Agenzia Delle Entrate Denuncia Dichiarazione Fraudolenta Con Uso Di Fatture False: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per dichiarazione fraudolenta con utilizzo di fatture false? In questi casi, l’Ufficio presume che siano stati utilizzati documenti fiscali inesistenti o gonfiati per abbattere l’imponibile o detrarre indebitamente IVA, configurando una delle violazioni più gravi previste dalla normativa tributaria. La conseguenza è non solo il recupero delle imposte con sanzioni e interessi, ma anche la possibile responsabilità penale. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: la difesa può puntare sulla mancanza di dolo, sull’errore materiale o su responsabilità riconducibili a terzi.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’uso di fatture false
– Se le fatture si riferiscono a operazioni mai avvenute (fatture oggettivamente inesistenti)
– Se le fatture riguardano operazioni reali ma con importi gonfiati o soggetti diversi da quelli effettivi
– Se i fornitori risultano società “cartiere” prive di struttura o personale
– Se emergono incongruenze tra documentazione contabile e movimentazioni bancarie
– Se le fatture sono ritenute strumentali a ridurre artificiosamente IVA o imposte dirette

Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte indebitamente detratte o non versate
– Applicazione di pesanti sanzioni amministrative per dichiarazione fraudolenta
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di denuncia penale per reati tributari (art. 2 D.Lgs. 74/2000)
– Possibili sequestri preventivi e confisca dei beni aziendali o personali

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’effettività delle operazioni contestate con contratti, ordini, bolle di consegna, pagamenti tracciati
– Provare la buona fede del contribuente, ad esempio documentando verifiche sui fornitori
– Contestare la qualifica di “fattura falsa” in caso di errori formali o di meri vizi documentali
– Evidenziare vizi di motivazione o carenze probatorie nell’accertamento dell’Agenzia
– Impugnare l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e predisporre una difesa anche in sede penale

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione fiscale e contrattuale oggetto di contestazione
– Verificare la solidità probatoria delle accuse e la corretta applicazione delle norme tributarie e penali
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi procedurali
– Difendere il contribuente sia davanti ai giudici tributari sia nel processo penale, se avviato
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da sequestri e confische preventive

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione tributaria
– L’esclusione della responsabilità penale in caso di assenza di dolo
– La riduzione o eliminazione delle sanzioni amministrative applicate
– La sospensione delle procedure di riscossione già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto, senza aggravi indebiti

⚠️ Attenzione: la dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false è tra le violazioni più gravi e comporta anche conseguenze penali. È fondamentale agire tempestivamente con una difesa tecnica qualificata entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento fiscale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e penale-tributario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Quando l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza contestano a un contribuente una dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, ci si trova di fronte a uno dei reati fiscali più gravi dell’ordinamento italiano. Si tratta di una condotta che intreccia sanzioni penali e tributarie, con potenziali effetti devastanti sia per l’individuo (o l’imprenditore) coinvolto, sia per l’azienda nel cui interesse l’illecito è stato eventualmente commesso . In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – esamineremo in dettaglio cosa prevede la normativa italiana in materia, quali sono le sanzioni penali e amministrative, le più recenti sentenze e interpretazioni giurisprudenziali, e soprattutto quali strumenti di difesa e tutela sono disponibili al contribuente (dal punto di vista del debitore). Il taglio sarà tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, adatto sia ad avvocati e professionisti del settore, sia a privati e imprenditori che necessitino di orientamento.

La guida sarà articolata in sezioni tematiche, corredate da tabelle riepilogative e un’area Domande & Risposte per chiarire i dubbi frequenti. Verranno affrontati i profili penalistici (processo penale, strategie difensive, prescrizione, ecc.), quelli tributari (accertamento fiscale, sanzioni amministrative, strumenti come ravvedimento operosoadesione e altre forme di definizione) nonché i possibili riflessi sulla responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001, qualora il reato sia commesso nel contesto aziendale. Il tutto alla luce delle più recenti novità normative (come la riforma dei reati tributari del 2019) e delle ultime sentenze di Cassazione e Corte Costituzionale.

Quadro generale: la fattispecie di reato e la normativa rilevante

Cos’è la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti? In termini semplici, è il reato che si configura quando un contribuente, allo scopo di evadere le imposte, gonfia artificialmente i costi o l’IVA a credito nelle proprie dichiarazioni fiscali, avvalendosi di fatture false. La norma chiave è l’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti in modo da indicare nella dichiarazione annuale elementi passivi fittizi . In altre parole, vengono riportati costi inesistenti o IVA indetraibile servendosi di documenti solo formalmente regolari ma sostanzialmente falsi.

Dal punto di vista giuridico, ciò che rende particolarmente insidiosa questa condotta è proprio l’utilizzo di documentazione dall’apparenza legale e veritiera, che in realtà maschera operazioni mai avvenute o diverse da quelle reali . La falsa fatturazione si mimetizza nella forma burocratica della normale contabilità, traendo in inganno l’Amministrazione finanziaria e falsando l’attività di accertamento fiscale . Secondo la Corte Costituzionale, si tratta di un “artificio particolarmente insidioso” che giustifica un trattamento penale più severo e, caratteristicamente, senza soglie quantitative di punibilità . Il cuore del disvalore sta non solo nel danno economico all’erario, ma nella violazione del rapporto di fiducia su cui si basa il sistema di autodichiarazione dei tributi: il Fisco presume infatti che il contribuente dichiari il vero in buona fede .

La struttura del reato: elementi oggettivi e soggettivi

La fattispecie penale di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000 si articola in tre elementi fondamentali :

  • Condotta: presentazione di una dichiarazione annuale (dell’IVA o dei redditi) contenente elementi passivi fittizi, ossia costi, spese o altri elementi negativi falsi (o crediti IVA inesistenti), avvalendosi di documenti che attestano operazioni inesistenti . In pratica, il contribuente inserisce in dichiarazione fatture false per abbattere il reddito imponibile o aumentare l’IVA detraibile.
  • Mezzo fraudolento: l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. L’art. 1, c.1, lett. a) del D.Lgs. 74/2000 fornisce la definizione normativa di tali documenti, includendo tre categorie principali :
  • Documenti relativi a operazioni oggettivamente inesistenti: transazioni mai avvenute in tutto o in parte (la fattura è completamente falsa quanto al fatto economico) .
  • Documenti con corrispettivi o IVA superiori al reale: cosiddetta sovrafatturazione, in cui l’operazione c’è stata ma l’importo in fattura è artificiosamente gonfiato (in quantità o qualità) oltre il valore effettivo .
  • Documenti che attribuiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi: la cosiddetta inesistenza soggettiva, tipica ad esempio delle fatture emesse da una “cartiera” (società fittizia) per operazioni svolte in realtà da altri .

Come si può notare, la falsità può essere ideologica (il documento attesta fatti mai accaduti) o materiale (numeri alterati), ma in ogni caso produce una divergenza tra la realtà economica e la rappresentazione fiscale . La giurisprudenza conferma costantemente che qualsiasi scostamento artificioso tra realtà e documento rientra nella nozione di “operazione inesistente” rilevante ai fini penali . Ad esempio, la Cassazione ha ribadito nel 2024 che tutte le forme di divergenza documentale – indipendentemente dalla natura della falsità – ricadono nell’alveo della fattura per operazioni inesistenti punita dall’art. 2 .

  • Elemento soggettivo: è richiesto il dolo specifico di evasione, vale a dire la volontà di evadere le imposte tramite l’uso di quei documenti falsi . Non basta quindi che il contribuente sappia che la fattura è irregolare; occorre che l’abbia utilizzata proprio con l’intento di ottenere un indebito vantaggio fiscale . Tuttavia, sul piano probatorio va considerato che il dolo specifico può coesistere con forme di dolo eventuale: la Corte ha ritenuto sufficiente, ad esempio, che l’imprenditore accetti il rischio che l’operazione, pur presentando forma lecita, sia in realtà fraudolenta ai fini fiscali . In un caso del 2024, la Cassazione ha affermato che aderire consapevolmente a un sistema ricorrente di false fatturazioni – anche se orchestrato da altri – integra comunque l’intento fraudolento richiesto (Cass. pen. sez. III, 11 aprile 2024, n. 32106) .
  • Consumazione: il reato si considera commesso (istantaneo) al momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta . È in quell’istante (normalmente la scadenza annuale di presentazione del modello Unico/IVA) che si concretizza la lesione all’interesse tutelato, ossia la trasparenza e veridicità del sistema impositivo basato sull’autodichiarazione . L’uso o la mera emissione della fattura falsa di per sé, se non confluisce in una dichiarazione, non integra il delitto di cui all’art. 2: diventa penalmente rilevante solo quando quella falsa documentazione è posta a fondamento di una dichiarazione mendace . In sintesi, non esiste il reato di “possesso di fatture false” in quanto tale, ma solo l’utilizzo fraudolento che si concretizza con l’atto dichiarativo. La Cassazione ha confermato che anche se le fatture vengono solo conservate a fini di prova (e magari nemmeno esibite), ciò basta a integrare l’utilizzo strumentale se sono funzionali a dare parvenza di legittimità alla dichiarazione .

È importante sottolineare che l’art. 2 prevede una particolare estensione: l’uso delle fatture false si considera avvenuto non solo quando siano registrate in contabilità, ma anche se sono semplicemente tenute a disposizione come prova verso il Fisco . Ciò significa che persino documenti falsi non formalmente confluiti in dichiarazione possono rilevare, se predisposti per ingannare un eventuale controllo. In definitiva, la dichiarazione fraudolenta con fatture false è un reato “a cavallo” tra illecito fiscale e penale, costruito per colpire le frodi più insidiose ove la documentazione mendace altera profondamente il controllo tributario.

Tabella 1: Tipologie di operazioni inesistenti (art. 1 D.Lgs. 74/2000)

Tipo di falsità (operazione inesistente)Descrizione e caratteristicheEsempio pratico
Oggettiva (inesistenza totale o parziale)L’operazione fatturata non è mai avvenuta, in tutto o in parte . Il documento è completamente falso sotto il profilo materiale.Fattura per una fornitura mai consegnata né effettuata.
Soggettiva (falsa interposizione)L’operazione c’è stata, ma tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura . Spesso coinvolge società “cartiere” usate come intermediari fittizi.Servizio realmente reso da Tizio, ma fatturato da una società di comodo Caio (senza struttura) per mascherare il vero fornitore.
Sovrafatturazione (quantitativa o qualitativa)L’operazione avviene, ma il valore in fattura eccede il reale (prezzo o quantità gonfiati) . È una forma di falsità ideologica: documentazione apparentemente regolare ma con importi esagerati.Fattura di 100 unità di merce quando in realtà ne sono fornite 50; oppure fattura che indica un prezzo doppio rispetto al valore di mercato effettivo della prestazione.

Nota: Tutte queste ipotesi, se finalizzate a evadere il fisco, rientrano nel reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto punibile anche la sovrafatturazione solo qualitativa/quantitativa quando serve a creare costi fittizi, salvo il caso in cui l’operazione sia reale, il pagamento effettivo e non vi siano artifici ulteriori (in tal ultimo scenario non c’è reato perché manca la “inesistenza” dell’operazione) . Viceversa, operazioni simulate (ad es. un contratto di appalto che in realtà cela pura manodopera in nero) sono ricondotte nell’alveo dell’art. 2 come frode documentale .

Soglie di punibilità e particolarità normative (assenza di soglia, soglia attenuante)

Uno degli aspetti peculiari di questo reato è la mancanza di una soglia quantitativa minima: a differenza di altri delitti tributari (come la dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. 74/2000, che scatta solo oltre certi importi di imposta evasa), la dichiarazione fraudolenta con fatture false è punibile indipendentemente dall’ammontare del vantaggio fiscale ottenuto. Anche una falsa fattura di importo relativamente modesto configura il reato . Questa scelta legislativa – confermata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 95/2019) – si giustifica con la gravità intrinseca della falsa documentazione, considerata un mezzo fraudolento particolarmente pericoloso e subdolo, tale da meritare repressione penale a prescindere dal valore . La Consulta ha rilevato che il legislatore ha inteso “isolare” la condotta di falsa fatturazione (difficilmente accertabile e capace di sviare la verifica fiscale) e colpirla senza soglie in virtù dell’elevato disvalore, non limitato al danno erariale ma esteso all’alterazione della fiducia nel sistema dichiarativo .

Va tuttavia segnalato che, con la riforma del 2019 (vedi oltre), è stata introdotta una sorta di soglia “attenuata” a fini sanzionatori: se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 100.000 € (per periodo d’imposta), si applica una pena più mite (quella previgente al 2019). Ciò risulta dal nuovo comma 2-bis dell’art. 2, che prevede appunto la cornice penale ridotta (reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) nei casi sotto la soglia di 100.000 € . È fondamentale chiarire che questa soglia non incide sulla sussistenza del reato, ma esclusivamente sull’entità della pena . In altri termini, non è una soglia di punibilità, bensì una circostanza attenuante ad effetto speciale: il reato sussiste comunque anche per 1 € di falsa fattura, ma se tutta la frode documentale per quell’anno resta sotto 100.000 €, il colpevole verrà sanzionato meno duramente . Dottrina e giurisprudenza, infatti, qualificano il comma 2-bis come una attenuante speciale e non come fattispecie autonoma .

Ricordiamo infine che prima della riforma 2019 il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false non poteva beneficiare della causa di non punibilità legata al pagamento del debito tributario. Dal 2019, invece, anche per questo delitto è stata estesa la “scusa” del ravvedimento operoso (pagamento integrale prima dei controlli), come dettagliato più avanti . In sostanza, il legislatore ha voluto bilanciare l’inasprimento sanzionatorio concedendo però al contribuente virtuoso tardivamente un’ultima chance di evitare il penale, purché si attivi spontaneamente in tempo utile.

Riforma 2019 e novità normative recenti

Nel dicembre 2019 è entrata in vigore una riforma significativa dei reati tributari (Decreto Legge 26 ottobre 2019, n. 124 conv. in L. 157/2019) che ha avuto un forte impatto anche sulla dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false . Tale intervento normativo – orientato a una linea di maggiore rigore nel contrasto all’evasione fiscale – ha introdotto diverse novità che è essenziale conoscere per un’adeguata difesa. Riassumiamo i punti principali della riforma (e sviluppi correlati):

  • Inasprimento delle pene: La cornice edittale del reato è stata elevata. Prima del 2019 la pena prevista era la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni; dopo la riforma si va da 4 a 8 anni di reclusione (per i casi ordinari sopra soglia attenuante) . Ciò riflette la volontà di considerare più grave questa condotta fraudolenta. La pena da 4 a 8 anni, tra l’altro, supera la soglia dei 5 anni e comporta alcune conseguenze processuali: ad esempio, consente l’applicazione di misure cautelari personali più afflittive (arresti in flagranza e custodia cautelare in carcere, se ricorrono le esigenze cautelari, essendo il minimo edittale ora ≥ 4 anni) . Come già detto, è stato aggiunto il comma 2-bis per i casi di frode “minore” < 100.000 €, in cui la pena resta quella vecchia (1,5–6 anni) . Di fatto, sopra e sotto tale importo cambiano gli anni di carcere potenziali, ma non la configurabilità dell’illecito .
  • Introduzione della confisca allargata: sempre la legge 157/2019 ha previsto l’applicazione della confisca per sproporzione (o confisca allargata) ex art. 240-bis c.p. ai condannati per dichiarazione fraudolenta con utilizzo di fatture false quando l’evasione supera 200.000 € di elementi passivi fittizi . La confisca allargata è una misura che permette allo Stato di confiscare non solo il profitto diretto del reato, ma qualsiasi bene o ricchezza del condannato sproporzionata rispetto al reddito lecito dichiarato . In pratica, se Tizio è condannato per aver frodato il fisco con false fatture oltre 200.000 €, potrà subire la confisca di beni anche non collegati specificamente all’evasione, qualora non ne possa giustificare la provenienza. Questa misura colpisce duramente il patrimonio illecito e può essere adottata anche in via cautelare mediante sequestro preventivo già durante le indagini . Lo scopo dichiarato del legislatore è aggredire il profitto economico dell’evasione in modo incisivo, sottraendo al reo i benefici patrimoniali ottenuti . Da notare che 200.000 € è una soglia riferita agli elementi fittizi nella dichiarazione: non è una soglia di reato ma il trigger per questa ulteriore conseguenza sanzionatoria.
  • Responsabilità amministrativa delle società (D.Lgs. 231/2001): un’altra novità cruciale è l’inclusione dei reati tributari gravi – tra cui il nostro art. 2 – nel novero dei reati-presupposto che fanno scattare la responsabilità delle persone giuridiche. Il decreto 231/2001, com’è noto, prevede che un ente (società, ente collettivo) possa essere chiamato a rispondere con sanzioni pecuniarie e interdittive se un suo dirigente o dipendente commette determinati reati nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Ebbene, la riforma 2019 ha inserito un nuovo articolo 25-quinquiesdecies nel D.Lgs. 231/2001, rubricato “Reati tributari”, che comprende anche la dichiarazione fraudolenta mediante fatture false (art. 2) come reato presupposto . Ciò significa che, ad esempio, se l’amministratore di Alfa S.p.A. è imputato ai sensi dell’art. 2 per aver usato fatture false nei bilanci della società, anche la società stessa potrà essere trascinata nel procedimento e sanzionata ex 231. Le sanzioni previste per l’ente, in tal caso, possono arrivare fino a 500 quote di multa (il valore di una quota va da circa 258 € a 1.549 € in base alle condizioni economiche dell’ente, quindi la sanzione pecuniaria massima è teoricamente 774.500 €) . Inoltre, possono essere applicate pesanti sanzioni interdittive, come l’interdizione dall’esercizio dell’attività, il divieto di contrattare con la PA, la sospensione o revoca di licenze e concessioni, ecc. . Per i casi “sotto soglia” <100.000 €, l’art. 25-quinquiesdecies prevede sanzioni lievemente inferiori (fino a 400 quote) . L’impatto pratico di questa modifica è notevole: le aziende devono ora dotarsi di efficaci modelli organizzativi 231 per prevenire i reati fiscali, altrimenti rischiano conseguenze dirette. (Dedicheremo una sezione specifica ai profili di responsabilità 231 più avanti).
  • Estensione della causa di non punibilità per pagamento del debito: come anticipato, la legge di fine 2019 ha modificato l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 estendendo anche al reato di cui all’art. 2 la possibilità per l’imputato di andare esente da pena se paga integralmente il debito tributario (imposte dovute, sanzioni amministrative e interessi) prima che inizino verifiche o procedure penali . In pratica, il cosiddetto ravvedimento operoso con estinzione del debito diventa una causa di non punibilità anche per la dichiarazione fraudolenta con false fatture . La norma (art. 13, comma 2) stabilisce che non è punibile chi estingue i debiti tributari relativi ai fatti illeciti, tramite pagamento completo (anche avvalendosi del ravvedimento operoso), prima di avere formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di procedimenti penali . Si tratta di un potente strumento premiale, pensato per incentivare la compliance volontaria tempestiva: il contribuente che, di sua iniziativa, regolarizza tutto prima di essere “scoperto” dalle autorità, evita il processo penale . Attenzione però ai limiti: questa “scusa” opera solo se ci si ravvede prima che lo Stato avvii controlli o indagini. Una volta ricevuto un PVC (processo verbale di constatazione) o un avviso di accertamento, è tardi per invocare la non punibilità ex art. 13 (resta al più una attenuante genérica). Approfondiremo anche questo aspetto, trattando degli strumenti di difesa tributaria.
  • Altre modifiche: La riforma 2019 ha contestualmente irrigidito anche le pene per altri reati tributari (ad esempio l’art. 3 “dichiarazione fraudolenta con altri artifici” portato a 3–8 anni , l’art. 8 “emissione di fatture false” simmetricamente aumentato a 4–8 anni con attenuante sotto 100.000 € , ecc.), e ridotto alcune soglie di punibilità per la dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5). Inoltre, sono state introdotte restrizioni procedurali come l’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000 che condiziona l’accesso al patteggiamento in sede penale al pagamento del debito tributario (vedi oltre sezione sul patteggiamento). Tali cambiamenti fanno parte di una strategia legislativa complessiva di tolleranza zero verso le frodi fiscali seriali.

Impatto pratico delle novità: In sintesi, dal 2020 in poi il contesto è diventato più severo: chi viene accusato oggi di aver utilizzato false fatture affronta potenziali pene detentive più alte, il rischio di sequestri e confische allargate se l’evasione è ingente, e vede coinvolta eventualmente anche la propria azienda in un autonomo procedimento ex 231. Di contro, esiste ora un forte incentivo a regolarizzare spontaneamente le violazioni fiscali quanto prima, per evitare del tutto il penale. Nei prossimi paragrafi vedremo come queste norme si calano nel concreto della procedura e quali strategie il “debitore” può adottare.

Conseguenze penali e tributarie: sanzioni previste

Vediamo ora nel dettaglio quali sono le sanzioni e le conseguenze derivanti da una denuncia per dichiarazione fraudolenta con fatture false, distinguendo tra profili penali (sanzioni criminali) e profili tributari (recupero imposte e sanzioni amministrative).

Sanzioni penali per il reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000

Come già indicato, la pena principale è la reclusione. Attualmente, a seguito delle modifiche del 2019, la pena base è da 4 a 8 anni di carcere . Se però l’importo dei costi fittizi è inferiore a 100.000 €, si applica la pena ridotta da 1 anno e 6 mesi a 6 anni .

Si tratta di pene di notevole entità, che collocano il reato nel novero dei delitti gravi. In concreto: – Reclusione massima 8 anni: implica che non sia possibile la sospensione condizionale della pena per condanne prossime al massimo (la condizionale è preclusa sopra i 2 anni salvo casi eccezionali). Anche una condanna a 4 anni, pur essendo il minimo edittale, supera la soglia dei 2 anni e in generale non è sospendibile se non dopo eventuali riduzioni per rito. – Arresto in flagranza: pur essendo un reato che si consuma al momento della dichiarazione (difficile da “cogliere sul fatto”), va segnalato che la legge consente l’arresto facoltativo in flagranza per reati con pena massima superiore a 5 anni. Teoricamente, se durante un controllo si sorprendesse qualcuno a predisporre false fatture per la dichiarazione imminente, l’arresto potrebbe scattare, ma è una situazione limite. – Misure cautelari personali: con pena minima di 4 anni, l’art. 280 c.p.p. consente la custodia cautelare in carcere (oltre che domiciliari) se ricorrono esigenze cautelari (pericolo di fuga, reiterazione, inquinamento prove). In passato, con minimi più bassi, questo reato non permetteva la custodia in carcere; oggi invece è astrattamente possibile . Ciò segnala la percezione di maggior pericolosità sociale delle condotte di frode fiscale documentale.

Oltre alla pena detentiva, il codice penale e le leggi speciali prevedono alcune sanzioni accessorie che si applicano in caso di condanna per delitti non colposi: – Interdizione dai pubblici uffici: di regola una condanna superiore a 3 anni comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per 5 anni (art. 28 c.p.). Inoltre, una pena superiore a 5 anni comporta l’interdizione perpetua. – Incapacità di contrattare con la P.A.: il giudice può vietare al condannato di stipulare contratti con la pubblica amministrazione. – Interdizione da cariche direttive in imprese: il D.Lgs. 74/2000 prevede che la condanna per reati tributari gravi possa comportare l’interdizione dagli uffici direttivi di persone giuridiche o imprese (tipicamente, non poter essere amministratore di società) per una certa durata. In particolare, l’art. 12, comma 2 del decreto prevede l’interdizione fino a 3 anni in caso di condanna per dichiarazione fraudolenta. – Pubblicazione della sentenza: il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza di condanna per reati tributari, a spese del condannato, su giornali o siti internet ufficiali (misura afflittiva reputazionale).

Un capitolo a sé è quello della confisca penale. In caso di condanna o patteggiamento per il reato ex art. 2, scatta innanzitutto la confisca obbligatoria del profitto del reato (art. 12-bis D.Lgs. 74/2000). Il “profitto” in tal caso è individuato nelle imposte evase grazie alle fatture false, ossia il risparmio indebito di imposta ottenuto. Se tali somme (o beni direttamente pertinenti al reato) non sono più reperibili, il giudice dispone la confisca per equivalente su altri beni del condannato fino a concorrenza del valore del profitto . Ad esempio, se tramite le false fatture Tizio ha evaso 300.000 € di IVA, verranno confiscati 300.000 € dal suo patrimonio (conti bancari, immobili, ecc.), salvo che abbia già versato al Fisco la medesima somma in sede di sanatoria (in tal caso, non vi sarebbe più un profitto da confiscare).

In aggiunta, come visto, dal 2019 è prevista la confisca allargata qualora i costi fittizi eccedano 200.000 € . Questo significa che, oltre al profitto diretto, lo Stato può aggredire l’intero patrimonio del condannato, se risulta sproporzionato rispetto ai redditi leciti dichiarati. È una forma di confisca molto incisiva, tipica dei reati di criminalità organizzata e ora applicabile anche alle grandi frodi fiscali. In fase di indagine, ciò si traduce spesso in sequestri preventivi molto estesi: la Guardia di Finanza può eseguire sequestri di beni dell’indagato per congelare sia l’importo dell’evasione contestata (sequestro finalizzato alla confisca diretta/equivalente), sia eventualmente ulteriori beni in caso si profili la confisca per sproporzione. Questi provvedimenti possono mettere in grave difficoltà l’impresa e il patrimonio personale dell’imputato, rendendo urgente valutare strategie di sblocco o ricorso (es. riesame al tribunale sulla legittimità del sequestro). Si noti che, pagando il debito tributario, il contribuente può chiedere il dissequestro del profitto (perché viene meno l’illecito arricchimento), ma la confisca allargata rimarrebbe comunque possibile se permangono beni non giustificabili.

Tabella 2: Sanzioni penali principali per dichiarazione fraudolenta (art. 2 D.Lgs. 74/2000)

AmbitoDescrizione sanzioneRiferimento normativo
Reclusione (pena base)4 – 8 anni di carcere . Termine edittale ridotto (1 anno e 6 mesi – 6 anni) se elementi fittizi < 100.000 € .Art. 2, co.1 e co.2-bis D.Lgs. 74/2000
InterdizioniPossibile interdizione temporanea dai pubblici uffici (>3 anni di pena), interdizione da cariche in imprese (fino a 3 anni) e incapacità di contrattare con P.A.Artt. 28 e 32-bis c.p.; Art. 12, co.2 D.Lgs. 74/2000
Confisca obbligatoriaConfisca del profitto del reato (imposte evase) o per equivalente su altri beni .Art. 12-bis D.Lgs. 74/2000
Confisca allargataConfisca estesa al patrimonio sproporzionato se frode > 200.000 € . Sequestro preventivo possibile in fase investigativa .Art. 240-bis c.p.; Art. 12-sexies D.L. 306/1992 (richiamato da art. 240-bis)
Patteggiamento vincolatoPer accedere al patteggiamento è richiesto il pagamento integrale del debito tributario (salve eccezioni) – vedi dettagli in seguito.Art. 13-bis D.Lgs. 74/2000

(Nota: altri reati connessi possono coesistere; ad es. emis­sione di fatture false (art. 8 D.Lgs. 74/2000), punito anch’esso con 4–8 anni di reclusione , qualora il soggetto abbia sia utilizzato che emesso documenti fittizi. Qui ci concentriamo sul profilo di chi utilizza fatture false in dichiarazione.)

Conseguenze sul piano tributario: accertamento fiscale e sanzioni amministrative

Parallelamente al procedimento penale, il contribuente coinvolto dovrà affrontare le conseguenze tributarie del proprio operato. Infatti, l’utilizzo di fatture false comporta quasi sempre: 1. Un accertamento fiscale volto a recuperare le imposte evase (maggiori imposte dovute a seguito dello stralcio dei costi fittizi o del diniego della detrazione IVA). 2. L’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie per le violazioni commesse (dichiarazione infedele, indebita detrazione IVA, ecc.).

Recupero delle imposte evase: Se durante un controllo (ispezione della Guardia di Finanza o verifica dell’Agenzia delle Entrate) emergono fatture per operazioni inesistenti, l’Amministrazione finanziaria procederà a rettificare la dichiarazione del contribuente. In pratica verranno disconosciuti i costi fittizi ai fini delle imposte sui redditi (IRES/IRPEF) e/o le detrazioni IVA non spettanti. Ciò genera un maggior imponibile su cui calcolare le imposte evase. Ad esempio, se Caio aveva dichiarato 100.000 € di costi in più usando fatture false, l’Ufficio ricalcolerà il reddito imponibile aumentando di 100.000 € e pretenderà le imposte relative (poniamo 24% IRES = 24.000 € di maggiore imposta). Analogamente, se Caio aveva portato in detrazione 22.000 € di IVA inesistente (fatture false per 100.000 € + IVA al 22%), quell’IVA sarà richiesta indietro.

L’accertamento avverrà tramite un processo verbale di constatazione (PVC) da parte della GdF seguito da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. È importante notare che, nei casi di frode grave, i termini di decadenza per l’accertamento fiscale sono prolungati: in generale l’Agenzia può rettificare una dichiarazione entro il 31 dicembre del quinto anno successivo (ad esempio, dichiarazione 2020 entro il 31/12/2025); tuttavia per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta i termini sono estesi fino all’ottavo anno successivo . Quindi, l’Amministrazione ha più tempo per procedere (fino a 8 anni dopo il periodo d’imposta in esame) se vi è notizia di reato tributario. Questo implica che il contribuente rimane esposto più a lungo al controllo fiscale per annualità in cui abbia commesso frodi documentali.

Sanzioni amministrative tributarie: Oltre a pagare le imposte evase, il contribuente sarà chiamato a pagare delle multe amministrative pecuniarie per violazione delle norme tributarie. Nel nostro caso, presentare una dichiarazione con elementi passivi fittizi costituisce, ai fini amministrativi, almeno una dichiarazione infedele (art. 1, D.Lgs. 471/1997) con indebita detrazione d’imposta. La sanzione base per dichiarazione infedele (quando l’imposta evasa supera una certa soglia) è pari al 90% della maggiore imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato. Tuttavia, se l’infedeltà è dovuta a frode o uso di documenti falsi, le sanzioni possono essere aggravate. In particolare, il D.Lgs. 471/97 prevede un aumento fino al 200% in caso di falsità di documenti o altri mezzi fraudolenti impiegati. Dunque, l’utente potrebbe vedersi contestare sanzioni amministrative complessive anche pari al 180% – 200% delle imposte evase. Esempio: se sono stati evasi 50.000 € di IVA, la sanzione amministrativa potrebbe essere intorno a 90.000 € (180%). Nel caso delle fatture false, è prassi contestare anche la sanzione per indebita detrazione IVA (90% dell’IVA non spettante) e quella per costi indeducibili ai fini delle imposte sui redditi. Spesso però queste concorrono, e in sede di adesione o contenzioso di solito si applica la sanzione più grave.

Va evidenziato che le sanzioni tributarie sono “amministrative” (non penali) ma, secondo la giurisprudenza europea, possono avere natura sostanzialmente punitiva. Ciò ha aperto la questione del doppio binario sanzionatorio: il contribuente subisce due procedimenti, uno penale e uno amministrativo, per la medesima condotta. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia UE hanno in passato sanzionato sistemi di doppia punizione non ben coordinati (principio del ne bis in idem). L’Italia ha difeso il proprio sistema introducendo alcuni correttivi, ad esempio stabilendo che tra sanzione penale e amministrativa vi sia proporzionalità e che i due procedimenti si coordinino (ad esempio, le sanzioni amministrative irrogate possono tener conto della pena penale, e viceversa, per evitare eccessi). Una pronuncia recente della Cassazione (ord. n. 14102 del 21 maggio 2024) ha rimesso la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE proprio in tema di fatture false e divieto di doppia sanzione, per valutare se il sistema italiano rispetti i parametri europei di proporzionalità e coordinamento. Allo stato attuale, comunque, il doppio binario è ritenuto legittimo purché ci sia una “sufficientemente stretta connessione” sostanziale e temporale tra i due procedimenti . In pratica, il contribuente dovrà quasi certamente pagare sia le sanzioni amministrative che eventualmente subire conseguenze penali, ma se il cumulo risultasse abnorme potrebbe far valere i principi UE per ottenere una riduzione di una delle due sanzioni.

Come si difende il contribuente sul piano fiscale? Vi sono vari strumenti, che analizzeremo in dettaglio nella sezione dedicata alla difesa tributaria, tra cui: – Accertamento con adesione: possibilità di definire bonariamente l’accertamento con l’Ufficio, pagando le imposte dovute con sanzioni ridotte a 1/3 (es. la sanzione del 90% scende al 30%). Ciò evita il contenzioso e “chiude” la partita fiscale, ma non estingue il reato se si è già in fase di verifica (può però essere un elemento di ravvedimento post-factum valutato dal giudice penale). – Ravvedimento operoso: se il contribuente prima di essere scoperto si autodenuncia integrando la dichiarazione e pagando spontaneamente il dovuto, fruisce di sanzioni amministrative minime (ridotte fino a 1/5 del minimo) e, come visto, non viene punito penalmente ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 . Questo strumento è il più potente, ma va azionato tempestivamente (prima che arrivi qualsiasi controllo o anche un semplice avviso bonario). – Ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (nuovo nome delle ex Commissioni Tributarie): se il contribuente ritiene di avere elementi per dimostrare che le fatture contestate non erano false, o che l’ufficio ha sbagliato, può impugnare l’accertamento davanti al giudice tributario. Il contenzioso tributario e quello penale sono formalmente indipendenti; tuttavia un’eventuale sentenza tributaria favorevole (ad esempio che riconosce la validità di taluni costi) può influire positivamente sul giudizio penale, fornendo elementi di prova a discarico. Viceversa, una sentenza tributaria passata in giudicato che accerta definitivamente il fatto evasivo può costituire un elemento probatorio importante anche nel penale. La difesa deve coordinare attentamente le strategie nei due fori.

In qualunque caso, dal punto di vista del “debitor fisco”, l’obiettivo primario sul lato tributario sarà spesso quello di limitare le sanzioni amministrative pecuniarie (che possono raggiungere importi altissimi) e dilazionare i pagamenti. Ad esempio, definendo per adesione l’accertamento, le sanzioni si riducono di molto e si può chiedere una rateazione (fino a 8 rate trimestrali per somme >50.000 €). Anche in caso di condono o “tregua fiscale” (come quelle varate con la legge di bilancio 2023), potrebbe convenire aderire per sanare la posizione fiscale, pur sapendo che ciò non eliminerà automaticamente il processo penale se già avviato – ma potrà facilitare la clemenza del giudice.

Il procedimento penale: dalla denuncia al processo

Vediamo ora il percorso tipico di un procedimento penale per dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false, e come si sviluppa dalla fase iniziale fino al giudizio, dal punto di vista del soggetto accusato (“il debitore”).

Avvio delle indagini e notizia di reato

Nella maggior parte dei casi, tutto parte da una verifica fiscale o un controllo. Può trattarsi di: – una ispezione in azienda da parte della Guardia di Finanza (magari su segnalazione interna dell’Agenzia delle Entrate), – un’analisi incrociata tra fatture emesse e ricevute (le cosiddette liste clienti-fornitori, spesometro, esterometro, ecc., che fanno emergere possibili fatture “sospette”), – oppure un controllo formale in ufficio (ad esempio emerge che il fornitore che ha emesso fatture importanti risulta una cartiera inesistente).

Quando gli ispettori fiscali (GdF o funzionari AE) riscontrano elementi che fanno ipotizzare operazioni inesistenti, redigono un Processo Verbale di Constatazione (PVC) dettagliato. In tale verbale viene contestata la violazione tributaria e segnalato che i fatti integrano estremi di reato (art. 2 D.Lgs. 74/2000). Entro un breve tempo, il Comando di GdF o l’Ufficio trasmette una comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica competente (solitamente quella del luogo dove ha sede fiscale il contribuente). È questa la cosiddetta “denuncia dell’Agenzia delle Entrate” di cui spesso si parla: tecnicamente l’Agenzia (o la GdF) trasmette gli atti al Pubblico Ministero per le valutazioni penali.

Da quel momento, si apre un procedimento penale a carico delle persone fisiche coinvolte (tipicamente l’imprenditore o i dirigenti che hanno firmato le dichiarazioni fraudolente, e/o il consulente fiscale complice, se c’è). La Procura iscrive la notizia di reato nel registro e affida ulteriori indagini alla Guardia di Finanza.

Durante le indagini preliminari, l’indagato potrebbe trovarsi di fronte a vari atti: – Perquisizioni e sequestri: la GdF può richiedere al PM, e ottenere dal GIP, decreti di perquisizione locale e personale, per raccogliere prove (es. ricerca di documenti contabili, e-mail che mostrino la consapevolezza della frode, ecc.). Contestualmente spesso viene disposto il sequestro preventivo dei beni fino alla concorrenza del profitto del reato (ovvero le imposte evase) . Ad esempio, possono congelare conti correnti, ipotecare immobili, sequestrare auto di lusso, ecc. L’indagato ha il diritto di fare ricorso al tribunale del riesame contro il sequestro, entro 10 giorni, per farne valutare la legittimità e proporzionalità. – Interrogatori e acquisizione di documenti: il PM/GdF possono convocare l’indagato per un interrogatorio (facoltativo: può avvalersi della facoltà di non rispondere), ascoltare testimoni (es. fornitori reali, dipendenti che possano confermare l’inesistenza delle operazioni), disporre consulenze tecniche su contabilità, ecc. L’indagato, con il suo difensore, può a sua volta produrre memorie difensive, documenti a discarico (es. contratti, DDT, prove che le operazioni contestate erano reali). – Durata indagini: trattandosi di reato con pena massima 8 anni, il termine ordinario delle indagini preliminari è di 18 mesi prorogabile.

Al termine, se il PM ritiene di aver raccolto prove sufficienti, formulerà la richiesta di rinvio a giudizio (salvo i casi di scelta di riti alternativi come patteggiamento o giudizio immediato). L’udienza preliminare davanti al GUP valuterà se mandare a processo gli imputati.

Il dibattimento e l’esito del processo

Una volta in dibattimento (in Tribunale monocratico o collegiale a seconda anche di eventuali imputazioni connesse e complessità), il fulcro sarà provare oltre ogni ragionevole dubbio che: – le fatture incriminate erano effettivamente false (operazioni inesistenti), e – gli imputati ne erano consapevoli e miravano all’evasione.

Il carico probatorio spetta all’accusa . Nel processo penale, le prove raccolte durante le indagini (documenti, testimonianze, consulenze) vengono acquisite e valutate. La difesa ha pieno diritto al contraddittorio: può contro-esaminare i testi dell’accusa, presentare a sua volta testimoni (es. il fornitore dichiara che l’operazione era reale) o periti/consulenti tecnici per confutare la fittizietà delle operazioni. Un elemento tipico è la documentazione bancaria: spesso l’accusa mostra che i pagamenti per quelle fatture sono tornati indietro ai beneficiari (giri di assegni), oppure che il fornitore non aveva mezzi per eseguire la prestazione. La difesa, dal canto suo, cercherà di dimostrare: – che magari l’operazione c’è stata davvero (presentando prove di movimentazione merci, foto dei cantieri, contratti, flussi di pagamento effettivi e non di comodo) , – oppure che l’imputato ignorava la falsità e pensava in buona fede che fosse tutto regolare (affidamento sul consulente, documenti apparentemente in ordine, ecc.) .

Un punto a favore dell’accusa è spesso l’assenza di riscontri oggettivi: la giurisprudenza reputa sufficienti anche indizi gravi, precisi e concordanti per affermare la falsità delle fatture . Ad esempio, la mancanza di documenti di trasporto, l’assenza di personale e mezzi nel fornitore, pagamenti in contanti anomali, causali identiche per operazioni diverse – tutti elementi che in giudizio compongono un quadro indiziario robusto di operazione simulata . In assenza di spiegazioni alternative convincenti, questi indizi possono bastare a condannare.

Se la sentenza di primo grado è di condanna, verrà irrogata la pena (spesso entro i minimi edittali se incensurato e se ci sono attenuanti, ma data la gravità può anche essere una pena significativa vicino al medio). Ad esempio, per frodi di notevole entità, si registrano condanne intorno a 4-5 anni di reclusione. Il giudice deciderà sulle eventuali circostanze attenuanti (ad es. se l’imputato ha pagato il debito tributario prima del giudizio, questo può essere valutato come attenuante generica di particolare valore). Saranno applicate le confische di legge (il giudice disporrà la confisca definitiva dei beni sotto sequestro fino all’importo evaso, ecc.). La condanna per reati tributari, salvo casi di pene basse, di solito comporta anche l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.

L’imputato potrà ovviamente proporre appello contro la condanna. Qui giova ricordare la recente riforma “Cartabia” (2022) del processo penale, che ha introdotto l’istituto dell’improcedibilità per eccessiva durata dei giudizi d’appello. In sostanza, per reati con pena edittale superiore a 6 anni (come il nostro), il giudizio d’appello deve concludersi entro 2 anni, pena la declaratoria di improcedibilità (cioè il processo si chiude senza condanna né assoluzione, per decorso del tempo). Questo è un aspetto tecnico ma importante: se il processo d’appello dovesse dilungarsi oltre due anni, l’imputato potrebbe vedere il procedimento estinguersi. Ci sono possibilità di proroga dei termini in casi complessi, ma è un elemento che la difesa monitorerà.

Patteggiamento e alternative al dibattimento

Per i reati tributari, l’ordinamento prevede la possibilità di patteggiare la pena (applicazione della pena su richiesta delle parti) solo se vengono soddisfatte alcune condizioni stringenti. L’art. 13-bis D.Lgs. 74/2000 stabilisce che, di regola, per accedere al patteggiamento l’imputato deve aver pagato integralmente il debito tributario relativo al reato . Ciò include imposte, sanzioni amministrative e interessi. In altre parole, bisogna “mettersi in regola col Fisco” prima di poter ottenere una pena concordata ridotta. Questa norma è pensata per assicurare che lo Stato recuperi comunque il dovuto se si vuole beneficiare di uno sconto di pena. Nel caso dell’art. 2, il pagamento andrebbe fatto prima dell’apertura del dibattimento di primo grado (tempistica prevista dall’art. 13, c.1, per i reati diversi dalla frode? In realtà l’art. 13 c.2 prevede la non punibilità se paghi prima dei controlli, ma per patteggiare è sufficiente pagare prima del patteggiamento stesso).

Ci sono eccezioni: l’art. 13-bis fa salve le ipotesi di cui all’art. 13 commi 1 e 2 . Questo significa che se già ricorrevano le cause di non punibilità (es. hai pagato tutto prima del processo) il reato è estinto e non serve patteggiare; oppure, interpretando, se c’è un ravvedimento in corso con rateazione, il giudice può comunque accettare il patteggiamento subordinato all’impegno di pagamento (ad esempio, bastando la prima rata versata e la rateazione in essere). La giurisprudenza ha ritenuto ammissibile il patteggiamento anche con pagamento non integrale ma sostanziale, in alcuni casi di accordi col fisco, ma la regola generale rimane: niente patteggiamento senza ravvedimento . Dunque, l’imputato che voglia chiudere rapidamente il procedimento con una pena ridotta di 1/3 dovrà in sostanza salvare capra e cavoli col Fisco, sborsando il dovuto. Ciò è spesso fattibile per chi ha le risorse (o magari sfrutta definizioni agevolate), ma in frodi molto grandi potrebbe essere proibitivo.

Un’altra ipotesi alternativa al processo ordinario è la messa alla prova (sospensione del procedimento con prova). Tuttavia, la MAP è ammessa solo per reati di minore gravità (pena edittale massima fino a 4 anni, o alcuni reati specifici). Nel nostro caso, avendo pena massima 8 anni (o 6 anni nei casi attenuati), la messa alla prova non è applicabile. Quindi l’imputato non può chiedere l’estinzione del reato tramite lavori di pubblica utilità, come avviene per reati minori.

La prescrizione del reato

Un elemento di difesa spesso considerato (anche se mai garantito) è la prescrizione del reato. La prescrizione è il decorso del tempo che estingue il reato se il processo non arriva a sentenza definitiva entro un certo periodo. Per i reati tributari dichiarativi, il termine di prescrizione decorre dalla data di presentazione della dichiarazione fraudolenta (quindi tipicamente dal momento consumativo, il giorno di scadenza dell’invio telematico). La durata è stabilita dall’art. 157 c.p.: è pari alla pena massima prevista, ma comunque non inferiore a 6 anni. Nel nostro caso, con pena massima di 8 anni, la base della prescrizione è 8 anni. Ci sono tuttavia meccanismi di sospensione e interruzione che la possono allungare: – Interruzione: ogni atto processuale rilevante (ad es. un avviso di garanzia, un atto di indagine notificato, l’ordinanza di rinvio a giudizio, ecc.) interrompe la prescrizione, che ricomincia da capo dal giorno dell’atto. La legge prevede però che gli effetti delle interruzioni non possano estendere il termine per più di 1/4 del totale (salvo recidiva etc.). Quindi, dagli 8 anni di base, si può salire a 10 anni (8 + 1/4 di 8) come massimo prescrizionale, in linea generale. – Sospensione: eventuali periodi di sospensione (es. rinvio del processo per pandemia, impedimento delle parti, oppure – novità – la sospensione in attesa dell’esito di procedure di definizione fiscale, vedi infra) aggiungono tempo extra. Ad esempio, se l’imputato avvia una conciliazione fiscale e la legge prevede la sospensione del processo penale nel frattempo, quel periodo si sottrae dal computo.

Con la riforma 2023 sono stati inseriti meccanismi per sospendere il processo penale in caso il contribuente aderisca a certe procedure fiscali di “tregua” (v. DL 34/2023 art. 23, relativo però a reati di omesso versamento, non a quelli fraudolenti) . Nel caso di art. 2, la sospensione del processo può avvenire se è in corso un pagamento rateale del debito ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità ordinaria: l’art. 13 comma 3 D.Lgs. 74/2000 prevede la sospensione del dibattimento fino a un anno se l’imputato ha ottenuto un rateizzo e sta pagando, prima della sentenza . Durante questa sospensione di un anno la prescrizione è sospesa di conseguenza.

In sintesi, realisticamente un processo per fatture false potrebbe prescriversi se trascorre molto tempo senza giungere a condanna definitiva. Dalla dichiarazione fraudolenta, contando interruzioni, si parla di circa 10 anni come orizzonte di prescrizione massima (per le dichiarazioni successive al 2016, considerata l’abolizione della sospensione dopo il primo grado dalla riforma 2019, poi trasformata in improcedibilità). Occorre considerare che con la regola dell’improcedibilità in appello, se il primo grado arriva a condanna e l’appello dura troppo, più che la prescrizione sarà quella a far chiudere il caso. Da punto di vista difensivo, puntare alla prescrizione significa guadagnare tempo, sollevare tutte le questioni processuali per rallentare, sperare in rinvii. Non è però una strategia senza rischi: dal 2020 il legislatore ha ostacolato le prescrizioni “facili” e il giudice di appello, se vede avvicinarsi la tagliola dei termini, potrebbe accelerare i tempi.

In ogni caso, è doveroso che il difensore calcoli con precisione il termine di prescrizione e gli eventuali atti interruttivi, per sapere fino a quando il cliente è esposto. Ad esempio, se Caio ha presentato la dichiarazione il 30/11/2018, la prescrizione di base maturava al 30/11/2026, interruzioni permettendo arriviamo al massimo a circa fine 2028. Se a quella data il processo non è concluso in Cassazione, il reato è estinto. Una volta che la prescrizione matura in pendenza di un grado di giudizio, l’imputato può rinunciarvi solo per ottenere proscioglimento nel merito. Altrimenti, può eccepirla e far chiudere il processo. La prescrizione tributaria (decadenza accertamento), invece, come visto è di 8 anni e riguarda l’azione di recupero fiscale: può capitare che l’accertamento arrivi tardi e sia decaduto, ma è raro nei casi con notizia di reato poiché la segnalazione stessa estende i termini. In tal caso, il contribuente può ottenere l’annullamento dell’atto impositivo, ma il reato rimane (la prescrizione penale segue le sue regole, indipendenti).

Strategie di difesa penale: come difendersi dalle accuse di fatture false

Passiamo ora ad esaminare le possibili linee difensive che un imputato di dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false può adottare in sede penale. La difesa va costruita su misura del caso concreto, ma vi sono alcuni filoni tipici:

Contestare l’inesistenza delle operazioni (difesa sul fatto)

La prima linea di difesa è sempre quella fattuale: dimostrare che le operazioni contestate non erano inesistenti o quantomeno che vi è dubbio al riguardo. Poiché il reato si fonda sull’assunto che le fatture siano false, minare questa premessa significa mirare all’assoluzione con formula “il fatto non sussiste” o quantomeno ottenere una derubricazione (se ad esempio fossero operazioni vere ma con errori formali, si potrebbe al limite parlare di violazioni amministrative, non di frode).

Per riuscirci, occorre raccogliere e presentare al processo tutti gli elementi che provino la realtà delle operazioni o quantomeno la buona fede del contribuente. Ad esempio : – Contratti, ordini, conferme: esibire contratti firmati con il fornitore, ordini d’acquisto, corrispondenza commerciale che faccia capire che quell’operazione era stata negoziata realmente. – Documenti di trasporto (DDT), CMR (spedizioni), documentazione di magazzino: se il materiale o i beni oggetto delle fatture sono stati effettivamente consegnati, qualunque traccia logistica (bolle di accompagnamento, ricevute di spedizionieri, registro di ingresso merci) è oro per dimostrare che qualcosa è avvenuto. – Prove del pagamento reale e tracciabile: è fondamentale mostrare che i corrispettivi in fattura sono stati davvero pagati in via definitiva al fornitore e non sono rientrati al mittente. Bonifici bancari, assegni non girati, ricevute di pagamento fanno capire che c’è stata un’effettiva uscita finanziaria. Se invece i pagamenti risultano restituiti o girati su conti terzi, la difesa è ardua. Ma se, ad esempio, il pagamento è avvenuto a mezzo bonifico su conto intestato al fornitore, e non vi è evidenza di retrocessioni, ciò supporta la realtà dell’operazione (o quantomeno la mancanza di dolo del pagante). – Utilità dell’operazione e inerenza: la difesa può evidenziare se i beni/servizi fatturati sono stati effettivamente utilizzati nell’attività d’impresa. Ad esempio: “È vero, abbiamo comprato servizi di consulenza dalla ditta X (sospettata di essere cartiera), ma ecco i report prodotti, le analisi fornite, che abbiamo integrato nei nostri progetti.” Se si convince il giudice che la prestazione vi è stata ed era funzionale all’azienda, viene meno la finalità esclusiva di evasione . La giurisprudenza distingue infatti tra uso fraudolento di documenti e sfruttamento scorretto di un rapporto reale: solo nel primo caso c’è reato . – Eventuali testimonianze: far deporre persone che hanno assistito alla consegna di beni, lavoratori che hanno svolto i servizi, persino dipendenti del fornitore (se esistono) che confermino l’attività resa. Spesso il fornitore fittizio è irreperibile o colluso, ma talvolta ci sono figure “di mezzo” (es. il subappaltatore reale) che possono testimoniare.

L’obiettivo è creare un ragionevole dubbio sulla falsità delle operazioni. Se la documentazione e le testimonianze difensive riescono a controbilanciare gli indizi dell’accusa, il giudice potrebbe concludere per l’insufficienza di prova circa l’inesistenza e assolvere. Ad esempio, in un caso la Cassazione ha escluso il reato perché, pur trattandosi di fatturazione “gonfiata”, risultava che i beni erano stati consegnati, pagati interamente e a fronte di una prestazione effettiva: la Corte ha detto che in assenza di artifici ulteriori, un prezzo sproporzionato ma realmente corrisposto non integra di per sé la fattispecie penale .

Buona fede del contribuente: assenza di dolo specifico

Un secondo asse difensivo è incentrato sulla sfera soggettiva: sostenere che l’imputato non era consapevole della frode, cioè agiva in buona fede ritenendo legittime quelle fatture. Questo ovviamente non nega che le operazioni fossero inesistenti, ma punta a escludere la punibilità per mancanza dell’elemento psicologico (dolo di evasione). È una difesa delicata, perché richiede di convincere che la persona è stata ingannata da terzi o che comunque non si rendeva conto.

Casi tipici invocati: – Fornitore ingannevole: l’azienda si è rivolta a un fornitore senza sapere che fosse una cartiera. Apparentemente quel fornitore aveva partita IVA, uffici, sito web, e il contribuente non aveva elementi per dubitare della sostanza dell’operazione. Se ad esempio un imprenditore compra materiali da un grossista che poi si rivela emettere fatture false (perché lui stesso le ha acquisite in nero altrove), ma la merce è arrivata, può sostenere di aver agito con normale diligenza commerciale. – Documenti formalmente regolari: la difesa può sottolineare che tutte le fatture avevano bollo, erano registrate, i pagamenti effettuati con mezzi tracciabili. Insomma, nulla dall’esterno faceva pensare a una frode. Questo per contrastare l’idea del “dolo eventuale” (accettazione del rischio). Si vuole mostrare che non c’era alcun campanello d’allarme che il contribuente avrebbe dovuto cogliere . – Assenza di indici di anomalia macroscopica: la Cassazione ha affermato che la buona fede dell’imprenditore può essere rilevante quando mancano segnali evidenti di irregolarità . Se invece ci sono anomalie clamorose – es. fornitore privo di sede fisica, fatture per importi enormi emesse da neo-imprese sconosciute, pagamenti circolari – allora diventa difficile sostenere di non essersene accorti, poiché in tal caso “o sapevi, o hai voluto non sapere”. Quindi la difesa in buona fede funziona se il contesto era plausibile. – Delega al professionista: l’imputato potrebbe dire: “Io mi occupavo del business, delle fatture se ne occupava il mio commercialista, io firmavo la dichiarazione senza conoscere i dettagli.” Questa linea va maneggiata con attenzione. La giurisprudenza infatti esclude che un imprenditore possa completamente scaricare la responsabilità penale sul consulente: non esiste una delega di comodo che immunizzi dal reato . Tuttavia, se l’imprenditore può dimostrare di aver riposto fiducia in un professionista qualificato, di aver ricevuto rassicurazioni, e di non avere strumenti tecnici per accorgersi della frode, può invocare un errore incolpevole. La Cassazione 33280/2024 ha stabilito che il contribuente rimane responsabile, salvo abbia effettivamente messo in atto controlli e procedure interne e sia stato tratto in errore dal consulente nonostante la sua diligenza . In concreto, ciò potrebbe ridurre la colpevolezza percepita e portare magari a una pena più mite o all’esclusione del dolo (ma difficile, perché se la frode è macroscopica il giudice dirà che il delegante ha chiuso gli occhi volontariamente).

In sostanza, la difesa basata sulla buona fede deve evidenziare le condizioni soggettive: ad esempio l’imprenditore era giovane e inesperto, o si è fidato di un partner commerciale presentatogli da persona fidata, o ancora vittima di un raggiro orchestrato dal fornitore (ci sono stati casi in cui aziende vere venivano indotte a utilizzare fatture di cartiere dietro promessa di sconto, e poi cadono dalle nuvole scoprendo l’inganno). Se questa tesi passa, l’imputato potrebbe essere assolto per difetto di dolo (“il fatto non costituisce reato” per mancanza di intenzione fraudolenta). Quantomeno, anche se non totalmente creduta, la buona fede può essere valorizzata come circostanza attenuante (ad esempio, l’attenuante di aver concorso in minima parte nel reato, art. 114 c.p., o le generiche).

Uso di strumenti premiali: pagamento del debito e ravvedimento operoso

Una strategia di difesa, più che sul fatto in sé, punta a mitigare le conseguenze o ottenere l’estinzione del reato attraverso gli strumenti premiali previsti dalla legge. Abbiamo già illustrato la causa di non punibilità introdotta dall’art. 13 comma 2 D.Lgs. 74/2000: se il contribuente paga tutti i tributi dovuti (più sanzioni e interessi) e regolarizza la dichiarazione prima di avere formale conoscenza di accertamenti o indagini, il reato non è punibile . Questo equivale a un proscioglimento “anticipato”. Dunque, la miglior difesa è l’attacco in questi casi: muoversi prima del Fisco.

Se il procedimento è già iniziato, significa che quel treno è perso (ormai c’è formale conoscenza). Tuttavia, un contribuente rapido potrebbe ancora, nei primi vagiti dell’indagine, provare a pagare il dovuto e poi eccepire che al momento del pagamento non aveva ancora conoscenza formale. È un terreno sottile: ad esempio, se c’è stata una verifica con PVC consegnato, quella è già formale conoscenza; se invece l’indagine è partita senza visita fiscale e l’indagato viene a saperlo informalmente, potrebbe tentare un ravvedimento last-minute. In generale però, dalla prima notifica ufficiale di un controllo, l’opzione di non punibilità svanisce.

Resta comunque utilissimo pagare il debito anche dopo. Perché? – Intanto, il pagamento integrale del dovuto (anche se tardivo) è condizione per accedere a patteggiamenti o richiedere eventualmente la sospensione condizionale della pena in caso di condanna (i giudici spesso subordinano la condizionale al pagamento del tributo evaso, considerandolo segno di ravvedimento). – Inoltre, se il pagamento avviene prima della sentenza (ad esempio durante il dibattimento), l’imputato può chiedere l’applicazione dell’attenuante specifica del “risarcimento del danno” di cui all’art. 62 n.6 c.p., analogicamente applicabile al danno all’Erario. Alcune sentenze riconoscono una diminuzione di pena se il contribuente, pur non rientrando nella causa di non punibilità, paga tutto prima della decisione finale, riparando il danno. – Pagare evita la confisca: se l’imposta evasa è stata versata all’Erario, non c’è più profitto del reato confiscabile. La Cassazione ha affermato che l’oblazione fiscale ex post toglie il fondamento alla confisca diretta o per equivalente, perché il vantaggio economico illecito non esiste più (il denaro è tornato allo Stato). In tal caso, almeno i sequestri sui beni equivalenti dovrebbero essere revocati o limitati . Anche eventuali misure 231 a carico dell’ente possono essere attenuate se l’ente ha provveduto al pagamento. – L’atteggiamento collaborativo (autodenuncia, pagamento) favorisce la concessione delle attenuanti generiche e l’esclusione di elementi di pericolosità sociale. In soldoni, un giudice vedrà diversamente un imputato che arriva in aula avendo già saldato 500.000 € di tasse evase (e magari con un concordato in adesione con l’Agenzia) rispetto a chi è rimasto inadempiente ostinandosi.

Quindi, la strategia finanziaria di reperire i fondi e mettere a posto col Fisco è spesso una scelta difensiva saggia, seppur costosa. Ciò va valutato caso per caso: a volte l’imputato non ha liquidità o ritiene di potersi far assolvere e quindi non vuole pagare quella che considera una pretesa infondata. Ma se le prove sono schiaccianti, pagare può letteralmente salvare dalla galera, tramite patteggiamento e sospensione condizionale.

Va menzionato anche il recente “ravvedimento speciale” e le procedure di definizione agevolata introdotte dalla Legge 197/2022 (Bilancio 2023). Quelle norme hanno consentito, per violazioni fino al 2021, di regolarizzare posizioni fiscali con sanzioni ridotte o rateazioni lunghe. Inoltre, come visto, il DL 34/2023 ha previsto per altri reati tributari la non punibilità se si perfezionano le definizioni della tregua fiscale . Anche se ciò non copre espressamente l’art. 2, chiudere eventuali liti pendenti o adesioni con il fisco rientra nel concetto generale di adempimento. In pratica, se c’è un treno agevolativo fiscale, conviene salirci anche pensando agli effetti penali.

Dimostrare vizi procedurali o prove illegittime

Oltre alle difese di merito, un avvocato penalista scrupoloso esplorerà anche possibili questioni procedurali o di prova illegittima. Ad esempio: – Verificare se le perquisizioni e i sequestri sono stati svolti rispettando le garanzie (mandati validi, presenza di testimoni di PG, ecc.). Un vizio in questa fase potrebbe portare all’esclusione di certi documenti sequestrati. – Controllare se il PVC è stato notificato regolarmente e se l’eventuale ritardo tra accertamento e notizia di reato ha leso qualche diritto di difesa. – Esaminare se la prova della falsità si basa solo su presunzioni non gravi: in tal caso, la difesa può insistere sul principio del in dubio pro reo, soprattutto se mancano riscontri oggettivi (es. se l’accusa si fonda solo sul fatto che il fornitore non aveva dipendenti, ma la difesa porta evidenza che subappaltava, ecc., generando dubbio). – Contestare la corretta attribuzione del reato alla persona: ad esempio, se la società è grande e la decisione l’ha presa un dipendente infedele, l’amministratore può sostenere di non aver avuto ruolo né consapevolezza (questo rientra nel discorso del dolo, ma anche dell’imputabilità soggettiva). – Ne bis in idem: in situazioni peculiari, se il contribuente è già stato giudicato e sanzionato in via definitiva in sede amministrativa per gli stessi fatti e la connessione temporale e sostanziale tra i due procedimenti non è rispettata, si potrebbe tentare di eccepire la violazione del ne bis in idem europeo. È però un’eccezione che al momento i giudici italiani respingono di norma, in attesa di indicazioni dalla Corte di Giustizia. La Corte Costituzionale nel 2022 (sent. 149) ha dichiarato illegittimo il doppio binario in materia di diritto d’autore, ma sul tributario finora ha evitato un intervento drastico . La difesa potrebbe comunque sollevare la questione di costituzionalità se la somma delle sanzioni appare esorbitante e non coordinata, giusto per tener viva la questione.

In generale, la difesa penale deve essere condotta da un team che comprenda sia l’aspetto penale sia quello tributario, data l’interazione continua. È utile infatti poter dimostrare in sede penale l’esito di eventuali vittorie nel contenzioso tributario: se la Commissione Tributaria ha annullato l’accertamento ritenendo valide alcune fatture, tale pronuncia (pur non vincolante) sarà un ottimo argomento difensivo.

Viceversa, bisogna stare attenti alle dichiarazioni rese in sede amministrativa: se in un verbale di contraddittorio col Fisco il contribuente ha “ammesso” di aver fatto certi giri di fatture per ottenere liquidità (magari cercando di patteggiare sul fisco), quella ammissione può essere acquisita dal PM come prova contro di lui in penale (è una dichiarazione extragiudiziale di parte). Dunque il coordinamento è essenziale: la difesa penale e fiscale dovrebbero concordare una linea coerente (non si può ammettere l’illecito davanti all’Agenzia e negarlo davanti al giudice penale, senza rischiare contraddizioni fatali).

Difesa tributaria: strumenti e strategie per tutelarsi sul piano fiscale

Parallelamente alla battaglia penale, il contribuente coinvolto in una vicenda di false fatture deve gestire con cura anche il profilo tributario. Questo non solo per limitare le esborsi economici, ma anche perché le scelte fatte in ambito fiscale possono influenzare il quadro penale. Di seguito esaminiamo i principali strumenti di tutela e definizione disponibili sul fronte fiscale.

Ravvedimento operoso (regolarizzazione spontanea)

Il ravvedimento operoso è, per così dire, la prima linea di difesa fiscale. Consiste nella possibilità di correggere spontaneamente le violazioni fiscali versando il dovuto e beneficiando di sanzioni amministrative ridotte (in modo decrescente a seconda della tempestività, art. 13 D.Lgs. 472/1997). Nel contesto delle false fatture, il ravvedimento operoso comporterebbe: – Presentare una dichiarazione integrativa in cui si elimina l’elemento passivo fittizio precedentemente inserito. – Versare le maggiori imposte dovute (IVA, IRPEF/IRES) su quanto tolto in deduzione o detrazione. – Pagare gli interessi legali maturati. – Pagare la sanzione amministrativa ridotta. Ad esempio, la sanzione per infedele dichiarazione (90% dell’imposta) può scendere al 1/5 del minimo (quindi 1/5 di 90% = 18%) se il ravvedimento avviene dopo la scadenza della dichiarazione ma entro l’anno, oppure a 1/6 o 1/7 del minimo se oltre, etc., secondo le ultime modifiche normative.

Il vantaggio chiave, come più volte detto, è che se il ravvedimento avviene prima di controlli o inchieste, scatta la non punibilità penale . In tal caso, l’intera vicenda penale nemmeno inizierà (o se iniziata verrà archiviata per particolare causa di non punibilità sopravvenuta).

Tuttavia, in pratica, raramente un soggetto compie il ravvedimento su fatture false se non sotto pressione. Spesso i contribuenti decidono di ravvedersi solo dopo aver subodorato un potenziale controllo (es. viene a sapere di verifiche su quel fornitore, ecc.). Bisogna stare attenti: se il contribuente riceve un questionario dall’Agenzia delle Entrate o un invito a verifica, è già tardi dal punto di vista penale. Serve un ravvedimento veramente tempestivo.

È interessante notare che la legge di Bilancio 2023 ha introdotto un ravvedimento speciale per le dichiarazioni fino al 2021, pagando 1/18 del minimo e in 8 rate, senza sanzioni penali. Ma questo non poteva applicarsi a fattispecie fraudolente già scoperte (sarebbe comunque servita la condizione dell’assenza di procedimenti penali attivati). In generale, chi sospetta di avere in passato utilizzato fatture dubbie farebbe bene a valutare seriamente un ravvedimento operoso, magari facendo una analisi con professionisti: conviene pagare ora (con sanzioni ridotte e zero penale) o rischiare un domani un accertamento con sanzioni piene e un processo penale?

Naturalmente, il ravvedimento implica ammettere l’illecito in sede fiscale, quindi se uno è convinto di avere ragione (perché sostiene che le fatture non sono false), non lo farà. Ma se internamente si sa di aver fatto una frode e ancora non è scoperta, ravvedersi è spesso la scelta più saggia per limitare i danni.

Accertamento con adesione

Se il ravvedimento non c’è stato e l’ufficio ha avviato la contestazione, la prossima opportunità per “spegnere l’incendio” è l’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). L’adesione è una procedura di natura conciliativa: dopo il PVC o dopo la notifica di un avviso di accertamento, il contribuente può chiedere un contraddittorio con l’Agenzia prima di instaurare un contenzioso. Nel caso di contestazione di costi indeducibili/IVA detratta indebitamente, l’ufficio spesso è disponibile a trovare un accordo sull’importo.

I vantaggi dell’adesione: – Riduzione delle sanzioni amministrative a 1/3 del minimo previsto. Ciò significa, ad esempio, che una sanzione del 150% può scendere al 50%. – Possibilità di rateizzare il dovuto in un massimo di 8 rate trimestrali (12 rate se importo > €50.000). – Sospensione dei termini per impugnare (quindi prendersi più tempo). – Definizione amichevole senza dover pagare anche le spese di un giudizio.

Nel contesto del reato, aderire all’accertamento non estingue il reato (perché comunque il pagamento avviene dopo l’inizio dei controlli). Tuttavia, può influire positivamente in due modi: 1. Elimina il contenzioso tributario e cristallizza il dovuto. Questo può aiutare anche nel penale perché l’imputato potrà dire: “Ho già concordato col Fisco e sto pagando il mio debito.” Il giudice penale saprà esattamente l’ammontare dell’evasione riconosciuta (quella definita in adesione) e vedrà l’atteggiamento di collaborazione. 2. Se l’adesione avviene prima della fase dibattimentale, può essere usata per chiedere la sospensione del processo fino al pagamento completo (come da art. 13 c.3 e art. 23 DL 34/2023 in alcuni casi). Attenzione però: l’art. 13 c.1 che parla di pagamento prima del dibattimento e non punibilità non copre l’art. 2; ma l’adesione di per sé è “procedura conciliativa” citata dall’art. 13 c.1, che però era riferito a reati di omesso versamento. Ad ogni modo, il completamento dell’adesione (con pagamento) prima della sentenza potrebbe portare la difesa a chiedere un trattamento sanzionatorio di favore (tipo patteggiamento con pena minima e magari conversione in pena pecuniaria, se fosse possibile).

C’è però un rovescio della medaglia: l’adesione comporta che il contribuente accetta i rilievi del Fisco. In pratica ammette che quelle fatture erano indebitamente dedotte/detratte. Ciò equivale, per il penale, ad un’implicita ammissione di colpevolezza. Non ha valore di prova legale nel processo penale (dove serve la prova piena del fatto), ma certamente indebolisce la posizione difensiva. Non di rado, infatti, avvocati penalisti consigliano di non firmare adesioni se si intende poi combattere in penal sede sulla realtà delle operazioni. È un dilemma: aderire conviene economicamente, ma espone di più sul piano penale. Una soluzione intermedia potrebbe essere aderire limitatamente ad alcuni rilievi e non ad altri, se possibile, così da contenere l’ammissione. Oppure accompagnare l’adesione con una dichiarazione che “si concorda solo per evitare lungaggini, ma senza riconoscere la frode” – benché ciò abbia poco valore pratico.

In definitiva, l’adesione è consigliabile quando la prova della frode è robusta e la priorità del cliente è arginare i costi e le incertezze. Se invece c’è margine di difesa (almeno su alcune fatture) e soprattutto se è fondamentale mantenere una linea di non colpevolezza in sede penale, allora si potrebbe preferire il contenzioso.

Contenzioso tributario e coordinamento col penale

Se non si trova un accordo, il contribuente può impugnare l’avviso di accertamento di fronte alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado (nuova denominazione dal 2023 delle commissioni tributarie provinciali). Il processo tributario ha tempi suoi (di solito 1-2 anni per il primo grado, un altro anno o due per l’appello regionale, e poi eventuale ricorso in Cassazione). Nel frattempo, il contribuente può chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se ne deriva un danno grave (tipico per importi alti). In materie di frodi IVA, talvolta i giudici tributari sono prudenti e richiedono che almeno il 30% dell’imposta venga intanto garantito.

Nel nostro contesto, fare causa all’Agenzia può portare a due esiti: – Accoglimento del ricorso: se il giudice tributario annulla (totalmente o parzialmente) l’accertamento, ciò significa che secondo quel giudice non c’erano elementi per disconoscere quei costi/IVA. Magari ritiene che le operazioni siano avvenute realmente o che l’ufficio non abbia provato la frode. Questo risultato è estremamente favorevole all’imputato nel penale: pur non vincolante, una sentenza tributaria definitiva che affermi che “i costi erano deducibili” o che “non è provato che le operazioni fossero inesistenti” sarà portata in dibattimento come prova a discarico robusta. La difesa potrà dire: un giudice terzo ha già esaminato e mi ha dato ragione. Vi sono stati casi in cui, a seguito dell’esito favorevole nel tributario, la Procura ha persino chiesto di archiviare il penale per insussistenza (soprattutto se la sentenza tributaria appare motivata e non smentita in appello). – Rigetto del ricorso: se invece anche il giudice tributario conferma l’impianto accusatorio fiscale (dunque con standard probatorio inferiore al penale, ma comunque evidenziando la presenza di fatture false), ciò sarà sfruttato dal PM in sede penale. Anche qui non c’è automaticità, però è un segnale negativo: una pronuncia tributaria sfavorevole potrebbe dare al PM ulteriori frecce (ad es. dichiarazioni rese in quel giudizio, perizie svolte in quella sede, saranno tutte acquisite).

Il coordinamento è quindi cruciale. Idealmente, se la difesa penale ritiene che il fascicolo probatorio dell’accusa sia debole, potrebbe voler sospendere il procedimento penale in attesa dell’esito del tributario, e sperare in un annullamento che spiani la strada all’assoluzione. La legge consente al giudice penale di sospendere il giudizio in attesa di una definizione tributaria solo in casi eccezionali (art. 20 D.Lgs. 74/2000 prevedeva la sospensione se pendeva un procedimento di autotutela o conciliazione, ma non per il contenzioso). In genere i giudici penali non amano sospendere in attesa del tributario, ma qualche volta accade, specialmente se il processo penale è in una fase iniziale e la causa tributaria è in decisione avanzata.

In ogni caso, le difese nel penale e nel tributario devono viaggiare allineate. Il difensore potrebbe utilizzare in tributario strumenti di discovery utili per il penale (es. far testimoniare qualcuno in commissione tributaria – benché lì la testimonianza non è ammessa formalmente, ma si possono produrre dichiarazioni scritte giurate). Oppure utilizzare una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) nel processo tributario per dimostrare determinate circostanze; quell’elaborato tecnico può poi essere trasposto come consulenza di parte nel penale.

Da notare: se il contribuente vince in primo grado tributario, l’Amministrazione spesso appella, ma intanto quella sentenza fa stato (diventa definitiva se l’Agenzia non chiede sospensione in appello). Quindi, il difensore penale potrebbe chiedere al giudice di tenerne conto come prova liberatoria, magari sollecitando un’assoluzione già subito. La giurisprudenza non è univoca sul valore delle sentenze tributarie nel penale: in teoria i giudici penali sono indipendenti e non vincolati; ma in pratica se la pronuncia è definitiva e verte sui medesimi fatti, costituisce un precedente di cui tener conto.

Definizioni agevolate e transazioni fiscali

In questi anni sono stati introdotti diversi strumenti di definizione agevolata (“pace fiscale”, “saldo e stralcio”, “definizione liti pendenti”, etc.). Se il contribuente rientra in qualcuno di questi provvedimenti straordinari, può chiudere la partita fiscale a condizioni vantaggiose (es. pagando solo l’imposta senza sanzioni né interessi, o pagando una percentuale in caso di difficoltà economica). Ad agosto 2025, ad esempio, è in corso la definizione agevolata delle liti pendenti in Cassazione (legge 197/2022) e la conciliazione agevolata per quelle in appello.

È importante capire che queste sanatorie fiscali non coprono il reato, a meno che la legge lo preveda espressamente. Finora, nessun “condono” ha incluso l’estinzione di reati tributari fraudolenti (hanno incluso semmai gli omessi pagamenti). Tuttavia, se il contribuente sfrutta una definizione agevolata e paga (anche parzialmente) il suo debito, si applicano considerazioni analoghe al pagamento integrale: i vantaggi penali indiretti rimangono (meno profitto da confiscare, atteggiamento collaborativo, etc.).

Un’altra strada è la transazione fiscale in sede di crisi d’impresa (piani di rientro in procedure concorsuali). Se la società dell’imputato fallisce o va in concordato, potrebbe chiudere i debiti tributari con percentuali ridotte. Anche qui, ciò non estingue il reato per l’amministratore, ma se nel concordato la società paga ad esempio il 30% del debito IVA, quell’importo riduce il profitto illecito rimasto e va segnalato al giudice penale (che potrebbe non confiscare oltre quanto pagato, e valutare l’impegno profuso dall’imprenditore).

In sintesi, dal lato tributario la difesa del debitore consiste in un mix di: – Far valere le proprie ragioni (se ritiene di averne) in contenzioso per evitare esborsi non dovuti. – Negoziare riduzioni di sanzioni tramite adesione o conciliazioni, se conviene. – Ridurre il più possibile il carico sanzionatorio e il debito, così da poter eventualmente pagare ed estinguere la parte fiscale, il che aiuta sul penale. – Evitare che l’amministrazione iscriva a ruolo importi sproporzionati che poi portano a ipoteche, fermi amministrativi, che aggravano la situazione economica (ricordiamo che la pendenza penale non blocca affatto la riscossione fiscale: l’Agenzia può richiedere il pagamento subito, anche con cartelle, indipendentemente dal processo penale).

Occorre pure considerare la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 in ambito fiscale: se è contestata, la società potrebbe in sede di “giudizio 231” proporre misure riparatorie (ad esempio: pagamento di somme, adozione di modelli organizzativi, ecc.) per attenuare la sanzione. Questo rientra però nella strategia penale dell’ente (che vediamo ora separatamente).

La responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in caso di utilizzo di fatture false

Come evidenziato, dall’entrata in vigore dell’art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001 (fine 2019), le società possono essere chiamate a rispondere per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, se commesso nel loro interesse o a loro vantaggio da persone in posizione apicale o subordinata . Ciò aggiunge un ulteriore livello di conseguenze, ma offre anche opportunità difensive peculiari.

Quando scatta la responsabilità 231? Ad esempio, l’amministratore unico di Alfa Srl ha utilizzato fatture false nelle dichiarazioni di Alfa Srl per ridurre le tasse dovute dall’azienda. È evidente che il reato è stato commesso “nell’interesse e a vantaggio” della società (meno imposte pagate, quindi risparmio per la società stessa). Pertanto, la Procura contesterà non solo il reato al legale rappresentante, ma anche la responsabilità amministrativa ad Alfa Srl. La società diventa imputata in un parallelo procedimento (di solito unificato a quello delle persone fisiche) e rischia sanzioni proprie.

Sanzioni per l’ente: Abbiamo detto che la sanzione pecuniaria può arrivare fino a 500 quote (importo massimo complessivo fino a ~€775k) . Ma la quantificazione esatta dipende dalla gravità del fatto, dal modello organizzativo adottato, ecc. Inoltre ci sono le sanzioni interdittive: per reati tributari gravi, l’ente può subire ad esempio l’interdizione dall’esercizio dell’attività (in casi estremi), la sospensione/revoca di licenze o concessioni, il divieto di pubblicizzare beni e servizi, e così via . La confisca, poi, colpisce l’ente per il profitto del reato (che coincide con il risparmio d’imposta ottenuto): tipicamente, se non è già stato confiscato all’individuo, la sentenza 231 disporrà la confisca a carico della società del profitto. Questo può creare situazioni particolari: se la società paga in adesione il debito, tecnicamente il profitto illecito non esiste più e ciò andrebbe a evitare la confisca.

Difendersi come ente: La società, per evitare la condanna 231, deve dimostrare di avere adottato ed efficacemente attuato, prima del reato, un Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (quindi reati tributari), e che la persona fisica ha eluso fraudolentemente tale modello (art. 6 D.Lgs. 231/01). Nel 2025, molte imprese hanno aggiornato i propri Modelli 231 includendo protocolli di controllo fiscale: per esempio, procedure di verifica sull’affidabilità dei fornitori, controlli incrociati su documentazione, codice etico che vieta espressamente l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, ecc. Se Alfa Srl aveva un tale modello e l’amministratore lo ha violato (magari tenendo all’oscuro l’organismo di vigilanza), la società può provare la propria estraneità organizzativa.

In più, il D.Lgs. 231 prevede una sorta di “ravvedimento operoso” dell’ente: se dopo il reato ma prima del processo, la società risarcisce integralmente il danno (qui sarebbe pagare le imposte evase e relative sanzioni), elimina le carenze organizzative adottando modelli adeguati e mette a disposizione il profitto illecito per la confisca, può ottenere l’esclusione o attenuazione delle sanzioni (art. 17 D.Lgs. 231/01). Nel caso concreto, la società che collabora (fornendo prove, documentazione, magari denunciando i responsabili interni coinvolti se diversi dall’organo dirigente) e soprattutto che paga il dovuto al Fisco prima possibile, ha buone chance di evitare le misure interdittive e di spuntare una sanzione pecuniaria ridotta al minimo.

Esempio pratico: Beta SpA scopre internamente (magari grazie all’organismo di vigilanza) che il suo direttore finanziario stava usando fatture false. Prima ancora che parta un’indagine, Beta SpA segnala la cosa all’Agenzia delle Entrate (o comunque regolarizza) e licenzia il responsabile, adottando nuove procedure di controllo. Se anche il PM dovesse procedere contro Beta SpA, questa potrà difendersi affermando di avere efficaci modelli e di aver reagito prontamente, quindi chiedere l’esclusione della punibilità ex art. 6, oppure almeno le attenuanti di cui sopra.

In pratica, dal punto di vista dell’imprenditore che opera tramite società, la responsabilità 231 è un fronte da considerare: la difesa deve ora occuparsi anche di approntare o migliorare i modelli organizzativi, di istruire l’Organismo di Vigilanza per eventuali relazioni da presentare, e di predisporre l’ente a dimostrare la propria affidabilità rinnovata. Può sembrare strano “difendersi accusandosi”, ma talvolta la scelta vincente per l’ente è riconoscere le lacune e mostrare di avervi posto rimedio, piuttosto che negare l’evidenza. Questo può salvare l’azienda da sanzioni che potrebbero paralizzarla (pensiamo a un’interdizione dall’attività: un’azienda non potrebbe stipulare contratti per magari 6 mesi o un anno).

Proceduralmente, il processo 231 si celebra insieme a quello penale, quindi in Tribunale penalista. L’ente ha propri difensori e gode degli stessi diritti di difesa (può presentare prove, memorie). L’onere della prova è a carico dell’accusa anche per dimostrare la colpa di organizzazione dell’ente. L’esito può essere: – Assoluzione delle persone fisiche e quindi, venendo meno il reato presupposto, anche dell’ente. – Condanna persone fisiche ma ente non responsabile (se il giudice ritiene provato che l’ente aveva modelli idonei o non ha tratto vantaggio in concreto). – Condanna di entrambi.

Fino ad agosto 2025 non risultano molte pronunce giurisprudenziali note su reati tributari e 231, trattandosi di novità recente. Tuttavia, i primi casi si stanno delineando e confermano la centralità del modello organizzativo: aziende che documentano procedure di tax compliance robuste possono evitare condanne anche se un loro dirigente ha frodato il fisco.

Consiglio pratico: Se siete imprenditori o dirigenti e la vostra azienda è coinvolta in un’indagine per false fatture, attivate immediatamente due binari: 1. Bonifica interna e adozione Modello 231 (se non esiste, predisporlo subito con l’aiuto di consulenti legali; se esiste, verificare perché non ha funzionato e aggiornarlo). 2. Pagamento o garanzia del debito tributario: valutare se conviene che la società stessa versi quanto evaso (magari per ridurre le sanzioni 231 o evitare il danno patrimoniale aggravato).

In conclusione, la responsabilità ex 231 aggiunge complessità ma anche un’ulteriore opportunità di difesa indiretta: l’ente virtuoso può salvarsi, e ciò indirettamente giova anche agli individui (ad esempio, se la società paga il debito, l’amministratore imputato potrà patteggiare più facilmente e con pena lieve).

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande comuni – con risposte puntuali – relative alla denuncia per dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false e alle strategie difensive possibili.

D: In cosa consiste esattamente il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false?
R: È il reato previsto dall’art. 2 D.Lgs. 74/2000, che si configura quando un contribuente, al fine di evadere le imposte, presenta una dichiarazione fiscale (redditi o IVA) inserendovi elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o documenti relativi a operazioni inesistenti . In pratica, è la classica “frode fiscale” tramite false fatturazioni: si creano costi fasulli (o crediti IVA inesistenti) con documenti artefatti per pagare meno tasse. È un delitto punito con la reclusione (fino a 8 anni nei casi più gravi) e rientra nei reati penali tributari più seri.

D: L’Agenzia delle Entrate mi ha denunciato: cosa succede ora in concreto?
R: La denuncia (inviata alla Procura) avvia un procedimento penale. La Guardia di Finanza condurrà indagini coordinate dal Pubblico Ministero. Possibili sviluppi a breve termine: perquisizioni in azienda o nello studio del commercialista, sequestro preventivo di beni e conti fino a concorrenza dell’imposta evasa, convocazione sua o di altri per interrogatori . Dopo le indagini, se raccolgono prove, la Procura chiederà il rinvio a giudizio e vi sarà un processo penale. Sul fronte fiscale, intanto l’Agenzia emetterà avvisi di accertamento per recuperare le imposte evase più sanzioni amministrative (90%–180% circa delle imposte). Quindi ci si deve difendere su due fronti paralleli: penale (per evitare o ridurre condanne) e tributario (per contestare o definire il debito fiscale).

D: Quali prove deve portare l’accusa per condannarmi?
R: Deve provare sia che le fatture sono false (operazioni inesistenti), sia che Lei era consapevole di tale falsità e le ha utilizzate per evadere . Le prove tipiche includono: riscontri che il fornitore era una “cartiera” (niente dipendenti, niente sede reale), che i beni/servizi fatturati non sono mai transitati (assenza di DDT, depositi, ecc.), movimentazioni finanziarie anomale (es. i soldi pagati che tornano indietro sotto banco), dichiarazioni di terzi coinvolti che confessano il meccanismo fraudolento, documenti e email interne che indicano la volontà di creare “finti costi”. Inoltre, spesso si procede per indizi gravi e concordanti: ad esempio, un insieme di circostanze (fornitore irreperibile + pagamenti in contanti + merce introvabile) può convincere oltre ogni ragionevole dubbio il giudice . L’accusa deve raggiungere la certezza che si trattava di frode; se permane un dubbio ragionevole (es. qualche indizio di reale esecuzione dei lavori), ne deve beneficiare l’imputato.

D: Se ho effettivamente usato fatture false, c’è modo di evitare la pena?
R: Sì, in alcuni casi estremi il reato può non essere punibile se si sfrutta la causa di non punibilità del ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Occorre pagare integralmente il debito tributario (imposte, sanzioni, interessi) e presentare le dichiarazioni integrative prima che le autorità fiscali o giudiziarie inizino un’attività di accertamento o indagine . Se Lei fa ciò tempestivamente, la legge prevede che per gli articoli 2, 3, 4, 5 del D.Lgs. 74/2000 non si proceda penalmente. In pratica, paga tutto e lo Stato rinuncia a punirla penalmente. Fuori da questa ipotesi, se il procedimento è già partito, non c’è modo di “estinzione” automatica: però pagare il dovuto resta molto utile (perché facilita un patteggiamento e toglie l’interesse a punirla, come segno di ravvedimento). In alternativa, l’unico modo di evitare la pena è ottenere un’assoluzione in giudizio (provando la Sua innocenza o l’assenza di prove sufficienti).

D: Ho pagato tutte le tasse evase appena l’Agenzia mi ha contestato il fatto. Questo mi salva dal penale?
R: Dipende dal quando ha pagato. Se il pagamento è avvenuto dopo che aveva già avuto formale notizia di una verifica fiscale o di un’indagine (ad esempio dopo aver ricevuto un PVC o un invito a comparire), allora non evita il processo penale. In compenso, potrà essere valutato positivamente: lei potrà chiedere un patteggiamento e verosimilmente otterrà una pena ridotta al minimo , oppure in caso di condanna il giudice potrebbe concedere attenuanti generiche forte. Se invece Lei è riuscito a pagare e regolarizzare prima che iniziasse qualunque controllo (caso raro ma possibile, ad es. intuendo il problema e muovendosi spontaneamente), allora rientra nella causa di non punibilità ex art. 13, comma 2 e non verrà neppure esercitata l’azione penale . In ogni caso, avendo pagato integralmente, ha già evitato la confisca del profitto e la sua posizione è molto migliore di chi non paga.

D: Posso patteggiare la pena? E con quali vantaggi?
R: Sì, il patteggiamento (applicazione pena su richiesta) è ammesso anche per i reati tributari, ma con la condizione stringente che il debito tributario sia stato saldato (o che comunque l’accordo col fisco sia in atto) . Se Lei ha pagato tutto, il PM di solito è disponibile a concordare una pena ridotta di 1/3. Considerando che spesso ci sono attenuanti generiche, si può arrivare a proposte di pena molto contenuta. Ad esempio, supponiamo che la pena base per la Sua frode, valutate attenuanti e aggravanti, sarebbe 3 anni di reclusione; patteggiando avrebbe -1/3 = 2 anni. Due anni potrebbero essere concessi con la sospensione condizionale se incensurato (e se ha risarcito, condizione spesso posta). Quindi, il vantaggio è chiudere rapidamente il processo, evitare il dibattimento pubblico, e magari ottenere una pena sospesa (niente carcere). Inoltre, col patteggiamento spesso si evita la condanna della società 231 (che viene esclusa dall’accordo o tratta a parte). Ricordi: senza aver saldato col fisco, il giudice non può accettare il patteggiamento salvo rare eccezioni.

D: Il mio commercialista ha gestito tutto, io firmavo le carte senza capire: posso difendermi dicendo che è colpa sua?
R: Può provarci, ma non è una giustificazione automatica. La legge considera il dichiarante (Lei, imprenditore) responsabile del contenuto della dichiarazione. Delegare incombenze al consulente non esonera dalla responsabilità penale . A meno che si dimostri di essere stato proprio ingannato dal professionista e di aver adottato ogni cautela ragionevole. Ad esempio, se il commercialista Le forniva assicurazioni false (“questa fattura è regolare, non si preoccupi”) e Lei può provare la sua buona fede (magari altri clienti confermano che quel professionista li ha tratti in inganno), allora la sua ignoranza potrebbe essere scusabile. La Cassazione però è molto netta: l’imprenditore ha un dovere personale di vigilanza sui propri adempimenti fiscali . Non basta dire “non ne sapevo nulla”, bisogna dimostrare di aver messo in atto un affidamento incolpevole. Se il commercialista orchestrava la frode e Lei chiudeva un occhio, i giudici configureranno il dolo eventuale (accettazione del rischio) a Suo carico . Tuttavia, coinvolgere il professionista può giovare: potrebbe essere coimputato e assumersi lui le colpe principali; Lei in tal caso apparirebbe in posizione più defilata, magari meritevole di pena minore.

D: La società per cui opero può subire conseguenze?
R: Sì. Se la frode è stata compiuta nell’interesse o a vantaggio della società (ad esempio per ridurre le imposte della società stessa), scatta la responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs. 231/2001). La società avrà un suo procedimento parallelo e rischierà sanzioni pecuniarie fino a 500 quote (importo variabile, spesso decine di migliaia di euro) e soprattutto sanzioni interdittive (tipo divieto di attività, di contrattare con PA, ecc.) . La società potrà difendersi dimostrando di avere modelli di organizzazione efficaci e che la frode è avvenuta eludendoli . Ad esempio, se aveva procedure anti-frode fiscale e un dipendente le ha violate di nascosto, l’ente può evitare la condanna. In ogni caso, se Lei è amministratore, è fondamentale far adottare subito un modello 231 o migliorarlo e pagare il debito tributario: questi passi possono evitare il commissariamento dell’azienda o sanzioni gravi, e spesso inducono la Procura a escludere l’ente. Quindi, sì, l’azienda è esposta, ma ha anche strumenti per salvarsi (collaborazione, modello organizzativo, risarcimento del danno erariale).

D: Qual è la prescrizione per questo reato? Posso sperare che si estingua per il tempo?
R: La prescrizione ordinaria è di 8 anni dalla presentazione della dichiarazione (essendo la pena massima 8 anni) . Interruzioni di atti processuali possono estenderla fino a 10 anni (massimo aumento di 1/4) . Quindi, se ad esempio il reato è del 2017, normalmente si prescrive nel 2025, ma con atti interruttivi potrebbe arrivare a fine 2027. Tenga conto però della riforma recente: dopo la sentenza di primo grado, la prescrizione viene “congelata” (in realtà oggi trasformata in improcedibilità con termini fissi in appello, 2 anni, come spiegato prima). In pratica: sì, la prescrizione è relativamente lunga ma non infinita. In processi complessi potrebbe arrivare a termine prima della Cassazione. Non è tuttavia saggio contare sulla prescrizione come strategia principale, perché negli ultimi anni il legislatore ha allungato termini e introdotto meccanismi per evitarla. Detto ciò, un rinvio delle fasi processuali a volte può giocare a Suo favore: se l’appello non si chiude in 2 anni, scatta l’improcedibilità (simile alla prescrizione). Insomma, c’è una possibilità di estinzione per tempi lunghi, ma dipende molto dalle circostanze (complessità del dibattimento, carichi di lavoro dei giudici, etc.).

D: Sul piano fiscale, conviene fare ricorso o trovare un accordo?
R: Dipende dalla forza del Suo caso e dalla Sua priorità. Se Lei ha elementi per dimostrare che almeno alcune operazioni erano reali, può valere la pena fare ricorso in commissione tributaria per annullare o ridurre l’accertamento. Vincere nel tributario sarebbe un punto pesante a Suo favore anche nel penale. Se però la violazione è conclamata e l’Agenzia ha prove solide, un lungo contenzioso potrebbe semplicemente procrastinare l’inevitabile e accumulare interessi. In tal caso, è meglio cercare un accordo (accertamento con adesione): si ottiene sanzioni ridotte (1/3 del minimo) e magari si può pagare a rate. L’adesione però implica ammettere le contestazioni, il che penalmente non aiuta, ma come già spiegato la strategia difensiva può modulare questo effetto. Alternativamente, se la causa è già in corso, c’è la conciliazione giudiziale (anche in appello) che consente uno sconto sulle sanzioni fino al 50%. In sintesi: – Se ha chance di vittoria e vuole mantenere linea di innocenza: faccia ricorso. – Se vuole chiudere la partita fiscale rapidamente e limitare i danni economici: adesione è preferibile, salvo poi gestire il penale separatamente. Spesso una soluzione mista è: contestare ciò che è contestabile, e aderire/parzialmente definire ciò che è indifendibile, per ridurre l’importo. Un bravo consulente tributario saprà consigliarle dopo aver valutato il PVC.

D: Ho sentito parlare di doppia sanzione (penale e amministrativa) vietata. Posso oppormi al processo penale perché già mi multano fiscalmente?
R: Al momento, in Italia, questa difesa non ha successo. È vero che c’è un principio europeo di ne bis in idem che vieta di punire due volte per lo stesso fatto , ma la Corte Europea (Corte EDU) ha ammesso un doppio binario sanzionatorio se le due sanzioni (penale e amministrativa) servono a scopi diversi e sono ben coordinate. L’Italia si è uniformata modulando le sanzioni amministrative e prevedendo il coordinamento dei procedimenti. Finché tale “sufficientemente stretta connessione” è rispettata, il doppio binario è considerato legittimo . Tradotto: Lei deve affrontare sia la multa fiscale sia il processo penale. Non può chiedere l’archiviazione del penale perché ha già pagato la sanzione amministrativa (purtroppo). Ci sono stati casi in cui la Corte Costituzionale ha eliminato il doppio binario in altri settori (mercati finanziari, diritto d’autore), ma sui reati fiscali sinora no. In futuro la giurisprudenza potrebbe evolvere, ma per ora la Sua difesa non può puntare solo su questo argomento. Potrà al più far presente al giudice penale, in sede di determinazione pena, che Lei ha già subito un forte esborso amministrativo, invocando un trattamento più mite per ragioni di equità (proporzionalità del cumulo sanzionatorio).

D: Alla fine, quali sono i punti chiave per difendersi efficacemente in questi casi?
R: Riassumendo: – Analizzare a fondo i fatti e le prove: capire se si può sostenere la realtà delle operazioni o la non consapevolezza. Se sì, raccogliere ogni documento e testimonianza utile prima possibile. – Pagare il dovuto o una parte significativa: ciò toglie terreno all’accusa, consente patteggiamenti e mostra ravvedimento. Se possibile, farlo presto per tentare la non punibilità. – Coordinare difesa penale e tributaria: avere una strategia unificata. Ad esempio, se si decide di ammettere l’illecito in adesione, allora in penale puntare alle attenuanti e non a negare l’evidenza. Se in penale si vuol negare, allora in tributario evitare accordi che contraddicano quella linea. – Valutare il patteggiamento: spesso conviene, perché riduce la pena e la rende gestibile (interamente sospesa o convertibile in domiciliari/servizi sociali se sotto certi limiti). – Migliorare l’azienda (se applicabile): adottare modelli 231, collaborare con le autorità se ci sono altri responsabili (la collaborazione attiva con la giustizia può essere un attenuante). – Temporeggiare quando serve, accelerare quando serve: se la prescrizione può salvare, allungare i tempi; se invece il tempo gioca contro (perché l’azienda è bloccata dai sequestri), cercare di risolvere rapidamente con patteggiamento/adesione.

In ogni caso, farsi assistere da professionisti esperti sia in diritto penale tributario che in procedura tributaria è fondamentale, data la complessità dell’interazione tra i due mondi.

D: Dopo quanto tempo decade il potere del Fisco di accertare queste cose?
R: Sul piano tributario (decadenza accertamento), per le annualità recenti si applica il regime di raddoppio dei termini in caso di reato tributario. In generale, l’Agenzia ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (per IVA e imposte dirette). Ma se vi è un reato come l’art. 2, i termini si estendono all’ottavo anno successivo . Ad esempio, dichiarazione 2018: termine ordinario 31/12/2023; se c’è frode fiscale, termine prorogato al 31/12/2026. Quindi, praticamente il Fisco può controllare fino a 7-8 anni indietro. Per le dichiarazioni omesse il termine è il decimo anno. Attenzione: non esiste più (dal 2016) la necessità di inviare la notizia di reato per raddoppiare i termini – il raddoppio è automatico se emerge un reato. Quindi, in sintesi: Lei non è “al sicuro” fino a 7-8 anni dopo. Passato quel periodo, se non è arrivato un avviso, difficilmente glielo manderanno (salvo scoperta tardiva, ma comunque c’è il limite).

D: Emettere fatture false è reato come utilizzarle?
R: Sì, ma è un reato distinto. Chi emette o rilascia fatture per operazioni inesistenti commette il delitto dell’art. 8 D.Lgs. 74/2000, punito anch’esso con la reclusione da 4 a 8 anni (attenuato 1,5–6 anni se importi sotto 100.000 €) . È lo speculare: ad esempio la “cartiera” che ha venduto fatture a Lei risponderà dell’art. 8, mentre Lei dell’art. 2. Frequentemente, nei procedimenti troviamo imputati sia utilizzatori che emittenti, in concorso o in procedimenti collegati. Dal Suo punto di vista, se c’è un emittente identificato e perseguito, potrà essere citato come teste o coimputato: a volte confessano il meccanismo inchiodando anche gli utilizzatori; altre volte negano pure loro l’inesistenza. In ogni caso, sì, l’emittente rischia parimenti la galera, e anche per lui valgono cause di non punibilità simili (pagamento dell’IVA evasa correlata, ecc.). Per completezza: anche l’art. 8 è diventato reato-presupposto 231/2001 e ha confisca allargata oltre 200k €. Dunque il quadro repressivo è simmetrico e coordinato.

D: Cosa succede ai beni sequestrati? Devo aspettare la fine del processo?
R: Se ha subito un sequestro preventivo di conti o immobili, può: – Presentare istanza di riesame entro 10 giorni per farlo annullare, se ci sono motivi (es. mancanza fumus del reato, o beni non pertinenti). Il tribunale del riesame deciderà in tempi brevi se confermare o revocare. – In alternativa o successivamente, può chiedere una riduzione del sequestro provando che l’importo fissato eccede il profitto. Ad esempio, se contestano €500k di evasione ma Lei dimostra che erano €300k, può ridurre il congelamento. – Se paga parte del debito tributario nel frattempo, può chiedere sblocco proporzionale: di solito l’autorità dissequestra nella misura in cui risultano versamenti all’Erario (perché il profitto si riduce). – Il sequestro rimane in vigore fino alla sentenza. Se assolto, tutto viene restituito. Se condannato, il sequestro si converte in confisca definitiva dei beni (lo Stato li acquisisce). – In certi casi è possibile ottenere la sostituzione del sequestro con una fideiussione bancaria di importo equivalente, per poter usare i beni nel frattempo (raro ma fattibile per aziende che necessitano di liquidità congelata). In breve: conviene attivarsi con il Suo legale per non subire passivamente il sequestro, specialmente se è di importo elevato o le blocca l’attività. Spesso, l’interlocuzione con la Procura (tramite pagamento parziale o spiegazioni) porta a sblocchi di beni eccedenti.

D: Come posso prevenire in futuro rischi del genere?
R: Domanda importante. Per evitare di ricadere in simili problemi: – Verifichi accuratamente i fornitori: controlli che abbiano struttura reale (sede, dipendenti, mezzi). Diffidi di fornitori “troppo convenienti” o che chiedono di essere pagati su conti esteri/anomali. – Tracci sempre i pagamenti: eviti il contante o triangolazioni, usi bonifici con causali chiare. Se un fornitore rifiuta pagamenti trasparenti, campanello d’allarme. – Implementi controlli interni: se ha un’azienda, adotti procedure scritte per l’accettazione di nuovi fornitori, faccia eseguire controlli documentali (es. DURC, visure camerali, riscontri incrociati IVA). – Formi il personale amministrativo: spesso sono impiegati poco formati che trattano le fatture; investa in formazione sulla rilevazione di frodi (es. più fatture con stesse descrizioni, o partita IVA aperta da poco e subito fattura grossa). – Consulenti affidabili: scelga professionisti con reputazione specchiata. Un commercialista compiacente può farle risparmiare oggi ma farle perdere tutto domani. – Modello 231: se la sua è una società di dimensioni medie/grandi, valuti di implementare un modello di organizzazione che includa i reati tributari, così da avere un monitoraggio costante e una protezione legale in più.

In sintesi, trasparenza e controllo sono le armi migliori: meglio pagare un po’ più tasse ma dormire tranquilli, che cercare scorciatoie e trovarsi poi invischiato in processi penali e debiti enormi.

Conclusioni

La denuncia per dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false rappresenta senza dubbio uno scenario critico e complesso da gestire. Da un lato, il contribuente deve fronteggiare la gravità dell’accusa penale, che può condurre a sanzioni detentive significative e a misure afflittive sul patrimonio (sequestri e confische) . Dall’altro, vi è la dimensione tributaria del problema, con il Fisco che reclama imposte evase e commina sanzioni pecuniarie molto elevate. Il tutto aggravato dal possibile coinvolgimento della società in sede di responsabilità amministrativa, ampliando il novero delle conseguenze.

Abbiamo visto che il legislatore italiano, specialmente con le riforme degli ultimi anni, ha adottato un approccio duplice: tolleranza zero verso queste condotte fraudolente – con innalzamento delle pene, eliminazione di soglie di impunità , estensione delle confische e punibilità anche delle imprese – bilanciato però dall’offerta di vie di “pentimento” e collaborazione (ravvedimento operoso con pagamento integrale per evitare la punizione , patteggiamenti subordinati al pagamento, attenuanti per chi risarcisce, ecc.). In altri termini, il sistema attuale punisce severamente chi persiste nell’illecito e agevola chi torna sui propri passi per tempo.

Dal punto di vista pratico difensivo, le parole d’ordine emerse sono: tempestività (muoversi subito per raccogliere prove a discarico e considerare il ravvedimento prima che sia tardi), completezza (affrontare insieme gli aspetti penali e fiscali, senza trascurarne nessuno), e proattività (non subire passivamente accuse e sequestri, ma interloquire con le autorità mostrando collaborazione e magari offrendo soluzioni – pagamenti, garanzie – che possano anche convincere la Procura della minore pericolosità).

Va anche sottolineato il ruolo della giurisprudenza più recente: le sentenze di merito e di legittimità degli ultimi tempi hanno fornito chiarimenti importanti su cosa rientra nel reato e cosa no. Ad esempio, Cassazione 2024 n. 26520 che esclude la rilevanza penale in casi di sovrafatturazione senza artifici (prezzo alto ma bene realmente fornito) ; oppure Cass. 2024 n. 34408 che inquadra come fraudolente certe operazioni simulate (es. un appalto fittizio che copre manodopera) . Conoscere questi orientamenti consente alla difesa di modulare la propria strategia (magari cercando di ricondurre il caso entro un “varco” interpretativo favorevole). Abbiamo anche richiamato la Corte Costituzionale (sent. 95/2019) che ha benedetto l’assenza di soglia per l’art. 2 , a conferma che non ci si può aspettare clemenza solo perché la frode è stata di modesta entità.

In definitiva, per avvocati, privati e imprenditori coinvolti in tali vicende, la presente guida offre un panorama a 360° del terreno su cui si giocherà la partita: normativo, processuale, strategico. Il punto di vista del “debitore” – colui che si trova improvvisamente accusato e con il Fisco alle calcagna – è stato privilegiato, fornendo indicazioni concrete su come reagire e come poter impostare una difesa efficace.

Il messaggio di fondo è duplice: difendersi è possibile (anche da accuse così infamanti e gravose, ci sono strumenti di legge e spazi argomentativi che un buon difensore può sfruttare), ma richiede impegno, competenza e spesso sacrificio (pagare ciò che si deve, se effettivamente dovuto, è quasi sempre la mossa giusta sul lungo periodo). La “frode fiscale documentale” non è più vista come una furberia tollerabile, bensì come un attacco al patto sociale della lealtà fiscale e come tale viene trattata severamente; tuttavia l’ordinamento – pur repressivo – lascia aperta la porta al contribuente che dimostri buona fede o che si ravveda genuinamente.

Chi si trova, suo malgrado o per errori di valutazione, invischiato in un procedimento per fatture false, non deve dunque disperare: con una guida esperta e le giuste mosse può aspirare a contenere i danni e, in casi meritevoli, a uscirne senza condanne (si pensi all’imprenditore ingannato dal fornitore o al caso in cui davvero l’operazione c’è stata ma formalizzata male). L’importante è agire con cognizione di causa, sfruttando tutti gli appigli normativi e fattuali disponibili, e non improvvisare.

In conclusione, la miglior arma è comunque la prevenzione: creare in azienda una cultura della legalità fiscale, dotarsi di controlli interni, evitare scorciatoie per ridurre le tasse. Ciò non solo evita i guai, ma paga nel lungo termine in termini di sostenibilità del business e di serenità imprenditoriale. Come recita un adagio, “prevenire è meglio che curare”: questo vale ancor di più in materia di reati tributari, dove la “cura” (tra avvocati, fisco e magari carcere) può rivelarsi decisamente più costosa del beneficio che si sperava di ottenere con la frode.

Fonti: i riferimenti normativi sono tratti dal D.Lgs. 74/2000 e successive modifiche. Le considerazioni giurisprudenziali citate provengono da sentenze di Cassazione aggiornate al 2024 e da analisi dottrinali accreditate . Si è tenuto conto della legge 157/2019 e delle pronunce della Corte Costituzionale rilevanti . Le indicazioni pratiche riflettono la prassi applicativa (circolari dell’Agenzia delle Entrate, linee guida della Guardia di Finanza) e l’esperienza maturata nel settore penale-tributario. Si raccomanda, in ogni caso concreto, di avvalersi di consulenza legale professionale per adattare queste informazioni generali alle specifiche circostanze del caso.

Hai ricevuto una denuncia o un avviso di accertamento penale-tributario perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta una dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste accuse?

L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, integrali o parziali, è una delle contestazioni più gravi in ambito tributario. In questi casi si applica sia la normativa fiscale che quella penale (D.Lgs. 74/2000), con conseguenze che possono includere sanzioni pecuniarie molto elevate e responsabilità penale per amministratori, professionisti e società coinvolte.

👉 Prima regola: distinguere se le fatture contestate erano effettivamente false oppure solo irregolari o dubbie. La difesa parte dalla prova dell’esistenza reale dell’operazione.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (beni/servizi mai prestati o gonfiati);
  • Fatture soggettivamente false (emesse da soggetti diversi dal reale fornitore);
  • Fatture oggettivamente false (operazioni mai avvenute);
  • Catene di forniture fittizie usate per abbattere imponibile e IVA;
  • Segnalazioni incrociate da controlli bancari, doganali o da altri contribuenti coinvolti.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte (IVA, IRES/IRPEF, IRAP) indebitamente dedotte o detratte;
  • Sanzioni tributarie pesanti per dichiarazione fraudolenta;
  • Procedimento penale:
    • Reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni (art. 2 D.Lgs. 74/2000);
    • Sequestro preventivo e confisca dei beni per equivalente;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di responsabilità solidale tra società, amministratori e professionisti.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Esistenza dell’operazione: i beni/servizi sono stati realmente ceduti o prestati?
  • Documentazione a supporto: contratti, DDT, prove di consegna, e-mail, bonifici;
  • Ruolo del contribuente: eri consapevole della falsità o in buona fede?
  • Motivazione della denuncia: l’Agenzia deve specificare fatture, importi e fornitori contestati;
  • Elementi soggettivi: il dolo deve essere provato, non solo presunto.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Copia delle fatture contestate;
  • Contratti commerciali e ordini d’acquisto;
  • Documenti di trasporto (DDT) e prove di consegna;
  • Estratti conto bancari e bonifici di pagamento;
  • Comunicazioni con i fornitori e corrispondenza elettronica;
  • Relazioni tecniche o perizie che attestino la realtà dell’operazione.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’effettività delle operazioni contestate;
  • Provare la buona fede del contribuente (assenza di dolo, affidamento su documenti apparentemente regolari);
  • Contestare errori dell’Agenzia basati su presunzioni non dimostrate;
  • Eccepire vizi procedurali nella contestazione (motivazione insufficiente, violazioni dei diritti di difesa);
  • Richiedere autotutela per ridurre le pretese tributarie;
  • Difesa penale mirata, con memorie difensive in Procura e strategie per dimostrare l’insussistenza del reato;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per annullare l’accertamento fiscale collegato.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le fatture contestate e la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate;
📌 Verifica l’effettiva esistenza delle operazioni e la tua posizione soggettiva;
✍️ Redige memorie difensive in sede penale e ricorsi tributari;
⚖️ Ti rappresenta sia nei giudizi tributari che nei procedimenti penali collegati;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire correttamente i rapporti commerciali e i controlli fiscali.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in reati tributari e accertamenti fiscali complessi;
✔️ Specializzato in difesa di imprese e amministratori su fatture false e dichiarazioni fraudolente;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate per dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false sono tra le più gravi, ma non sempre fondate: spesso derivano da presunzioni o errori nella ricostruzione delle operazioni.
Con una difesa adeguata puoi dimostrare la realtà delle operazioni o la tua buona fede, evitare la condanna penale e ridurre drasticamente gli effetti fiscali.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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