Contestazioni Per Utilizzo Scorretto Del Regime Forfettario: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che tu abbia applicato in modo scorretto il regime forfettario? In questi casi, l’Ufficio presume che non fossero rispettati i requisiti di accesso o di permanenza nel regime agevolato e procede al recupero delle imposte ordinarie, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: con un’adeguata difesa è possibile dimostrare la legittimità della scelta o limitare le conseguenze fiscali.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’uso del regime forfettario
– Se i ricavi o compensi hanno superato le soglie massime previste dalla normativa
– Se il contribuente ha partecipazioni in società che impediscono l’accesso al regime
– Se l’attività esercitata non rientra tra quelle ammesse al forfettario
– Se vengono rilevate spese per lavoro dipendente o collaborazioni eccedenti i limiti consentiti
– Se il regime è stato utilizzato per operazioni simulate o per frazionare artificiosamente attività

Conseguenze della contestazione
– Decadenza dal regime agevolato e riqualificazione dei redditi con tassazione ordinaria IRPEF e IVA
– Recupero delle imposte non versate negli anni di applicazione del regime
– Applicazione di sanzioni per indebita fruizione del regime agevolato
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di controlli estesi anche agli anni precedenti e ad altri adempimenti fiscali

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la sussistenza dei requisiti di accesso e permanenza nel regime forfettario
– Produrre documentazione contabile, contrattuale e bancaria a supporto della posizione fiscale
– Contestare la riqualificazione come indebita se basata su interpretazioni restrittive della normativa
– Evidenziare vizi di motivazione, errori procedurali o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i requisiti di accesso e le condizioni contestate dall’Agenzia delle Entrate
– Verificare la legittimità della contestazione alla luce della normativa e delle circolari interpretative
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro richieste fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio personale da conseguenze economiche sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della corretta applicazione del regime forfettario
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e contenzioso fiscale – spiega come difendersi in caso di contestazioni sull’utilizzo scorretto del regime forfettario e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Il regime forfettario rappresenta attualmente il principale regime fiscale agevolato per le partite IVA individuali in Italia. Introdotto dalla Legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) e modificato più volte negli anni successivi, esso consente a imprenditori individuali e professionisti di applicare un’imposta sostitutiva fissa (flat tax) del 15% sul reddito imponibile calcolato in modo forfetario, ridotta al 5% per i primi 5 anni di nuova attività (in presenza di specifici requisiti). Il regime comporta inoltre semplificazioni contabili e IVA – ad esempio, non si addebitano IVA né ritenute d’acconto sulle fatture emesse e si è esonerati da molti obblighi dichiarativi periodici. Proprio queste agevolazioni rendono il regime forfettario molto appetibile e diffusamente adottato da professionisti, piccoli imprenditori e freelance.

Di contro, il legislatore ha previsto rigorose condizioni di accesso e permanenza nel regime, volte a limitare l’abuso o l’utilizzo improprio della cosiddetta flat tax al 15%. In altri termini, non tutti possono aderire al forfettario: occorre rispettare limiti quantitativi (ad es. volume di ricavi) e non incorrere in specifiche cause di esclusione (cause ostative). Il mancato rispetto di tali condizioni – sia per errore colposo che per condotta intenzionale – configura un utilizzo scorretto del regime forfettario, che può dar luogo a contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria. In caso di verifica fiscale, il Fisco può disconoscere retroattivamente il regime agevolato, ricalcolando le imposte secondo il regime ordinario (IRPEF progressiva, IVA ordinaria, addizionali, etc.) e applicando sanzioni e interessi. Per il contribuente ciò significa vedersi recapitare avvisi di accertamento con imposte e sanzioni aggiuntive, talvolta anche di importo significativo.

Scopo di questa guida è fornire – dal punto di vista del contribuente (debitore) – un quadro avanzato e aggiornato ad agosto 2025 sulle contestazioni tipiche relative all’utilizzo improprio del regime forfettario e sui possibili strumenti di difesa. Ci rivolgeremo sia a professionisti legali e fiscali (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati e piccoli imprenditori interessati, usando un linguaggio tecnicamente accurato ma con intento divulgativo. Verranno esaminati i requisiti normativi attuali, illustrate le casistiche più frequenti di contestazione (es. superamento di soglie di ricavi, cumulo di regimi agevolati, applicazione indebita della flat tax in presenza di cause ostative, omessa comunicazione di cause di esclusione, ecc.), analizzando anche esempi pratici e simulazioni. Si forniranno riferimenti a fonti normative e pronunce giurisprudenziali aggiornate – incluse sentenze di Corti Tributarie Regionali e della Corte di Cassazione – per corroborare i punti trattati. Tabelle riepilogative e una sezione di Domande e Risposte (FAQ) aiuteranno a sintetizzare i concetti chiave e fornire indicazioni operative.

In sintesi, capiremo come difendersi dalle contestazioni sul forfettario, valutando quando e come è possibile far valere le proprie ragioni in sede di contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate o nel contenzioso tributario, e quando invece conviene optare per soluzioni deflative (ravvedimento operoso, accertamento con adesione) per limitare i danni economici. L’obiettivo ultimo è minimizzare l’esborso complessivo per il contribuente, facendo valere eventuali elementi a suo favore (normativi o fattuali) ed evitando errori ulteriori durante la difesa.

Il regime forfettario: caratteristiche e condizioni di applicabilità

Prima di addentrarci nelle contestazioni, è opportuno riepilogare come funziona il regime forfettario e quali sono i requisiti per potervi accedere e rimanervi. Questo ci darà il contesto per comprendere quali comportamenti configurano un “utilizzo scorretto” del regime.

Caratteristiche generali del regime forfettario: Introdotto dall’art. 1, commi 54-89 della L. 190/2014, il regime forfettario prevede la determinazione forfetaria del reddito imponibile applicando al volume di ricavi/compensi incassati un coefficiente di redditività (variabile per settore). Sul reddito così calcolato si applica un’imposta sostitutiva dell’IRPEF (e addizionali) pari al 15%, ridotta al 5% per i primi 5 anni in caso di nuova attività. Il regime è naturale per i contribuenti persone fisiche che rispettano i requisiti (non serve opzione preventiva) ed è esclusivo (non è possibile avere due regimi fiscali contemporaneamente sulla stessa attività). Le semplificazioni includono: niente IVA a debito né detraibile (operazioni fuori campo IVA ex art.1 co.58 L.190/2014), niente ritenute d’acconto operate o subite (il forfettario emette fattura con dicitura di non assoggettamento a ritenuta), esonero dalla tenuta delle scritture contabili (resta l’obbligo di conservare i documenti) e dagli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale). Permane solo l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi annuale** (quadro LM del Modello Redditi PF) in cui autodichiarare i requisiti e calcolare l’imposta sostitutiva dovuta .

Limite di ricavi/compensi – soglia di accesso: Il requisito quantitativo principale per l’accesso/permanenza è il volume di affari dell’anno precedente. Fino al 2022 la soglia di ricavi era €65.000 annui, poi elevata a €85.000 a partire dal periodo d’imposta 2023 (Legge 197/2022, commi 54 e 55). Ciò significa che un contribuente che ha incassato, ad esempio, €80.000 nel 2022 poteva legittimamente entrare o permanere nel forfettario nel 2023, grazie al nuovo limite di €85.000 (anziché risultarne escluso secondo il vecchio tetto di 65k) . Il calcolo dei ricavi/compensi va fatto su base annuale di cassa, sommando tutti gli introiti derivanti dalle attività svolte (se il contribuente esercita più attività con codici ATECO diversi, conta la somma di tutti i ricavi). In caso di inizio attività in corso d’anno, il limite va ragguagliato ad anno (proporzionato ai mesi di attività).

Limite alle spese per personale: Un secondo requisito quantitativo è stato reintrodotto dalla Legge di Bilancio 2020 ed è tuttora vigente: nell’anno precedente, le spese per lavoro dipendente e per compensi a collaboratori non devono superare €20.000 lordi. Questo include stipendi a dipendenti, compensi a co.co.co. e lavoratori a progetto, compensi a collaboratori occasionali e somme corrisposte a partecipanti agli utili (associati in partecipazione con solo apporto di lavoro). Se il contribuente forfettario nell’anno X sostiene costi per lavoro oltre €20.000, dal periodo d’imposta successivo (X+1) perde il regime. Esempio: il Sig. Rossi, professionista in regime forfettario, assume nel 2024 un dipendente con stipendio lordo di €25.000; avendo sforato il tetto di 20k, dal 2025 dovrà uscire dal regime e tornare alla tassazione ordinaria.

Sintesi requisiti quantitativi: Per chiarezza, riportiamo i principali limiti in una tabella riepilogativa:

RequisitoSogliaRiferimento normativo
Ricavi/compensi anno precedente≤ €85.000 (dal 2023, prima €65.000)L. 190/2014, art.1 c.54 lett. a)
Spese per lavoro dip/collab anno precedente≤ €20.000 lordiL. 190/2014, art.1 c.54 lett. b)

Se queste soglie sono rispettate e permangono nel tempo, il contribuente può adottare o continuare ad applicare il regime forfettario. Tuttavia, come vedremo, superare tali limiti comporta la fuoriuscita dal regime (immediata o dall’anno successivo a seconda dei casi). Oltre ai requisiti quantitativi, è fondamentale non incorrere in alcuna delle cause ostative previste dalla legge, descritte nel paragrafo seguente.

Cause di esclusione dal regime forfettario (cause ostative)

L’art. 1, comma 57 della L. 190/2014 elenca espressamente una serie di situazioni soggettive o oggettive che escludono l’accesso o la permanenza nel regime forfettario (le cosiddette cause ostative o di esclusione). Anche un contribuente sotto la soglia di ricavi può dunque essere escluso dal regime se ricorre una di queste condizioni. Di seguito passiamo in rassegna ciascuna causa ostativa prevista dalla normativa vigente, con commento sul significato e sulle implicazioni pratiche:

  • Regimi IVA speciali o forfettari: sono esclusi coloro che si avvalgono di regimi speciali IVA o di altri regimi forfettari di determinazione del reddito relativi alla propria attività. In altre parole, chi opera già in un regime fiscale agevolato incompatibile non può simultaneamente aderire al forfettario. Esempi tipici: agricoltori che applicano il regime speciale IVA agricoli, rivenditori di beni usati con regime del margine, associazioni sportive dilettantistiche in legge 398/1991, editoria, agenzie di viaggio con regime 74-ter, ecc. Se un contribuente persona fisica svolge un’attività che ricade in un regime IVA speciale, non può scegliere il forfettario per quella stessa attività (né per un’attività d’impresa/professione parallela, salvo cessare o rinunciare al regime speciale).
  • Soggetti non residenti: sono esclusi dal forfettario i non residenti fiscali in Italia, a meno che risiedano in un paese UE o SEE white list (con adeguato scambio di informazioni) e producano in Italia almeno il 75% del loro reddito complessivo. Questa deroga consente l’accesso al regime a quei soggetti formalmente non residenti ma sostanzialmente integrati fiscalmente in Italia (tipicamente, frontalieri o espatriati con centro degli interessi in Italia). Ai fini IVA, invece, un soggetto stabilito in altro Stato UE non aderisce al forfettario italiano ma eventualmente al proprio regime di franchigia locale (art. 284 Dir. 2006/112/CE). Nota: chi trasferisce la residenza all’estero perde il regime forfettario dall’anno in cui diventa non residente, salvo il caso di rientro di impatriati (si veda oltre per l’incompatibilità con il regime impatriati).
  • Attività particolari (compravendita immobili, terreni edificabili, mezzi nuovi): esclusi i contribuenti che effettuano cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricato, cessioni di terreni edificabili ex art. 10 n.8) DPR 633/72, oppure cessioni di mezzi di trasporto nuovi ex art. 53 co.1 D.L. 331/93. Si tratta di operazioni già soggette a regimi IVA speciali o a discipline armonizzate particolari, per cui il legislatore ha voluto evitare commistioni con il regime forfettario. In pratica un soggetto che svolga esclusivamente o prevalentemente attività di compravendita immobiliare, intermediazione di terreni edificabili o commercio di auto nuove intra-UE non può usufruire del forfettario. Esempio: un’impresa immobiliare che vende appartamenti (operazioni IVA esenti/art.10) è esclusa; un agente che occasionalmente vende un terreno edificabile ricade anch’egli nel divieto se tale attività è prevalente.
  • Partecipazione in società di persone o imprese familiari: sono esclusi dal regime i contribuenti esercenti attività d’impresa o professionali che partecipano contemporaneamente a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari di cui all’art. 5 TUIR . Ad esempio, un avvocato associato in uno studio legale (associazione tra professionisti) non può applicare il forfettario sulla propria partita IVA individuale; oppure un artigiano titolare di ditta individuale che sia anche socio di una SNC commerciale non può aderire al forfettario. La ratio è evitare che un soggetto frammenti la propria attività tra una società di persone (fiscalmente “trasparente” sui soci) e la posizione individuale, beneficiando indebitamente della flat tax su quest’ultima. Importante: la causa ostativa opera solo se la partecipazione societaria è contemporanea all’esercizio dell’attività individuale in forfettario . Quindi, se il contribuente cessa la qualità di socio prima di aprire la propria partita IVA forfettaria (o viceversa recede dalla società di persone durante il periodo forfettario, chiudendo la posizione da socio), può evitare l’esclusione, poiché non vi è compresenza nel medesimo periodo d’imposta.
  • Controllo di società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione con attività riconducibili: questa è una delle cause ostative più delicate e spesso oggetto di contestazione. La lettera d) del comma 57 esclude dal forfettario i soggetti che controllano direttamente o indirettamente una S.r.l. (o sono coinvolti in associazioni in partecipazione) che esercita attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dal contribuente in forfettario . Il fine anti-elusivo è impedire che un contribuente “sdoppi” la propria attività: ad esempio fatturando come persona fisica in flat tax e al contempo operando tramite una sua Srl collegata, con scambio di fatture tra i due soggetti per spostare costi e ricavi a convenienza.
  • Cosa si intende per controllo e attività riconducibili? La normativa rinvia alla nozione di controllo societario degli artt. 2359 c.c. (controllo di diritto, di fatto o contrattuale). Quindi, si ha controllo diretto quando il contribuente possiede la maggioranza delle quote o dei voti in Srl; controllo indiretto quando il controllo avviene tramite società fiduciarie, familiari, scatole cinesi ecc. oppure quando il socio di minoranza esercita influenza dominante sulla società. L’Agenzia ha chiarito che il controllo di fatto (art. 2359 co.1 n.3 c.c.) ricorre, ad esempio, quando il contribuente forfettario è l’unico o principale fornitore della Srl di cui è socio. In tal caso, pur senza maggioranza di quote, il socio esercita un’influenza dominante perché la società dipende economicamente dalle sue forniture. Rileva quindi non solo se “il socio fattura principalmente alla società”, ma quanto quel fatturato pesa per la società stessa sul totale acquisti (es. se la Srl acquista l’80% dei beni/servizi dal socio, questi la controlla di fatto).
  • Quanto al requisito delle attività economiche riconducibili, l’Amministrazione finanziaria ha adottato un criterio oggettivo: se l’attività della Srl rientra anche solo indirettamente nello stesso settore economico (stessa divisione ATECO) dell’attività individuale del socio, la causa ostativa si considera integrataEsempio: contribuente in forfettario con codice ATECO consulenza informatica, controlla una Srl di sviluppo software (stessa sezione Ateco: J62) – attività chiaramente riconducibili e quindi regime precluso. Invece, se la Srl controllata svolge attività totalmente diversa e non collegabile a quella personale del socio, la causa ostativa non opera. Ad esempio, un architetto in forfettario che detiene il 100% di una Srl agricola: le attività non sono affini, quindi il regime può essere mantenuto (assenza di vantaggi fiscali correlati). Un ulteriore importante chiarimento fornito dall’Agenzia per attenuare l’impatto della norma riguarda i rapporti economici tra socio forfettario e Srl controllata: se il socio emette fattura alla Srl ma questa non deduce quel costo nelle proprie dichiarazioni, la causa ostativa non viene fatta valere. Ciò significa che il contribuente può evitare la decadenza dal regime rinunciando al vantaggio fiscale correlato in capo alla Srl (non portando in deduzione il costo), sterilizzando così l’abuso. In caso invece la Srl deduca normalmente il costo della fattura ricevuta dal socio forfettario, scatta l’esclusione dal regime forfettario dal periodo d’imposta successivo.
  • Esempio pratico: Tizio, consulente forfettario, controlla al 70% Alfa Srl che svolge la medesima attività di consulenza (codice ATECO coincidente). Nel 2024 Tizio fattura €50.000 ad Alfa Srl. Scenario A: Alfa Srl deduce quel costo tra le spese 2024 – si configura la causa ostativa e Tizio decade dal forfettario nel 2025Scenario B: Alfa Srl, in sede di dichiarazione dei redditi, dichiara indeducibile il costo della fattura di Tizio – in tal caso la causa ostativa non si concretizza e Tizio mantiene il regime forfettario nel 2025, fermo restando il rispetto degli altri requisiti.
  • Operazioni prevalentemente verso ex-datori di lavoro (false partite IVA): introdotta nel 2019, la lettera d-bis) mira a evitare che rapporti di lavoro dipendente vengano simulati come lavoro autonomo per godere del regime forfettario. La norma esclude i contribuenti la cui attività sia svolta prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con cui sono in corso rapporti di lavoro dipendente (o lo erano nei due precedenti anni), nonché verso soggetti a questi riconducibili. In pratica, se il forfettario fattura per più del 50% (maggior parte) ad un soggetto che è il suo attuale datore di lavoro, o che lo è stato nei due anni precedenti, scatta la causa ostativa. È ricompresa anche l’ipotesi di fatturare a società o entità riferibili al datore (es. società controllata dal datore di lavoro, o altro soggetto riconducibile allo stesso gruppo). Eccezione: la norma esclude dal divieto chi avvia un’attività in proprio dopo aver svolto presso un datore il periodo di pratica obbligatoria previsto per l’esercizio di arti o professioni (tipico il caso di praticanti avvocati, praticanti commercialisti, tirocinanti, etc.: una volta abilitati e aperta partita IVA, i loro ex-studi professionali non contano ai fini del divieto). Va evidenziato che la causa si riferisce alla prevalenza dell’attività: ciò implica che se il contribuente riesce a dimostrare che il fatturato verso l’ex datore non è “prevalente” (non supera, ad esempio, il 50% del totale), non ricade nel divieto. Pertanto, in sede di eventuale contestazione, un elemento di difesa potrà essere provare che il monte ricavi è sufficientemente diversificato tra più clienti.
  • Elevati redditi da lavoro dipendente o pensione: la lettera d-ter) esclude dal forfettario i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati (pensioni comprese) eccedenti €30.000 lordi. In altre parole, chi ha già un buon reddito da lavoro dipendente o da pensione non può godere anche della flat tax al 15% su un’ulteriore attività autonoma. Questo limite – introdotto dalla L. 160/2019 a decorrere dal 2020 – è stato innalzato a €35.000 dalla recente Legge di Bilancio 2025, con effetto dal periodo d’imposta 2025 in avanti . Dunque, per l’accesso/permanenza nel regime nel 2025, si guarderà ai redditi di lavoro dipendente 2024: solo se essi non superano €35.000, il contribuente potrà (salvo altre cause ostative) aderire al forfettario . Fino al 2024 vigeva il tetto di €30.000. Nota bene: la soglia non si applica (è irrilevante) qualora il rapporto di lavoro dipendente sia cessato al 31 dicembre dell’anno precedente. Ciò significa che se il contribuente ha lasciato il lavoro dipendente e avviato l’attività autonoma, può accedere al regime anche se nell’ultimo anno di lavoro superava €30.000 di reddito (purché non abbia nel frattempo un altro impiego o pensione). Ad esempio, un lavoratore che nel 2024 ha percepito €40.000 di stipendio ma si licenzia a fine 2024 per mettersi in proprio, potrà beneficiare del forfettario nel 2025 (il limite non opera perché il rapporto di lavoro è cessato) . Invece un dipendente con 50k annui che voglia mantenere anche una partita IVA attiva parallelamente, non potrà avvalersi del regime agevolato a meno di ridurre il reddito da lavoro sotto soglia o cessare l’impiego.

Come si vede, il quadro delle cause ostative è articolato e ha subito modifiche nel tempo. Riassumiamo in tabella le principali cause di esclusione attualmente vigenti (aggiornate al 2025):

Causa di esclusione (art. 1 c.57 L.190/2014)Descrizione
Regimi IVA speciali / forfettari (lett. a)Uso di regimi speciali IVA o forfettari per l’attività (es. agricoltura, editoria, 398/91, margine usato). Incompatibile con forfettario.
Non residente fiscale (lett. b)Residenza estera (salvo UE/SEE con scambio info) e meno del 75% reddito prodotto in Italia. Solo residenti (o equiparati) possono aderire.
Cessioni immobili/terreni, beni nuovi (lett. c)Attività prevalente di vendita fabbricati, terreni edificabili, o mezzi di trasporto nuovi (operazioni già con regimi IVA ad hoc). Regime forfettario escluso.
Partecipazione società di persone/imprese familiari (lett. d, 1ª parte)Essere socio di società di persone, associazione tra professionisti, o collaborare in impresa familiare contemporaneamente all’attività individuale. Causa ostativa vigente .
Controllo S.r.l. con attività riconducibile (lett. d, 2ª parte)Controllo diretto/indiretto di S.r.l. o associazione in partecipazione che svolge attività simile o collegata a quella del contribuente in forfettario . Se attività diverse, no esclusione. Se simili, esclusione salvo Srl non deduca costi da socio.
Prestazioni prevalenti verso ex-datore (lett. d-bis)Attività svolta in prevalenza verso datori di lavoro dell’anno corrente o dei due precedenti (o soggetti a loro riconducibili). Evita false partite IVA (dipendenti riciclati). Se il rapporto di lavoro è un tirocinio obbligatorio pre-attività, escluso dal divieto.
Redditi da lavoro dipendente > soglia (lett. d-ter)Redditi lordi di lavoro dipendente o pensione superiori a €30.000 nell’anno precedente (soglia elevata a €35.000 dal 2025). Se il lavoro è cessato nell’anno prec., la soglia non rileva.

Fonti ufficiali: tutte le suddette cause di esclusione sono state introdotte nel testo originario o tramite successive modifiche normative. Per riferimento, si veda l’art.1, comma 57, L. 190/2014 aggiornato: lettere a), b), c) come modificate dalla L.208/2015 e L.145/2018; lettera d) introdotta dalla L.145/2018 ; lettera d-bis) introdotta dalla L.145/2018 (poi temporaneamente abrogata nel 2019 e reintrodotta dal 2020); lettera d-ter) introdotta dalla L.160/2019, soglia elevata da L.197/2022 e L.205/2023. È importante tenere traccia delle evoluzioni normative perché, come vedremo, l’incertezza o i cambiamenti frequenti delle regole possono costituire un elemento di difesa del contribuente in caso di contestazioni (ad esempio per ottenere l’esclusione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa).

Nei prossimi paragrafi analizzeremo le principali contestazioni che il Fisco muove quando ritiene che un contribuente abbia applicato indebitamente il regime forfettario, violando i requisiti sopra elencati. Per ciascuna situazione vedremo come difendersi, quali argomentazioni e prove si possono portare a proprio favore, e quali sono gli esiti possibili (in termini di ricalcolo delle imposte, sanzioni, giurisprudenza rilevante, ecc.).

Superamento delle soglie di ricavi: sforamenti e fuoriuscita dal regime

Uno scenario tipico di “utilizzo scorretto” del forfettario riguarda il mancato rispetto del limite di ricavi/compensi, ovvero quando il contribuente supera la soglia di fatturato consentita continuando ad applicare la tassazione forfettaria. È fondamentale distinguere due casi, introdotti dalla normativa a partire dal 2023:

  • Superamento del limite ordinario (€85.000) ma entro €100.000: In questo caso il regime forfettario cessa a partire dall’anno successivo. Il periodo d’imposta in cui si è verificato lo sforamento rimane comunque assoggettato al regime forfettario (senza sanzioni solo per aver sforato). In pratica, se ad esempio nel 2024 un professionista incassa €90.000 (eccedendo di €5.000 il tetto di 85k), potrà terminare il 2024 come forfettario, ma dal 1° gennaio 2025 dovrà obbligatoriamente uscire dal regime agevolato e applicare il regime ordinario. L’uscita è automatica ope legis, senza bisogno di revoca formale: nella dichiarazione 2025 (relativa al 2024) indicherà di aver superato la soglia e non potrà scegliere il forfait per l’anno successivo. Non è prevista alcuna sanzione specifica per aver oltrepassato il limite dei ricavi in sé, fatta salva ovviamente la necessità di pagare dal successivo anno le imposte ordinarie più elevate. È comunque buona norma, per trasparenza, comunicare la fuoriuscita all’Agenzia delle Entrate mediante il modello AA9/12 (dichiarazione di variazione dati IVA) nei termini, così da aggiornare il proprio status fiscale.
  • Superamento della soglia di €100.000 (sforamento “massimo”): Questa è la novità introdotta dalla L.197/2022 (Legge di Bilancio 2023). Se i ricavi o compensi percepiti superano €100.000 nel corso dell’anno, la cessazione dal regime forfettario è immediata nello stesso anno in cui avviene lo sforamento . In tal caso, la legge dispone due effetti distinti: (1) ai fini delle imposte sui redditi, il contribuente è tenuto a determinare il reddito dell’intero anno secondo le regole ordinarie IRPEF sin dall’inizio di quell’anno (decadenza retroattiva del forfait); (2) ai fini IVA, l’imposta diviene dovuta a partire dall’operazione che ha fatto superare il limite . Ciò significa che tutte le operazioni effettuate dopo e inclusa quella che ha fatto eccedere la soglia devono essere fatturate con IVA e sottostanno al regime IVA ordinario. Le operazioni precedenti restano non imponibili IVA. In pratica, il contribuente “perde” il regime forfettario in corso d’anno, e da quel momento deve comportarsi come un soggetto ordinario. Ad esempio, un consulente che nel 2024 aveva incassato €98.000, e con un’ultima fattura di €5.000 a dicembre ha raggiunto €103.000, dovrà: per l’anno 2024, ricalcolare il reddito imponibile con criteri ordinari (deducendo costi effettivi) e pagare IRPEF progressiva invece dell’imposta sostitutiva; inoltre, su quella fattura (e su eventuali successive) dovrà versare l’IVA come se fosse un soggetto normale, poiché è l’operazione che fa superare il limite. Il problema pratico è che probabilmente quella fattura è stata emessa senza IVA (perché il contribuente pensava di restare nel forfait): la norma però impone comunque di versare l’IVA su di essa. Di conseguenza, il contribuente dovrà integrare le fatture già emesse oltre soglia con apposita nota di variazione per addebitarvi l’IVA ai sensi dell’art. 26 DPR 633/72. Ad esempio, nell’illustrazione di Agenzia Entrate e dottrina, se l’incasso della fattura che ha fatto sforare i 100k avviene dopo un mese, occorre emettere una nota di debito di sola IVA al momento dell’incasso stesso. Inoltre, il contribuente dovrà presentare la dichiarazione IVA annuale per quell’anno (pur avendo operato da forfettario per la prima parte dell’anno). L’uscita immediata dal regime impone infatti tutti gli adempimenti IVA ordinari, compresa la liquidazione dell’imposta dovuta dalle operazioni post-soglia. Riassumendo, lo sforamento >100k comporta effetti retroattivi per IRPEF (niente forfait su tutto l’anno) e effetti immediati per IVA (IVA dovuta dalle operazioni che fanno superare il tetto in poi).

Tabella – Conseguenze del superamento soglia ricavi:

Ricavi/compensi annui percepitiEffetti sul regime forfettarioNormativa
≤ €85.000Regime mantenuto (accesso o permanenza consentiti)L. 190/2014, c.54 lett. a)
> €85.000 e ≤ €100.000Sforamento “ordinario”: regime valido nell’anno in corso, ma cessa dall’anno successivo (dal 1° gennaio anno seguente si passa a regime ordinario). Nessuna sanzione per lo sforamento in sé.L. 190/2014, c.71 1° periodo (modificato da L.197/2022)
> €100.000Sforamento oltre soglia massimadecadenza immediata dal forfait. L’anno in corso diventa interamente a regime ordinario (calcolo reddito analitico IRPEF); l’IVA è dovuta da subito sulle operazioni che eccedono il limite (fatture da integrare con IVA). Regime forfettario non applicabile già per l’anno stesso.L. 190/2014, c.71 2° periodo (introdotto da L.197/2022)

È evidente come il contribuente forfettario debba monitorare attentamente i propri ricavi durante l’anno per evitare di “sforare” inconsapevolmente. Dal 2023 in poi, il rischio maggiore è concentrato sul superamento della soglia di €100.000, che richiede prontezza nel cambiare regime in corsa (fatturazione IVA, registrazioni). Si noti che per il 2025 è in discussione un ulteriore innalzamento generalizzato del limite forfettario a €100.000 annui, eliminando la doppia soglia: se confermato, dal 2026 potrebbe non esservi più distinzione (ma al momento, agosto 2025, la soglia ordinaria resta 85k).

Contestazioni fiscali legate alle soglie: Come può scattare una contestazione? I controlli sul superamento delle soglie sono relativamente semplici, poiché basati su dati numerici: l’Agenzia delle Entrate incrocia i ricavi dichiarati (anche tramite le fatture elettroniche e i corrispettivi telematici registrati) per verificare se il contribuente ha sforato il limite senza uscire dal regime. I casi tipici di utilizzo scorretto sono:

  • Il contribuente ha superato 85.000 € in anno N, ma non è uscito dal forfettario in anno N+1. Ad esempio, ha dichiarato ricavi per 90.000 € nel 2022 (sforando il limite allora vigente di 65k) ma ha continuato ad applicare il forfait anche nel 2023, emettendo fatture senza IVA e pagando imposta sostitutiva. In tal caso l’Ufficio contesterà la permanenza indebita nel regime per l’anno 2023, rideterminerà il reddito 2023 con modalità ordinarie e richiederà la differenza d’imposta (oltre a IVA su operazioni eventualmente non imponibili dichiarate) più sanzioni. – Difesa: se c’è stato un cambiamento normativo favorevole (come l’innalzamento della soglia a 85k dal 2023), il contribuente potrebbe eccepire che in base alla nuova legge egli era sotto il nuovo limite e quindi legittimato a restare. In effetti, la circolare esplicativa ha chiarito che l’aumento della soglia consente la permanenza nel regime per chi nel 2022 aveva ricavi ≤85k . Dunque, in situazioni analoghe, bisogna verificare quale soglia fosse in vigore e se la condotta è davvero violativa: potrebbe darsi che l’Ufficio contesti un’uscita dovuta secondo vecchia soglia ignorando la modifica normativa. In tal caso, il contribuente farà valere la norma sopravvenuta più favorevole (principio del favor rei in ambito amministrativo-fiscale potrebbe non applicarsi automaticamente, ma l’AdE nei documenti di prassi ha assunto posizioni favorevoli al contribuente per analoghe situazioni).
  • Il contribuente ha superato 100.000 € in corso d’anno ma non ha adempiuto agli obblighi conseguenti. Ad esempio, nel 2024 ha incassato 110.000 € ma ha continuato a non addebitare IVA e ha dichiarato il 2024 come forfettario. Questa è una violazione grave, perché la legge imponeva la decadenza immediata nel 2024. L’Agenzia se ne accorge dalla dichiarazione annuale (che non dovrebbe neppure permettere di indicare importi >100k in regime forfait) o dai dati fatture, e procederà a un accertamento per l’anno in questione: ricalcolerà il reddito 2024 in regime ordinario (maggiori imposte IRPEF dovute) e contesterà la mancata applicazione dell’IVA sulle operazioni oltre soglia (richiedendo il versamento dell’IVA evasa su tali operazioni) . In più verranno applicate sanzioni sia per infedele dichiarazione ai fini imposte dirette (avendo dichiarato meno imposte dovute) sia per omessa fatturazione IVA. – Difesa: in una situazione simile, gli spazi di difesa sul merito sono limitati, trattandosi di violazione oggettiva. Tuttavia, il contribuente può ancora mitigare le conseguenze ad esempio evidenziando che ha in buona fede ritenuto di poter sforare a fine anno e poi rientrare (invocando magari una scarsa chiarezza iniziale delle regole nel 2023, anche se la norma era piuttosto esplicita). Si può puntare molto sulla riduzione delle sanzioni: ad esempio, se prima dell’accertamento il contribuente stesso si accorge dell’errore (magari perché il commercialista glielo segnala) conviene attivarsi con un ravvedimento operoso spontaneo, emettendo le note di variazione IVA, presentando una dichiarazione integrativa per l’anno in questione optando per il regime ordinario e versando le imposte dovute con sanzioni ridotte. Un ravvedimento fatto prima della notifica di qualunque atto permette di ridurre la sanzione anche al 15% del minimo. Se invece l’accertamento è già avviato, si potrà valutare un accertamento con adesione per ottenere il 1/3 di sconto sulle sanzioni irrogande.

Va ricordato che superare di poco la soglia ordinaria (≤100k) non comporta di per sé incriminazioni o illecito: è lecito sforare entro certi limiti pagando poi dal prossimo anno le imposte ordinarie, e anche lo sforamento immediato >100k non è “illecito” in sé, ma impone adempimenti specifici. Diventa scorretto invece non adeguarsi alle regole di fuoriuscita, continuando ad applicare il forfait quando non se ne avrebbe più diritto. Se il contribuente si attiva spontaneamente (es. accorgendosi in tempo di superare 100k e integrando subito la fattura che fa sforare, o comunicando entro fine anno l’opzione per regime ordinario), può evitare il contenzioso. Esempio (FAQ):

  • D: Ho fatturato €90.000, superando di poco €85.000. Perdo immediatamente il regime forfettario?
    R: No, in questo caso mantieni il forfettario per l’anno in cui hai sforato, e solo dal 1° gennaio dell’anno successivo dovrai uscire dal regime. Non subisci sanzioni se ti adegui nei tempi dovuti.
  • D: Ho superato €100.000 di ricavi: devo pagare l’IVA anche sulle fatture fatte prima dello sforamento?
    R: No, l’IVA va applicata solo a partire dall’operazione che fa superare il limite . Le fatture emesse prima rimangono non imponibili IVA. Tuttavia, sul piano delle imposte dirette, dovrai ricalcolare tutto il reddito dell’anno come soggetto ordinario (niente forfait).
  • D: Se supero €100k a fine anno e non me ne accorgo subito, cosa succede?
    R: Quando lo scoprirai (es. al momento di preparare la dichiarazione IVA annuale che diventa obbligatoria), dovrai emettere note di variazione per addebitare l’IVA sulle ultime fatture senza IVA. Se hai già consegnato la merce o prestato il servizio, dovrai assolvere l’IVA di tasca tua (salvo accordi con il cliente per un’integrazione). Dovrai poi presentare la dichiarazione IVA e pagare la maggiore IRPEF dovuta. Se hai già presentato la dichiarazione dei redditi come forfettario per errore, ti conviene presentare una dichiarazione integrativa appena possibile e versare il dovuto con ravvedimento per ridurre le sanzioni.

Applicazione indebita del forfait in presenza di cause ostative

Un’altra macro-categoria di contestazioni riguarda i casi in cui il contribuente ha adottato il regime forfettario pur essendo (o divenuto) in una delle situazioni di esclusione previste dalla legge. In tali frangenti, il Fisco contesta che il contribuente non aveva diritto al regime fin dall’origine (o dal momento in cui è sorta la causa ostativa) e quindi ricalcola tutte le imposte dovute in regime ordinario per i periodi interessati, con relative sanzioni. Analizziamo le casistiche più comuni e come difendersi:

1. Contribuente socio di società di persone o associazione – Esempio: Mario aderisce al forfettario come ditta individuale nel 2022, ma è anche socio al 50% di una SNC commerciale attiva nello stesso anno. Ciò configura la causa ostativa (partecipazione società di persone) . L’Agenzia se ne avvede incrociando il codice fiscale di Mario con l’anagrafe tributaria (risulta socio SNC) oppure durante un controllo. Mario avrebbe dovuto essere consapevole dell’incompatibilità e optare per la tassazione ordinaria. La contestazione comporterà la decadenza retroattiva dal regime per il 2022: Mario dovrà essere tassato in ordinario sul suo reddito individuale e pagare la differenza d’imposta (oltre a perdere i benefici contributivi se li aveva applicati), più sanzione per dichiarazione infedele (avendo dichiarato meno imposte del dovuto col 15%). – Difesa: Poche chance sul merito, poiché la norma è chiara. Unico appiglio: temporalità della partecipazione. Se Mario ad esempio ha cessato la qualifica di socio prima dell’inizio dell’attività individuale (non contemporaneità), allora la causa non sussisteva. Oppure se la SNC era di fatto inattiva e chiusa entro lo stesso anno (ma ancora formalmente attiva durante una parte dell’anno di forfettario) potrebbe provare a sostenere che non c’era “contemporaneo esercizio”. Generalmente però l’adesione al regime va verificata anno per anno: se nell’anno X Mario risultava socio anche solo per un giorno mentre operava con P.IVA, l’Agenzia applica la lettera d) rigidamente. In giudizio, si potrebbe far leva sul principio che la ratio è evitare doppia tassazione agevolata: se Mario dalla SNC non ha percepito redditi (ad es. SNC in perdita) potrebbe sostenere di non aver fruito di doppio vantaggio, ma è un argomento debole ai fini dell’applicazione letterale. Strategia migliore: in questi casi conviene puntare a risolvere in adesione, ottenendo sanzioni ridotte, oppure se si va in contenzioso chiedere la non applicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza (se ad es. Mario non sapeva dell’incompatibilità, magari perché la norma nel 2019 aveva abolito questa causa – ipotesi didattica).

2. Contribuente che controlla una S.r.l. con attività riconducibile – Questa situazione genera moltissime contestazioni, data la complessità dei requisiti (controllo e affinità attività). Esempio: Lisa, graphic designer in regime forfettario, detiene il 100% di una S.r.l. che opera anch’essa nel campo grafico. Nel 2022 fattura tramite la sua partita IVA €50.000 e tramite la Srl (a terzi) altri €80.000. Non fattura nulla dalla Srl a se stessa, ma essendo unico socio c’è totale sovrapposizione di attività. La causa ostativa (lettera d) è pienamente integrata e l’Agenzia, anche tramite l’analisi dei codici ATECO e la visura societaria, scoprirà la situazione. La contestazione sarà che Lisa non poteva avvalersi del forfettario nel 2022, e quindi tutto il reddito di €50.000 va tassato IRPEF ordinaria + IVA da versare sulle operazioni. – Difesa: Bisogna verificare se ci sono elementi per dire che la causa in realtà non sussisteva. Nel caso di Lisa, controlla al 100% (control di diritto) e attività chiaramente simili, quindi nulla da fare. Ma in altri casi: se il contribuente aveva solo una partecipazione di minoranza (es. 30%) in Srl e non esercitava di fatto controllo, non scatta l’esclusione. Così, se Tizio ha il 30% di una Srl (altri soci 70%) e non è né amministratore unico né fornitore principale, potrebbe difendersi sostenendo l’assenza di controllo (nessuna influenza dominante). Occorre eventualmente produrre documenti societari (assetto quote, verbali assemblee) per dimostrare di non avere poteri di controllo. – Altro elemento: diversità di attività. Se il codice Ateco della Srl è differente e l’oggetto sociale non ha attinenza con l’attività individuale, la difesa può puntare su quello: “è vero che sono socio di Srl ma la Srl fa attività completamente diversa, quindi la lettera d) comma 57 non è applicabile”. Attenzione però: l’Agenzia tende a considerare “riconducibili” anche attività indirettamente collegate. Bisogna quindi essere sicuri della distinzione (magari si può portare una perizia tecnica che attesti la diversità dei servizi/bene prodotti). – Transazioni tra socio e Srl: se contestano la causa e c’erano rapporti economici socio-Srl, verificate se la Srl ha dedotto quei costi. Se non li ha dedotti (ad esempio avete saputo della norma e in UNICO della Srl avete reso indeducibili le fatture del socio), allora potete far presente che secondo la circolare AdE ciò neutralizza la causa ostativa. Eventualmente, si potrebbe in extremis correggere le dichiarazioni della Srl (se ancora nei termini) per renderle indeducibili, mostrando buona fede e chiedendo di non applicare la decadenza. Non è scontato che l’Ufficio lo accetti ex post, ma in sede di adesione potrebbe essere oggetto di discussione. – Infine, un argomento di incertezza normativa: la disciplina su controllo e attività riconducibili è stata chiarita da circolari solo nel 2019 e con esempi specifici (es. caso amministratore-socio con compenso dedotto, risoluzione 108/2019). Se i fatti contestati risalgono a periodi immediatamente successivi al 2019, si può sostenere che il contribuente non aveva piena consapevolezza della portata della norma, data la novità e complessità (soprattutto concetti come controllo indiretto, fornitore principale, ecc.). La Cassazione in materia tributaria ha talora riconosciuto l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa per escludere la punibilità, quando la disciplina è stata poco chiara o in evoluzione. Dunque, anche se la decadenza dal regime è inevitabile, almeno chiedere di non applicare sanzioni per buona fede e incertezza potrebbe avere ascolto (magari allegando documenti di prassi non univoci, bozze di legge contrastanti, etc.).

3. Prevalenza di fatturato verso ex datore di lavoro – Esempio: Lucia apre partita IVA forfettaria nel 2023 come consulente; nel 2021-2022 era dipendente di Alfa S.p.A., che ora diventa suo principale (e unico) cliente con contratti di consulenza. Nel 2023 Lucia fattura €30.000 ad Alfa (suo ex datore nel 2021) e null’altro. Qui la causa ostativa (attività prevalentemente verso ex-datore nei due anni prima) si applica: Lucia non poteva aderire al forfettario nel 2023. L’Agenzia lo scoprirà magari da controlli incrociati (Alfa S.p.A. le ha pagato compensi risultanti dalla CU e magari erano suo ex datore da comunicazioni ex art.17 DPR 605). Contestazione: decadenza dal regime per l’anno 2023, riliquidazione imposte IRPEF progressive su €30k, IVA dovuta su quelle operazioni (Alfa dovrà ricevere fatture con IVA o autofattura integrativa), sanzioni per infedele e IVA omessa. – Difesa: Verificare tempi e numeri. La norma copre i datori avuti nei due anni precedenti: se Lucia avesse cessato il lavoro nel 2020 (non 2021), la causa non operava più nel 2023 (erano passati più di 2 anni). Oppure, “prevalentemente” significa oltre il 50%: se Lucia avesse anche altri clienti nel 2023 che portano il fatturato di Alfa sotto il 50%, allora non c’è violazione. Dunque, Lucia potrebbe difendersi provando che non era in realtà prevalente (ma nel caso ipotizzato è 100% purtroppo). – Un’altra linea di difesa potrebbe essere contestare la base giuridica: questa causa fu introdotta nel 2019 ma per quell’anno fu poi soppressa per poi rientrare dal 2020. La situazione normativa è stata un po’ confusa a cavallo 2018-2020. Se Lucia avesse iniziato nel 2019, la causa ex-datore non era in vigore per quell’anno (perché la L.145/2018 non la inserì subito, fu aggiunta dopo). Ciò ha creato casi limite di chi nel 2019 fatturò all’ex-datore legittimamente (nessun divieto) e nel 2020 la regola cambiò. Questa altalena potrebbe essere usata per dire che la contribuente era confusa sul perimetro (specialmente se è passata da un anno all’altro). Di nuovo, serve per chiedere clemenza sulle sanzioni. – Infine, ricordarsi delle eccezioni: se il contribuente era un praticante che poi apre P.IVA e collabora col suo ex studio dove ha svolto la pratica obbligatoria, non scatta la causa ostativa. Bisogna documentare la cosa (attestato di compiuta pratica, ecc.).

4. Superamento del limite di €30.000 di redditi di lavoro dipendente – Esempio: Carlo nel 2022 era lavoratore dipendente con reddito €45.000 e contemporaneamente avviava una piccola attività di consulenza informatica con P.IVA (side business). Nel 2023 ha applicato il forfettario sulla P.IVA. Però la norma (in vigore fino al 2024) dice che se nell’anno precedente hai più di 30k di redditi da lavoro dipendente e il rapporto di lavoro continua, sei escluso. Quindi Carlo non poteva adottare il regime nel 2023, a meno che si fosse licenziato entro il 2022 (cosa che non ha fatto). L’Agenzia dall’incrocio delle certificazioni Uniche e dalla sua dichiarazione vedrà che Carlo aveva 45k di lavoro dipendente nel 2022 e ancora risultava dipendente nel 2023: contestazione inevitabile per mancato rispetto della causa d-ter. – Difesa: Verificare se il rapporto era cessato. Se Carlo per ipotesi avesse lasciato quell’impiego a metà 2022, la norma direbbe “soglia irrilevante se rapporto cessato”, quindi magari si può discutere se un rapporto cessato a settembre 2022 conti come “cessato nell’anno precedente” (sì, è cessato anche se non al 31/12 ma comunque finito). La circolare 9/E/2019 specificava che la soglia 30k va guardata solo se al 31/12 l’attività di lavoro dipendente prosegue; se cessa a metà anno, non vieta l’accesso l’anno dopo . Dunque Carlo se si fosse licenziato prima del 2023, sarebbe ok. Se invece ha proseguito il lavoro, nulla da fare. – Transizione soglia 35k (2025): per vicende 2024/25, come detto, la soglia sale a 35k. Ciò significa che alcuni contribuenti che nel 2024 superavano 30k di poco saranno “salvati” per il 2025. Ad esempio, un soggetto con €32.000 di reddito dipendente nel 2024 secondo le vecchie regole avrebbe dovuto uscire nel 2025, ma con la soglia a 35k potrà rimanere. Questo potrebbe essere invocato in eventuali contenziosi pendenti sul 2024: la norma più favorevole è entrata in vigore nel 2025, e se il giudizio è ancora aperto si potrebbe sostenere l’applicazione retroattiva in bonam partem (non garantita, ma arguibile). – In generale, per difendersi su questa causa restano solo questioni formali: ad esempio, l’Agenzia deve provare che il rapporto di lavoro sussisteva ed era produttivo di oltre 30k. Carlo potrebbe teoricamente dire: “sì ho percepito 45k nel 2022 ma il rapporto è cessato il 20 dicembre 2022” (quindi tecnicamente cessato nell’anno precedente, soglia irrilevante!). Questa sottigliezza (cessato il 31/12 vs 20/12) non è chiarita in norma, ma in logica se è cessato prima di aderire al forfait (1° gennaio 2023) l’eccezione dovrebbe valere. L’Agenzia potrebbe obiettare che nell’anno precedente ha comunque percepito quell’importo, ma la lettera della legge dice “irrilevante se rapporto cessato”. Quindi è un appiglio difensivo: dimostrare la cessazione con lettera di licenziamento/dimissioni, e contestare l’atto se non l’hanno considerata. Spesso l’Ufficio, in caso di dubbi su queste situazioni, prima invia un invito a chiarimenti (compliance) chiedendo appunto documentazione come copia delle lettere di cessazione. Fornendola, la questione potrebbe risolversi senza sanzioni.

5. Altre cause (regimi speciali IVA, non residenti, attività immobiliari) – Queste cause ostative sono più rare nei contenziosi, perché normalmente il contribuente stesso sa di rientrarci. Ad esempio, un soggetto che fa agricoltura in regime IVA speciale di proposito difficilmente cercherà di entrare nel forfait, perché ne conosce l’incompatibilità. Tuttavia possibili contestazioni: es. contribuente che contemporaneamente conduce due attività, una agricola (regime speciale IVA al 4%) e una commerciale secondaria; quest’ultima attività non può stare in forfettario perché c’è l’altra in regime speciale (lett. a). Oppure, un contribuente residente all’estero che apre P.IVA italiana e applica il 15%: se non rispettava il 75% di redditi in Italia, l’AdE lo escluderà. – Difesa: non diversa dall’interpretazione letterale: o si dimostra che la causa non era applicabile (es. il soggetto era residente in Italia de facto, oppure aveva rinunciato al regime speciale optando per l’IVA ordinaria su quell’attività – cosa possibile, ad esempio un imprenditore agricolo può optare per regime ordinario e a quel punto non ha più il regime speciale, quindi libero di usare il forfait sulla medesima attività agricola, purché ricavi ≤85k). In sintesi, occorre capire se la dichiarata sussistenza della causa è fondata: a volte l’Agenzia può commettere errori di classificazione. Un caso reale: alcuni lavoratori frontalieri (residenti esteri con 75% redditi in Italia) inizialmente furono esclusi perché l’AdE considerava non soddisfatta la condizione in base ai dati, ma poi fornendo documentazione integrativa hanno potuto dimostrare il contrario. Quindi la difesa qui è documentale: certificati di residenza, estratti redditi esteri/italiani, ecc., per rientrare nell’eccezione.

Conseguenze fiscali e sanzionatorie delle cause ostative: Quando il Fisco accerta che il contribuente era in regime forfettario mentre invece avrebbe dovuto essere in regime ordinario (per una causa ostativa preesistente o sopravvenuta), in genere procede così:

  • Considera non applicabile il regime di favore per i periodi d’imposta interessati. Quindi ricalcola il reddito con metodo analitico (ricavi meno costi deducibili effettivi) e calcola le imposte IRPEF, addizionali, IRAP eventualmente, che sarebbero state dovute in regime ordinario. Viene ovviamente riconosciuto un credito d’imposta per l’imposta sostitutiva 15% già versata (onde evitare doppia imposizione sullo stesso reddito). Alla fine, risulta una maggiore IRPEF dovuta (spesso molto maggiore della sostitutiva, specie su redditi medio-alti che sarebbero tassati al 38-43% negli scaglioni IRPEF). Questa differenza sarà iscritta a ruolo.
  • Richiede il versamento dell’IVA non applicata sulle operazioni attive: infatti il contribuente forfettario non addebitava IVA in fattura; ma se non aveva diritto al regime, significa che quelle operazioni erano in realtà soggette a IVA. Di conseguenza, l’Agenzia pretenderà l’IVA che sarebbe stata dovuta sulle fatture emesse (tipicamente calcolata con aliquote del 22% o altre a seconda dell’attività) . Il committente cliente in questi casi non ha detratto quell’IVA (perché non c’era in fattura), quindi di norma non c’è un immediato recupero a suo favore; tutto il peso dell’IVA omessa ricade sul forfettario, che di fatto dovrà pagarla di tasca propria – salvo eventualmente poterla richiedere adesso al cliente integrando le fatture (ma spesso a distanza di anni non è fattibile, il cliente potrebbe rifiutarsi). In alcune pronunce si è discusso se, essendo un’imposta rivolta per natura al consumatore finale, il fisco possa chiederla al cedente che non l’ha addebitata: la risposta è sì (principio di rivalsa/solidarietà), perché l’operazione senza IVA fu irregolare. Quindi l’IVA evas va pagata dal contribuente con sanzioni.
  • Applica sanzioni amministrative per le violazioni tributarie commesse. Principalmente: la dichiarazione infedele sui redditi (avendo indicato un’imposta sostitutiva più bassa di quanto dovuto IRPEF) è punita con sanzione dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta . Inoltre c’è la violazione di omessa fatturazione IVA o omessa versamento IVA: la normativa prevede sanzione generalmente dal 90% al 180% dell’IVA non applicata, con un minimo di 500 euro . In alcuni casi l’ufficio può contestare la sola infedele dichiarazione comprensiva dell’IVA non versata (specie se il contribuente ha comunque indicato i ricavi anche se senza IVA, configurandosi una sorta di “dichiarazione infedele IVA” tramite il quadro VE/VO non presentato). Ma tecnicamente, non presentando dichiarazione IVA in regime forfettario, l’omesso versamento IVA su operazioni imponibili potrebbe configurare anche dichiarazione omessa ai fini IVA se proprio nulla è stato dichiarato. La prassi però è trattare la cosa come indebita fruizione di esenzione IVA, sanzionata al 90-180%. Va segnalato che l’art. 1 c. 74 L. 190/2014 (introdotto nel 2019) prevede un’aggravante: le sanzioni minime e massime sono aumentate del 10% se il maggiore reddito accertato deriva dall’inosservanza dei requisiti del regime forfettario . In sostanza, in caso di decadenza dal regime con recupero di imposte, i minimi edittali di multa salgono (es. infedele dichiarazione dal 90% diventa 99%). Si tratta di un aggravio punitivo per scoraggiare l’abuso del regime.
  • Infine, se le imposte evase superano determinate soglie penal-tributarie, l’ufficio può segnalare il caso all’autorità giudiziaria per valutare reati tributari. Ad esempio, dichiarazione infedele scatta penalmente se l’imposta evasa supera €100.000 e gli elementi attivi sottratti all’imposizione superano il 10% del reddito dichiarato e 2 milioni di euro (D.Lgs. 74/2000 art.4). Non è infrequente che chi era in forfait e non doveva IVA né IRAP si ritrovi, in caso di decadenza, con grosse somme evase. Bisogna verificare caso per caso, ma attenzione: dichiarazione omessa (se proprio non presentata dichiarazione IVA, ad esempio) scatta se IVA evasa > €50.000. Frode documentale in genere no, qui non c’è falso ma solo omessa indicazione. In pratica il contribuente medio forfettario difficilmente supera soglie penali a meno che fatturi davvero tanto (oltre 100k evasi) o ometta proprio tutto. In ogni caso, dal punto di vista difensivo nel procedimento amministrativo, l’eventualità penale non cambia l’accertamento ma è un rischio collaterale: conviene comunque sistemare il contenzioso tributario perché l’adesione o il pagamento del dovuto possono costituire attenuanti rilevanti nell’eventuale sede penale (talvolta estinguere il debito prima del dibattimento può far chiudere il caso con causa di non punibilità, art. 13 D.Lgs 74/2000).

Strategie di difesa generali nelle contestazioni da cause ostative: Le linee difensive principali le abbiamo già accennate caso per caso, ma le riepiloghiamo:

  • Negare la sussistenza della causa ostativa: se c’è margine interpretativo o fattuale. Ad esempio, non c’era controllo societario, oppure l’attività non era effettivamente riconducibile, oppure il cliente ex datore non era prevalente, etc. Qui servono prove documentali robuste (visure, contratti con altri clienti, certificati, ecc.) per convincere il Fisco o il giudice. Spesso l’onere della prova ricade sul contribuente, perché prima facie l’Ufficio porta evidenze (es. visura società con nome del contribuente come socio di maggioranza) e a quel punto sta al contribuente provare che quell’evidenza non comporta la conseguenza giuridica sostenuta dal Fisco (es. “sì ho il 60% ma non controllo perché ho patti limitanti” – difficile, ma è l’idea).
  • Obiettare questioni procedurali o formali: Ad esempio, in passato qualcuno ha sostenuto che la mancata compilazione del quadro RS (quadro informativo sui requisiti) precludesse il regime. La Cassazione però ha affermato che una mera omissione formale non fa decadere dal regime se i requisiti sostanziali c’erano. Se l’Ufficio basasse la contestazione unicamente sul fatto che il contribuente non ha barrato una casella (anziché su una causa ostativa reale), il contribuente potrà difendersi agevolmente dimostrando che la violazione è solo formale e non ha impatto sul tributo. Ad esempio, in un caso un’associazione sportiva in regime 398/91 non presentò la dichiarazione e l’Agenzia disconobbe il regime agevolato: la Cassazione (ord. 9973/2023) ha detto che l’omessa dichiarazione annuale fa perdere il regime di vantaggio. Ma ciò va distinto dalla dichiarazione presentata con dati omessi: se ho presentato la dichiarazione forfettaria ma ho dimenticato di inserire alcuni dati informativi, non per questo il regime è perso (si applicherà la sanzione fissa da €250 per dichiarazione incompleta ex art.8 D.Lgs 471/97) . Questa differenza è importante: dichiarazione non presentata = niente regime (e quindi accertamento legittimo a ordinarie), dichiarazione presentata ma incompleta = regime valido, sanzione formale. Dunque, controllare sempre se l’eventuale “omessa comunicazione” contestata dall’AdE riguarda un aspetto formale (tipo quadro RS non compilato) o sostanziale (es. non hai comunicato di aver superato soglia e hai continuato – in quel caso è sostanziale).
  • Ravvedimento operoso e condotte riparative: se il contribuente, prima dell’accertamento, si accorge della violazione, il consiglio è di correre ai ripari spontaneamente. Ad esempio, presentare una dichiarazione integrativa rinunciando al regime forfettario per quell’anno, versando le imposte e una sanzione minima. Oppure, se arriva una lettera di compliance dall’Agenzia (invito informale a controllare la posizione), rispondere prontamente fornendo i chiarimenti o regolarizzando. Abbiamo visto come l’AdE abbia inviato, ad esempio nel 2024, molte lettere ai forfettari per quadro RS non compilato o dubbi sul possesso dei requisiti. In tali lettere spesso si invita il contribuente a fornire documenti (fatture, contratti, estratti conto, attestazione di fine lavoro dipendente, ecc.) per provare l’assenza di cause ostative. Se il contribuente risponde dimostrando di essere in regola, la questione si chiude. Se invece emerge che davvero non aveva i requisiti, l’Ufficio spesso suggerisce al contribuente stesso di regolarizzare pagando il dovuto (es. tramite ravvedimento) senza procedere d’ufficio. Esempio: se viene fuori che nel 2021 il contribuente non poteva stare in forfait, magari l’Ufficio inviterà a presentare una integrativa per il 2021 e versare la differenza d’imposta, evitando così la sanzione piena del 90% (col ravvedimento la riduci moltissimo). Conviene approfittare di queste aperture, perché dimostrano un atteggiamento collaborativo e spesso evitano l’aggravio di un accertamento.
  • Accertamento con adesione o definizione agevolata: qualora l’avviso di accertamento sia già stato notificato, il contribuente può richiedere l’attivazione del procedimento di adesione. In sede di adesione ci si può sedere con l’Ufficio, far presente eventuali errori nel calcolo (es. costi deducibili non considerati nel ricalcolo IRPEF ordinaria, ecc.) e soprattutto negoziare le sanzioni. Spesso gli uffici in adesione, se il contribuente accetta il ricalcolo delle imposte, applicano il minimo delle sanzioni o ulteriori riduzioni. Di legge, l’adesione dà diritto a una riduzione delle sanzioni del 1/3 (es. dal 90% al 60%). Inoltre si può chiedere pagamento rateale fino a 8 rate. – Se siamo già nel contenzioso, in questi anni il legislatore ha introdotto varie definizioni agevolate (paci fiscali) che talora includono anche le controversie sui periodi recenti. Per esempio, il 2023 ha visto la “definizione agevolata liti pendenti” con sanzioni azzerate e pagamento del solo imposto. Un contribuente in lite col fisco per il forfettario potrebbe valutare di aderire a tali sanatorie se riproposte in futuro, pagando magari solo il dovuto senza sanzioni.
  • Giurisprudenza favorevole: Poiché il regime forfettario è relativamente recente (dal 2015) e molte cause ostative hanno avuto modifiche, non abbondano ancora sentenze di legittimità di merito su questioni sostanziali. La Corte di Cassazione finora si è espressa più che altro su aspetti procedurali. Ad esempio ha confermato il principio che il regime agevolato non può spettare senza presentare la dichiarazione annuale (ord. Cass. 9973/2023 citata). Oppure ha ribadito che anche i forfettari, pur esonerati da molte scritture, sono soggetti alle presunzioni legali in caso di controlli bancari: ad es. versamenti su c/c non giustificati = ricavi sottratti a tassazione, e prelievi non giustificati oltre soglie = acquisti in nero (il che può implicare vendite in nero). La Consulta (Corte Cost.) nel 2023 ha giudicato non incostituzionale applicare tali presunzioni anche ai forfettari, proprio perché la scelta di semplificare la contabilità non esime dai controlli. Dunque, un forfettario non può difendersi dicendo “non avevo l’obbligo di tenere conti, quindi i movimenti bancari non provano nulla” – questo non regge, la Cassazione ha respinto ricorsi simili (Cass. 5586/2023).

Sul fronte delle cause ostative, aspettiamo pronunce di legittimità che chiariscano eventuali dubbi interpretativi (ad es. cosa si intende esattamente per “attività indirettamente riconducibili” o per “prevalentemente”). Ci sono state però pronunce di Corti di merito (Commissioni Tributarie, ora rinominate Corti di Giustizia Tributaria) interessanti. Ad esempio, una recente sentenza di una Commissione Tributaria Regionale ha stabilito che il regime “impatriati” e il regime forfettario non sono compatibili se applicati nello stesso periodo, ma possono esserlo in anni diversi. In pratica, un contribuente rientrato in Italia che aveva diritto all’agevolazione impatriati (50% reddito esente) e contestualmente avrebbe voluto il 15% forfettario su altra attività, non può cumularli; però potrebbe prima usare uno e poi l’altro in anni differenti. Ciò conferma l’orientamento restrittivo dell’Agenzia (Interpello 956-2631/2020) sull’incompatibilità tra regimi agevolativi diversi. Dunque, se un contribuente fosse contestato perché ha fruito impropriamente di due regimi (plurimi regimi agevolati), la difesa sarà ardua: le fonti ufficiali avallano la linea “no cumulo”. Ad es. se si scopre che un forfettario applicava anche il regime forfettario della legge 398/91 su un’associazione sportiva, l’ufficio dirà che è incompatibile e uno dei due decadrà.

  • Focus giurisprudenziale specifico: Una pronuncia della Cassazione (ord. 21965 del 21/07/2023) ha trattato un caso peculiare in cui una società di persone e i soci avevano ottenuto esiti differenti in giudizio riguardo al regime forfettario, affrontando il tema del giudicato esterno nei processi tributari . Senza entrare nei tecnicismi, serve a dire che se un aspetto del regime forfettario (ad es. la presenza di una causa ostativa legata a una società partecipata) è stato definito con sentenza passata in giudicato in una causa riguardante la società, tale accertamento può fare stato anche nel giudizio relativo al socio (per evitare decisioni contrastanti). Questo per i difensori significa prestare attenzione a eventuali giudicati collegati: es. se la questione della riconducibilità dell’attività Srl è già stata giudicata in altro procedimento, usarla a proprio favore.

In generale, la difesa nel merito contro l’accertamento su indebita fruizione del forfait è spesso complessa perché le violazioni sono documentate e oggettive. Pertanto, la strategia del contribuente deve mirare a limitare i danni economici complessivi. Ciò include: sfruttare tutte le riduzioni sanzionatorie possibili, evidenziare buona fede e cooperazione (per evitare aggravanti), contestare solo quando c’è reale possibilità di vittoria (altrimenti si finisce solo per accumulare spese e interessi). Se vi sono anche errori dell’ufficio (succede: ad es. conteggi sbagliati, costi deducibili ignorati, doppia imposizione) questi vanno evidenziati subito, preferibilmente in fase di adesione o in primo grado.

Punto di vista del debitore (il contribuente): può capitare che la cifra richiesta nell’accertamento sia ingente e fuori dalla portata del contribuente. In tali casi è fondamentale sapere che esistono strumenti come la rateizzazione (fino a 8 rate semestrali in adesione, o 16 rate se importo >50k), nonché la possibilità di chiedere una sospensione giudiziale delle somme se si fa ricorso e ci sono validi motivi di fumus e pericolo (art. 47 D.Lgs.546/92). Inoltre, nelle more, il contribuente può valutare se rientra in qualche procedura di definizione agevolata (come quelle offerte occasionalmente dal legislatore). Va valutato anche l’istituto del concordato preventivo biennale (CPB) introdotto dal D.Lgs. 13/2023 per le piccole imprese: è una sorta di accordo col fisco sulle basi imponibili future. Chi è uscito dal forfettario per superamento soglia potrebbe aderirvi per avere certezza fiscale nei due anni successivi. La norma però prevedeva che non vi potessero accedere i soggetti che per l’anno 2024 avessero aderito inizialmente al forfettario – clausola che rischiava di tagliare fuori proprio chi esce per sforamento. Una recente risposta dell’Agenzia (interpello n. 149/2025) ha chiarito che se il contribuente inizia il 2024 in forfait ma ne fuoriesce nello stesso 2024 per superamento 100k, può comunque aderire al concordato biennale 2024-25 a condizione che lo sforamento avvenga prima del termine di adesione al concordato. Questa apertura può essere utile per chi, trovatosi fuoriuscito dal regime, vuole evitare un immediato regime ordinario pieno optando per il concordato triennale (ora biennale) introdotto dalla riforma.

Procedura di controllo e contenzioso: consigli pratici per difendersi

Vediamo ora, in sintesi, come si sviluppa un accertamento fiscale per utilizzo indebito del regime forfettario e quali strumenti di tutela ha il contribuente in ciascuna fase:

  1. Controlli automatizzati e lettere di compliance: Spesso tutto inizia con una segnalazione interna dell’Agenzia delle Entrate. Ad esempio, una dichiarazione forfettaria che presenta anomalie (ricavi vicini o sopra soglia, quadro RS non compilato, incoerenze con dati di sostituti d’imposta, ecc.) può generare una lettera di invito alla compliance. Queste comunicazioni “bonarie” non sono atti impositivi ma opportunità: il contribuente viene avvisato di una possibile irregolarità e invitato a fornire chiarimenti o a correggere spontaneamente. Esempi tipici: omessa compilazione del prospetto cause ostative (RS), ricavi dichiarati troppo bassi rispetto a indicatori (il Fisco manda lettere a forfettari con redditi anormalmente bassi rispetto al settore), mancata presentazione esterometro (per chi operava con l’estero), mancato versamento dell’imposta sostitutiva dichiarata, oppure – caso cruciale – dubbi sul possesso dei requisiti (v. lettera che chiede contratti, F24 dipendenti, ecc. per verificare se c’era causa ostativa). Cosa fare: rispondere per tempo. Se si ignorano le lettere di compliance, si perde un’occasione di evitare guai peggiori. Invece, inviando la documentazione richiesta o procedendo a ravvedimento operoso, spesso la questione si chiude lì senza sanzioni piene. Ad esempio, per l’omesso quadro RS 2021, l’Agenzia nel 2024 ha permesso di sanare con ravvedimento pagando €25 (1/10 di €250) se entro 90 giorni . Molti forfettari hanno colto l’occasione. Se non avessero risposto, rischiavano un controllo formale con sanzione piena €250. In sintesi: collaborazione nella fase pre-accertamento paga.
  2. Verifica fiscale o richiesta documenti: In alcuni casi (soprattutto quando si sospetta una causa ostativa sostanziale) l’ufficio può procedere a verifiche approfondite. Può inviare un questionario o invito all’esibizione ex art. 32 DPR 600/73, chiedendo ad esempio tutte le fatture emesse/ricevute, contratti con clienti, estratti conto, documenti che provino l’assenza di cause (come già visto). Oppure può partire direttamente una verifica presso il contribuente (più raro per piccoli forfettari, ma possibile se ci sono sospetti di evasione più ampia). Durante la verifica, la mancata tenuta di scritture non è violazione (il forfettario era esonerato), ma i verificatori analizzeranno conti bancari, fatture elettroniche, ecc. Possono applicare come detto presunzioni di ricavi su versamenti inspiegati. Difesa in verifica: cooperare ma anche far valere i propri diritti dello Statuto del Contribuente (es. tempi congrui per risposta ai questionari, possibilità di farsi assistere da un professionista, diritto di consegnare memoria entro 60 gg dalla chiusura PVC). È utile, entro 60 giorni dal rilascio del Processo Verbale di Constatazione (PVC), presentare eventuali osservazioni difensive se si ritiene che i verificatori abbiano frainteso qualcosa (ad es. spiegare che quel versamento sul conto non era un ricavo ma un finanziamento, documentandolo). Tali osservazioni vanno esaminate dall’Ufficio prima di emettere l’avviso.
  3. Emissione dell’Avviso di Accertamento: Se dai controlli risulta che il contribuente ha fruito indebitamente del regime forfettario, l’Agenzia emette un avviso di accertamento motivato, con il dettaglio delle maggiori imposte e sanzioni. Ad esempio: “Avendo controllato che il contribuente ha percepito redditi da pensione >30k nel 2021, si esclude il regime per il 2022, rideterminando un maggior IRPEF di €X, IVA €Y, sanzione infedele 100% €…, sanzione IVA 100% €…, totale dovuto…”. L’atto viene notificato al contribuente (di solito via PEC). Da quel momento, il contribuente ha 60 giorni per decidere il da farsi: pagare, aderire o ricorrere. Opzione: accertamento con adesione – entro 30 giorni dalla notifica si può presentare istanza di adesione e l’ufficio ti convocherà (sospendendo i termini). Come detto, in adesione si possono ridiscutere alcuni aspetti. Ad esempio: spesso l’Agenzia in accertamento forfettari dimentica di considerare alcuni costi deducibili (perché avendo dichiarato col forfait, i costi non erano indicati). Il contribuente può portare in adesione le prove dei costi effettivi sostenuti deducibili, chiedendo di ricalcolare il reddito ordinario al netto di essi. L’Ufficio può accettare, riducendo il maggior reddito accertato. Oppure si può chiedere di ridurre le sanzioni al minimo edittale (o anche qualcosina meno per chiudere). Se si raggiunge l’accordo, si firma un atto di adesione: le sanzioni sono ridotte di 1/3 per legge, e non si può più impugnare. – Se non si fa adesione o fallisce, resta la via giudiziale.
  4. Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria): Entro 60 giorni (aumentati di 90 se adesione abortita) dalla notifica dell’accertamento, il contribuente può presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (provinciale). Per importi in contestazione fino a €50.000, il ricorso è preceduto da un tentativo obbligatorio di mediazione tributaria (la quale, simile all’adesione, può portare a riduzione sanzioni del 35%). Nel ricorso, il contribuente attraverso il suo difensore espone i motivi di impugnazione. Questi possono essere sia di merito (negare la sussistenza della causa ostativa, contestare il calcolo delle imposte, eccepire che la norma non doveva applicarsi per interpretazione diversa, ecc.) sia di legittimità/procedura (vizi formali dell’atto, notifiche errate, motivazione carente, ecc.). – Fase processuale: si discute il caso e la Corte emette la sentenza di primo grado. Se favorevole al contribuente, l’atto può essere annullato totalmente o parzialmente (es. annullano le sanzioni ma confermano il recupero imposte). Se sfavorevole, il contribuente soccombente può fare appello alla Corte di secondo grado (regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. La CTR (oggi Corte di Giustizia Tributaria di 2° grado) rivede il caso, in fatto e in diritto. Infine, dopo l’appello, la parte soccombente può proporre ricorso per Cassazione entro ulteriori 60 giorni dalla notifica della sentenza d’appello. La Cassazione giudica solo su quesiti di diritto (interpretazione di legge, vizi logici della sentenza, errori di diritto processuale). Ad esempio, potrebbe stabilire una volta per tutte come interpretare “prevalentemente” o se l’Agenzia aveva ragione a far decorre l’esclusione in un certo modo. Se la Cassazione accoglie il ricorso, la causa può essere rimandata ad altra sezione della CTR per nuovo esame nel merito alla luce dei principi affermati.

Va detto che arrivare fino in Cassazione è dispendioso e lungo (diversi anni). Per importi modesti conviene risolvere prima. Potrebbe valere la pena insistere fino in fondo in casi di principio o con ampie ricadute (es. una nuova causa ostativa dubbia dove non c’è giurisprudenza – il contribuente potrebbe voler arrivare in Cassazione per fare chiarezza e magari aiutare tanti altri in situazione analoga). Ma nella maggioranza dei casi, se i fatti sono accertati, la strategia migliore del debitore è cercare un compromesso il prima possibile per ridurre sanzioni e pagare. Il contenzioso ha comunque un costo (anche solo il contributo unificato, le spese legali) e il rischio di dover pagare poi anche interessi di mora.

Giurisprudenza recente di merito: Qualche buona notizia per i contribuenti: alcune Commissioni hanno annullato sanzioni riconoscendo la buona fede. Ad esempio, ci sono stati casi in cui contribuenti avevano superato di poco il vecchio limite di 65k quando è entrato in vigore l’85k, e l’ufficio li aveva sanzionati per il 2023. Commissioni hanno dato ragione al contribuente affermando che la norma sopravvenuta più favorevole doveva applicarsi e che dunque non c’era colpa grave tale da sanzionare (richiamando il principio di legalità e favor rei). Oppure giudici che hanno ritenuto legittimo il comportamento del contribuente se conforme a indicazioni dell’Agenzia (ad esempio chi è rientrato nel regime su consiglio del commercialista dopo la modifica normativa non può essere sanzionato per aver seguito la prassi). Naturalmente, ogni caso è a sé.

In conclusionedifendersi dalle contestazioni sul regime forfettario richiede innanzitutto prevenzione – conoscere e rispettare i requisiti, comunicare eventuali variazioni (per esempio ricordarsi sempre di barrare le caselle in dichiarazione attestanti l’assenza di cause ostative, così da non dare appigli formali) – e, laddove l’errore è ormai fatto, reattività nel regolarizzare prima possibile. Se si arriva allo scontro formale, valutare costi/benefici del contenzioso e non aver timore di far valere quelle ragioni che realmente sussistono (ad es. interpretazioni dubbie: la norma non chiariva questo aspetto, io l’ho interpretata in buona fede così, ecc.). L’ordinamento tributario italiano, pur severo (“ignorantia legis non excusat”), riconosce talvolta esimenti per il contribuente che si è trovato in incertezza normativa oggettiva. Il regime forfettario, essendo stato modificato più volte in pochi anni (si pensi alla causa ex-datore abolita e reintrodotta, alla soglia dipendenti tolta e reintrodotta, ai limiti ricavi cambiati), è un terreno dove l’incertezza può essere invocata a ragione. Un contribuente diligente può sostenere di aver interpretato male una regola mutata da poco e chiedere almeno la non applicazione delle sanzioni amministrative. Diversi giudici tributari hanno mostrato comprensione in tal senso, annullando le sanzioni pur confermando il recupero delle imposte. Questa potrebbe essere, in extremis, la vittoria parziale a cui puntare: pagare il dovuto (che purtroppo era dovuto) ma senza penalità, specie se l’importo evaso non è frutto di dolo ma di equivoco.

Domande frequenti (FAQ)

D: Ho omesso di indicare nel Modello Redditi che rispettavo i requisiti (quadro RS non compilato). Perdo il diritto al regime forfettario?
R: No, un mero errore formale in dichiarazione non comporta l’esclusione dal regime se effettivamente ne avevi diritto. La Cassazione ha chiarito che la fruizione di un regime agevolato non è preclusa da irregolarità formali prive di impatto sostanziale. Tuttavia, l’omissione va sanata: l’Agenzia Entrate può applicare una sanzione fissa (in genere €250, riducibile con ravvedimento) per dichiarazione inesatta . Ad esempio, molti forfettari 2021 che avevano saltato il quadro RS hanno ricevuto lettere di compliance nel 2024 e hanno potuto regolarizzare con €25 di sanzione (ravvedimento) . Quindi niente panico: sistema l’errore appena possibile, ma il regime rimane valido se avevi i requisiti.

D: Sono un forfettario e ho versamenti sul c/c non giustificati. Possono considerarmeli ricavi nascosti?
R: Sì. Anche se non hai obbligo di tenere registri, in caso di controllo la Guardia di Finanza o l’Agenzia possono analizzare il tuo conto bancario. Per legge, qualunque versamento su conto di un imprenditore/professionista si presume un ricavo tassabile se non dimostri la provenienza non reddituale. Allo stesso modo, i prelievi in contanti sopra una certa soglia mensile possono essere considerati impiego per acquisti “in nero” e indurre il Fisco a presumere vendite non dichiarate. La Corte Costituzionale nel 2023 (sent. n. 10/2023) ha confermato la legittimità di queste presunzioni anche per i forfettari. Quindi, in pratica, se arrivano accrediti sul tuo conto non spiegati da fatture emesse, preparati a fornire prova (es. erano rimborsi, trasferimenti da conto familiare, ecc.), altrimenti l’Ufficio li aggiungerà ai tuoi ricavi tassati ordinariamente. Meglio dunque tenere traccia di tutto, anche se la contabilità non è obbligatoria.

D: L’Agenzia mi contesta il controllo di una Srl e dice che dovevo uscire dal forfait. Posso evitare le sanzioni se non c’è stato vantaggio fiscale?
R: Puoi provare a convincerli che non c’è stato intento evasivo. Ad esempio, se non hai mai fatturato nulla alla Srl e questa non ti ha trasferito utili o compensi, evidenzia che non c’è stata la frammentazione di reddito che la norma voleva colpire. In alcuni casi, l’Agenzia accoglie questa argomentazione per chiudere con un semplice cambio di regime senza multa, soprattutto se tu spontaneamente proponi di sistemare (ad es. opti per regime ordinario dal tal anno). Tuttavia, formalmente la causa ostativa c’era, quindi l’ufficio potrebbe comunque applicare le sanzioni (magari al minimo). Potresti allora far valere in giudizio l’assenza di evasione d’imposta: se dimostri che anche in regime ordinario avresti pagato uguale o meno (caso raro, ma possibile se avevi molte spese deducibili), potresti ottenere clemenza sulle sanzioni in base all’art. 6, co.5, D.Lgs. 472/97 (errore senza danno erariale). In ogni caso, se il ricavo della Srl proveniva quasi tutto da te (fornitore principale), sarà dura evitare sanzioni perché il vantaggio fiscale è palese.

D: Dopo l’accertamento, dovrò versare l’IVA su tutte le operazioni passate fatte in regime forfettario?
R: No, solo su quelle per cui non ne avevi diritto. Mi spiego: se ad esempio ti contestano che nel 2022 non potevi stare nel forfait, allora tutte le fatture 2022 andavano assoggettate a IVA. Dovrai quindi pagare quell’IVA ora (più interessi), ma non sull’anno 2021 o 2023 se in quei periodi il regime era legittimo. Se invece hai sforato 100k a metà anno, l’IVA è dovuta solo da quel punto in poi. In pratica l’agenzia “riesuma” l’IVA solo per i periodi ritenuti fuori regime . Nota bene: il cliente che ha ricevuto le tue fatture senza IVA, una volta che tu versi l’IVA al Fisco, non potrà detrarla a meno che si emettano documenti di variazione. Spesso, per evitare questioni con i clienti, il contribuente preferisce accollarsi l’IVA non addebitata. Dal punto di vista legale, però, tu avresti diritto di rivalerti sui clienti per l’IVA pagata in ritardo (art. 60 co.7 DPR 633/72), ma è complicato.

D: Sono passato da forfettario a ordinario a causa di un errore, posso tornare nel regime agevolato l’anno prossimo?
R: Dipende dalla causa. Se sei uscito per sforamento di soglia oltre 85k, puoi rientrare dopo un anno “fuori” se torni sotto i limiti e non hai cause ostative. Se sei decaduto per una causa ostativa (es. partecipazione società) e poi la rimuovi (vendi le quote), già dall’anno successivo in cui la causa cessa puoi rientrare nel forfait (ovviamente rispettando anche il limite ricavi nell’anno precedente). Non esiste un periodo minimo di esclusione salvo il caso particolare di fuoriuscita per superamento 100k: lì la norma ti butta fuori e quell’anno conta come ordinario, ma l’anno dopo puoi rientrare se hai di nuovo requisiti (ricavi <85k, etc.). Attenzione però: se sei stato espulso perché hai aderito ad altre agevolazioni (tipo regime impatriati), dovrai aspettare che quel regime finisca; nel caso impatriati dura 5 anni, poi potrai valutare forfait. In generale il regime forfettario è di diritto applicabile ogni anno in cui si verificano le condizioni. Quindi appena torni a soddisfarle, puoi aderire senza dover chiedere permesso (magari barrando di nuovo l’opzione in dichiarazione inizio attività se avevi chiuso la P.IVA). Ricorda però che se hai optato volontariamente per il regime ordinario (opzione triennale), devi restare ordinario almeno per tre anni. Ma se sei uscito per obbligo, non c’è vincolo temporale di tre anni.

D: Ho iniziato l’attività nel 2023 e applicato il 5% start-up, ma ora scoprono che avevo fatto un’attività simile anni fa. Che rischio?
R: Qui parliamo delle condizioni per l’aliquota start-up al 5% (comma 65 L.190/2014): non aver esercitato attività simili nei 3 anni precedenti, attività non mera prosecuzione di lavoro dipendente, ecc.. Se l’AdE verifica che in realtà l’attività era prosecuzione di una precedente o che avevi già partita IVA 2 anni fa, non perdi il regime forfettario, ma perdi il diritto all’aliquota 5% agevolata. Ti ricalcoleranno l’imposta al 15%. In pratica, ti chiederanno il 10% in più di imposta sui redditi di quegli anni, più interessi e una piccola sanzione (in genere il 30% del maggiore imposta se considerato indebito utilizzo di agevolazione). Sono cifre molto minori rispetto ai casi visti (es. su €20k reddito, 10% in più = €2k di imposta, sanzione €600 circa). Difesa: se c’era dubbio interpretativo su cosa sia “mera prosecuzione”, prova a portare elementi che la tua nuova attività era differente dal vecchio lavoro. Ad esempio, svolgevi mansioni diverse o in settori diversi. La circolare 17/E/2012 (vecchio regime dei minimi analogo) dava criteri: se apri P.IVA e il tuo ex datore diventa cliente, è mera prosecuzione; se cambi settore o clienti, no. Quindi puoi contestare la riqualificazione se hai elementi.

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento, l’importo è enorme e non riesco a pagarne nemmeno una parte. Cosa posso fare?
R: Prima di tutto, non restare inerte. Se lasci trascorrere 60 giorni senza fare nulla, l’accertamento diventa definitivo e l’importo va a riscossione coattiva (Agenzia Riscossione, cartella). Invece, presentando ricorso, sospendi la riscossione automatica del 1/3 per importi sopra 5k fino alla sentenza di primo grado. Puoi anche chiedere al giudice tributario una sospensione dell’esecuzione motivando che ti causerebbe danno grave (es. fallimento) e che il ricorso non è pretestuoso. Spesso la concedono per mettere in stand-by il pagamento finché la causa è in corso. – Parallelamente, valuta l’accertamento con adesione: anche se non hai soldi, in adesione puoi ottenere sanzioni ridotte e poi chiedere fino a 8 rate semestrali (4 anni). Magari rateizzando riesci a far fronte. – Se nemmeno le rate bastano, e la pretesa è sproporzionata, considera procedure straordinarie: ad esempio la composizione negoziata della crisi se sei imprenditore, o il piano del consumatore se sei persona sovraindebitata. Queste esulano dall’ambito fiscale stretto ma servono a gestire debiti impagabili. – Infine, tieni d’occhio possibili definizioni agevolate: il legislatore negli ultimi anni ha permesso di chiudere liti fiscali pagando solo il 20% o 10% del dovuto in certi casi. Se la tua controversia rientra, potresti risolvere con forte sconto. Ad esempio, nel 2023 si potevano definire le liti pendenti in Cassazione con solo il 5% se avevi già vinto nei gradi precedenti. Quindi, valuta con il tuo consulente ogni opportunità legislativa.

In generale, il consiglio è: affronta attivamente la situazione, negozia il più possibile con l’Agenzia (sono spesso disponibili a chiudere con sanzioni ridotte in adesione, perché anche per loro è un’incognita andare in giudizio) e non esitare a farti assistere da un esperto (avvocato tributarista o commercialista) perché le somme in ballo giustificano il costo di una buona difesa tecnica. Con la strategia giusta, è spesso possibile ottenere una significativa riduzione dell’esborso finale, proteggendo al contempo la propria continuità professionale e la propria serenità fiscale futura.

Fonti: Legge 23 dicembre 2014 n.190 art.1 commi 54-89 (regime forfettario); Circolare AE 9/E 2019 e 10/E 2016 (chiarimenti cause ostative); Cass. civ. Sez. V ord. 14/04/2023 n.9973 (dich. omessa preclude regime); Cass. civ. Sez. V ord. 23/02/2023 n.5586 (presunzioni bancarie sui forfettari); Corte Cost. sent. 10/2023; Cass. ord. 21965/2023 (giudicato esterno in materia forfettari) ; Risposta interpello AE 398/2019 (controllo di fatto Srl – fornitore prevalente); Risposta AE 108/2019 (socio amministratore Srl); Risposta AE 149/2025 (concordato biennale e fuoriuscita forfait); Fondazione Commercialisti – ultimo aggiornamento regime forfettario (2023); Art. 1 DLgs 471/97 (sanzioni infedele 90-180%) ; Art. 8 DLgs 471/97 (sanzione €250 dichiarazione inesatta) . (Si veda bibliografia e sitografia per ulteriori riferimenti).

  • LEGGE 23 dicembre 2014, n. 190 – Normattiva

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’utilizzo scorretto del regime forfettario? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestato l’utilizzo scorretto del regime forfettario?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Il regime forfettario è un regime agevolato riservato a professionisti e piccole imprese con determinati requisiti di fatturato, spese e assenza di cause ostative. Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che tali requisiti non fossero rispettati, può revocare il regime e recuperare le imposte, riqualificando i redditi con tassazione ordinaria.

👉 Prima regola: verifica se le condizioni per l’accesso o la permanenza nel regime erano davvero rispettate nel periodo contestato.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Superamento dei limiti di ricavi o compensi (85.000 €);
  • Presenza di partecipazioni in società di persone o SRL “collegate”;
  • Svolgimento di attività escluse dal regime (es. regimi speciali IVA, lavoro dipendente prevalente);
  • Fatturazione prevalente verso ex datore di lavoro (entro i due anni precedenti);
  • Compensi non dichiarati correttamente o incongruenze con dati dell’anagrafe tributaria.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Decadenza dal regime forfettario con effetto retroattivo;
  • Riliquidazione delle imposte secondo il regime ordinario (IRPEF, addizionali, IVA);
  • Sanzioni amministrative per dichiarazione infedele o omessa IVA;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di ulteriori controlli fiscali su più annualità.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Volume d’affari effettivo: sono stati calcolati correttamente i ricavi/compensi?
  • Esistenza di cause ostative: l’Agenzia ha provato la presenza di partecipazioni o rapporti vietati?
  • Correttezza della contestazione: l’accertamento si basa su dati reali o presunzioni?
  • Motivazione dell’atto: è sufficientemente dettagliata o generica?
  • Possibilità di ravvedimento per regolarizzare eventuali errori dichiarativi.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Dichiarazioni dei redditi e quadri LM degli anni contestati;
  • Estratti conto e registri dei compensi;
  • Visure camerali per verificare partecipazioni societarie;
  • Contratti con clienti e fornitori;
  • Documentazione di eventuali rapporti di lavoro dipendente.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’assenza delle cause ostative con prove documentali;
  • Contestare gli errori dell’Agenzia nei calcoli di ricavi o nell’interpretazione delle norme;
  • Eccepire vizi formali: notifica irregolare, motivazione insufficiente, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela in caso di contestazioni manifestamente infondate;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per annullare l’accertamento;
  • Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e definire la lite.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua posizione fiscale e le contestazioni dell’Agenzia;
📌 Verifica la sussistenza dei requisiti per il regime forfettario;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per difendere la legittimità del regime applicato;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con il Fisco e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per continuare a operare in sicurezza nel regime agevolato o transitare correttamente a quello ordinario.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in regimi fiscali agevolati e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di professionisti e piccole imprese contro contestazioni sul regime forfettario;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni per uso scorretto del regime forfettario non sempre sono fondate: spesso derivano da interpretazioni errate della normativa o da calcoli imprecisi.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la legittimità della tua posizione, evitare la decadenza dal regime e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sul regime forfettario inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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