o spiegare le tue ragioni. Se invece concordi con la contestazione e vuoi chiudere la faccenda al più presto, puoi anche scegliere di non inviare nulla e attendere l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto. In alcuni casi, la norma consente il pagamento in misura ridotta entro un certo termine (ad esempio per sanzioni fisse, pagando 1/3 del massimo). Tuttavia, per le violazioni del bonus cultura non è prevista questa possibilità di estinguere subito con un pagamento ridotto, poiché la legge specifica un range 10-50 volte e rimanda alla decisione prefettizia. Quindi non c’è un importo definito che pagando subito risolvi tutto. Dovrai attendere la decisione del Prefetto. Quando (e se) ti arriverà l’ordinanza ingiunzione prefettizia, allora sì sarà da pagare (entro 30 giorni da quella notifica) – oppure, se vuoi ancora opporti, dovrai presentare ricorso in Tribunale in 30 giorni. In sintesi: adesso sei nella fase in cui puoi difenderti scrivendo al Prefetto. Non devi pagare immediatamente la cifra indicata nel verbale; quella cifra è proposta (spesso il minimo edittale per i giovani è stato 1.500 € come visto, ma potrebbe essere di più nel tuo caso). Ti conviene, se ritieni ingiusto o eccessivo, scrivere le tue motivazioni di opposizione (preferibilmente con l’aiuto di un avvocato). Se invece ammetti l’errore e vuoi magari solo chiedere clemenza, scrivi al Prefetto spiegando la situazione (pentimento, difficoltà economiche, ecc.) e auspicando almeno la riduzione al minimo. Non ignorare la comunicazione: se non fai nulla, trascorsi 30 gg il Prefetto deciderà basandosi solo sugli atti della GdF e quasi certamente emetterà l’ingiunzione di pagamento integrale. A quel punto dovrai pagare (o opporti in sede giudiziale, come ultima risorsa). Ricorda anche che se paghi dopo l’ingiunzione, non si aggiungono interessi o sovrattasse se rispetti i termini (gli interessi scatteranno solo se si passa alla riscossione coattiva con cartella). Perciò, in questa fase non effettuare pagamenti spontanei altrimenti rischi di pagare magari un importo non definitivo. Usa invece il tempo per presentare una buona difesa scritta.
D5: Cosa devo scrivere nelle memorie difensive al Prefetto? Posso farlo da solo o serve un avvocato?
R: Le memorie difensive possono essere redatte anche personalmente, non c’è obbligo di firma dell’avvocato (non è un atto giudiziario, ma un atto amministrativo libero). Tuttavia, è ovviamente consigliabile farsi aiutare da un esperto, perché occorre toccare i punti giusti di diritto e di fatto. Nelle memorie devi indicare: – I tuoi dati (nome, cognome, riferimento del verbale contestazione ricevuto, data). – Una breve descrizione dei fatti dal tuo punto di vista. – Le ragioni per cui ritieni la sanzione ingiusta o eccessiva. Ad esempio: “Il prodotto acquistato rientrava in realtà nelle categorie consentite perché… (fornire spiegazioni e magari allegare documenti, scontrini)”, oppure “Non ho mai ceduto il buono in cambio di denaro, ho effettivamente comprato biglietti per eventi (se così fosse)”, oppure ancora “Riconosco di aver sbagliato acquistando un oggetto non consentito, ma l’ho fatto perché male informato dal venditore; chiedo dunque clemenza trattandosi di prima ed unica infrazione”. – Eventuali prove a tuo discarico: es. copia dello scontrino/fattura che mostra cosa hai comprato; se contesti di aver ricevuto soldi, qualsiasi conversazione o testimone che possa confermare la tua versione; se dici di non aver compreso le regole, puoi allegare la tua giovane età e magari dichiarazioni di come il venditore ti convinse. – Una richiesta finale: es. archiviazione del procedimento (se credi di essere del tutto innocente) o in subordine applicazione del minimo della sanzione senza sospensione attività (questo per esercenti). Nel caso di un giovane, potresti chiedere di essere ascoltato di persona.
Il tono deve essere formale ma chiaro. Non serve scrivere pagine e pagine: meglio la sostanza. Ad esempio:
“Io sottoscritto … in riferimento al verbale n. … contesto di aver utilizzato il bonus 18App in data … presso … per l’acquisto di un bene non ammesso (smartphone), intendo rappresentare quanto segue. È vero che ho acquistato uno smartphone utilizzando il voucher, ma l’ho fatto dietro rassicurazione dell’esercente che mi garantiva la legittimità dell’operazione; non ero consapevole di violare la legge. Si trattava per me di un’occasione per dotarmi di un dispositivo utile anche per l’attività scolastica, e non avevo compreso che fosse escluso dal bonus. Alla luce di ciò, pur riconoscendo l’errore, chiedo che vogliate valutare la mia buona fede e la totale assenza di precedenti violazioni da parte mia. Segnalo altresì che sono studente universitario senza reddito proprio e una sanzione pari a 5.000 € risulterebbe per me insostenibile. Chiedo quindi di voler disporre l’archiviazione del procedimento o in subordine l’applicazione della sanzione nel minimo edittale. Allego copia dello scontrino e dichiarazione sostitutiva in cui il titolare del negozio X ammette di avermi erroneamente indicato l’acquisto come consentito.”
Questo è un esempio semplificato. Se ci sono errori nel verbale, segnalali: ad es. hanno sbagliato il nome, o la data, o ti attribuiscono acquisti mai fatti – scrivi chiaramente che c’è uno scambio di persona o simili, allegando prova (es. “io quel giorno non ero nemmeno in quella città…”). Tutto questo va inviato con mezzi tracciabili (meglio via PEC se hai un domicilio digitale, oppure raccomandata A/R, o consegnato a mano in Prefettura con ricevuta). Tieni copia di tutto. Un avvocato esperto saprà anche invocare eventualmente norme di legge a tuo favore (ad esempio, citare l’art. 8 L.689/81 sulla possibile riduzione della sanzione se concorrono più violazioni; o l’art. 11 sul cumulo materiale, etc.). Se te lo puoi permettere, investire qualche centinaio di euro per una consulenza legale può farti risparmiare migliaia di euro di multa, quindi vale la pena.
D6: E se invece ho ricevuto un decreto di citazione a giudizio o un avviso di garanzia per reati legati al bonus?
R: In questo caso la questione è penale, non più una semplice sanzione amministrativa. Se hai un avviso di garanzia (cioè ti informano che sei indagato in un procedimento penale) per reati come truffa aggravata o simili, oppure se addirittura ti arriva un decreto di citazione a giudizio (segno che il PM ha chiuso indagine e ti manda a processo), devi assolutamente rivolgerti a un avvocato penalista. Nel processo penale hai diritto a difenderti con un legale: se non ne nomini uno di fiducia, te ne verrà assegnato uno d’ufficio. Vista la particolarità della materia, conviene sceglierne uno che comprenda bene i risvolti (magari avvocato esperto di reati contro la PA). La difesa penale comporta esaminare il fascicolo (il tuo avvocato potrà visionare le prove raccolte dall’accusa), preparare memorie, eventualmente interrogarti se strategico, e valutare se conviene negare il fatto o patteggiare. Non cercare di affrontare da solo un procedimento penale: le regole sono complesse e un errore può costarti una condanna. Dovrai concordare col tuo avvocato la linea: ammettere e chiedere attenuanti o messa alla prova, oppure contestare. Se ritieni di essere innocente (es: scopri di essere indagato perché il tuo SPID è stato usato da altri per la frode), il tuo avvocato potrà presentare memorie al PM con le tue prove di estraneità, chiedendo l’archiviazione prima ancora di finire a giudizio. Se invece un decreto di citazione è già arrivato, significa che si va in tribunale: qui potrai far valere, tramite il tuo legale, tutto ciò che scagiona o attenua la tua posizione (testimonianze, documenti, ecc.). Per i giovani imputati, come detto, c’è l’opzione di messa alla prova che evita la condanna: d’accordo col difensore, valuta se chiedere al giudice la sospensione del processo per MAP (devi ammettere i fatti e proporti di svolgere attività riparative, di solito lavori sociali e risarcimento). Se il giudice acconsente e completi con successo, uscirai senza macchia. Invece patteggiando avrai comunque una condanna (sia pur con pena ridotta e magari non menzione se sotto 2 anni). Comunque, la parola d’ordine in sede penale è agire tramite avvocato: la legge è tecnica e non ci si può improvvisare. Da parte tua, sii onesto con il tuo difensore (racconta esattamente come sono andate le cose, senza nascondere dettagli, così che possa prepararsi al meglio). Tieni anche presente che, a differenza del procedimento amministrativo, quello penale può avere effetti più pesanti (vedi precedenti penali) quindi la difesa va curata molto.
D7: Sono un commerciante e mi contestano di aver accettato buoni per spese improprie. Nel frattempo mi hanno bloccato i rimborsi: posso fare qualcosa?
R: Sì, capita che appena parte un’indagine il MiC sospenda in via cautelativa i pagamenti dei buoni all’esercente coinvolto . Questo è previsto dalla legge (comma 357-quater): in caso di sospetto uso illecito, congelano gli accrediti non ancora erogati . Ad esempio, se hai in pendenza richieste di rimborso di buoni per 10.000 € e scatta un’indagine su di te, il Ministero può non accreditarti quei 10.000 € in via provvisoria. Purtroppo, non c’è molto da fare immediatamente: è un provvedimento cautelare amministrativo non definitivo. Potresti provare a scrivere al Ministero (Direzione generale competente) spiegando che contesti le accuse e chiedendo il dissequestro dei pagamenti, ma difficilmente accolgono se l’indagine è seria. Più efficacemente, dovresti agire in sede giudiziaria: se quei rimborsi ti spettano perché ritieni di essere innocente, potresti valutare un ricorso d’urgenza al TAR contro l’atto di sospensione (se formale) o un’azione contro il silenzio se non pagano quanto dovuto. Tuttavia, se poi risulta che davvero c’erano irregolarità, rischi di perdere e aggravare i costi legali. Spesso la sospensione cautelare dei rimborsi viene seguita, a conclusione dell’indagine, da una decisione di revoca definitiva di quei pagamenti se l’illecito è confermato. D’altro canto, se vieni pienamente scagionato, dovrebbero sbloccarteli e corrisponderteli. In pratica, durante l’indagine penale, quei soldi restano fermi (talora addirittura sequestrati dall’autorità giudiziaria se considerati profitto del reato). Quindi il da farsi è concentrarsi sulla difesa nel merito (come spiegato prima) per chiudere la questione. Una volta chiarita la tua posizione, la questione rimborsi si risolverà di conseguenza. Nota: se invece la tua domanda riguarda i nuovi buoni 2024/25 (Carta Cultura) e sei un esercente che aspetta i primi pagamenti a fine 2025, la sospensione è comunque prevista allo stesso modo in caso di violazioni. Insomma, è un rischio del mestiere se non si segue la norma. L’unico modo per non farsi bloccare i soldi è prevenire: attenersi scrupolosamente alle categorie consentite, così non dar pretesto a contestazioni. Se è già accaduto, devi risolvere la contestazione per sbloccare i fondi.
D8: Devo restituire il bonus cultura che ho usato male? Come avviene la restituzione delle somme?
R: Sì, la restituzione dell’importo indebitamente percepito fa parte delle conseguenze inevitabili. In termini giuridici è chiamata ripetizione dell’indebito: lo Stato rivuole indietro i soldi pubblici spesi in maniera non conforme. Questo può avvenire tramite più canali: – Se sei un beneficiario privato: di solito non ti hanno mai dato in mano i 500 € (li hai spesi attraverso la piattaforma). Quindi la restituzione avviene contestualmente alla sanzione amministrativa: quando il Prefetto ingiunge la multa, in quell’importo spesso è compreso già anche il recupero del dovuto. Ad esempio, nel verbale poteva esserci scritto “500 € indebitamente spesi + sanzione pari a 10 volte = 5.500 € totale”. Può capitare che chiedano separatamente la somma indebita come danno erariale: ma nella prassi per i ragazzi viene direttamente inglobata nella sanzione pecuniaria (come triplo etc.). Dunque quando paghi quella, stai anche restituendo il bonus. Se invece il procedimento è penale, la confisca dei tuoi beni fino a 500 € (per esempio prendono dal tuo conto) opererà come recupero. Se volontariamente vuoi restituire, puoi farlo depositando l’importo presso la Tesoreria dello Stato o con altre modalità indicate (ad es. in alcuni casi si può versare al Fondo Unico Giustizia se c’è sequestro). Conviene coordinarsi col proprio avvocato: spesso restituire prima volontariamente è ben visto. Nota bene: se eri non avente diritto (ad es. se con la Carta Cultura Giovani hai barato sull’ISEE e hai ottenuto 500 € pur superando la soglia), l’ente erogatore (MiC) appena scopre l’irregolarità emetterà un provvedimento di decadenza dal beneficio e di obbligo di rimborso. Riceverai quindi una lettera dal Ministero che ti chiede di restituire la somma percepita indebitamente. Se non la restituisci spontaneamente, procederanno per vie legali (ingiunzione, poi cartella esattoriale). In quel caso (fortunatamente raro, perché l’ISEE viene controllato a monte, non autocertificato), conviene restituire subito per evitare anche la sanzione penale (avresti mentito per ottenere soldi pubblici, reato 316-ter). – Se sei un esercente: qui la situazione è più complessa perché i soldi li hai incassati tu dal MiC. Il Ministero in caso di pagamenti indebiti può emettere un provvedimento di revoca dei rimborsi e chiedere l’indebito indietro. Questo avviene per via amministrativa: ti notificano un atto (tipo “Il Ministero della Cultura – Direzione Generale X – visto l’accertamento Y – determina il recupero di € … indebitamente rimborsati, da versare entro tot giorni”). Se non paghi, iscriveranno a ruolo la somma e te la troverai come cartella esattoriale da pagare. Alcuni esercenti hanno fatto ricorso al TAR contro questi atti di recupero sostenendo magari che non fosse dovuto: ma se le prove di irregolarità ci sono, il TAR di solito respinge. Dunque di nuovo vale la pena, se riconosci di aver ottenuto quei soldi senza titolo lecito, restituirli subito. In sede penale, se c’è condanna, il giudice disporrà la confisca dei tuoi beni fino a concorrenza di quell’importo, e li trasferirà allo Stato. Quindi in un modo o nell’altro li perdi. Tanto vale collaborare prima. Ad esempio, nel caso di Jesi, l’imprenditrice ha visto confiscare 530.000 € tra conti e immobili , che tornano all’Erario. In alcuni casi, il Giudice potrebbe anche condannarti a risarcire civilmente il Ministero, ma essendoci la confisca di solito il risarcimento coincide con essa. In sintesi: sì, dovrai restituire il bonus indebito. Per i beneficiari, pagando la sanzione amministrativa (o subendo confisca penale) hanno adempiuto. Per gli esercenti, se la vicenda è amministrativa pagheranno quella determinata somma all’erario; se penale, la confisca tiene luogo del recupero. Non pensare di poterla fare franca a lungo: se non paghi spontaneamente, lo Stato ti inseguirà con gli strumenti di riscossione coattiva (pignoramenti, fermi amministrativi etc.). Anche anni dopo, potrebbero trattenerti da eventuali crediti verso la PA. Quindi la strada migliore è chiudere il debito il prima possibile, magari negoziando un pagamento dilazionato se l’importo è alto.
D9: Quanto tempo può passare prima che mi contestino un uso improprio del bonus? C’è una prescrizione?
R: Sì, esistono limiti temporali sia per le sanzioni amministrative sia per l’azione penale: – Per la sanzione amministrativa: la L.689/81 stabilisce che il verbale di contestazione dev’essere notificato entro 90 giorni dall’accertamento (non dal fatto, attenzione, ma da quando l’autorità ha identificato l’illecito e il trasgressore). Dato che molti controlli sono avvenuti a posteriori incrociando dati, spesso la GdF ha scoperto la frode mesi o anni dopo. Appena l’ha scoperta, fa partire i 90 gg per notificare. In generale, per gli illeciti amministrativi c’è anche una prescrizione dell’azione sanzionatoria di 5 anni dal giorno in cui l’illecito è stato commesso (art. 28 L.689/81). Se passano oltre 5 anni senza che sia stato notificato nulla, la sanzione amministrativa non è più esigibile. Tuttavia, attenzione: se nel frattempo c’è stato un procedimento penale, spesso tengono in sospeso l’amministrativo (perché, come detto, non si può punire due volte). Ad esempio, un ragazzo spende male il bonus nel 2018; l’indagine parte nel 2020; decidono di procedere solo amministrativamente e gli notificano nel 2023 un verbale: sono 5 anni dal fatto, teoricamente prescritti? Non proprio, perché la prescrizione per le sanzioni amministrative decorre dalla data del commesso illecito se questo è noto subito, ma se emerge dopo può esser fatto valere comunque entro 5 anni dall’accertamento. È un po’ tecnico: diciamo che se entro 5 anni dal fatto non ti hanno contestato nulla, puoi iniziare a pensare di essere fuori pericolo amministrativo (a meno che tu non abbia attivamente nascosto la cosa rendendo difficoltoso l’accertamento). In diversi casi concreti, comunque, le Fiamme Gialle e la Corte dei Conti hanno agito velocemente. Ad esempio, per frodi 2016-2019, già nel 2020-2021 c’erano accertamenti in corso. Dunque pochi sono sfuggiti per prescrizione amministrativa. – Per il reato penale: dipende dal reato contestato. Truffa aggravata (640-bis) ha tempo di prescrizione base di 6 anni, che diventano 7 anni e mezzo considerando atti interruttivi (dopo la riforma 2017 e 2019, la prescrizione si blocca dopo la sentenza di primo grado, ma fino ad allora corre). Indebita percezione (316-ter) ha 5 anni base, estensibili a 6 anni e 3 mesi. Le eventuali associazioni per delinquere hanno 6 anni base, 7.5 anni estesa (sempre reato punito max 7 anni). In pratica, se in 5-6 anni non ti hanno né sanzionato né rinviato a giudizio, è probabile che non succederà più nulla perché il fatto sarà prescritto. Tuttavia, il calcolo non è semplicissimo e possono esserci atti che sospendono momentaneamente la prescrizione. Diciamo che ad oggi (2025) sono ancora perseguibili penalmente illeciti commessi nel 2018-2019 (per i quali magari i processi sono in corso). Quelli del 2017 potrebbero essere al limite. Ad esempio, la Cassazione nel 2023 stava ancora decidendo su condotte 2016-2019 . Quindi la macchina giudiziaria si muove, seppur con i suoi tempi, e copre anche fatti di qualche anno prima. – In concreto: a molti ragazzi la contestazione è arrivata 2-3 anni dopo l’utilizzo indebito. Ad esempio, chi ha usato male il bonus nel 2017 si è visto arrivare sanzioni nel 2019-2020. Oppure la GdF di Napoli nel 2023 ha sanzionato usi illeciti del 2017-2018 . Quindi non è immediato, ma nemmeno remoto. Se sono passati più di 5 anni e non hai ricevuto nulla, è probabile che tu non sia nei casi noti (oppure che la somma fosse così piccola da decidere di non procedere). Resta però un rischio: la Corte dei Conti potrebbe teoricamente agire per danno erariale oltre queste sanzioni, ma trattandosi di materia tipicamente penale/amministrativa si è lasciata alle procedure ordinarie.
Riassumendo: c’è una prescrizione di 5 anni per la sanzione amm. (che decorre dal fatto se noto, altrimenti dall’accertamento) e analoga per i reati (6 anni circa). Quindi massimo 5-6 anni è l’arco temporale in cui possono arrivare guai dopo l’uso illecito. Oltre, il rischio cala drasticamente. Ma confidare nella prescrizione non è una strategia: lo Stato, una volta scoperto, tende a contestare entro poco. Non di rado notificano l’atto apposta prima che scadano i 5 anni così da tenersi la porta aperta. Ad esempio, se uno ha commesso l’illecito a gennaio 2018, cercheranno di notificare entro fine 2022 o 2023 per stare nei termini. Insomma, la “spada di Damocle” dura qualche anno.
D10: Cosa cambia con il nuovo sistema Carta Cultura Giovani e Carta del Merito? Sarà più difficile fare i furbi?
R: Le nuove Carte presentano alcune differenze che dovrebbero ridurre gli abusi: – Innanzitutto, la platea di beneficiari è più ristretta (non tutti i 18enni, ma solo quelli con ISEE ≤ 35.000 o con 100/100). Questo implica numeri minori e presumibilmente controlli più mirati. Ad esempio, sapere l’ISEE comporta che c’è già un’interazione con INPS e controlli incrociati. Anche i tempi di fruizione sono più definiti (richiesta in un certo periodo, utilizzo entro fine anno). – Il MiC ha annunciato di voler rafforzare i meccanismi anti-truffa: ciò potrebbe significare sistemi informatici di monitoraggio migliorati (ad es. segnalazione automatica se un esercente riscatta un volume anomalo di voucher in breve tempo, oppure se un utente spende tutto in un unico negozio sospetto). Già ora, come visto, sospendono i rimborsi sospetti in tempo reale . – La normativa sanzionatoria è stata scritta ex novo e con il pugno duro (multe 10-50x, sospensione licenza) . Questo di per sé è un deterrente: un commerciante onesto, sapendo che rischia decine di migliaia di euro di multa e due mesi di chiusura, ci penserà due volte prima di accettare usi impropri. – Inoltre, per gli esercenti il MiC ha predisposto condizioni d’uso più stringenti. Ad esempio, dovranno fornire rendicontazioni più dettagliate, e probabilmente è stata migliorata la verifica delle transazioni. Nel DPR attuativo del 2023 ci sono disposizioni su monitoraggio e valutazione d’impatto con questionari a beneficiari ed esercenti , segno che terranno sotto controllo l’andamento e ascolteranno feedback (anche per scoprire eventuali storture). – Un cambiamento sostanziale: con le nuove Carte, in teoria, non c’è più un “codice buono” generato dall’utente che il negoziante può facilmente riscattare senza vero bene. Ora il meccanismo dovrebbe integrarsi con la piattaforma IO app (quella dei servizi pubblici) o sistemi affini, per cui l’uso potrebbe essere più tracciato e meno “manuale”. Meno codici condivisibili = meno monetizzazioni illegali (si spera). – Il Ministro Sangiuliano ha anche parlato di collaborazione con Guardia di Finanza e Polizia Postale sin dalla fase di implementazione : ciò significa che fin da subito scambieranno dati per individuare anomalie. Ad esempio, se si vede che il Signor X (esercente) riscuote 50 carte cultura di ragazzi da fuori regione tutti in un giorno, scatterà un alert automatico. – Resta però vero che la frode informatica è sempre dietro l’angolo: l’episodio degli SPID paralleli è del 2025, quindi recente . I truffatori cercheranno buchi nel sistema. Starà agli enti tapparli.
Dal punto di vista del cittadino, con le Carte nuove occorre sapere che non tutti ne avranno diritto. Quindi un eventuale uso improprio potrebbe anche consistere nel fingere requisiti (es. dichiarare un ISEE falso). Questo è più complicato perché l’ISEE viene calcolato dal CAF/INPS, non a parola, quindi difficile barare senza lasciare traccia di falso ideologico. Chi ci prova potrebbe commettere reato di falso e truffa aggravata (non appena incassa i 500 € senza averne diritto). Dunque, la raccomandazione è: non tentare di fare i furbi nemmeno col nuovo sistema. I controlli incrociati (con database MIUR per i voti, con INPS per ISEE) sono già predisposti.
In conclusione, il passaggio da 18App alle Carte Giovani/Merito dovrebbe ridurre il fenomeno di massa delle piccole truffe, ma certamente non elimina i doveri di corretta utilizzazione. La legge è persino più severa ora: prima un ragazzo con 18App rischiava al massimo 1.500 € di multa (triplo), ora rischia almeno 5.000 € (10x) . Quindi l’aspettativa è che, con la paura di sanzioni così elevate, beneficiari e negozianti ci penseranno due volte. Tuttavia, la vera efficacia dipenderà da come verranno attuati i controlli e le eventuali nuove modalità di spesa. Se, come sembra, sarà tutto digitalizzato via app IO, forse sarà meno facile anche lo scambio di codici. Staremo a vedere nel 2025, ma intanto la normativa c’è ed è chiara: uso illecito = restituzione soldi + multa salatissima + possibili sanzioni accessorie e penali. Meglio godersi il bonus per ciò che la legge consente (cultura!) e non per altro.
D11: In caso di contestazione, conviene cercare un accordo transattivo con la pubblica amministrazione?
R: Nel procedimento amministrativo puro, non c’è una vera “transazione” prevista: o paghi o fai ricorso. Non esiste una norma che consenta al Prefetto di concordare un importo minore di multa in cambio della rinuncia a ricorrere, ad esempio. Quindi formalmente no, non c’è un patteggiamento amministrativo. Tuttavia, in senso lato, se collabori presentando memorie ben fatte, di fatto puoi ottenere una sanzione ridotta al minimo (che è un po’ l’equivalente di un “accordo implicito”: ammetto e mi tieni basso). Per gli importi indebitamente percepiti, la PA vuole riavere i soldi: se glieli restituisci subito integralmente, magari nella fase iniziale, questo potrebbe convincerli a non insistere su ulteriori provvedimenti. Ad esempio, ipoteticamente il Ministero potrebbe decidere di non inoltrare una segnalazione in procura se l’importo è basso e tu lo hai già ridato. Non c’è garanzia, dipende dalle prassi interne e dalla rilevanza penale. Sul fronte penale invece, esiste il patteggiamento con il PM: quella è la vera transazione (pena ridotta e definizione del caso). L’ente pubblico parte lesa può rilasciare una dichiarazione di aver ricevuto il risarcimento e talvolta ciò porta il PM a essere più favorevole all’accordo. Quindi il miglior “accordo” che puoi fare, se sei imputato, è risarcire il danno (ridare i soldi) e proporre patteggiamento. Con la Prefettura invece, puoi cercare di convincere che la tua sanzione stia al minimo, ma non c’è tavolo negoziale formale. Una sorta di accordo può avvenire in contesti di giustizia contabile: la Corte dei Conti in alcuni casi accetta definizioni agevolate del danno erariale (versando una parte). Ma per 18App finora non abbiamo notizia di casi finiti in Corte dei Conti, si è proceduto per via ordinaria. Dunque, sintetizzando: transare nel senso di trovare un compromesso con l’amministrazione è difficile, a meno che tu non sia in un doppio binario (amministrativo e penale) e offri di chiudere tutto restituendo e patteggiando. Ricorda che gli importi indebitamente percepiti sono somme pubbliche e chi le gestisce ha il dovere di recuperarle per intero, non può “scontarle” arbitrariamente. Quello che può essere modulato è la parte sanzionatoria extra. Su quella il Prefetto ha discrezionalità e lì la tua “trattativa” è appunto la memoria difensiva ben fatta e magari un colloquio (se ti convocano) dove mostri atteggiamento collaborativo e pentito.
D12: Se ho usato solo una parte del bonus in modo scorretto (es. 100 € su 500), vengo sanzionato sull’intero importo?
R: In teoria la sanzione dovrebbe riferirsi alla parte indebitamente utilizzata. Se, ad esempio, hai speso 400 € in libri e 100 € per qualcosa di non ammesso, l’importo indebito è 100 €. Di conseguenza, la multa sarebbe calcolata su quei 100 € (10x = 1.000 € minimo). Tuttavia, bisogna vedere come è presentata la cosa. Se le transazioni sono distinguibili (e di solito lo sono, perché ogni acquisto ha un codice univoco), ti contesteranno solo quella non conforme. Non escludo però che potrebbero contestare l’intero bonus qualora la violazione implichi la decadenza totale dal beneficio. Ad esempio, se riscontrano che hai violato le condizioni d’uso, il Ministero potrebbe revocarti l’intero bonus (considerando decaduto il diritto) e chiedere indietro tutti i 500 €. In alcuni casi concreti, la GdF ha contestato transazione per transazione. Ad esempio, negli atti c’era scritto “buono codice X di €50 usato per ricarica postepay – indebito €50, sanzione €150”. Quindi facevano il calcolo su ciascuna transazione illecita. Se una parte era lecita, quella non veniva toccata. Nell’operazione di Jesi, 2.500 giovani avevano comprato elettronica e credo che abbiano considerato indebito l’intero importo dei rispettivi buoni (perché i beni erano tutti non ammessi) . Se fosse capitato uno che su 500 € ne avesse spesi 250 in libri e 250 in smartphone, probabilmente contestavano 250. Ma non avendo info su casi misti, questa è una deduzione. In generale il principio è: la sanzione colpisce la parte indebita. Quindi non ti puniscono per ciò che hai fatto regolarmente. Certo, l’autorità potrebbe guardare con sospetto il fatto che hai usato anche solo una parte in modo scorretto e chiedersi se magari hai aggirato le regole altrove. Ma se dimostri che il resto era regolare, non dovrebbero includerlo. Dunque, se sei in questa situazione, nelle tue difese sottolinea: “Ho utilizzato il bonus quasi totalmente in modo corretto, eccetto questo piccolo importo per cui mi scuso; chiedo che la sanzione sia riferita solo a quello”. Giuridicamente deve essere così. Un discorso a parte: se l’illecito è considerato grave a prescindere dall’importo (come sul piano penale), possono punirti duramente anche per 50 €. Ad esempio, 50 € di indebito se c’è stato raggiro configurano comunque reato (ma poi per particolare tenuità potrebbero archiviare, essendo sotto 4k e modesto, se non c’è dolo intenso). In amministrativo, 50 € indebito comporta comunque minimo 1.000 € di multa (perché la legge dice minimo 1000 € anche se 10x sarebbe 500). Quindi c’è una soglia minima che punisce anche violazioni piccole. Ma formalmente non ti chiederanno di restituire più di 50 € di beneficio (più la multa). Quindi, in conclusione, se hai usato male solo parte del bonus, verrai chiamato a rispondere di quella parte. L’eccezione sarebbe se la violazione porta all’annullamento totale del diritto, ma non mi risulta si applichi automaticamente. Più facile che ti dicano: “Dei 500 € fruiti, 100 sono illegittimi, restituisci 100 e paga 1000 di multa”. E i restanti 400 legittimi restano legittimi.
Conclusione: Il Bonus Cultura 18App, strumento pensato per arricchire i giovani culturalmente, ha purtroppo generato fenomeni di uso distorto e illegale che le autorità italiane hanno affrontato con provvedimenti sempre più decisi. Oggi chiunque pensi di aggirare le regole deve sapere che il gioco non vale affatto la candela: i controlli sono attivi e le sanzioni, sia amministrative sia penali, possono essere rovinose (multe decuplicate, richieste di restituzione integrale dei fondi, processi per truffa con rischio di condanna e confisca). Dal punto di vista del debitore, ossia di colui che si vede contestare un uso improprio, è fondamentale conoscere i propri diritti di difesa e gli strumenti per far valere le proprie ragioni nelle opportune sedi (Prefettura, Tribunale, ecc.). Come abbiamo esaminato, esistono vari livelli di tutela: dalla presentazione di memorie difensive per evitare o ridurre la sanzione, fino ai riti alternativi nel penale per chiudere la vicenda giudiziaria limitando i danni. Il punto chiave è agire tempestivamente e in modo informato: non ignorare le contestazioni, non mentire ulteriormente (peggiorerebbe solo la situazione), ma piuttosto cercare un approccio collaborativo e responsabile. Ciò può significare, ad esempio, restituire spontaneamente il beneficio indebito, ammettere l’errore e impegnarsi a non reiterarlo, sfruttando magari gli istituti di oblazione o perdono giudiziale se applicabili.
Va apprezzato che il legislatore, pur punendo severamente gli abusi, ha voluto salvare la validità del bonus cultura come idea, rinnovandola nelle nuove Carte Giovani e Merito invece di abolirla del tutto. Questo significa che c’è fiducia nel fatto che, con regole più rigide e consapevolezza diffusa, il bonus possa continuare ad esistere senza prestarsi a raggiri. Avvocati e consulenti legali dovranno ancora assistere persone coinvolte in queste vicende, ma con la giurisprudenza formatasi (Cassazioni del 2023) e con la legge aggiornata, il quadro normativo è più chiaro che in passato. Chi è accusato ingiustamente potrà difendersi con migliori argomenti, e chi invece ha sbagliato dovrà affrontare le conseguenze con onestà, magari riuscendo a contenere le sanzioni grazie a una difesa tecnica ben congegnata.
In definitiva, “come difendersi” nel contesto del bonus cultura contestato significa far valere le proprie ragioni nel rispetto della legge, con l’aiuto di strumenti procedurali e sostanziali che l’ordinamento offre. Questa guida, aggiornata ad agosto 2025 con le ultime norme e sentenze, si propone di essere un vademecum avanzato per orientarsi in tale percorso difensivo. E, auspicabilmente, anche un monito affinché il Bonus Cultura venga utilizzato sempre correttamente, evitando a giovani e imprenditori di doversi trovare nella spiacevole posizione del “debitore” contestato. In caso contrario, come abbiamo visto, lo Stato ha ora un arsenale normativo ben nutrito per rivalersi di ogni euro speso indebitamente e per punire chi tenta di lucrarvi sopra in modo fraudolento .
Fonti: Normativa di riferimento (L. 208/2015; D.P.C.M. 187/2016; L. 197/2022 commi 357-quinquies e 358 ; D.M. MiC 225/2023); Ministero della Cultura – cartegiovani.cultura.gov.it (FAQ e manuali); Cassazione penale n. 29563/2023 e n. 37661/2023 (conversione illecita bonus = truffa aggravata) ; Operazioni GdF e Polizia (Napoli 2023, Vicenza 2023, Firenze 2025) ; comunicazioni ufficiali MiC e dichiarazioni Ministro Cultura . Le informazioni sono state verificate e aggiornate ai più recenti sviluppi, per fornire un quadro completo e affidabile.
- Legge di bilancio 2023, il testo in Gazzetta Ufficiale – Articolo del 29/12/2022
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Il Bonus Cultura 18app è un’agevolazione destinata ai diciottenni per spese legate alla formazione e alla cultura (libri, eventi, corsi, musica, cinema, teatro). Se l’Agenzia delle Entrate rileva che il bonus è stato utilizzato per beni o servizi non ammessi, può procedere alla revoca e al recupero delle somme. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: bisogna verificare se l’acquisto rientra o meno tra le categorie ammesse.
👉 Prima regola: conserva sempre la documentazione che dimostri la natura culturale della spesa effettuata.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Acquisti di beni non previsti dal regolamento (es. prodotti non culturali);
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- Spese effettuate presso esercenti non accreditati;
- Errori di registrazione sulla piattaforma 18app;
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📌 Conseguenze della contestazione
- Revoca del bonus e recupero delle somme utilizzate;
- Applicazione di sanzioni per utilizzo indebito;
- Interessi di mora;
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🔍 Cosa verificare per difendersi
- Categoria della spesa contestata: era effettivamente esclusa o rientra in quelle ammesse?
- Prove di acquisto: ricevute, fatture o scontrini specifici;
- Regolarità dell’esercente: era abilitato sulla piattaforma 18app?
- Motivazione della contestazione: l’Agenzia deve indicare con precisione l’uso improprio;
- Termini di notifica: verifica che i tempi di legge siano stati rispettati.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Fatture o ricevute fiscali degli acquisti;
- Copia delle transazioni effettuate con 18app;
- Elenco ufficiale delle spese ammesse al momento dell’acquisto;
- Comunicazioni con gli esercenti;
- Eventuali chiarimenti forniti dal Ministero della Cultura.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la natura culturale dell’acquisto contestato;
- Contestare la revoca se basata su interpretazioni restrittive delle spese ammissibili;
- Eccepire vizi procedurali: motivazione insufficiente, notifica irregolare, decadenza;
- Richiedere autotutela se la spesa era effettivamente legittima;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per opporsi al recupero delle somme.
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🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
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Conclusione
Le contestazioni sull’uso improprio del Bonus Cultura 18app non sempre sono fondate: molte volte derivano da errori tecnici o interpretazioni restrittive.
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