Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché il trust di cui sei disponente, beneficiario o trustee è stato ritenuto utilizzato in modo improprio per occultare redditi? In questi casi, l’Ufficio presume che il trust sia stato costituito solo come schermo giuridico per sottrarre ricchezze al fisco e procede al recupero delle imposte con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: la disciplina dei trust è complessa e offre margini difensivi per dimostrare la genuinità dell’istituto.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un trust come strumento elusivo
– Se il trust non è effettivamente autonomo e il disponente continua a gestire i beni come proprietario
– Se manca un reale trasferimento di beni al trustee o la segregazione patrimoniale è solo formale
– Se i beneficiari coincidono con il disponente e non vi è effettiva finalità di protezione o pianificazione patrimoniale
– Se i redditi prodotti dai beni in trust non sono stati dichiarati correttamente
– Se il trust è localizzato in Paesi a fiscalità privilegiata e considerato “esterovestito”
Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione del trust come interposto fiscalmente, con imputazione diretta dei redditi al disponente
– Recupero delle imposte sui redditi generati dal patrimonio in trust
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di accertamenti patrimoniali e contestazioni anche in sede penale nei casi più gravi
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale autonomia del trust e la corretta segregazione dei beni trasferiti
– Produrre l’atto istitutivo, i bilanci e la documentazione gestionale del trustee
– Contestare la presunzione di interposizione se il trust risponde a finalità patrimoniali lecite (successione, tutela familiare)
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di diritto o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la struttura del trust, la documentazione costitutiva e le modalità di gestione
– Verificare la legittimità della contestazione in relazione alla normativa nazionale e internazionale
– Redigere un ricorso fondato su vizi sostanziali e formali dell’accertamento
– Difendere il disponente, i beneficiari o il trustee davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio segregato da indebite tassazioni e azioni esecutive
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– Il riconoscimento della validità del trust come istituto giuridico autonomo
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate dall’Agenzia
– La certezza di proteggere il patrimonio conferito nel trust da indebite pretese fiscali
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce in tempo, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, societario e trust – spiega come difendersi in caso di contestazioni sull’uso improprio dei trust e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Aggiornamento – Agosto 2025: L’utilizzo del trust come strumento per occultare redditi o patrimoni sta attirando un crescente interesse da parte del Fisco italiano. In particolare, quando l’Agenzia delle Entrate ritiene che un trust sia impiegato in modo improprio – ad esempio per evadere tasse o sottrarre beni alla riscossione – può contestarne la validità fiscale e colpire direttamente i redditi e i beni conferiti. Dal punto di vista del contribuente (debitore verso l’Erario), ciò può tradursi in accertamenti tributari molto onerosi, sanzioni severe e perfino implicazioni penali. Come difendersi in questi casi? Questa guida avanzata, rivolta ad avvocati, privati e imprenditori, affronta in dettaglio la tematica dell’uso contestato del trust per finalità elusive, fornendo riferimenti normativi aggiornati, le più recenti sentenze (fino ad agosto 2025) e suggerimenti pratici per impostare una difesa efficace.
Nel prosieguo esamineremo dapprima le caratteristiche essenziali del trust nell’ordinamento italiano e le sue finalità lecite, per poi concentrare l’attenzione sugli usi patologici del trust (trust estero “schermo”, trust autodichiarato fittizio, trust familiare simulato, ecc.) spesso contestati dal Fisco. Verranno illustrati i profili normativi italiani rilevanti – dalla disciplina antielusiva tributaria alle norme penali come il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte – integrando le più autorevoli pronunce giurisprudenziali recenti sul tema. Dal punto di vista del debitore, evidenzieremo le possibili strategie difensive sia in sede tributaria (Commissioni/ Corti di Giustizia Tributaria) sia in sede penale, qualora la condotta venga valutata come reato.
La trattazione sarà strutturata con un linguaggio giuridico accurato ma dal taglio divulgativo, in modo da risultare accessibile. Sono incluse domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni, tabelle riepilogative per sintetizzare concetti chiave, nonché casi pratici e simulazioni interamente contestualizzati alla realtà italiana. L’obiettivo è fornire un quadro completo su come utilizzare correttamente un trust senza incorrere in abusi e, soprattutto, su come reagire qualora il Fisco contesti un trust come strumento di evasione fiscale, il tutto salvaguardando i diritti patrimoniali del contribuente in buona fede.
Quadro normativo di riferimento
Prima di addentrarci nelle problematiche del trust “abusivo”, è fondamentale delineare i riferimenti normativi che fanno da sfondo a queste contestazioni in Italia:
- Riconoscimento del trust in Italia: l’istituto del trust, pur non essendo previsto dal Codice Civile italiano, è riconosciuto dall’ordinamento grazie alla Convenzione de L’Aja del 1º luglio 1985, ratificata con Legge 16 ottobre 1989 n. 364 . Ciò significa che è lecito costituire un trust interno (con effetti in Italia) designando una legge straniera come regolatrice dell’atto istitutivo (es. legge di Jersey, legge inglese ecc.). Il trust è dunque uno strumento legale pienamente valido, purché non contrasti con norme di ordine pubblico italiane e si rispettino gli obblighi fiscali vigenti. In sé, costituire un trust non è vietato né illecito .
- Norme tributarie anti-interposizione: l’arma principale del Fisco per colpire i trust utilizzati in modo fittizio è l’art. 37, comma 3, del DPR 29 settembre 1973 n. 600. Tale disposizione prevede che “in sede di accertamento sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona” . In altre parole, se l’Amministrazione finanziaria prova che dietro il trust (o altro soggetto formalmente titolare di redditi) vi è in realtà il contribuente che ne dispone, allora ignorerà la struttura interposta e tasserà i redditi in capo a quest’ultimo. Questa norma, originariamente pensata per prestanome e interposizioni fittizie classiche, si applica anche ai trust: la Cassazione ha chiarito che l’art. 37, co.3 DPR 600/1973 non distingue tra interposizione fittizia e interposizione reale , potendo comprendere anche “casi di interposizione reale che, attraverso l’uso di species valide dal punto di vista giuridico, favoriscono tecniche di controllo delle attività da parte di soggetti che, pur non risultando ufficialmente intestatari, possiedono ampi poteri di gestione e di controllo” . Dunque conta la sostanza economica del rapporto più che la forma giuridica adottata – è il principio del substance over form ormai consolidato .
- Norma generale antiabuso: parallelamente all’art. 37 citato (che attiene specificamente all’imputazione di redditi “per interposta persona”), l’ordinamento tributario italiano si è dotato di una clausola generale anti-elusione. Si tratta dell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000, introdotto nel 2015), che sanziona il “abuso del diritto”, ovvero operazioni prive di sostanza economica effettuate con il principale scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti. Un trust utilizzato a fini essenzialmente fiscali, senza ragioni economiche extrafiscali adeguate, può ricadere nell’abuso del diritto. In caso di contestazione per abuso ex art. 10-bis, l’operazione non viene riconosciuta a fini fiscali e sono recuperate le imposte, ferme restando (di regola) l’assenza di sanzioni amministrative se il contribuente dimostra di aver tenuto una condotta conforme a interpretazioni ufficiali. Tuttavia, spesso le contestazioni sui trust seguono la via dell’art. 37 DPR 600/73 (interposizione fittizia) o addirittura della frode, più che del mero abuso: la distinzione pratica non è sempre netta, ma a fini difensivi va tenuto presente che grava sull’Agenzia delle Entrate l’onere di provare gli elementi dell’abuso (es. mancanza di sostanza economica) .
- Disciplina fiscale dei trust: ai fini delle imposte dirette (redditi), la normativa italiana distingue due macro-categorie di trust leciti:
- i trust trasparenti (o “look-through”), in cui i beneficiari hanno diritto attuale ai redditi del trust: in tal caso il trust non paga l’IRPEF sui redditi prodotti, ma li imputa direttamente ai beneficiari (persone fisiche) i quali li dichiarano come redditi di capitale, anche se non ancora distribuiti ;
- i trust opachi, in cui non vi sono beneficiari di reddito individuati (es. beneficiari solo eventuali o a discrezione del trustee): qui il trust è soggetto passivo IRES (aliquota 24%) sui propri redditi e i beneficiari eventuali saranno tassati solo al momento di eventuali distribuzioni, tipicamente con imposta del 26% se persone fisiche (equiparazione ai dividendi) .
Accanto a queste regole, esistono norme anti-elusive specifiche per i trust esteri. In particolare, se il trust è costituito in un Paese a fiscalità privilegiata (black list) ed è opaco, i redditi si presumono imputati ai beneficiari o, se questi non sono individuabili, al disponente residente in Italia . Questa è una previsione (art. 44, co.1, lett. g-sexies del TUIR) volta a evitare che trust offshore non dichiarati fungano da schermo fiscale: in sostanza il residente italiano che crea un trust opaco in un paradiso fiscale verrà tassato come se quei redditi fossero suoi indipendentemente da distribuzioni . Inoltre, chi istituisce o è beneficiario di un trust estero può avere obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW della dichiarazione) per gli investimenti patrimoniali esteri di cui conserva disponibilità o da cui trae redditi imponibili in Italia . L’omessa compilazione del Quadro RW comporta sanzioni pesanti (dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato, raddoppiate se Paese non collaborativo) e, se accompagnata da evasione d’imposta sopra soglie rilevanti, può avere risvolti penali (omessa o infedele dichiarazione) . Su questo torneremo più avanti.
- Tutela dei creditori e reati tributari: infine, va menzionato l’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, che inquadra la vicenda del trust abusivo anche come possibile reato. Esso punisce con la reclusione chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte dovute, compia “alienazioni simulate o altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere inefficace in tutto o in parte la riscossione coattiva” . Questa fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte si configura tipicamente quando un contribuente con debiti fiscali sposta o “schermo” i suoi beni per renderli indisponibili al Fisco (ad esempio tramite un trust), se l’imposta evasa supera 50.000 € . In caso di condanna, oltre alla pena detentiva (6 mesi – 4 anni, elevata a 1 – 6 anni se debito > 200.000 €) sono previste pesanti misure come il sequestro e la confisca per equivalente dei beni trasferiti . Approfondiremo anche questo aspetto penale dal punto di vista difensivo.
In sintesi, il quadro normativo italiano consente l’uso del trust, ma offre agli organi fiscali vari strumenti per contrastare gli abusi: dagli accertamenti basati sul principio della titolarità effettiva dei redditi , fino all’azione penale se il trust è istituito in frode ai creditori tributari . Con queste premesse normative in mente, passiamo a esaminare come funzionano i trust legittimi e quali sono invece gli indizi tipici di un trust abusivo secondo la prassi e la giurisprudenza.
Nozioni generali sul trust e sue tipologie
Un trust è un rapporto giuridico in cui un soggetto (disponente o settlor) trasferisce determinati beni a un altro soggetto (trustee), affinché li amministri e li destini a beneficio di un terzo (beneficiario) o per un certo scopo. I beni così trasferiti costituiscono un patrimonio separato: escono dalla sfera personale del disponente e del trustee, per essere gestiti autonomamente secondo le regole stabilite nell’atto istitutivo. In base alla Convenzione de L’Aja, l’atto istitutivo deve indicare espressamente la legge applicabile (tipicamente una legge di Common Law). In Italia, dunque, si redige un atto pubblico notarile che richiama quella legge straniera, dando vita a un trust riconosciuto.
Per capire le contestazioni fiscali, è utile identificare i soggetti e le tipologie di trust più ricorrenti:
- Disponente (settlor): colui che istituisce il trust conferendovi i beni iniziali (con il cosiddetto atto di dotazione). Il disponente può porre condizioni e regole nell’atto istitutivo. In teoria, dopo il trasferimento egli perde la disponibilità dei beni, che passano sotto il controllo del trustee . Tuttavia, se il disponente si riserva troppi poteri sul trust, rischia di comprometterne la genuinità . Questo aspetto – il grado di distacco effettivo del disponente dai beni – è cruciale per le valutazioni fiscali.
- Trustee: è il soggetto (persona fisica o giuridica) che detiene e gestisce i beni in trust secondo le finalità stabilite. Il trustee diventa titolare legale dei beni conferiti, ma non ne può disporre a titolo personale: deve amministrarli nell’interesse altrui e risponde dei suoi atti verso beneficiari e disponente . Il trustee ideale è indipendente e dotato di professionalità; in alcuni casi però il disponente assume egli stesso il ruolo di trustee (vedi trust autodichiarato) o sceglie un proprio prestanome, circostanza che spesso fa scattare i sospetti del Fisco.
- Beneficiari: sono coloro che beneficeranno dei beni o dei redditi del trust secondo l’atto istitutivo . Possono essere beneficiari del reddito (hanno diritto ai frutti prodotti dal trust, ad es. interessi, dividendi, canoni) e/o beneficiari finali del capitale (riceveranno i beni al termine del trust). I beneficiari possono essere individuati nominativamente oppure essere una categoria (es. “i miei nipoti che saranno viventi tra 20 anni”). In alcuni trust detti di scopo non vi sono beneficiari individuali, ma un fine astratto (ad es. trust di beneficenza). Dal punto di vista fiscale, se i beneficiari hanno un diritto certo ai redditi questi saranno tassati direttamente a loro (trust trasparente); se invece il trustee ha discrezionalità se e quando distribuirli, il trust è opaco (paga le imposte in proprio). Anche qui, però, c’è una zona grigia: un trust formalmente opaco ma in cui il disponente o i beneficiari manovrano il trustee potrebbe essere trattato dal Fisco come trasparente simulato o interposto.
- Guardiano (protector): figura eventuale nominata spesso nei trust familiari, con il compito di vigilare sull’operato del trustee e in alcuni casi con poteri di intervento (es. approvare decisioni, sostituire il trustee) . La presenza di un guardiano può dare maggiori garanzie che il trust sia gestito secondo le volontà del disponente. Tuttavia, se il guardiano è di fatto controllato dal disponente o dai beneficiari, il trust perde autonomia. Nei casi esaminati dall’Agenzia, guardiani troppo “allineati” con i beneficiari sono stati indice di interposizione (es. trust familiare in cui il guardiano, parente dei beneficiari, di fatto dirige il trustee ).
Esistono numerose tipologie di trust, che vale la pena definire in relazione ai profili di rischio fiscale:
- Trust autodichiarato: si ha quando disponente e trustee coincidono nella stessa persona. In pratica Tizio trasferisce beni a sé stesso in qualità di trustee, dichiarando di tenerli separati come patrimonio destinato ai beneficiari. Non vi è un effettivo spostamento di proprietà a un soggetto diverso, ma solo una segregazione giuridica formale . Questo schema è lecito e talvolta utile (es. se il disponente è la persona più adatta a gestire quei beni per i beneficiari). Fiscalmente, però, il trust autodichiarato è neutro: non c’è un trasferimento imponibile immediato poiché il disponente non si spoglia realmente del bene . Addirittura, se i beneficiari coincidono col disponente stesso, si può sostenere che non vi sarà mai un trasferimento effettivo (il patrimonio può tornare al disponente). La giurisprudenza tributaria tende infatti a considerare che in un trust autodichiarato con beneficiario il disponente stesso, manchi un effettivo arricchimento o “attribuzione patrimoniale stabile” – ad esempio è stato negato che sorga imposta di donazione . Attenzione: proprio perché facilmente simulabile, il trust autodichiarato è spesso guardato con sospetto dal Fisco e dai creditori . Se il disponente-trustee continua a gestire e usare i beni come prima, l’Agenzia delle Entrate con buona probabilità lo considererà un trust fittizio, interponendo il disponente ai fini fiscali . Vedremo a breve che molte contestazioni riguardano proprio trust autodichiarati utilizzati per proteggere beni da pretese fiscali.
- Trust familiare: è un trust istituito con finalità di pianificazione patrimoniale e successoria all’interno di una famiglia. Tipicamente un trust familiare è irrevocabile e conferisce beni (immobili, partecipazioni, liquidità) destinandoli al mantenimento o al beneficio di membri della famiglia (coniuge, figli, nipoti) spesso in vista del passaggio generazionale. Esempio: un genitore imprenditore trasferisce le sue quote aziendali in un trust a favore dei figli, regolando la gestione finché essi non saranno pronti a subentrare . Si tratta di un impiego lecito e comune del trust, che peraltro in Italia ha avuto un riconoscimento anche a fini assistenziali (si pensi al “dopo di noi”, trust per tutelare disabili gravi, con legge 112/2016 ). Fiscalmente, nei trust familiari genuini non vi è intento di occultamento: il disponente accetta di perdere la disponibilità dei beni a vantaggio dei beneficiari futuri. Tuttavia, il Fisco analizza con cura anche questi trust, soprattutto se istituiti in momenti “sospetti”. Un trust familiare istituito molti anni prima di eventuali debiti fiscali e gestito correttamente sarà normalmente opponibile ai creditori (non c’è frode se al tempo non c’erano debiti ed era logica l’esigenza familiare) . Viceversa, se un contribuente crea un trust familiare dopo aver maturato grossi debiti erariali o quando già è sotto verifica fiscale, l’operazione può essere vista come un mezzo per sottrarre beni al Fisco sotto veste “affettiva”. In un caso esaminato dall’Agenzia (Risp. Interpello n. 176/2023), un trust familiare dove il trustee non aveva reale autonomia – perché i beneficiari, tramite un guardiano, controllavano ogni mossa – è stato dichiarato “non validamente operante sotto il profilo fiscale”, con conseguente imputazione dei redditi al disponente . Quindi anche il trust familiare può essere disconosciuto se risulta che in realtà il disponente/beneficiari lo manovravano a loro piacimento.
- Trust revocabile vs. irrevocabile: in un trust revocabile il disponente si riserva il potere di sciogliere il trust anticipatamente e riprendersi i beni; in un trust irrevocabile il disponente rinuncia a qualsiasi potere di revoca, perdendo stabilmente il controllo sui beni conferiti . Questa distinzione è importante: un trust revocabile offre minori garanzie di effettiva separazione patrimoniale (se le cose vanno male, il disponente può semplicemente revocare il trust e riavere i beni). Dal punto di vista del Fisco e dei creditori, un trust revocabile è più facile da attaccare: potrebbe essere considerato un semplice schermo temporaneo, e se il potere di revoca è ampio si può arrivare a sostenere che il trust sia fiscalmente inesistente perché il disponente non si è mai davvero spogliato dei beni . Un trust irrevocabile, invece, segna un distacco più netto: se ben congegnato (disponente senza poteri, trustee indipendente) rende più difficile sostenere che il disponente conservi disponibilità dei beni.
- Trust discrezionale vs. fisso: in un trust discrezionale il trustee ha poteri di discrezione su se, quando e quanto distribuire ai beneficiari; questi ultimi hanno solo una aspettativa e non un diritto esigibile sui beni/rendimenti fino a decisione del trustee. In un trust fisso (o determinato), invece, i beneficiari e le rispettive quote di benefici economici sono predeterminati nell’atto, così che i beneficiari hanno diritti acquisiti (ad esempio: “gli utili annuali vadano, per metà ciascuno, ai figli A e B”) . La distinzione influisce sulla tassazione: un trust con beneficiari certi è trasparente (tassa i redditi in capo ai beneficiari pro quota); un trust discrezionale senza beneficiari certi è opaco (tassa il trust). Ma, soprattutto, incide sul rischio di interposizione: se i beneficiari hanno diritti certi e magari sono anche disponente stesso o suoi stretti familiari, il Fisco potrebbe ritenere che il trust sia solo un mezzo formale e i redditi in realtà siano immediatamente dei beneficiari. Invece, in un trust realmente discrezionale con trustee indipendente, è più difficile per l’Agenzia provare che il disponente/beneficiari controllassero il patrimonio.
Riassumendo, il trust è uno strumento flessibile e potente di pianificazione patrimoniale: consente di separare un patrimonio dal resto dei beni del disponente e del trustee, vincolandolo a uno scopo prefissato. Proprio questa separazione patrimoniale è il fulcro dell’attrattiva del trust (proteggere beni da eventi avversi, garantire successioni ordinate, ecc.), ma anche la ragione per cui autorità fiscali e creditori vi prestano grande attenzione. L’abuso nasce quando la separazione patrimoniale viene usata come schermo artificioso per sottrarre beni alle pretese del Fisco o di altri creditori. Nel prossimo paragrafo vedremo il confine tra finalità lecite e profili di abuso nell’utilizzo di un trust.
Finalità lecite del trust vs. utilizzi abusivi
Il trust, se correttamente impiegato, serve a realizzare scopi del tutto leciti e anzi apprezzabili dal punto di vista economico-sociale. Ecco alcune finalità legittime per cui un debitore/contribuente potrebbe costituire un trust:
- Tutela patrimoniale preventiva: un imprenditore o professionista, consapevole di essere esposto a rischi futuri (fallimenti, cause risarcitorie, ecc.), può segregare una parte del patrimonio a beneficio dei familiari, così che tali beni siano al riparo da pretese estranee . Analogamente, un trust può proteggere soggetti deboli (minori, disabili) assicurando che i beni siano gestiti a loro vantaggio (il già citato trust “dopo di noi” per disabili gravi ne è un esempio tipico, con tanto di incentivi fiscali specifici ).
- Passaggio generazionale e pianificazione successoria: il trust consente di trasferire ricchezza alle prossime generazioni in modo graduale e controllato . Ad esempio, un genitore può porre beni in trust per i figli, stabilendo che il trustee li amministri finché i figli non abbiano raggiunto una certa età o obiettivi (laurea, ecc.). Nelle aziende di famiglia, il trust può garantire continuità gestionale separando proprietà e gestione – ad es. le quote societarie restano nel trust finché gli eredi sono pronti a subentrare .
- Gestione professionale di patrimoni complessi: affidare beni a un trustee professionale può essere utile per patrimoni articolati o diffusi in più Paesi . Un trust permette di unificare la gestione sotto un unico “fondo” amministrato, ad esempio, da una trust company esperta, il che può essere efficiente (specie se gli eredi diretti non hanno esperienza o sono minori).
- Garanzie a tutela di terzi: in operazioni commerciali o finanziarie, talvolta si ricorre a trust per garantire determinati creditori o investitori. Ad esempio, in una emissione obbligazionaria si può istituire un trust a beneficio dei sottoscrittori, conferendovi beni a garanzia del rimborso; oppure nei processi di cartolarizzazione dei crediti bancari il trust è spesso usato per detenere i crediti ceduti e gestire i flussi a favore degli investitori (sebbene l’ordinamento italiano offra anche istituti specifici come il fondo patrimoniale e il pegno rotativo) .
- Finalità benefiche o non profit: trust caritatevoli per sostenere enti benefici, trust di scopo filantropico (privi di beneficiari individuali) per perseguire interessi meritevoli – ovviamente entro i limiti dell’ordine pubblico interno e di durata ragionevole .
Tutte queste applicazioni non hanno di per sé alcun intento elusivo o fraudolento. L’ordinamento consente tali trust e, se posti in essere “in bonis” (cioè quando non vi sono debiti fiscali scaduti né intenti illeciti), essi sono opponibili ai creditori futuri. Ad esempio, un trust familiare istituito molto prima che sorgano problemi col Fisco, e motivato da finalità successorie credibili, sarà tendenzialmente inattaccabile: non si potrà sostenere che fosse un artificio per evadere, poiché all’epoca non c’erano pendenze e l’obiettivo era lecito . La legge stessa tutela chi dispone del proprio patrimonio per scopi non fraudolenti: azioni come la revocatoria fallimentare o ordinaria richiedono di provare che l’atto pregiudica dei creditori e, se fatto molti anni prima o per giusta causa, tale prova è difficile.
Il problema sorge quando il trust viene utilizzato in modo distorto, cioè come veicolo per finalità illegittime. Possiamo individuare alcuni utilizzi abusivi del trust tipicamente contestati:
- Occultamento di redditi all’estero: un contribuente con ingenti redditi finanziari o d’impresa può creare un trust in un paradiso fiscale, conferirvi partecipazioni o capitali e far risultare formalmente che i redditi maturano in capo al trust estero. L’aspettativa illecita è che tali redditi restino “invisible” al Fisco italiano. Questo è esattamente lo schema smascherato in una recente vicenda giudiziaria: un imprenditore italiano trasferì le azioni di una società italiana in un trust costituito nel Regno Unito (tramite una holding interposta in Svizzera) per far figurare i ricchi dividendi come percepiti all’estero e sfuggire alla tassazione italiana . La Cassazione, sent. n. 9096/2025, ha dichiarato la natura fittizia di tale trust e la legittimità dell’accertamento che recuperava a tassazione in Italia quei dividendi, sottolineando che il contribuente ne manteneva il controllo sostanziale “dietro le quinte” . In sostanza il trust estero era solo un guscio vuoto e i redditi erano rimasti nella disponibilità effettiva del disponente, dunque imponibili in Italia . Questo genere di abuso rientra nelle ipotesi di esterovestizione: il Fisco contesta che il trust sia realmente estero, evidenziando come la gestione effettiva fosse in Italia e applicando i criteri di residenza fiscale (art. 73 TUIR) . Inoltre, quando il trust ha disponente e beneficiari italiani ed è in Paese non cooperativo, una norma antifrode (art. 12, D.L. 78/2009) presume direttamente che il trust sia residente in Italia (salvo prova contraria) . Dunque, quello che all’estero era un soggetto opaco tax-free, per l’Italia diviene un’entità trasparente o comunque pienamente tassata su tutti i redditi mondiali.
- Sottrazione di beni alle pretese fiscali: un altro abuso frequente è costituire un trust quando si hanno già debiti fiscali (o li si prevedono a breve), con lo scopo di rendere i beni non aggredibili dall’Erario. Un classico esempio: Tizio riceve una cartella esattoriale da 200.000 € e, temendo pignoramenti, trasferisce la sua casa in un trust per i figli, tentando così di far sparire l’immobile dal suo patrimonio. Formalmente, la casa ora è intestata al trustee e destinata ai figli, quindi Tizio non ne è più proprietario. Tuttavia, questo atto configura una sottrazione fraudolenta al Fisco se fatto “in presenza del debito fiscale e allo scopo di ostacolarne il recupero” . Le autorità possono reagire su due fronti: in sede civile, con un’azione revocatoria dell’atto di trust (per far dichiarare inefficace il conferimento e poter pignorare l’immobile); in sede penale, contestando il reato ex art. 11 D.Lgs. 74/2000. La Cassazione penale ha chiarito che anche un atto lecito come un trust può costituire atto fraudolento se realizzato con dolo specifico di frodare il Fisco . Una sentenza chiave è Cass. pen. n. 13844/2024, che riguardava proprio un trust istituito dopo l’accumulo di un ingente debito IVA/IRPEF: era un trust autodestinato (disponente = trustee, beneficiari schermo) accompagnato da società prestanome, chiaramente finalizzato a svuotare il patrimonio . La Corte ha sancito che “la costituzione di un trust auto-destinato finalizzato a sottrarre beni all’Erario integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” . È un principio di estremo rilievo: il semplice effetto segregativo del trust – che costringe il Fisco a intraprendere azioni giudiziarie per recuperare i beni (es. revocatoria) – basta a qualificare l’atto come fraudolento, se fatto con malafede debitoria . In pratica, chi istituisce un trust quando ha debiti fiscali certi, quasi certamente vedrà l’operazione disconosciuta e rischia sanzioni e incriminazione.
- Trust simulati o controllati occultamente: al di là dei casi eclatanti (estero, post-debito), esistono situazioni più sfumate ma comunque ritenute abusive. Ad esempio, un trust formalmente irrevocabile e discrezionale, ma in cui di fatto il disponente continua a esercitare pieni poteri di gestione e il trustee esegue le sue istruzioni senza autonomia. Oppure trust dove il disponente è anche beneficiario a vita dei redditi e magari pure trustee (il caso del trust autodichiarato con beneficiario se stesso): qui il trust tende a ridursi a un’etichetta, poiché nulla cambia nella disponibilità sostanziale dei beni. L’Agenzia delle Entrate ha elencato alcuni indici concreti di trust fittizio nelle sue linee guida (Circolare 34/E del 20.10.2022) e nella prassi:
- disponente che mantiene poteri di controllo tali da vanificare l’autonomia del trustee (es: potere di revoca del trustee in qualsiasi momento; facoltà unilaterale di modificare beneficiari; poteri di indirizzo vincolanti su investimenti) ;
- beneficiario che, grazie a cariche come il guardiano, di fatto controlla il trustee ;
- trustee “prestanome” (testa di legno): figura che formalmente è trustee ma esegue sempre e solo le istruzioni occulte del disponente ;
- trust autodichiarato dove disponente, trustee e beneficiario coincidono o comunque il disponente non si spoglia realmente di utilità e poteri ;
- in generale, qualsiasi circostanza in cui “il potere gestionale e dispositivo del trustee risulti limitato o condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari” .
In tutte queste ipotesi, pur se il trust è valido civilisticamente, il Fisco lo considera “interposto” ai fini tributari . Ciò comporta che: 1. i redditi generati dai beni in trust vengono attribuiti al disponente e tassati come redditi personali non dichiarati (con relative imposte e sanzioni) ; 2. i beni in trust sono considerati ancora nella disponibilità effettiva del disponente, quindi aggredibili per i suoi debiti. Ad esempio, se il trust possiede un immobile, l’Erario potrà pretendere che ai fini dell’imposta di successione, in caso di morte del disponente, quell’immobile rientri nell’asse ereditario tassabile . Allo stesso modo, in un’esecuzione forzata si dovrà pignorare nominando il trustee ma sostanzialmente colpendo il bene come appartenente al debitore (vedremo più avanti i risvolti processuali, ad esempio il pignoramento va intimato al trustee, non al trust stesso, come confermato da Cass. civ. n. 34075/2024 ).
È evidente come la dialettica trust vs Fisco si giochi tutta sul crinale della sostanza: se il trust ha sostanza economica legittima (es. reali finalità familiari, effettiva separazione e autonomia di gestione), sarà difendibile; se invece è solo forma giuridica che cela la continuità col patrimonio del disponente, verrà disconosciuto. Come ha affermato di recente la Cassazione, conta la “titolarità effettiva dei redditi” e non l’“apparente facies di liceità” dello strumento giuridico . Perciò un trust valido nella forma può essere ignorato nella sostanza dal Fisco se usato con intento elusivo o fraudolento .
Nei prossimi capitoli analizzeremo cosa può fare l’Agenzia delle Entrate quando “accende un faro” su un trust sospetto e, di contro, quali difese ha il contribuente. Partiremo dagli accertamenti tributari in ambito civile, per poi trattare le conseguenze penali.
Contestazioni fiscali tipiche e conseguenze per il contribuente
Quando il Fisco individua un trust potenzialmente abusivo, può agire su diversi fronti. Vediamo le principali tipologie di accertamento che possono colpire un trust, con le relative conseguenze e cenni di difesa:
- Accertamento in materia di imposta sulle donazioni/successioni: storicamente, c’è stato dibattito su quando applicare l’imposta di donazione a un trust. Oggi, dopo la riforma fiscale del 2024, la legge (art. 4-bis D.Lgs. 346/1990, introdotto dal D.Lgs. 139/2024) ha chiarito che la tassazione proporzionale sulle successioni e donazioni si applica al momento in cui i beni escono dal trust verso i beneficiari finali, non al momento del conferimento nel trust . In pratica vige il principio della “tassazione all’uscita”, fatto salvo che il disponente può optare per tassare subito l’atto istitutivo (opzione di tassazione in entrata) . Pertanto, un avviso di liquidazione che oggi contestasse imposta di donazione non pagata sul conferimento in trust (specie se il trust è post 2024) sarebbe tendenzialmente infondato. Molti contenziosi sorti in passato su trust pre-2022 si sono risolti in favore del contribuente proprio con il riconoscimento che l’atto di dotazione è neutro e l’imposta si applicherà solo alla devoluzione finale . Ad esempio, la Cassazione con sent. n. 2334/2024 ha sancito che l’istituzione di un trust non comporta di per sé trasferimento imponibile e l’atto sconta solo imposta fissa . Se dunque il contribuente riceve oggi (2025) un atto dall’Agenzia per imposta di donazione su un trust, la difesa consisterà nel richiamare le nuove norme (art. 4-bis TUS) e la giurisprudenza di legittimità, sostenendo l’illogicità della pretesa. Attenzione però: un caso diverso è se l’Agenzia contesta che un trust interposto vada ignorato anche ai fini successori/donatori. Ad esempio, se Tizio muore e aveva beni in un trust che il Fisco ritiene fittizio, esso potrebbe pretendere l’imposta di successione come se quei beni fossero eredità di Tizio. Dal 2022-2023 l’Agenzia ha assunto questa posizione (cambiando una precedente interpretazione più favorevole ), ora formalizzata nell’art. 4-bis: se un trust è interposto, i beni restano nel patrimonio del disponente anche per l’imposta di successione. In uno scenario del genere, il contribuente (eredi di Tizio o trustee) può provare a difendersi sostenendo che il trust era genuino e opponibile, quindi quei beni non dovevano comparire nella dichiarazione di successione. Ma se il Fisco ha già accertato in vita l’interposizione (magari tassando i redditi al disponente), sarà arduo sostenere il contrario per l’asse ereditario. In pratica, su questo fronte la miglior difesa è prevenire la contestazione di interposizione, perché una volta etichettato come interposto, il trust perde efficacia fiscale a 360°.
<small>Strumenti difensivi procedurali: gli atti relativi a imposte indirette (donazione/successione) sono in genere avvisi di liquidazione contro cui si può ricorrere alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) competente entro 60 giorni. È consigliabile allegare al ricorso tutta la documentazione del trust (atto istitutivo, eventuale atto di dotazione, ecc.) e citare i precedenti di Cassazione favorevoli . Se l’avviso riguarda un’interpretazione ormai superata (antecedente la riforma), si può tentare un’istanza di autotutela all’Agenzia chiedendone l’annullamento, oppure una soluzione conciliativa in sede di mediazione obbligatoria (per importi fino a €50.000) . In diversi casi recenti, alla luce del nuovo art. 4-bis TUS, l’Amministrazione ha riconosciuto le ragioni del contribuente in via amministrativa senza proseguire nel contenzioso.</small>
- Accertamento IRPEF per redditi del trust imputati al disponente (trust interposto): questa è la situazione più comune quando il trust è accusato di occultare redditi. L’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento a carico del disponente, rideterminando il suo reddito imponibile includendovi i redditi che formalmente erano del trust. Ad esempio, se un trust ha venduto un immobile realizzando €100.000 di plusvalenza non tassata (magari perché pensava di essere soggetto IRES estero), l’Agenzia può contestare al disponente l’omessa dichiarazione di €100.000 di redditi diversi/capitale nell’anno di realizzo . Un altro caso: un trust opaco estero ha percepito interessi e dividendi per €50.000 non dichiarati; l’Agenzia li attribuisce al disponente residente e pretende l’IRPEF e le sanzioni . Le conseguenze immediate per il contribuente sono: maggiore IRPEF, sanzione per dichiarazione infedele (dal 90% al 180% dell’imposta evasa) e interessi. Come difendersi? Occorre contestare l’assenza di interposizione, ossia dimostrare che il trust aveva una vita propria e non era una mera schermatura. In pratica, provare che:
- il trust era reale e gestito indipendentemente dal disponente. Ad esempio esibendo l’atto istitutivo che evidenzia l’irrevocabilità e l’assenza di poteri in capo al disponente; presentando verbali o rendiconti che mostrano decisioni autonome del trustee; eventualmente producendo corrispondenza in cui il trustee rifiuta o modifica richieste del disponente, a testimonianza che quest’ultimo non aveva il comando . Se il trust era amministrato da una trust company professionale estera, con gestione documentata, sottolineare questo elemento di terzietà.
- i beneficiari non erano semplicemente alter ego del disponente. Se i beneficiari erano terzi (es. i figli) e non avevano diritti immediati, evidenziare che il trust era opaco legittimamente, quindi i redditi andavano tassati al trust stesso (o non erano imponibili in Italia se estero senza stabile organizzazione). Ad esempio, la Risoluzione Agenzia Entrate 425/E/2008 (che si può citare) chiariva che un trust con beneficiari meramente eventuali non attribuisce redditi ai beneficiari finché non distribuiti . Se il Fisco pretende invece di tassarli subito ai beneficiari o al disponente, occorre eccepire che sta forzando la mano e deve provare la simulazione.
- onere probatorio: sottolineare che spetta all’Amministrazione dimostrare l’interposizione con indizi gravi, precisi e concordanti. La Cassazione, ad esempio nella sent. n. 9890/2023, ha annullato un accertamento proprio perché mancava prova concreta che la contribuente avesse l’effettiva disponibilità dei redditi formalmente intestati a soggetto interposto . Se gli elementi addotti dal Fisco sono deboli (es. mera coincidenza familiare tra disponente e beneficiari, ma trustee indipendente; oppure il solo fatto che il trust è autodichiarato, che da solo non basta a provare l’abuso senza altri indizi), evidenziare tale insufficienza probatoria .
In definitiva, la difesa sul merito è vincente se si riesce a far percepire al giudice tributario che il trust aveva sostanza economica e finalità non elusive. A tal fine è utile allegare all’atto di ricorso: – copia integrale dell’atto istitutivo e di eventuali atti aggiuntivi; – documentazione contabile del trust (bilanci, rendiconti periodici, estratti conto bancari) che faccia vedere movimenti coerenti con la finalità dichiarata; – eventuali pareri legali/notarili ottenuti al tempo (per dimostrare che il contribuente agì con buona fede, seguendo consulenze professionali); – estratti di Circolari o risposte dell’Agenzia che supportino la posizione (ad esempio la già citata Circ. 34/E/2022, che elenca i casi di interposizione: se il proprio trust non rientra in quei casi, sottolinearlo come argomento) .
Se, viceversa, dagli stessi documenti emerge che il trust era raffazzonato (disponente-trustee coincide, beneficiario lo stesso disponente, nessuna traccia di attività autonoma del trustee), la posizione è più difficile. In tal caso, spesso conviene tentare una soluzione transattiva per ridurre i danni (si veda accertamento con adesione più avanti).
<small>Strumenti difensivi procedurali: contro un avviso di accertamento IRPEF si propone ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni. Prima di ricorrere, il contribuente può valutare di presentare istanza di accertamento con adesione: ciò sospende i termini di impugnazione per 90 giorni e apre un dialogo con l’ufficio . Dato che sull’interposizione di principio l’Agenzia tende a non cedere, l’adesione sarà utile al più per discutere entità e sanzioni. Tuttavia, se si intravede la possibilità di dimostrare qualche costo deducibile nel trust o se l’Agenzia ha commesso errori quantitativi, il confronto può portare a riduzioni (es. ricalcolo del reddito). In parallelo, se l’accertamento comporta importi elevati da pagare, si può chiedere in sede giudiziale la sospensione della riscossione (dimostrando che pagare provocherebbe un danno grave e che il ricorso presenta “fumus boni iuris”) . Inoltre, per accertamenti su fattispecie di possibile abuso del diritto, è obbligatorio che l’Agenzia convochi prima il contribuente (c.d. contraddittorio endoprocedimentale). Se ciò non è avvenuto, si può eccepire la nullità dell’atto per violazione del diritto al contraddittorio .</small>
- Contestazione per omessa dichiarazione di investimenti esteri (monitoraggio fiscale): come accennato, chi detiene attività finanziarie o patrimoniali all’estero tramite un trust potrebbe essere tenuto a indicarle nel Quadro RW. Ad esempio, se un contribuente ha trasferito 1 milione di euro a un trust alle Bahamas, formalmente potrebbe pensare di non dover dichiarare nulla perché i soldi li ha il trustee estero. Ma per la normativa sul monitoraggio fiscale, quel contribuente è ancora considerato titolare effettivo dei beni se mantiene poteri di revoca o benefici (o comunque fino a che i beneficiari non sono individuabili) . L’Agenzia negli ultimi anni incrocia sempre più i dati esteri (scambio automatico CRS, informazioni da Panama Papers ecc.) e notifica sanzioni per RW non compilato. Le sanzioni, come detto, vanno dal 3% al 15% del valore non dichiarato (raddoppiate se Paese black list) per ciascun anno . Inoltre, se dalle attività estere non dichiarate si presume l’esistenza di redditi evasi, possono sommarsi accertamenti su imposte dirette e addirittura ipotesi di reato (omessa dichiarazione) se l’imposta evasa supera €50.000 per anno . Difesa: sul piano amministrativo, l’obiettivo sarà dimostrare che non sussisteva obbligo di monitoraggio in capo al contribuente. Questo può essere controverso perché la normativa antiriciclaggio individua il “titolare effettivo” di un trust in base a vari criteri (disponente, oppure beneficiario, a seconda dei casi) . Se il contribuente era solo beneficiario eventuale, si può sostenere che non fosse tenuto al RW (posizione sostenibile ma non pacifica). In ogni caso, spesso conviene definire bonariamente queste violazioni, sfruttando strumenti come il ravvedimento operoso o eventuali voluntary disclosure se attive. Pagare spontaneamente una sanzione ridotta è quasi sempre preferibile al rischio di un procedimento penale per disponibilità estere occulte. Va inoltre valutato se i fondi esteri fossero frutto di redditi regolarmente tassati in passato: in tal caso, in sede di contraddittorio, si può fornire prova dell’origine lecita, per evitare la presunzione (ex art. 12 D.L. 78/2009) che siano “redditi in nero” sottratti a tassazione . Se si dimostra che quei soldi erano già tassati e si è trattato solo di un’omessa segnalazione formale, l’approccio dell’ufficio potrebbe essere più morbido (magari limitando le sanzioni al minimo). Viceversa, se i fondi sono di origine ignota, è probabile che l’Agenzia li tratti come nuovi redditi imponibili.
- Accertamenti IVA o altre imposte indirette sugli atti del trust: di solito i trust non svolgono attività commerciali abituali, per cui non sono soggetti passivi IVA. Tuttavia, casi particolari possono sorgere, ad esempio se un trust immobiliare cede un immobile di cui è intestatario: l’operazione segue le regole ordinarie (IVA o registro) a seconda della natura del bene e del soggetto. Non risultano particolari profili di abuso contestati su IVA nei trust, se non situazioni in cui il trust viene usato per interporre soggetti magari in una catena IVA (schema non frequente, più facile con società interposte). In linea di massima, un trust che non esercita impresa non è tenuto ad aprire partita IVA né a versare IVA sulle sue attività ordinarie (affitti, gestione di partecipazioni passive, etc.). Se il Fisco dovesse contestare omessa fatturazione o simili a un trust, sarebbe probabilmente perché vede nel trust un’impresa occulta o una società di fatto. Difesa in tal caso: dimostrare che il trust non svolgeva attività commerciale ma solo di gestione privata di beni.
- Rettifica della residenza fiscale del trust (esterovestizione): qualora il trust sia formalmente estero ma con forti legami con l’Italia, l’Agenzia può notificare un accertamento dichiarando il trust fiscalmente residente in Italia (ex art. 73 TUIR). Ciò comporta l’obbligo per il trust di presentare dichiarazioni in Italia e pagare le imposte su tutti i redditi ovunque prodotti, con recupero delle imposte arretrate. È una situazione tipica nei trust offshore gestiti dal disponente italiano. Ad esempio, un trust creato alle Isole Cayman ma in cui tutte le decisioni sono prese in Italia dal disponente come protector, potrà essere considerato un soggetto residente italiano. Inoltre, come già detto, la legge fa scattare automatica presunzione di residenza italiana per trust in Paesi non white list con disponente e beneficiari italiani . Difesa: il trustee/trust che voglia contrastare tale accertamento deve fornire evidenze che la gestione effettiva avveniva all’estero . Ciò può includere: verbali di riunione del trustee svolte fuori Italia; attestazioni che il trustee (magari una società fiduciaria straniera) prendeva decisioni indipendenti; dimostrare che il disponente non impartiva istruzioni (o se lo faceva, lo faceva dall’estero). In pratica bisogna provare che non si trattava di un “trust esterovestito” ma genuinamente estero. È una prova difficile, e spesso tali cause giungono fino in Cassazione. Un esempio noto è il “caso Ferraris” (dal nome del contribuente), che ha riguardato un trust estero poi considerato residente in Italia con recupero di ingenti somme . Se le cifre in ballo sono alte, prepararsi a battaglie legali lunghe e complesse, eventualmente valutando accordi transattivi se la posizione probatoria è debole.
- Accertamento sui beneficiari per somme percepite dal trust: infine, il Fisco può colpire direttamente i beneficiari del trust se questi ricevono distribuzioni non dichiarate. I beneficiari persone fisiche a volte pensano che, essendo quelle somme già nel trust (magari tassate o accumulate all’estero), quando le ricevono non ci siano tasse. Invece non è così: la distribuzione di utili da un trust opaco estero a un beneficiario residente è assimilata a dividendi esteri e va dichiarata, con tassazione (26% imposta sostitutiva) se chi la riceve è una persona fisica al di fuori dell’attività di impresa . Se il beneficiario omette di dichiarare 200.000 € ricevuti dal trust, rischia un accertamento per redditi di capitale non dichiarati, con imposte e sanzioni. Può scattare anche un accertamento sintetico tipo “redditometro” se spende quelle somme in acquisti visibili. Difesa del beneficiario: innanzitutto, verificare se esistono Convenzioni contro le doppie imposizioni che possono evitare la doppia tassazione (ad esempio, se il trust era in un Paese che ha tassato quei redditi, vedere se si ha diritto a un credito d’imposta). Tuttavia, spesso i trust opachi non hanno già tassato i redditi (soprattutto i non residenti), quindi la tassazione in capo al beneficiario è dovuta. Un tentativo difensivo potrebbe essere sostenere che quanto ricevuto non era un reddito ma capitale restituito (ad esempio, il beneficiario che era anche disponente potrebbe dire: “ho ricevuto indietro parte di ciò che avevo messo nel trust”). Se documentabile, questa tesi potrebbe evitare l’imposizione, ma va provato in modo rigoroso. Nella maggioranza dei casi, comunque, le somme distribuite da trust esteri a beneficiari italiani sono trattate come redditi di capitale imponibili . Quindi il beneficiario in difetto farebbe bene a rimediare con ravvedimento operoso (se non è stato ancora accertato) o, se già accertato, a trovare un accordo in adesione per ridurre sanzioni.
Tabella riepilogativa – Principali contestazioni fiscali legate a trust e relative difese:
Tipo di contestazione | Descrizione | Conseguenze per il contribuente | Possibili difese |
---|---|---|---|
Imposta donazione/successione su trust | Fisco sostiene che il conferimento in trust fosse atto imponibile (specie in trust precedenti al 2022). Oppure pretende imposta successione su beni in trust se lo ritiene interposto. | Avviso di liquidazione con imposta (aliquota 4%-8% su valore beni) + interessi. Se trust considerato interposto, beni tassati come eredità del disponente defunto. | Eccepire la nuova normativa (art. 4-bis TUS) che prevede tassazione all’uscita . Richiamare Cass. recenti (es. 2334/2024) che confermano neutralità ingresso . Se il trust è accusato di interposizione, difendere la sua genuinità perché in caso contrario la norma 2024 dà ragione al Fisco. |
Accertamento redditi (IRPEF) al disponente <br>(trust interposto) | L’Agenzia imputa al disponente redditi prodotti dal trust, ritenendo che ne fosse il reale possessore. Esempio: plusvalenze o redditi finanziari del trust non dichiarati. | Maggior IRPEF (o IVAFE) dovuta + sanzioni 90%-180% imposta + interessi. Possibile denuncia penale se imposta evasa > €50k (reato di infedele/omessa dichiarazione). | Dimostrare che il trust non era interposto:<br>– Atto trust irrevocabile, trustee terzo e autonomo, nessun potere in capo al disponente .<br>– Assenza di benefici attuali per disponente; trust non nelle casistiche interposizione di Circ. 34/E .<br>– Onere della prova a carico dell’AE: contestare insufficienza indizi (richiamare Cass. 9890/2023: serve prova effettivo possesso reddito) . <br>– In subordine, trovare accordo in adesione per ridurre sanzioni. |
Omessa dichiarazione RW (esteri) | Contribuente residente non indica in RW le attività estere conferite o gestite via trust (conti, investimenti). | Sanzione amministrativa 3%-15% dell’importo non dichiarato per ogni anno (raddoppio se Paese black list) . Se contestuale evasione imposte > soglia, rischio penale (omessa dichiarazione). | – Negare l’obbligo dichiarativo se il soggetto non era titolare effettivo (difesa difficile, da valutare caso per caso secondo norme antiriciclaggio) .<br>– Documentare provenienza lecita dei fondi esteri per evitare presunzioni di evasione pregressa .<br>– Regolarizzare mediante ravvedimento operoso prima della contestazione (forte riduzione sanzioni) . In alternativa, adesione per ridurre sanzioni. |
Residenza fiscale del trust (esterovestizione) | Trust formalmente estero ma ritenuto di fatto gestito dall’Italia (trustee “di comodo”, disponente/beneficiari italiani, Paese black list). | Avviso accertamento che qualifica il trust come soggetto fiscalmente residente in Italia sin dalla costituzione. Conseguente tassazione in Italia di tutti i redditi non dichiarati dal trust negli anni passati (IRES/IRPEF + sanzioni). | – Fornire prove che la sede amministrativa del trust era realmente all’estero: es. riunioni trustee documentate fuori Italia, professionalità del trustee estero, decisioni prese senza input dall’Italia .<br>– Se possibile, dimostrare che il trust non era un “fantoccio” (es. esibendo attività economiche reali all’estero, consulenti locali, ecc.).<br>– Questione tecnica: richiede perizia, prepararsi ad appello/Cassazione. |
Accertamento al beneficiario (redditi di capitale) | Beneficiario italiano non dichiara somme ricevute da trust (specie esteri) credendo non imponibili. | Avviso accertamento IRPEF per omessa dichiarazione redditi di capitale (aliquota 26% sul ricevuto, oltre soglia progressive se qualificato diversamente). Sanzione 90%-180% imposta evasa. | – Verificare se le somme potevano essere considerate restituzione di capitale (no imponibilità) e in tal caso documentarlo.<br>– In mancanza, invocare eventuali crediti d’imposta esteri o convenzioni (raro, di solito non applicabili ai trust non trasparenti).<br>– Regolarizzare subito con dichiarazioni integrative se non è iniziato controllo, oppure valutare adesione per evitare il cumulo di sanzioni. |
Come si nota dalla tabella, la difesa del contribuente varia molto a seconda del tipo di contestazione. Adesso approfondiremo in particolare le strategie difensive in sede tributaria per il caso centrale – ossia l’accertamento sul trust considerato schermo – e poi i profili di difesa in sede penale per il reato di sottrazione fraudolenta.
Strategie difensive in sede tributaria (trust contestato dal Fisco)
Di fronte a un accertamento dell’Agenzia delle Entrate che disconosce il trust, il contribuente deve giocare su più livelli: sostanziale (merito della pretesa) e procedurale. Ecco le principali linee difensive utilizzabili in ambito tributario:
- Dimostrare la genuinità del trust: se il trust è stato istituito con finalità autentiche e gestito correttamente, occorre portare queste circostanze all’attenzione del giudice. Come già indicato, presentare l’atto istitutivo evidenziando clausole chiave (irrevocabilità, discrezionalità, rinuncia del disponente a diritti, presenza di trustee professionale). Se il disponente non ha più beneficiato dei beni (es. non ha continuato ad usarli o percepirne redditi), sottolinearlo con prove. Si può anche chiedere che il trustee venga escusso come testimone nel processo tributario, per confermare che egli ha amministrato in autonomia e che il disponente non ha ingerito . Le dichiarazioni testimoniali non sono ammesse nel processo tributario se non rese nell’ambito di P.V.C., ma talvolta una dichiarazione giurata scritta del trustee o di altri soggetti coinvolti può essere prodotta come documento, avendo comunque un valore indiziario.
- Evidenziare la buona fede e le ragioni economiche lecite: un argomento persuasivo è mostrare che il trust rispondeva a esigenze reali non fiscali. Ad esempio: “Ho istituito il trust per tutelare un figlio disabile” oppure “per garantire continuità all’azienda di famiglia” ecc. Se si convince il giudice che c’era una ragione valida e non una mera costruzione artificiosa, la tesi dell’abuso perde forza. Questo può emergere anche da timing e comportamenti: se il trust è nato in un periodo in cui non c’erano accertamenti o debiti e magari su consiglio di un notaio, è diverso dal trust creato last-minute durante una verifica fiscale. La buona fede del contribuente va sempre rimarcata, specie se in linea con prassi o con pareri legali (ad es. se all’epoca l’Agenzia aveva una certa circolare e il contribuente l’ha seguita, poi cambiata ex post). In diritto tributario l’abuso del diritto non comporta sanzioni amministrative se il contribuente si è adeguato a documenti di prassi o aveva valide incertezze interpretative.
- Controllare vizi formali dell’accertamento: come menzionato, in materia di tributi “elusivi” vi è l’obbligo del contraddittorio preventivo. La Corte di Giustizia UE e la Cassazione italiane hanno sancito che per gli accertamenti fondati su norme antielusive (come l’art. 10-bis L.212/2000, ma anche art. 37, co.3 in certi casi) l’assenza di preventiva convocazione del contribuente rende l’atto nullo . Dunque, verificare la presenza o meno di un invito a comparire o di un PVC con possibilità di controdedurre prima dell’emissione dell’avviso. Se manca, sollevare il motivo di nullità in ricorso. Altri vizi da cercare: notifica oltre i termini (di decadenza per l’accertamento, solitamente il 31/12 del quinto anno successivo a quello di imposta, o ottavo se omessa dichiarazione); carenza di motivazione (ad es. se l’atto non spiega adeguatamente perché considera il trust interposto, limitandosi ad affermazioni generiche).
- Usare la “stessa arma” dell’Agenzia in chiave difensiva: se esistono circolari, risoluzioni o interpelli dell’Agenzia delle Entrate che in casi analoghi hanno riconosciuto validità a trust come quello in esame, citarli. L’Agenzia è tenuta a un certo rispetto della propria prassi (non vincolante per il giudice ma moralmente impegnativa per l’ufficio). Ad esempio, la Circ. 61/2010 o la più recente 34/E/2022 spiegano quando tassare i trust e implicitamente riconoscono come leciti i trust genuini. Se il nostro trust rientra in quei parametri, evidenziarlo. Al contrario, se l’Agenzia sta applicando una sua nuova posizione restrittiva in modo retroattivo (come fece nel 2022 sul tema tassazione donazione trust, poi corretta nel 2024), far emergere l’iniquità. Anche le pronunce giurisprudenziali “di legittimità” (Cassazione) sono un importante materiale: allegare sentenze favorevoli (non solo di Cassazione ma anche Commissioni regionali, se con fatti simili) aiuta a orientare il giudice verso un certo esito . Attenzione: la Cassazione ha ormai prodotto un orientamento abbastanza uniforme sul trust interposto (substance over form), quindi se il nostro caso presenta analogie con quelli già decisi negativamente sarà dura. Ma a volte vi sono pronunce pro-contribuente su situazioni limite (es. trust dove i giudici hanno ritenuto non provata l’interposizione). Trovarle e metterle agli atti può aiutare.
- Soluzioni alternative: se la causa si presenta sfavorevole in termini di merito, valutare soluzioni transattive o deflative:
- Accertamento con adesione: presentare istanza di adesione (se non già fatto) consente una trattativa informale. Magari l’ufficio non retrocede sulla sostanza (interposizione sì/no), ma si può discutere di ricalcoli: ad es. nel trust c’erano delle spese che il disponente potrebbe dedurre (anche se formalmente non detraibili), in adesione l’ufficio può concederle per chiudere. Oppure ridurre le sanzioni al minimo. L’adesione offre sempre lo sconto delle sanzioni a 1/3 del minimo per legge, oltre a rateazione. Quindi se decidiamo che conviene limitare i danni, l’adesione è uno strumento utile.
- Acquiescenza e ravvedimento: se l’accertamento è fondato e non conviene far ricorso, pagando entro 30 giorni si ottiene sanzioni ridotte a 1/3 (acquiescenza). In casi di redditi esteri non dichiarati, per evitare guai penali, può essere opportuno accettare e pagare subito (magari dopo aver negoziato via adesione un alleggerimento).
- Transazione fiscale (nei processi pendenti): benché in tributario puro non esista una vera “transazione” libera, la nuova procedura di mediazione tributaria per importi fino a €50.000 e la conciliazione giudiziale possono permettere un compromesso. Se l’ufficio intravede rischi di soccombenza o vuole chiudere, può proporre in udienza una conciliazione con riduzione delle pretese (ad es. rinuncia a sanzioni o abbattimento parziale dell’imposta). Non succede spesso in casi di principio come questi, ma tenere la porta aperta.
- Conoscere le riforme normative e usarle a proprio vantaggio: come visto, il legislatore nel 2024 ha chiarito alcuni aspetti sui trust (tassazione all’uscita, ecc.) recependo la posizione dei contribuenti. Fare leva su questo cambiamento di contesto può giovare: “il mio trust era conforme a quello che ora la legge stessa riconosce come schema lecito”. Anche se la legge nuova non è retroattiva, moralmente indica la corretta interpretazione del passato (si può argomentare trattarsi di interpretazione autentica).
In definitiva, la difesa tributaria punta a ridurre o eliminare la pretesa fiscale mostrando che il trust non era un artificio per occultare redditi. Naturalmente non sempre ciò è oggettivamente vero: se le prove contro il contribuente sono schiaccianti (es. bonifici dal trust sul suo conto personale non dichiarati), allora la strategia migliore può essere di limitare i danni (sanzioni e penalità) piuttosto che negare l’evidenza.
Passiamo ora al profilo penale, che in casi di trust usati per sottrarre beni al Fisco può rivelarsi persino più allarmante dell’accertamento tributario.
Profili penali: il reato di sottrazione fraudolenta e difese
Come anticipato, l’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 incrimina il contribuente che pone in essere atti fraudolenti per rendere inefficace la riscossione coattiva di imposte. La costituzione di un trust rientra tra questi atti potenzialmente fraudolenti se viene fatta quando esiste già un debito fiscale rilevante e con lo scopo specifico di evitare che il Fisco recuperi il dovuto . I punti chiave di questa fattispecie penale sono:
- Deve esserci un debito tributario esigibile: non occorre che sia definitivo (basta un avviso di accertamento non pagato, o anche somme iscritti a ruolo non ancora riscosse) . La soglia è di almeno 50.000 € di imposte (comprensive di interessi e sanzioni) dovute . Al di sotto di tale importo, l’atto potrà avere rilievo civile (revocatoria) ma non penale.
- L’atto deve essere idoneo a frustrare la riscossione: il trust lo è, perché crea una segregazione patrimoniale che impedisce al Fisco di pignorare direttamente i beni (serve un’azione giudiziale per colpire i beni in trust). La Cassazione ha sottolineato proprio che l’effetto segregativo “complica il recupero coattivo” e quindi integra l’atto fraudolento previsto dalla norma . Anche alienazioni simulate a terzi, intestazioni fittizie, vendite sottoprezzo rientrano in questa categoria di atti.
- È richiesto il dolo specifico: ossia la volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte. Se uno costituisse un trust per altri motivi e incidentalmente ciò ostacola la riscossione, in teoria mancherebbe il dolo specifico. Ma attenzione: il confine è sottile e sta nelle prove. Difficile sostenere “non volevo sottrarre nulla al Fisco” se il trust viene istituito dopo aver ricevuto una cartella esattoriale salata. La cronologia e le circostanze contano per inferire il dolo.
Le pene per questo reato vanno da 6 mesi a 4 anni di reclusione (base), aumentate da 1 a 6 anni se il debito fiscale supera €200.000 . Inoltre, già in fase di indagine scatta quasi sempre il sequestro preventivo dei beni oggetto di sottrazione (quindi i beni conferiti in trust possono essere sequestrati dalle autorità giudiziarie) . In caso di condanna, quei beni vengono confiscati fino a concorrenza dell’importo evaso . Ciò significa che, paradossalmente, il disponente rischia di perdere i beni ancora più sicuramente che non nel procedimento civile: la confisca penale toglie definitivamente il bene (o equivalente valore in denaro), restituendolo allo Stato come “provento del reato” .
Di fronte a questo scenario grave, quali difese ha il contribuente indagato/imputato?
- Negare l’intento fraudolento, provare motivi leciti: la prima linea è cercare di dimostrare che il trust non era finalizzato a frodare il Fisco. Ad esempio, se il trust è stato istituito prima che emergesse il debito fiscale, far valere che all’epoca non c’era alcuna volontà di sottrazione (non c’era nulla da sottrarre). Oppure che il trust rispondeva ad altra causa: ad es. “era per tutelare un figlio disabile, poi è arrivato il debito fiscale ma non l’ho fatto per quello”. Se il timing è buono (anni prima del debito) questa difesa può funzionare: manca il nesso teleologico tra atto e sottrazione . Se invece il trust è coevo o successivo alla cartella, è difficile convincere che non c’era intento evasivo.
- Assenza di pregiudizio concreto: un’altra difesa è sostenere che il trust in realtà non ha leso le ragioni del Fisco. Ad esempio, se sui beni conferiti gravava già ipoteca erariale o se il contribuente aveva altri beni sufficienti a pagare il debito, si potrebbe argomentare che il trust non ha reso “inefficace” la riscossione, perché il Fisco aveva comunque garanzie su quei beni o su altri. Nel caso Cass. 13844/2024, la difesa provò a dire che i beni erano già ipotecati dal Fisco e dunque il trust non peggiorava la posizione erariale – ma la Corte non accolse questa tesi . Comunque, in linea teorica, se si dimostrasse che la stessa somma sarebbe rimasta irrecuperabile anche senza trust (perché magari i beni erano già vincolati altrove, o il debito era contestato e poi annullato), si potrebbe minare l’accusa di pericolo concreto.
- Non c’è simulazione, atto reale (difesa tecnica): l’art. 11 parla di “alienazioni simulate o altri atti fraudolenti”. Un trust regolare non è un’alienazione simulata (è reale); la giurisprudenza però considera fraudolento anche l’atto formalmente lecito ma ingannevole. Si potrebbe tentare di argomentare che il trust era reale e opponibile, e quindi non un “artificio ingannatorio” ma un legittimo atto di disposizione. Questa linea è rischiosa: se portata all’estremo, potrebbe salvare penalmente (mancanza di fraudolenza) ma far condannare civilmente, cioè si ammette che il trust è vero e ciò può rafforzare l’azione esecutiva (perché un trust vero fatto dopo un debito può comunque essere revocato). Inoltre la norma penale include “altri atti fraudolenti” oltre la simulazione, quindi anche atti veri possono essere considerati fraudolenti se idonei a ingannare/ostacolare. In sintesi è difficile convincere che un trust post-debiti, pur vero, non fosse fraudolento.
- Cause di non punibilità o attenuanti: va ricordato che per i reati fiscali di omessa e infedele dichiarazione, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la non punibilità se il contribuente paga integralmente il dovuto prima del dibattimento . Questa causa non si applica però alla sottrazione fraudolenta (art. 11). Quindi, pagare i debiti dopo aver fatto un trust potrebbe non estinguere il reato. Comunque, pagare il dovuto (o far trovare un accordo transattivo col Fisco) è sempre consigliabile per ottenere quanto meno attenuanti generiche o dimostrare resipiscenza. In sede di patteggiamento o giudizio, poter dire “il debito è stato nel frattempo saldato, i beni recuperati” può influire sulla pena (ad esempio evitare la confisca se si paga prima che diventi definitiva la condanna, benché su questo occorrerebbe il dissequestro).
In ogni caso, la migliore difesa in ambito penale è la prevenzione: “non usare il trust in presenza di debiti fiscali”. Se si è già attivata la Procura, conviene affidarsi a un avvocato penalista esperto di reati tributari e coordinarsi col tributarista. Talvolta si può optare per strategie come il patteggiamento per chiudere rapidamente il capitolo penale (specie se la prova è schiacciante e si vuole evitare l’onta di un processo pubblico lungo).
Ricapitolando i consigli dal lato del contribuente/debitore: – Evitare di istituire trust last-minute quando si hanno cartelle esattoriali o accertamenti in corso: è quasi garantito che verrà visto come atto fraudolento . – Se un trust esiste già ed insorge un debito fiscale, non alimentare sospetti continuando a gestirlo in modo disinvolto: meglio farsi affiancare subito da esperti per eventuali adeguamenti (es. cambiare trustee con uno veramente indipendente, rendere il trust più trasparente col Fisco dichiarando i redditi, ecc.). – In caso di procedimento penale, valutare se sostenere a spada tratta la liceità del trust (rischiando però la confisca dei beni) o se convenga sacrificare il trust – ad esempio accettando una revocatoria in sede civile – per argomentare l’assenza di dolo (linea difensiva particolare, va calibrata).
Nei prossimi paragrafi metteremo a frutto quanto esposto sinora presentando casi pratici simulati e, a seguire, una serie di domande frequenti con risposte di sintesi. Questo aiuterà a calare i principi teorici nelle situazioni concrete che un contribuente potrebbe trovarsi ad affrontare.
Casi pratici e simulazioni
In questa sezione verranno illustrati alcuni scenari tipici per capire meglio come operano le regole e le contestazioni esaminate. Tutti i casi sono ambientati in Italia, con nomi di fantasia.
Caso 1: Trust familiare istituito “in bonis” e successivo problema fiscale
Tizio, benestante imprenditore, nel 2018 (quando la sua situazione fiscale è regolare) istituisce un trust irrevocabile, conferendo alcuni immobili e titoli a beneficio futuro dei figli. Nel 2025 Tizio riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per IRPEF evasa su redditi 2020, per €300.000, che non è in grado di pagare integralmente. Tizio teme che l’AdE Riscossione voglia escutere il suo patrimonio e si chiede se i beni messi nel trust siano al sicuro.
- Analisi: Poiché il trust è stato istituito quando non vi era ancora il debito fiscale, non può configurarsi il reato di sottrazione fraudolenta né vi sono i presupposti per revocatoria (il debito è successivo, e oltretutto l’atto risale a più di 5 anni prima) . I beni nel trust non sono intestati a Tizio, quindi non sono pignorabili direttamente per il debito di Tizio . L’Agenzia Entrate Riscossione potrà aggredire altri beni rimasti a Tizio, ma non gli immobili nel trust (salvo tentare percorsi creativi). Potrebbe ipotizzare che il trust in realtà sia interposto e che Tizio ne abbia ancora disponibilità, ma se Tizio ha rispettato la forma (nessun godimento personale dei beni conferiti dal 2018 in poi) la posizione del Fisco è debole . Più realisticamente, il Fisco aspetterà eventuali distribuzioni dal trust ai figli: se Tizio dovesse far uscire beni/denaro dal trust verso i figli mentre ha debiti, quello potrebbe configurare un atto di liberalità in frode ai creditori suscettibile di revocatoria. Ma finché i beni restano segregati nel trust e Tizio non li tocca, l’Erario non può farci molto.
- Possibili azioni del Fisco: potrebbe iscrivere ipoteca legale sugli immobili del trust? No, perché il debitore iscritto (Tizio) non è proprietario di quegli immobili. Potrebbe tentare una ipoteca giudiziale se ottenesse un titolo dichiarando il trust interposto: ma dovrebbe prima far dichiarare tale interposizione in sede contenziosa, non immediato. Più semplice, come detto, colpire eventuali atti di dotazione ai beneficiari finali (quando il trust si scioglierà). Tuttavia, se Tizio non ha più potere di revoca, nemmeno lui potrebbe sciogliere il trust per tornare in possesso dei beni.
- Conclusione: I beni conferiti nel trust familiare genuino di Tizio risultano temporaneamente protetti dalle pretese fiscali . Tizio dovrà far fronte al debito fiscale con altri mezzi (rateizzazioni, redditi futuri, ecc.), ma almeno il patrimonio destinato ai figli resta segregato e fuori dalla portata dei creditori e del Fisco . Consapevole di ciò, Tizio decide di non “toccare” il trust: non avrebbe comunque potere di revocarlo da solo, essendo irrevocabile. Un domani, i figli riceveranno i beni (magari pagando l’imposta di donazione all’uscita, 6% oltre franchigia), ma nel frattempo i creditori di Tizio non hanno potuto aggredirli .
Caso 2: Trust autodichiarato e pignoramento
Caio, professionista, nel 2023 istituisce un trust autodichiarato: egli stesso è trustee e beneficiario a vita dei redditi, con beneficiari finali i suoi nipoti. Nel 2024, Caio subisce una verifica fiscale che porta a un avviso di accertamento definitivo per €500.000. L’Agente della Riscossione notifica il pignoramento immobiliare di un appartamento che Caio aveva conferito nel trust (attualmente intestato a “Caio trustee del Trust XYZ”). Per errore formale, nell’atto di pignoramento il debitore esecutato è indicato come “Trust XYZ, in persona di Caio trustee”. Caio propone opposizione al pignoramento contestando la regolarità formale.
- Analisi: Il pignoramento è stato notificato ad un soggetto giuridicamente inesistente (il “Trust XYZ” non ha personalità giuridica) invece che a Caio come trustee; ciò costituisce un vizio formale. È probabile che il giudice dell’esecuzione dichiari nullo il pignoramento per questo motivo . Tuttavia, l’errore è facilmente rimediabile: l’Agente della Riscossione potrà semplicemente riproporre il pignoramento indicando correttamente Caio quale soggetto esecutato (nella qualità di trustee del trust) e descrivendo l’immobile. Insomma, Caio può guadagnare tempo per un vizio procedurale, ma non salvare il bene in via definitiva.
- Sostanza: Poiché Caio è al contempo disponente, trustee e beneficiario, l’Erario avrà gioco facile a sostenere che il trust è fittizio: di fatto Caio non si è mai spogliato dei beni, continuando a detenerli e beneficiarne . Quindi, anche se Caio riuscirà a far annullare il primo pignoramento per vizio formale, l’Agente potrà immediatamente rifarlo indicando Caio stesso come debitore e l’immobile (magari menzionando nell’atto che è in trust, ma sostanzialmente pignorandolo come bene nella disponibilità di Caio). In parallelo, potrebbe essere promossa dall’Agenzia una azione di simulazione o revocatoria: sostenendo che Caio non ha mai veramente voluto privarsi del bene e che il trust autodichiarato con beneficiario se stesso è una auto-destinazione revocabile, il giudice civile potrebbe dichiarare inefficace l’atto di conferimento (specie trattandosi di atto a titolo gratuito successivo al sorgere del debito, quindi astrattamente revocabile ex art. 2901 c.c.) .
- Esito probabile: Caio perderà l’immobile conferito nel trust. Se non avverrà tramite il pignoramento corretto (che il giudice dell’esecuzione potrebbe comunque autorizzare riconoscendo l’interposizione di Caio), avverrà tramite sentenza declaratoria di simulazione o revocatoria. Inoltre, qualora la Procura ravvisi l’intento fraudolento, Caio rischia anche il sequestro/confisca penale dell’immobile ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. 74/2000 (in effetti: trust autodichiarato costituito in prossimità di un debito ingente = casi da Cassazione come visto) . La lezione qui è che un trust autodichiarato non protegge efficacemente i beni dal Fisco, specie se il disponente ne rimane beneficiario . Caio, col senno di poi, avrebbe dovuto nominare un trustee terzo e non riservarsi utilità vitalizie; così forse avrebbe avuto qualche chance difensiva in più.
Caso 3: Trust estero e redditi non dichiarati
Sempronio, residente italiano, nel 2019 trasferisce 1 milione di euro a un trust alle Bahamas, con trustee una società fiduciaria locale. Sempronio è indicato nell’atto come possibile beneficiario (discrezionalmente) durante la vita del trust e beneficiario finale in caso di scioglimento, mentre ulteriori beneficiari finali sono i suoi eredi. Nel 2025 l’Agenzia delle Entrate gli contesta di non aver dichiarato, negli anni d’imposta 2020-2021, i redditi finanziari generati dal trust (circa €50.000 di interessi e dividendi), emersi tramite scambio di informazioni internazionali. Inoltre gli contesta l’omessa indicazione del trust in Quadro RW.
- Profilo redditi: Ci troviamo di fronte a un trust opaco in paradiso fiscale. In base alla normativa, precisamente l’art. 44, co.1, lett. g-sexies TUIR, i redditi prodotti da trust opachi stabiliti in Paesi black list sono imputati per trasparenza al settlor o ai beneficiari residenti indipendentemente dall’effettiva distribuzione . L’Agenzia dunque chiede a Sempronio IRPEF su €50.000 di redditi (aliquota marginale 43%, essendo redditi di capitale non dichiarati) per ciascun anno, oltre a sanzioni del 90% per omessa dichiarazione di redditi esteri . Sempronio potrebbe obiettare di “non sapere” di doverli dichiarare, ma questa non è scusante: la norma è esplicita. Se Sempronio sostenesse che il trust è entità separata e che lui non doveva tassare nulla finché non riceve utili, l’Agenzia replicherebbe che essendo il trust in Paese non collaborativo, la legge presume l’interposizione fiscale. L’unica via per Sempronio sarebbe dimostrare che il trust non era in realtà residente alle Bahamas (magari aveva sostanza altrove, ma poco utile) o che i beneficiari non erano determinati (ma lui stesso figura come beneficiario, quindi…) . Difficile scampare.
- Profilo monitoraggio (Quadro RW): l’omessa dichiarazione del valore dell’attività estera (1 milione) comporta sanzione base del 15% (essendo Paese black list) sul valore non dichiarato . Parliamo di €150.000 di sanzione (15% di 1.000.000) per ciascun anno di violazione, eventualmente riducibile se si definisce in acquiescenza o adesione. Sempronio potrebbe sostenere che conferendo i beni in trust aveva perso la titolarità diretta e quindi credeva di non dover compilare RW. Purtroppo per lui, l’Agenzia considera il disponente come titolare effettivo finché questi può revocare o controllare il trust . Nel suo caso, egli ha alimentato il trust con i propri fondi ed è beneficiario potenziale, quindi difficilmente convincerà che non doveva monitorare. Inoltre l’Ade evidenzierà come prova il fatto stesso che i €1M furono trasferiti da conti di Sempronio alle Bahamas: era suo dovere dichiararlo.
- Esito: La posizione di Sempronio è compromessa. Probabilmente si vedrà recapitare un avviso di accertamento con imposta e sanzioni su quei €50k di redditi esteri, più separati provvedimenti sanzionatori per il monitoraggio. Sempronio valuterà di aderire parzialmente per ridurre le sanzioni (con l’adesione potrebbe ottenere sanzione ridotta di 1/3) . Forse tenterà di portare prove di aver pagato qualche tassazione locale sui dividendi per ottenere un credito d’imposta (se una banca alle Bahamas ha applicato ritenute, ma di solito i paradisi non tassano). Tuttavia, essendo in un Paradiso fiscale, niente crediti; magari se investimenti erano in USA con ritenuta, potrebbe recuperare qualcosa via convenzione, ma sono dettagli. In sintesi, Sempronio è in posizione difficile: dovrà molto probabilmente pagare imposte e sanzioni, e imparare la lezione che i trust esteri opachi attraggono attenzione e ricadono in normative punitive .
Questi casi illustrano alcune lezioni pratiche: (1) un trust genuino, istituito in tempi non sospetti e ben gestito, effettivamente protegge i beni (almeno temporaneamente) dalle pretese fiscali; (2) un trust fatto male o fittizio (autodichiarato con disponente-beneficiario, o creato quando già c’erano debiti) è inutile e perfino dannoso, poiché non solo i beni non sono al sicuro, ma si aggiungono guai giuridici; (3) i trust esteri opachi attirano il faro del Fisco e ricadono sotto norme severe, generando grossi esborsi se non regolarizzati .
Domande frequenti (FAQ) su trust e accertamenti fiscali
D: Il trust è legale in Italia?
R: Sì. Il trust è riconosciuto come istituto giuridico valido in Italia grazie alla Convenzione dell’Aja, recepita con la Legge 364/1989 . Non esiste una “legge italiana del trust”, ma si applica la legge straniera scelta nell’atto istitutivo. Ad esempio, costituire in Italia un trust con atto notarile richiamando la legge di Jersey è perfettamente lecito. Ovviamente occorre rispettare i limiti di ordine pubblico (non si possono usare i trust per scopi contrari alla legge, ad esempio per violare legittima successoria, ecc.) e le normative fiscali italiane. In sé, dunque, un trust non è né illegale né elusivo: è uno strumento previsto dall’ordinamento internazionale e utilizzabile anche da italiani. Diventa un problema solo se viene usato abusivamente (come abbiamo visto).
D: Qual è la differenza tra un trust e un fondo patrimoniale?
R: Il fondo patrimoniale è un istituto del Codice Civile (artt. 167 ss. c.c.), riservato ai coniugi o uniti civilmente, per destinare alcuni beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. È meno flessibile del trust: può riguardare solo beni immobili, mobili registrati o titoli di credito; richiede che la costituzione sia annotata a margine dell’atto di matrimonio; e i beneficiari sono di default la famiglia, non persone scelte ad hoc . Inoltre, i creditori possono aggredire i beni nel fondo patrimoniale se il debito è contratto per scopi estranei ai bisogni familiari – e anche per debiti estranei possono agire in revocatoria se il fondo è creato in frode a loro . Un trust, invece, può avere qualsiasi finalità lecita, beneficiari anche non familiari, e consente una segregazione più ampia (si possono includere vari tipi di beni e destinazioni). Nel trust c’è un vero trasferimento di proprietà al trustee, mentre nel fondo patrimoniale i coniugi restano proprietari dei beni (sia pur vincolati all’uso familiare) . Fiscalmente, la costituzione di un fondo patrimoniale non implica di per sé tassazione (è un vincolo di destinazione interno al patrimonio dei coniugi), mentre il trust può far sorgere imposte di donazione/successione quando i beni escono verso i beneficiari (salvo casi esenti, es. trust per disabili) . In sintesi: il fondo patrimoniale è uno strumento “interno” più limitato e meno attaccabile per debiti familiari, il trust è più versatile ma, se usato male, più soggetto a contestazioni fiscali.
D: Trasferire i miei beni in un trust li rende davvero intoccabili dal Fisco?
R: Non in senso assoluto. È vero che un bene intestato formalmente a un trustee non è più di tua proprietà, quindi un pignoramento contro di te non lo colpisce direttamente . Tuttavia, il Fisco ha diversi strumenti per intervenire: – Può impugnare l’atto di trust con azione revocatoria (art. 2901 c.c.) se il trust è stato costituito in frode dei suoi crediti, facendolo dichiarare inefficace e tornando così a pignorare i beni . – Se ravvisa gli estremi di reato, può ottenere un sequestro preventivo penale dei beni nel trust, seguito da confisca (come spiegato sopra). – Inoltre, se il trust è solo un paravento e tu continui di fatto a gestire e godere dei beni, l’Agenzia delle Entrate potrà ignorare il trust fiscalmente e considerare quei beni come ancora tuoi (trust interposto) . In tal caso, ad esempio, ti manderà accertamenti su redditi prodotti da quei beni.
Quindi, un trust protegge dai creditori solo se è fatto seriamente: istituito in tempi non sospetti, gestito correttamente, con il disponente che davvero “esce di scena” lasciando autonomia al trustee . Anche in tal caso rimane comunque la possibilità di revocatoria se il debito fiscale era già preesistente o se i crediti sorgono per fatti anteriori. In conclusione, il trust può mettere i beni al riparo, ma non garantisce impunità se è creato con intento elusivo o in frode.
D: Quali tasse devo pagare quando istituisco un trust?
R: Al momento dell’atto istitutivo e di dotazione dei beni nel trust, si pagano in genere solo imposte fisse: registro, ipotecarie, catastali in misura fissa (200 euro ciascuna se ci sono immobili) . Non si paga l’imposta di donazione subito, a meno che non si opti per la tassazione anticipata. Questa opzione di tassazione in entrata è stata introdotta nel 2024: il disponente può scegliere di pagare ora l’imposta sulle donazioni come se trasferisse ai beneficiari, determinandola in base al rapporto di parentela e alle aliquote vigenti, anziché attendere l’uscita . Nella maggior parte dei casi oggi l’atto di conferimento è fiscalmente neutro perché si applica la tassazione all’uscita . Durante la vita del trust: – se il trust produce redditi, va tassato secondo la sua natura: un trust opaco paga l’IRES (24%) sui redditi e compila dichiarazione dei redditi come soggetto IRES; un trust trasparente non paga imposte ma attribuisce i redditi ai beneficiari che li dichiarano in IRPEF . In entrambi i casi, eventuali rendite finanziarie scontano le ritenute o imposte sostitutive come da legge. – alla fine, quando i beni fuoriescono verso i beneficiari, si applica l’imposta di successione/donazione proporzionale, calcolata in base al grado di parentela tra disponente e beneficiario e alle franchigie previste . Ad esempio, se un nonno (disponente) aveva messo beni a favore dei nipoti: al conferimento nulla (salvo imposte fisse), quando il trustee trasferirà ai nipoti si pagherà il 6% sul valore eccedente 100.000 € per ciascun nipote (aliquota e franchigia per nipoti). Se però il nonno avesse optato per pagare prima, avrebbe pagato 4% (aliquota figli) all’atto, e all’uscita nulla più .
Va aggiunto che gli eventuali atti compiuti dal trust (compravendite di beni, ecc.) scontano le imposte come chiunque altro (registro, IVA se dovuta, ecc.). E i beni immobili in trust pagano IMU/TASI a nome del trustee (queste imposte non dipendono dalla questione trust se non per il soggetto passivo).
D: I redditi prodotti dal trust come vengono tassati in Italia?
R: Dipende dal tipo di trust e da dove è situato: – Se il trust è trasparente (interno): i redditi del trust (affitti, dividendi, plusvalenze, ecc.) vengono imputati per trasparenza ai beneficiari, considerati redditi di capitale per loro. Quindi i beneficiari li dichiarano nel loro 730/Unico e pagano IRPEF su di essi, anche se il trustee non li ha effettivamente distribuiti . – Se il trust è opaco (interno): il trust è soggetto all’IRES (24%) come persona giuridica, dichiara i redditi nel modello Redditi ENC. Se successivamente distribuisce utili ai beneficiari persone fisiche, questi costituiscono dividendi tassati con imposta sostitutiva 26% (in genere prelevata dal trustee stesso come sostituto d’imposta) . – Se il trust è interposto/fittizio: a quel punto, come detto, tutti i redditi si considerano direttamente del disponente. Quindi il disponente dovrà dichiararli nel suo IRPEF personale come se le attività non fossero mai entrate in trust . – Se il trust è estero: va distinto. Se è in un Paese black list ed è opaco, la legge italiana prevede l’imputazione ai beneficiari/disponente (norma anti-paradisi) . Se è in Paese collaborativo (white list) e non è interposto, si seguono le regole generali: i redditi prodotti all’estero dal trust saranno tassati lì secondo le leggi locali; in Italia i beneficiari dichiareranno solo ciò che eventualmente ricevono (per trust opachi) come dividendo estero al 26%, oppure dichiareranno direttamente la loro quota se trust trasparente. Attenzione: se il trust estero viene considerato residente in Italia (caso esterovestizione), allora deve dichiarare in Italia come soggetto IRES e paga qui le imposte su redditi ovunque prodotti . Diciamo che per trust esteri non interposti c’è molta casistica, ma una regola pratica è: distribuzioni da trust opachi esteri a beneficiari italiani sono in genere soggette a imposta 26%, mentre redditi esteri accumulati nel trust non vengono tassati in Italia finché non distribuiti solo se il trust è realmente indipendente e non in paradiso fiscale.
D: Ho un trust all’estero e l’Agenzia mi contesta che è residente in Italia: cosa significa?
R: Significa che il Fisco ritiene che il tuo trust, pur formalmente istituito all’estero, abbia collegamenti tali da essere considerato fiscalmente italiano. Ciò può accadere se, ad esempio, il trust è amministrato di fatto dall’Italia (riunioni del trustee in Italia, trustee magari italiano o succube del disponente italiano, beni tutti in Italia, ecc.), oppure – come spiegato – se il trust è in un Paese non collaborativo con disponente/beneficiari italiani, caso in cui una presunzione di legge (D.L. 78/2009) lo dichiara residente in Italia salvo prova contraria . La conseguenza della residenza fiscale in Italia è che il trust viene tassato in Italia su tutti i redditi ovunque prodotti, come se fosse un soggetto italiano, e se non ha presentato dichiarazioni può subire accertamenti per omessa dichiarazione con recupero di imposte e irrogazione di sanzioni pesanti (fino al 120-240% dell’imposta evasa). In sostanza, l’Agenzia ignora la veste estera e tratta il trust come un “italiano travestito”. Contestare questo richiede di provare che la gestione era effettivamente all’estero (cosa spesso difficile se il trust era di comodo) . Bisogna fornire evidenze concrete: ad es. mostrare che le decisioni chiave venivano prese fuori Italia, che il trustee era veramente indipendente e operava nel Paese estero senza ingerenze dall’Italia . È una situazione complessa dove serve assistenza legale specializzata e spesso sfocia in cause lunghe.
D: Posso proteggere la mia casa mettendola in un trust se ho già una cartella esattoriale?
R: Tecnicamente puoi ancora conferire la casa in trust, ma devi essere consapevole che: 1. Se la cartella (il debito) è anteriore all’atto, è molto probabile che l’Agenzia delle Entrate attivi una azione revocatoria per far dichiarare inefficace il conferimento e pignorare comunque la casa . Ai sensi dell’art. 2901 c.c., il Fisco come creditore può revocare gli atti a titolo gratuito compiuti dopo che il credito è sorto (e una cartella vale come credito certo). 2. Rischi di incorrere nel reato di sottrazione fraudolenta ex art. 11 D.Lgs. 74/2000: se il debito fiscale supera la soglia (circa 50mila euro) e l’atto è considerato fraudolento, potresti essere perseguito penalmente . Un trust istituito subito dopo una cartella è proprio l’esempio classico di atto che i giudici vedono come fraudolento. 3. Nel frattempo, l’Agente di Riscossione (ex Equitalia) potrebbe comunque iscrivere ipoteca o notificare pignoramento al trustee, cercando di bloccare l’immobile in attesa degli esiti giudiziari . Quindi il beneficio sarebbe temporaneo e potenzialmente nullo, mentre tu ti esponi a ulteriori conseguenze.
In sintesi, trasferire la casa in trust dopo che il debito è già emerso è altamente sconsigliato. Rischi grosso (penale) e con ogni probabilità non otterrai l’effetto di salvare il bene, perché le contromisure del Fisco sono efficaci.
D: L’Agenzia delle Entrate può considerare nullo un trust valido civilmente?
R: L’Agenzia in sede fiscale non può dichiarare la nullità civilistica di un trust – non ne ha il potere – ma può disconoscerne gli effetti ai fini tributari. In pratica, quando si parla di “trust inesistente” dal punto di vista fiscale, non significa che l’atto è nullo in senso civilistico; significa che per il Fisco è come se il trust non esistesse, quindi tassa e agisce di conseguenza . Ad esempio, può tassare i redditi al disponente invece che al trust, o ignorare il trust nel calcolo delle imposte di successione. Questo può portare a situazioni paradossali: civilmente il trustee risulta proprietario di un immobile, ma fiscalmente l’Agenzia attribuisce il reddito da quell’immobile al disponente. Non è una nullità in sé, ma una sorta di inopponibilità al Fisco. Quanto alla nullità/invalidità vera e propria dell’atto di trust, solo un giudice civile potrebbe dichiararla (ad esempio se il trust viola norme imperative o era totalmente simulato). E i creditori (incluso il Fisco in sede civile) potrebbero chiederne l’inefficacia via revocatoria o la simulazione, ma è un altro piano. Dunque, per riassumere: il Fisco può ignorare un trust ai fini delle imposte senza bisogno che un giudice lo annulli, basandosi sui principi antielusivi.
D: Come posso difendermi se ricevo un avviso di accertamento relativo al trust?
R: La prima cosa è capire che tipo di accertamento ti è stato notificato, così da modulare la difesa. Alcuni passi generali: – Se riguarda imposte sui redditi imputati a te disponente (trust interposto), dovrai dimostrare che il trust non era interposto. Raccogli tutta la documentazione possibile che provi l’autonomia del trust: atto istitutivo, bilanci del trust, corrispondenza col trustee. Mostra che tu non avevi il controllo assoluto e che il trustee prendeva decisioni indipendenti . Come detto, se necessario fai intervenire il trustee (es. con una dichiarazione). La difesa verterà molto sugli aspetti di sostanza già discussi. – Se riguarda l’imposta di donazione/successione, focalizzati sulla normativa vigente (art. 4-bis TUS dal 2024) che – se applicabile – potrebbe rendere nulla la pretesa. Ad esempio, se ti contestano imposta all’atto di conferimento, evidenzia che ora la legge prevede tassazione all’uscita (principio interpretato anche retroattivamente dalla Cassazione) . Se invece contestano beni non inclusi in successione disponente, devi sostenere che il trust era valido e i beni fuori asse; qui la partita è provare che il trust non era interposto (vedi punto sopra). – Fatti assistere da un tributarista esperto di trust: è un terreno minato e specialistico. Un professionista potrà redigere memorie difensive efficaci, con richiami alle circolari, risoluzioni e sentenze rilevanti. Ad esempio, citare la Circ. 34/E/2022 come atto interno all’Agenzia che vincola ad un certo comportamento: se il tuo caso rientra in una casistica dove la circolare direbbe di non tassare, far emergere che l’ufficio sta andando contro le proprie linee guida . – Attenzione alle scadenze processuali: hai 60 giorni dalla notifica per presentare ricorso (salvo eventuale adesione). Se l’importo in contestazione non supera €50.000, devi prima presentare istanza di mediazione tributaria (pena l’inammissibilità del ricorso); questa è una procedura che coinvolge un organo interno all’Agenzia per tentare un accordo . Se invece superano €50k, puoi subito ricorrere o presentare istanza di adesione per guadagnare tempo. – Documentazione completa: allega copia integrale dell’atto di trust, eventuali lettere di desiderio del disponente, i rendiconti periodici del trustee, ecc. in modo da far “toccare con mano” al giudice tributario la struttura e la gestione del trust . Spesso i giudici non sono praticissimi di trust: spiegare bene (anche con note esplicative) come funzionava il tuo trust può far capire che era tutto regolare. – Sottolinea la buona fede e la finalità non fiscale: come già detto, se il trust aveva ragioni genuinamente extrafiscali, falle emergere nella memoria difensiva (es: trust per figlio disabile, trust costituito quando navigavi nell’oro e non immaginavi problemi col Fisco, ecc.) . Questo può inclinare la bilancia dell’equità a tuo favore. – Precedenti favorevoli: cerca se esistono sentenze di commissioni tributarie (o anche di Cassazione) in casi simili al tuo in cui il contribuente ha vinto, e allegale . Ad esempio, c’è stata una CTR Lombardia n. 107/2023 che ha dato ragione a un trust autodichiarato su certe imposte indirette . Oppure sentenze di Cassazione 2022 che riconoscevano la tassazione all’uscita e hanno annullato avvisi di liquidazione. Tutto ciò può aiutare.
In definitiva, studia bene il tipo di contestazione e costruisci una difesa mirata su quello, senza tralasciare di attaccare sia sul merito sia su eventuali vizi procedurali.
D: Quali sono le sentenze più importanti recentemente in materia di trust e fisco?
R: Riassumiamo alcuni riferimenti giurisprudenziali di rilievo degli ultimi anni (fonti istituzionali autorevoli come Cassazione e Corti tributarie), con i principi affermati: – Cass. civ. Sez. V n. 24387/2024: ha ribadito che il conferimento di beni in trust è segregativo e non traslativo in via definitiva, il che ha riflessi sulle agevolazioni “prima casa” e sull’imposta di donazione (non dovuta all’atto, perché manca arricchimento stabile). – Cass. civ. Sez. Trib. n. 2334/2024: ha sancito che l’atto istitutivo e di dotazione di un trust sono fiscalmente neutri, confermando il principio della tassazione solo al momento dell’assegnazione ai beneficiari (tassazione all’uscita) . Questa sentenza ha anticipato il contenuto della riforma D.Lgs. 139/2024. – Cass. civ. Sez. III n. 34075/2024: in materia civile/esecutiva, ha confermato che il trust non ha soggettività giuridica, dunque il pignoramento di beni in trust va eseguito nei confronti del trustee e non del trust stesso . Principio importante per le procedure: errori nell’indicare il soggetto esecutato (es. pignorare “il trust” anziché “Tizio come trustee”) possono invalidare l’atto. – Cass. pen. n. 13844/2024: sul piano penale, ha stabilito che un trust auto-destinato istituito dopo il sorgere di debiti fiscali integra il reato di sottrazione fraudolenta . In pratica qualifica il trust come atto fraudolento ai sensi dell’art. 11, rimarcando che anche atti leciti (il trust) diventano penalmente rilevanti se fatti con finalità evasiva. – Cass. civ. Sez. Trib. n. 9096/2025: (già citata più volte) ha affrontato un caso di trust estero elusivo e ha confermato la linea del “beneficial owner”: se il disponente mantiene il controllo di fatto su beni e redditi, il trust viene ignorato e si tassano i redditi in Italia al disponente . È una pronuncia che rafforza la posizione anti-elusiva nei trust transnazionali. – Cass. civ. nn. 5746/5747/5748 del 2022: una serie di decisioni del 2022 che hanno segnato il cambio di rotta sulla tassazione indiretta dei trust. Hanno affermato in vari casi che l’imposta di donazione è dovuta solo all’uscita verso i beneficiari, contraddicendo la prassi ante 2022 dell’Agenzia. Queste sentenze sono state poi recepite dalla Circolare AE 34/E/2022 e infine dal D.Lgs. 139/2024. – CTR Lombardia n. 107/2023: decisione di merito notevole dove si è affermato che un trust autodichiarato “puro” (disponente=trustee=beneficiario) non genera imposta di donazione perché manca un effettivo trasferimento . Tale pronuncia è stata anche richiamata in successive sentenze di Cassazione a conferma di quella linea.
Oltre a queste, ci sono decine di altre sentenze su casi specifici (ad esempio Cass. 11055/2021 e 17743/2021 sull’interposizione fiscale, Cass. 9890/2023 sull’onere della prova di interposizione , Cass. 7552/2025 e 9445/2025 su trust e plusvalenze, ecc.). Ma quelle elencate sopra coprono i punti focali per la materia al 2025. È sempre opportuno, per una difesa avanzata, consultare le banche dati aggiornate per verificare se negli ultimi mesi ci sono state nuove pronunce pertinenti (la materia è in continua evoluzione).
D: In conclusione, il trust conviene o è troppo rischioso dal punto di vista fiscale?
R: Il trust rimane uno strumento utile e in certi casi insostituibile per la protezione e pianificazione patrimoniale. Tuttavia va utilizzato con cautela e trasparenza. Se sei un contribuente senza pendenze e vuoi pianificare la successione o tutelare i tuoi cari, un trust ben strutturato, con un trustee terzo e regole chiare, può essere fatto e non è automaticamente “nel mirino” – a patto di rispettare le normative (dichiarare eventuali redditi prodotti, monitoraggio RW se estero, ecc.). Il rischio fiscale emerge quando si scivola nell’abuso: se il trust è usato per non pagare tasse dovute o per tenere nascosti redditi, allora sì che diventa rischioso, perché l’Agenzia delle Entrate ha affinato le armi per scoprirlo e colpirlo. Quindi, conviene il trust? Sì, se hai obiettivi leciti e segui le regole; no, se pensi di farci l’elusione o l’evasione, perché ormai è probabile che verrai scoperto e le conseguenze annulleranno i benefici sperati, esponendoti anzi a sanzioni peggiori. In altre parole: il trust non è un modo magico per non pagare le tasse, ma solo uno strumento giuridico neutro. Usalo correttamente e ti darà vantaggi; usalo impropriamente e ti tornerà indietro come un boomerang, con interessi.
Fonti e riferimenti: le informazioni e i principi esposti in questa guida derivano dalla normativa italiana vigente (DPR 600/1973, TUIR, D.Lgs. 74/2000, D.Lgs. 346/1990 come modificato) e da interpretazioni fornite da autorevoli pronunce giurisprudenziali e documenti di prassi ufficiale. In particolare, si segnalano:
– Art. 37, comma 3 DPR 600/1973 (interposizione fittizia) ;
– Art. 11 D.Lgs. 74/2000 (sottrazione fraudolenta) ;
– Circ. AE 48/E/2007, 61/E/2010 e 34/E/2022 (indicazioni sul trattamento fiscale dei trust);
– Cass. civ. 5746/2022, 2334/2024, 9096/2025 (trust e imposte dirette/indirette) ;
– Cass. pen. 6737/2020, 13844/2024 (trust e reato ex art.11) ;
– CTR Lombardia 107/2023 (trust autodichiarato e imposta donazione) , etc.
– Cassazione 9890/2023
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ritiene che tu abbia utilizzato un trust in modo improprio al fine di occultare redditi o patrimoni? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Il trust è uno strumento legittimo di pianificazione patrimoniale, utile per la protezione dei beni e la gestione successoria. Tuttavia, quando viene considerato fittizio o simulato, il Fisco lo riqualifica come interposizione del disponente, imputando a quest’ultimo i redditi e le attività formalmente intestate al trust.
👉 Prima regola: dimostrare che il trust ha una gestione reale, indipendente e coerente con le finalità dichiarate, non una funzione meramente elusiva.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Trust opachi considerati interposti al disponente o ai beneficiari;
- Trust istituiti all’estero in Paesi a fiscalità privilegiata, privi di reale autonomia;
- Gestione controllata dal disponente senza indipendenza del trustee;
- Trasferimenti patrimoniali senza giustificazione economica o familiare;
- Utilizzo del trust per sottrarre beni a imposizione o successione.
📌 Conseguenze della contestazione
- Riqualificazione dei redditi come percepiti direttamente dal disponente o dai beneficiari;
- Recupero di imposte su redditi e patrimoni occultati;
- Sanzioni tributarie per infedele dichiarazione o omessa dichiarazione;
- Interessi di mora;
- Rischio di contestazioni penali in caso di frode fiscale.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Atto istitutivo del trust: prevede finalità lecite e chiare?
- Poteri effettivi del trustee: era realmente autonomo nella gestione?
- Documentazione contabile e bancaria: i beni sono stati gestiti correttamente?
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve provare l’interposizione fittizia, non basta il sospetto;
- Residenza fiscale del trust: era effettivamente localizzato all’estero o in Italia?
🧾 Documenti utili alla difesa
- Atto istitutivo e regolamento del trust;
- Documentazione contabile e rendiconti annuali;
- Estratti conto e movimenti bancari intestati al trust;
- Verbali delle decisioni del trustee;
- Eventuali consulenze legali e fiscali redatte al momento dell’istituzione.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’effettiva autonomia del trust rispetto al disponente;
- Provare la legittimità delle finalità (protezione familiare, passaggio generazionale, gestione beni);
- Contestare la presunzione di interposizione se priva di riscontri concreti;
- Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, motivazione carente, decadenza dei termini;
- Richiedere autotutela se il trust era già stato dichiarato e monitorato;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con possibilità di sospensione della riscossione.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la struttura del trust e i rilievi dell’Agenzia delle Entrate;
📌 Verifica la legittimità della contestazione e la corretta qualificazione fiscale;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per tutelare il disponente, i beneficiari e il trustee;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con il Fisco e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per utilizzare i trust in modo trasparente e inattaccabile.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in fiscalità dei trust e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di privati e famiglie contro contestazioni di elusione tramite trust;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni sull’uso improprio dei trust non sempre hanno basi solide: spesso si fondano su presunzioni generiche di interposizione.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale autonomia e legittimità del trust, evitare la riqualificazione dei redditi e proteggere il tuo patrimonio da pretese fiscali indebite.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui trust inizia qui.