Agenzia Delle Entrate Indaga Distribuzioni Occulte Di Dividendi: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che la tua società abbia effettuato distribuzioni occulte di dividendi ai soci? In questi casi, l’Ufficio presume che utili extracontabili o risorse aziendali siano state trasferite ai soci in modo non dichiarato, configurandoli come dividendi nascosti. La conseguenza è la doppia tassazione: per la società e per i soci, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: ci sono strumenti difensivi per dimostrare la correttezza della gestione societaria.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta distribuzioni occulte di dividendi
– Se emergono costi non inerenti o spese personali dei soci a carico della società
– Se dai bilanci risultano ricavi non contabilizzati o utili non distribuiti ufficialmente
– Se le movimentazioni bancarie evidenziano trasferimenti ai soci senza giustificazione
– Se vi sono differenze rilevanti tra la contabilità aziendale e i redditi dichiarati
– Se i soci utilizzano beni sociali (immobili, auto, conti) senza regolare fatturazione o documentazione

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione delle somme come dividendi occulti distribuiti ai soci
– Tassazione aggiuntiva a carico della società e dei soci percettori
– Applicazione di sanzioni per infedele dichiarazione e indebita deduzione di costi
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Rischio di contestazioni penali in caso di frode fiscale grave

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale natura delle somme contestate (prestiti ai soci, rimborsi spese, anticipi)
– Produrre documentazione contabile e contrattuale a supporto delle operazioni
– Contestare la presunzione di distribuzione occulta se basata solo su indizi e non su prove concrete
– Evidenziare vizi di motivazione, difetti formali o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare bilanci, scritture contabili e movimentazioni bancarie contestate
– Verificare la legittimità della contestazione sotto il profilo fiscale e societario
– Redigere un ricorso fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere la società e i soci davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da indebite richieste fiscali

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della natura non imponibile delle somme contestate
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni sulle distribuzioni occulte di dividendi e come tutelare i tuoi diritti.

👉 La tua società ha ricevuto una contestazione per presunte distribuzioni occulte di dividendi? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo l’atto, verificheremo la legittimità della contestazione e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere i tuoi interessi.

Introduzione

Le “distribuzioni occulte di dividendi” rappresentano una problematica fiscale complessa e di grande attualità nel panorama italiano. Si tratta, in sintesi, di utili societari non dichiarati o occultati che l’Agenzia delle Entrate presume siano stati comunque distribuiti ai soci senza le formalità di legge, allo scopo di evadere la tassazione. Questo fenomeno interessa soprattutto le società di capitali a ristretta base (come le s.r.l. a carattere familiare), dove pochi soci controllano l’impresa e possono più facilmente spartirsi utili non contabilizzati. Quando il Fisco avvia indagini in tal senso, le conseguenze possono essere gravose: tassazione aggiuntiva in capo alla società e ai soci, doppia imposizione economica e persino profili di responsabilità penale nei casi più seri di frode tributaria.

In questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – forniremo un quadro avanzato e approfondito della disciplina italiana in materia, con taglio sia pratico sia giuridico-divulgativo, adatto a professionisti legali, imprenditori e privati contribuenti interessati. Esamineremo la normativa rilevante, le presunzioni elaborate dalla giurisprudenza e le più recenti sentenze della Corte di Cassazione e di altre corti tributarie. Dal punto di vista del contribuente (debitore), analizzeremo come difendersi efficacemente: documentazione necessaria, strategie processuali, strumenti come l’interpello, l’accertamento con adesione, il contenzioso tributario fino alla Cassazione.

Saranno incluse tabelle riepilogative per schematizzare i concetti chiave, simulazioni pratiche di casi reali italiani (come la classica s.r.l. familiare con utili “in nero”, o il socio di minoranza inconsapevole) e una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Il linguaggio adottato sarà rigoroso e giuridicamente fondato – citando le fonti normative e le pronunce più autorevoli – ma al contempo chiaro e accessibile, in modo da permettere anche ai non addetti ai lavori di comprendere gli aspetti essenziali e le possibili difese.

Inizieremo definendo cosa s’intende per distribuzione occulta di dividendi e il quadro normativo di riferimento. Successivamente affronteremo la presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società a base ristretta, cuore della problematica, evidenziando come si è evoluta la giurisprudenza (in particolare con le novità 2024-2025 a favore dei contribuenti). Proseguiremo con le conseguenze fiscali e il procedimento di accertamento, per poi esaminare dettagliatamente le strategie difensive a disposizione del contribuente, inclusi i profili procedurali e probatori. Un’apposita trattazione sarà dedicata ai profili penali e ad alcune situazioni particolari (società di persone, società estinte, soci occulti, ecc.), prima di concludere con le FAQ e le tabelle di sintesi.

Importanza del tema: Va sottolineato come la presunzione di distribuzione di utili extracontabili costituisca un potente strumento in mano all’Amministrazione finanziaria, ma anche una potenziale insidia per i contribuenti: da un lato garantisce al Fisco di recuperare a tassazione redditi sottratti all’Erario sia sul piano societario che personale, dall’altro lato può dare luogo a contestazioni basate su mere presunzioni (seppur supportate da “massime di esperienza”) talora difficili da confutare. Per questo è fondamentale conoscere i propri diritti di difesa e i mezzi per far valere le proprie ragioni, evitando di subire doppie tassazioni illegittime o sanzioni ingiuste. Come vedremo, la recente giurisprudenza della Cassazione offre alcuni spiragli difensivi significativi, riequilibrando l’onere della prova e precisando i limiti di applicabilità di tali presunzioni .

Passiamo ora ad esaminare dettagliatamente l’argomento, iniziando dalle definizioni e dal contesto normativo.

Cosa sono le distribuzioni occulte di dividendi

Con l’espressione “distribuzione occulta di dividendi” (detta anche distribuzione occulta di utili o utili extracontabili distribuiti ai soci) si indica la ripartizione, in favore dei soci, di profitti societari che non risultano dalle scritture contabili ufficiali. In pratica, la società consegue degli utili “in nero” – ad esempio omettendo di dichiarare ricavi, oppure contabilizzando costi fittizi per ridurre l’utile – e tali somme, sottratte a tassazione, vengono in tutto o in parte trasferite ai soci in modo nascosto, senza essere erogate come regolari dividendi deliberati dall’assemblea. Si tratta dunque di utili non contabilizzati né dichiarati al Fisco, che però di fatto arricchiscono i soci come se fossero dividendi “occulti” distribuiti al di fuori dei canali ufficiali.

Questa pratica configura un’ipotesi di evasione fiscale duplice: la società evita di pagare le imposte sui redditi su quegli utili non dichiarati, e i soci parimenti evitano di scontare l’imposizione prevista sui dividendi percepiti (come l’IRPEF o la ritenuta del 26% sui dividendi). L’Agenzia delle Entrate, qualora scopra l’esistenza di utili occulti, tende quindi a recuperare a tassazione tali somme sia in capo alla società che in capo ai soci. In altre parole, il Fisco vuole tassare due volte quel reddito: una prima volta come reddito d’impresa non dichiarato dalla società, e una seconda volta come reddito di capitale (dividendo) non dichiarato dai soci . Ciò può sembrare una doppia imposizione, ma in realtà riflette il normale meccanismo di tassazione dei dividendi societari: prima l’utile viene tassato in capo alla società, poi – se distribuito – in capo al socio. Nel caso di utili occulti, semplicemente questa doppia tassazione avviene ex post tutta in sede di accertamento, anziché attraverso i canali ordinari.

Esempio tipico: si consideri una s.r.l. familiare con pochi soci. La società, attraverso vendite non fatturate, consegue nell’anno utili extra-bilancio per 100.000 €. Questi profitti in nero vengono prelevati dalla cassa aziendale dall’amministratore e spartiti informalmente tra i soci (ad esempio, depositati sui conti personali o utilizzati per spese personali pagate dalla società). Formalmente nei bilanci non risulta nulla: l’utile ufficiale è magari vicino a zero grazie a costi “aggiustati”. Se la Guardia di Finanza o l’Agenzia scoprono il gioco (poniamo tramite verifiche incrociate, documenti extracontabili, movimenti bancari anomali, ecc.), contesteranno un maggior reddito imponibile di 100.000 € alla società (tassato con IRES, più sanzioni), e presumibilmente contesteranno anche ai soci la percezione di dividendi non dichiarati (ognuno per la quota proporzionale di partecipazione). Dunque se tre soci detengono rispettivamente il 50%, 30% e 20% del capitale, verranno imputati maggiori redditi di capitale per 50.000 €, 30.000 € e 20.000 € nei rispettivi imponibili IRPEF (oppure assoggettati a ritenuta 26%, come vedremo) più relative sanzioni.

Si comprende quindi come la distribuzione occulta di utili, una volta scoperta, possa costare carissima, perché ogni euro occultato subisce una tassazione pesante: circa il 24% in capo alla società (aliquota IRES), più un ulteriore prelievo in capo al socio (26% di imposta sostitutiva se persona fisica non imprenditore, oppure tassazione progressiva IRPEF se trattato come reddito non dichiarato) , senza contare interessi e sanzioni.

Dal punto di vista giuridico, va evidenziato che la locuzione “dividendi occulti” non compare espressamente in norme tributarie, ma è frutto di elaborazione dottrinale e soprattutto giurisprudenziale. Non esiste cioè una legge che definisca specificamente questa fattispecie; si applicano piuttosto le regole generali sul recupero a tassazione di redditi non dichiarati e sul conseguente accertamento nei confronti dei soci, fondandosi su presunzioni e massime di esperienza riconosciute valide dai giudici (come approfondiremo nelle sezioni seguenti) .

Forme comuni di distribuzione occulta: il classico caso è l’utile extrabilancio generato da ricavi “in nero” (vendite non fatturate, corrispettivi non registrati) che viene poi di fatto prelevato dal/i socio/i. Ma esistono anche forme più raffinate di distribuzione occulta, ad esempio:

  • Costi fittizi o gonfiati a beneficio di soci o parti correlate: la società contabilizza spese inesistenti (fatture false) o maggiorate rispetto al reale, in modo da far uscire denaro dalle casse sociali verso terzi compiacenti e poi farlo rientrare ai soci “in nero”. Tali costi, se disconosciuti dal Fisco, alzano l’utile reale e possono celare appunto utili distribuiti ai soci.
  • Spese personali dei soci fatte passare come spese aziendali: es. l’azienda paga l’affitto di casa del socio, viaggi e beni di lusso per la famiglia del socio, ecc., deducendoli come costi. Queste somme, quando contestate, vengono considerate utili distratti a favore del socio (quindi non solo indeducibili per la società, ma tassabili in capo al socio come utili occulti distribuiti).
  • Operazioni infragruppo o con soci a valori anomali: es. vendita di un bene della società al socio a prezzo simbolico, oppure acquisto di un bene dal socio a prezzo esorbitante; finanziamenti soci concessi e poi restituiti simulando utili, ecc. In tutti questi casi il vantaggio patrimoniale per il socio (pagare poco qualcosa che vale di più, incassare dalla società più del dovuto, ecc.) può essere riqualificato come utile distribuito in forma mascherata. Ad esempio, una sentenza evidenzia il caso di somme versate al socio sotto forma di restituzione di un finanziamento soci, ma ritenute dal Fisco una mera mascheratura di utili occultamente distribuiti .
  • Utilizzo privato di beni aziendali senza adeguato corrispettivo: classico il caso di auto aziendali, immobili o altri asset dell’azienda usati dai soci per fini personali oltre i limiti consentiti. La differenza tra valore di mercato dell’uso e quanto eventualmente corrisposto dal socio può configurare un utile occulto a lui attribuito.

Tutte queste situazioni, se scoperte, portano l’Amministrazione finanziaria a contestare una distribuzione di utili non risultante formalmente, ossia un trasferimento occulto di ricchezza dalla società al socio che dovrà essere assoggettato a tassazione.

Va anche ricordato che, sul piano civilistico, distribuire utili in assenza di risultati di bilancio o senza rispettare le procedure è vietato: gli amministratori che deliberassero o effettuassero distribuzioni in violazione dell’art. 2433 c.c. (che consente dividendi solo utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio) potrebbero incorrere in responsabilità verso i creditori e sanzioni (e in casi estremi, reati come l’art. 2627 c.c. “illecita ripartizione di utili”). Tuttavia, quando parliamo di utili occulti parliamo di somme che non transitano affatto per decisioni assembleari – proprio per restare nascoste – dunque spesso il fenomeno coincide con prelievi di cassa o di beni sociali fatti senza alcuna delibera. Sul piano penale, poi, l’occultamento di utili si accompagna normalmente a reati tributari (dichiarazione fraudolenta, infedele o omessa) che tratteremo più avanti.

In sintesi, possiamo definire la distribuzione occulta di dividendi come ogni trasferimento di utili o risorse d’impresa dai conti sociali ai soci, effettuato in modo dissimulato e senza essere riportato nelle dichiarazioni fiscali, allo scopo di evitare le imposte. Nei prossimi capitoli vedremo come l’ordinamento affronta questo fenomeno, in particolare attraverso la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili nelle piccole società, e quali strumenti hanno i contribuenti per difendersi da eventuali accertamenti basati su tale presunzione.

Quadro normativo e principi generali

Per inquadrare correttamente il tema, è utile richiamare brevemente le disposizioni normative rilevanti e i principi generali in materia di tassazione degli utili societari e poteri di accertamento del Fisco.

La tassazione dei dividendi in generale

In Italia i dividendi distribuiti da società di capitali ai soci persone fisiche sono qualificati come redditi di capitale ai sensi dell’art. 44 del TUIR (D.P.R. 917/1986). Dal 2018, la regola generale prevede che i dividendi percepiti da persone fisiche private (ossia non nell’esercizio di impresa) siano assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta del 26% sull’intero importo, operata dalla società al momento del pagamento . In pratica la società funge da sostituto d’imposta: trattiene il 26% e lo versa al Fisco, dopodiché il socio incassa il netto e non deve dichiarare nulla in quanto la tassazione è già avvenuta (imposta sostitutiva definitiva).

Esempio: se una s.r.l. distribuisce regolarmente utili per 10.000 € a un socio persona fisica non imprenditore, tratterrà 2.600 € di ritenuta e il socio riceverà 7.400 € netti. Il socio non paga altro, poiché il 26% è imposta finale. (Fino al 2017 vigeva un regime diverso per partecipazioni qualificate, con imponibile parziale in dichiarazione, ma dal 2018 si è uniformata la tassazione al 26% per tutti i dividendi societari ordinari ).

Se invece il socio percipiente è un’altra società di capitali, i dividendi incassati non subiscono ritenuta (in quanto si tratta di redditi da partecipazione fra soggetti IRES). Tali dividendi sono in gran parte esenti da tassazione per la società percipiente: infatti l’art. 89 del TUIR prevede la detassazione del 95% delle somme distribuite da altre società (salvo partecipazioni in paradisi fiscali), tassando quindi solo un 5% dell’importo in capo alla società socia. Questo regime mira a evitare la doppia tassazione economica degli utili all’interno di gruppi societari.

Infine, se il socio è una società di persone (S.n.c. o S.a.s.) o una ditta individuale in contabilità ordinaria, i dividendi sono considerati reddito d’impresa: anche qui niente ritenuta, ma il socio li somma ai propri redditi aziendali dichiarandone una percentuale (oggi 58,14%) come imponibile IRPEF .

Questi cenni servono a comprendere che in condizioni normali la tassazione del profitto avviene su due livelli distinti: (1) l’utile è tassato in capo alla società con IRES (attualmente al 24%); (2) quando l’utile è distribuito al socio, subisce ulteriore imposizione (26% o inclusione parziale a seconda dei casi). Se dunque un utile non viene mai ufficialmente distribuito, il Fisco incassa “solo” l’IRES, mentre perde la seconda imposizione. Ciò spiega l’interesse dell’Amministrazione finanziaria a colpire le distribuzioni occulte: si tratta di recuperare quel secondo livello di tassazione sui soci che, in presenza di utili occulti, non hanno mai pagato nulla.

Un esempio particolare chiarito di recente dall’Agenzia delle Entrate: la rinuncia ai dividendi da parte del socio. Se l’assemblea delibera dividendi e un socio vi rinuncia volontariamente, si potrebbe pensare che non ci sia tassazione in capo a lui perché nulla incassa. Invece la risposta ad interpello n. 59/2025 ha chiarito che anche la rinuncia configura “incasso giuridico” – è come se il socio li avesse percepiti e poi lasciati in società – e va comunque applicata la ritenuta del 26% . Ciò per dire che il Fisco è molto attento a evitare che utili formalmente spettanti al socio sfuggano al prelievo, perfino in casi di rinuncia. A maggior ragione, quindi, quando sospetta che utili non formalmente deliberati siano stati però goduti dai soci sotto banco, attiverà gli strumenti accertativi per tassarli come dividendi occulti.

Poteri di accertamento e presunzioni del Fisco

L’Agenzia delle Entrate ha ampi poteri per accertare redditi non dichiarati. In ambito di imposte sui redditi, essa può procedere con accertamenti analitici (rettificando singole poste di bilancio, ricavi, costi) o accertamenti induttivi (determinando il reddito d’impresa in via globale sulla base di presunzioni e dati extra-contabili), secondo le norme del D.P.R. 600/1973. Nel caso di utili occulti, si possono combinare entrambe le cose: spesso l’accertamento nasce da verifiche fiscali (ispezioni compiute dalla Guardia di Finanza presso la società) che portano alla luce documentazione extracontabile o altri elementi (es. movimenti bancari non giustificati) dai quali emergono ricavi non dichiarati oppure costi falsi utilizzati per creare fondi neri . Tali elementi vengono descritti in un Processo Verbale di Constatazione (PVC). Sulla base del PVC, l’Ufficio dell’Agenzia emette poi un avviso di accertamento nei confronti della società, contestando i maggiori utili non dichiarati.

A questo punto entra in gioco la presunzione di distribuzione ai soci: il Fisco, constatato che la società ha conseguito utili extracontabili, presume (in presenza di certi presupposti) che quegli utili siano stati spartiti tra i soci. Si tratta – va sottolineato – di una presunzione semplice, di natura giurisprudenziale e non di una presunzione legale assoluta prevista per legge . Significa che il legislatore non ha stabilito per norma che i maggiori utili accertati si considerano distribuiti; è stata la giurisprudenza (Corte di Cassazione) nel corso degli anni ad affermare e consolidare questo principio, fondandolo su una “massima di esperienza”: in una piccola società di poche persone legate da vincoli di fiducia (familiari o simili), è molto verosimile che eventuali utili in nero vengano fatti “sparire” tra i soci stessi, piuttosto che lasciati inutilizzati in azienda . Da qui la possibilità per il Fisco di utilizzare tale presunzione in sede di accertamento.

Questa presunzione, come vedremo in dettaglio, è confutabile dal contribuente (non è un automatismo insuperabile) , ma ha retto a numerose conferme in Cassazione negli ultimi decenni. Va anche detto che tale meccanismo opera soprattutto in un contesto specifico: le società di capitali a ristretta base proprietaria. Infatti, se una società ha molti azionisti estranei tra loro, viene meno la base logica per presumere una spartizione occulta generalizzata – in quei casi il Fisco non applica questa presunzione (al limite, potrebbe contestare compensi occulti agli amministratori o uscite non contabilizzate, ma non presuppone che decine di azionisti ignari abbiano ricevuto utili segreti).

Riassumendo i principi generali:

  • Il Fisco deve anzitutto provare che la società ha realizzato utili non dichiarati (ad esempio scoprendo vendite non contabilizzate, o annullando costi fittizi che gonfiavano le spese) . Questo è il fatto noto da cui parte ogni ulteriore valutazione.
  • Una volta accertati utili extracontabili, se la società ha pochi soci legati da rapporti personali/familiari, scatta la presunzione che tali utili siano stati immediatamente assegnati ai soci in proporzione alle loro quote. In base alla Cassazione, “gli utili extracontabili di una società a ristretta base partecipativa si presumono distribuiti tra i soci proporzionalmente alle quote di partecipazione” .
  • Questa è una presunzione iuris tantum (non assoluta): significa che il contribuente può fornire prova contraria per vincerla . L’onere probatorio quindi si sposta: il Fisco offre la prova (anche presuntiva) dell’esistenza di maggiori utili, il contribuente deve provare elementi idonei a escludere che quei utili siano finiti nelle proprie tasche.
  • Storicamente, la giurisprudenza riteneva che la prova contraria dovesse consistere nel dimostrare che gli utili occulti non erano stati distribuiti, ma erano rimasti nella società (ad esempio accantonati o reinvestiti in azienda) . Di recente però la Cassazione ha aperto ad altri tipi di prova contraria, come vedremo (es. dimostrare che un socio era del tutto estraneo alla gestione può bastare) .
  • Se la presunzione non viene vinta dal contribuente, l’effetto è che l’Ufficio tassa il socio per i maggiori redditi di capitale presunti. Ciò avviene con un avviso di accertamento verso il socio stesso (se persona fisica, IRPEF dovuta su quei redditi non dichiarati; se il periodo è dal 2018 in poi, spesso direttamente applicando la ritenuta del 26% in sede di accertamento, qualificando l’importo come dividendo percepito soggetto a imposta sostitutiva ).

Per completare il quadro normativo, citiamo anche l’art. 47 comma 1 del TUIR, il quale stabilisce (con riguardo ai dividendi regolari) che “agli effetti delle imposte sui redditi, salvo prova contraria, si presumono distribuiti per primi gli utili dell’esercizio e, successivamente, gli utili di riserva”. Questa presunzione legale riguarda però la qualificazione delle somme distribuite (se attingono a utili già tassati o meno) e non direttamente la distribuzione occulta. Tuttavia denota come, in ambito fiscale, spesso operino presunzioni di distribuzione di utili, sebbene art. 47 TUIR si riferisca a utili formalmente distribuiti.

Infine, va ricordata la possibilità per alcune società di capitali di optare per la “trasparenza fiscale” (artt. 115-116 TUIR): in tal caso la società di capitali è tassata come una società di persone, ossia imputa direttamente ai soci gli utili (anche se non distribuiti). Tale regime opzionale è consentito, tra l’altro, alle s.r.l. con pochi soci persone fisiche. Se una società ha optato per la trasparenza, l’utile extra dichiarato viene comunque attribuito ai soci per trasparenza. La presunzione di distribuzione occulta, in senso stretto, perde rilievo in queste ipotesi poiché già per legge ogni utile, dichiarato o accertato, è di competenza dei soci pro quota. È interessante notare però che in un caso penale recente (Cass. pen. 41579/2023) un soggetto che era socio occulto di due s.r.l. trasparenti è stato condannato per non aver dichiarato gli utili extracontabili a lui imputati: la Cassazione penale ha ritenuto che l’opzione per la trasparenza fiscale, esercitata dalle società di cui era dominus occulto, facesse cadere ogni scusa e che comunque “quando in società a base ristretta si accertano utili extracontabili, è legittimo imputarli ai soci, anche occulti” . Dunque la presenza di trasparenza fiscale rafforza ancor di più l’automaticità dell’attribuzione di utili non dichiarati al socio.

Ricapitolando questo quadro generale: non esiste una norma specifica sulle “distribuzioni occulte”, ma il sistema fiscale combina norme generali (sui poteri di accertamento e sulle categorie di reddito) con principi giurisprudenziali consolidati per perseguire tali ipotesi. Nel prossimo capitolo approfondiremo proprio il fulcro giurisprudenziale: la presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società a ristretta base sociale, analizzandone requisiti, evoluzione e limiti.

La presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società a ristretta base

Società a ristretta base: nozione e rilevanza

La società a ristretta base sociale (detta anche a ristretta base partecipativa o ristretta base proprietaria) è tipicamente una società di capitali con pochi soci, legati da rapporti stretti (familiari o fiduciari). Non esiste un numero preciso di soci oltre il quale una base non sarebbe più “ristretta”, ma la giurisprudenza vi ricomprende generalmente le società familiari o comunque composte da un numero esiguo di persone interconnesse, tali da poter ipotizzare una gestione “in casa” dell’azienda. Un esempio classico: una s.r.l. con 2 o 3 soci, magari marito e moglie, o padre e figli, oppure soci legati da stretta amicizia.

Perché conta la base ristretta? Perché è il presupposto fondamentale affinché operi la presunzione di distribuzione di utili occulti. La logica è: se in azienda ci sono solo poche persone di fiducia, qualsiasi “fondo extracontabile” accumulato sarà con molta probabilità conosciuto e spartito tra di loro, piuttosto che lasciato in azienda inutilizzato. Diversamente, in una società con 50 azionisti che non si conoscono, scoprire utili occulti non porta automaticamente a pensare che tutti i 50 ne abbiano beneficiato (anzi, probabilmente ne avrà tratto vantaggio solo chi gestiva, a danno degli altri). Dunque la ristrettezza della compagine sociale è la condizione di fatto essenziale perché il Fisco possa invocare la presunzione in esame .

Importante: la Cassazione ha chiarito che “esiguo numero dei soci” non è solo un dato quantitativo, ma soprattutto qualitativo: deve tradursi in un rapporto di complicità e reciproco controllo tra i soci” . Ciò significa che anche se i soci sono pochi ma di fatto sconosciuti tra loro (evenienza rara), la base non è veramente “ristretta” in senso qualitativo. Viceversa, anche se i soci sono persone giuridiche (es. due holding), la base può considerarsi ristretta se dietro vi sono comunque due famiglie o gruppi coesi . Ad esempio, una s.p.a. posseduta al 50% ciascuno da due holding familiari può rientrare nella casistica: formalmente i soci sono due società, ma sostanzialmente ci sono due famiglie dietro, in numero ristretto, coordinate tra loro . La “sostanza dei rapporti”** prevale sulla forma giuridica .

In concreto, quasi tutte le cause su utili occulti riguardano s.r.l. o s.p.a. di piccole dimensioni (spesso nemmeno quotate, ovviamente, perché altrimenti sarebbero decine o centinaia di azionisti). La base ristretta è spesso data per scontata in molte società di famiglia italiane.

Fondamento giurisprudenziale della presunzione

La presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci non è scritta nel Testo Unico o altrove, ma è stata elaborata dai giudici (Corte di Cassazione) a partire già dagli anni ‘80-’90, ed è oggi un principio consolidato. La Cassazione tributaria l’ha definita così: “In materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili ove sussista, a carico della società medesima, un valido accertamento di utili non contabilizzati” . Questa formulazione (Cass. ord. n. 5581/2015 citata) evidenzia due pilastri: la base ristretta e l’accertamento di utili occulti in capo alla società come presupposto indefettibile.

In altre parole: prima bisogna accertare i maggiori utili in capo alla società; poi, se la base è ristretta, si presume la loro distribuzione ai soci . Non è ammessa una “presunzione sulla presunzione”, cioè non si può presumere che ci siano utili occulti e contemporaneamente presumere che siano stati distribuiti – almeno il primo fatto (utili occulti) va provato o quantomeno accertato con gravità, precisione e concordanza . La Cassazione ha insistito su questo punto: sarebbe illegittimo tassare un socio per utili occulti senza prima aver contestato formalmente quegli utili alla società, altrimenti si baserebbe il tutto su congetture (il che violerebbe l’art. 2727 c.c. sulle presunzioni, ovvero creerebbe una “doppia presunzione” inammissibile) . La giurisprudenza parla di necessità di specularità tra posizione della società e del socio: le due vicende (accertamento a società e a socio) vanno di pari passo .

Dal punto di vista probatorio, come anticipato, questa è una presunzione semplice (relativa): il socio può fornire la prova contraria. Che tipo di prova? Storicamente la Cassazione esigeva una prova molto concreta: dimostrare che i maggiori utili non erano stati distribuiti ai soci ma erano rimasti in qualche modo in azienda (magari occultati in provvista, reinvestiti in beni sociali, ecc.). Ad esempio, Cass. 18091/2017 affermò che il socio poteva vincere la presunzione provando che gli utili extracontabili “erano stati riutilizzati dalla società per finalità estranee all’arricchimento dei soci”. In pratica la giurisprudenza classica voleva una traccia alternativa per quei soldi: se non li hanno i soci, dove sono andati? Se il socio dimostra, ad esempio, che quei fondi neri sono serviti per pagare in nero fornitori o maestranze o altre spese aziendali, allora non c’è stata distribuzione. Oppure se risultano accantonati (per quanto illegalmente, ma ad esempio depositati su un conto occulto intestato alla società stessa), potrebbe non esservi stata distribuzione ai soci.

Questa impostazione rigida è rimasta prevalente a lungo, rendendo difficile il compito difensivo del socio: non basta dire “non ho ricevuto nulla”, occorreva provare attivamente dove fossero finiti gli utili occulti se non a lui.

Requisiti di applicabilità e limiti

Riepiloghiamo dunque i requisiti perché il Fisco applichi la presunzione in parola:

  1. Società di capitali a ristretta base – Società soggetta a IRES (s.r.l., s.p.a., s.a.p.a.) con pochi soci legati da stretti rapporti . NB: le società di persone (S.n.c., S.a.s.) non rientrano in questa presunzione perché lì vige già l’imputazione per trasparenza ai soci (si veda infra per differenze). Anche cooperative, enti non commerciali ecc. non sono contesti tipici per questa presunzione.
  2. Accertamento di utili extracontabili in capo alla società – Deve esservi un valido accertamento di maggiori utili o maggior reddito d’impresa a carico della società . “Valido” significa motivato, fondato su elementi concreti scoperti durante la verifica (documenti, indagini finanziarie, incongruenze contabili gravi, etc.). Se l’accertamento alla società manca del tutto, l’accertamento ai soci sarà illegittimo . Se l’accertamento alla società è annullato in giudizio, cade automaticamente anche quello ai soci.
  3. Contemporaneità del periodo d’imposta – La presunzione opera in genere ipotizzando che l’utile occulto dell’anno X sia stato distribuito ai soci nel medesimo periodo (anno X), o al più nel momento della scoperta? La giurisprudenza considera distribuiti contestualmente gli utili dell’esercizio accertato. Ad esempio, se si accertano utili non dichiarati 2019, si presume siano stati distribuiti ai soci nel 2019 stesso (quindi tassati come redditi 2019 dei soci). Questo è implicito in molte sentenze e serve ad evitare salti logici. Talora sorgono controversie se l’accertamento arriva anni dopo e il socio nel frattempo è uscito (vedi infra socio receduto).
  4. Proporzionalità alle quote – La distribuzione presunta avviene pro quota, proporzionalmente alle partecipazioni dei soci . Questo perché, non potendo sapere chi abbia preso cosa, il Fisco presume una ripartizione equitativa in base alle percentuali di capitale. È chiaro che ciò può non corrispondere alla realtà (magari l’amministratore di maggioranza si è intascato tutto e il piccolo socio nulla), ma è una semplificazione adottata in via presuntiva. Anche qui il contribuente può dare prova contraria (ad esempio provare che un socio ha preso tutto e lui zero, anche se è difficile senza dati).
  5. Non rilevanza della personalità giuridica dei soci – Come anticipato, non conta se i soci sono persone fisiche o società: la Cassazione 2025 ha ribadito che lo “schermo della personalità giuridica” dei soci non neutralizza la presunzione consolidata . Dunque l’Agenzia può presumere la distribuzione anche se i soci sono altre società di capitali (holding, fiduciarie, ecc.), a maggior ragione se queste sono riconducibili a poche persone fisiche a loro volta. Questa estensione è stata chiarita di recente dall’ordinanza Cass. n. 15274 del 9 giugno 2025 : in quella vicenda la difesa sosteneva che la società non era a base ristretta perché composta da altre due società, ma la Suprema Corte ha respinto l’argomento evidenziando che ciò che conta è la sostanza (poche teste dietro quelle due società) e che sarebbe troppo facile altrimenti eludere la presunzione mediante una scatola societaria intermedia. In sostanza, la Cassazione ha detto che la presunzione “scavalca” la veste giuridica“lo schermo della personalità giuridica non neutralizza affatto la presunzione consolidata dalla prassi” .
  6. Utili da ricavi non dichiarati e da costi fittizi – Un altro limite concettuale superato dalla giurisprudenza recente riguarda il tipo di elementi che generano l’utile occulto. In passato si pensava soprattutto ai ricavi in nero. Ma Cass. 15274/2025 ha chiarito che la presunzione vale “non solo per le componenti positive di reddito accertate, ma anche per le componenti negative disconosciute” . In pratica, se l’ufficio disconosce costi a bilancio (ritenuti falsi o non inerenti) provocando un maggior reddito imponibile, anche quel maggior reddito si presume distribuito. Non importa se i fondi neri derivano da vendite non fatturate o da costi inesistenti: in entrambi i casi emergono “maggiori risorse non dichiarate” potenzialmente distribuibili . Questo perché ogni euro di costo fittizio eliminato diventa un euro di utile in più, dunque denaro che – in base alla massima d’esperienza – in una piccola società sarà stato utilizzato a beneficio dei soci e non lasciato fermo. Esempio pratico: la società Alfa Srl contabilizza 50.000 € di spese di consulenza che il Fisco ritiene inesistenti (magari fatture false a una cartiera). Disconoscendo il costo, l’utile reale di Alfa sale di 50.000 €. L’Agenzia allora non solo recupera IRES su quei 50.000 €, ma li presume distribuiti ai soci (in proporzione) perché ritiene che quell’importo sia di fatto uscito dalle casse sociali verso i soci (magari col tramite della fattura falsa). Il difensore potrebbe obiettare: “Se il costo era falso, i 50.000 € sono rimasti in azienda sotto forma di denaro non speso, quindi perché dar per scontato che i soci se lo siano preso?”. La risposta della Cassazione è che in presenza di base ristretta si può ugualmente presumere che anche quei 50.000 € siano stati intascati in nero dai soci, a meno che essi provino il contrario . Questa interpretazione amplia non poco l’ambito di applicazione, perché molte verifiche fiscali trovano più spesso costi indebiti che ricavi occulti; ora anche in tali casi scatta la presunzione di distribuzione.

In conclusione, la presunzione si applica a società di capitali, pochi soci, utili extra da qualunque causa, accertati alla società, e permette di colpire i soci pro quota. Essa è uno strumento potente per il Fisco, ma deve rispettare alcuni limiti:

  • Non può basarsi sul nulla: serve un accertamento concreto alla società. Se l’accertamento societario manca o è annullato, la pretesa verso i soci cade. Come efficacemente osservato in dottrina, sarebbe “insostenibile affermare che, in presenza di un’evasione societaria, automaticamente i soci abbiano percepito utili occulti, senza almeno dimostrare l’esistenza di un flusso di denaro dalla società ai soci” . Cioè serve un minimo di supporto, non puro sospetto.
  • È una presunzione semplice: quindi come ogni presunzione ha bisogno di elementi di fatto gravi, precisi e concordanti per reggere (ex art. 2729 c.c.). La massima di esperienza sulla quale si basa aiuta, ma deve essere corroborata dal contesto. Se ad esempio si riuscisse a dimostrare che la società è a base ristretta solo formalmente ma nella realtà i soci non cooperano o addirittura sono in lite e scollegati dalla gestione, la presunzione potrebbe vacillare.
  • Non è automatica nei riguardi di soci del tutto estranei: casi peculiari come soci di minoranza puri, che non sapevano nulla della gestione, hanno portato recentemente la giurisprudenza a temperare l’automatismo (come vedremo nella parte sull’onere della prova). In altre parole, la Cassazione sta dicendo: se un socio minoritario prova di essere stato estraneo alla conduzione societaria, non è logico presumere che abbia beneficiato degli utili occulti . Questa è una novità importante (orientamento 2024-2025) che tutela i soci di minoranza inconsapevoli.
  • Deve rispettare le garanzie procedurali: in particolare il diritto di difesa del socio, che implica che l’avviso di accertamento a lui notificato sia motivatamente adeguato. Un problema sorto in passato è se basti richiamare la motivazione dell’avviso alla società (motivazione per relationem) o se occorra allegarla. La Cassazione ha stabilito (ord. 18038/2024 e precedenti) che se il socio nel frattempo è uscito dalla società, l’atto a lui rivolto non può limitarsi a un rinvio generico all’accertamento societario senza fornirgli gli elementi essenziali, pena la nullità per difetto di motivazione . Su questo torneremo nella sezione difese procedurali.

Possiamo a questo punto illustrare con una tabella riassuntiva i tratti essenziali della presunzione in esame:

Presupposti PresunzioneDescrizione
Società a ristretta basePochi soci legati da vincoli personali/familiari; complicità reciproca . Indifferente se soci persone fisiche o società (conta la sostanza) .
Accertamento utili extracontabiliDeve esserci un accertamento valido di maggiori utili non dichiarati in capo alla società (ricavi non contabilizzati e/o costi indebiti) .
Presunzione di distribuzione pro quotaI maggiori utili accertati si presumono distribuiti ai soci secondo le rispettive quote di partecipazione .
Natura della presunzionePresunzione semplice (iuris tantum), giurisprudenziale (non espressa per legge) . Basata su massima di esperienza (soci di piccola compagine dividono utili in nero).
Estensione a qualsiasi maggior utileOpera sia per utili da ricavi occultati sia da costi disconosciuti, in quanto entrambi generano risorse extra potenzialmente distribuibili .
Prova contraria ammessaIl socio può provare che i maggiori utili non sono stati distribuiti (es. reinvestiti o rimasti in società) oppure altre circostanze idonee a escluderne la percezione personale . Recenti pronunce ammettono come prova liberatoria anche la totale estraneità del socio alla gestione .
Conseguenze fiscaliTassazione in capo alla società (IRES+IRAP su utili non dichiarati) e tassazione in capo ai soci (ritenuta 26% o IRPEF sui dividendi occulti) , con separate sanzioni per ciascun soggetto.
Garanzie proceduraliNecessario che l’accertamento al socio sia motivato adeguatamente, specie se per relationem all’atto societario. Se socio non più in compagine, va allegata/riprodotta motivazione essenziale dell’atto societario . Accertamento al socio da sospendere se pende giudizio su quello alla società (nessun litisconsorzio necessario, ma coordinamento ex art. 295 c.p.c.) .

Tabella 1: Caratteristiche della presunzione di distribuzione occulta di utili ai soci.

Differenze con le società di persone (trasparenza fiscale naturale)

Una domanda che sorge spontanea è: perché questa presunzione riguarda solo le società di capitali e non le società di persone? La ragione è che nelle società di persone (S.n.c., S.a.s.) il reddito della società viene per legge già attribuito per trasparenza ai soci anno per anno (art. 5 TUIR). In altre parole, in una S.n.c. se ci sono utili non dichiarati scoperti dal Fisco, questi vengono immediatamente imputati per quota ai soci ai fini IRPEF, indipendentemente da una formale deliberazione di distribuzione. Non occorre presumere nulla: è lo stesso meccanismo fiscale a funzionare così. Ad esempio, se una S.n.c. nasconde ricavi per 100, il Fisco rettifica il reddito della società e automaticamente emette avvisi di accertamento a ciascun socio per la sua percentuale su quei 100, in quanto reddito di partecipazione. Ciò è possibile perché i soci di società di persone sono per legge tenuti a dichiarare il reddito sociale di competenza a prescindere dalla percezione. Quindi il fenomeno dell’utile occulto distribuito è inglobato nel concetto di evasione diretta dei soci (in quanto membri trasparenti).

C’è da dire che anche nelle società di persone piccolissime (es. S.n.c. familiare) le dinamiche di spartizione in nero possono avvenire. Ma qui il Fisco non ha bisogno di presunzioni peculiari: gli basta applicare la normativa sulla trasparenza e contestare ai soci l’omessa dichiarazione del maggior reddito di partecipazione. La giurisprudenza comunque ha affermato che, data la diversa natura fiscale, per le società di persone sussiste persino un litisconsorzio necessario tra società e soci nei giudizi (perché l’accertamento è un unico atto sostanzialmente) – mentre per le società di capitali no (gli atti sono distinti) .

In sintesi, la presunzione di distribuzione occulta nasce ed è necessaria solo per le società di capitali, dove in mancanza di delibera i soci non dovrebbero essere tassati (non c’è trasparenza se non per opzione). Il Fisco, attraverso la presunzione, simula una distribuzione di utili avvenuta malgrado non deliberata, equiparando di fatto la situazione a una trasparenza “occulta” forzata. Nelle società di persone invece la tassazione in capo ai soci scatta comunque sugli utili, quindi il problema è meno dibattuto (anche se va detto che pure lì potrebbero esserci utili in nero goduti dai soci: semplicemente li tassano perché reddito di partecipazione non dichiarato, senza dover presumere un atto di distribuzione).

Nota: c’è un caso ibrido rappresentato dalle società di capitali che optano per la trasparenza fiscale (art. 116 TUIR, applicabile a s.r.l. con soci persone fisiche entro certi limiti): in quel caso la società è di capitali ma tassata come una S.n.c., quindi se nasconde reddito, l’accertamento colpirà direttamente i soci trasparenti. Di nuovo, la presunzione di distribuzione occulta risulta superflua perché l’attribuzione avviene ex lege. Semmai, può emergere se c’è un socio occulto non dichiarato: come nel caso Cass. pen. 41579/2023, dove il socio occulto di due s.r.l. trasparenti fu comunque ritenuto colpevole di non aver dichiarato i redditi da partecipazione (utili occulti) a lui imputati . Lì la trasparenza ha aiutato il Fisco a dire: anche se eri occulto, l’utile ti spettava comunque per opzione societaria, e la presunzione giurisprudenziale (s.r.l. a base ristretta) avvalora che quell’utile extra va attribuito ai soci effettivi, benché occulti .

Chiusa questa parentesi sulle società trasparenti, torniamo a concentrarci sulle difese e sulle procedure per contestare la presunzione nelle società di capitali.

Conseguenze fiscali della distribuzione occulta di utili

Vediamo ora in dettaglio quali sono le conseguenze sul piano fiscale quando l’Agenzia delle Entrate contesta una distribuzione occulta di utili. I riflessi si articolano su due livelli: (A) livello societario e (B) livello dei soci percettori. Inoltre, bisogna considerare il profilo delle sanzioni amministrative e della doppia imposizione.

Tassazione in capo alla società

Non appena vengono scoperti utili non dichiarati (utili “in nero”), la prima conseguenza è l’aumento del reddito imponibile della società per l’esercizio oggetto di verifica. L’Agenzia emette un avviso di accertamento rettificando la dichiarazione dei redditi della società (o contestando l’omessa dichiarazione, se addirittura l’utile occulto non compariva affatto, come nei casi di bilancio in perdita fittizia).

La società si vede così richiedere le imposte evase su tali utili, in particolare:

  • IRES (Imposta sul Reddito delle Società), aliquota 24%. Sugli utili non dichiarati verrà calcolata l’IRES dovuta.
  • IRAP, se pertinente: l’utile non dichiarato spesso comporta anche maggior valore della produzione netta per IRAP (salvo casi di costi indeducibili IRAP già esclusi o altre particolarità). Dunque la società può vedersi accertare anche l’IRAP (aliquota ordinaria 3,9%, salvo regioni).
  • Addizionali, se previste (per es. addizionale Robin Hood tax in passato, ecc., secondo periodo d’imposta).
  • Sanzioni amministrative tributarie: tipicamente il 90% della maggiore imposta accertata per infedele dichiarazione (D.lgs. 471/1997). Se l’utile occulto non era stato proprio dichiarato (evasione oltre il 10% del reddito), la sanzione va dal 90% al 180% dell’imposta evasa. In caso di omessa dichiarazione (società che non presentò affatto la dichiarazione dei redditi), la sanzione sale dal 120% al 240% dell’imposta dovuta.

Facciamo un esempio numerico per fissare le idee: la società Alfa Srl aveva dichiarato € 0 di reddito imponibile 2022, ma il Fisco accerta ricavi non contabilizzati per € 100.000. L’accertamento determinerà un reddito di € 100.000 tassato al 24% = € 24.000 di IRES evasa, più IRAP (diciamo € 3.900 al 3,9%), totale imposta € 27.900. Le sanzioni per infedele dichiarazione al 100% ammontano a ~€ 27.900. Quindi la società riceverà un avviso per circa € 55.800 più interessi (tralasciando rateazione e definizioni agevolate possibili).

Aumento del capitale imponibile dividendi: dal punto di vista strettamente contabile-fiscale, questi utili extracontabili – una volta accertati – si considerano utili “post tassazione”? Cioè, pagata l’IRES, diventano utili di riserva distribuibili senza ulteriori imposizioni sui soci? No, non automaticamente, perché per i soci l’accertamento avviene contestualmente, come vedremo. Tuttavia, se pensiamo al meccanismo del TUIR, se la società versa l’IRES su quegli utili, essi entrano nelle riserve aziendali come utili già tassati in capo alla società. Quindi in teoria una successiva distribuzione di quelle riserve sarebbe fiscalmente a carico dei soci (la doppia imposizione societaria+personale rimane). Insomma, il pagamento da parte della società non esaurisce il carico fiscale su quell’utile: per il sistema italiano, come detto, è previsto che anche il socio paghi sulla distribuzione.

Tassazione in capo ai soci

Contestualmente (o a breve distanza) dall’accertamento alla società, l’Ufficio procede a emettere avvisi di accertamento verso ciascun socio, imputandogli un reddito di capitale aggiuntivo pari alla sua quota di utili extracontabili presuntivamente percepiti.

La qualificazione di tale reddito è spesso quella di “dividendi” o “utili da partecipazione” soggetti a tassazione separata. Bisogna distinguere due situazioni:

  • Soci persone fisiche privati (non imprenditori): l’importo ad essi imputato è un dividendo non assoggettato a ritenuta. Dal 2018, il regime è la ritenuta d’imposta del 26%. Se il dividendo occulto fosse stato regolare, la società avrebbe dovuto trattenerlo. In sede di accertamento, la prassi può essere che l’Agenzia richieda al socio il 26% su quell’importo, come imposta sostitutiva non versata. Alternativamente, alcuni uffici qualificano il reddito come reddito di capitale non dichiarato, e applicano l’IRPEF (ma propendiamo per la soluzione 26%, in linea con la parità di trattamento con un dividendo ordinario). L’Interpello 59/2025 citato prima conferma ad es. che anche su utili “incassati giuridicamente” va il 26% . Dunque è ragionevole aspettarsi che l’avviso al socio persona fisica liquidi un’imposta del 26% sull’importo presunto distribuito.
  • Soci persone fisiche imprenditori o soci società di persone: se il socio è, ad esempio, una ditta individuale che detiene la partecipazione in regime d’impresa, oppure una S.n.c., allora i dividendi percepiti rientrano nel reddito d’impresa. In tal caso l’importo distribuito concorrerà parzialmente all’IRPEF (58,14% se utili post-2017) . Quindi l’accertamento potrebbe aggiungere quell’importo al reddito d’impresa del socio (o far emergere una maggior imposta equivalente).
  • Soci società di capitali: come detto, se un socio è ad es. una holding, i dividendi percepiti sarebbero al 95% esenti da IRES per la holding. Tuttavia, attenzione: se la holding non ha dichiarato affatto di aver percepito quel dividendo (perché occulto), formalmente c’è un’omissione. Ma se la holding è interamente controllata dal socio di famiglia finale, in pratica l’Agenzia potrebbe o limitarsi a prendere il 5% tassabile (poca cosa) oppure, più frequentemente, in questi casi l’attenzione si sposta un gradino sopra: si cerca di “bucare” la holding considerandola interposta. In assenza di interposizione, comunque, anche alla holding arriverebbe un avviso: reddito di capitale di X (dividendo occulto) di cui il 95% esente e 5% imponibile IRES (24% di 5% = 1,2% effettivo). In sostanza, a livello di gruppo chi nasconde utili in una sub-holding di famiglia pagherà poco sul dividendo (solo 1,2%), ma la società operativa avrà pagato il 24%. Complessivamente il carico è minore che distribuirlo a persona fisica (dove c’è il 26%): ecco perché molti architettano cascata societaria – ed ecco perché il Fisco comunque applica la presunzione anche se i soci sono società, come visto.

In qualunque caso, anche i soci subiranno sanzioni sulle maggiori imposte loro contestate: ad esempio, per un socio persona fisica privato, l’omessa indicazione di un reddito di capitale soggetto a imposta sostitutiva potrebbe essere sanzionata come dichiarazione infedele (30% dell’imposta dovuta se trattasi di imposta sostitutiva non versata, credo). Oppure come violazione dell’obbligo di versamento della ritenuta in capo alla società sostituto (potrebbe la società essere sanzionata per non aver operato la ritenuta? Sì, in teoria il Fisco potrebbe imputare alla società-sostituto d’imposta la sanzione del 20% per mancata effettuazione della ritenuta ex D.lgs. 471/97). Dipende da come impostano la contestazione: a volte tassano il socio direttamente come se fosse lui a dover pagare il 26% (quindi trattandolo come debitore d’imposta, perché la ritenuta non fu fatta), altre volte vanno sulla società per riprendere la ritenuta. Nel caso tipico, di solito imputano il reddito al socio e lo tassano nel suo 730/Unico come reddito di capitale non dichiarato, applicando le relative sanzioni da infedele.

Riassumendo, il socio destinatario di avviso si troverà a dover versare:

  • L’imposta sul dividendo occulto (26% se soggetto a imposta sostitutiva, oppure IRPEF incrementale se ditta/società).
  • Interessi dal periodo d’imposta (interessi legali/calcolati al tasso di mora).
  • Sanzione amministrativa proporzionata (ad es. 90% dell’imposta evasa se considerato reddito non dichiarato, o altra sanzione specifica per omesso versamento ritenuta se ricade sulla società).

Esempio pratico esteso: riprendendo l’Alfa Srl di prima con 100.000 € di utili occulti accertati nel 2022 e 3 soci (50%,30%,20%): la società Alfa paga ~27.900 € di imposte + sanzioni equivalenti. I soci invece ricevono tre avvisi:

  • Socio A (50%): maggior reddito di capitale € 50.000. Imposta dovuta € 13.000 (26% di 50k). Diciamo sanzione 90% = € 11.700. Totale ~€ 24.700 + interessi.
  • Socio B (30%): reddito € 30.000, imposta € 7.800, sanzione ~€ 7.020.
  • Socio C (20%): reddito € 20.000, imposta € 5.200, sanzione ~€ 4.680.

Quindi, oltre ai 55.800 € della società, i soci in totale subiscono altri ~€ 55.000. Il Fisco incassa quindi circa 110.000 € a vario titolo su quei 100.000 € occultati, il che riflette sanzioni comprese e un effetto punitivo ma anche la natura della doppia tassazione.

Doppia imposizione economica e profili di equità

È inevitabile notare come, nei casi di distribuzione occulta, si realizzi una sorta di doppia imposizione economica sul medesimo importo: l’utile occulto è tassato una volta in capo alla società e una seconda volta in capo al socio. Questo è perfettamente coerente con la struttura ordinaria del nostro sistema fiscale (che prevede appunto due livelli di tassazione per i redditi societari distribuiti), ma alcuni potrebbero chiedersi: e se poi l’utile occulto viene scoperto e tassato, al socio rimane comunque in tasca il netto? In effetti, se si volesse guardare alla sostanza: l’utile in nero era stato goduto dal socio al lordo, senza tasse; dopo l’accertamento, quel socio finirà per aver pagato un 24% (tramite la società) + 26% (suo) = quasi 50% di tasse su quell’importo – praticamente come se avesse subìto la tassazione piena come reddito IRPEF alto. Non c’è rimborso per il socio di quanto pagato dalla società e viceversa, perché si tratta di due soggetti distinti con obbligazioni tributarie distinte. Quindi il socio paga per intero la sua parte, anche se la società ha pagato la sua.

In verità, va detto che se la società fosse stata trasparente o fosse stata una società di persone, il socio avrebbe comunque pagato l’IRPEF su quell’utile e la società nulla; nel nostro caso paga IRES la società e imposta sostitutiva il socio. Non è un doppio carico iniquo ma il normale regime società-socio. È iniquo solo dal punto di vista che, essendo un accertamento a posteriori, non c’è stato il meccanismo del credito d’imposta o della ritenuta: in un dividendo le società di capitali quando pagano utili già tassati al 24%, i soci non ottengono crediti per quell’IRES (a differenza di altri paesi), ma pagano il loro, col risultato che la somma di imposizione può essere consistente.

Alcuni hanno sostenuto in passato che tassare il socio per utili extracontabili fosse una duplicazione punita dall’art. 163 del TUIR (che vietava la doppia imposizione). Ma la Cassazione ha sempre respinto tali censure, affermando che la tassazione di società e soci sono momenti diversi su soggetti diversi e quindi non c’è violazione del divieto di doppia imposizione giuridica. Non c’è neppure violazione del ne bis in idem perché in ambito tributario i due prelievi colpiscono due autonomi presupposti: il reddito societario e il reddito di capitale del socio.

Pertanto, dal punto di vista legale, è del tutto legittimo che su 1 euro di utile occulto il Fisco chieda 1 euro * 24% + 1 euro * 26% (oltre a sanzioni). L’unico “sconto” che può concretamente aversi è nell’ambito di definizioni agevolate o conciliazioni (vedi oltre), dove magari le sanzioni vengono ridotte.

Esempio di calcolo e confronto con dividendo regolare

Per dare un’idea delle grandezze in gioco e di come, paradossalmente, un socio di una società a base ristretta può finire per pagare più tasse evadendo che rispettando la legge (se scoperto):

  • Scenario legale: Società Alfa ha 100.000 € di utili ufficiali, paga 24% IRES = 24.000 €. Delibera poi dividendo di 100.000 ai soci, applica 26% = 26.000 € trattenuti e versati. Totale al Fisco: 50.000 €. Netto ai soci: 74.000 € (se uno socio unico ad esempio).
  • Scenario occulto scoperto: Società Alfa nasconde 100.000 di utili, non paga IRES né ritenute. Viene scoperta: paga 24.000 € IRES + sanzioni (minimo 90% = 21.600) = 45.600 €. Socio paga 26.000 € imposta + sanzione 90% = 23.400, tot 49.400. Totale al Fisco: 95.000 € circa, quasi il doppio. Netto al socio: se incassò 100k, dopo aver pagato 26k+23.4k gli restano ~50.6k, più eventuali costi di contenzioso.
  • Scenario occulto non scoperto: Società e socio evadono, pagano 0. Netto al socio: 100k. Questo era il guadagno sperato dall’evasione.

Dunque l’evasore in questi casi punta ad incassare il 100% invece di 74%. Se viene beccato, ne perde quasi la metà in tasse e sanzioni, finendo molto sotto al 74% che avrebbe avuto legalmente. Questa comparazione spiega perché è fondamentale poter difendersi efficacemente in giudizio: evitare almeno le sanzioni o la duplicazione, se possibile, per non ritrovarsi in situazioni finanziariamente disastrose.

Abbiamo sin qui delineato gli effetti fiscali “materiali”. Proseguiamo ora esaminando come si sviluppa il procedimento di accertamento in questi casi e quali sono gli strumenti e le strategie di difesa che il contribuente (società o socio) può mettere in campo.

Procedura di accertamento e contenzioso

Quando l’Agenzia delle Entrate indaga su possibili utili occultamente distribuiti, il procedimento tipico attraversa diverse fasi, durante le quali il contribuente può (e deve) attivarsi per difendere le proprie ragioni. Vediamo i passaggi principali:

Le fasi dell’accertamento: dal PVC agli avvisi

  1. Verifica fiscale presso la società: di solito tutto inizia con un controllo fiscale sulla società (da parte della Guardia di Finanza o funzionari AE). In questa fase, i verificatori analizzano le scritture contabili, fanno riscontri con documenti esterni, controllano movimenti bancari (indagini finanziarie), magazzino, fatture, ecc. Se emergono elementi di evasione (ricavi non contabilizzati, doppie contabilità, costi fittizi, utilizzo di fatture false, ecc.), vengono verbalizzati nel Processo Verbale di Constatazione (PVC) . Il PVC spesso contiene già indicazione della base ristretta e della possibile distribuzione ai soci – ad esempio annotando che la società ha X soci familiari e che si propone accertamento anche nei loro confronti per utili extracontabili.
  2. Avviso di accertamento alla società: a seguito (talvolta dopo alcuni mesi) la Direzione dell’Agenzia emette l’atto impositivo contro la società. In esso quantifica i maggiori redditi d’impresa per gli anni contestati e liquida imposte, interessi e sanzioni. Questo atto deve essere notificato alla società (p.es. al legale rappresentante) entro i termini di decadenza (normalmente il 5° anno successivo a quello di presentazione dichiarazione, o 7° se omessa).
  3. Motivazione: L’avviso deve essere motivato con riferimento ai rilievi del PVC. Solitamente si allega il PVC o se ne riportano gli stralci salienti. In materia di utili occulti, l’avviso spesso conterrà frasi tipo: “accertati maggiori ricavi per tot, si presume la distribuzione pro quota ai soci in base a consolidata giurisprudenza Cass., ecc.”.
  4. Avvisi di accertamento ai soci: contestualmente oppure poco dopo, l’Agenzia emette gli avvisi verso i soci (persone fisiche o enti soci) per recuperare le imposte sui dividendi occulti. Questi atti in genere richiamano l’accertamento fatto alla società (per relationem) e indicano: “In virtù dell’accertamento a carico della società Alfa Srl, anno X, dal quale emergono utili extracontabili di € Y, considerato che la base sociale è ristretta (n. 3 soci), si imputa a lei, Sig. Rossi (socio al 40%), un dividendo non dichiarato di € 0,4*Y = … e si liquidano le relative imposte e sanzioni…”.
  5. Notifica ai soci: deve avvenire entro la stessa scadenza dell’accertamento societario, di regola. Non c’è obbligo di notifica congiunta, ma per prassi l’Agenzia tende a farli uscire in tempi ravvicinati.
  6. Motivazione per relationem: molto spesso la motivazione dell’accertamento al socio è fatta “per relationem” rimandando all’atto societario. Ciò è ammesso purché al socio sia messo in grado di conoscere le ragioni. Secondo la Cassazione, se il socio era parte della compagine al momento della notifica alla società, si presume che potesse avere accesso a quell’atto; se invece il socio nel frattempo era uscito (ad es. venduto le quote prima dell’emissione avviso), allora l’atto a suo carico deve allegare copia di quello societario o riprodurne i contenuti essenziali, altrimenti è nullo per carenza di motivazione .
  7. Caso ex-socio: spesso infatti capita che la verifica colpisca periodi passati in cui un socio c’era, ma al momento dell’accertamento quel socio non fa più parte della società (si pensi a soci receduti, società cessate, ecc.). Ebbene, Cass. 18038/2024 ha affermato chiaramente che l’avviso al socio uscente è nullo se si limita a citare il numero di protocollo dell’accertamento societario senza fornire i dettagli, perché quel socio – non essendo più “dentro” – potrebbe non aver mai visto l’atto societario . Quindi in quei casi occorre allegare documenti o trascrivere i passaggi chiave. Questa è una garanzia fondamentale di difesa: il socio deve sapere esattamente da quali fatti nasce la pretesa (utili occulti quanti, scoperti come, ecc.), non basta dire “visto che società è stata accertata per tot, tu paghi tot”.
  8. Possibile riscossione in pendenza di giudizio: Una volta notificati, gli avvisi (sia a società che a soci) diventano esecutivi decorso il termine di 60 giorni se non impugnati, e comportano l’iscrizione a ruolo di 1/3 delle imposte con cartella (secondo l’attuale normativa). Se impugnati, la riscossione è sospesa limitatamente a 1/3 fino a sentenza di primo grado. Il contribuente può anche chiedere sospensione giudiziale se ci sono gravi motivi.
  9. Litisconsorzio e coordinamento processuale: Come accennato, non vige litisconsorzio necessario tra società e soci nei giudizi di accertamento di utili extracontabili – a differenza delle società di persone, qui ognuno può fare causa separata. Tuttavia, la Cassazione ha stabilito che i giudizi vanno coordinati. In particolare, la sentenza Cass. 5866/2022 ha affermato che l’accertamento verso la società costituisce “indispensabile antecedente logico-giuridico” di quello verso i soci, e che se pendono cause separate, il giudice della causa dei soci dovrebbe sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione di quello societario . Questo per evitare esiti contrastanti. Ad esempio: se la società vince dimostrando che non c’era alcun utile occulto, ne deriverebbe automaticamente che i soci non dovevano nulla; se però la causa dei soci fosse decisa prima e diversamente, avremmo ingiustizie. Quindi è prassi saggia chiedere la sospensione del processo dei soci finché non vi sia quantomeno una sentenza (passata in giudicato o quantomeno definitiva in appello) sul reddito societario.
  10. Se la società definisce in adesione o non impugna, il suo accertamento diviene definitivo; il socio potrà al più discutere se lui ha preso i soldi o no, ma difficilmente se li accertamento societario è consolidato riuscirà a negare la distribuzione (a meno di prova contraria convincente).
  11. Se la società impugna e magari vince in CTP, l’Agenzia spesso appella e tiene in sospeso i soci (o viceversa i soci sospendono). In ogni caso, la raccomandazione per il difensore del socio è: assicurarsi che il giudice conosca l’esistenza del contenzioso parallelo e chiedere la sospensione opportunamente .

Strumenti deflativi: accertamento con adesione

Prima di passare al contenzioso vero e proprio, è doveroso menzionare gli strumenti deflativi del conflitto, in particolare l’accertamento con adesione.

L’adesione (D.lgs. 218/1997) consente al contribuente, entro 60 giorni dalla notifica di un avviso di accertamento, di presentare istanza di accertamento con adesione all’Ufficio, oppure di partecipare se è l’Ufficio a invitarlo. Nel nostro contesto, sia la società sia ciascun socio possono attivare separatamente la procedura di adesione per la loro parte di accertamento.

Vantaggi dell’adesione: Consente di discutere con l’Ufficio, portare memorie, cercare un accordo sulla rideterminazione del reddito e delle imposte. Se si raggiunge un accordo, le sanzioni sono ridotte ad 1/3 di quelle minime per legge (invece che il 100% o 90%, si paga circa il 30% come sanzione). Inoltre, si evita il contenzioso (con relativo rischio di esito peggiore e spese legali).

Nella pratica degli utili occulti, l’adesione può essere usata per: – La società: potrebbe trovare un’intesa con AE sul quantum dei ricavi non dichiarati (magari abbassandoli) o sul riconoscimento di alcuni costi, ecc. Trovando un accordo sull’imponibile, definisce la sua posizione. – I soci: se la società definisce, automaticamente l’utile occulto definitivo è concordato. A quel punto per i soci resta poco margine: conviene anche a loro aderire riconoscendo la presunta distribuzione? Dipende. Se un socio è convinto di poter dimostrare di non aver percepito nulla, potrebbe non aderire e fare causa. Ma deve essere consapevole che la società ha ammesso l’utile, quindi l’utile c’è; lui dovrebbe provare che è rimasto in azienda o altro. L’onere è arduo. Spesso i soci, specie se sono amministratori coinvolti, preferiscono definire anche la loro posizione con adesione per chiudere il capitolo. – Riduzione sanzioni: Con adesione, oltre alla riduzione a 1/3, c’è anche il beneficio del pagamento frazionato (fino a 8 rate trimestrali se importi alti). E la definizione preclude i reati tributari se l’imposta evasa viene sotto soglie penali.

Novità 2023: la riforma del processo tributario (D.lgs. 130/2022 in vigore da 2023) ha potenziato l’istituto dell’adesione. Ad esempio, ora l’Ufficio, prima di emettere l’avviso, dovrebbe inviare al contribuente uno schema di accertamento invitandolo a discutere (specie per verifiche complesse) . Inoltre è stato abrogato il reclamo/mediazione che obbligava a trattare per liti sotto 50k, puntando tutto sull’adesione e sull’autotutela . Quindi oggi il canale privilegiato per evitare il processo è proprio l’adesione.

In una situazione di utili occulti, immaginiamo che la società decida di non fare causa ma di chiudere col Fisco magari strappando uno sconto su sanzioni. In tal caso, anche i soci dovrebbero poter beneficiare dello sconto sanzioni se aderiscono. Un aspetto da curare è il coordinamento: se la società definisce, l’Ufficio dovrebbe ridurre coerentemente l’imponibile sui soci pro quota. Occorre quindi rivedere gli avvisi ai soci per adeguarli. Spesso l’AdE procede in parallelo: prima definisce con società, poi propone ai soci la definizione (o viceversa).

Va detto che in certe circostanze, specie se i soci sono gli stessi amministratori colti in fallo, l’adesione è preferibile per evitare l’alea del giudizio e soprattutto ridurre le sanzioni che possono essere molto elevate. In altri casi, come quello di un socio di minoranza convinto di essere innocente, aderire significherebbe ammettere di aver preso utili in nero quando non è vero: costui potrebbe preferire il giudizio (tra l’altro, definendo, pagherebbe comunque delle imposte su soldi che non ha incassato – un boccone amaro).

Il ruolo dell’interpello preventivo

Un accenno merita l’interpello quale strumento preventivo per evitare future contestazioni. L’interpello (artt. 11-12 L. 212/2000) consente al contribuente di chiedere un parere all’Agenzia delle Entrate su casi specifici riguardanti l’interpretazione o applicazione di norme tributarie, per avere una sorta di via libera su operazioni incerte.

Nel contesto delle distribuzioni occulte non è che esista un interpello ad hoc (non andresti a chiedere “posso distribuire utili in nero?” ovviamente no). Però ci sono situazioni borderline in cui un interpello può essere utile per chiarire il regime fiscale ed evitare che il Fisco, ex post, requalifichi un’operazione come dividendo occulto. Ad esempio:

  • Finanziamento soci restituito: se un socio ha fatto anni prima un finanziamento alla società e questa vuole restituirglielo con degli importi, il Fisco talvolta sospetta che possa essere una forma di distribuzione di utili mascherata (come nel caso della CTP Caserta 2017 citato, dove la restituzione è stata considerata dividendo occulto ). Un interpello in anticipo potrebbe spiegare la situazione e chiedere conferma che la restituzione del finanziamento, documentato e genuino, non configuri distribuzione di utili tassabile. L’AdE potrebbe rispondere chiarendo i confini (ad esempio: ok se esistono verbali che attestano il finanziamento e la restituzione avviene senza passare per conti economici).
  • Rinuncia ai crediti del socio verso società: se un socio vanta crediti (es. per utili di esercizi precedenti deliberati ma non pagati, o finanziamenti) e vuole rinunciarvi per patrimonializzare la società, occorre valutare il regime fiscale di tale rinuncia. In certi casi la rinuncia può essere considerata un apporto a capitale, in altri può far scattare imposizione. Un interpello può chiarire come fare per non incorrere in presunzioni.
  • Assegnazione di beni ai soci: quando una società intende assegnare un bene immobile ai soci (operazione straordinaria, c’è stata in passato una legge agevolativa), è un caso palese di distribuzione di utili in natura. L’interpello può non servire se la norma era chiara, ma in assenza di norme agevolative, assegnare beni potrebbe essere visto come distribuzione di riserve occulte. Un interpello potrebbe chiedere conferma del trattamento (probabilmente risponderebbero che è distribuzione di utili ex art.47 TUIR e va tassata come tale).
  • Trasformazioni societarie: se una società si trasforma da capitali a persone per accedere alla trasparenza e far emergere utili non dichiarati direttamente nei redditi dei soci, potrebbe esserci il dubbio di come trattare quell’emersione. Anche qui un interpello probatorio potrebbe essere inviato.

In generale, l’interpello può essere visto come strumento di tax compliance preventiva: un contribuente onesto lo usa per evitare guai, ma un evasore di certo non interpella il Fisco prima di evadere. Resta utile tuttavia sapere che alcune questioni sono state chiarite via interpello, come quella citata sulla rinuncia ai dividendi (Risposta 59/2025) dove l’Agenzia ha avvisato: se deliberate utili e poi li lasciate in società con una rinuncia, li tassiamo comunque . Ciò serve a evitare furbizie tipo: “delibero utili, li metto a riserva perché i soci rinunciano così niente 26%”. No, quel 26% va versato ugualmente.

Autotutela e altre tutele amministrative

Oltre all’adesione e interpello, vale la pena citare l’autotutela, ossia il potere dell’Amministrazione di annullare o rettificare in proprio gli atti palesemente infondati o illegittimi. Se un avviso di accertamento presenta errori macroscopici (ad esempio, viene emesso al socio sbagliato, o calcola male le quote, o ignora che il socio è deceduto etc.), si può presentare un’istanza di autotutela all’ufficio, chiedendo il ritiro o la correzione dell’atto. L’autotutela è discrezionale (l’Ufficio può intervenire) ma la riforma 2023 vorrebbe renderla più vincolata in caso di vizi evidenti . In contesti di utili occulti, potrebbe essere usata se – ad esempio – i soci dimostrano immediatamente che c’è un errore di persona (socio magari cedette quota prima dell’anno oggetto di accertamento e non doveva essere tassato, etc.). Presentando i documenti, l’Ufficio potrebbe annullare l’atto verso quel soggetto.

Altro strumento deflativo è la conciliazione giudiziale: se si fa ricorso, c’è la possibilità di trovare un accordo in udienza con riduzione sanzioni al 40% (se conciliazione in primo grado) o 50% (in appello). Nel caso di utili occulti, conciliazione potrebbe avvenire per chiudere la lite magari riconoscendo uno sconto su imponibile o su sanzioni. Ad esempio, se in giudizio emergono dubbi sulla distribuzione a uno dei soci, si potrebbe transare facendogli pagare solo il 50% di quanto richiesto, ecc. La conciliazione richiede accordo di entrambe le parti e l’approvazione del giudice.

Il contenzioso tributario: ricorso e gradi di giudizio

Se non si trova accordo in adesione, o se il contribuente decide di contestare l’accertamento, si apre il contenzioso tributario. Dal 2023, le Commissioni Tributarie si chiamano Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado). Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (90 se si è all’estero), e previo versamento del contributo unificato.

Novità recente: abolizione reclamo/mediazione per liti fino a 50.000 €. Prima bisognava presentare un reclamo e aspettare 90 giorni; ora dal 2023 non è più obbligatorio . Quindi si può ricorrere subito, su qualunque valore. Inoltre, per cause sotto € 3.000 (ora 5.000) decide giudice monocratico in primo grado, ma raramente i casi di utili occulti saranno così piccoli (parliamo in genere di decine di migliaia di € almeno).

Nel ricorso, il contribuente (società o socio) solleverà tutti i motivi di impugnazione possibili: vizi formali, vizi procedurali, questioni di merito (assenza di utili, mancata distribuzione, ecc.). Essendo temi complessi, è altamente consigliabile farsi assistere da un avvocato tributarista o commercialista esperto.

La causa si svolge per lo più in forma scritta (memorie). In primo grado, la Corte tributaria esaminerà sia il merito (c’era l’evasione? c’è la base ristretta? il socio ha provato diversamente?), sia eventuali eccezioni processuali (nullità notifiche, difetto motivazione, etc.). La presenza di pronunce di Cassazione a supporto di tesi sarà cruciale: infatti per convincere i giudici occorre citare orientamenti autorevoli. Ad esempio, se difendiamo un socio di minoranza che non ha gestito, potremo citare Cass. 2464/2025 che ammette come prova contraria l’estraneità ; se difendiamo un ex socio che non ha avuto allegati gli atti, citeremo Cass. 18038/2024 sulla nullità per carenza di motivazione ; se siamo l’Agenzia (o a difesa dell’atto) citeremo tutte le Cassazioni che confermano la presunzione e l’inversione dell’onere (ci sono decine di precedenti).

Dopo la sentenza di primo grado, la parte soccombente può appellare in Corte di giustizia tributaria di 2° grado (ex Commissione Regionale). Lì si riesamina il caso, ma dal 2023 ci sono alcune restrizioni in appello (ad esempio divieto di nuovi documenti salvo certe eccezioni, art. 58 c. 2 D.lgs. 546/92 ora è più rigido). Comunque, l’appello è sostanzialmente una seconda chance sul merito e sul rito.

Infine, è possibile il ricorso in Corte di Cassazione (Sez. Tributaria) ma solo per motivi di diritto (violazioni di legge o vizi di motivazione, nei limiti ora più stretti). Nel nostro tema, spesso arrivano in Cassazione questioni giuridiche generali: es. se la CTR ha violato i principi sull’onere probatorio, o se la motivazione era adeguata, o se serviva litisconsorzio. Negli ultimi anni la Cassazione tributaria ha emanato numerose ordinanze (sintomo di cause seriali) proprio in materia di utili occulti, segno che il contenzioso è vivo. Abbiamo citato ordinanze 2022, 2024, 2025 che fanno giurisprudenza.

Il contenzioso può durare anni (specie se si arriva in Cassazione). Nel frattempo le somme, come detto, in parte sono sospese ma in parte no (un terzo si paga dopo la CTR1 salvo sospensive). Questo crea pressione al contribuente, che a volte preferisce transigere.

Sospensione e impugnazione: consigli pratici

Abbiamo già detto di chiedere sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio dei soci in attesa del giudizio società. Aggiungiamo che se, ad esempio, l’avviso al socio viene notificato mentre la società ha un processo pendente, il socio potrebbe anche eccepire che quell’atto è prematuro e che avrebbe dovuto attendere il giudizio sulla società. Tuttavia la legge non impone di aspettare, perciò quell’eccezione non porterebbe ad annullamento (Cass. dice: non è litisconsorzio necessario, quindi si può notificare subito) . La tutela è appunto nel chiedere la sospensione al giudice.

Se invece la società è defunta (liquidata e cancellata) prima dell’accertamento, l’Agenzia spesso procede direttamente contro gli ex soci per i redditi societari non dichiarati, invocando l’art. 2495 c.c. (responsabilità ex soci per debiti non soddisfatti nei limiti di quanto riscosso in liquidazione). In tal caso però l’accertamento cambia natura: non è più presunzione di distribuzione pro-quota degli utili, ma piuttosto un recupero del debito d’imposta societario sugli ex soci come successori nei limiti dell’attivo ricevuto. Questo scenario è stato oggetto di recente intervento delle Sezioni Unite (Cass. SU n. 3625/2025) . Le SU 2025 hanno stabilito che l’Amministrazione deve notificare un autonomo avviso di accertamento agli ex soci se intende far valere la loro responsabilità per debiti tributari della società estinta, e ha delineato i limiti (l’ex socio risponde solo nei limiti di quanto ottenuto, l’onere di provare che ha avuto certe somme spetta al Fisco, ecc.) . Questa pronuncia esula un po’ dal filone dei “dividendi occulti” perché qui parliamo di qualsiasi debito della società chiusa, però può sovrapporsi: se la società è stata liquidata e poi emergono utili occulti di quando era attiva, l’Agenzia può tentare di rifarsi sui ex soci, ma dovrà farlo seguendo i criteri delle SU (non con la semplice presunzione a pioggia). Quindi in cause del genere la difesa può far valere che quell’accertamento doveva rispettare l’art. 2495 c.c. (per esempio, se un socio non ha ricevuto nulla in liquidazione, non può essere chiamato a pagare i debiti sociali).

Strategie difensive per il contribuente

Passiamo ora al cuore dal punto di vista del contribuente (debitore): quali strategie e argomentazioni può utilizzare per difendersi da una contestazione di distribuzione occulta di utili? Le difese si sviluppano su più livelli: in fatto (cioè sui dati fattuali: esistenza utili, percezione o meno da parte del socio) e in diritto (sul piano procedurale e giuridico: vizi dell’atto, onere della prova, ecc.). Analizziamo i vari fronti difensivi.

Negare l’esistenza di utili occulti (difesa sulla fonte)

La prima linea di difesa è attaccare la base stessa dell’accertamento: dimostrare che la società non ha conseguito maggiori utili occulti. Se infatti cade l’accertamento del maggior reddito societario, automaticamente non ci sono utili da distribuire e il socio non deve nulla. Questa difesa riguarda in primis la società nel suo ricorso: la società può contestare nel merito i rilievi del Fisco (ad esempio sostenere che i ricavi in nero non ci sono perché i documenti trovati sono interpretabili diversamente, oppure che i costi contestati erano in realtà ineren ti, ecc.). Se la società vince su questo, i soci vincono a cascata.

Dunque per un socio potrebbe essere utile coordinarsi col difensore della società: fornire elementi a supporto della società per vincere il suo accertamento. Ad esempio, se il socio sa che certi movimenti bancari considerati prelievi per sé erano invece pagamenti ad un fornitore, dovrebbe farlo emergere. Spesso però la società e i soci coincidono negli interessi (soci = proprietari della società), quindi la difesa è unitaria.

Nel caso di un socio di minoranza non coinvolto nella gestione, paradossalmente potrebbe sperare che la società perda su utili (perché lui comunque non li ha presi), oppure impegnarsi comunque a far vincere la società? Dipende: se la società è controllata da altri e ha evaso, un socio estraneo può anche non sapere come difendere la società. Egli allora punterà di più su difese personali (vedi oltre estraneità). Ma se possibile, è sempre meglio eliminare alla radice l’evasione contestata.

Esempio difensivo: Fisco accusa società di vendite non fatturate per 200.000 € basandosi su contabilità parallela trovata (bloc notes con annotazioni). La società in giudizio dimostra che quel blocco note non era di vendite ma di preventivi o di un’altra azienda, o che contiene errori gravi. Se il giudice si convince e annulla l’accertamento per carenza di prova, fine della storia: la presunzione di distribuzione non opera (non c’è l’antecedente) e i soci non devono nulla. Cass. 18038/2024, ad esempio, menziona un caso in cui la CTR di primo grado aveva annullato l’atto al socio ritenendo convincenti le sue prove, e l’Agenzia in Cassazione contestava che la CTR avesse erroneamente ritenuto quei documenti sufficienti a escludere utili occulti .

Quindi prima strategia: se l’azienda non ha effettivamente occultato ricavi, reperire documenti, testimonianze, per smentire i rilievi. È la difesa classica in ogni accertamento.

Prova contraria sulla distribuzione: reinvestimento o mancanza percezione

Se però l’esistenza di utili non dichiarati è difficilmente confutabile (molte volte c’è evidenza abbastanza solida, es. scoperti conti segreti, ecc.), la battaglia si sposta sulla distribuzione. Qui entra l’onere della prova di cui tanto si parla. Formalmente: – Il Fisco ha già provato (o comunque convinto il giudice) che la società ha evaso X € di utili. – A questo punto, per far pagare il socio, il Fisco si avvale della presunzione di distribuzione. – Trattandosi di presunzione semplice, spetta al contribuente fornire la prova contraria che confuti tale presunzione .

La giurisprudenza tradizionale era rigida: l’unica prova contraria davvero accettata era dimostrare che l’utile non era stato distribuito ma era rimasto nella sfera sociale (accantonato, investito in azienda, utilizzato per pagare debiti sociali, ecc.). Questa prova può concretizzarsi ad esempio: – Documentare impieghi aziendali dei fondi extracontabili: se i verificatori trovano che l’azienda vendendo in nero ha accumulato liquidi, il socio può provare che quei liquidi non li ha presi lui ma sono serviti per, poniamo, pagare fornitori in nero (magari emergono pagamenti non fatturati a terzi, o stipendi in nero ai dipendenti). In tal caso, l’utile occulto in realtà è stato consumato dalla società stessa, e nulla è andato ai soci. È un’ottima prova contraria se disponibile (sposta la vicenda da “utili occulti” a “costi occulti”, che però riducono l’utile occ. stesso). – Dimostrare un incremento patrimoniale occulto nella società: ad esempio, l’azienda aveva utili in nero e con quelli ha comprato macchinari non fatturati, oppure ha tenuto la somma in una cassa segreta poi scoperta e sequestrata. Se il denaro è ancora in possesso dell’azienda (anche se non dichiarato), allora non è finito ai soci. Un caso classico: contanti ritrovati in sede, non contabilizzati. Se li trovano ancora nell’azienda, potresti dire “ecco, non li abbiamo presi come soci, erano qui”. – Prova per tabulas di mancata percezione da parte del socio: ad esempio, il socio esibisce i propri estratti conto bancari personali per l’anno in questione e mostra che non vi è traccia di entrate anomale corrispondenti agli utili occulti . Questo era un elemento che già in passato i soci tentavano: “Ecco il mio conto, non ho ricevuto bonifici o versamenti contanti di quei soldi”. La Cassazione tuttavia spesso replicava: il fatto che non ci sia traccia sul tuo conto non è prova decisiva, perché potresti averli ricevuti in contanti o su conti a te intestati all’estero, o averli spesi in contanti. Quindi prendevano con cautela questa prova. – Prova che i soci non li hanno presi perché successe altro: es. se successivamente l’azienda fallisce o viene posta in liquidazione senza attivi, si potrebbe dedurre che nessuno ha incassato quegli utili (ma magari li avevano presi prima, difficile). – Prova di ripartizione difforme: se un socio riesce a provare che l’utile occulto c’è stato ma è stato intascato interamente da un altro socio (magari l’amministratore), allora può sostenere che per la sua parte non ha avuto nulla. Questo è delicato perché implicherebbe che un socio accusi l’altro di aver rubato tutto. Però in certi casi può emergere: ad esempio l’amministratore aveva deleghe sui conti e prelevava in contanti tutto, il minor socio non vedeva un euro. Se il minor socio trova evidenze (movimenti verso l’amministratore, testimonianze) potrebbe convincere il giudice che quell’utile occulto fu distribuito non a tutti pro quota ma solo ad uno. A quel punto, la presunzione “pro quota” risulta confutata almeno per lui. – Invocare l’assenza di flussi finanziari: c’è giurisprudenza di merito (CTR ecc.) che ha talvolta richiesto al Fisco di provare un minimo di tracciabilità del passaggio utili-soci. Ad esempio, se i soci affermano “non c’è alcuna evidenza che abbiamo ricevuto questi soldi, né contabile né extra, solo la presunzione massima d’esperienza”, alcuni giudici potrebbero ritenerla presunzione debole, soprattutto se i soci dimostrano di non aver beneficiato di arricchimenti nel periodo (stile redditometro inverso: se uno socio era nullatenente, non ha acquistato beni, vive modestamente, come avrebbe avuto decine di migliaia di euro occulti?). C’è appunto chi sostiene che il Fisco dovrebbe almeno indicare un fatto specifico da cui dedurre che i soldi sono usciti verso i soci – altrimenti è un salto logico. Perlopiù la Cassazione ritiene sufficiente il fatto noto “società piccola+utile occulto” per inferire l’ignoto “soci arricchiti” , ma provare contro tale inferenza con l’assenza di qualunque anomalia reddituale personale dei soci può aiutare (specie se i soci hanno redditi leciti modesti e non presentano aumenti di patrimonio nei periodi successivi).

Tuttavia, la difesa regina in questi casi per anni è stata: “Quei soldi non li abbiamo presi, sono rimasti in azienda”. E spesso i giudici chiedevano: ok, mostratemi dove sono rimasti. Se il contribuente non sapeva indicare un impiego, perdeva.

Nuove frontiere della prova contraria: estraneità del socio alla gestione

Una svolta importante è arrivata con alcune pronunce tra fine 2024 e inizio 2025 (Cass. n. 26473/2024 e Cass. n. 2464/2025 su tutte) che hanno riconosciuto una nuova forma di prova liberatoria per il socio: la dimostrazione della completa estraneità del socio alla gestione e alla vita societaria può essere sufficiente a far venir meno la presunzione .

In parole povere, la Corte ha detto: la presunzione si basa sulla massima di esperienza che in una base ristretta tutti i soci partecipano attivamente e controllano l’andamento, quindi sanno e prendono gli utili occulti. Se però un socio riesce a provare di essere stato una sorta di socio solo di nome, completamente disinteressato e tagliato fuori dalla gestione (magari un parente che ha solo prestato il nome, o un piccolo socio inattivo), allora cade la premessa stessa della massima di esperienza e non è più legittimo presumere che anche costui abbia ricevuto utili .

Questo principio è stato affermato chiaramente dalla Cass. ord. n. 2464 del 2 febbraio 2025 . Nel caso specifico, un socio di minoranza aveva prodotto in giudizio elementi per dimostrare la sua estraneità: documentazione che mostrava che lui non seguiva la società, non era coinvolto negli affari (faceva tutt’altro nella vita), non aveva accesso ai conti; inoltre aveva mostrato i propri estratti conto personali senza tracce di quei utili . La Cassazione, aderendo a un orientamento emergente, ha stabilito che questa dimostrazione di estraneità può costituire prova contraria idonea a vincere la presunzione . Infatti, provato che un socio era estraneo alla gestione e alla “vita” societaria, viene meno la “massima di comune esperienza” su cui si basava la presunzione (quella del reciproco coinvolgimento dei soci) e quindi non si può più presumere che quell’utile occulto sia stato distribuito a tutti i soci . Potrebbe essere finito solo ad alcuni, ma non c’è più presunzione generalizzata.

Questa è una novità di grande rilievo pratico, perché finalmente offre uno spiraglio di difesa a quei soci di minoranza che spesso subivano accertamenti pur non avendo toccato un centesimo. Si pensi a casi tipici: la moglie o il marito del dominus messi come soci al 5-10% solo per questioni formali, ma che non sanno nulla dell’azienda; oppure un figlio che figura socio ma non lavora in azienda. Prima, venivano comunque tassati pro quota se c’era evasione. Ora, possono evitare la tassazione se provano concretamente la loro estraneità.

Attenzione però: la Cassazione stessa avverte che questa prova deve essere “precisa e rigorosa” . Non basta auto-dichiararsi disinteressati. Servono evidenze oggettive. Quali ad esempio? – Prova che il socio non ricopriva alcuna carica né ruolo attivo (non amministratore, non lavoratore). – Distanza geografica o lavorativa: se il socio risiede lontano o svolge altro lavoro a tempo pieno incompatibile con l’occuparsi della società. – Verbali societari: se esistono, potrebbe risultare che non partecipava alle assemblee o delegava sempre. – Testimonianze (nelle tributarie non sono ammesse testimonianze orali, ma si possono produrre dichiarazioni rese in altri procedimenti o scritte private) di altri soci o terzi che confermano che Tizio non interveniva mai. – Movimenti bancari personali: già discussi, utili a corroborare che non ricevette denaro. – Eventuali screzi: se si dimostra che il socio era addirittura in lite col socio di maggioranza all’epoca, è poco credibile che quest’ultimo gli regalasse parte dei proventi illeciti.

Nel caso di Cass. 2464/2025 (che commentava Cass. 26473/2024), il socio minoritario aveva prodotto estratti conto bancari personali dove non risultava traccia di incassi da utili occulti, e aveva sostenuto di non aver competenze né interessi nella gestione (faceva tutt’altro: tecnico del suono in quel caso, mentre la società gestiva un’etichetta discografica) . La CTR aveva accettato tale difesa, l’Agenzia aveva fatto ricorso in Cassazione dicendo “non basta provare di essere disinteressato, doveva provare che utili restarono in azienda”, ma la Cassazione gli ha dato torto, sposando la nuova linea in favore del contribuente.

Dunque per un socio di minoranza in buona fede questa è la strategia chiave: focus sull’estraneità. È opportuno presentare più elementi possibili per dipingere il quadro: “non avevo potere di firma, non seguivo la contabilità, ho un lavoro autonomo altrove, i miei conti non mostrano arricchimenti”. Questa difesa, se creduta, rompe la logica della presunzione.

Attenzione che funziona per il socio che davvero non partecipava. Se invece tutti i soci erano familiari attivi, non è invocabile: lì la massima di esperienza rimane valida.

Difese procedurali e vizi formali

Oltre al merito, non bisogna trascurare possibili vizi procedurali o formali dell’accertamento, che possono portare all’annullamento indipendentemente dalla sostanza. Alcuni aspetti da verificare:

  • Motivazione insufficiente o per relationem non corretta: come già esposto, se l’avviso al socio si limita a un freddo riferimento all’accertamento societario senza darne contezza, specialmente se il socio è ex socio, si può eccepire la nullità per difetto di motivazione e violazione dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente e art. 42 DPR 600/73 . Cass. 18038/2024 e Cass. 4239/2022 hanno accolto ricorsi di contribuenti ex soci proprio su questo. Quindi controllare l’atto: se c’è scritto solo “Visto avviso tizio a società X protocollo Y, distribuizione occulta tot”, senza allegare o spiegare, è un punto a favore del contribuente.
  • Notifica irregolare: se l’atto a socio è stato notificato a indirizzo sbagliato o a persona non legittimata, ecc. Ad esempio, a volte notificano a un socio deceduto senza far subentrare eredi – quell’atto è nullo, ma poi rifanno con eredi (bisogna vedere i tempi).
  • Termini di decadenza: raramente un problema in questi casi perché di solito l’accertamento arriva entro i termini. Ma se tardano troppo per i soci (es. accertano la società l’ultimo anno utile e poi si dimenticano di notificare ai soci entro la fine dell’anno successivo, sarebbe decaduto, ma di solito fanno insieme).
  • Litisconsorzio necessario: come detto, Cassazione esclude litisconsorzio tra soci e società. Qualcuno aveva provato a eccepire che i soci avrebbero dovuto essere convenuti insieme, ma la Suprema Corte l’ha rigettato, quindi non è strada vincente (anzi, a citarlo si viene smentiti col precedente SU 14815/08 e altri).
  • Violazione diritto contraddittorio endoprocedimentale: se parliamo di tributi “non armonizzati” (IRPEF/IRES lo sono, IRAP no, ma questo è reddito), il contraddittorio non è obbligatorio se non previsto. Tuttavia, in presenza di PVC, fu offerto contraddittorio in chiusura verifica; se l’ufficio emette avviso immediatamente senza invitare all’adesione, potrebbe non essere un vizio invalidante (l’invito è facoltativo, ora c’è la bozza atto come visto ma non in tutte situazioni).
  • Errori di calcolo: verificare che la quota imputata sia esatta. Se un socio aveva 30% e gli imputano 40%, c’è un errore. Questo porterebbe a riduzione dell’imponibile in giudizio.
  • Sanzioni errate: controllare che le sanzioni applicate siano quelle giuste (potrebbero aver duplicato erroneamente, o applicato cumulo giuridico quando doveva esser continuazione, etc.). Anche questo può ridurre l’esborso.
  • Mancata considerazione di situazioni particolari: ad esempio, se per caso quei dividendi occulti fossero stati già oggetto di un precedente condono o definizione, e l’AdE se ne esce comunque, bisognerebbe far valere la cosa. Oppure, se uno socio ha aderito e l’altro fa ricorso e l’AdE cerca di recuperare due volte, ecc.
  • Ne bis in idem amministrativo: non esiste in tributi come concetto, a parte la questione sanzioni. Se la società paga la sanzione per infedele, il socio paga la sanzione per sua infedele; non è doppio punire soggetti diversi. Niente da fare qui.
  • Violazione art. 6 comma 5 L.212/2000: questa norma dice che se in base a elementi acquisiti dalla società l’ufficio accerta il socio, deve comunicarlo al socio e dargli 60 gg prima di emettere atto. È la regola del “doppio binario” informativo. Però riguarda le indagini bancarie: se hanno fatto indagine sui conti della società e poi vogliono usare quei dati contro il socio, dovrebbero averglieli notificati e atteso 60gg. Spesso però considerano l’utilizzo è indiretto. Si potrebbe eccepire se c’è stato questo passaggio. Non è comunissimo vederlo sollevare, ma teoricamente c’è.

In generale, le difese procedurali tendono a “parare” l’attacco su tecnicismi. Possono salvare il contribuente anche se nel merito non ha del tutto ragione, quindi vanno valutate attentamente. Ad esempio, nel caso Palumbo 2024 (Cass. 18038) l’ex socia ha vinto proprio per carenza di motivazione dell’atto a lei indirizzato , senza bisogno di dimostrare altro – un vizio formale che ha chiuso la questione a suo favore.

Comportamenti proattivi in azienda (compliance interna)

Un discorso di prevenzione: se sei un imprenditore onesto che non vuole incappare in queste accuse, cosa puoi fare? Qui entriamo nella consulenza aziendale. Qualche suggerimento:

  • Tenere documentazione di ogni costo e verifica della sua inerenza. Molte contestazioni nascono da costi poco chiari (auto a uso promiscuo, rimborsi, spese personali messe su conti aziendali). Tenendo traccia e separando le spese personali, si evita che vengano disconosciute e trattate come utili occulti.
  • Non utilizzare contanti in modo disinvolto. Prelievi di cassa ingenti senza giustificativo spesso fanno pensare a prelevamenti per soci. Se proprio servono, annotare come sono stati usati (per pagare qualcosa, stipendi, etc.).
  • Trasparenza con soci minoranza: paradossalmente, includere i soci piccoli nelle decisioni e informarli può evitare in futuro contenziosi interni e anche dare prova che se succedeva qualcosa di nascosto, loro non c’entravano. Viceversa, chi li tiene all’oscuro dà loro l’arma dell’estraneità in un eventuale processo.
  • Formalizzare i finanziamenti soci e i movimenti finanziari: l’esempio prima della restituzione del finanziamento scambiata per utile occulto evidenzia che se quell’operazione fosse stata adeguatamente documentata (contratto di mutuo soci, ricevute degli accrediti originari, delibera di restituzione, ecc.) forse non sarebbe stata contestata o la difesa sarebbe stata più solida.
  • Evitate “teste di legno”: a volte un familiare o un amico è messo come socio solo per divisione quote ma senza ruolo. Questo può creare contenziosi: se l’azienda evade e costui viene tassato, scatteranno problemi. Se l’avete messo, almeno fategli fare qualcosa in azienda, o limitatevi a tener compagine stretta di soli effettivi.
  • Valutare l’opzione per la trasparenza fiscale: può sembrare paradossale ma se una s.r.l. familiare opta per la trasparenza (art. 116 TUIR), i problemi di presunzione scompaiono perché i soci dichiarano comunque tutti i redditi (quindi se evadono è come evadere IRPEF diretta). Però attenzione: come visto nel caso penale, se evadi con la trasparenza è pure peggio perché il socio occulto può esser condannato penalmente. Quindi la trasparenza è utile per situazioni “pulite” non per evadere tranquilli.

Simulazione pratica di difesa – Caso del socio minoritario ignaro

Per illustrare come potrebbe svolgersi in concreto una difesa, immaginiamo un caso pratico:

La Beta Srl ha 3 soci: 60% Mario (amministratore e padre), 20% Anna (figlia, studentessa universitaria non coinvolta), 20% Carlo (figlio, lavora saltuariamente in altro). Beta Srl viene verificata: emergono vendite in nero nel 2021 per € 200.000. L’Agenzia accerta € 200k di redditi non dichiarati alla società e presunti dividendi di € 120k a Mario, € 40k ad Anna, € 40k a Carlo (in base alle quote).

Mario, l’amministratore, sa di aver effettivamente incassato gran parte di quei proventi per sé e la sua famiglia; Anna era all’oscuro e non ha ricevuto nulla; Carlo forse qualche piccolo extra in contanti lo ha avuto dal padre, ma poca cosa.

Difesa di Mario (60%): onestamente complicata, perché essendo lui gestore e beneficiario principale, difficilmente potrà convincere di non aver preso nulla. La sua strategia potrebbe essere puntare a ridurre l’imponibile societario (magari alcune vendite in nero non erano tali o costi collaterali da dedurre) per abbassare tutto. Può valutare adesione per ridurre sanzioni. In giudizio non può sostenere estraneità (è l’opposto) e se prova a dire “non ho preso niente” non sarà creduto. Forse l’unica per lui è cercare di dimostrare che una parte di quei 200k è rimasta in azienda (es. ha pagato provviste, conti, investito in un macchinario). Se riesce a provare che, ad esempio, 50k furono usati per comprare una macchina aziendale in nero, allora l’utile distribuibile scende a 150k e di riflesso anche per gli altri soci. Dovrebbe portare evidenze (magari la vettura c’è). Insomma, Mario ha poche carte se beccato con le mani nel sacco: magari punterà a transare (adesione o conciliazione) e chiudere.

Difesa di Anna (20%): Anna è classico socio inconsapevole. La sua difesa seguirà il filone estraneità totale. In sede di ricorso, il suo legale enfatizzerà: – Età e occupazione di Anna nel 2021: ad esempio, se aveva 22 anni ed era fuori sede per studi, allegando certificati di frequenza università o contratto di affitto studenti. – Nessun ruolo in Beta Srl: depositare visura societaria che mostra amministratore unico Mario, nessun incarico per Anna. – Dichiarazione di Mario (se collabora) che attesta “Mia figlia non ha mai partecipato alla gestione né ha mai ricevuto utili”. – Estremi del suo conto corrente: allegare estratto anno 2021 di Anna, che magari mostra solo bonifici del padre per paghetta, nessun afflusso di decine di migliaia. – Eventuali elementi di spesa: se Anna nel 2021 non ha acquisito beni di lusso (auto, case, etc.), indicarlo (il Fisco non ha fatto un redditometro contro di lei perché è giovane e a carico, questo la avvalora come persona senza redditi). – Normativa e giurisprudenza: citare Cass. 2464/2025 e Cass. 26473/2024 e spiegarne il senso: Anna rientra perfettamente nel caso di socio meramente figurativo/estraneo e quindi ha fornito prova contraria sufficiente . Chiedere quindi l’annullamento per la sua parte.

Se il giudice recepisce, Anna uscirà vincitrice: l’avviso a lei verrà annullato. E notare, ciò non dipende dall’esito di Mario: anche se la società e Mario perdono e confermano i 200k di utili occulti, Anna può comunque vincere dimostrando di non averne goduto. In effetti, nulla vieta che la presunzione sia superata per un socio e rimanga valida per gli altri. Ciò creerebbe la situazione che Mario verrebbe tassato magari su 160k (la sua 120 + il 40 di Anna in teoria? Non esattamente, di solito se un socio vince sul fatto di non aver preso, teoricamente quell’utile è rimasto alla società. Ma oramai la società l’ha tassato, quindi potrebbe essere che Mario di fatto l’ha preso in aggiunta. Non c’è norma su ridistribuzione pro-quota differente. Credo pragmaticamente l’esito potrebbe essere: Anna non paga, Mario resta con la sua quota; l’erario rinuncia a tassare quel 20% come perso? O cercherebbe di imputarlo a Mario? Non credo possano in giudizio imputarlo ad un altro se non era contestato inizialmente. Forse preferirebbero mantenere su Anna ma se Anna fornisce prova convincente la CTR deve annullare per Anna senza aumentare per Mario, che rimane con la sua parte originaria. Quindi il 20% di utili occulti resterebbe tassato solo in capo alla società (che ha pagato l’IRES su tutti 200k). In sostanza quell’importo sarebbe stato non distribuito dopotutto, coerente con l’estraneità di Anna. Ci sarebbe coerenza: Mario ha preso solo il suo 60% e Carlo 20% forse, l’altro 20% non distribuito = Anna non paga.)

Difesa di Carlo (20%): Carlo sta nel mezzo. Non era amministratore, ma magari collaborava e forse qualcosa ha ricevuto (magari il padre gli ha pagato un viaggio o regalato un’auto usata coi proventi). Se Carlo cerca di fare come Anna “estraneo”, deve stare attento: se invece ci sono evidenze che lui un po’ c’era (es. risulta assunto part-time lì, o ha deleghe, o ha movimenti di denaro come stipendio non dichiarato), rischia di non essere creduto. La sua strategia potrebbe essere duplice: – Se effettivamente non ha ricevuto niente di quell’evasione e partecipava marginalmente, allora può provare la parziale estraneità: ad esempio, dimostrare che lui era dipendente altrove e solo formalmente socio, ecc. Se però lavorava in azienda, l’estraneità è difficile da sostenere. – Allora potrebbe optare per la difesa “quei soldi li ha tenuti papà, io nulla”: cercare di indirizzare la colpa su Mario. Tipo, “sì aiutavo ma la cassa la gestiva solo papà, io non avevo accesso ai conti”. Portare magari testimonianze di dipendenti che dicono “solo Mario prelevava dal cassetto”. In sostanza, ridimensionare il proprio ruolo: non completamente estraneo (perché magari non può dirlo), ma non compartecipe nell’utile occulto. È un po’ borderline: la Cassazione non ha (ancora) detto che se un socio è attivo ma non ha preso niente può liberarsi, a meno di provare l’effettiva ripartizione diversa. Carlo potrebbe provare questo: se il contante in nero lo gestiva solo Mario, e lui niente, magari convincere la CTR a non tassarlo. È difficile però senza prove tangibili. – In subordine, Carlo può chiedere eventualmente la riduzione della sanzione per la sua collaborazione (tipo, se ammette magari di aver percepito un bonus di 5k e non 40k, ma queste vie di mezzo raramente funzionano se non in conciliazione). – Carlo potrebbe anche valutare adesione se capisce che è spacciato in giudizio, per pagare 1/3 sanzioni invece di intero, ma dovrebbe farlo prima di ricorrere.

Come si vede, la difesa va calibrata sul ruolo effettivo del socio e sulle evidenze disponibili.

Strategia difensiva sommaria per il socio (checklist)

Riassumiamo in una lista rapida le possibili mosse difensive dal lato socio:

  • Esaminare motivazione atto: se per relationem, verificare se sono stati allegati/riportati elementi essenziali. Se no ed è ex socio, eccepire nullità .
  • Chiedere sospensione processo se pende causa della società (evitare giudizi contrastanti) .
  • Collaborare con la società (se non confliggono interessi) per ridurre/annullare l’accertamento base.
  • Reperire prove di mancata percezione: estratti conto, niente incrementi patrimoniali, ecc.
  • Dimostrare estraneità alla gestione (se vero): nessun ruolo, distanza, altre occupazioni .
  • Evidenziare storie personali: es. socio minorenne o anziano malato all’epoca (se un nonno per dire, poteva essere socio ma inattivo).
  • Contestare l’applicabilità presunzione se base non era ristretta davvero: se i soci erano ad es. 10 e non parenti, sostenere che la presunzione non dovrebbe applicarsi (ci sono casi borderline, la Cassazione ha a volte detto che già con 7-8 soci la massima perde forza, specie se non parenti).
  • Invocare le nuove sentenze: Cass. 2464/25 per estraneità , Cass. 5866/22 per sospensione , Cass. 18038/24 per motivazione , Cass. 15274/25 se serve (es. se i soci di Beta Srl fossero due società, come nel suo caso).
  • Attenzione alle dichiarazioni rese in sede penale o altrove: se c’è un procedimento penale parallelo (non raro se evasi grossi importi), occhio che dichiarazioni dei soci lì (es. Mario che dice “ho fatto tutto io, miei figli innocenti”) potrebbero essere usate pro o contro. In sede tributaria ci si può far dare copia e usarle come prova scritta.

Profili penali e rischio reati

Un breve cenno: quando sono in gioco utili occulti ingenti, spesso il caso configura reati tributari: – Per la società (amministratore): dichiarazione infedele (art.4 D.lgs.74/2000) se l’imposta evasa supera 100k € e l’importo nascosto supera 2 milioni; omessa dichiarazione (art.5) se proprio non presentata; dichiarazione fraudolenta (art.3 o 2) se si usano fatture false o artifici per occultare. – Per il socio: se non dichiara il dividendo occulto, può essere anch’egli incriminato per dichiarazione infedele se l’imposta evasa (sua IRPEF) supera la soglia (evitare 100k per persona fisica è facile se la quota era sotto ~384k € occultati al 26%, sennò va calibrato). – Soci occulti: come visto, Cass. penale 41579/2023 ha condannato un socio occulto unico per non aver dichiarato utili extracontabili di s.r.l. trasparenti . Quindi anche chi sta dietro le quinte rischia penalmente.

Difendersi penalmente in questi casi è un discorso a parte: occorre dimostrare mancanza di dolo, errori contabili, ecc. Ma dal punto di vista del socio minoritario innocente, una volta appurato che egli non percepì nulla, difficilmente lo si perseguirà penalmente (mancando l’elemento soggettivo e materiale: lui non ha occultato né percepito).

È comunque opportuno ricordare che le sanzioni penali (fino a 3 anni infedele, 6 anni frode) possono scattare e talora il risvolto penale offre prove al tributario (ad es intercettazioni telefoniche che parlano di pagamenti in nero come in Cass. 5866/22 caso di carburanti ). Viceversa, un accertamento definito col pagamento integrale prima di sapere del penale può far scattare causa di non punibilità (per alcuni reati minori pagare prima del dibattimento evita la pena). Quindi c’è un interplay: a volte conviene definire velocemente per chiudere il penale.

Situazioni particolari e casi collegati

In questa sezione trattiamo alcune situazioni particolari attinenti o parallele alla distribuzione occulta di dividendi, completando il quadro per avvocati e consulenti che dovessero affrontarle.

Società estinte e responsabilità degli ex soci

Abbiamo accennato sopra al caso di società liquidata e cancellata dal registro, con debiti tributari residui. Spesso l’Amministrazione procede in questi casi con un avviso di accertamento agli ex soci per il recupero delle imposte dovute dalla società defunta, in forza dell’art. 2495 c.c. che prevede la loro responsabilità (nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione). Questo scenario non è esattamente “distribuzione occulta di utili” in senso tecnico (perché magari erano debiti noti, non utili occulti), ma è collegato perché se la società si scioglie dopo aver realizzato utili in nero, gli ex soci potrebbero averli incamerati attraverso le operazioni di liquidazione o prima.

Le Sezioni Unite 3625/2025 sono intervenute a fare chiarezza: hanno stabilito che gli ex soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti tributari sociali solo a precise condizioni e con specifica procedura . In particolare: – Serve la notifica di un autonomo avviso di accertamento o comunque atto impositivo agli ex soci. Non basta iscriverli a ruolo o notificar loro una cartella del debito sociale. – Gli ex soci rispondono pro quota (in base alla quota di capitale detenuta) e entro il limite di quanto ricevuto in sede di liquidazione. – L’onere di provare che l’ex socio ha percepito delle somme dalla liquidazione spetta al Fisco (deve ad es. dimostrare che c’è stato un bilancio finale con riparto o che sono stati trasferiti attivi). – Se l’atto originario fu notificato alla società prima che si estinguesse, gli ex soci per subentrargli in giudizio devono essere destinatari di un atto. Cioè, non c’è prosecuzione automatica.

Ora, se ci collochiamo nel contesto di utili occulti: immaginiamo una società che ha nascosto utili, poi si è sciolta. Gli ex soci magari si sono ripartiti beni e liquidità anche includendo quegli utili occulti. In tal caso l’Agenzia può: – Sostenere che quelle somme in nero sono di fatto state incamerate dai soci e quindi tassarle come utili occulti per l’anno in cui le hanno prese (seguendo la nostra presunzione classica). – Oppure perseguire gli ex soci per il debito d’imposta che la società non ha pagato su quegli utili (quindi trattandolo come responsabilità ex 2495, cioè recuperare da loro l’IRES evasa dalla società).

La scelta dipende dalle circostanze. Se la società è già cancellata, la strada ex 2495 è naturale. Però le SU 2025 impongono rigore: l’Agenzia dovrà farlo con un atto ad hoc e provare eventuali somme percepite.

Nella difesa di un ex socio in questi casi, i punti chiave saranno: – Contestare oltre ai soliti motivi sul merito (non c’erano utili, ecc.), la mancanza dei presupposti di cui sopra se il Fisco non li rispetta. Ad esempio, eccepire nullità se l’ufficio ha mandato direttamente cartella senza accertamento a ex socio. – Far valere il limite dell’attivo ricevuto: se l’ex socio non ha ricevuto nulla dalla liquidazione (caso non raro se la società sparisce indebitata), non deve rispondere di nulla. – Chiarire l’ambito temporale: se l’accertamento è emesso dopo l’estinzione, i soci ne rispondono ma se non li raggiunge potrebbe cadere (c’era incertezza se andasse notificato entro termini decadenza in capo alla società o se la chiusura li modificasse, ecc., SU avrà chiarito).

In sintesi, la materia ex soci estinti è complessa, ma con SU 2025 c’è una guida autorevole. Quindi, per completezza, un difensore esaminerà quell’arresto per vedere se il caso suo vi rientra.

Socio receduto o cedente prima dell’accertamento

Altro caso: un socio era presente nell’anno in cui la società ha occultato utili, ma successivamente ha ceduto la partecipazione (o è receduto) prima che arrivasse l’accertamento. L’Agenzia in genere notifica l’avviso a chi era socio nel periodo d’imposta accertato, anche se nel frattempo è uscito. Questo socio, come visto, ha diritto a un atto motivato adeguatamente (non potendo presumere che conosca l’atto societario notificato dopo la sua uscita) .

Difesa: – Sul merito nulla cambia (può dire “non li ho presi” se è vero). – Sulla procedura, insisterà molto sul fatto che quando l’avviso è stato emanato lui non aveva accesso ai documenti sociali, quindi la motivazione per relationem è insufficiente se priva di allegati . Cass. 4239/2022 e 18038/2024 sono i pilastri su questo. – Se la società, dopo la sua uscita, è fallita o liquidata, potrebbe rientrare nel discorso ex soci di cui sopra, ma lì la pretesa tipicamente si rivolge a chi era socio al momento dello scioglimento, non in anni precedenti. Non confondiamo: un socio uscito prima della fine della società di solito non risponde dei debiti successivi. Ma qui era socio nel periodo di evasione, quindi la pretesa è su quell’anno.

Esempio: Tizio deteneva 10% della Alfa srl nel 2019; nel 2020 cede tutto ed esce; nel 2022 l’Agenzia accerta utili occulti 2019 e notifica a Tizio l’avviso per dividendi 2019. Tizio potrà dire: “nel 2022 quando fu notificato l’atto societario io non ero più socio, non l’ho mai ricevuto né sapevo; l’avviso a me indica solo il numero, senza dettagli -> atto nullo” . Se vince su questo, bon. Se perdesse, resterebbe l’aspetto che, essendo lui uscito prima, come può aver incassato nel 2019 utili occulti? Beh nel 2019 era socio, li poteva incassare tranquillamente e poi vendere le quote. Quindi nel merito deve puntare alle solite prove (non incassati o reinvestiti ecc.).

Socio occulto e interposizione

Abbiamo sfiorato il concetto di socio occulto: persona che di fatto partecipa agli utili societari pur non comparendo formalmente tra i soci (utilizza un interposto). In tali casi, il Fisco se lo scopre potrebbe: – Ignorare l’interposta persona e tassare direttamente l’occulto, magari applicando l’art. 37, comma 3, D.P.R. 600/73 (norma anti-interposizione nelle imposte sui redditi). – Questo scenario appare in Cass. penale 41579/2023: c’era un soggetto che tramite prestanomi era unico dominus di società a base ristretta, e ha incassato utili occulti. Lo hanno ritenuto penalmente responsabile come socio occulto . – Nel tributario, se l’interposizione è provata, l’Agenzia può emanare accertamento verso il socio occulto come se fosse socio (bypassando il prestanome). Succede a volte in vicende con società fiduciarie: es. Caio è titolare effettivo ma formalmente le azioni stanno a una fiduciaria; il Fisco può dire “utili occulti li imputo a Caio vero proprietario, non alla fiduciaria” . – Difesa di un socio occulto è complicatissima, perché di fatto era consapevole. Potrebbe puntare su cavilli procedurali (notifica corretta atti? ecc.). Ma se è occulto, di solito c’è frode dietro, il che porta su reati, e nel tributario difficilmente convincerà di essere estraneo (impossibile, è l’opposto).

Dividendi figurativi vs utili extracontabili

Un argomento correlato: esistono ipotesi in cui il Fisco tasssa dividendi “figurativi” che non sono occulti in senso di utili non dichiarati, ma come qualifica di operazioni. Ad esempio: – Se una società fa benefit ai soci non giustificati (es. presta soldi a socio a tasso zero e poi li abbuona), l’AE potrebbe dire: quel condono del debito è un dividendo (utili a riserve distribuiti in forma di remissione debito). – O se una società cede immobile a socio a prezzo stracciato: la differenza tra valore normale e prezzo è considerata utili distribuiti (per la società può essere riclassificato come utile distribuito ai fini fiscali, non deducibile la perdita ecc., e per socio tassato come reddito diverso o di capitale).

Queste situazioni non rientrano esattamente nella presunzione base ristretta (anche se la logica è simile: c’è un vantaggio al socio), ma si basano su regole specifiche o su abuso del diritto. Ad esempio, l’Agenzia può contestare l’abuso del diritto se trovano una costruzione fatta solo per trasferire utili in modo non tassato.

Difendersi qui significa mostrare che l’operazione aveva ragioni di mercato (non era per distribuire utili) o che il valore di cessione era congruo ecc.

Presunzione di utili in società di capitali con soci enti (holding)

Si ricordi la pronuncia 2025: “utili attribuibili ai soci anche se sono società” . L’abbiamo coperta: la difesa in quei casi può consistere nel far notare: – Se i soci sono società di capitali non a loro volta a base ristretta, potrebbe insinuarsi un dubbio: se Beta srl è posseduta da Gamma SpA (quotata, migliaia di soci), ha senso presumere che i 100k occultati da Beta siano finiti proporzionalmente a tutti gli azionisti di Gamma? Ovviamente no, perché la base ultima non è ristretta. In quell’ordinanza 15274/25 il caso era due holding familiari (quindi la base ultima era comunque ristretta). Ma se fosse una holding pubblica, la presunzione non starebbe in piedi. Dunque un difensore potrebbe distinguere: “La Cassazione dice che lo schermo di personalità giuridica non salva se dietro c’è complicità familiare , ma nel mio caso il socio è una SpA con 100 soci non legati: quindi la massima di esperienza non si applica”. Potrebbe convincere il giudice (non ancora affrontato in Cassazione, ma logico). – Oppure se la holding è trasparente (società di persone), di nuovo non serve la presunzione: glieli attribuisci per trasparenza, come già discusso.

Aspetti civilistici: invalidità del bilancio e azioni soci

Un’ultima nota: la presenza di utili occulti di solito implica che il bilancio ufficiale era falso (mostrava utili minori). Questo ha anche riflessi civilistici: ad esempio, un socio minoranza potrebbe (se lo scopre) agire contro gli amministratori per bilancio falso o chiedere rettifiche di bilancio, ecc. Oppure, se un socio di minoranza è stato estromesso dalla distribuzione di utili occulti mentre altri li hanno presi, potrebbe agire per ottenere la sua quota non riconosciuta. Sono questioni societarie interne non oggetto qui, ma è bene ricordarlo: il socio che paga tasse su utili occulti senza aver visto un euro può poi provare a farseli dare dagli amministratori (azione di responsabilità? arricchimento?). Non facile, specie se era consenziente o parente.

Per un avvocato, considerare anche quelle vie se tuteli un socio minoranza vittima del maggiore (che magari oltre a farlo tassare, si è tenuto i soldi). Può quantomeno chiedere risarcimento danni per averlo coinvolto in guai fiscali.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito proponiamo una serie di domande e risposte sintetiche sui punti chiave trattati, in modo da chiarire i dubbi più frequenti.

D: Cosa si intende esattamente per “distribuzione occulta di dividendi”?
R: Indica la ripartizione di utili aziendali tra i soci senza una formale delibera di distribuzione, tipicamente mediante utili “in nero” non contabilizzati. In pratica la società realizza profitti non dichiarati al Fisco e questi profitti vengono sottratti all’azienda dai soci (in contanti o altre forme), costituendo di fatto dividendi nascosti su cui non vengono pagate le imposte.

D: In quali casi l’Agenzia delle Entrate presume che vi sia stata distribuzione occulta ai soci?
R: Principalmente quando una società di capitali “a ristretta base” (pochi soci legati) viene trovata ad aver realizzato utili extracontabili (non dichiarati). La Cassazione ha stabilito che in tali casi è legittimo presumere che quei maggiori utili siano stati distribuiti proporzionalmente ai soci , salvo prova contraria. Questa presunzione non è applicata di solito alle società con base azionaria ampia e dispersa.

D: La presunzione di distribuzione occulta è prevista da una legge?
R: No, non è espressa in alcuna norma. Si tratta di una presunzione giurisprudenziale basata su massime di esperienza . In altri termini, è la giurisprudenza (soprattutto di Cassazione) che negli anni ha creato e consolidato questo principio, ritenendolo conforme ai criteri generali sulle presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) e non smentito da alcuna disposizione tributaria.

D: La società ha pochi soci ma questi non sono parenti né amici (es. soci d’affari indipendenti). Si applica comunque la presunzione?
R: Potenzialmente sì, perché conta il numero esiguo. Tuttavia la giurisprudenza sottolinea l’aspetto qualitativo dei rapporti: la presunzione si giustifica se i soci, pur pochi, agiscono in modo complice e coordinato . Se invece – caso raro – i pochi soci fossero comunque estranei l’uno all’altro e operassero senza fiducia reciproca, la “massima d’esperienza” perderebbe forza e si potrebbe contestare l’applicazione della presunzione in giudizio. In pratica però, quando i soci sono pochi, qualche legame forte di solito c’è (altrimenti non sarebbero in affari insieme in una piccola società).

D: La presunzione vale anche se i soci della società sono altre società (holding, fiduciarie)?
R: Sì, le sentenze più recenti dicono chiaramente che il fatto che i soci siano persone giuridiche non esclude la presunzione . Se ad esempio una SRL è posseduta da due SRL familiari, la base è di fatto ristretta (due famiglie) e si presume comunque la distribuzione degli utili extracontabili ai soci (cioè alle due SRL). Naturalmente poi il fisco tasserebbe quei soci secondo le regole proprie (e.g. il 5% imponibile se sono società di capitali). L’“schermo” societario non è sufficiente a evitare la presunzione.

D: Come può difendersi un socio dall’accusa di aver percepito utili occulti?
R: Deve fornire prova contraria. Tradizionalmente ciò significava provare che i maggiori utili non sono stati distribuiti, ad esempio mostrando che la società li ha reinvestiti o che sono rimasti nelle sue casse . Oggi la Cassazione ammette come prova liberatoria anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione societaria : in tal caso viene meno la base logica per presumere che quel socio abbia ricevuto parte degli utili. Quindi, un socio (specie di minoranza) può difendersi mostrando, ad esempio, di non aver partecipato all’amministrazione, di non aver mai ricevuto versamenti (con estratti conto bancari) , di essere stato di fatto tenuto all’oscuro degli affari sociali, ecc. Se questa prova è convincente, la presunzione cade per lui.

D: Il socio di minoranza quindi può chiamarsi fuori dicendo “non sapevo nulla”?
R: Non a parole: deve fornire elementi concreti e verificabili. La Cassazione richiede una prova “precisa e rigorosa” dell’estraneità . Ad esempio, se il socio minoritario viveva lontano, non aveva deleghe, faceva un altro lavoro e non risultano accrediti di denaro a suo favore, il quadro è coerente con l’assenza di coinvolgimento – questo può bastare. Se invece era presente in azienda e firmava documenti, sarà molto difficile convincere che non sapesse dell’evasione. Ogni caso va valutato sui suoi fatti.

D: Qual è l’onere della prova in questi casi?
R: In generale: il Fisco deve provare (anche tramite presunzioni semplici) che la società ha realizzato utili extra. Una volta fatto ciò, scatta la presunzione e l’onere si sposta sul contribuente di provare fatti che escludano la pretesa . Quindi il socio deve provare la non distribuzione o la propria non percezione degli utili. Se il socio non fornisce alcuna prova contraria, la presunzione da sola (società ristretta + utili occulti) viene reputata sufficiente, in base alla giurisprudenza, a sorreggere l’accertamento .

D: È possibile che il socio venga tassato e la società no, o viceversa?
R: In teoria no: serve un “valido accertamento” in capo alla società come presupposto . Se la società impugna e ottiene l’annullamento dell’accertamento (cioè si stabilisce che non vi furono utili extrabilancio), automaticamente viene meno la pretesa verso i soci. Di solito, i giudizi sono coordinati proprio per evitare esiti difformi. Tuttavia, possono verificarsi situazioni particolari: ad esempio, un socio di minoranza potrebbe vincere la sua causa (dimostrando estraneità) mentre la società e altri soci perdono. In tal caso quel socio non paga, mentre la società e gli altri sì. Il sistema tollera ciò, perché si presume semplicemente che in quel caso gli utili non siano stati distribuiti a quel socio (quindi o sono rimasti in società o sono andati proporzionalmente più agli altri). L’importante è che non vi sia tassazione senza utili accertati a monte.

D: Come si coordinano i processi della società e dei soci?
R: La Cassazione ha detto che non c’è obbligo di fare un unico processo (non è litisconsorzio necessario) però il giudice del ricorso dei soci dovrebbe sospendere finché non c’è esito sul ricorso della società . Questo per fondato rapporto di pregiudizialità logica: prima si chiarisce se la società ha evaso e quanto, poi si decide sui soci. Quindi, se si difende un socio, conviene chiedere esplicitamente la sospensione in attesa della definizione del giudizio sulla società (o almeno fino a sentenza passata in giudicato per sicurezza).

D: Se la società definisce con accertamento con adesione, cosa succede per i soci?
R: L’accertamento con adesione è un accordo extra-giudiziale. Se la società aderisce, l’utile accertato diventa definitivo per un certo importo (magari ridotto) e la società paga imposte e sanzioni ridotte. A quel punto, l’Agenzia presumibilmente ricalcolerà anche la posizione dei soci in base al nuovo importo. In genere invita i soci a loro volta a definire con adesione. Se un socio non aderisce, in teoria potrebbe comunque ricorrere, ma sarebbe difficile contestare l’esistenza dell’utile occulto ormai “ammesso” dalla società, resterebbero solo difese personali (come estraneità). In ogni caso, l’adesione della società rende ineccepibile il presupposto (utili extra) e rimuove la possibilità per i soci di evitar la tassazione sul merito, a meno di prove contrarie individuali.

D: Ci sono conseguenze penali in caso di utili occulti distribuiti?
R: Sì. L’amministratore o chi ha gestito l’evasione può rispondere di reati tributari (dichiarazione infedele se i valori superano soglie penali, o anche frode fiscale se sono usati mezzi fraudolenti come fatture false). Il socio che materialmente abbia percepito i proventi in nero potrebbe anch’egli essere incriminato per concorso nell’evasione o per infedele dichiarazione propria (se non ha dichiarato redditi percepiti e superava le soglie). Esempio: Cassazione penale ha condannato un soggetto che, pur non figurando ufficialmente come socio, era il titolare occulto di due SRL trasparenti a base ristretta: è stato ritenuto colpevole di dichiarazione infedele per non aver indicato nella sua dichiarazione i redditi (utili extrabilancio) a lui imputabili . In sintesi, se l’ammontare dell’evaso è notevole, può scattare la denuncia. Se però i soci pagano il dovuto col ravvedimento o definizione prima che parta il procedimento penale, per alcuni reati ciò può escludere la punibilità (c.d. causa di non punibilità per pagamento integrale, introdotta nel 2019 per taluni reati tributari).

D: Una società di persone può avere distribuzione occulta di utili?
R: In linea di massima no, perché nelle società di persone il reddito sociale viene già per legge attribuito ai soci (trasparenza fiscale). Se la società di persone occulta ricavi, il Fisco li imputerà direttamente ai soci come maggior reddito di partecipazione, senza bisogno di presunzioni ulteriori. La presunzione di distribuzione occulta è nata per le società di capitali dove, senza delibera, i soci non sarebbero tassati. In pratica, l’effetto finale per una SNC che occulta 100 sarà lo stesso: i soci pagheranno su quei 100 come redditi non dichiarati, ma via trasparenza (art. 5 TUIR) più che via presunzione. Nota: se però in una SNC vi fosse un socio occulto (non dichiarato), si aprono questioni simili a quelle viste (lui evaderebbe la sua parte e se scoperto subirebbe accertamento).

D: Cosa succede se la società viene sciolta prima che il Fisco faccia accertamenti? I soci la fanno franca?
R: No, l’estinzione della società non fa sparire i debiti tributari. L’Agenzia può rivolgersi agli ex soci per i debiti fiscali non pagati dalla società, entro i limiti di quanto hanno ricevuto in sede di liquidazione . Inoltre, se l’evasione emerge dopo, può comunque accertare il maggiore reddito del passato e notificarne la pretesa ai soci (come eredi patrimoniali). Le Sezioni Unite 2025 hanno però imposto che ciò avvenga con un atto ad hoc e rispettando i presupposti di legge . Quindi i soci di una società estinta possono vedersi recapitare un avviso per i debiti societari evasi, ma potranno opporre che essi non hanno ricevuto in liquidazione importi o che l’atto non è stato correttamente emanato. Non è una zona franca: se gli ex soci hanno incassato patrimoni in sede di chiusura, ne risponderanno. Nel caso di utili occulti pre-scioglimento, è probabile che tali utili siano stati proprio spartiti in chiusura (ad esempio svuotando la società prima di cancellarla), quindi il Fisco ha strumenti per recuperarli dagli ex soci.

D: I dividendi distribuiti regolarmente possono essere non tassati se il socio li rinuncia?
R: No, attenzione. Se l’assemblea delibera utili ai soci e uno vi rinuncia, fiscalmente quella è considerata comunque una distribuzione seguita da una sorta di “restituzione” alla società. L’Agenzia Entrate ha chiarito che la rinuncia volontaria ai dividendi non evita la tassazione: è un incasso giuridico imponibile . Quindi, benché non c’entri direttamente con gli utili occulti, è bene saperlo: non si può deliberare un dividendo per svuotare riserve e poi farlo rinunciare per evitare il 26%. Quel 26% si paga lo stesso.

D: Quali tabelle o prospetti riassuntivi possono aiutare a capire il meccanismo?
R: Nella guida sopra sono presenti diverse tabelle. In particolare, la Tabella 1 riassume i presupposti e le caratteristiche della presunzione di distribuzione occulta (base ristretta, accertamento utili, prova contraria, ecc.). Inoltre, sono stati forniti esempi numerici concreti di tassazione comparata. Consigliamo di consultare tali schemi per avere un colpo d’occhio sugli elementi essenziali. (Se servono tabelle aggiuntive, il professionista potrà crearne di specifiche ad es. per confrontare le sanzioni in caso di adesione vs giudizio, o per riepilogare le sentenze chiave e i principi affermati).

D: In definitiva, qual è il miglior consiglio per un imprenditore per evitare guai con i “dividendi occulti”?
R: Il miglior consiglio è non mettersi in situazione di evasione: mantenere la contabilità regolare, dichiarare i ricavi reali e, se si vogliono distribuire utili, farlo apertamente pagando le dovute imposte. Se proprio la pressione fiscale spinge a “strategie” rischiose, almeno tenere traccia documentale interna di ogni operazione, evitare commistioni tra spese aziendali e personali, e non coinvolgere soci inconsapevoli (che poi diverrebbero vittime). Dal punto di vista difensivo, qualora l’accertamento arrivi, collaborare con consulenti esperti per raccogliere tutte le prove a discarico possibili, e valutare soluzioni come l’adesione per mitigare le conseguenze. Infine, restare aggiornati sulle evoluzioni giurisprudenziali (come quelle del 2025 a favore dei soci minoritari) può fare la differenza nell’impostare una difesa vincente.

Conclusione

La questione delle distribuzioni occulte di dividendi evidenzia come l’Amministrazione finanziaria italiana disponga di strumenti aggressivi per contrastare l’evasione nelle piccole imprese familiari, ma evidenzia anche l’importanza delle garanzie difensive e di un equo bilanciamento degli oneri probatori. Abbiamo visto che la presunzione giurisprudenziale consente al Fisco di recuperare a tassazione utili occultati colpendo tanto la società quanto i soci, realizzando in sostanza quella doppia imposizione (societaria e personale) che si sarebbe avuta se tutto fosse stato dichiarato regolarmente . Ciò è comprensibile in un’ottica di deterrenza: se così non fosse, i soci di società ristretta avrebbero la convenienza a distribuire tutto in nero pagando solo, eventualmente, la tassa societaria in caso di scoperta.

D’altro canto, l’evoluzione recente del diritto tributario mostra una crescente attenzione ai diritti del contribuente: sentenze innovative (come Cass. 2464/2025) riconoscono che la presunzione non può diventare un’arma ingiusta contro chi, pur figurando come socio, non ha realmente partecipato alla gestione né beneficiato dell’evasione . Allo stesso modo, si esige dal Fisco correttezza procedurale, ad esempio motivando adeguatamente gli atti e coordinando le azioni contro società e soci .

Per i professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) è fondamentale padroneggiare sia gli aspetti tecnico-contabili (saper leggere un PVC, individuare incongruenze nei calcoli del Fisco) sia gli aspetti giuridici processuali (sollevare le eccezioni giuste al momento giusto, citare i precedenti favorevoli, ecc.). Come abbiamo illustrato, molto può dipendere dalla strategia difensiva: ad esempio, un socio minoritario che presenti subito prove tangibili della sua estraneità può ottenere l’annullamento dell’atto a suo carico , mentre una difesa generica o tardiva potrebbe non evitargli di pagare per qualcosa che non ha mai ricevuto.

Dal punto di vista dell’imprenditore e dei soci, la lezione è chiara: la gestione “in nero” degli utili comporta rischi elevatissimi. Non solo si può essere costretti a restituire al Fisco quanto evaso con pesanti sanzioni, ma si può subire un danno reputazionale, complicazioni penali e tensioni interne tra soci (pensiamo al socio che scopre di dover pagare tasse su utili mai incassati: potrebbe rivalersi civilmente contro gli amministratori o gli altri soci responsabili). Spesso il gioco non vale la candela, soprattutto considerando che l’Agenzia dispone di mezzi investigativi sempre più sofisticati (incrocio di dati, tracciamenti finanziari) e che normative come l’adempimento collaborativo o la cooperative compliance stanno prendendo piede per chi vuole stare nelle regole.

In conclusione, per difendersi al meglio in questo campo occorre: – Prevenire, con una rigorosa compliance fiscale e tenendo le “zone grigie” al minimo. – Qualora sorga una contestazione, analizzare a fondo sia il merito (i numeri, le prove) sia i vizi formali, senza trascurare nulla. – Agire tempestivamente, usando strumenti come l’adesione se conviene, o il ricorso mirato se si hanno buone ragioni. – Documentare ogni affermazione difensiva, poiché i giudici tributari decidono in base agli atti: affermazioni generiche di non aver preso soldi non bastano, servono pezze d’appoggio (documenti, conti, ecc.). – Tenersi aggiornati sugli sviluppi giurisprudenziali: come abbiamo visto, tra 2022 e 2025 ci sono stati sviluppi chiave (presunzione estesa ai soci società , nuove prove liberatorie , Sezioni Unite su ex soci ) che potrebbero fare la differenza in una causa oggi.

Speriamo che questa guida, con le sue oltre 10.000 parole, tabelle, esempi pratici e riferimenti puntuali a fonti autorevoli, possa servire da utile riferimento per orientarsi in una materia complessa ma affascinante, dove diritto tributario, procedura e strategia forense si intrecciano. In un sistema fiscale avanzato, l’equità sta anche nel saper distinguere i veri evasori da chi magari figura solo sulla carta: la giurisprudenza sembra muoversi in questa direzione, e il difensore dovrà essere abile a far emergere la verità caso per caso, assicurando che il Fisco recuperi il dovuto senza però eccedere i confini della presunzione legittima.

Fonti: Le affermazioni e orientamenti citati in questa guida sono stati desunti da sentenze della Corte di Cassazione e da commenti apparsi su riviste specializzate e portali fiscali aggiornati al 2025. In particolare, si è fatto riferimento a Cass. ord. n. 5866/2022 (coordinamento accertamenti società-socio) , Cass. ord. n. 18038/2024 (motivazione avvisi a ex socio) , Cass. ord. n. 26473/2024 e n. 2464/2025 (onere della prova ed estraneità del socio) , Cass. ord. n. 15274/2025 (presunzione valida anche con soci persone giuridiche e per costi disconosciuti) , nonché alla sentenza penale Cass. n. 41579/2023 (caso del socio occulto condannato) . Tali fonti sono state esplicitamente richiamate nel testo con apposite note, in conformità alle più autorevoli posizioni istituzionali e giurisprudenziali aggiornate.

  • CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 febbraio 2022, n. 5866 – L’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, riferito ad utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù del vincolo di partecipazione a ristretta base nonché dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, con la conseguenza che sebbene non ricorra, com’è per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, il giudice dell’accertamento relativo al maggior reddito accertato in capo al socio sospende il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., o, laddove ne ricorrano i presupposti (accertamento della società divenuto definitivo) ex art. 337, secondo comma, cod. proc. civ.

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ritiene che la tua società abbia effettuato distribuzioni occulte di dividendi ai soci? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ritiene che la tua società abbia effettuato distribuzioni occulte di dividendi ai soci?
Vuoi sapere quali rischi corri e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Le distribuzioni occulte di dividendi sono somme o benefici che i soci ricevono fuori dalle forme ufficiali di distribuzione degli utili, spesso attraverso spese non giustificate, compensi sproporzionati, finanziamenti anomali o utilizzo di beni sociali. L’Agenzia delle Entrate, in questi casi, presume che si tratti di utili non dichiarati, con conseguente doppia imposizione: sia per la società che per i soci.

👉 Prima regola: dimostrare che le operazioni contestate non sono distribuzioni di utili, ma spese aziendali legittime o compensi regolari.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Spese personali dei soci pagate con fondi societari;
  • Compensi agli amministratori o ai soci sproporzionati rispetto all’attività;
  • Finanziamenti infragruppo o ai soci senza restituzione;
  • Utilizzo gratuito di beni sociali (auto, immobili, attrezzature) a favore dei soci;
  • Differenze tra utile civilistico e reddito fiscale, con margini non giustificati.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Recupero delle imposte per la società e per i soci;
  • Sanzioni fiscali per infedele dichiarazione;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di indagini penali per appropriazione indebita o frode fiscale in casi gravi;
  • Contestazioni su agevolazioni e regimi fiscali eventualmente persi.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Documentazione delle spese: sono realmente inerenti all’attività aziendale?
  • Congruità dei compensi: erano deliberati e proporzionati al lavoro svolto?
  • Contratti e delibere societarie: esistono atti che giustificano i movimenti finanziari?
  • Motivazione dell’accertamento: il Fisco deve indicare fatti precisi, non solo presunzioni;
  • Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Bilanci d’esercizio e verbali assembleari;
  • Contratti di lavoro o consulenza dei soci/amministratori;
  • Delibere su compensi, rimborsi o distribuzioni ufficiali;
  • Estratti conto e pezze giustificative delle spese;
  • Perizie o relazioni sulla congruità delle operazioni.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la reale natura aziendale delle spese contestate;
  • Provare la regolarità dei compensi deliberati dagli organi societari;
  • Contestare la presunzione di distribuzione occulta quando priva di riscontri concreti;
  • Eccepire vizi dell’accertamento: motivazione carente, notifica irregolare, decadenza dei termini;
  • Richiedere autotutela se la documentazione era già presente ma ignorata;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con richiesta di sospensione cautelare;
  • Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e definire la controversia.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza le contestazioni e i rilievi dell’Agenzia delle Entrate;
📌 Verifica la natura reale delle spese e dei compensi contestati;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare la presunta distribuzione occulta;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire in sicurezza compensi, spese e utili societari.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e diritto societario-tributario;
✔️ Specializzato in difesa di società e soci contro contestazioni di utili occulti;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni del Fisco sulle distribuzioni occulte di dividendi non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni o da una lettura restrittiva delle spese aziendali.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta natura delle operazioni, evitare il recupero indebito di imposte e proteggere la tua società e i soci da sanzioni fiscali pesanti.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle distribuzioni occulte di dividendi inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!