Contestazioni Su Fusioni Societarie Simulate: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la fusione societaria effettuata è stata considerata simulata? In questi casi, l’Ufficio presume che l’operazione non sia stata motivata da reali esigenze economiche o organizzative, ma realizzata solo per ottenere indebiti vantaggi fiscali, come l’abbattimento di basi imponibili o il trasferimento di perdite. La conseguenza è la riqualificazione della fusione come operazione elusiva, con recupero delle imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con una difesa adeguata è possibile dimostrare la legittimità dell’operazione.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una fusione come simulata
– Se l’operazione non ha comportato un reale cambiamento organizzativo o gestionale
– Se la fusione ha avuto come unico effetto l’utilizzo di perdite fiscali pregresse di una società incorporata
– Se il valore attribuito alle società fuse è incongruo o sproporzionato rispetto al mercato
– Se l’operazione è seguita da cessioni sospette di beni o partecipazioni
– Se la fusione è ritenuta strumentale a ridurre imposte senza valide ragioni economiche

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione della fusione come operazione elusiva o simulata
– Recupero delle imposte dirette e indirette risparmiate
– Applicazione di sanzioni per abuso del diritto e dichiarazioni infedeli
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Rischio di ulteriori verifiche fiscali su bilanci e operazioni straordinarie del gruppo

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche, gestionali o industriali alla base della fusione
– Produrre verbali assembleari, relazioni degli amministratori e perizie indipendenti
– Contestare la presunzione di simulazione se l’operazione ha rafforzato la solidità o l’efficienza aziendale
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di valutazione o decadenza dei termini dell’accertamento
– Presentare ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione societaria e fiscale relativa alla fusione
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce della normativa e della giurisprudenza
– Redigere un ricorso mirato basato su prove concrete e vizi dell’accertamento
– Difendere la società e gli amministratori davanti ai giudici tributari contro pretese indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittimità della fusione societaria effettuata
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di gestire liberamente le operazioni straordinarie senza indebite pressioni fiscali

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Trascorso questo termine, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni sulle fusioni societarie simulate e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Le fusioni societarie sono operazioni straordinarie attraverso le quali due o più società si uniscono, fondendosi in un unico soggetto (fusione per unione) oppure incorporando una società in un’altra (fusione per incorporazione). In generale la fusione produce effetti legali irreversibili: dalla data di efficacia l’entità risultante subentra in tutti i rapporti giuridici delle società originarie e queste ultime cessano di esistere. La legge tutela la stabilità della fusione prevedendo che, una volta perfezionata l’operazione, non sia più possibile dichiararne la nullità (art. 2504-quater c.c.) .

Tuttavia, esistono casi in cui la fusione può essere contestata perché ritenuta simulata o comunque utilizzata in modo distorto, ad esempio per frodare i creditori o per ottenere indebiti vantaggi fiscali. Si parla in questi casi di fusione simulata o abusiva, indicando un’operazione solo apparentemente lecita ma in realtà finalizzata ad uno scopo illecito o elusivo (ad esempio, sottrarre beni alla garanzia patrimoniale dei creditori, o evitare il pagamento di imposte).

Dal punto di vista del debitore (ovvero della società – o imprenditore – che ha posto in essere la fusione contestata), è fondamentale comprendere quali strumenti hanno i creditori o il Fisco per impugnare o rendere inefficace la fusione, e soprattutto come difendersi da tali contestazioni. Questa guida, di livello avanzato e aggiornata ad agosto 2025, fornisce un’analisi approfondita della normativa italiana, con riferimenti a sentenze recenti e autorevoli, esempi pratici, tabelle riassuntive e una sezione di domande e risposte. Il taglio è giuridico ma divulgativo: si rivolge a avvocati, imprenditori (anche individuali) e privati cittadini coinvolti in vicende di fusioni societarie potenzialmente fraudolente o elusive.

Cosa si intende per fusione “simulata”? In generale, la simulazione in diritto civile indica un accordo tra le parti per far apparire un negozio giuridico diverso dalla realtà. Nel contesto societario, una “fusione simulata” può consistere in una fusione posta in essere solo sulla carta, senza una reale integrazione economica, con il vero intento di perseguire un fine illecito (es. sottrarre beni ai creditori o realizzare un risparmio fiscale indebito). La simulazione può essere assoluta (le parti fingono di fondere le società ma in realtà vogliono mantenere separate le sostanze, usando la fusione come schermo) oppure relativa (la fusione cela in realtà un diverso accordo, ad esempio un trasferimento di beni a titolo gratuito). In molti casi pratici, più che di simulazione in senso stretto (che richiederebbe un accordo occulto opposto a quello pubblicamente dichiarato), si parla di abuso del diritto o frodi ai creditori: la fusione è formalmente valida ma costituisce un uso distorto di uno strumento legale per finalità illecite.

Nei paragrafi seguenti analizzeremo dapprima il quadro normativo di riferimento, quindi le possibili contestazioni da parte dei creditori (incluse azioni revocatorie, risarcitorie e profili penal-fallimentari), in seguito le contestazioni di natura fiscale per abuso del diritto/elusione, con un focus anche sulle fusioni transfrontaliere. Verranno evidenziate le difese e i rimedi pratici a disposizione del debitore in ciascuno di questi scenari, supportati dalle più recenti pronunce giurisprudenziali. Infine, saranno proposte tabelle riepilogative e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.

Normativa di riferimento e nozioni generali

Prima di esaminare le contestazioni specifiche, è opportuno richiamare brevemente le norme essenziali sulle fusioni societarie nel diritto italiano, nonché i principi in tema di simulazione, frode ai creditori e abuso del diritto.

  • Codice Civile – disciplina delle fusioni: gli articoli 2501 e seguenti c.c. regolano la fusione tra società. La fusione per incorporazione (art. 2501 co.2) avviene quando una o più società sono assorbite da un’altra preesistente; la fusione propria o per unione comporta la nascita di una nuova società che succede alle precedenti. È prevista una procedura che tutela soci e creditori: progetto di fusione, delibere assembleari, iscrizione nel Registro Imprese e un termine di 60 giorni per l’opposizione dei creditori anteriori (art. 2503 c.c.). Trascorso tale termine senza opposizioni (oppure previa rinuncia o con il consenso dei creditori, o con pagamento dei crediti), la fusione può essere attuata. Con l’atto di fusione e la sua iscrizione finale, la fusione produce effetto: le società partecipanti cessano (in caso di incorporazione, la incorporata si estingue) e la società risultante assume in sé tutti i rapporti giuridici attivi e passivi degli enti originari (art. 2504-bis c.c.).
  • Invalidità della fusione: come accennato, la legge impedisce di mettere in discussione la validità della fusione una volta che questa è divenuta efficace. L’art. 2504-quater c.c. infatti stabilisce che, dopo le iscrizioni dell’atto di fusione, “l’invalidità dell’atto di fusione non può essere pronunciata”. Questo significa che non sono ammessi rimedi come annullamento o nullità dell’atto di fusione a fusione avvenuta . La ratio è evitare che, a distanza di tempo, possano essere “smontate” operazioni complesse con effetti su società estinte, creando incertezza nei traffici giuridici . Restano salvi semmai i diritti al risarcimento del danno per soci o terzi eventualmente pregiudicati dalla fusione (art. 2504-quater ult. parte c.c.) – ad esempio, se la fusione fosse deliberata in violazione del procedimento di legge, i danneggiati potrebbero chiedere i danni agli amministratori o ai soci responsabili.
  • Opposizione dei creditori (art. 2503 c.c.): è il meccanismo principale previsto a tutela dei creditori sociali. I creditori anteriori all’iscrizione del progetto di fusione hanno 60 giorni di tempo (dall’ultima iscrizione richiesta) per proporre opposizione. L’opposizione, proposta dinanzi al Tribunale, sospende la fusione. Se i creditori dimostrano che dalla fusione può derivare un pregiudizio alle loro ragioni (ad es. perché i loro debitori si estinguono o il patrimonio garantito si confonde con quello di un altro soggetto meno capiente), il Tribunale può bloccare l’operazione fino a che i crediti non siano soddisfatti o garantiti. L’opposizione dunque è un rimedio preventivo cruciale. È importante notare che se il creditore non esercita questa opposizione nei termini, perde la possibilità di impedire la fusione in via diretta. Come vedremo però, ciò non esclude altri rimedi successivi (es. azione revocatoria), ma la mancata opposizione può indebolire la posizione del creditore in eventuali giudizi successivi . Dal lato del debitore, la mancanza di opposizioni nei termini consente di perfezionare la fusione e rappresenta un primo ostacolo per contestazioni future.
  • Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.): è il rimedio generale a tutela della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., che consente al creditore di ottenere dal giudice la dichiarazione di inefficacia relativa di atti compiuti dal debitore in pregiudizio delle sue ragioni. Condizioni classiche: un eventus damni (l’atto rende più difficile o impossibile il soddisfacimento del credito) e, se il credito era anteriore, la scientia damni (la consapevolezza del pregiudizio, e il consilium fraudis se il terzo era consapevole nel caso di atti a titolo oneroso). Una fusione societaria rientra tra gli atti suscettibili di revocatoria? Per molto tempo la dottrina e la giurisprudenza hanno discusso, considerando che la fusione non è un “contratto” ma una operazione organizzativa con effetti legali immediati. Oggi l’orientamento prevalente – confermato anche dalla Corte di Cassazione – è che l’azione revocatoria è ammissibile contro atti di fusione (e scissione) in quanto non intacca la validità dell’atto ma tende a dichiararne la inefficacia relativa verso il creditore che agisce . In altre parole, non si “annulla” la fusione ma la si rende inopponibile al creditore ricorrente, permettendogli di soddisfarsi sui beni confluiti nella società risultante come se la fusione non fosse mai avvenuta. La Cassazione (sent. n. 31654/2019) ha chiarito che l’art. 2504-quater c.c. esclude solo le azioni di nullità/annullamento, non anche la revocatoria . Tale rimedio convive con la fusione già efficace e ne riconosce la legittimità formale, ma tutela il creditore frodato sul piano della responsabilità patrimoniale del debitore .
  • Azione di simulazione (artt. 1414 ss. c.c.): la simulazione, come detto, implica un accordo tra le parti per creare una falsa apparenza giuridica. Nel contesto di una fusione, la simulazione sarebbe configurabile se si prova che i soci delle società coinvolte avevano un accordo simulatorio per cui l’operazione non doveva produrre realmente gli effetti dichiarati. Ad esempio, potrebbero aver convenuto di “fondere” la società debitrice in un’altra solo per far risultare formalmente l’estinzione del debitore, ma con l’intesa di gestire separatamente i patrimoni o di retrocedere beni successivamente. La prova di una simulazione del genere è molto difficile, specie perché le fusioni coinvolgono delibere sociali e pubblicità legale. Un creditore, essendo terzo rispetto all’atto, può comunque agire per far dichiarare la simulazione e quindi ottenere che l’atto venga disconosciuto negli effetti rispetto a lui (in pratica, come un’inefficacia relativa) . In una recente ordinanza (Cass. civ. Sez. II, ord. n. 230/2025) la Cassazione ha ribadito che il creditore terzo può provare la simulazione anche con testimoni o presunzioni, non essendo vincolato ai limiti probatori delle parti contrattuali . Tuttavia, riuscire a dimostrare una fusione simulata in senso tecnico richiede evidenze di un accordo fraudolento molto specifiche (es. controdichiarazioni, comportamenti palesemente incoerenti con una vera fusione, ecc.). Più frequentemente, le contestazioni dei creditori puntano sulla finalità fraudolenta dell’operazione (azione revocatoria o risarcitoria) più che sulla simulazione assoluta.
  • Abuso del diritto ed elusione fiscale: nel diritto tributario italiano, dal 2015 è codificata la nozione di abuso del diritto (concetto sostanzialmente coincidente con l’elusione fiscale) all’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del Contribuente). Si ha abuso quando il contribuente realizza operazioni prive di sostanza economica che, pur rispettando formalmente le norme fiscali, gli consentono di ottenere vantaggi fiscali indebiti. Operazioni “prive di sostanza economica” sono, ad esempio, atti che comportano benefici fiscali essenzialmente, con strumenti giuridici inappropriati o anomali rispetto a normali pratiche di mercato, e che possono includere anche una mera formale applicazione di norme oltre il loro scopo . L’art. 10-bis L. 212/2000 precisa che non si considerano abusive “in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa” . Questo principio – mutuato dalla giurisprudenza antecedente – è cruciale in tema di fusioni: una fusione societaria accompagnata da reali e sostanziali ragioni economico-organizzative (es. ristrutturazione del gruppo, sinergie operative, riduzione dei costi) non potrà essere considerata elusiva soltanto perché comporta un risparmio d’imposta . Viceversa, se l’operazione appare artificiosa e motivata unicamente dal risparmio fiscale, l’Agenzia delle Entrate può disconoscerne i benefici. In pratica, l’abuso del diritto in ambito fusioni si manifesta quando, ad esempio, si esegue una fusione solo per compensare utili con perdite fiscali altrimenti non sfruttabili, o per fruire di esenzioni, crediti d’imposta, step-up di valori, ecc., senza una giustificazione economica sostanziale.
  • Differenza tra abuso del diritto ed evasione/simulazione: è importante distinguere l’abuso (elusione) dalle condotte di evasione fiscale in senso stretto. Non costituisce abuso, infatti, la “violazione aperta” di norme tributarie né la simulazione o frode fiscale . Queste ultime integrano invece fattispecie di reato tributario (es. dichiarazione fraudolenta, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) o illecito civile. Ad esempio, presentare false fatture o falsificare il bilancio per ottenere indebiti vantaggi fiscali è evasione, non abuso: comporta sanzioni severe (anche penali) e non rientra nella disciplina dell’art. 10-bis. L’abuso invece si colloca in una “zona grigia” in cui le norme vengono rispettate nella forma, ma aggirate nella sostanza. La reazione dell’ordinamento è diversa: in caso di abuso non vi sono sanzioni penali né amministrative (salvo poi dover pagare le imposte dovute e gli interessi), mentre la simulazione/frode può portare a nullità degli atti e sanzioni. Perciò, se un’operazione di fusione è realmente simulata (cioè fittizia, documentata falsamente), si esce dall’ambito dell’abuso e si entra in quello della frode, con tutte le conseguenze del caso.

Riassumendo: la legge italiana offre ai creditori strumenti preventivi (opposizione) e successivi (revocatoria, azioni risarcitorie) per reagire a fusioni lesive dei loro diritti, e all’Amministrazione finanziaria strumenti per contrastare fusioni elusive (disconoscimento vantaggi fiscali per abuso del diritto). Dal canto suo, il debitore/società incorporante o risultante dalla fusione dovrà impostare la propria difesa enfatizzando la legittimità e la sostanza economica dell’operazione, l’assenza di intenti fraudolenti e la mancanza di pregiudizio effettivo ai creditori o all’Erario. Nei capitoli che seguono affronteremo nel dettaglio le varie contestazioni e le relative difese.

Contestazioni da parte dei creditori e rimedi civilistici

Una fusione societaria può costituire per i creditori un serio ostacolo al recupero dei propri crediti. Si pensi al caso in cui la società debitrice si fonde (magari incorporandosi) con un’altra società: la debitrice originaria scompare e i suoi beni confluiscono nel patrimonio di un nuovo soggetto, magari già gravato da propri debiti o con una diversa organizzazione. Il creditore si chiede: “Come recupero il mio credito adesso? L’operazione è lecita o posso attaccarla?”. Di seguito analizziamo le possibili contestazioni che un creditore può muovere contro una fusione sospetta e, specularmente, come la società debitrice (o il suo successore) può difendersi.

Fusione in frode ai creditori: il quadro e l’onere della prova

Quando un creditore sostiene che la fusione è stata compiuta “in suo danno”, in pratica sta allegando che si tratta di un’operazione fraudolenta, volta a compromettere o rendere più difficile la soddisfazione del suo credito. Giuridicamente, non esiste una specifica “azione di annullamento della fusione per frode”; come visto la fusione non può essere invalidata. Il creditore deve quindi inquadrare la propria domanda in un’azione di responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.) per atto lecito dannoso (o meglio, per atto abusivo), oppure esercitare la azione revocatoria ex art. 2901 c.c., oppure ancora agire per simulazione se ne ha gli estremi. Talvolta, il creditore formula più domande in via alternativa (simulazione, o in subordine revocatoria, e risarcimento danni): un esempio è il caso affrontato dalla Cassazione n. 31654/2019, in cui Equitalia combinò allegazioni di simulazione di atti societari e richiesta di revocatoria .

Onere della prova: Trattandosi di atti di disposizione patrimoniale potenzialmente fraudolenti, l’onere probatorio varia a seconda dello strumento giuridico utilizzato: – Nell’azione revocatoria, il creditore deve provare il pregiudizio subito (eventus damni) e la conoscenza di tale pregiudizio da parte del debitore (e del terzo, se a titolo oneroso). Non serve provare un dolo specifico di danneggiare, basta la consapevolezza. Nel caso di fusione, l’eventus damni si traduce spesso nel fatto che, a seguito dell’operazione, il patrimonio su cui il creditore poteva soddisfarsi è stato confuso con un altro meno solvibile o in generale l’escussione è divenuta più incerta. La scientia damni potrebbe essere desunta dalle circostanze (rapporti tra soci, tempi sospetti, ecc.). – Nell’azione per responsabilità (illecito aquiliano), che configura la fusione come atto di frode, l’onere è più gravoso: il creditore deve dimostrare tutti gli elementi del fatto illecito, quindi non solo il danno e il nesso causale, ma anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo agli autori dell’operazione . In pratica, deve provare che la fusione è stata deliberatamente ordita per frodarlo. Questo può richiedere prove delle intenzioni (es. comunicazioni interne, comportamenti inspiegabili se non in ottica fraudolenta). – Nell’azione di simulazione, il creditore (che è terzo rispetto all’atto) può provare la natura simulata con ogni mezzo (anche testimoni e presunzioni), ma deve comunque fornire elementi molto solidi su un accordo simulatorio tra le parti della fusione (es. mostrando che in realtà le due società non hanno integrato affatto le loro attività, che magari i beni dell’incorporata sono stati fatti sparire o retrocessi altrove, ecc.). La giurisprudenza richiede la prova di un vero e proprio accordo trilaterale (nelle simulazioni soggettive con interposizione) o bilaterale nelle altre, che evidenzi l’intento comune di fingere . Questo è raramente documentato, e si deve inferire perlopiù da presunzioni.

Cosa deve dimostrare il creditore? Il Tribunale di Milano ha offerto una sintesi illuminante in una causa di nullità/frode da fusione: se un creditore particolare della società incorporata sostiene che la fusione è stata compiuta a suo danno (per confondere il patrimonio suo garante con quello incapiente di un’altra società), egli deve provare tutti gli elementi dell’illecito aquiliano, incluso il nesso causale tra l’operazione e il danno (perdita del credito) . In altre parole: – Condotta illecita: la realizzazione della fusione come atto pregiudizievole e la consapevolezza di ciò da parte dei responsabili (dolo di recare danno al creditore). – Evento dannoso: il fatto che il creditore non riesce più a recuperare il proprio credito (ad es. perché il patrimonio si è confuso ed è insufficiente). – Nesso causale: la fusione è la causa del mancato recupero (non altre circostanze indipendenti).

Questa impostazione implica un elevato onere probatorio per il creditore. Di riflesso, per la difesa del debitore sarà sufficiente spesso contestare queste prove, dimostrando che l’operazione aveva ragioni lecite e che il creditore avrebbe comunque subito il danno indipendentemente dalla fusione.

Quando fallisce la prova del creditore? Sempre il Tribunale di Milano (sentenza 15/06/2020) ha chiarito alcuni scenari in cui la prova di una fusione fraudolenta non risulta integrata : – Se “ragioni assolutamente non pretestuose, anche a livello di economia di gruppo, sorreggevano comunque la fusione”: in tal caso la condotta non è illecita perché l’operazione è giustificata da motivi genuini (esigenze organizzative reali). Dunque, presenza di valide ragioni = assenza di dolo verso i creditori . – Quanto al nesso causale: il danno non può essere imputato alla fusione, ad esempio nei casi in cui: 1. Il creditore non abbia esercitato l’opposizione ex art. 2503 c.c. nei 60 giorni . Se aveva la possibilità legale di fermare la fusione e non l’ha fatto, è più difficile sostenere che il danno sia “colpa” della fusione: vi è un comportamento omissivo del creditore stesso che interrompe il nesso causale (o quantomeno configura concorso di colpa). 2. La società incorporata era già insolvente prima della fusione, con un enorme monte debiti che verosimilmente non sarebbe stato pagato comunque . Ciò suggerisce che la perdita del credito era destinata a verificarsi a prescindere (la fusione non l’ha causata, semmai ha solo certificato una situazione di incapienza preesistente). Se l’incorporata non avrebbe pagato i debiti comunque, non si può dire che la fusione ha creato l’insolvibilità. 3. Il creditore, dopo la fusione, ha accettato di proseguire i rapporti con la società incorporante . Ad esempio, se il creditore continua a fare affari con la società risultante, riconoscendone quindi implicitamente la legittimità e assumendo il rischio, diventa contraddittorio poi lamentare che la fusione l’ha danneggiato. Inoltre potrebbe configurarsi quasi una novazione del rapporto o comunque un’acquiescenza.

Questi elementi offrono spunti preziosi per la difesa del debitore: dimostrare che esistevano motivi sostanziali e non pretestuosi per la fusione, sottolineare eventuali inadempimenti del creditore (mancata opposizione, condotte concludenti di accettazione), evidenziare che la società incorporata era già decotta di per sé. Tutto ciò mina la tesi della fusione come atto fraudolento.

Opposizione ex art. 2503 c.c.: effetti e conseguenze

Come già descritto, l’opposizione dei creditori è uno strumento preventivo. Dal punto di vista del debitore, se un creditore propone opposizione, la fusione viene sospesa. La società che ha interesse a completare la fusione potrà: – Transigere o pagare il creditore opponente (se la somma non è troppo ingente) per fargli ritirare l’opposizione. – Oppure chiedere al Tribunale di autorizzare comunque la fusione offrendo idonea garanzia al creditore (ad es. fideiussione, deposito vincolato) ai sensi dell’art. 2503, comma 2, c.c. Questo può convincere il giudice a far procedere l’operazione, garantendo però il creditore. – Contestare l’opposizione in giudizio, sostenendo che non c’è un pregiudizio reale per il creditore (ad esempio perché dopo la fusione la società risultante sarà più solida, oppure perché sono state previste tutele per i creditori). Il giudice, valutati gli interessi in gioco, può respingere l’opposizione se ritiene che il rischio di danno sia inesistente o remoto, consentendo di procedere oltre il termine.

Implicazioni difensive: Se il creditore non ha opposto nei termini, il debitore in un successivo giudizio (es. revocatoria o risarcitorio) potrà enfatizzare questo fatto: la mancata attivazione tempestiva del creditore può essere interpretata come indice che la fusione non appariva così pregiudizievole, o comunque il creditore ha lasciato decadere una tutela accordatagli dalla legge. Come visto, ciò incide sul nesso causale e anche sulla valutazione della colpa (il creditore non diligente ha aggravato il suo stesso danno). La Cassazione, nella citata pronuncia di Milano (caso di specie di giur. di merito), include la mancata opposizione tra le circostanze che rompono la catena causale del danno .

Va detto che l’opposizione ex art. 2503 c.c. tutela i creditori anteriori al progetto di fusione. Quelli posteriori (che vantano crediti sorti nel frattempo, ad esempio tra l’iscrizione del progetto e l’atto di fusione, o addirittura dopo la fusione) non possono opporsi. Essi però, se la fusione li pregiudica, potranno solo agire ex post (revocatoria, ecc.). Inoltre, l’opposizione è una tutela sommaria e collettiva (viene pubblicata l’iscrizione e tutti i creditori possono attivarsi): se uno oppone, la fusione è sospesa per tutti. Dal lato del debitore, completare una fusione senza opposizioni significa avere superato questo vaglio, ma occorre comunque comportarsi in modo corretto verso i creditori (ad es. comunicare individualmente l’operazione ai principali creditori può essere una buona prassi, sebbene non obbligatoria, per trasparenza).

Azione revocatoria della fusione

Ammissibilità: Come già evidenziato, la Cassazione ha definitivamente chiarito che l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. è ammissibile anche nei confronti di un atto di fusione (nonostante la natura “organizzativa” e non contrattuale di esso). L’art. 2504-quater c.c. non osta, perché la revocatoria non dichiara nullo l’atto, ma lo rende inefficace verso il creditore istante . Il principio è stato affermato a chiare lettere dalla Suprema Corte: “l’art. 2504-quater c.c., che esclude solo una dichiarazione di invalidità della fusione, non implica l’inesperibilità dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., la quale non determina alcuna invalidità dell’atto ma la sua semplice inefficacia relativa, rendendolo inopponibile al creditore pregiudicato” .

Questa affermazione (Cass. 31654/2019) si colloca nel solco di altre decisioni che hanno ammesso la revocatoria per operazioni funzionalmente equivalenti a atti dispositivi, come le scissioni societarie . Anzi, di recente le Sezioni Unite (sent. n. 5089/2025) sono intervenute proprio in tema di scissione per risolvere questioni di competenza, segno che tali azioni sono ormai parte integrante del panorama rimediale contro atti societari potenzialmente lesivi dei creditori.

Effetti della revocatoria sulla fusione: Se il creditore vince la causa revocatoria, nei suoi confronti la fusione è considerata non opponibile. In pratica, il creditore può aggredire i beni che appartenevano alla società debitrice originaria come se la fusione non fosse mai avvenuta, oppure può pretendere che il suo credito sia soddisfatto attingendo al patrimonio della società risultante nei limiti di quei beni o valori trasferiti. Ciò può comportare scenari peculiari: ad esempio, se Tizio aveva un credito verso Alfa S.p.A., poi fusa in Beta S.p.A., e ottiene la revocatoria, potrebbe pignorare un immobile che era di Alfa e che ora è formalmente intestato a Beta, facendo valere la preferenza sul bene come se ancora appartenesse ad Alfa. Beta (incorporante) non potrà opporre la fusione per evitare il pignoramento, dovendo subire l’esecuzione su quell’immobile “dedicato” al soddisfacimento di Tizio.

Presupposti di merito: Occorre che la fusione abbia arrecato pregiudizio (danno alle ragioni del creditore) e che vi fosse la conoscenza del debitore (società) del pregiudizio arrecato. Nella pratica: – Eventus damni: dimostrare che la fusione ha reso più difficile il recupero del credito. Esempi: la società incorporante (o nuova) ha un patrimonio netto insufficiente a pagare tutti i debiti sommati, oppure la fusione ha fatto “sparire” garanzie specifiche (ad es. un patrimonio separato), o ha trasferito asset in una società in cui il creditore non ha più diritti di prelazione. Caso tipico: società A (debitrice verso X) si fonde in B, ma B aveva molti debiti propri e pochi attivi – così il patrimonio di A si confonde ed è assorbito dal deficit di B. X si trova ora concorrente con altri creditori e il suo credito è divenuto insoddisfatto. – Scientia fraudis: per la revocatoria ordinaria (non fallimentare) basta la consapevolezza del debitore di arrecare un pregiudizio. Nel contesto societario, ciò significa che gli amministratori/soci sapevano dell’esistenza del credito di X e sapevano che la fusione avrebbe potuto pregiudicarlo (o quantomeno lo sospettavano). La prova può essere anche per presunzioni: ad esempio, se la fusione è deliberata poco dopo la notifica di una ingiunzione di pagamento o l’avvio di azioni esecutive da parte di X, è inferibile che fosse finalizzata a ostacolarlo; oppure se la società incorporante era manifestamente incapiente. – Participatio fraudis del terzo (altra società): poiché la fusione è un atto bilaterale (o plurilaterale) a titolo “neutro” (non si parla di corrispettivo in senso classico), si discute se serva o meno provare la collusione dell’incorporante. Tendenzialmente, se l’incorporante era eterodiretta dai medesimi soci dell’incorporata o comunque parte dello stesso gruppo/famiglia, è facile presumere che condividesse l’intento. Se invece la fusione avviene con un soggetto terzo in buona fede, la revocatoria potrebbe essere più problematica (anche se l’assenza di “corrispettivo” classico facilita: nelle attribuzioni gratuite o atti a titolo gratuito non è richiesta la malafede del terzo, art. 2901 c.1 n.1). Una fusione spesso non prevede alcun esborso, è un’operazione straordinaria che comporta scambio di partecipazioni: potrebbe essere considerata a titolo oneroso? La giurisprudenza tende a considerarla a titolo oneroso, perché comporta un consolidamento di patrimoni e i soci delle incorporate ricevono azioni/quote della incorporante (c’è quindi un “valore” scambiato). Pertanto, se l’incorporante era una società estranea e indipendente, occorrerà provare che anche essa (tramite i suoi amministratori) fosse consapevole dell’intento fraudolento.

Difese del debitore in caso di revocatoria: Per un avvocato che difende la società risultante dalla fusione (o i suoi successori), le linee di difesa sono: – Negare l’esistenza di un eventus damni: ad esempio dimostrare che la posizione del creditore non è peggiorata. Si può sostenere che dopo la fusione la società risultante aveva un patrimonio sufficiente o addirittura migliore (magari perché la combinazione ha creato un soggetto più capitalizzato). Se il creditore avrebbe potuto comunque soddisfarsi (ad es. la società incorporante ha assunto per legge tutti i debiti ed è solvibile), manca il pregiudizio. Esempio: Alfa Srl conferisce la sua azienda in Beta Srl (operazione simile a fusione), Alfa riceve quote di Beta. Beta per legge risponde dei debiti di Alfa (art. 2560 c.c.), quindi il creditore di Alfa, oltre a poter escutere Alfa (pignorandone le quote di Beta), può agire direttamente contro Beta. In tal caso è discutibile che la garanzia patrimoniale sia diminuita – c’è un soggetto in più obbligato. Anzi, se Beta ha attivo, il creditore ha due patrimoni su cui rifarsi. Questo argomento fu usato in Cass. 31654/2019: la difesa sosteneva che l’operazione era “neutra” perché il debitore originario non era stato liberato e l’avente causa rispondeva solidalmente . Se si convince il giudice che la fusione non ha danneggiato il creditore (o addirittura lo ha lasciato ugualmente tutelato), la revocatoria va respinta per difetto di eventus damni. – Contestare la scientia fraudis: argomentare che la fusione è stata decisa per ragioni societarie, senza alcuna intenzione di nuocere ai creditori. Portare evidenze di decisioni assunte in tempi non sospetti, oppure di motivazioni industriali. Se il contesto fattuale indica che la fusione rientrava in un progetto di riorganizzazione più ampio e non era mirata al singolo creditore, sarà più difficile affermare che i debitori “sapevano di danneggiare”. Es.: fusione annunciata e deliberata prima che sorgesse il credito di X (allora X non potrà parlare di consilium fraudis perché la decisione è antecedente); fusione inserita in un piano di gruppo avallato da consulenti ecc., dove il credito di X è trascurabile rispetto alle dimensioni dell’operazione. – Far leva su eventuali tolleranze o errori del creditore: come già detto, se il creditore ha lasciato decorrere il termine di opposizione, sottolinearlo. Oppure se, post fusione, ha intrapreso iniziative che contraddicono l’idea di essere stato pregiudicato (ad esempio, ha rinegoziato il credito con la nuova società, o accettato pagamenti parziali da questa – comportamenti che implicano accettazione della fusione). – Termine di decadenza: l’azione revocatoria ordinaria si prescrive in 5 anni dall’atto (art. 2903 c.c.). Quindi se il creditore ha dormito per oltre 5 anni dalla fusione, l’azione è inammissibile per decorso del termine. (Nota: la fusione potrebbe essere un atto con effetti differiti; si considera di solito la data di efficacia come dies a quo). Per l’azione fallimentare (se la società è fallita) i termini sono più brevi e le categorie di atti revocabili limitate nel tempo, ma qui parliamo di ordinaria.

Revocatoria e procedure concorsuali: Una precisazione: se la società debitore (incorporata) fallisce entro un anno dalla fusione, entrerà in gioco l’azione revocatoria fallimentare esercitata dal curatore, soggetta alle regole della legge fallimentare (oggi Codice della Crisi). Tuttavia, è importante notare che se la fusione avviene e la società debitrice si estingue, come può fallire? La legge prevede (art. 10 legge fallimentare, R.D. 267/42, e ora art. 11 CCII) che entro un anno dalla cancellazione dal Registro Imprese, l’impresa cessata può essere dichiarata fallita, purché l’insolvenza esistesse già prima o al momento della cancellazione. La Cassazione ha applicato ciò anche al caso di fusione: la società incorporata, se insolvente, è assoggettabile a fallimento entro un anno dalla cancellazione . Dunque, un escamotage di fondersi per “sparire” e sfuggire al fallimento funziona solo se trascorre più di un anno senza istanze: diversamente, il tribunale può comunque dichiarare il fallimento (della società incorporata “cessata”), che avrà effetti sul patrimonio confluito nella incorporante. In un caso del 2024 (Cass. 14414/2024) è stato ribadito questo principio: una fusione per incorporazione non impedisce il fallimento dell’incorporata insolvente entro l’anno .

Per il debitore ciò significa che fondersi non garantisce scudo da procedure concorsuali se la situazione è già compromessa; in sede di difesa, si potrebbe tuttavia obiettare all’istanza di fallimento che l’impresa risultante dalla fusione è solvibile, cercando di sostenere che non vi è insolvenza di fatto (ma se i debiti pre-fusione erano enormi, difficilmente regge). La normativa concorsuale però esula in parte da questa trattazione focalizzata sui rimedi individuali dei creditori, ma è bene essere consapevoli di tale rischio.

Azione di simulazione della fusione

Un creditore potrebbe, in casi estremi, agire per far dichiarare che la fusione era simulata, ossia che in realtà le parti non volevano realmente una fusione efficace nei suoi confronti. In pratica, vorrebbe ottenere una dichiarazione che l’atto è fittizio e quindi inopponibile. Come già evidenziato, è un’azione difficile, ma non teoricamente impossibile.

Nell’esempio affrontato da Cass. 31654/2019 citato, Equitalia affermava che un conferimento d’azienda e una successiva scissione erano assolutamente simulati, ossia mere operazioni cartolari per spogliare la società debitrice dei suoi beni, senza reale volontà di trasferire definitivamente la proprietà . Chiedeva quindi di “accertare il carattere simulato” di quegli atti e, conseguentemente, di poter agire esecutivamente sui beni come se fossero ancora del debitore . In subordine chiedeva la revocatoria .

Quando può parlarsi di fusione simulata? Ad esempio: – Se le società coinvolte mantengono di fatto una gestione separata dei patrimoni, nonostante sulla carta siano un’unica entità. Ciò potrebbe indicare che intendevano solo fingere la fusione ma conservare distinte le sostanze (il che però confligge con la realtà giuridica post-fusione, quindi avrebbero dovuto avere accordi segreti per restituire beni o simili). – Se vi è un accordo occulto per retrocedere determinati asset ai vecchi soci della incorporata, oppure per sciogliere la fusione dopo aver conseguito lo scopo (ad esempio: fondersi per evitare un pignoramento e poi dopo un po’ scindersi di nuovo restituendo i beni – questo potrebbe configurare un disegno simulato/elusivo). – Se la fusione è stata deliberata ma non viene realmente attuata nei fatti, se non per gli aspetti formali (ad esempio, i due apparati societari continuano come prima, i beni non vengono integrati, magari la società incorporante cambia di nuovo denominazione per far perdere le tracce, etc.).

La simulazione assoluta implicherebbe che nessuno degli effetti voluti fosse reale: ma post fusione, per legge la società incorporante risponde comunque dei debiti e possiede i beni, quindi è difficile dire che “in realtà nulla è cambiato”. Più verosimile potrebbe essere la simulazione relativa: le parti fingono una fusione ma in realtà perseguono una donazione o un trasferimento gratuito di beni ad altra entità, oppure perseguono l’obiettivo di liberare i soci da responsabilità, il tutto travestito da fusione.

Prove difensive: Dal lato del debitore (società fusa), difendersi da un’azione di simulazione significa mostrare che la fusione è genuina: – Dimostrare che c’è stata reale integrazione: i dipendenti, i beni, i contratti dell’incorporata sono effettivamente confluiti e gestiti dall’incorporante, senza riserve occulte. – Non esistono accordi segreti per retrocessioni o reintestazioni di beni. – Eventuali successive operazioni (es. se dopo la fusione c’è stata una scissione, o cessione a terzi) avevano anch’esse ragioni economiche e non erano pianificate sin dall’inizio come “smontaggio” della fusione.

In mancanza di una controdichiarazione scritta o di evidenti anomalie, è raro che un giudice dichiari la simulazione di una fusione. Piuttosto, come visto, preferirà dichiarare l’atto inefficace erga il creditore (revocatoria) più che inesistente o fittizio. Per il debitore, dunque, la simulazione è un’azione temibile soprattutto se l’operazione era così artificiosa da far emergere, per esempio, che la società incorporante era una mera scatola vuota creata ad hoc (una newco dormiente attivata solo per fondersi e poi svuotarsi). La Cassazione ha osservato, in tema di LBO elusivi, che un elemento di sospetto è proprio l’uso di società veicolo non operative da anni, rispetto a newco costituite appositamente: se il veicolo era preesistente ma inattivo e viene usato solo come contenitore, il fisco dice che non c’è sostanza economica . Analogamente, un creditore potrebbe dire: la incorporante non aveva vita economica propria, è stata usata come schermo. Ciò non è simulazione in senso tecnico ma evidenzia l’artificiosità.

In definitiva, se la controparte insiste sulla simulazione, la difesa consisterà nel chiedere al giudice di qualificare la domanda eventualmente come revocatoria, se ne ricorrono gli estremi, o di rigettare per mancanza di prova dell’accordo simulatorio.

Profili penali e responsabilità degli amministratori

Sebbene il focus di questa guida sia sui rimedi civilistici e fiscali, cenni rapidi al penale aiutano a comprendere i rischi e le possibili linee difensive: – Se la fusione simulata/fraudolenta avviene in un contesto di insolvenza e successivo fallimento, gli amministratori e i soci potrebbero incorrere nel reato di bancarotta fraudolenta (distrattiva). Infatti, trasferire beni tramite fusione può essere equiparato ad un atto distrattivo se compiuto a danno dei creditori prima del fallimento. La difesa penale qui consisterebbe nel sostenere che non c’era fine distrattivo, che l’operazione era nell’interesse della società (ad es. per salvarla), e che nessun bene è stato sottratto alla massa dei creditori (perché confluito in altro soggetto anch’esso responsabile). – In ambito strettamente tributario, se la fusione è usata per evadere imposte con artifizi, può integrare reati di dichiarazione fraudolenta (es. usando artifizi o documenti falsi, art. 3 D.lgs. 74/2000) o sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.lgs. 74/2000, che punisce chi compie atti fraudolenti sui propri beni per evitare la riscossione coattiva di imposte). Ad esempio, incorporare una società in debito col fisco in un’altra all’estero per renderne difficile l’escussione può portare a contestare l’art. 11 citato. Il difensore dovrà evidenziare la genuinità dell’operazione, l’assenza di intenti di sottrazione (magari si era persino comunicato al Fisco, oppure la società risultante è comunque in bonis in Italia…). – Amministratori e responsabilità civile: indipendentemente dalle azioni del creditore, gli amministratori possono essere chiamati a rispondere verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. (per le SPA) o disciplina equivalente se, con atti di mala gestio come fusioni pregiudizievoli, hanno leso la garanzia patrimoniale. Se un creditore non riesce ad attaccare l’atto di fusione in sé, potrebbe rivalersi contro gli amministratori che l’hanno attuata, chiedendo i danni. La difesa sarà dimostrare che l’operazione non era in frode ma anzi volta a migliorare la situazione, e che non vi è nesso causale (argomenti simili a quelli visti). – Responsabilità verso soci di minoranza: anche i soci assenti o dissenzienti potrebbero lamentare che la fusione era lesiva (es. fusione impropria per espellerli, o per trasferire valore altrove). Ma dal punto di vista del debitore, ciò attiene a controversie societarie più che a “frodi”.

In sintesi, per i creditori le armi principali post-fusione sono la revocatoria e la richiesta di risarcimento danni. La società debitrice/fusa avrà buon gioco a difendersi se: – Può esibire e documentare valide ragioni economiche della fusione (ristrutturazione aziendale, necessità di mercato, ecc.), smontando l’accusa di atto solo distrattivo. – Può dimostrare che il creditore in realtà non è stato danneggiato in concreto o ha egli stesso tenuto condotte che hanno aggravato il suo rischio. – Ha rispettato le forme di legge (progetto, termini, ecc.), poiché il rispetto formale già di per sé rende arduo parlare di illecito (anche se non impossibile, in caso di abuso). – Non ha occultato asset: ad es. se emergesse che, prima della fusione, la società ha “alleggerito” il patrimonio trasferendo asset altrove (magari a società estere o ai soci), allora la fusione combinata con questo potrebbe essere vista come un pacchetto fraudolento. Un due diligence trasparente sul patrimonio trasferito può aiutare a mostrare che nulla è sparito.

Di seguito presentiamo una tabella riassuntiva delle contestazioni civilistiche tipiche e delle relative difese dal lato debitore:

Contestazione del creditoreStrumento giuridicoEffetto richiestoDifese del debitore
Opposizione preventiva (fusione lesiva)Art. 2503 c.c. (Ricorso in Tribunale entro 60g)Sospensione o blocco della fusione finché il credito non sia soddisfatto/garantito.– Dimostrare assenza di pregiudizio (fusione non incide sulla garanzia creditore);<br>– Offrire garanzie al creditore;<br>– Contestare in giudizio sostenendo che la fusione rafforza la società risultante.
Fusione in frode ai creditori (post-fusione)Azione di risarcimento danni (illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.)Risarcimento del danno pari al credito perduto (o differenza recupero) – in pratica far rispondere nuovi soci/ammin. col proprio patrimonio o patrimonio sociale residuo.– Negare l’elemento soggettivo: fusione decisa per motivi leciti, nessuna volontà di frode;<br>– Mancanza nesso causale: credito inesigibile a prescindere o creditore negligente (es. non ha opposto);<br>– Dimostrare che il creditore avrebbe potuto soddisfarsi comunque (nessun danno causato dall’atto).
Azione revocatoria (atto in frode)Art. 2901 c.c. (atto a titolo oneroso)Inefficacia relativa della fusione verso il creditore: il creditore agisce come se la fusione non ci fosse stata, sui beni ex società.– Assenza eventus damni: fusione neutra o migliorativa per garanzie creditori (es. nuovo debitore solvibile);<br>– Assenza scientia fraudis: operazione non deliberata in mala fede (motivazioni aziendali reali, cronologia sfavorevole al consilium fraudis);<br>– Far valere eventuale prescrizione (5 anni decorsi);<br>– Terzo in buona fede: se incorporante estraneo, insinuare che non era consapevole (rende più difficile revocatoria).
Azione di simulazione (fusione come schermo fittizio)Art. 1414 c.c. (azione di accertamento)Declaratoria che la fusione è simulata ⇒ inopponibilità piena dell’atto, considerato tamquam non esset (beni come ancora del debitore originale).– Contestare esistenza di accordo simulatorio: chiedere prove concrete;<br>– Mostrare che gli effetti della fusione sono stati reali (integrazione avvenuta, nessun accordo occulto);<br>– Sostenere che, mancando prova simulazione, la domanda semmai si traduce in revocatoria (meno radicale).
Responsabilità amministratori (per atto pregiudizievole)Artt. 2394 c.c. (azione da creditori sociali)Risarcimento del danno patrimoniale sofferto dai creditori a causa di atti di mala gestio (fusione distrattiva) – di regola verso amministratori/soci che hanno deciso l’operazione.– Dimostrare che la fusione non era atto di mala gestio ma scelta ragionevole (business judgment rule: scelta nell’interesse della società, magari per salvarla);<br>– Contestare il nesso tra decisione e danno al creditore (che potrebbe derivare da altre cause);<br>– Sollevare eccezioni procedurali (es. prescrizione dell’azione di responsabilità: 5 anni).

Contestazioni fiscali: abuso del diritto ed elusione nella fusione

Le fusioni societarie, oltre agli effetti civilistici, hanno spesso rilevanti conseguenze fiscali. Possono emergere, ad esempio, possibilità di utilizzare perdite fiscali pregresse, di trasferire crediti d’imposta o dedurre interessi passivi in modo più vantaggioso. Proprio per questo, l’Amministrazione finanziaria presta molta attenzione alle operazioni straordinarie come fusioni, scissioni, trasformazioni, per individuare possibili condotte di elusione fiscale o abuso del diritto. In questa sezione esamineremo come il Fisco può contestare una fusione ritenuta “abusiva”, quali sono i criteri (normativi e giurisprudenziali) per distinguere operazioni lecite da operazioni elusive, e quali difese può opporre la società contribuente (debitore d’imposta) accusata di aver fatto una “fusione simulata” a fini fiscali.

Profili fiscali delle fusioni: perdite, interessi passivi e altri vantaggi

Anzitutto, ricordiamo quali sono i principali profili fiscali di una fusione che potrebbero incentivare comportamenti abusivi: – Riporto delle perdite fiscali: nella fusione, la società risultante può in teoria utilizzare le perdite pregresse portate in dote dalle società fuse. Il TUIR (DPR 917/86) prevede però limitazioni (art. 172, c.d. test di vitalità e limiti pro-rata) per evitare l’acquisto di “scatole vuote” al solo fine di sfruttarne le perdite. Nonostante ciò, operazioni di fusione tra società dello stesso gruppo sono talvolta studiate per concentrare perdite e utili in un unico soggetto, riducendo le imposte dovute. – Sterilizzazione di plusvalenze: la fusione non genera plusvalenze tassabili immediate, diversamente da una compravendita di assets. Un’azienda può fondersi con un’altra trasferendo beni ad alto valore latente senza far emergere imponibile (salvo l’eventuale affrancamento volontario pagando un’imposta sostitutiva). Dunque, la fusione potrebbe eludere imposte su plusvalenze che sarebbero emerse vendendo quegli assets separatamente. – Deduzione di interessi passivi: operazioni di merger leveraged buy-out (MLBO) o comunque di fusione post-acquisizione con indebitamento possono permettere di far gravitare il debito (contratto per acquisire una società) sulla società target fusa, deducendo gli interessi passivi con il reddito di quest’ultima. In generale, se la fusione accolla debiti a una società con redditi tassabili, gli interessi passivi possono abbattere la base imponibile. Questo è un tipico schema di possibile elusione se l’operazione è fatta essenzialmente per generare un risparmio fiscale tramite deduzioni. – Esenzioni o regime PEX: se una società deteneva partecipazioni che vendute avrebbero generato plusvalenze tassabili (anche se parzialmente esenti), una fusione può farle transitare tali partecipazioni ad altro soggetto senza tassazione. – Imposte indirette: in alcuni casi, la fusione (atto societario) sconta imposta di registro in misura fissa, mentre una cessione di beni avrebbe scontato imposta proporzionale. Anche qui può annidarsi un vantaggio (meno rilevante rispetto alle imposte dirette, ma da considerare).

Quando una fusione è considerata elusiva? Semplificando, secondo l’art. 10-bis L. 212/2000, è elusiva se realizza essenzialmente vantaggi fiscali indebiti, senza sostanza economica. La norma fornisce parametri: – Sostanza economica assente se: le operazioni sono incoerenti rispetto alla normale pratica o ai normali schemi giuridici (es. uso abnorme di una società veicolo); oppure i passi dell’operazione, pur formalmente a norma, si annullano a vicenda o sono ridondanti al solo fine di creare un vantaggio fiscale (es. A incorpora B, poi pochi mesi dopo B viene “scissa” di nuovo: se questi passaggi non hanno logica se non quella di spostare basi imponibili, il Fisco li guarda con sospetto). – Vantaggio fiscale “essenziale”: vuol dire che, al netto di considerazioni tributarie, l’operazione non avrebbe una valida ragion d’essere o comunque il risparmio d’imposta appare come la motivazione preponderante.

La giurisprudenza di legittimità ha nel tempo costruito un orientamento solido: il contribuente ha libertà di scelta tra diverse operazioni, anche se alcune sono fiscalmente più vantaggiose, finché ciascuna operazione è genuina. È stato affermato che “il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza non marginale di ragioni extrafiscali” . Dunque non basta il vantaggio fiscale in sé a provare l’abusose c’è almeno una motivazione economica non trascurabile. Un’operazione fiscalmente vantaggiosa ma consentita dall’ordinamento e spiegabile anche altrimenti che col risparmio d’imposta è lecita .

La Cassazione ha applicato tali principi anche alle fusioni: – Con ordinanza n. 35398/2021 ha stabilito che “non integrano abuso del diritto le operazioni straordinarie sul capitale giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche d’ordine organizzativo o gestionale, che mirano a un miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa (come nel caso di fusione di più società finalizzata a ridurre il numero di entità tramite creazione di una nuova compagine societaria), volte non a un indebito risparmio d’imposta ma a semplificare e razionalizzare l’intera struttura gestionale e ad abbattere i costi complessivi” . Questa massima, tratta appunto da Cass. 35398/21, evidenzia un esempio specifico: una fusione finalizzata a ridurre il numero di società e a razionalizzare un gruppo – benché possa portare a risparmiare imposte (meno società = meno costi fiscali, uso di perdite etc.) – non è elusiva perché ha un chiaro vantaggio extrafiscale (semplificazione, riduzione costi). – Altro esempio: Cass. n. 439/2015 (richiamata da pronunce successive) disse che la scelta del contribuente tra diverse operazioni (anche con differente carico fiscale) deve essere garantita , salvo che l’unica spiegazione sia il risparmio d’imposta. Quindi, se la fusione è semplicemente una tra varie opzioni e non appare artificiosa, non può essere contestata solo perché fiscalmente meno onerosa di un’alternativa.

Caso particolare: Leveraged Buy-Out (LBO) e fusione

Il Leveraged Buy-Out (acquisizione tramite indebitamento) spesso si completa con la fusione tra la società target e la società veicolo che ha contratto il debito per acquistarla. Questo consente di far gravare il debito sulla target (ora fusa) e ripagare i finanziatori con i flussi della target stessa. Fiscalmente, comporta che gli interessi passivi sul debito di acquisizione diventano deducibili dai redditi della target. È un’operazione che può essere economicamente giustificata (acquisizione di un’azienda finanziata a debito), ma il Fisco la guarda attentamente perché può celare abusi, specie se i soggetti coinvolti coincidono.

La normativa italiana (art. 2501-bis c.c.) prevede e disciplina espressamente la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, richiedendo alcune cautele (es. relazione degli amministratori sulla ragionevolezza dell’operazione, etc.). Civilisticamente quindi il MLBO è ammesso. Fiscalmente, come nota la Cassazione, di per sé non è vietato né costituisce di per sé abuso . Tuttavia, può diventare abusivo se: – L’unico scopo era ottenere un indebito vantaggio fiscale (dedurre interessi) senza una reale necessità economica di quell’indebitamento o senza reale trasferimento di controllo. – Ad esempio, se i soci di una società creano una newco, la newco si indebita per comprare la società stessa (dagli stessi soci magari, i quali incassano il prezzo), poi fondono la newco con la “vecchia” società: il risultato è che la società continua con gli stessi asset e stessi soci di prima, ma ora ha un grosso debito e può dedurre gli interessi generati da un’operazione che in sostanza era un leveraged cash-out (i soci hanno incassato i soldi del prestito). Ecco, uno schema del genere è altamente sospetto di abuso: i soci hanno tirato fuori soldi sfruttando la leva fiscale degli interessi, senza alcuna vera nuova combinazione imprenditoriale (è la medesima impresa di prima, solo appesantita di debiti per generare deduzioni).

Proprio su tale fattispecie si è pronunciata la Cassazione in tempi recenti: – Cass. 13914/2023: caso di fusione inversa in un’operazione di MLBO. La Corte ha ribadito i principi generali (validità dell’operazione se vi sono ragioni extrafiscali), ma ha anche valutato la specifica circostanza che alcuni soci della società acquisita erano rimasti soci (di minoranza) della società finale . L’Agenzia delle Entrate arguiva che ciò era segno di un disegno abusivo (in pratica i vecchi soci in parte erano ancora dentro l’operazione, quindi non era un vero cambio di controllo). La Cassazione, in quella sentenza, pare aver respinto il ricorso dell’Agenzia (dichiarando infondato il motivo di ricorso sul punto) perché probabilmente ha ritenuto che le ragioni economiche addotte fossero valide. Dalla motivazione emergono passaggi fondamentali: – Richiamo alla circolare 6/E del 2016 che tratta di LBO: la difesa dell’Agenzia diceva che quella circolare invita comunque a non abbandonare la contestazione se nell’operazione “hanno concorso i medesimi soggetti che direttamente o indirettamente controllano la target” . Quindi il Fisco sostiene: se i vecchi proprietari sono coinvolti nell’LBO, è segno che potrebbe essere un LBO autofatto, ergo abusivo. Però la Cassazione rigetta il motivo, segno che non basta ciò a provare l’abuso se c’erano elementi sostanziali. – La Corte afferma che l’onere di provare valide ragioni extrafiscali spetta al contribuente (confermando che, una volta contestato l’abuso, il contribuente deve giustificare l’operazione) . Nel caso di specie, sembra che la società avesse addotto come ragione una riorganizzazione partecipativa, ma il Fisco riteneva non provata l’utilità di usare una società veicolo dormiente .

In sintesi, Cass. 13914/2023 suggerisce: – LBO e fusione: leciti se funzionali ad acquisizioni reali e riorganizzazioni, – ma se il veicolo è palesemente artificioso (società inattiva usata a scopo fiscale) e i soggetti alla fine sono gli stessi, il Fisco può ancora contestare (anche secondo le proprie circolari). – Il giudice valuterà caso per caso se quelle ragioni extrafiscali esistono e sono non marginali. In 13914/23, la Cass. sembra aver dato ragione al contribuente, magari ravvisando che l’operazione aveva comunque una logica industriale.

  • Cass. 18577/2025: questa ordinanza (Sez. Trib.) va menzionata perché costituisce un aggiornamento rilevante. Da quanto emerso, la Corte in quel caso ha stabilito che “configura condotta abusiva ai sensi dell’art. 37-bis d.P.R. 600/1973 l’operazione di leveraged buy-out caratterizzata dalla deduzione di interessi passivi…” . Il testo disponibile è incompleto, ma lascia intendere che in tale pronuncia la Cassazione ha effettivamente riconosciuto un abuso in uno schema LBO. Probabilmente si trattava di un caso in cui l’acquisizione con debito e successiva fusione erano prive di reale sostanza economica aggiuntiva, e l’unico effetto rilevante era la deduzione fiscale degli interessi (magari con gli stessi soggetti a monte e a valle dell’operazione). Questo bilancia quanto sopra: non tutti i LBO passano indenni, se i fatti evidenziano chiaramente un disegno elusivo la Cassazione lo censura. L’art. 37-bis DPR 600/73 citato era la norma anti-elusiva vigente per i periodi d’imposta antecedenti l’entrata in vigore di art. 10-bis (2015), quindi il caso riguardava probabilmente annualità vecchie, ma i principi sono analoghi.

Difendersi da una contestazione di abuso su fusione (specie LBO): Per la società contribuente, e il suo difensore, gli elementi chiave di difesa sono: – Valide ragioni extrafiscali: predisporre fin dall’inizio una documentazione robusta che illustri le ragioni economico-giuridiche della fusione. Ad esempio, verbali assembleari, relazioni degli amministratori ex art. 2501-quinquies c.c. ben dettagliate indicando le sinergie attese, la situazione di mercato, ecc. Se l’operazione è monitorata ex art. 2501-bis (LBO), quella relazione ad hoc è doppiamente importante: deve spiegare perché l’indebitamento è sostenibile e utile all’impresa. Tali documenti saranno preziosi in contenzioso per provare che il risparmio fiscale era accessorio rispetto a un progetto di riorganizzazione. – Dimostrare la sostanza economica: ad esempio, nel caso LBO, far vedere che c’è stato effettivamente un cambio di controllo o un passaggio generazionale, o comunque un ingresso di nuovi investitori, piuttosto che i vecchi soci dietro tutto. Se sono gli stessi, è più complicato. Se invece c’è un nuovo socio di maggioranza che ha usato la leva finanziaria per acquistare, questo è un fine economico (acquisire quell’azienda) e gli interessi dedotti sono conseguenza fisiologica. – Non nascondere i motivi fiscali: la normativa antiabuso invita a dichiarare eventualmente nell’atto o in documenti di supporto se un certo trattamento fiscale è atteso. Questo non è obbligatorio, ma in difesa può essere utile averlo fatto, perché dimostra trasparenza. Ad esempio, chiedere un interpello preventivo all’Agenzia delle Entrate (interpello anti-abuso) è spesso consigliabile se si teme una contestazione: se l’Agenzia risponde positivamente, si è tranquilli; se risponde negativamente, almeno si conosce il rischio e magari si ridisegna l’operazione. Se non si interpella e poi arriva l’accertamento, si dovrà lottare in contenzioso. – Contestare la mancanza di vantaggio indebito: a volte il Fisco considera “indebito” un risparmio di imposta che però è diretta conseguenza di una scelta consentita dalla legge. Un buon esempio è stata una vicenda (Cass. 868/2019) dove si disse: se la legge stessa consente certe opzioni, non si può punire il contribuente che scegliendo quell’opzione risparmia tasse . Nel contesto fusione, se l’ordinamento prevede la neutralità fiscale della fusione e il contribuente ne usufruisce, non è automaticamente abuso. Occorre che abbia forzato la mano. Quindi la difesa potrà argomentare: “Sto solo applicando la legge sulle fusioni, il vantaggio è quello voluto dal legislatore (continuità di valori, uso delle perdite nei limiti, etc.), non c’è nulla di indebito”. Questo ragionamento però va usato con cautela: se davvero l’unico scopo era sfruttare un loophole, il giudice potrebbe replicare che lo scopo elusivo era prevalente.

Procedura dell’art. 10-bis: Ricordiamo che, oggi, se l’Agenzia delle Entrate intende contestare un abuso, deve notificare un apposito avviso al contribuente, il quale ha diritto di presentare controdeduzioni entro 60 giorni (è una sorta di contraddittorio preventivo obbligatorio). Solo dopo l’ufficio può emettere l’atto di accertamento, motivando perché le giustificazioni del contribuente sono infondate. In giudizio poi, l’Amministrazione ha l’onere di dimostrare la natura abusiva dell’operazione (cioè la mancanza di sostanza economica e il vantaggio indebito) e il contribuente può provare viceversa l’esistenza di ragioni extrafiscali meritevoli (così prevede l’art. 10-bis). Dunque la difesa comincia già in sede amministrativa: è fondamentale rispondere in maniera articolata a quel primo avviso, fornendo tutta la documentazione utile a convincere l’ufficio. Se poi si arriva in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria), quei documenti e argomenti costituiranno la base del ricorso.

Fusione transfrontaliera ed esterovestizione: abuso del diritto?

Un capitolo a parte meritano le fusioni transfrontaliere, ossia tra società di Stati diversi (ad esempio una SRL italiana che si fonde con una società di diritto estero, UE). Dal 2005 le fusioni transfrontaliere nell’UE sono regolate da direttive (2005/56/CE, ora rifusa nella Direttiva (UE) 2017/1132) e in Italia dal d.lgs. 108/2008. Tali norme hanno l’obiettivo di facilitare le operazioni societarie transnazionali nel mercato unico, ma prevedono anche tutele per soci e creditori analoghe a quelle interne (pubblicità, diritto di opposizione dei creditori secondo la legge della società che si estingue, ecc.).

Un uso strumentale della fusione transfrontaliera potrebbe consistere nel trasferire la sede legale e fiscale di una società italiana all’estero (dove magari la tassazione è inferiore o la disciplina dei creditori più favorevole), tramite fusione con una società straniera. Ad esempio, una società italiana indebitata potrebbe fondersi per incorporazione in una società di un altro paese e cessare in Italia. Questo pone problemi di: – Creditori italiani: dovranno eventualmente inseguire la società risultante all’estero per recuperare i loro crediti. L’opposizione dei creditori, se la società italiana è coinvolta, avviene secondo la legge italiana (quindi 60 giorni dall’iscrizione progetto in Italia). Se i creditori non oppongono o non ottengono tutela, la fusione transfrontaliera diviene efficace. Dopo, possono tentare un’azione revocatoria in Italia? La giurisprudenza sembra favorevole: Cass. 2153/2021 ha ritenuto ammissibile la revocatoria ordinaria anche di un atto di fusione o scissione transfrontaliera, in un caso seguìto a un rinvio pregiudiziale (causa C-394/18 della Corte di Giustizia UE) . In particolare, la CGUE nel 2020 (causa C-394/18, caso IGI vs Cicenia) ha riconosciuto che le norme UE sulle fusioni transfrontaliere non impediscono ai creditori di utilizzare strumenti come la revocatoria secondo il diritto nazionale, purché non ostacolino ingiustificatamente la libertà di stabilimento. Insomma, l’ordinamento cerca un bilanciamento: le operazioni cross-border non devono servire per eludere le ragioni dei creditori. Se c’è abuso, i creditori possono agire. – Profilo fiscale internazionale: se la fusione porta alla scomparsa del soggetto fiscale italiano, l’Amministrazione potrebbe temere un fenomeno di esterovestizione (fittizio trasferimento all’estero di una società che in realtà continua ad avere attività in Italia) o altre forme di abuso (ad es. portare beni all’estero senza tassazione). La legge prevede in realtà che, se una società trasferisce all’estero la residenza o si fonde in una estera, vi sia la tassazione di realizzo sui componenti latenti (exit tax, salvo sospensioni/regimi speciali intra-UE). Quindi, dal lato imposte, l’eventuale vantaggio può essere rimandare l’imposizione o sfuggire a controlli. L’Agenzia delle Entrate vigilerebbe su questi casi e, se la società continua di fatto ad avere direzione in Italia, potrebbe contestare che non vi è stato un vero trasferimento (società estera come schermo: ipotesi di abuso/esterovestizione).

Difendersi nelle fusioni transfrontaliere: – Se un creditore italiano agisce (revocatoria o risarcitoria) sostenendo che la fusione transfrontaliera era in frode, la società (o i soci) dovranno mostrare che l’operazione aveva una logica industriale (es. integrazione con partner estero, accesso a nuovi mercati, ecc.) e non era volta a far perdere le tracce ai creditori. Spesso, fusioni transfrontaliere all’interno di gruppi multinazionali hanno ragioni legittime (semplificare la struttura internazionale, concentrare attività in un solo soggetto UE, ecc.). Far emergere queste ragioni è fondamentale. Inoltre, l’eventuale predisposizione di garanzie per i creditori prima della fusione (la legge consente che la società possa offrire garanzie e il Tribunale autorizzi la fusione nonostante opposizioni) può essere un elemento a favore: “vedete, abbiamo tutelato i creditori, non li abbiamo voluti danneggiare”. – Sul piano tributario, se la fusione è usata per spostare utili tassabili in un paese a fiscalità minore, la difesa dovrà dimostrare che la società estera risultante ha substance (personale, attività genuine) e che non si tratta di una mera scatola trasferita. Altrimenti, il Fisco italiano potrebbe ignorare la residenza estera e continuare a tassare la società come residente (se ne ha i criteri). – Potrebbe essere utile menzionare anche il principio dell’abuso del diritto in ambito UE: la Corte di Giustizia ha affermato in diversi casi (es. Cadbury SchweppesHalifax) che gli Stati possono contrastare utilizzi abusivi della libertà di stabilimento o di meccanismi armonizzati quando l’obiettivo principale è eludere norme nazionali. Nel contesto di fusione transfrontaliera, se l’operazione è meramente strumentale ad evitare obblighi (fiscali o di altra natura) dello Stato di origine, potrebbe configurarsi abuso di diritto UE. Quindi l’Italia sarebbe legittimata a contrastarla con misure proporzionate. Ad esempio, se una società italiana si fonde in una società di comodo in un altro Stato solo per sottrarsi alle norme italiane sulla responsabilità patrimoniale o fiscali, l’ordinamento italiano può disconoscere tali effetti verso i creditori o continuare ad applicare le sue norme (sempre che ciò non violi la direttiva, ma come visto la CGUE non ha escluso i rimedi come revocatoria).

Sentenza esemplare: Il caso Omega (citato in Cass. 5602/2020 e nella giurisprudenza europea) è paradigmatico: una società italiana coinvolta in un grave disastro ambientale spostò asset su altre società e infine fuse la parte “sana” in una società inglese (c.d. fusione Alfa-Holdco inglese). I ministeri creditori (per il danno ambientale) cercarono di far dichiarare illegittima la fusione transfrontaliera fuori termine . Pare che inizialmente il Tribunale respinse l’azione perché fuori tempo (non era stata usata l’opposizione nei 60 giorni) e perché ormai l’operazione era compiuta. La questione arrivò in Cassazione e alla CGUE. Probabilmente il risultato è stato riconoscere ai creditori solo rimedi risarcitori o revocatori, ma non l’invalidazione dell’operazione (coerente con art. 2504-quater). Questo insegna ai creditori che devono essere reattivi, e ai debitori che le operazioni transfrontaliere, se ben orchestrate e in rispetto formale delle direttive, sono difficili da “smontare”, ma non impossibili da attaccare in altro modo.

Differenze tra abuso fiscale e abuso civile (violazione fraudolenta)

Per completezza, riepiloghiamo la differenza di approccio tra: – Contestazione fiscale di abuso: è rivolta a negare benefici fiscali. Non mette in discussione l’atto civilistico in sé (la fusione rimane valida e produttiva di effetti tra le parti e verso terzi), ma ai fini tributari l’operazione viene “disconosciuta” o riqualificata. Ad esempio, il Fisco potrebbe riqualificare una fusione seguita da scissione immediata come se fosse stata una cessione di beni con tassazione piena, se ritiene che quello fosse il vero scopo (applicando art. 10-bis, comma 4: i negozi vengono riqualificati secondo la loro sostanza economica). Il contribuente in caso di sconfitta subisce il recupero delle imposte risparmiate più interessi, e (in base alle norme attuali) sanzioni amministrative solo se la condotta integrava anche violazioni specifiche. Infatti l’art. 10-bis prevede che l’abuso di per sé non dà luogo a sanzioni penali né amministrative. Se però il Fisco qualifica diversamente l’operazione e trova che ci fu, ad esempio, omessa fatturazione o altro, potrebbe comminare sanzioni su quelle violazioni. – Contestazione civile (creditori): mira a rendere inefficace la fusione o a ottenere danni. Non riguarda vantaggi fiscali, ma la garanzia patrimoniale. In una certa misura, il giudice civile può valutare l’operazione “in frode” e quindi trattarla come se non fosse opponibile, ma non la annulla per tutti. Sanzioni civili dirette non ce ne sono (a parte il risarcimento danni); però, come detto, se c’è fallimento, interviene il diritto concorsuale e possibilmente sanzioni penali.

Spesso, comunque, abuso fiscale e pregiudizio ai creditori possono coesistere: ad esempio una società indebitata col fisco fa una fusione/elusione per evitare di pagare le imposte e nel contempo danneggia la riscossione coattiva (qui la controparte è il Fisco ma in veste di creditore). In tal caso, l’Agenzia potrà: – Sia usare strumenti tributari (accertamento per abuso, se parliamo di minor imposta dichiarata, oppure se non è questione di dichiarazione ma di sottrazione beni per non pagare cartelle, userà l’azione revocatoria o la denuncia penale per sottrazione fraudolenta). – Sia iscriversi a ruolo e procedere a riscossione sul nuovo soggetto (dato che l’incorporante risponde dei debiti tributari ex art. 172 co.5 TUIR e art. 15 d.lgs. 472/97: c’è responsabilità solidale della società risultante per le imposte della incorporata, salvo certe limitazioni).

Un debitore intelligente dovrebbe considerare sin dall’inizio che: – I debiti tributari non si eliminano con la fusione: i debiti fiscali dell’incorporata passano all’incorporante per legge . E, come visto, il trasferimento d’azienda o la fusione non libera il cedente/incorporato dai debiti senza il consenso dei creditori . Questa è una costante: un imprenditore individuale che conferisce l’azienda in una società e pensa di “togliersi” i debiti rimarrà in realtà obbligato in solido, a meno che ogni creditore accetti esplicitamente di liberarlo (cosa rara). Lo chiarisce Cass. 5088/2024: “il conferimento dell’azienda individuale in una società… non libera l’alienante dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, salvo consenso espresso dei creditori” . Quindi, i creditori anteriori restano comunque garantiti su due fronti (cedente e cessionario). Nella fusione societaria, il concetto è leggermente diverso perché non c’è “cedente” e “cessionario”: però la società risultante risponde di tutto e i soci della società estinta (se hanno ricevuto qualcosa, come quote, o in caso di scissione beneficiaria) possono anche loro rispondere entro limiti. Insomma, il debitore non può semplicemente dire “non sono più io, arrangiatevi col nuovo soggetto” e lavarsene le mani. Legalmente la sua posizione può cambiare (socio invece che società debitrice), ma la responsabilità patrimoniale segue i beni. – Attenzione alle soglie penal-tributarie: se l’operazione riduce fittiziamente l’imponibile e l’imposta evasa supera soglie di punibilità (per dichiarazione fraudolenta o infedele), l’amministratore rischia sul penale. L’abuso del diritto di per sé non è reato, ma il confine è sottile: usare documenti falsi per simulare la fusione o per creare basi fittizie sarebbe dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Perciò, la difesa in ambito penale consisterà nel sostenere che tutto era formalmente vero e regolare (quindi, semmai elusione ma non frode). Ad esempio, Cass. 34407/2024 pen. (ipotizziamo dal riferimento) punisce la dichiarazione fraudolenta con uso di fatture per operazioni inesistenti – fattispecie diversa, ma per dire: se la fusione comporta atteggiamenti simulatori documentali, scatta la frode.

Domande Frequenti (FAQ)

D: Cosa significa esattamente “fusione societaria simulata”?
R: Si intende una fusione che, pur essendo formalmente deliberata e attuata, viene contestata perché avrebbe scopi illeciti o manca di una reale sostanza economica. In pratica viene “simulata” un’operazione unitaria, ma il suo vero obiettivo è un altro: tipicamente, frodare i creditori o eludere il Fisco. Ad esempio, si parla di fusione simulata se una società si fonde solo per far sparire la società debitrice, confondendone i beni altrove, oppure se due società si fondono unicamente per far utilizzare le perdite fiscali di una all’altra, senza alcuna valida ragione imprenditoriale. È un termine non tecnico, che ricomprende sia ipotesi di simulazione civilistica (accordo occulto tra le parti per fingere una fusione), sia ipotesi di abuso del diritto (operazione reale ma volta ad aggirare norme). In ogni caso, la “simulazione” qui implica un uso ingannevole dello strumento fusione.

D: Dopo quanto tempo dalla fusione i creditori non possono fare più nulla?
R: Dipende dal rimedio. L’opposizione va fatta prima che la fusione sia attuata, entro 60 giorni dall’iscrizione del progetto (o del deliberato) di fusione. Scaduto quel termine, i creditori non possono più bloccare la fusione. Tuttavia, una volta avvenuta la fusione, essi possono ancora agire: l’azione revocatoria ordinaria ha un termine di decadenza di 5 anni dalla fusione (art. 2903 c.c.), quindi entro 5 anni possono chiederne l’inefficacia relativa . L’azione di simulazione, se ipotizzabile, non ha un termine fisso di decadenza (segue le regole generali, può essere esercitata dal terzo finché il suo diritto non è prescritto). L’azione di responsabilità verso amministratori per atto in frode ai creditori si prescrive in 5 anni dall’atto (orientativamente). In ambito fallimentare, come visto, la società incorporata può essere dichiarata fallita entro 1 anno dalla cancellazione , e il curatore può esercitare la revocatoria fallimentare (con termini più brevi, es. 2 anni per atti a titolo oneroso con determinate condizioni). Dunque, trascorsi 5 anni l’operazione diventa tendenzialmente “sicura” da azioni revocatorie ordinarie; e trascorso 1 anno è immune da fallimento postumo dell’estinta. Resta sempre salvo che i creditori possono agire per danni entro il normale termine di prescrizione (5 anni dal momento in cui hanno subito danno e scoperto la fusione, tipicamente). In sintesi: passati 5 anni, la fusione è difficilmente attaccabile. Ma per sicurezza, è bene considerare il termine annuale se la società era insolvente (rischio fallimento).

D: Il creditore può chiedere che la fusione sia annullata o invalidata?
R: No, non in via diretta. La legge impedisce espressamente di pronunciare l’invalidità (nullità/annullamento) della fusione dopo che è efficace (art. 2504-quater c.c.) . Questo vale sia per i creditori sia per chiunque altro. L’unica eccezione potrebbe essere un caso di falsità radicale (es. fusione deliberata con documenti falsi?), ma in pratica neanche in quel caso si annullerebbe l’atto, si perseguirebbe penalmente i colpevoli e si darebbero risarcimenti. Il creditore può tutt’al più ottenere che la fusione sia dichiarata inefficace nei suoi confronti (con la revocatoria) , oppure ottenere misure conservativo-esecutive (pignorare beni confluiti). Non può però “far tornare indietro” il tempo e resuscitare le società fuse, perché ciò pregiudicherebbe troppi interessi di terzi che hanno fatto affidamento sull’operazione.

D: Se la fusione è stata fatta per non pagare i debiti, i soci o gli amministratori rischiano qualcosa?
R: Sì. In ambito civile, come detto, gli amministratori che hanno approvato/eseguito una fusione pregiudizievole possono rispondere di mala gestio verso i creditori sociali (azione ex art. 2394 c.c. per SPA, applicabile anche a SRL analogicamente). I soci che hanno beneficiato dell’operazione in danno ai creditori potrebbero a loro volta essere coinvolti in azioni risarcitorie (specie se hanno agito di concerto con gli amministratori in una frode). In ambito penale, se la manovra configura distrazione di beni e poi l’azienda fallisce, gli amministratori e possibili complici rischiano l’incriminazione per bancarotta fraudolenta. Sul fronte fiscale, se l’intento di non pagare le imposte sfocia in atti fraudolenti (ad esempio alienazione simulata di beni sociali per sottrarli al Fisco), scatta il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.lgs. 74/2000). Inoltre, se nella fusione si sono usati elementi passivi fittizi o altri artifici in dichiarazione, può esservi dichiarazione fraudolenta. Dunque, i responsabili non sono immuni: anche se la fusione in sé non può essere annullata, soci e amministratori potrebbero dover rispondere con il proprio patrimonio (nel caso di azioni di responsabilità o risarcitorie) o addirittura penalmente, qualora ricorrano gli estremi.

D: Una fusione transfrontaliera può essere impugnata perché considerata un abuso?
R: In linea di principio, , con gli stessi strumenti visti. Non esiste una specifica disciplina che “immunizzi” le fusioni transfrontaliere da contestazioni di abuso o frode. La differenza è che qui entrano in gioco due ordinamenti. Di solito, ciascun aspetto viene trattato secondo la legge applicabile: i creditori della società italiana useranno i rimedi italiani (opposizione in primis, poi revocatoria/danni in Italia), i creditori esteri quelli del loro paese. La Corte di Giustizia UE ha riconosciuto la legittimità di applicare le norme anti-abuso nazionali, purché non discriminino le operazioni transfrontaliere rispetto a quelle interne. Ad esempio, se in Italia ammettiamo la revocatoria per fusione domestica, la ammetteremo anche per fusione transfrontaliera; ciò non viola la libertà di stabilimento. Quindi un creditore italiano può promuovere in Italia un’azione revocatoria contro l’atto di fusione (efficace in Italia) se ritiene fosse in frode . Oppure, l’Agenzia delle Entrate può contestare che l’operazione è volta solo a trasferire utili all’estero e disconoscere benefici fiscali, secondo la disciplina dell’abuso (magari coordinandosi con l’amministrazione estera per la tassazione). In pratica, il fatto che la fusione sia transfrontaliera non la rende immune da controlli su abuso o frode; semmai li complica, perché serve cooperazione tra autorità e tribunali di diversi paesi. Va segnalato che, nel caso la fusione riguardi un trasferimento di sede all’estero (cioè società italiana che si fonde in estera e sparisce), la legge prevede che il fisco italiano applichi l’exit tax sugli asset che escono dalla giurisdizione. Dunque, sul piano fiscale c’è già una tutela (pagare le imposte latenti). Se questo è avvenuto correttamente, difficilmente il fisco contesterà l’abuso, a meno che sospetti che in realtà la società continua ad operare in Italia sotto mentite spoglie (esterovestizione). In conclusione: sì, si possono impugnare, e il debitore dovrà difendersi come per le altre fusioni, spiegando che non vi era intento di eludere creditori né il fisco, ma motivi reali (es. necessità di spostare il quartier generale in un altro paese per mercato, ecc.).

D: Cosa può fare un imprenditore individuale pieno di debiti: può conferire la sua ditta in una nuova società e far fallire la vecchia identità?
R: Un imprenditore individuale potrebbe pensare di trasferire tutti i suoi beni aziendali in una società (di persone o di capitali, magari SRL unipersonale di cui egli è unico socio) e così isolare il patrimonio dell’azienda, lasciando i debiti in capo a sé come persona fisica “vuota”. Purtroppo per lui, la legge non gli permette di scrollarsi di dosso i debiti pregressi con un semplice conferimento. La Cassazione ha ribadito nel 2024 che, quando conferisci un’azienda individuale in una società, non sei liberato dai debiti inerenti all’azienda senza il consenso espresso dei creditori . Quindi i creditori possono ancora agire sul tuo patrimonio personale (che ora consiste essenzialmente nelle quote della società ricevute in cambio del conferimento). Possono pignorare quelle quote, ad esempio, o eventualmente esercitare revocatoria se il conferimento ha leso la garanzia. Per di più, il codice civile (art. 2560 c.c.) rende la società conferitaria responsabile in solido dei debiti aziendali anteriori, se questi risultano dai libri contabili obbligatori. Dunque il creditore dell’imprenditore individuale, dopo il conferimento, potrà agire sia contro l’imprenditore sui suoi beni residui (quote societarie) sia direttamente contro la società per i debiti dell’azienda (almeno per quelli iscritti nei libri contabili). In pratica, “vendere” la propria ditta con debiti non fa sparire i debiti: seguiranno l’imprenditore e spesso colpiranno anche l’acquirente (o la società conferitaria) . Se poi l’imprenditore individuale sperava di evitare il fallimento conferendo l’azienda e cessando la partita IVA, va considerato che potrebbe comunque essere dichiarato fallito come persona fisica entro un anno dalla cessazione se aveva requisiti di fallibilità e i debiti rimangono. Insomma, le scorciatoie puramente formali non funzionano bene: i creditori hanno vari strumenti per inseguire il patrimonio trasferito. Una soluzione lecita potrebbe essere negoziare con i creditori una ristrutturazione o usare procedure come il concordato o la composizione negoziata della crisi prima di fare operazioni societarie.

D: Quali sono le sentenze più importanti da citare in materia (aggiornate al 2025)?
R: Riassumiamo alcuni precedenti giurisprudenziali chiave: – Cass. civ. Sez. I, 31654/2019: ha sancito l’ammissibilità dell’azione revocatoria contro fusioni e scissioni, chiarendo il rapporto con l’art. 2504-quater c.c. (fusione efficace non invalida ma revocabile inopponibilità) . – Cass. civ. Sez. Un. 5089/2025: ha risolto questioni di competenza sulla revocatoria di scissione, confermando implicitamente che tali azioni possono essere proposte. Rileva per procedure concorsuali. – Tribunale Milano, 15.06.2020 (massima pubblicata 2022): in tema di fusione in danno ai creditori, ha delineato l’onere del creditore e le situazioni in cui la prova fallisce (ragioni non pretestuose, mancata opposizione, ecc.) . – Cass. civ. Sez. I, 14414/2024: ha affermato che la società incorporata insolvente può essere dichiarata fallita entro 1 anno ex art. 10 l.fall. . – Cass. civ. Sez. V, ord. 35398/2021: in materia fiscale, ha escluso l’abuso in una fusione di razionalizzazione (riduzione società duplicative) affermando il principio delle valide ragioni extrafiscali . – Cass. civ. Sez. V, 13914/2023: caso di MLBO: ha ribadito che LBO e fusione non sono di per sé abuso e richiedono valutazione concreta; ha verosimilmente dato ragione al contribuente su un’operazione di acquisizione con veicolo preesistente, a fronte di determinate giustificazioni . – Cass. civ. Sez. V, ord. 18577/2025: ha riconosciuto come abusivo un LBO con fusione volto principalmente a dedurre interessi passivi (richiamando art. 37-bis DPR 600/73) . – Cass. civ. Sez. II, 230/2025: (indicata da fonti) ha trattato della prova della simulazione da parte del creditore, confermando che il terzo può provarla con ogni mezzo, anche per presunzioni, senza bisogno di controdichiarazione scritta . – Cass. pen. sez. III, 34407/2024: (dal portale finanze) pur riguardando fatture false, ribadisce che l’utilizzo di strumenti fraudolenti (come fatture soggettivamente false legate a contratti simulati) integra reato tributario – avviso per chi travalica nell’illecito penale.

Queste sono alcune delle pronunce più recenti e autorevoli, a cui si aggiungono direttive e atti di prassi (es. Circolare ADE 6/E/2016 su abuso e operazioni straordinarie, Atto di indirizzo MEF 2018 sull’abuso che distingue simulazione e abuso , etc.). È buona pratica, in cause di alto livello, citarle per orientare la decisione del giudice.

D: In caso di contestazione dell’Agenzia delle Entrate per abuso del diritto su una fusione, conviene aderire o difendersi?
R: Dipende dalla solidità delle ragioni economiche dell’operazione e dall’ammontare in gioco. Se l’operazione, a ben vedere, era principalmente fiscale e le chance di vittoria in giudizio appaiono scarse (magari perché ci sono circolari, orientamenti e precedenti contro), potrebbe essere conveniente trovare un accordo col Fisco. Oggi esistono strumenti come l’accertamento con adesione, dove si può discutere una riduzione delle sanzioni (nel caso di abuso puro, per legge sarebbero zero sanzioni, ma spesso l’Agenzia contesta anche violazioni formali per comminarle). Oppure il ravvedimento operoso: se ci si rende conto prima dell’accertamento, si può segnalare al fisco la situazione e pagare il dovuto con interessi minimizzando conseguenze. Viceversa, se si è convinti della bontà dell’operazione (perché ci sono documenti, pareri pro veritate, ecc. che attestano valide ragioni), allora conviene difendersi in giudizio. I giudici tributari negli ultimi anni hanno mostrato sensibilità: se vedono un business purpose credibile, tendono ad annullare gli accertamenti per abuso. Inoltre, la mancanza di sanzioni in caso di abuso riduce il rischio per il contribuente, che al massimo dovrà pagare imposte e interessi come se avesse scelto l’alternativa sfavorevole. Ciò spinge molti a “tentare” il contenzioso, specie su questioni di principio. Va comunque valutato caso per caso con un fiscalista esperto: a volte sono possibili soluzioni intermedie (per es. scissioni parziali correttive, se la controparte è disponibile, per sanare gli effetti senza arrivare alla lite).

D: Quali garanzie hanno i creditori in caso di fusione?
R: Riassumendo: – Opposizione ex art. 2503 c.c.: entro 60 giorni, per ottenere il pagamento o garanzia prima che la fusione si realizzi. È la prima salvaguardia. – Responsabilità solidale della società risultante: la società che resta dopo la fusione risponde di tutti i debiti delle società partecipanti. Quindi il creditore può rivolgersi a lei senza discussioni (a meno che la fusione non sia seguita da altre vicende, es. trasferimenti all’estero, ma di base c’è continuità). – Diritti particolari: se esistevano pegni, ipoteche o privilegi su beni della società fusa, questi seguono i beni sul nuovo soggetto (il creditore ipotecario ad esempio conserva il suo diritto sull’immobile anche dopo la fusione). Quindi le garanzie reali non si perdono. – Revocatoria e azioni postume: come lungamente trattato, i creditori possono far valere l’inefficacia relativa della fusione se compiuta in loro danno, entro certi termini . – Risarcimento danni: possono chiedere i danni a chi ha causato loro pregiudizio con atti illegittimi (amministratori, soci, ecc.). – Se la società risultante è in difficoltà: i creditori possono anche spingerla in fallimento (se insolvente e ne ricorrono i presupposti) per cercare tutela nel concorso dei creditori. – Norme penali: infine, sanzioni penali indirettamente proteggono i creditori, punendo chi li froda (la minaccia di pena scoraggia comportamenti troppo spregiudicati).

In sintesi i creditori non sono privi di armi, ma devono attivarsi e saperle usare in tempo. Dal canto suo, un debitore onesto, che effettua una fusione per ragioni lecite, farà bene a comunicare chiaramente con i creditori, eventualmente fornendo garanzie o assicurazioni, in modo da evitare opposizioni e cause. La trasparenza e il coinvolgimento dei creditori (quando possibile) possono trasformare una potenziale lite in un consenso o quantomeno mitigare i sospetti di frode.

Conclusione

Le fusioni societarie simulate costituiscono una tematica complessa al crocevia tra diritto societario, tutela dei creditori e normativa fiscale anti-elusione. Dal punto di vista del debitore, difendersi con successo implica dimostrare che la fusione contestata: – È realmente avvenuta nei suoi effetti giuridici ed economici (non è una farsa) e non è volta a sottrarre risorse indebitamente. – Era sorretta da ragioni legittime e documentate, sia sotto il profilo civilistico (esigenze di riorganizzazione aziendale, salvataggio, efficienza) che sotto quello fiscale (valide ragioni extrafiscali, business purpose). – Non ha pregiudicato in modo concreto i creditori, o comunque che ogni eventuale pregiudizio è conseguenza di fattori non imputabili alla fusione (ad esempio una crisi già in essere, o inerzia dei creditori stessi). – Ha rispettato la legge in tutti i passaggi formali, a riprova della buona fede (ad es. osservanza dei termini di opposizione, informative doverose, pagamento di eventuali imposte dovute come exit tax, etc.).

Grazie a una giurisprudenza ormai consolidata, sappiamo che i creditori non possono far annullare una fusione, ma possono tutelarsi con efficacia relativa (revocatoria) . Sappiamo anche che l’Amministrazione finanziaria non può sanzionare scelte legittime del contribuente se sostenute da motivazioni economiche credibili . In caso di controversie, spetta poi al giudice valutare caso per caso l’eventuale carattere abusivo o fraudolento dell’operazione, bilanciando la libertà di iniziativa economica (anche di riorganizzarsi come meglio si crede) con l’esigenza di evitare abusi.

Per gli avvocati che assistono società coinvolte in tali vicende, è cruciale: – Conoscere e citare le ultime sentenze rilevanti (come quelle illustrate) per sostenere la propria posizione con autorevolezza. – Saper predisporre in anticipo la documentazione giustificativa delle operazioni straordinarie, così da trovarsi preparati in caso di accertamento fiscale o causa civile. – Valutare tutte le possibili implicazioni (anche penali) e avvisare i clienti sui comportamenti da evitare (qualsiasi falsità o sotterfugio documentale può aggravare enormemente la situazione trasformando un possibile abuso – sanabile con un esborso – in un reato). – Infine, adottare un approccio strategico: a volte la migliore difesa è la prevenzione (es. un interpello al fisco, un accordo coi creditori, una transazione in extremis), altre volte conviene far valere con decisione le proprie ragioni in giudizio.

In conclusione, “come difendersi” dalle contestazioni di fusioni simulate significa in ultima analisi dimostrare la genuinità della fusione. Come ha efficacemente riassunto la Corte di Cassazione, “l’abuso del diritto… non vale ove l’operazione possa spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta” ; e parimenti, una fusione non sarà in frode ai creditori se essa può spiegarsi altrimenti che con l’intento di danneggiarli. L’onere di dare questa spiegazione ricade in larga parte su chi quella fusione l’ha voluta: prepararsi a fornirla è il modo migliore per uscirne vittoriosi.

Fonti: – Codice Civile, artt. 2501-2504-quater, 2901 c.c.; Statuto del Contribuente, art. 10-bis L. 212/2000. – Cass. civ. Sez. I, 04/12/2019, n. 31654 (revocatoria di fusione); Cass. Sez. Un. 5089/2025 (competenza revocatoria scissione); Trib. Milano 15/6/2020 (onere del creditore su fusione in frode). – Cass. civ. Sez. I, 23/05/2024, n. 14414 (fallimento di società incorporata insolvente); Cass. civ. Sez. II, ord. 26/02/2024 n. 5088 (conferimento d’azienda individuale e debiti). – Cass. civ. Sez. V, ord. 19/11/2021 n. 35398 (fusioni non elusive se ragioni extrafiscali); Cass. civ. Sez. V, 19/05/2023 n. 13914 (MLBO e abuso, principi); Cass. civ. Sez. V, ord. 08/07/2025 n. 18577 (schema LBO abusivo con interessi passivi). – Articoli di dottrina e banche dati: Giurisprudenza delle imprese , Diritto della Crisi , ilCaso.it ; circolare AE 6/E/2016 e Atto di indirizzo MEF 2018 (concetto di abuso vs simulazione).

  • Cassazione civile Sez. II ordinanza n. 230 del 7 gennaio 2025
  • Cassazione civile Sez. II ordinanza n. 34480 del 26 dicembre 2024
  • Cass., Sez. 1, 23 maggio 2024, n. 14414, Pres. Abete, Est. Vella
  • Cassazione civile Sez. Trib. ordinanza n. 18577 del 8 luglio 2025
  • Sentenza del 12/09/2024 n. 34407 – Corte di Cassazione

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Le fusioni (per incorporazione o per unione) sono strumenti leciti di riorganizzazione aziendale, utilizzati per accrescere l’efficienza, ottimizzare i costi o consolidare il gruppo. Tuttavia, il Fisco può considerarle simulate quando ritiene che siano state poste in essere solo per nascondere utili, mascherare cessioni di beni o ottenere indebiti vantaggi fiscali.

👉 Prima regola: dimostra che la fusione aveva finalità economiche reali e che non era una mera operazione formale.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Fusioni seguite immediatamente da cessioni di beni o partecipazioni;
  • Società prive di reale operatività coinvolte nella fusione;
  • Attribuzione anomala di beni o riserve ai soci;
  • Valutazioni artificiose dei beni e delle attività conferite;
  • Operazioni a catena utilizzate per spostare patrimoni senza tassazione.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Riqualificazione della fusione come cessione o distribuzione di utili occulta;
  • Recupero delle imposte (IRES, IVA, registro, imposte sostitutive);
  • Sanzioni per abuso del diritto o simulazione;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di ulteriori accertamenti su soci, amministratori e altre operazioni straordinarie.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Ragioni economiche documentabili: la fusione rispondeva a esigenze di crescita, riorganizzazione, riduzione costi?
  • Atti societari: delibere, verbali assembleari, relazioni illustrative;
  • Perizie di stima indipendenti sui valori attribuiti;
  • Motivazione dell’accertamento: il Fisco deve indicare elementi concreti di simulazione;
  • Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Atti notarili e delibere di fusione;
  • Relazioni illustrative degli amministratori;
  • Perizie di stima dei beni e dei patrimoni conferiti;
  • Bilanci societari pre e post fusione;
  • Contratti successivi alla fusione che provino la coerenza dell’operazione;
  • Eventuali consulenze tecniche o fiscali preventive.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la legittimità della fusione con prove delle ragioni economiche reali;
  • Contestare la presunzione di simulazione quando non supportata da fatti concreti;
  • Eccepire vizi formali dell’accertamento: motivazione carente, notifica irregolare, decadenza;
  • Chiedere autotutela se l’Agenzia ha ignorato documentazione già agli atti;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con possibilità di sospendere la riscossione;
  • Mediazione tributaria (quando prevista) per ridurre sanzioni e definire la controversia.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i rilievi dell’Agenzia delle Entrate sull’operazione di fusione;
📌 Verifica la sussistenza delle ragioni economiche e organizzative;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per evitare la riqualificazione come simulazione;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con il Fisco e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per pianificare fusioni societarie sicure e inattaccabili.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in operazioni straordinarie e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di società e gruppi contro contestazioni di fusioni elusive o simulate;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni del Fisco sulle fusioni societarie simulate non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni e interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale utilità economica e gestionale della fusione, evitare la riqualificazione come operazione elusiva e proteggere la tua impresa da conseguenze fiscali indebite.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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