Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché hai utilizzato in compensazione crediti considerati inesistenti? In questi casi, l’Ufficio presume che i crediti indicati nel modello F24 non abbiano alcun fondamento, o perché mai maturati, o perché già utilizzati in precedenza. La conseguenza è il recupero delle somme compensate, con applicazione di sanzioni molto gravi e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: ci sono strumenti difensivi per dimostrare la spettanza dei crediti.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta crediti inesistenti
– Se i crediti non risultano dalle dichiarazioni fiscali presentate
– Se i crediti si riferiscono a imposte o contributi mai versati
– Se sono stati già utilizzati in compensazione in anni precedenti
– Se i crediti derivano da documentazione ritenuta falsa o irregolare
– Se i crediti vengono confusi con quelli non spettanti (che hanno disciplina diversa)
Conseguenze della contestazione
– Recupero immediato delle somme indebitamente compensate
– Applicazione di sanzioni dal 100% al 200% dell’importo contestato
– Interessi di mora calcolati dalla data della compensazione
– Possibile segnalazione in sede penale per indebita compensazione se l’importo supera le soglie di legge
– Rischio di blocco dei modelli F24 successivi tramite i controlli preventivi dell’Agenzia
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la corretta maturazione del credito con dichiarazioni fiscali, certificazioni e versamenti a supporto
– Contestare la qualificazione di “inesistente” quando si tratta in realtà di credito “non spettante” (con sanzioni meno gravi)
– Evidenziare errori materiali dell’Agenzia delle Entrate nella ricostruzione delle compensazioni effettuate
– Far valere eventuali vizi formali, difetti di motivazione o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento totale o parziale della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione fiscale e i modelli F24 contestati
– Verificare la corretta qualificazione dei crediti e delle compensazioni effettuate
– Redigere un ricorso fondato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari e, se necessario, anche in sede penale
– Tutelare il patrimonio personale e aziendale da conseguenze economiche sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni applicate se il credito non era inesistente ma solo non spettante
– L’eliminazione di interessi non dovuti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. In caso contrario, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi in caso di contestazioni su crediti inesistenti utilizzati in compensazione e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
L’utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti è una delle contestazioni più temute dai contribuenti. Quando l’Agenzia delle Entrate contesta che un credito vantato e usato per pagare imposte sia in realtà “inesistente”, il destinatario (che sia un privato, un imprenditore o un professionista) si trova ad affrontare sanzioni molto pesanti e un procedimento complesso. In questa guida forniremo un’analisi avanzata e aggiornata (agosto 2025) su come difendersi efficacemente, con un linguaggio tecnico-giuridico ma al contempo chiaro e divulgativo.
Tratteremo inizialmente la normativa italiana rilevante, spiegando la distinzione chiave tra crediti “non spettanti” e crediti “inesistenti” e le relative conseguenze in termini di termini di accertamento, sanzioni amministrative e profili penali. In seguito analizzeremo le diverse fasi dei controlli fiscali (dai controlli automatizzati e formali fino agli avvisi di accertamento e alle cartelle di pagamento) evidenziando i diritti del contribuente in ciascuna fase. Saranno incluse sentenze recenti e fonti ufficiali autorevoli, nonché tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni. Il punto di vista adottato è quello del debitore-contribuente, al fine di focalizzarci sulle strategie difensive disponibili per contrastare efficacemente un’accusa di utilizzo di crediti inesistenti in compensazione.
Importanza del tema: La compensazione di crediti tributari è uno strumento legittimo e prezioso per imprese e contribuenti (ad esempio, compensare un credito IVA o un credito d’imposta per investimenti con debiti fiscali dovuti). Tuttavia, abusi e errori in questo ambito hanno indotto il legislatore e l’amministrazione finanziaria a inasprire i controlli. L’utilizzo di un credito inesistente – ossia privo di reale fondamento – è considerato una violazione grave, soggetta a termini di accertamento più lunghi e sanzioni aggravate . Addirittura, oltre a sanzioni amministrative, nei casi più seri può configurare il reato di indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000). D’altro canto, non sempre la posizione dell’Agenzia è corretta: spesso vengono contestati come “inesistenti” crediti che in realtà sono solo “non spettanti” (ad esempio per errori formali o per incertezze normative). Questa distinzione è cruciale perché, come vedremo, comporta sanzioni e termini molto diversi . Le recentissime Sezioni Unite della Corte di Cassazione (dicembre 2023) e una riforma delle sanzioni nel 2024 hanno fatto finalmente chiarezza su tale distinzione .
Struttura della guida: Nei capitoli seguenti affronteremo: (1) le definizioni normative di credito non spettante vs. inesistente e le novità legislative fino al 2025; (2) i termini decadenziali per l’accertamento di questi crediti e le relative sanzioni amministrative e penali; (3) il procedimento di controllo e accertamento (controllo automatizzato, formale, avviso di accertamento, cartella) evidenziando come interagire con l’Amministrazione in ciascuna fase; (4) le strategie difensive a disposizione del contribuente, sia in fase pre-contenziosa (richieste di riesame, autotutela, certificazioni tecniche) sia in sede di ricorso avanti la Giustizia Tributaria; (5) alcune simulazioni pratiche basate su casi reali o realistici; (6) una sezione di Domande & Risposte per ricapitolare i punti chiave in modo mirato. Il tutto sarà corredato da riferimenti normativi (leggi, decreti) e giurisprudenziali (sentenze di Commissioni Tributarie, Corte di Cassazione, ecc.) aggiornati e da tabelle riepilogative che faciliteranno la comprensione delle differenze e delle possibili difese.
Passiamo quindi ad esaminare in dettaglio la cornice normativa e interpretativa, punto di partenza necessario per capire come muoversi quando l’Agenzia contesta un credito in compensazione ritenendolo inesistente.
Compensazione dei crediti d’imposta: quadro generale
Prima di approfondire la problematica dei crediti inesistenti, è utile richiamare brevemente cos’è la compensazione dei crediti d’imposta e come funziona nell’ordinamento italiano.
- Meccanismo della compensazione: La compensazione (spesso effettuata tramite il modello F24) consente al contribuente di utilizzare crediti tributari vantati verso l’Erario per pagare debiti tributari o contributivi. In pratica, invece di versare denaro, si “scala” l’importo del credito dal debito. È uno strumento che semplifica la gestione finanziaria delle imprese e evita doppi flussi di cassa con l’Erario. La compensazione può riguardare crediti emergenti dalla dichiarazione dei redditi o IVA (ad esempio, un credito IVA annuale o trimestrale, un saldo IRAP a credito, ecc.) oppure crediti d’imposta agevolativi introdotti da norme speciali (ad esempio, crediti per investimenti, ricerca e sviluppo, bonus edilizi, ecc.).
- Norme sulla compensazione: Il riferimento generale è l’art. 17 del D.Lgs. 241/1997, che disciplina l’istituto della compensazione tributaria. Esistono poi norme specifiche per determinati crediti: ad esempio, la Legge n. 244/2007 art. 1 c.53 (e succ. mod.) impone un limite annuale all’ammontare dei crediti compensabili (limite oggi pari a 2 milioni di euro annui, recentemente modificato e trasfuso nell’art. 3 D.Lgs. 33/2025 ). Inoltre, per alcuni crediti è richiesto il visto di conformità da parte di un professionista sul modello dichiarativo (ad esempio per crediti IVA superiori a 5.000 €, o per crediti da bonus fiscali oltre certe soglie, come previsto dal D.L. 124/2019). Queste misure mirano a prevenire abusi nelle compensazioni.
- Tipologie di crediti compensabili: Rientrano nella compensazione sia eccedenze d’imposta (ad esempio un surplus di versamento o un acconto versato in eccesso, come un credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale) sia crediti d’incentivo (come i crediti d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno, per R&S, per bonus edilizi ceduti, crediti emergenti da agevolazioni straordinarie, ecc.). Ogni credito ha proprie condizioni di spettanza stabilite dalla legge che lo ha istituito. Ad esempio, un credito IVA è “spettante” se deriva realmente da operazioni attive/passive dichiarate e da versamenti effettuati in eccesso; un credito R&S è spettante se le spese effettuate rientrano tra quelle agevolabili secondo la normativa e – per gli anni più recenti – secondo i criteri tecnici previsti (come il Manuale di Frascati per definire l’attività di ricerca ammissibile, anche se come vedremo quel manuale non ha valore retroattivo vincolante senza esplicito richiamo normativo) .
- Compensazione indebita: Quando un contribuente utilizza in compensazione un credito che in realtà non gli spetta (in tutto o in parte), la compensazione viene detta indebita. Le cause possono essere molteplici: da un errore contabile, a una interpretazione errata della norma, fino a casi di abuso o frode in cui il credito è stato artificiosamente creato o “acquistato” senza reale operazione economica a monte. In ogni caso, l’utilizzo di un credito non dovuto comporta un mancato versamento di imposte, quindi l’Amministrazione cercherà di recuperare la somma maggiorata di sanzioni e interessi.
- Controlli dell’Amministrazione: La legge prevede che l’Agenzia delle Entrate esegua controlli sui crediti compensati. Alcuni controlli sono automated (telematici) e scattano in fase di liquidazione della dichiarazione o del modello F24 presentato (controlli ex art. 36-bis DPR 600/1973 per imposte dirette e art. 54-bis DPR 633/1972 per IVA). Altri controlli possono essere formali (art. 36-ter DPR 600/1973), richiedendo documentazione al contribuente. Infine vi sono verifiche approfondite e accertamenti veri e propri, quando l’ufficio ritiene che il credito sia fittizio o non dovuto: in tal caso può emettere un atto di recupero o un avviso di accertamento ad hoc. Approfondiremo queste fasi più avanti.
In sintesi, il sistema consente e regola la compensazione di crediti ma, al tempo stesso, predispone meccanismi per scovare e reprimere l’utilizzo di crediti non dovuti. Il contribuente deve quindi essere consapevole delle regole e pronto a dimostrare la legittimità dei propri crediti in caso di controllo.
Crediti “non spettanti” vs “crediti inesistenti”: definizioni normative aggiornate
Un passaggio fondamentale per impostare una difesa efficace è capire la differenza tra un credito d’imposta “non spettante” e un credito “inesistente”. La distinzione può sembrare sfumata, ma ha effetti enormi su tempi di accertamento e sanzioni. Vediamo le definizioni secondo la normativa italiana, evidenziando le novità introdotte dal D.Lgs. 87/2024 (attuativo della riforma fiscale) e l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione (culminato con la sentenza SS.UU. n. 34419/2023, dep. 11 dicembre 2023).
Definizione legislativa vigente: Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 5 agosto 2024 n. 87 (riforma delle sanzioni tributarie), il legislatore ha per la prima volta fornito una definizione normativa esplicita sia dei crediti inesistenti che di quelli non spettanti . In particolare:
- Un credito inesistente è ora definito come quello per cui «mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento» oppure i cui requisiti «sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti falsi, simulazioni o artifici» . Questa nuova definizione sostituisce la previgente (contenuta nell’art. 13, c.5 D.Lgs. 471/1997, come modificato nel 2015) che qualificava inesistente il credito privo del presupposto costitutivo e non riscontrabile con i controlli automatizzati o formali . La ratio della nuova definizione è duplice: da un lato oggettivizzare la qualificazione di inesistenza (guardando all’effettiva mancanza dei requisiti di legge del credito, per intero o in parte), dall’altro ampliarla includendo anche crediti falsi scoperti tramite controlli automatici o formali . In altre parole, non rileva più la “scopribilità” o meno con i controlli standard: conta se il credito manca dei presupposti di legge o è frutto di frode. Se sì, è inesistente. L’atto di indirizzo ministeriale del 1° luglio 2025 ha sottolineato proprio questo aspetto, chiarendo che l’attuale definizione risulta “circosscritta in modo più oggettivo” ai crediti carenti dei requisiti di legge e al contempo “ampliata” a ricomprendere eventuali crediti anche se rilevabili dai controlli automatici/formali .
- Un credito non spettante, invece, è il credito che pur esistendo nella sua configurazione base, è utilizzato in violazione di modalità o adempimenti prescritti, ovvero senza la sussistenza di ulteriori condizioni richieste. La novità è che solo con D.Lgs. 87/2024 si è avuta una definizione normativa esplicita di credito non spettante . In base a tale decreto, ricadono tra i “non spettanti” tre categorie :
- Crediti utilizzati in difetto di adempimenti formali previsti a pena di decadenza. Ad esempio, se la legge richiede la presentazione di una istanza o di una comunicazione per poter fruire del credito e il contribuente non l’ha presentata (o lo ha fatto tardivamente perdendo il diritto), l’eventuale utilizzo del credito configura una non spettanza.
- Crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla norma, o fruiti in misura eccedente il consentito. L’atto di indirizzo MEF chiarisce che ciò può riguardare:
- i tempi di utilizzo (es. se la norma impone di ripartire il credito in più anni e invece lo si usa tutto subito) ;
- il tipo di debito compensabile (es. il caso – reale – di bonus edilizi utilizzati da banche per pagare contributi previdenziali, in violazione di un espresso divieto normativo) ;
- l’uso del credito oltre i limiti quantitativi annuali (il superamento dei tetti di compensabilità previsti dalla legge) ;
- o anche l’aver ceduto il credito invece di utilizzarlo in compensazione, quando la cessione non era ammessa (indicando quindi un utilizzo improprio).
- Crediti formalmente integri nei requisiti di base, ma carenti di “ulteriori elementi o qualità” richiesti per il riconoscimento. Questa terza categoria ricomprende soprattutto i crediti d’imposta agevolativi “tecnici” – tipicamente i crediti per Ricerca & Sviluppo, Innovazione tecnologica, Design – in cui può accadere che il contribuente rispetti i requisiti generali (es. ha speso in R&S, è soggetto beneficiario, ecc.) ma le spese effettuate non possiedono alcune caratteristiche qualitative richieste da fonti tecniche di dettaglio (non richiamate espressamente dalla legge) . Ad esempio, un’azienda ha svolto un progetto di ricerca, ma l’Amministrazione contesta che non sia abbastanza “innovativo” secondo criteri di un manuale tecnico: in tal caso il credito, pur avendo basi reali, sarebbe considerato non spettante perché manca di un elemento qualitativo richiesto (l’innovatività dimostrata secondo determinati parametri) . Come chiarito infatti, restando fermi i requisiti oggettivi/soggettivi di base, il credito difetta di elementi ulteriori non esplicitamente previsti dalla legge primaria o dal decreto attuativo, ma magari introdotti da prassi o linee guida non vincolanti .
In parole più semplici, il credito non spettante è un credito “sbagliato” nell’utilizzo, ma non completamente inventato o fraudolento. Il credito inesistente invece è un credito “falso”, perché mancano proprio i presupposti di legge oppure è costruito su frode (anche documentale).
Esempi pratici delle due nozioni: – Credito non spettante: un contribuente compensa nel 2025 un credito d’imposta per investimenti in beni strumentali che gli spetterebbe sì, ma avrebbe dovuto ripartirlo in tre quote annuali: utilizzandolo in un’unica soluzione ha violato la modalità di utilizzo . Il credito esisteva (ha acquistato effettivamente i beni agevolati), ma ne ha fruito in modo difforme: l’importo usato in eccesso è “non spettante”. Altri esempi: compensare un bonus edilizio oltre il limite annuale, usare un credito R&S su spese che però non rientrano strettamente tra quelle agevolate secondo la normativa (difetto di elementi qualitativi), oppure dimenticare di presentare la comunicazione obbligatoria preventiva ma usare lo stesso il credito (difetto di adempimento formale). – Credito inesistente: un soggetto dichiara un credito IVA fittizio derivante da fatture false o da operazioni simulate – qui mancano i requisiti oggettivi perché le operazioni non sono reali e magari i documenti sono falsi, quindi il credito è radicalmente inesistente. Oppure un’impresa utilizza in F24 un credito d’imposta R&S mai maturato davvero, magari acquistato da terzi in una filiera fraudolenta: non vi è un’operazione reale sottostante, dunque manca il presupposto costitutivo. Ancora, generare “crediti” mediante meri artifici contabili nel modello F24 stesso (caso di crediti creati artificialmente indicando codici tributo non dovuti) rientra negli “artifici” fraudolenti menzionati dalla definizione .
Di seguito, riassumiamo le differenze principali tra credito non spettante e credito inesistente, secondo la normativa e l’interpretazione attuale:
Aspetto | Credito NON SPETTANTE | Credito INESISTENTE |
---|---|---|
Definizione (2024) | Credito utilizzato nonostante il mancato rispetto di adempimenti o modalità previste, oppure eccedente i limiti, oppure carente di elementi qualitativi aggiuntivi richiesti per l’agevolazione . In sostanza, il credito c’è ma non andava usato (o non in quella misura/forma). | Credito per il quale mancano i requisiti di legge (oggettivi o soggettivi) in tutto o in parte, oppure i requisiti sono stati soddisfatti solo mediante frode (documenti falsi, simulazioni, artifici) . In sostanza, il credito non esiste realmente o è fondato su falsità. |
Riscontrabilità | Spesso riscontrabile facilmente mediante controlli automatizzati o formali, perché l’errore emerge dai dati dichiarati o da documenti esibiti (es: superamento limiti, errore formale) . | Può derivare anche da operazioni occulte: la normativa 2024 non richiede più l’irriscontrabilità nei controlli. Anche se scoperto da controlli, se manca il presupposto o vi è frode è comunque inesistente . In passato invece si richiedeva che non fosse riscontrabile da 36-bis/36-ter per dire che era inesistente . |
Esempi tipici | Uso di credito oltre limiti temporali/quantitativi; mancanza di un adempimento formale (es. comunicazione omessa); spesa agevolata che non presenta un requisito tecnico non esplicitato da norme (es. progetto non innovativo secondo linee guida non vincolanti) . | Credito da operazioni simulate o inesistenti (es. fatture false); credito già estinto ma usato di nuovo; credito artificiosamente “creato” (es. indicato senza base); credito fruito da soggetto che non poteva (es. un’agevolazione riservata a PMI usata da un’azienda grande) . |
Termine per accertarlo | 5 anni dall’utilizzo (31/12 del quinto anno successivo). Termine “ordinario” di decadenza per il recupero. | 8 anni dall’utilizzo (31/12 dell’ottavo anno), dato il maggior disvalore. (Approfondimento sui termini nel paragrafo seguente). |
Sanzione amministrativa | 25% dell’importo indebitamente compensato (era 30% prima del 2023, ridotta dal 1/9/2024). Se la violazione consiste solo in un formalismo non corretto e viene sanata tempestivamente, sanzione fissa 250 € . | 70% dell’importo compensato , aumentabile da metà fino al doppio (quindi dal 105% al 140%) se il credito è frutto di frode documentale o artifici . (In passato la sanzione era dal 100% al 200%; dal 2024 è fissata al 70% base, potenziata solo in caso di condotta fraudolenta grave). |
Sanzione penale (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, soglie >50k €) | Reclusione da 6 mesi a 2 anni se l’importo annuo compensato > €50.000 . Inoltre, non è punibile il fatto se vi è “obiettiva incertezza” su elementi tecnico-giuridici alla base della spettanza del credito (clausola di non punibilità introdotta dal 2024, v. oltre). | Reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni se importo annuo > €50.000 . (Nessuna soglia penale invece per importi inferiori: il penale scatta solo oltre 50k annui non versati). La clausola di non punibilità per incertezza tecnica non si applica ai crediti inesistenti dolosi, che implicano frode. |
Come si nota, la qualificazione del credito come non spettante o inesistente è determinante. Sanzioni e termini cambiano radicalmente: 25% vs 70% di sanzione; termine di 5 anni vs 8 anni per l’accertamento . Anche le conseguenze penali divergono (range di pena diverso) e, soprattutto, è prevista una scriminante per le compensazioni non spettanti in caso di incertezza tecnica. Quest’ultima novità, introdotta nel comma 2-bis dell’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 dal D.Lgs. 87/2024, stabilisce che non è punibile penalmente chi ha utilizzato crediti non spettanti oltre soglia se “anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza” sugli elementi o qualità che fondano la spettanza del credito . Di fatto, il legislatore ha voluto escludere il penalmente rilevante in quei casi di contestazione dubbia o opinabile (tipicamente in materia di crediti R&S o simili) dove non c’è malafede ma solo divergenza di vedute tecniche . Questo non vale ovviamente per chi inventa crediti inesistenti, dove c’è frode manifesta.
Cassazione e interpretazione pre-riforma: Prima che intervenisse la legge delega fiscale con il D.Lgs. 87/2024, la distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti era stata delineata soprattutto dalla giurisprudenza. Vi sono state pronunce contrastanti in passato, ma la tendenza più recente – sposata infine dalle Sezioni Unite 2023 – è quella di tracciare un chiaro confine:
- Già con Cass. n. 34445/2021 la Corte aveva affermato che “devono ricorrere entrambi i requisiti” (mancanza del presupposto e non rilevabilità nei controlli ordinari) per configurare un credito inesistente, altrimenti è non spettante . In quella sentenza si sottolineava come la maggior parte dei casi di indebita compensazione rientri nei crediti non spettanti, riservando la qualifica di “inesistente” alle ipotesi più gravi di crediti fittizi o fraudolenti . La Cassazione spiegava infatti che “solamente quando il credito d’imposta è stato generato da operazioni simulate o da documenti falsi… si può considerare il credito come inesistente” . Questa impostazione era quindi incentrata sulla fraudolenza e sulla non evidenza del credito nei controlli di routine.
- Le Sezioni Unite (sentenza n. 34419 depositata l’11/12/2023) hanno definitivamente “chiuso il caso” confermando quella linea interpretativa e integrandola . Hanno sancito che il termine lungo di 8 anni si applica solo ai crediti inesistenti, intendendo per tali quelli in cui: (a) il credito è frutto di un’artificiosa rappresentazione, mancante dei presupposti di legge o già estinto al momento dell’uso; (b) la non esistenza non è riscontrabile con i controlli art. 36-bis e 36-ter DPR 600/73 o 54-bis DPR 633/72 . Se il requisito (a) c’è ma la scoperta poteva avvenire in sede di controllo automatico/formale, allora siamo in presenza di un credito non spettante e valgono i termini ordinari . In parallelo, la stessa sentenza SS.UU. ha affermato principi analoghi per le sanzioni: la sanzione “aggravata” (quella di art. 27 co.18 DL 185/2008 all’epoca, o oggi art. 13 co.5 D.Lgs. 471/97) si applica solo ai crediti inesistenti come sopra definiti, mentre ai non spettanti si applica la sanzione ordinaria (30% allora, ora 25%) . Questa storica pronuncia ha chiarito dunque che non ogni utilizzo indebito è “inesistente”: se l’irregolarità era rilevabile già dai dati forniti dal contribuente o con semplici riscontri documentali, il credito è da considerarsi non spettante, con regime sanzionatorio e termini più favorevoli al contribuente . Le S.U. hanno motivato ciò con un evidente criterio di proporzionalità, ritenendo che il legislatore ha previsto termini maggiorati e sanzioni più dure solo per fattispecie più ristrette e gravi , e che estendere tale trattamento all’ampia casistica di crediti semplicemente “contestati” sarebbe ingiusto.
Conseguenze pratiche della distinzione: Per il contribuente che intende difendersi, qualificare correttamente la contestazione dell’ufficio è fondamentale. Se si riesce a dimostrare che il caso rientra nella non spettanza (ad esempio errore in buona fede, difetto di un requisito tecnico non chiaro, ecc.) e non in una vera frode, i benefici sono dupli: – Sanzione ridotta: si scende al 25% (o al 30% per violazioni pre-2024) invece che affrontare il 70% (o peggio 140% in caso di frode) . Ciò riduce drasticamente l’esborso e anche l’immagine di gravità della violazione. – Termine di accertamento più breve: l’Agenzia perde il vantaggio dell’ottavo anno e deve stare entro il quinto. In molti casi questo significa che l’atto di recupero potrebbe risultare tardivo e decaduto, se notificato oltre i 5 anni . Ad esempio, diversi crediti R&S 2015-2017 contestati dall’Agenzia dopo il 2023 potrebbero ormai essere fuori tempo se considerati non spettanti (5 anni dall’utilizzo), mentre l’ufficio tendeva a ritenerli inesistenti per usare 8 anni. Le sentenze recenti stanno dando ragione ai contribuenti in questi frangenti, come vedremo.
Riassumendo, credito non spettante implica: violazione di condizioni o errori di calcolo/uso, ma credito sostanzialmente reale; credito inesistente implica: inesistenza sostanziale o fraudolenta del credito. Vediamo ora nei dettagli quali sono i tempi concessi all’Agenzia per accertare e quali sono le sanzioni previste, alla luce della normativa aggiornata.
Termini di accertamento e atti di recupero per crediti indebitamente compensati
Quando l’Agenzia delle Entrate intende contestare un credito compensato indebitamente, deve emettere un atto (sia esso un avviso di accertamento o un atto di recupero) entro precisi termini di decadenza fissati dalla legge. La distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti, come già accennato, incide anche su questi termini.
Termini decadenziali 5 vs 8 anni: Attualmente la disciplina è codificata nell’art. 38-bis, comma 3, DPR 600/1973 (così come modificato dalla normativa recente) . Tale norma prevede che la notifica dell’atto di recupero dei crediti indebitamente compensati debba avvenire, a pena di decadenza: – Entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di utilizzo del credito, se trattasi di crediti non spettanti . – Entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo, se trattasi di crediti inesistenti .
Questa tempistica era stata introdotta originariamente dall’art. 27, co. 16 del D.L. 185/2008 (conv. L. 2/2009) e ora trasposta nell’art. 38-bis DPR 600/73. Le Sezioni Unite 2023 hanno confermato che l’“allungamento” a 8 anni è riservato solo ai casi di crediti inesistenti (nel senso rigoroso spiegato prima), mentre per i non spettanti resta il termine “ordinario” quinquennale . Hanno pertanto risolto in favore del contribuente i dubbi interpretativi: se l’ufficio notifica un recupero oltre il quinto anno sostenendo trattarsi di credito inesistente, ma in giudizio emerge che invece era un credito non spettante, l’atto sarà tardivo e dovrà essere annullato .
Decorrenza del termine: Attenzione: il termine decorre dall’anno di utilizzo in compensazione del credito. Ad esempio, se un credito (per es. IVA) è stato utilizzato in compensazione in F24 nel 2019, l’Agenzia ha tempo fino al: – 31/12/2024 per notificarne il recupero se non spettante; – 31/12/2027 se inesistente.
Se il credito è stato utilizzato in più anni (quote annuali), ciascun utilizzo fa scattare il proprio termine. Inoltre, va considerato che la notifica valida ai fini della decadenza è quella al contribuente, non semplicemente l’emissione dell’atto.
Atto di recupero specifico: La legge prevede l’emissione di un apposito atto di recupero crediti indebitamente utilizzati, distinto dal classico avviso di accertamento. Questo atto di recupero è regolato come detto dall’art. 38-bis DPR 600/73 e costituisce esso stesso titolo esecutivo trascorsi 60 giorni, al pari di un avviso di accertamento. In pratica l’ufficio può scegliere se utilizzare: – un “atto di recupero” (forma spesso utilizzata per i crediti d’imposta agevolativi, come i bonus fiscali vari), – oppure un avviso di accertamento (più comune per questioni IVA o imposte dirette di competenza di una dichiarazione, dove magari oltre al credito negato c’è anche una maggiore imposta da liquidare).
In entrambi i casi, i termini su indicati (5 o 8 anni) valgono. L’importante è che il contribuente riceva un atto impositivo entro quella scadenza; altrimenti, la pretesa erariale è decaduta.
Eccezione per frode fiscale e raddoppio termini: È bene ricordare che i termini di decadenza tributari possono essere raddoppiati in presenza di un reato tributario ex art. 2 D.Lgs. 128/2015 (raddoppio dei termini per accertamento in caso di violazione penale). Tuttavia, per la compensazione indebita il reato specifico (art. 10-quater) ha soglia di punibilità di 50.000 €; se ad esempio il credito inesistente supera tale soglia, l’ufficio potrebbe invocare il raddoppio termini per emettere l’atto anche oltre gli 8 anni. Questa eventualità è però circoscritta e di solito 8 anni sono già un termine ampio. In generale, se il credito inesistente configuri reato, probabilmente l’azione penale scatterà comunque.
Transitori e applicabilità: Il D.Lgs. 87/2024, all’art. 5, ha stabilito che le nuove definizioni di credito inesistente/non spettante si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024 . Ciò ha creato una certa asimmetria: per gli utilizzi precedenti, formalmente varrebbero le definizioni precedenti. Tuttavia, come evidenziato da dottrina e prime pronunce, essendo le nuove definizioni più favorevoli in molti casi (ad es. riclassificando come non spettante ciò che prima l’Agenzia bollava come inesistente), si può tentarne l’applicazione retroattiva in virtù del principio del favor rei anche in ambito tributario . Ad esempio la Corte di Giustizia Tributaria di Lombardia, sent. n. 1482/25/25, ha già applicato retroattivamente la nuova definizione in un contenzioso su credito R&S, declassando a non spettante un credito contestato solo per difetto di innovatività (quindi senza frode) . Questo ha comportato l’estinzione per decadenza quinquennale del recupero notificato tardivamente e la riduzione sanzionatoria . In altre parole, i giudici tributari possono decidere di applicare la definizione più favorevole al contribuente se ciò incide sul regime sanzionatorio o decadenza, coerentemente con l’interpretazione autentica datane in ambito penale (Cass. pen. n. 19868/2025 ha qualificato le definizioni del 2024 come “interpretative” e dunque applicabili retroattivamente in melius) .
Conclusione sui termini: Il contribuente deve innanzitutto verificare quando ha usato il credito contestato e se l’atto dell’Agenzia è arrivato entro il termine giusto. Se l’ufficio ha applicato l’ottavo anno ma il caso in realtà è di non spettanza, occorre eccepire in ricorso la decadenza dell’accertamento . Ciò costituisce un motivo procedurale di nullità che prescinde dal merito. Spesso può chiudere il caso immediatamente a favore del contribuente. Viceversa, se la notifica è tempestiva secondo gli 8 anni e la frode è provata, la difesa dovrà concentrarsi sul merito e sulle sanzioni.
Passiamo ad esaminare proprio le sanzioni amministrative e penali, anch’esse diverse a seconda della qualificazione del credito.
Sanzioni amministrative e profili penali
La contestazione di crediti inesistenti o non spettanti comporta sanzioni amministrative tributarie pecuniarie e, per i casi più gravi, può integrare gli estremi di un illecito penale. In questa sezione distingueremo i due ambiti.
Sanzioni amministrative tributarie
Le sanzioni amministrative per indebita compensazione di crediti sono previste dall’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 (che disciplina le sanzioni sui omessi versamenti e indebite compensazioni). A seguito della riforma del 2024, l’art. 13 è stato ampiamente modificato per recepire la nuova distinzione. Ecco il quadro aggiornato:
- Credito inesistente: sanzione pari al 70% del credito utilizzato in compensazione . Questa sanzione si applica quando il credito compensato “sia privo, in tutto o in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi” previsti dalla norma agevolativa . In aggiunta, è stata introdotta una circostanza aggravante: se il credito inesistente è frutto di comportamenti fraudolenti (documenti falsi, simulazioni, artifici), la sanzione del 70% è aumentata da 1/2 fino al doppio . Ciò significa che in presenza di frode la sanzione può salire dal 105% al 140% del credito indebitamente compensato. Sarà l’Ufficio, nell’atto, a motivare l’eventuale contestazione di frode che giustifica l’aumento (ad es. allegando prove di fatture false). Se manca tale specifica, resta il 70%. Nota: in passato (prima del 2024) la sanzione per crediti inesistenti era dal 100% al 200% ; la riforma l’ha ridotta al 70% base (aumentabile in caso di dolo conclamato). Questa è una modifica favorevole al contribuente, dunque applicabile retroattivamente (principio del favor rei) per violazioni anteriori non definitive. Infatti, se un contribuente era stato sanzionato al 100%, in sede contenziosa potrà chiedere di applicare la nuova misura più bassa (70%) se più vantaggiosa .
- Credito non spettante: sanzione pari al 25% del credito utilizzato . La norma (art. 13, c.4-bis D.Lgs. 471/97) specifica che tale sanzione si applica anche quando il credito è utilizzato senza aver eseguito adempimenti formali richiesti non a pena di decadenza, purché queste violazioni formali vengano corrette entro un certo termine . Inoltre, un comma 4-ter prevede che se il credito è usato in violazione di soli obblighi strumentali (non a pena di decadenza) ed essi sono poi sanati entro la presentazione della dichiarazione annuale successiva (o entro un anno se non c’è dichiarazione), si applica solo una sanzione fissa di 250 euro . In pratica: se ad esempio un contribuente utilizza un credito d’imposta senza apporre il visto di conformità obbligatorio, ma se ne accorge e presenta una dichiarazione integrativa con visto entro l’anno successivo, anziché il 25% su tutto, pagherà 250 € di sanzione fissa. Questa è una misura premiale per chi corregge tempestivamente le irregolarità formali.
- Altre sanzioni correlate: Oltre alla sanzione pecuniaria principale, l’ufficio recupera naturalmente anche gli interessi per il tardivo versamento (calcolati in genere dal momento dell’utilizzo indebito del credito fino al pagamento). Gli interessi non sono una “sanzione” ma un accessorio dovuto ex lege. Non vi sono, in ambito amministrativo, sanzioni accessorie particolari (come interdizioni) per l’uso di crediti inesistenti, fatta salva l’ipotesi rara in cui l’abuso di crediti rientri in condotte che possano portare a segnalazioni in blacklist o simili (ma è un altro discorso).
Focus ravvedimento: Il contribuente che si accorge spontaneamente di aver utilizzato un credito non spettante o inesistente può effettuare un ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 472/1997, versando il dovuto e una sanzione ridotta. Con le nuove misure: se il credito è inesistente la sanzione base è 70%, riducibile (ad esempio a 1/5 se ravvede dopo la contestazione formale ma prima dell’atto esecutivo); se è non spettante 25%. Il ravvedimento può ridurre significativamente la sanzione (fino a 1/9 se entro un anno dall’omissione). Tuttavia, attenzione: per i crediti inesistenti la possibilità di ravvedimento in passato era discussa (essendo considerata violazione grave). Oggi sembra ammessa, ma in pratica non semplice da gestire: implica ammettere l’errore e restituire tutto il credito. Se però c’è rischio penale (superate soglie), il ravvedimento potrebbe non estinguere l’illecito penale se già perfezionato, quindi va valutato con legale.
Sanzioni e qualificazione errata: Uno dei temi difensivi è contestare l’eventuale errata qualificazione da parte dell’ufficio per ridurre la sanzione. Capita infatti che l’Agenzia, in dubbio, contestasse il credito come inesistente (applicando 100%/200% di sanzione in passato). Oggi, con la chiarezza normativa, se il contribuente dimostra che i presupposti oggettivi c’erano (dunque non è un credito “falso”) e magari mancava solo un elemento tecnico, la sanzione giusta è il 25%, non il 70%. Questo può far ridurre la sanzione di oltre la metà. Inoltre, qualora l’atto di contestazione fosse stato notificato quando vigeva la sanzione più alta (100%), il contribuente ha diritto alla rideterminazione della sanzione in base al favor rei, come confermato dalle SS.UU (applicare quella più favorevole tra vecchia e nuova normativa) .
Riassumendo: – Non spettante: sanzione amministrativa 25% (30% per fatti pre-settembre 2024), riducibile a 250 € se mera formalità sanata . – Inesistente: sanzione amministrativa 70%, elevabile fino a 140% se frode (era 100-200% ante 2024).
Rilievi penali (reato di indebita compensazione)
L’utilizzo indebito di crediti può integrare il reato di indebita compensazione disciplinato dall’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000 (reati tributari). Questo reato distingue a sua volta due ipotesi: – Compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater co.1): se l’ammontare indebitamente compensato in un anno supera 50.000 €, è prevista la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni . Questa è considerata fattispecie più grave. – Compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater co.2): soglia sempre 50.000 € annui, pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni .
Sono soglie “annuali” riferite all’anno solare di utilizzo. Ad esempio, se in tutto il 2023 un contribuente ha compensato 60mila € di crediti poi risultati indebiti, scatterebbe il penale; se erano 40mila, no (resta illecito solo amministrativo). Occorre sommare tutti i crediti non spettanti o inesistenti utilizzati nello stesso anno per vedere se si supera la soglia.
Evoluzione normativa: Il D.Lgs. 87/2024 ha lasciato invariate soglie e pene, ma ha introdotto due novità importanti: – La già citata clausola di esenzione da pena (art. 10-quater co.2-bis) per i crediti non spettanti: se le valutazioni sulla spettanza avevano obiettiva incertezza tecnica, il fatto non è punibile . Ciò è pensato per proteggere chi, ad esempio, applica una norma agevolativa di incerta interpretazione o dove mancavano chiarimenti ufficiali: in tali casi, se manca la volontà di frodare e vi era realmente incertezza, non si procede penalmente. Ovviamente spetterà al giudice (penale) valutare caso per caso la sussistenza dell’incertezza oggettiva. – Un più preciso richiamo alle definizioni di credito non spettante/inesistente. Il legislatore nel modificare l’art. 10-quater ha chiarito che per “inesistenti” si intendono quelli carenti requisiti o frutto di falsità come da definizioni ora unitarie per penale e amministrativo . Questo evita discrepanze di interpretazione tra giudice penale e tributario. Anzi, come già detto, la Cassazione Penale (19868/2025) ha ritenuto tali definizioni di natura interpretativa e quindi applicabili retroattivamente in bonam partem . Ciò ha portato ad esempio ad escludere il reato in alcuni casi dove l’Agenzia qualificava inesistente un credito R&S ma senza frode (solo difetto tecnico): se non c’è fraude e la contestazione è fondata su parametri tecnici opinabili, non è reato di credito inesistente . Al massimo potrebbe configurarsi il (meno grave) reato di credito non spettante, ma pure lì se c’è incertezza tecnica co.2-bis esclude la punibilità .
Procedura penale: Il reato di indebita compensazione è un reato di pericolo formale: si consuma al momento della presentazione dell’F24 o della dichiarazione dove si utilizza il credito oltre soglia. Non richiede l’accertamento definitivo in sede amministrativa per procedere. Tuttavia, in molti casi pratici, il penale viene innescato a seguito di verifiche fiscali o segnalazioni incrociate (ad es. la stessa Agenzia può trasmettere notizia di reato alla Procura se riscontra crediti fittizi ingenti). Il contribuente indagato dovrà difendersi sul piano penale dimostrando magari la sua buona fede o l’assenza di elementi fraudolenti.
È importante notare che l’eventuale adesione alla definizione in sede amministrativa (ad es. pagamento delle somme dovute) non estingue automaticamente il reato se il fatto era già avvenuto; può però costituire attenuante (ravvedimento operoso prima del processo penale può essere valutato positivamente). La soglia di 50k è rigida: se si è a 49k non c’è reato, a 51k sì. Non è frazionabile per tipo di tributo – ad esempio, compensare 30k di credito IVA e 25k di credito imposta X nello stesso anno porterebbe a 55k totali, quindi soglia superata.
Giurisprudenza penale recente: Una recente sentenza di Cassazione penale, Sez. III, n. 3374 del 28/1/2025, ha chiarito che il reato di indebita compensazione sussiste anche quando crediti e debiti riguardano tributi diversi (ad es. compensare credito IRAP inesistente con debiti IVA è comunque rilevante) . Inoltre, ha respinto la tesi difensiva di chi sosteneva che il reato si configurasse solo per i crediti inesistenti e non per i non spettanti : in realtà l’art. 10-quater punisce entrambe le ipotesi se sopra soglia (con pene diverse), come confermato espressamente dal testo normativo e dalla riforma 2024. In sintesi, anche l’uso di crediti non spettanti oltre 50k è reato, sebbene con pena minore, e la giurisprudenza è rigorosa sul punto.
Coordinamento col procedimento tributario: Se c’è un procedimento penale in corso, solitamente il processo tributario (ricorso in Commissione Tributaria) prosegue separato. Ma l’esito di uno può influenzare l’altro in termini di prove: ad esempio, una sentenza penale definitiva che accerta la falsità di documenti potrebbe pesare in giudizio tributario; viceversa, se in quello tributario viene riconosciuta l’incertezza oggettiva e quindi magari la non spettanza invece che inesistenza, il contribuente potrà usare quella pronuncia a suo favore nel penale (per escludere il dolo grave). Idealmente, però, è bene prevenire il penale gestendo tempestivamente il contenzioso fiscale e la regolarizzazione.
Clausola di non punibilità per incertezza: Un aspetto introdotto che vale la pena ribadire: la non punibilità per obiettiva incertezza tecnica (co.2-bis) è un invito a distinguere i casi borderline (es. crediti R&S contestati per difformità interpretative). Questa norma è nuova e sarà applicata caso per caso. In sede difensiva, se ci si trova in un caso di R&S o altre agevolazioni con criteri discutibili, è fondamentale raccogliere evidenze dell’incertezza (ad es. difformità di pareri, mancanza di norme chiare, ecc.) per invocare la non punibilità.
In conclusione, dal punto di vista del debitore-contribuente, l’obiettivo primario è evitare che una contestazione amministrativa sfoci nel penale: ciò si fa mantenendo l’importo contestato sotto soglia (anche eventualmente pagando una parte per scendere sotto 50k, se in tempo), e dimostrando l’eventuale assenza di dolo/frode. Una volta che il penale scatta, serve un avvocato penalista esperto in reati tributari per coordinare la difesa con quella tributaria.
Come avvengono i controlli: dal controllo automatizzato all’accertamento
Affrontiamo ora il percorso attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate accerta i crediti indebitamente utilizzati, perché la strategia difensiva cambia a seconda della fase e del tipo di atto ricevuto. Le fasi principali sono: 1. Controllo automatizzato della dichiarazione (36-bis DPR 600/73 e 54-bis DPR 633/72) – c.d. liquidazione automatica. 2. Controllo formale della dichiarazione (36-ter DPR 600/73). 3. Verifiche e accertamenti sostanziali – che portano a un Processo Verbale di Constatazione (PVC) e quindi a un Avviso di Accertamento o Atto di recupero crediti. 4. Iscrizione a ruolo e Cartella di pagamento – in caso di mancato pagamento spontaneo dopo le fasi precedenti.
Analizziamo ciascuna, evidenziando cosa può fare il contribuente per difendersi e far valere le proprie ragioni in tempo.
Controllo automatizzato (liquidazione ex art. 36-bis DPR 600/1973)
Il controllo automatizzato è una verifica svolta dai sistemi informatici dell’Agenzia su tutte le dichiarazioni fiscali presentate (dai modelli Redditi, IVA, 770, ecc.) . Consiste nel controllare aritmeticamente la dichiarazione e confrontare alcuni dati con quelli presenti nell’Anagrafe Tributaria. Nel contesto dei crediti in compensazione, il 36-bis può ad esempio: – Verificare se un credito dichiarato esiste e in che misura. Ad esempio, se nel modello F24 è stata indicata la compensazione di un credito X, il sistema controlla se da una dichiarazione (o comunicazione) precedente risulta tale credito disponibile e non già usato interamente. – Rilevare utilizzi eccedenti o non coerenti. Ad esempio, se un contribuente compensa più di quanto dichiarato come eccedenza, oppure usa crediti riservati a certi utilizzi per pagarne altri (in taluni casi specifici il sistema può avere regole). – Applicare vincoli formali: es. non è stato apposto il visto di conformità su una dichiarazione con credito >5.000 €, allora il sistema potrebbe segnalare le compensazioni oltre soglia come irregolari se fatte senza visto (questo è un controllo più sofisticato, implementato dopo norme anti-frode). – Riscontrare omissioni di presentazione: se uno utilizza credito IVA anno X ma non ha presentato la dichiarazione IVA di quell’anno, il sistema se ne accorge.
Quando dal controllo automatizzato emerge un’anomalia che comporta un minor credito o maggior debito, l’Agenzia invia al contribuente una “comunicazione di irregolarità” (anche detta avviso bonario ex 36-bis) . Questa comunicazione: – Elenca le difformità riscontrate (ad esempio: “credito d’imposta R&S utilizzato €100.000, ma non risulta dichiarato” oppure “credito X utilizzabile in 10 anni, lei l’ha usato in unica soluzione – eccedenza non spettante €…”, ecc.). – Calcola le imposte dovute in conseguenza (in pratica elimina il credito indebito e ricalcola quanto avrebbe dovuto versare) e applica le sanzioni ridotte. Infatti, se si paga entro 30 giorni dal ricevimento, la sanzione ordinaria del 30% (o 25%) è ridotta a 1/3 (quindi 10% circa) . Nella comunicazione viene evidenziato l’ammontare del pagamento dovuto con la sanzione ridotta per adesione spontanea. – Indica il termine (di norma 30 giorni dal ricevimento) per pagare o fornire chiarimenti. In realtà il contribuente ha 30 giorni per “esprimere osservazioni o chiedere il riesame”. L’Agenzia deve attendere 30 giorni prima di iscrivere a ruolo le somme . Entro 30 giorni si può anche chiedere un ricalcolo se si riscontrano errori nel calcolo degli interessi o simili.
Come difendersi in fase di 36-bis: In questa fase l’atto ricevuto non è ancora un provvedimento definitivo: è una comunicazione, non impugnabile direttamente in Commissione Tributaria (bisogna attendere l’eventuale cartella o atto successivo), ma estremamente utile per correggere eventuali errori, sia del contribuente che dell’ufficio. Le azioni possibili: – Verificare l’effettiva irregolarità: Innanzitutto controllare che il computer dell’Agenzia abbia ragione. Spesso gli errori sono banali: ad es. il contribuente ha indicato un credito con un codice tributo sbagliato, o non ha inserito correttamente un dato in dichiarazione. Se si individua l’errore, lo si può segnalare all’ufficio o correggere con dichiarazione integrativa. Se il credito in realtà esiste e l’Agenzia non lo vede per un errore formale, questo è il momento di farlo presente. Esempio: si riceve una comunicazione che disconosce un credito IVA perché “dichiarazione IVA omessa”. Verificando, ci si accorge di aver inviato la dichiarazione ma magari l’Agenzia non l’ha associata (magari per un errore di protocollo). In tal caso, si fornisce la prova dell’avvenuto invio (o se effettivamente omessa, lo scenario è più complesso come sotto). – Fornire chiarimenti e documenti: Anche se 36-bis è “automatizzato”, è possibile recarsi presso l’ufficio (o usare i canali telematici di assistenza) per fornire spiegazioni. Ad esempio, se il sistema contesta un credito non spettante perché non conosce un determinato aspetto, il contribuente può presentare documentazione integrativa per farglielo riconoscere. A volte capita con crediti agevolativi che richiedono una comunicazione ad un altro ente: se quell’informazione non è transitata all’AdE, il sistema segna errore. Portando il documento, l’operatore può annullare l’addebito. – Chiedere l’eventuale sgravio in autotutela: Se la comunicazione è palesemente infondata (ad es. l’errore è dell’Agenzia), si può presentare subito istanza in autotutela per l’annullamento. Se l’ufficio la accoglie, il procedimento si chiude senza importi dovuti. – Pagamento con sanzione ridotta: Se il contribuente riconosce la fondatezza della contestazione (ad esempio si accorge che effettivamente quel credito era sbagliato), conviene pagare entro 30 giorni usufruendo della sanzione ridotta (1/3 del 30%, quindi 10%, o 1/3 del 25% ≈ 8.3% con le nuove regole). In questo modo sistema la posizione con minima penalità. Pagando, non vi sarà successiva cartella. Questo pagamento “chiude” anche la vicenda sul piano amministrativo, salvo eventualmente segnalazioni penali se l’importo era rilevante (ma intanto si evita il 70% di sanzione perché l’ufficio l’ha trattata come non spettante). – Non rispondere (in attesa): Se il contribuente non fa nulla entro 30 giorni, la legge prevede che l’AdE possa procedere all’iscrizione a ruolo delle somme dovute . Ciò significa che emetteranno una cartella di pagamento con l’importo integrale (sanzione intera 30% se credito non spettante, oppure – questione spinosa – se considerano inesistente come gestiscono? In genere, se la difformità era rilevata da 36-bis, per definizione si tratta di non spettanza e quindi la sanzione dovrebbe essere quella ordinaria. Infatti, il meccanismo di 36-bis di solito applica il 30%. Solo in pochi casi forse 36-bis può applicare 100% – ad esempio se rileva che il credito è “mai esistito”, ma se è così di solito segnalano al controllo successivo. Diciamo che nel 90% dei casi, la cartella seguente conterrà 30% di sanzione). In ogni caso, ignorare l’avviso bonario significa perdere lo sconto sanzionatorio e ricevere poi la cartella con interessi ulteriori. Non è consigliabile a meno che si voglia guadagnare tempo e portare la questione direttamente in contenzioso (perché la cartella è impugnabile). In effetti, la cartella da 36-bis sarà il primo atto impugnabile per contestare nel merito la pretesa se si ritiene ingiusta. Quindi una strategia è: non pagare l’avviso bonario, attendere la cartella e poi fare ricorso entro 60 giorni per far valere le proprie ragioni in Commissione. Questa strategia però espone a sanzione piena (non più ridotta) se poi si perde.
Limiti del 36-bis: È cruciale sapere che il controllo automatizzato ha un ambito limitato dalla legge. Può essere usato solo per controlli “cartolari” e correzioni di errori evidenti . Non può affrontare questioni complesse o interpretative. La Cassazione ha più volte stabilito che se per disconoscere un credito serve esaminare documenti ulteriori o fare valutazioni giuridiche, l’ufficio non può usare la procedura automatica ma deve emettere un avviso di accertamento motivato . Ad esempio, non è lecito con 36-bis negare un credito R&S sostenendo che le spese non sono di ricerca senza aver esaminato il progetto e i documenti: ciò esula dal mero riscontro formale. Oppure, come da una sentenza chiave (Cass. 5318/2012), non si può con 36-bis negare la detrazione di un credito dell’anno precedente se la dichiarazione di quell’anno era omessa, perché occorre valutare la situazione (un controllo che va oltre i dati di una singola dichiarazione) . In tali casi, qualsiasi cartella emessa da 36-bis è nulla per vizio procedurale : va annullata dal giudice senza neanche entrare nel merito, perché l’ufficio ha usato uno strumento inappropriato. Questa è una difesa spesso vincente: il contribuente in ricorso eccepisce “l’indebito utilizzo del 36-bis”. Ad esempio: se arriva una cartella 36-bis che recupera un credito da agevolazione complessa (come un bonus fiscale) senza motivazione, si può sostenere che l’ufficio doveva emettere atto motivato (accertamento) e non l’ha fatto, quindi la cartella è nulla .
Suggerimento pratico: in fase di comunicazione bonaria, far presente se del caso all’ufficio che la questione non è da 36-bis. A volte questo li induce a sgravare la comunicazione e magari procedere poi con un accertamento (più tempo per noi e maggiori garanzie). Se invece proseguono e arriva cartella, quell’eccezione va inserita nel ricorso.
Controllo formale (art. 36-ter DPR 600/1973)
Il controllo formale è una fase in cui l’Agenzia verifica alcune voci della dichiarazione chiedendo al contribuente di esibire documenti giustificativi. Viene effettuato su un campione di dichiarazioni e su specifiche posizioni considerate a rischio. Per i crediti d’imposta, il controllo formale può consistere in richieste di documentazione per comprovare il diritto al credito. Ad esempio: – Se in dichiarazione è indicato un credito per investimenti Industria 4.0, possono chiedere copia della perizia e delle fatture. – Se c’è un credito R&S, possono chiedere la documentazione delle spese di ricerca e le relazioni tecniche sui progetti. – Per un credito di imposta locazioni (Covid) potrebbero chiedere i contratti di affitto e i pagamenti. – In generale, qualsiasi credito d’imposta agevolativo dichiarato può essere oggetto di controllo formale.
Il controllo formale sfocia nell’invio di una comunicazione (avviso) art.36-ter in cui l’Agenzia, visionati i documenti, contesta eventuali difformità o disconosce parte del credito. Anche qui, come per il 36-bis, viene tipicamente emessa una comunicazione con esito del controllo e importi dovuti, prima di passare a ruoli.
Differenze dal 36-bis: Nel controllo formale c’è un intervento umano e valutativo: l’ufficio analizza i documenti e decide se il credito è legittimo. È un controllo più approfondito e infatti la legge concede un tempo più lungo (fino al 31 dicembre del secondo anno successivo alla presentazione della dichiarazione) per emettere il 36-ter.
Poteri dell’ufficio: Può ridurre i crediti esposti se dalla documentazione risultano non dovuti. Ad esempio, se ho dichiarato oneri detraibili che non trovo più le ricevute, me li tolgono; analogamente per crediti d’imposta, se i documenti non convincono, l’ufficio può non riconoscerli.
Esito – comunicazione e avviso bonario 36-ter: A chiusura del controllo, l’Agenzia invia una lettera con l’esito, indicante il nuovo calcolo dell’imposta dovuta e delle sanzioni. Qui però la sanzione, se trattasi di crediti “non spettanti”, sarà 25-30%. Se proprio giudicassero il credito inesistente (es. documenti falsi), potrebbero teoricamente applicare 70%, ma di solito questi casi vanno direttamente in accertamento per frode. Quindi nella maggior parte dei casi, 36-ter tratterà la questione come non spettanza.
Difesa in fase di controllo formale: Il contribuente, alla ricezione della richiesta documenti, deve: – Fornire tempestivamente quanto richiesto (di solito entro 30 giorni). Se ha difficoltà può chiedere una proroga. – Allegare eventualmente memorie esplicative insieme ai documenti, per aiutare l’ufficio a capire il contesto. Ad esempio, fornire calcoli dettagliati su come si è determinato il credito. – Se alcuni documenti mancano (andati persi, ecc.), cercare di rimediare con documentazione alternativa o spiegazioni. – Dialogare con il funzionario incaricato (spesso c’è un nominativo). È possibile chiedere un incontro o telefonare per chiarire dubbi. Un atteggiamento collaborativo può risolvere malintesi. – Se dall’esito (avviso bonario) risultano disaccordi, anche qui c’è la finestra di 30 giorni per fornire controdeduzioni o pagare ridotto. L’avviso 36-ter, come quello 36-bis, non è impugnabile direttamente, ma pagando si chiude, oppure non pagando si attende l’iscrizione a ruolo e la cartella impugnabile.
Attenzione: Nel controllo formale c’è meno rigidità procedurale rispetto al 36-bis sul tipo di controlli ammessi, perché qui la legge si aspetta che l’ufficio guardi i documenti. Dunque l’eccezione procedurale “non potevano farlo così” è più difficile. Tuttavia, se l’ufficio con 36-ter contesta cose che esulano anche dal controllo formale (che dovrebbe riguardare elementi della dichiarazione stessa), potrebbe valere una contestazione analoga.
Se non si risponde alla richiesta documenti: La mancata esibizione di documenti in sede di controllo formale può portare l’ufficio a disconoscere quanto richiesto. Ad esempio, se non invio nulla per un credito d’imposta dichiarato, quasi sicuramente lo toglieranno integralmente. Non è auspicabile. Inoltre, non fornire i documenti richiesti preclude poi in giudizio di produrli? In linea di massima, no: il contribuente può sempre produrli in contenzioso, però rischia una sanzione per “inottemperanza a richiesta” (non sempre applicata). E soprattutto l’ufficio potrebbe farsi forte del fatto che non erano stati mostrati prima. Meglio cooperare in questa fase.
Conclusione fase 36-ter: Dopo l’avviso bonario 36-ter, se il contribuente non paga o contraddice con successo, l’ufficio iscriverà a ruolo e manderà una cartella di pagamento analoga al caso 36-bis, contenente l’imposta dovuta, interessi e sanzione. Anche qui la cartella sarà impugnabile in Commissione.
Accertamento e atto di recupero: contestazioni sostanziali
Se la questione del credito è complessa, o se l’importo è rilevante, l’Agenzia potrebbe bypassare le fasi automatiche/formali e procedere direttamente ad un accertamento sostanziale. Questo tipicamente avviene tramite: – Verifica fiscale o controllo mirato: L’ufficio (spesso tramite la Guardia di Finanza o proprio personale) può svolgere un controllo più ampio sull’azienda/contribuente. Ad esempio, negli anni scorsi sono partite campagne di controllo sui crediti R&S con invio di questionari dettagliati alle imprese per capire i progetti svolti. Oppure controlli sui bonus edilizi ceduti, con richieste di documentazione e accessi. – Processo Verbale di Constatazione (PVC): Se il controllo è complesso (es. accesso della GdF), culmina in un PVC dove si contesta formalmente l’indebita fruizione del credito e si quantificano somme dovute. Il contribuente riceve il PVC e può presentare osservazioni entro 60 giorni (nel caso di verifiche di durata, ex art. 12 L. 212/2000). – Notifica di Avviso di Accertamento o Atto di Recupero: Sulla base del PVC (o delle evidenze raccolte, o anche senza PVC se è una verifica da scrivania), l’Agenzia emette l’atto impositivo. A seconda dei casi: – Se la controversia sul credito comporta anche un ricalcolo delle imposte (ad esempio, un credito d’imposta utilizzato in compensazione a riduzione di IRES viene negato: allora quell’IRES torna ad essere dovuta), l’ufficio potrebbe emettere un Avviso di accertamento per maggior imposta e sanzione. – Se invece trattasi di un credito “a sé stante” (es. credito R&S che non incide su un debito dichiarato ma era un bonus autonomo), spesso viene emesso un Atto di recupero ex art. 38-bis DPR 600/73, come detto sopra. Questo atto ingiunge la restituzione del credito indebitamente compensato, con sanzioni e interessi.
Questi atti devono essere motivati e indicare i fatti contestati, le norme violate, la qualificazione come credito non spettante/inesistente, e l’ammontare di imposta/credito da restituire, sanzioni e interessi. Devono inoltre indicare i rimedi impugnatori (hanno 60 giorni per il ricorso in Commissione).
Differenze procedurali importanti rispetto a 36-bis/ter: – L’avviso di accertamento deve rispettare le garanzie del contraddittorio (quando previste): ad esempio, se è un accertamento “parziale” ex art. 41-bis DPR 600, può essere emesso senza contraddittorio; se è un accertamento conseguente a PVC, di norma c’è stato il contraddittorio del PVC (60 giorni per memorie) secondo lo Statuto del Contribuente. In alcuni casi (per tributi “armonizzati” come IVA) la giurisprudenza chiede sempre un contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’atto, pena nullità, se il contribuente non ne ha avuto occasione. Se l’Agenzia omette un contraddittorio obbligatorio, l’atto può essere annullato in giudizio. Occorre valutare se nel caso specifico vi fosse obbligo di invito al contraddittorio. – L’accertamento consente la riscossione frazionata: infatti, a differenza della cartella da controllo automatizzato (che richiede pagamento integrale subito, salvo sgravio o ricorso con eventuale sospensione), nell’accertamento vige la regola che se il contribuente fa ricorso, deve versare solo 1/3 delle imposte accertate (e niente sanzioni) in pendenza di giudizio di primo grado . Questo è un vantaggio: attenua la pressione. Mentre con la cartella ex 36-bis se non paghi entro 60gg ti arrivano atti di pignoramento, con l’accertamento impugnato hai una sospensione parziale automatica. Ciò evidenzia perché per il contribuente è preferibile che l’ufficio usi l’accertamento: maggiori garanzie e dilazioni . – Con l’avviso/atto, il contribuente ha anche la facoltà di attivare strumenti deflativi: istanza di accertamento con adesione (sospende i termini di ricorso e permette di discutere con l’ufficio un eventuale accordo), oppure mediazione/reclamo se il valore non eccede 50.000 € (obbligatoria come tentativo), ecc.
Difendersi in fase di accertamento/recupero: Quando arriva l’avviso, occorre costruire la difesa nei 60 giorni (90 se adesione): – Analizzare la motivazione: verificare esattamente cosa contesta l’ufficio. Capire se classificano il credito come inesistente o non spettante (lo si capisce da sanzioni applicate e argomentazioni). Capire su quali basi (fatti) si fonda la contestazione: es. “spesa X non rientra tra quelle agevolabili secondo la circolare tal dei tali” – questo potrebbe essere un punto di attacco (una circolare non vincolante). – Errori formali dell’atto: controllare se l’atto è stato notificato entro termini (discusso sopra), se è firmato dal funzionario delegato corretto, se ha i riferimenti di legge giusti. Sono elementi di legittimità formale che in mano a un avvocato tributarista esperto vanno passati al setaccio. – Valutare contraddittorio e difesa precontenziosa: se c’è un PVC, assicurarsi di aver presentato osservazioni entro i 60 giorni (se l’atto è arrivato prima, potrebbe essere nullo). Se non c’è PVC e doveva esserci invito, eccepirlo. – Accertamento con adesione: è uno strumento utile se si riconosce parzialmente l’addebito e si vuole magari ridurre sanzioni o rateizzare. Nel caso di crediti indebiti, l’ufficio in adesione potrebbe anche accettare di riclassificare l’infrazione a non spettante con sanzione minore, ad esempio, se si portano argomenti convincenti. L’adesione sospende i termini di ricorso di 90 giorni e apre un dialogo. Se si trova intesa, c’è la riduzione delle sanzioni a 1/3 di quelle irrogate. Se fallisce, resta la via giudiziaria. – Ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado): è l’atto formale per contestare l’accertamento. Nella fase di ricorso si articolano i motivi di impugnazione, che tipicamente possono includere: – Errata qualificazione: sostenere che il credito era spettante o al più non spettante ma non inesistente, evidenziando la mancanza di frode e la presenza dei requisiti di base. Questo per ridurre sanzioni e termini. – Decadenza: come visto, se atti oltre 5 anni per crediti non spettanti. – Motivazione insufficiente: se l’atto non spiega adeguatamente il perché della non spettanza/inesistenza. – Violazione di legge: es. l’ufficio ha applicato retroattivamente criteri (tipo il Manuale di Frascati prima del 2020) non previsti da norme, quindi contestazione infondata in diritto . – Errori di fatto: l’ufficio potrebbe aver conteggiato male l’importo del credito o ignorato parte dei documenti favorevoli. – Sproporzione sanzione: chiedere al giudice eventualmente la riduzione per equità (il giudice tributario può ridurre sanzioni se le ritiene illegittime in parte). – Altri vizi: contraddittorio omesso, incompetenza, ecc. – Chiedere la sospensione: se l’importo è rilevante e potrebbe arrivare a cartella esattoriale durante il processo (perché dopo 60 gg l’ufficio può già iscrivere 1/3 a ruolo), si può chiedere al giudice una sospensione dell’esecuzione dell’atto, soprattutto se si ravvisano gravi motivi (ad esempio rischio fallimento del contribuente per quella richiesta).
Esito possibili in giudizio: In giudizio, se la difesa del contribuente è convincente, si può ottenere l’annullamento totale dell’atto (se il credito era legittimo) o almeno la riqualificazione. Ad esempio, alcune Commissioni hanno appunto riqualificato da inesistente a non spettante crediti R&S contestati, con conseguente annullamento per decadenza oltre 5 anni . In altri casi, se il credito era effettivamente inesistente e l’Agenzia ha fatto tutto a norma, sarà duro spuntarla: ma anche lì, a volte è possibile ottenere una riduzione di sanzioni se si dimostra collaborazione o assenza di dolo specifico (ad esempio, chiedendo il minimo edittale in caso di 70%). Il giudice può modulare l’esito.
Cartella di pagamento ed esecuzione forzata
La cartella di pagamento è l’atto con cui l’Agente della Riscossione (es. Agenzia Entrate-Riscossione) richiede il pagamento di somme iscritte a ruolo dall’Agenzia delle Entrate. Nel contesto dei crediti inesistenti/non spettanti, le cartelle possono scaturire da: – Mancato pagamento di un avviso bonario 36-bis o 36-ter: Come già descritto, se ignoriamo o non risolviamo la comunicazione di irregolarità, l’Agenzia dopo 30 giorni iscrive a ruolo l’importo e il concessionario invia la cartella. Questa cartella conterrà l’importo del credito indebitamente usato (quindi imposta non versata), sanzione (intera) e interessi fino alla data di iscrizione, oltre a oneri di riscossione. – Mancato pagamento (o ricorso) di un avviso di accertamento/atto di recupero: Se il contribuente non impugna l’atto impositivo entro 60 giorni, questo diventa definitivo e l’Agenzia lo dà a ruolo. Anche se impugna, come detto può essere iscritto provvisoriamente 1/3. Comunque, trascorsi i termini, arriva la cartella per riscuotere. – Decadenza da rate o adesioni: se si era fatto un piano di pagamento (rateazione, adesione, conciliazione) e non lo si rispetta, pure parte la cartella.
La cartella è un atto esecutivo: significa che se non pagata entro 60 giorni, il concessionario può attivare misure di recupero coattivo (fermo auto, ipoteche, pignoramenti). Quindi non va ignorata.
Impugnazione della cartella: Il contribuente può fare ricorso contro la cartella in Commissione Tributaria entro 60 giorni, ma solo per vizi che attengono alla cartella stessa o ai precedenti atti. Bisogna distinguere: – Se la cartella deriva da un avviso di accertamento definitivo, in genere non si possono rimettere in discussione nel merito questioni già coperte dall’accertamento definitivo. Bisognava impugnare l’accertamento. Al più si può contestare che la cartella non corrisponde all’accertamento, o non è stata notificata l’intimazione ecc. – Se la cartella deriva da un controllo automatizzato/formale dove non c’era un atto precedente impugnabile, allora la cartella è il primo atto impugnabile, e il contribuente può far valere tutte le ragioni di merito contro quella pretesa. Cioè, se si è saltato di impugnare in precedenza (non possibile con avviso bonario), ora con la cartella si può contestare che il credito era legittimo, o che andava qualificato diversamente, ecc. Quindi la cartella ex 36-bis è impugnabile nel merito. Questo è molto importante: non è vero che se non paghi l’avviso bonario hai “perso” la possibilità di difesa. Hai perso lo sconto sanzione, ma puoi comunque ricorrere e dire che la pretesa è infondata. La giurisprudenza ha chiarito che la comunicazione bonaria non è impugnabile, quindi il contribuente non può far altro che attendere la cartella per far valere le sue ragioni . Dunque, nel ricorso contro la cartella potrà eccepire i motivi sostanziali (es. “il credito era spettante”, oppure “la cartella è nulla perché 36-bis non era utilizzabile in questo caso”). – Vizi propri della cartella: indipendentemente dal merito del credito, si può contestare ad esempio la notifica irregolare della cartella, la carenza di motivazione se mancava un atto precedente (ma su cartelle da controllo automatico la Cassazione dice che basta il riferimento alla dichiarazione e alla comunicazione inviata, quella è motivazione sufficiente), oppure errori nei calcoli di interessi e aggi.
Sospensione e dialogo: Se arriva la cartella e si vuole evitare subito azioni esecutive, si può chiedere una rateizzazione all’Agente (fino a 72 rate per importi sotto 120k, più complesse sopra). Questo però equivale ad accettare il debito (si rinuncia al contenzioso se si rateizza dopo il termine di ricorso). Oppure presentare ricorso in Commissione e chiedere una sospensiva al giudice, motivando il danno e la fondatezza del ricorso. La sospensiva, se concessa, ferma la riscossione fino alla sentenza di primo grado.
Difese specifiche per cartella da crediti inesistenti: – Come già detto: eccepire eventuale uso improprio del 36-bis se è il caso, il che porta a nullità cartella . – Contestare la qualifica e richiedere al giudice di rideterminare la sanzione (il giudice tributario può ridurre la sanzione se accoglie che era non spettante e l’ufficio aveva applicato il 100% ad esempio). – Verificare che l’Agenzia abbia rispettato la procedura di previa comunicazione: la L. 212/2000 Statuto contribuente prevede che per i controlli 36-bis e 36-ter l’iscrizione a ruolo senza comunicazione sia possibile solo in casi di urgenza o indifferibilità (tipo fine termini) . Quindi se per assurdo arrivasse cartella senza che voi abbiate mai ricevuto l’avviso bonario, la cartella è annullabile perché violato l’obbligo di comunicazione preventiva (a meno che l’Agenzia provi di averla inviata e voi non l’avete ricevuta). – Tempistiche: controllare se la cartella è stata emessa entro i termini di legge (i ruoli da 36-bis devono essere emessi entro l’inizio del quarto anno successivo alla dich., di solito, ma su questo dettaglio sorvoliamo per brevità).
Insolvenza e ruolo: Dal punto di vista del “debitore” inteso come soggetto che potrebbe subire riscossione, se le somme in cartella sono molto elevate e non si hanno le risorse, c’è il rischio di misure esecutive. In casi estremi, una strategia può essere valutare strumenti come la definizione agevolata delle cartelle (se prevista da normative di tregua fiscale, come talvolta avviene), o persino procedure concorsuali se si è impresa. Ma queste esulano dalla trattazione.
Strategie difensive e consigli pratici per il contribuente
Dopo aver delineato normative e fasi del procedimento, focalizziamoci sul punto di vista del debitore/contribuente: cosa può fare attivamente per difendersi o prevenire contestazioni di crediti inesistenti/non spettanti. Ecco alcune strategie e accorgimenti:
1. Prevenzione e compliance:
La miglior difesa è evitare di trovarsi in torto. Se si intendono utilizzare crediti d’imposta in compensazione: – Verificare attentamente i requisiti prima di utilizzare il credito. Studiare la normativa e, se incerta, richiedere chiarimenti (interpello all’Agenzia in caso di dubbi seri, soprattutto su crediti nuovi). – Adempiere ai formalismi: inviare per tempo eventuali comunicazioni obbligatorie (es. COMUNICAZIONE per bonus investimenti, istanze necessarie, ecc.), apporre visti di conformità se richiesti, conservare tutte le documentazioni. – Tenere traccia dell’utilizzo: se il credito ha un limite annuale, fare un prospetto di quanto utilizzato per non sforarlo. Il sistema a volte non impedisce automaticamente di eccedere (può segnalarlo ma intanto il danno è fatto). – Certificazione tecnica per crediti R&S e simili: Dal 2022 è possibile richiedere a enti certificatori accreditati una certificazione sulla qualificazione delle attività di R&S o Innovazione (art. 23 DL 73/2022) . Se ottenuta prima di eventuali controlli, questa certificazione vincola l’Amministrazione nel senso che, se l’unica contestazione sarebbe sulla qualificazione tecnica dell’investimento, l’atto emesso dall’ufficio è nullo . Tale certificazione è potentissima difesa: infatti il TAR Lazio con sentenza 29 luglio 2025 ha confermato che un atto impositivo basato solo sul profilo tecnico, in presenza di certificazione conforme, è nullo . Quindi, per chi utilizza crediti R&S o innovazione, procurarsi questa certificazione (da società o enti autorizzati dal MISE) prima di eventuali accertamenti è caldamente consigliato . L’atto di indirizzo MEF 2025 suggerisce al contribuente di comunicare volontariamente all’AdE di essersi munito di certificazione, così da scoraggiare contestazioni meramente sulla qualificazione tecnica . – Documentare ogni cosa: conservare contratti, fatture, relazioni, perizie, e preferibilmente predisporre un dossier completo sul credito d’imposta in questione da poter esibire in caso di controllo. Se l’Agenzia vede ordine e preparazione, sarà più facile convincerla.
2. Atteggiamento collaborativo durante i controlli:
Se arriva una richiesta di chiarimenti o una comunicazione bonaria: – Non ignorarla. Rispondere, contattare l’ufficio, mostrare la vostra disponibilità a chiarire. Questo a volte porta l’ufficio a ridimensionare la contestazione. In fase bonaria i funzionari hanno margine per annullare in autotutela se date prove convincenti. – Sottolineare la buona fede: se si tratta di un errore onesto, affermatelo esplicitamente nelle vostre note. Ad esempio: “Riconosciamo che per mero errore contabile è stato indicato un credito doppio. Intendiamo sanare pagando quanto dovuto.” Un’ammissione sincera può spingere l’ufficio a non insistere con accuse di frode (limitando a non spettante). – Chiedere rettifiche: se notate che l’ufficio ha capito male un aspetto, scrivetelo chiaramente. A volte il confronto informale (telefonico o via email PEC) con il funzionario risolve. – Tempestività: rispondere entro i termini dati. Chiedere proroghe motivate se serve. Non aspettare la scadenza sperando che cada nel vuoto.
3. Derubricazione da “inesistente” a “non spettante”:
Questa è diventata la parola d’ordine nelle difese dei casi complessi (es. crediti R&S contestati). Significa impostare la difesa in modo da escludere l’elemento fraudolento o la radicale mancanza di presupposti, e ricondurre il problema a una difformità interpretabile: – Dimostrare i presupposti di base: Se vi accusano che il credito è inesistente perché “la spesa non era ammissibile”, concentratevi nel provare che comunque la spesa c’è stata, reale, pagata, e che la vostra interpretazione la considerava ammissibile alla luce della norma. Così fate vedere che non c’è “fuffa” né artificio, ma solo un diverso avviso sulla spettanza. – Evidenziare assenza di dolo: Se contestano frodi, confutate con elementi concreti: es. “Tutte le fatture sono vere, i fornitori identificati, nessun documento falso”. Se vi imputano documenti falsi, e voi li ritenete genuini, fornite perizie o altri riscontri. Se invece qualche ingenuità c’è stata, ma senza volontà di ingannare (es. una perizia tecnica mal fatta), spiegate contesto e ribadite che non vi è stato intento fraudolento. – Riferirsi a incertezza normativa o tecnica: Soprattutto per crediti agevolativi, citare eventuali circolari contraddittorie, prassi tardive, mancanza di istruzioni all’epoca. Questo crea il quadro dell’obiettiva incertezza che male si concilia con l’accusa di credito “inesistente”. In diritto tributario, l’incertezza non scusa dal pagamento ma incide su sanzioni (favor rei). – Utilizzare periti e consulenti: Nei casi in cui servono competenze tecniche (ad es. valutare se un progetto è R&S), portare un esperto indipendente che attesti la bontà del progetto aiuta a far percepire che il contribuente aveva basi per ritenere spettante il credito. Anche se l’ufficio non concorda, ciò sposta l’ago verso “non spettante ma non fraudolento”.
Questa strategia mira in primis a ridurre sanzioni al 25% e, come detto, può far cadere l’atto per decadenza se tardivo. Infatti, come sottolineato dagli esperti, “ogni qualvolta la contestazione si fondi su elementi tecnici privi di base normativa, è fondamentale eccepire l’erronea qualificazione del credito come inesistente” , chiedendo al giudice di considerarlo al più non spettante. Gli effetti immediati sarebbero: – Sanzione ridotta (dal 70% al 25%) . – Possibile decadenza dell’accertamento oltre 5 anni .
Molte difese vincenti di recente (post riforma) seguono proprio questo schema, specie sul tema R&S e bonus fiscali tecnici.
4. Autotutela e strumenti deflativi:
Non sottovalutare l’autotutela: se avete argomenti schiaccianti (documenti non considerati, errori macroscopici dell’ufficio), anche dopo aver ricevuto un avviso di accertamento potete presentare un’istanza al Direttore dell’Ufficio chiedendo l’annullamento. Ad esempio, se l’Agenzia vi contesta che la vostra azienda non rientrava tra i beneficiari del credito perché pensa siate grandi impresa, ma voi potete provare di essere PMI con visura camerale: allegatela e chiedete annullamento. L’autotutela può portare a un annullamento totale o parziale senza neanche andare in Commissione (purtroppo non è obbligatorio accoglierla, dipende dall’ufficio, ma tentare non nuoce).
Accertamento con adesione: come già detto, è uno strumento utile se si vuole cercare un compromesso. Specie quando effettivamente qualcosa non torna nel credito, conviene sedersi col Fisco e trovare una soluzione di “raccordo”: magari versare il 50% del credito contestato, con sanzione 1/3, per chiudere lì la vicenda, piuttosto che impelagarsi in un lungo ricorso incerto. Molto dipende dalla forza delle vostre argomentazioni. In adesione potete portare memorie, documenti, anche far intervenire il vostro consulente tecnico. Spiegate alla controparte che riconoscete magari parzialmente l’errore ma che non c’era dolo. Spesso gli uffici, se colgono buona fede, sono disposti a ridurre la pretesa sotto soglia penale per esempio, in modo da non dover fare denunce e per chiudere bonariamente (questo può succedere).
Definizioni agevolate: Tenete d’occhio eventuali norme di “pace fiscale”. Ad esempio, nel 2023 c’è stata la possibilità di definire le liti pendenti con sanzioni ridotte o zero. Se avete un contenzioso su crediti d’imposta, valutare se rientra in qualche sanatoria può farvi risparmiare (talora conviene pagare il solo capitale senza sanzioni). Inoltre, talvolta varano sanatorie per crediti d’imposta: ad esempio, per i crediti R&S 2015-2019, il DL 146/2021 aveva previsto la possibilità di riversare spontaneamente il 100% del credito indebitamente fruito, senza sanzioni né interessi, evitando controlli penali. Alcune aziende hanno aderito per evitare guai. Se avete situazioni a rischio, verificate se esistono norme del genere (il panorama normativo fiscale è in continuo movimento con possibili “condoni mirati”).
5. Coordinamento con la difesa penale:
Se il vostro caso rischia di avere rilevanza penale (importi grandi, elementi che l’ufficio potrebbe trasmettere al PM), consultate subito anche un avvocato penalista esperto di reati tributari. Le mosse in ambito tributario possono influire sul penale: ad esempio, presentare memorie in cui ammettete errori potrebbe poi essere usato contro di voi in giudizio penale. Viceversa, strategie come pagare il dovuto possono attenuare la posizione. Dal 2020 esiste la causa di non punibilità per pagamenti integrali tardivi dei debiti tributari (art. 13 D.Lgs. 74/2000) ma non si applica all’indebita compensazione – però una giurisprudenza la considera come attenuante concreta. Dunque, un approccio integrato è consigliabile. Se puntate a derubricare a non spettante, nel penale significa puntare a far scendere al co.2 (meno grave o esclusione se incertezza). Questo approccio dev’essere uniforme: non potete dire al giudice tributario “non c’era frode” e poi risultare che nel penale confessate una frode. Quindi coerenza e concertazione nella linea difensiva.
6. Esempi pratici di difesa:
- Caso credito IVA inesistente: Un imprenditore ha utilizzato in compensazione un ingente credito IVA risultato fittizio (magari perché emetteva fatture false per crediti di imposta). Difesa: qui siamo di fronte a un caso difficile, ma magari l’imprenditore può dimostrare che il credito IVA proveniva da un errore contabile e non da frode deliberata. Se riuscisse (es. aveva crediti da annualità precedenti non dichiarati bene), potrebbe puntare a farlo trattare come non spettante da errore. Se invece è evidente frode, la strada è negoziare una definizione agevolata in sede amministrativa (pagare tutto col minimo sanzione se possibile) per contenere almeno il penale.
- Caso credito R&S contestato per spese non innovative: Una società ha fruito di €100k credito R&S nel 2018. Nel 2023 l’Agenzia glielo contesta dicendo che il progetto non era vera ricerca in base al Manuale di Frascati. Difesa: fornire la certificazione tecnica di un ente terzo che attesta la natura di R&S del progetto; sottolineare che il Manuale di Frascati non era citato nella legge 2015-2019 quindi non era vincolante ; far presente Cass. SS.UU. 2023 e la riforma 2024 che configurano questi casi come non spettanti e non fraudolenti. Chiedere quindi in giudizio di annullare per decadenza (atto notificato dopo 5 anni) o almeno di ridurre sanzione al 25%. Probabile esito: successo del contribuente in molti casi analoghi già visti .
- Caso bonus edilizio ceduto e utilizzato indebitamente da banca per pagare contributi: Nel 2024, una banca compensa crediti da Superbonus per €60k per pagare contributi INPS, ma ciò era vietato dal DL 11/2023 (divieto di usare bonus edilizi per tributi diversi dall’Erario). L’INPS segnala il caso. L’Agenzia contesta nel 2025 il credito come non spettante (violazione modalità d’uso) . Difesa: qui effettivamente il credito c’era ma la banca non poteva usarlo così. È textbook di credito non spettante. La banca difficilmente può farlo passare per inesistente (non conviene neanche). Quindi meglio pagare sanzione 25% e chiudere. Se la contestazione fosse arrivata oltre il 2029, la banca in giudizio direbbe “decaduto termine quinquennale, atto nullo”.
- Caso errore formale: Un contribuente presenta la dichiarazione dei redditi con un credito d’imposta 2024 ma dimentica di inviare la comunicazione richiesta dalla norma entro il 31/12. L’uso del credito viene contestato nel 2026 come “non spettante” (difetto adempimento). Il contribuente però nel frattempo (appena accortosi a fine 2025) aveva presentato la comunicazione tardiva e corretto l’errore entro la dichiarazione successiva. Difesa: invocare l’applicazione dell’art. 13 co.4-ter D.Lgs. 471/97, che prevede in tal caso la sanzione fissa di 250 € invece del 25% . Probabilmente l’ufficio stesso avrà applicato 250€, ma se non lo ha fatto, chiederlo al giudice. Inoltre, evidenziare che non vi è alcun danno erariale (il credito era spettante al netto del formalismo ormai adempiuto).
- Caso crediti acquistati da terzi (frode): un’azienda acquista crediti fiscali (ad esempio bonus locazione) da altre aziende in maniera poco chiara, e li compensa. Poi risulta che quei crediti originari erano fittizi (magari frutto di frodi carosello). L’Agenzia contesta credito inesistente con frode. Difesa: l’azienda acquirente può cercare di dimostrare la propria buona fede, di aver pagato quei crediti su una piattaforma credendo fossero validi, di non essere complice della frode. Potrebbe allora sostenere che la sanzione 140% non va applicata a lei, perché la rappresentazione fraudolenta è opera di terzi, e chiederne la riduzione al 70% come creditore in buona fede sanzionato per colpa (questo terreno è scivoloso, ma a volte in sede penale almeno può salvare dall’accusa di concorso in frode). Sul piano tributario, comunque il credito è inesistente e da restituire; si può solo mitigare la sanzione e forse evitare il penale dimostrando di non aver superato dolo.
Ogni caso concreto ha le sue particolarità, ma questi esempi mostrano l’applicazione pratica dei concetti discussi.
Domande frequenti (FAQ)
Per chiarire ulteriormente l’argomento, ecco alcune domande e risposte comuni relative alla difesa da contestazioni di crediti inesistenti in compensazione:
- Domanda: Che differenza c’è, in sintesi, tra un credito “non spettante” e uno “inesistente”?
Risposta: Un credito non spettante è un credito teoricamente esistente ma di cui si è fruito indebitamente (perché non si era autorizzati, o oltre il limite, o senza seguire le regole). Un credito inesistente, invece, è un credito che in realtà non ha fondamento: manca il presupposto economico-giuridico o è frutto di un artificio/frode. In pratica, il credito non spettante è un uso scorretto di un credito vero, il credito inesistente è un credito “falso” . La distinzione comporta sanzioni e tempi diversi: 25% e 5 anni per il non spettante, 70% (o più) e 8 anni per l’inesistente . - Domanda: L’Agenzia delle Entrate può scoprire subito se un credito è inesistente?
Risposta: Dipende. Molte anomalie vengono scoperte tramite i controlli automatizzati sul modello F24 o sulla dichiarazione annuale. Se il sistema incrocia i dati e vede che un credito non risulta dalle dichiarazioni o comunicazioni note, segnala l’irregolarità entro pochi mesi dall’utilizzo e l’Agenzia invia una comunicazione di irregolarità (ad esempio, uso di credito senza aver presentato dichiarazione). Tuttavia, crediti inesistenti costruiti con una certa astuzia (es. con documenti falsi apparentemente regolari) possono sfuggire al controllo automatico e venire scoperti solo con controlli mirati o verifiche successive. In generale, comunque, l’Agenzia è diventata più efficiente nell’individuare subito le compensazioni anomale (specie dopo che dal 2019 i modelli F24 con compensazioni di un certo rilievo devono passare da Entratel e possono essere scartati se palesemente irregolari). Se il controllo automatizzato non “boccia” subito il credito, l’ufficio ha fino a 5 o 8 anni per contestarlo con altri mezzi. - Domanda: Ho ricevuto una comunicazione di irregolarità che annulla un credito compensato e mi chiede di pagare. Posso fare ricorso subito?
Risposta: No, la comunicazione ex art.36-bis o 36-ter non è impugnabile direttamente. Si tratta di un atto “amministrativo” non avente valore di atto impositivo definitivo. Se ritieni l’addebito sbagliato, dovresti comunicare con l’ufficio (entro 30 giorni) spiegando l’errore. Se l’ufficio non annulla e sei convinto di aver ragione, puoi non pagare e aspettare la successiva cartella di pagamento. La cartella (o eventualmente un atto di recupero formale) sarà impugnabile davanti alla Commissione Tributaria, e in quel ricorso potrai far valere le tue ragioni . Ricorda però che se aspetti la cartella, perdi lo sconto sulla sanzione (che nella comunicazione bonaria è ridotta a 1/3). Devi valutare se il gioco vale la candela, in base alla fondatezza della tua posizione. - Domanda: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate sbaglia essa stessa nei calcoli (ad esempio mi contesta 50.000 € quando in realtà il credito era 5.000 €)?
Risposta: Gli errori materiali da parte dell’ufficio purtroppo succedono. In caso di evidente errore, la prima cosa da fare è segnalarlo all’ufficio in modo informale (telefonata, PEC) indicando chiaramente dove hanno sbagliato. Spesso in autotutela correggono subito. Se così non fosse, potrai far valere l’errore nel primo ricorso utile (contro cartella o accertamento). Le Commissioni Tributarie annullano gli atti dell’Agenzia laddove c’è un errore di calcolo manifesto o uno scambio di persona, ecc., poiché l’atto risulta infondato. Idealmente però, risolvi prima: ad esempio, nelle comunicazioni bonarie c’è spazio per far correggere errori di calcolo senza bisogno di ricorso (ci sono persino moduli per segnalare tali errori). - Domanda:Ho usato un credito d’imposta ritenendo in buona fede che mi spettasse, ma l’Agenzia non è d’accordo. Rischio anche il penale?
Risposta: Il penale scatta solo se l’ammontare di credito indebitamente utilizzato in compensazione supera 50.000 € in un anno. Sotto tale soglia, è una violazione solo amministrativa. Se superi la soglia:- Se il credito era non spettante (cioè c’era buona fede e magari incertezza normativa), la pena prevista è minore (6 mesi – 2 anni) e in più dal 2024 la legge esclude la punibilità se c’era una obiettiva incertezza sugli elementi del credito . Quindi, se davvero eri in buona fede e c’era margine di dubbio sulla norma, potresti evitare il penale proprio grazie a questa clausola di salvaguardia. Dovrai però dimostrare l’incertezza e l’assenza di intento fraudolento.
- Se il credito era inesistente e oltre soglia, la pena è 1,5 – 6 anni. Qui la buona fede totale è difficile da invocare perché per definizione il credito inesistente implica qualcosa di oggettivamente mancante. Tuttavia, potresti difenderti sostenendo che tu pensavi esistesse (es. ti avevano venduto un credito falso senza che tu lo sapessi). Sarà materia per il giudice penale valutare il dolo. In ogni caso, se l’importo contestato è rilevante e l’ufficio ritiene fosse inesistente, una notizia di reato verrà inviata. Per questo è cruciale difendersi in sede tributaria mostrando che il caso è al più non spettante.
- Consiglio: se ti accorgi di aver forse usato un credito indebitamente e l’importo è vicino a 50k, potresti considerare di ravvederti subito per scendere sotto soglia (ad esempio, restituire parte del credito spontaneamente). Così eviti di superare la soglia penale annuale.
- Domanda:Quali prove devo raccogliere per difendere un credito d’imposta in contenzioso?
Risposta: Dipende dal tipo di credito, ma in generale:- Tutta la documentazione contabile relativa (fatture, contratti, quietanze di pagamento delle spese che hanno generato il credito).
- La normativa istitutiva del credito e eventuali circolari dell’Agenzia sul tema, per mostrare che hai agito secondo quelle istruzioni (o per contestarle se ti contraddicono).
- Eventuali perizie o certificazioni: es. se è un credito edilizio, perizia asseverata; se R&S, relazione tecnica dettagliata, magari una perizia di un esperto terzo; se investimento in macchinario 4.0, perizia tecnica del perito industriale ecc.
- Corrispondenza con l’Amministrazione: se prima di usare il credito hai fatto un interpello o hai avuto un ok informale, conservalo e usalo a tua difesa (anche se non vincolante, mostra la tua diligenza).
- Testimonianze o indizi esterni: se utile, puoi portare in causa elementi che corroborano la tua versione (ad esempio: per crediti da operazioni con terzi, dimostrare che anche altri li hanno usati e l’Agenzia li aveva inizialmente validati).
- Giurisprudenza favorevole: se esistono sentenze simili vinte da contribuenti (per es. Cassazione su casi analoghi), citale. Un avvocato tributarista saprà selezionare i precedenti utili.
- Domanda: Posso patteggiare con l’Agenzia delle Entrate per pagare meno su un credito contestato?
Risposta: Sì, attraverso gli strumenti deflativi: l’accertamento con adesione è la via principale. In sede di adesione, puoi ottenere una riduzione delle sanzioni (ad 1/3 del minimo) e talvolta l’ufficio, per chiudere, accetta di ridurre anche la base imponibile del recupero in virtù di elementi che porti. Ad esempio, se contesti €100k di credito, potreste accordarvi che ne restituisci €60k e chiudete la pratica. Ufficialmente l’adesione richiede che l’ufficio sia convinto di qualche tuo argomento (non è un “mercanteggiare puro”, ma nei fatti un po’ lo è). Inoltre c’è la mediazione tributaria (per valori fino a 50k) dove l’ufficio può concedere uno sconto sulle sanzioni o un abbattimento parziale per evitare il processo. Fuori da queste procedure formalizzate, non c’è modo di “patteggiare”: o paghi tutto con ravvedimento (sanzioni ridotte ma non azzerate) o vai in giudizio. Nel penale, esiste il patteggiamento, ma è un’altra storia (implica riconoscere il reato, in cambio di pena ridotta). - Domanda: Se la Commissione Tributaria mi dà ragione e annulla l’atto, l’Agenzia può rifarmi accertamento sullo stesso credito?
Risposta: In linea di massima no, perché il giudicato copre il periodo d’imposta e il credito in questione. Se vinci definitivamente (sentenza passata in giudicato) l’Agenzia non può emettere un nuovo avviso per lo stesso utilizzo di credito. Farlo violerebbe il giudicato e l’atto sarebbe nullo. Tuttavia, attenzione: se hai usato lo stesso credito su più anni (es. quote annuali), e hai vinto su un anno per un vizio formale, l’Agenzia potrebbe provare ad accertare un altro anno con magari un atto meglio motivato. Ma spesso la questione sostanziale è la stessa, quindi la sentenza favorevole farà giurisprudenza per le successive. In pratica, se il giudice ha stabilito che il tuo credito era valido, l’Agenzia difficilmente insisterà per altri anni uguali. Se invece hai vinto solo per un vizio procedurale (tipo atto tardivo), l’Agenzia non può più colpirti per quell’anno (decaduto), ma se hai replicato l’errore in anni diversi ancora accertabili, potrebbe intervenire per quelli. - Domanda: Nel mio avviso c’è scritto che il credito è inesistente e c’è una sanzione del 140%. Possono davvero chiedermi 1,4 volte l’importo?
Risposta: Sì, se ritengono che il credito sia stato utilizzato con fraudolenza. La legge consente in questi casi di raddoppiare la sanzione base del 70%, arrivando fino al 140% . È una sanzione molto pesante, pensata per casi di frode conclamata. Il minimo in questi casi è il 105% (aumento della metà). Nella pratica, 140% si applicherà se il comportamento è particolarmente grave (documenti falsi scoperti, recidiva, etc.). Comunque, il contribuente può contestare sia la qualificazione di frode sia l’entità dell’aumento. La Cassazione ha affermato che le sanzioni devono rispettare il principio di proporzionalità: se il 140% appare sproporzionato al caso concreto, il giudice potrebbe ridurlo. Ad ogni modo, con la riforma 2024, l’aumento è diventato “da metà al doppio” proprio per dare flessibilità: l’ufficio potrebbe accontentarsi di +50% (105% tot.) se non vuole esagerare. Se nel tuo avviso vedi 140%, significa che l’ufficio attribuisce al fatto la massima gravità. Sarà importante difenderti dimostrando che non c’era quell’intento doloso così marcato. - Domanda: Se ho perso in primo grado, mi conviene appellare o aderire a qualche definizione?
Risposta: Difficile rispondere in astratto. Se hai perso e non c’è possibilità di definizione agevolata (le cosiddette “rottamazioni delle liti”), devi valutare con il tuo avvocato se in appello hai buone chance (magari per nuovi elementi o perché il giudice di primo grado ha interpretato male i fatti). Tieni presente che in appello, se ancora perdi, le spese possono aumentare e intanto maturano interessi. Invece, se c’è una normativa di definizione liti pendenti (come ce n’è stata per il 2023), spesso prevedono di pagare solo il 10-20% del valore se hai perso in primo grado per chiudere tutto, o il 50% se hai vinto tu in primo grado. Quindi ogni tanto conviene perdendo sfruttare la scorciatoia di legge e pagare poco. Altrimenti, se credi fermamente nella tua ragione (specie su questioni di principio che potrebbero anche finire in Cassazione magari con esito favorevole, visto che la materia è nuova e la Cassazione si è espressa solo di recente), potresti proseguire. Considera anche che, se non hai sospensiva, l’iscrizione a ruolo dopo la sentenza di primo grado è per 2/3 dell’importo: ti toccherà pagare quella parte eventualmente (a meno che non ottieni sospensione in appello). Quindi valuta costi/benefici.
Conclusioni
Difendersi efficacemente da un’accusa di utilizzo di crediti inesistenti in compensazione richiede un’approfondita conoscenza sia delle normative tributarie sia delle procedure di controllo. Come abbiamo visto, le recenti riforme (Sezioni Unite 2023, D.Lgs. 87/2024, atto di indirizzo MEF 2025) hanno portato maggiore chiarezza e qualche apertura a favore dei contribuenti onesti, delineando in modo netto il confine tra condotte fraudolente e violazioni formali/tecniche . Ciò offre ai difensori (avvocati tributaristi e commercialisti) nuovi strumenti per tutelare il contribuente, puntando sulla qualificazione corretta del credito e sfruttando eventuali incertezze normative a vantaggio del favor rei .
Dal punto di vista del debitore, è fondamentale: – Agire preventivamente con diligenza per evitare contestazioni (compliance e consulenze tecniche prima di utilizzare crediti). – In caso di controllo, mantenere un atteggiamento collaborativo, fornendo tutte le evidenze per chiarire la propria posizione. – Non farsi intimorire da contestazioni preliminari: spesso c’è margine per ridiscutere e correggere errori senza arrivare al giudizio. – Se si arriva al contenzioso, impostare la strategia difensiva sui punti chiave (termini, qualificazione, mancanza di dolo, errori procedurali dell’ufficio) e supportarla con prove solide e riferimenti normativi/giurisprudenziali aggiornati. – Tenere conto delle tempistiche: non perdere mai di vista le scadenze (30 giorni per comunicazioni, 60 per ricorsi, ecc.) e i termini di decadenza dell’azione accertativa.
Non ultimo, occorre ricordare che ogni caso è a sé. Questa guida ha fornito un quadro avanzato e generale, ma nella realtà la casistica dei crediti d’imposta è molto variegata (IVA, IRES, IRAP, bonus vari, crediti da agevolazioni territoriali, ecc.), ciascuna con peculiarità. È quindi raccomandabile, di fronte a contestazioni significative, farsi assistere da professionisti specializzati, che possano individuare anche i dettagli difensivi più sottili (ad esempio, vizi formali dell’atto, incoerenze nei criteri tecnici adottati dall’AdE, ecc.) potenzialmente decisivi per vincere la causa.
In conclusione, se l’Agenzia delle Entrate accerta un credito inesistente in compensazione, il contribuente ha sì di fronte una situazione critica (sanzioni elevate, rischio penale, esborso di imposte non versate), ma non è privo di difese. Con un approccio competente e proattivo, molti di questi accertamenti possono essere annullati o almeno ridimensionati, garantendo il rispetto dei propri diritti e, nei casi di buona fede, evitando conseguenze sproporzionate. Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, il sistema mira a colpire duramente i comportamenti fraudolenti, ma riconosce che il contribuente, pur se tecnicamente in errore, rimane “parte debole” rispetto al Fisco e merita tutele quando agisce senza malizia . Questa consapevolezza, riflessa nelle norme e nelle sentenze recenti, è l’alleata principale di chi si trova a dover difendere la genuinità di un credito davanti all’Amministrazione finanziaria.
Fonti:
– Decreto Legislativo 471/1997, art. 13 e succ. mod. (sanzioni amministrative tributarie) .
– Decreto Legislativo 74/2000, art. 10-quater e succ. mod. (reato di indebita compensazione) .
– DPR 600/1973, artt. 36-bis, 36-ter, 38-bis (controlli dichiarazioni e atti di recupero) .
– Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sent. 34419/2023 (distinzione crediti non spettanti/inesistenti, termini e sanzioni) .
– Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sent. 34452/2023 (massime analoghe su termini e sanzioni) .
– Corte di Cassazione, sez. trib., sent. 34445/2021 (qualificazione di credito inesistente solo se non rilevabile da controlli e privo di presupposto) .
– Corte di Cassazione, sez. trib., sent. 5318/2012 (invalidità uso 36-bis per disconoscere credito da dichiarazione omessa) .
– Atto di indirizzo MEF 1° luglio 2025 (chiarimenti su definizioni di crediti non spettanti/inesistenti a seguito D.Lgs. 87/2024) .
– Circolare Agenzia Entrate 4 luglio 2025 “Crediti non spettanti o inesistenti, differenze normative” .
– Giurisprudenza tributaria di merito recente: CGT Lombardia n.1482/25/2025 (credito R&S non spettante per difetto innovatività) ; TAR Lazio 29/7/2025 (validità certificazione art. 23 DL 73/2022 per R&S) ; Cass. pen. sez III n.3374/2025 (reato di indebita compensazione anche per crediti IRAP verso debiti IVA) .
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
La compensazione tramite modello F24 è uno strumento legittimo per ridurre imposte e contributi dovuti, utilizzando crediti fiscali maturati. Tuttavia, se il Fisco ritiene che i crediti siano inesistenti o non spettanti, può procedere al recupero delle somme compensate, con sanzioni e, nei casi più gravi, con conseguenze penali.
👉 Prima regola: distingui sempre tra crediti inesistenti (mai maturati, quindi con rischio penale) e crediti non spettanti (esistenti ma usati in modo errato, con conseguenze solo tributarie).
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Compensazione con crediti mai maturati (es. IVA non dichiarata, agevolazioni non spettanti);
- Errori di calcolo o di periodo nella gestione dei crediti;
- Compensazioni effettuate senza la preventiva presentazione della dichiarazione da cui il credito emerge;
- Utilizzo di crediti agevolativi o bonus fiscali non spettanti;
- Dati non corrispondenti a quanto risulta nei registri fiscali o nel cassetto fiscale.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero immediato delle somme compensate;
- Sanzioni dal 100% al 200% dell’importo indebitamente compensato;
- Interessi di mora;
- Rischio di reato tributario (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000) se i crediti sono inesistenti e l’importo supera determinate soglie;
- Blocco dell’utilizzo futuro di crediti in compensazione tramite modello F24.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Origine del credito: da dichiarazioni, versamenti eccedenti, bonus fiscali?
- Documentazione: esistono prove contabili o fiscali del credito vantato?
- Tipologia della contestazione: credito inesistente (penale) o non spettante (solo tributario)?
- Motivazione dell’atto: l’Agenzia ha indicato chiaramente perché disconosce il credito?
- Rispetto dei termini di accertamento: la contestazione è stata notificata nei tempi di legge?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Dichiarazioni fiscali da cui emerge il credito;
- Ricevute di versamenti eccedenti;
- Documentazione di agevolazioni o bonus richiesti;
- Estratti del cassetto fiscale con evidenza dei crediti;
- Comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’esistenza del credito con prove contabili e fiscali;
- Contestare l’errata qualificazione come credito inesistente quando in realtà era solo non spettante;
- Eccepire vizi formali: motivazione insufficiente, decadenza, notifica irregolare;
- Richiedere autotutela se il credito era stato già riconosciuto;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare o ridurre l’accertamento;
- Difesa penale mirata in caso di contestazioni di reato per crediti inesistenti.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la natura del credito e le contestazioni mosse dal Fisco;
📌 Verifica se la pretesa riguarda crediti non spettanti o inesistenti;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi tributari e, se necessario, difese penali;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire in sicurezza crediti e compensazioni future.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e utilizzo di crediti in compensazione;
✔️ Specializzato in difesa di imprese e professionisti in materia di crediti inesistenti e bonus fiscali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui crediti inesistenti in compensazione non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali o da errate interpretazioni.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità del credito, evitare l’accusa di reato e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui crediti in compensazione inizia qui.