Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la scissione societaria effettuata è stata qualificata come elusiva? In questi casi, l’Ufficio presume che l’operazione non sia stata dettata da reali esigenze organizzative o gestionali, ma finalizzata esclusivamente a ottenere vantaggi fiscali indebiti. La conseguenza è la riqualificazione della scissione e il recupero delle imposte, con applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: con la giusta strategia difensiva è possibile dimostrare la validità dell’operazione.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una scissione come elusiva
– Se la scissione è seguita da cessioni di partecipazioni o beni a valori incongrui
– Se l’operazione non ha un’effettiva giustificazione economica o industriale
– Se la divisione dei rami aziendali appare strumentale solo a ridurre la base imponibile
– Se emergono incongruenze tra la nuova struttura societaria e l’attività realmente svolta
– Se la scissione è ritenuta volta a frammentare utili o a trasferire passività in modo artificioso
Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione della scissione come operazione elusiva o abuso del diritto
– Recupero delle imposte dirette e indirette ritenute risparmiate indebitamente
– Applicazione di sanzioni per elusione fiscale
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Possibili ulteriori accertamenti su bilanci, soci e operazioni collegate
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche, gestionali o organizzative alla base della scissione
– Produrre verbali assembleari, relazioni degli amministratori e perizie indipendenti
– Contestare la presunzione di elusività se l’operazione ha avuto un impatto positivo sull’attività d’impresa
– Evidenziare vizi di motivazione, errori di diritto o decadenza dei termini dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento totale o parziale della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’atto di scissione, i bilanci e la documentazione societaria collegata
– Verificare la legittimità della contestazione rispetto alla normativa tributaria e societaria
– Redigere un ricorso mirato basato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Difendere la società e i soci davanti ai giudici tributari contro pretese indebite
– Tutelare il patrimonio aziendale e gli amministratori da conseguenze sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittimità della scissione societaria effettuata
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di gestire liberamente le operazioni straordinarie senza indebite pressioni fiscali
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce in tempo, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni sulle scissioni societarie e come tutelare i tuoi diritti.
👉 La tua società ha ricevuto una contestazione per scissioni considerate elusive? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo l’atto, valuteremo la legittimità della contestazione e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere i tuoi interessi.
Introduzione
L’Agenzia delle Entrate negli ultimi anni ha intensificato i controlli sulle scissioni societarie sospettate di perseguire finalità elusive. In particolare, vengono contestate quelle operazioni di scissione attuate al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali indebiti, sfruttando la neutralità fiscale prevista per tali operazioni, ma prive di valide ragioni economiche sottostanti. In questa guida approfondita (aggiornata ad agosto 2025) esamineremo la disciplina italiana rilevante, le più recenti sentenze e orientamenti giurisprudenziali e di prassi, e forniremo suggerimenti pratici su come difendersi sia in sede amministrativa che nel contenzioso tributario. Il taglio sarà avanzato, ma con linguaggio chiaro e divulgativo, utile a professionisti (avvocati, consulenti) ma anche a imprenditori e privati coinvolti in accertamenti fiscali su scissioni. Verranno analizzati i diversi tipi di scissione (totale, parziale, proporzionale, non proporzionale) e i possibili profili di abuso del diritto correlati, fornendo tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione domande e risposte frequenti dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta) oggetto di contestazione.
La scissione societaria: tipologie e disciplina fiscale
La scissione societaria è un’operazione straordinaria disciplinata dal codice civile (artt. 2506 e seguenti c.c.) tramite la quale il patrimonio di una società (detta società scissa) viene trasferito, in tutto o in parte, a una o più società beneficiarie, preesistenti o di nuova costituzione . In sostanza, la scissione comporta la suddivisione di un patrimonio sociale originario tra più società. Le principali tipologie di scissione sono:
- Scissione totale: la totalità del patrimonio della società scissa viene conferita a due o più società beneficiarie. La società originaria, a seguito della scissione totale, si estingue (viene cancellata) .
- Scissione parziale: solo una parte del patrimonio della scissa viene trasferita a una o più beneficiarie, mentre la società originaria prosegue la propria esistenza mantenendo il residuo del patrimonio non trasferito .
- Scissione proporzionale: i soci della società scissa ricevono quote o azioni delle società beneficiarie nello stesso rapporto in cui partecipavano al capitale della scissa. In altri termini, la composizione della compagine sociale delle beneficiarie rispecchia proporzionalmente quella originaria.
- Scissione non proporzionale (detta anche asimmetrica): i soci della scissa non ricevono partecipazioni delle beneficiarie in misura proporzionale alle quote possedute originariamente. Ciò può avvenire, ad esempio, attraverso l’assegnazione di quote delle società beneficiarie solo ad alcuni soci e non ad altri, con conseguente modifica nelle percentuali di partecipazione dei soci nelle varie entità post-scissione . Una forma particolare è la scissione asimmetrica pura, in cui uno o più soci della scissa non ricevono affatto azioni/quote di una o più beneficiarie, venendo compensati mediante un incremento della partecipazione nella società scissa (o con conguagli in denaro nei limiti consentiti dalla legge).
Di seguito una tabella riassuntiva delle tipologie di scissione e le loro caratteristiche principali:
Tipologia di scissione | Descrizione | Effetti sulla società scissa | Distribuzione delle partecipazioni |
---|---|---|---|
Scissione totale | Trasferimento dell’intero patrimonio a due o più beneficiarie . | La società scissa si estingue (cancellazione). | I soci originari ricevono partecipazioni solo delle beneficiarie (la scissa scompare). |
Scissione parziale | Trasferimento di parte del patrimonio a una o più beneficiarie . | La società scissa continua ad esistere con il patrimonio residuo. | I soci ricevono partecipazioni nelle beneficiarie, mantenendo anche la partecipazione nella scissa. |
Scissione proporzionale | I soci ricevono partecipazioni delle beneficiarie in misura proporzionale alla quota detenuta nella scissa. | Può essere sia totale che parziale (la distinzione è sulla proporzionalità, non sull’estinzione). | La struttura proprietaria di ciascuna beneficiaria rispecchia la proporzione originaria dei soci. |
Scissione non proporzionale (asimmetrica) | I soci ricevono partecipazioni non proporzionali; alcuni soci possono aumentare o diminuire la propria percentuale in certe società, o non ricevere affatto partecipazioni di una beneficiaria . | Può essere totale o parziale. Nel caso estremo di scissione totale asimmetrica, la scissa si estingue e alcuni soci possono rimanere esclusivamente soci di una delle beneficiarie. | La distribuzione delle partecipazioni differisce dalla situazione originaria: possono crearsi società beneficiarie con assetti proprietari differenti (es. un socio prende interamente la beneficiaria A, l’altro la beneficiaria B). |
Disciplina fiscale – Art. 173 TUIR (neutralità fiscale): ai fini delle imposte dirette, le scissioni societarie godono di un regime di neutralità fiscale, disciplinato dall’art. 173 del TUIR (D.P.R. 917/1986). In base a tale norma, una scissione non realizza di per sé materia imponibile (non è considerata cessione a titolo oneroso dei beni trasferiti) a condizione che sia rispettata la continuità dei valori fiscali. In altri termini, non emergono plusvalenze imponibili al momento della scissione: i beni trasferiti conservano nelle società beneficiarie i medesimi valori fiscalmente riconosciuti che avevano presso la scissa . I componenti positivi latenti (plusvalenze) rimangono sospesi e saranno tassati solo al verificarsi di eventi successivi come: cessione a titolo oneroso dei beni, risarcimento per perdita/danneggiamento, assegnazione ai soci, o destinazione a finalità estranee all’esercizio d’impresa . Analogamente, la scissione non comporta fuoriuscita dei beni dal regime d’impresa, purché le società beneficiarie non applichino regimi fiscali agevolati speciali .
Questo regime di neutralità è finalizzato a favorire le riorganizzazioni aziendali genuine, evitando ostacoli fiscali a operazioni che spesso mirano a migliorare l’efficienza gestionale, separare linee di business, risolvere conflitti societari, facilitare il passaggio generazionale, ecc. Non a caso, il presupposto implicito della neutralità ex art. 173 TUIR è che la scissione trovi giustificazione economica in esigenze organizzative reali dell’impresa . Quando invece l’operazione è volta unicamente a ottenere un risparmio d’imposta, si rischia di incorrere nella contestazione di abuso del diritto o elusione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria, con il disconoscimento dei benefici fiscali della neutralità.
Nota: La neutralità fiscale della scissione si applica alle imposte sui redditi ed è subordinata, tra l’altro, al rispetto di specifiche condizioni anti-elusive previste dallo stesso art. 173 TUIR (richiami ai commi 5 e 6 dell’art. 172 TUIR in tema di perdite fiscali, ACE, ecc.) . Inoltre, ai fini delle imposte indirette, le scissioni scontano imposta di registro fissa (€200) e fisse ipotecarie-catastali , in quanto considerate operazioni neutre anche in quei ambiti (salvo casi particolari).
In sintesi, la scissione è di regola fiscalmente neutra, ma tale neutralità può essere disconosciuta dall’Agenzia delle Entrate se l’operazione viene giudicata abusiva/elusiva, cioè priva di sostanza economica e finalizzata solo al risparmio d’imposta. Vediamo quindi cosa si intende per abuso del diritto in ambito tributario e come si applica alle scissioni.
Abuso del diritto ed elusione fiscale nelle scissioni: normativa e principi
In Italia il concetto di elusione fiscale (o abuso del diritto in materia tributaria) è oggi disciplinato espressamente dall’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), introdotto dal D.Lgs. 128/2015. Tale norma ha unificato le precedenti nozioni di elusione e abuso del diritto, fornendo una clausola antielusiva generale che preclude al contribuente di ottenere vantaggi fiscali indebiti mediante l’uso distorto di strumenti giuridici, pur nel rispetto formale delle norme. In altre parole, sono considerate abusive quelle operazioni, o serie di operazioni, che:*
- a) comportano il conseguimento di un vantaggio fiscale indebito, cioè un risparmio d’imposta contrario alla ratio delle norme fiscali o ai principi dell’ordinamento tributario ;
- b) sono prive di sostanza economica, vale a dire operazioni che non producono effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali ottenuti ;
- c) sono effettuate con l’essenziale finalità di ottenere quel vantaggio fiscale (la ricerca del risparmio d’imposta costituisce lo scopo prevalente dell’operazione) .
Questi tre elementi (indebito vantaggio fiscale, mancanza di sostanza economica, finalità essenzialmente fiscale) devono concorrere congiuntamente perché si configuri un abuso del diritto . Se ne manca anche solo uno, l’operazione non è qualificabile come abusiva .
La mancanza di sostanza economica viene ravvisata, secondo la norma, in fatti, atti e contratti inidonei a produrre effetti economici apprezzabili diversi dai risparmi d’imposta . La Relazione illustrativa al D.Lgs. 128/2015 (che introdusse l’art. 10-bis) fornisce alcuni indici di artificiosità: ad esempio, l’uso di strumenti giuridici non coerenti con normali logiche di mercato o una concatenazione negoziale anomala e non giustificata da ragioni extrafiscali sostanziali . In sostanza, occorre valutare se le scelte effettuate dall’impresa avrebbero senso economico anche in assenza dei benefici fiscali.
Va però sottolineato che la stessa norma (art. 10-bis, comma 3) salva le operazioni che, pur generando un risparmio d’imposta, sono supportate da “valide ragioni extrafiscali, non marginali”, anche di natura organizzativa o gestionale, le quali rispondono a finalità economiche (miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa) . In altri termini, se l’operazione è giustificata da motivazioni economico-aziendali sostanziali (non meramente pretestuose) – ad esempio la ristrutturazione di un gruppo per gestire meglio diversi rami d’azienda, risolvere situazioni conflittuali tra soci, facilitare l’ingresso di investitori, il ricambio generazionale, evitare commistioni patrimoniali, ecc. – allora non si considera elusiva anche se comporta un risparmio d’imposta legittimo .
È essenziale distinguere l’abuso del diritto dall’evasione fiscale: nell’abuso il contribuente si muove nell’ambito della legalità formale (non viola disposizioni fiscali in senso stretto), ma le sue operazioni, pur legittime sul piano civilistico, sono riqualificate dall’Amministrazione Finanziaria in base alla sostanza economica e disconosciute negli effetti fiscali abusivi. Nell’evasione invece c’è violazione diretta della legge (omessa dichiarazione, false fatture, frodi, simulazioni, ecc.). Di conseguenza, solo l’evasione comporta profili penali; l’abuso del diritto non costituisce reato tributario, essendo esente da elementi di frode o falsità . Le operazioni abusive possono comportare sanzioni amministrative (in genere, quelle per infedele dichiarazione), ma non sanzioni penali .
L’abuso del diritto secondo la giurisprudenza recente
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, soprattutto della Sezione Tributaria, ha spesso riaffermato i criteri per identificare l’abuso del diritto in ambito fiscale, in linea con la normativa sopra descritta e i principi costituzionali (art. 53 Costituzione: capacità contributiva e progressività). Ad esempio, la Cassazione ha definito abuso quelle “costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e sono prive di sostanza commerciale ed economica” . Inoltre, ai fini di individuare una condotta abusiva, occorre una attenta valutazione delle ragioni economiche delle operazioni: se risultano oggettivamente giustificabili secondo la normale pratica degli affari, il rischio di abuso è minimo o assente; viceversa operazioni che, pur effettive nella forma, riflettono assetti economici anomali ottenuti tramite artifici negoziali possono giustificare un intervento del Fisco, specie laddove il contribuente ha scelto una via fiscalmente più favorevole a fronte di un’alternativa più onerosa (in termini d’imposta) che apparirebbe economicamente più normale . Insomma, la Cassazione enfatizza come indice di abuso la presenza di una strada alternativa più gravosa fiscalmente, evitata dal contribuente attraverso costruzioni artificiose .
Tuttavia, si deve ricordare che lo stesso art. 10-bis, comma 4, Statuto Contribuente sancisce la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi previsti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale . Questo significa che se il vantaggio fiscale deriva dall’utilizzo di un’opzione o di un regime espressamente voluto dall’ordinamento, non può considerarsi indebito. La Cassazione e la prassi hanno recepito questo principio: ad esempio, è stato affermato che “quando ci si mette nelle condizioni di legge per fruire di un vantaggio previsto dall’ordinamento – non vi è nessuna valida ragione economica da addurre”, poiché il vantaggio non è indebito . In sostanza, non serve cercare “sostanza economica” ulteriore se l’operazione mira a ottenere un risparmio legittimamente previsto dal legislatore (come ad es. beneficiare di un’agevolazione o di un regime fiscale opzionale) . È ripudiata quindi la vecchia idea che dovesse sempre “prevalere la sostanza sulla forma” imponendo comunque la via fiscalmente più onerosa . Oggi si riconosce che il contribuente può legittimamente scegliere tra più forme giuridiche quella a minor carico fiscale, se tutte lecite. Un esempio calzante fornito dagli esperti: il contribuente può scegliere, per ottenere un certo effetto economico (es. trasferire un bene ai soci), tra l’assegnazione agevolata e la scissione del ramo d’azienda, entrambe previste dalla legge; scegliere la via meno onerosa (scissione) senza altre ragioni economiche non è abuso, proprio perché il vantaggio fiscale conseguito è legittimo e voluto dall’ordinamento .
In ambito di scissioni, ciò significa ad esempio che non è di per sé abusivo preferire una scissione (operazione neutrale) anziché un’assegnazione di beni ai soci soggetta a imposta, se questo rientra nelle opzioni offerte dalla legge e non viola alcuna norma antiabuso specifica . Naturalmente, bisogna valutare caso per caso: se l’utilizzo della scissione è solo strumentale e aggira una disposizione che impone una tassazione, e tale uso non era nelle intenzioni del legislatore, allora il vantaggio ottenuto può essere considerato indebito.
Riassumendo i concetti chiave in ambito di abuso del diritto applicato alle scissioni:
- La scissione è fiscalmente neutra (nessuna imposizione immediata) se è una riorganizzazione fisiologica dell’attività imprenditoriale . Al contrario, se viene utilizzata come schermo per realizzare ciò che economicamente è una distribuzione di utili o di patrimoni ai soci evitando le imposte, l’Amministrazione potrà contestare l’operazione come abuso/elusione.
- L’Agenzia delle Entrate deve provare che l’operazione conferisce un vantaggio fiscale indebito e che essa manca di sostanza economica diversa dal risparmio fiscale. Dal canto suo, il contribuente potrà difendersi dimostrando l’esistenza di valide ragioni extrafiscali non marginali che giustificano la scissione (onere della prova che spetta al contribuente sul punto ).
- Operazioni di scissione formalmente legittime possono essere riqualificate secondo la loro sostanza economica effettiva. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che la neutralità fiscale della scissione non impedisce di riconoscere un disegno elusivo se, guardando al significato economico complessivo dei vari atti compiuti, emerge che tramite la scissione si è di fatto realizzata una assegnazione di beni ai soci aggirando la normale tassazione .
- Non è necessario, per configurare abuso, che tutte le fasi dell’operazione fossero pianificate ex ante nei dettagli: la Cassazione ha affermato che può bastare anche un collegamento negoziale ex post (ad esempio un accordo tra soci) che unifichi teleologicamente le operazioni compiute, per considerarle parti di un disegno elusivo unitario . Ciò impedisce al contribuente di difendersi sostenendo che ciascuna tappa separatamente presa era lecita se l’insieme rivela un intento abusivo.
- Viceversa, quando il contribuente si attiene a una norma agevolativa o un regime opzionale previsto (ad esempio effettua una scissione seguita da vendita di partecipazioni affrancate, cosa che l’ordinamento consente), allora il vantaggio ottenuto non è indebito e non occorre dimostrare ulteriori motivazioni economiche . In questi casi, la stessa Agenzia ha riconosciuto la liceità dell’operazione.
Nei prossimi paragrafi esamineremo esempi concreti di operazioni di scissione contestate dall’Agenzia delle Entrate come elusive e le relative decisioni giurisprudenziali, distinguendo i casi patologici (dove è stata riconosciuta l’abusività) dai casi leciti (dove, in base a prassi o sentenze, la scissione è stata ritenuta legittima nonostante il risparmio fiscale).
Casi pratici: operazioni di scissione sotto la lente del Fisco (lecite vs. elusive)
Di seguito analizziamo alcune fattispecie ricorrenti di scissioni societarie, mettendo in evidenza quali elementi hanno portato l’Amministrazione a considerarle abusive e quali elementi invece possono attestare la genuinità dell’operazione. Ci concentreremo sui casi più recenti e significativi, con pronunce aggiornate al 2024-2025, incluse quelle relative a scissioni totali, parziali, proporzionali e non proporzionali.
Caso 1: Scissione di società immobiliare (“di godimento”) per assegnare beni ai soci
Scenario: Una società detiene un immobile di valore (es. una palazzina) e non svolge reale attività d’impresa (tipico caso di società di mero godimento dell’immobile). I soci utilizzano l’immobile a titolo personale (magari in uso gratuito). Si decide di effettuare una scissione asimmetrica totale: l’immobile viene trasferito a due nuove società beneficiarie, ciascuna intestata a uno dei due soci originari, dopodiché la società scissa viene liquidata. In pratica ogni socio, tramite la propria nuova società, ottiene la proprietà del bene, realizzando di fatto un’assegnazione ai soci del cespite, ma formalmente attraverso la scissione anziché tramite distribuzione diretta.
Profilo fiscale contestato: Un’operazione del genere può essere vista come un modo per evitare la tassazione che sarebbe normalmente applicabile in caso di assegnazione o liquidazione con devoluzione dell’immobile ai soci. L’Agenzia delle Entrate potrebbe sostenere che si è abusivamente sfruttata la neutralità della scissione per aggirare il regime fiscale della liquidazione (che avrebbe comportato emersione di plusvalenze tassabili o applicazione dell’imposta sostitutiva sulle assegnazioni agevolate, se prevista) .
Giurisprudenza: Un caso emblematico è la vicenda decisa dalla Cassazione n. 27870/2024. Qui una scissione asimmetrica fu contestata dall’Agenzia e, dopo un lungo contenzioso, la Suprema Corte ha dato ragione al Fisco . Dalla sentenza emerge che:
– La società scissa non aveva mai svolto effettiva attività commerciale, limitandosi a tenere l’immobile e concederlo in godimento gratuito ai soci . Era quindi una tipica società di comodo/familiare, operante “al di fuori di qualsiasi logica di mercato”.
– I soci avevano motivato la scissione con generiche ragioni (dissidi gestionali, volontà di separare il patrimonio), ma per la Corte tali ragioni non erano supportate da valide esigenze economiche prevalenti . L’operazione appariva finalizzata a beneficiare indebitamente della non tassazione immediata.
– La Cassazione ha affermato che non è l’istituto della scissione in sé ad essere elusivo, bensì “l’uso che ne ha fatto” in questo caso una società che di fatto fungeva solo da schermo per il godimento di un immobile da parte dei soci . In altre parole, la scissione è divenuta strumento elusivo poiché ha sfruttato indebitamente la sua neutralità fiscale in un contesto privo di sostanza economica (società inattiva con bene personale dei soci).
– Si è quindi configurato un abuso del diritto: un’operazione formalmente consentita (scissione asimmetrica, prevista dall’art. 2506 c.c.) ma che “costituisce una fattispecie di abuso del diritto, che sfrutta in modo indebito la neutralità della scissione stessa e aggira il regime realizzativo della liquidazione” . Il vantaggio fiscale indebito consiste nell’aver evitato la tassazione che sarebbe emersa liquidando la società con attribuzione dell’immobile ai soci.
In questa pronuncia (Cass. 27870/2024) la Corte ha richiamato i principi generali antiabuso: ogni qualvolta un’operazione sia priva di valide ragioni economiche e configuri una costruzione artificiosa finalizzata a eludere imposte, l’Amministrazione può disconoscerne i benefici . Inoltre, il fatto che l’operazione fosse lecita civilmente non salva il contribuente in ambito tributario: la sentenza sottolinea “l’autonomia del piano fiscale da quello civilistico” e la necessità di guardare alla sostanza economica prevalente .
Esito: La scissione in questione è stata considerata abusiva e gli avvisi di accertamento (che presumibilmente riprendevano a tassazione la plusvalenza sull’immobile come se fosse stato assegnato direttamente ai soci) sono stati confermati. Questo caso dimostra che operazioni di scissione totalmente prive di scopi economici reali, specie se attuate da società immobiliari statiche, sono altamente suscettibili di contestazione.
Difesa (lezione appresa): Per contro, se in una situazione simile si volesse evitare l’abuso, occorrerebbe poter dimostrare elementi sostanziali: ad esempio che la società aveva comunque un’attività o un piano di utilizzo dell’immobile, che la scissione era funzionale a una reale riorganizzazione (magari destinando l’immobile a una società e altre attività a un’altra) e non semplicemente a regalare ai soci la proprietà. Inoltre, esistono strumenti normativi appositi per assegnare immobili ai soci con tassazione agevolata (ad es. assegnazione agevolata prevista da leggi temporanee, come quella richiamata nel 2017 e di nuovo nel 2023): usare la scissione per ottenere lo stesso risultato senza pagare nemmeno l’aliquota agevolata può apparire come un aggiramento. Non a caso, l’Agenzia e la Cassazione evidenziano quando il comportamento cerca di “schivare” una tassazione prevista a fronte di un evento come la distribuzione di beni ai soci .
Va segnalato che la stessa Cassazione, pochi giorni dopo, ha emesso un’altra decisione analoga (sent. n. 27905 del 29/10/2024) sempre in tema di abuso in una scissione con assegnazione di immobili ai soci (caso per certi versi sovrapponibile). In tali pronunce la Corte ha ribadito che non rileva la mera liceità civilistica dell’operazione: anche se la scissione durante la liquidazione è astrattamente consentita dal codice civile, ciò non impedisce di qualificarla come abusiva se priva di sostanza economica e mirata al vantaggio fiscale .
In sintesi, quando una società di godimento immobiliare (ossia priva di vera attività) effettua una scissione attraverso cui di fatto i soci ottengono l’immobile senza tassazione, l’Agenzia delle Entrate con ogni probabilità contesterà l’operazione come abuso del diritto. La difesa, in tali casi, è molto difficile se non vi sono elementi oggettivi che diano un senso imprenditoriale all’operazione.
Caso 2: Scissione seguita da cessione di partecipazioni (operazioni a catena)
Scenario: Una società A possiede beni o rami d’azienda pregiati. Il socio X vuole uscire dalla compagine ricevendo il valore della sua quota, oppure si vuole trasferire parte del business ad altri soci o terzi, evitando però imposizioni elevate. Si struttura quindi un’operazione in più fasi: 1. Scissione di A in due società (A1 e A2, per esempio), attribuendo ad A2 certi beni/rami;
2. Successivamente, cessione delle partecipazioni di A2 o di A1 a uno dei soci o a terzi investitori;
3. Eventualmente, riassetti incrociati (ricompre acquisti di beni tra A1 e A2, ecc.) per raggiungere la distribuzione desiderata degli asset tra i soggetti.
Tramite questo percorso, sostanzialmente un socio ottiene di appropriarsi di certi beni (tramite società separate) o di monetizzare la propria partecipazione, senza passare per una distribuzione diretta di quei beni. L’intento può essere quello di beneficiare di regimi più favorevoli: ad esempio, la cessione di partecipazioni societarie può godere della PEX (Participation Exemption) per le società o della tassazione ridotta per persone fisiche (capital gain al 26%, o parziale imponibilità) – comunque spesso inferiore alla tassazione di una plusvalenza da cessione di beni o di una distribuzione di riserve.
Profilo fiscale contestato: L’Agenzia può vedere in queste operazioni complesse un unico disegno elusivo volto a realizzare di fatto un’assegnazione di beni ai soci o una cessione di azienda, dissimulata attraverso atti societari formalmente diversi (scissioni, vendite di quote). In particolare, è stata giudicata sospetta la scissione parziale con conferimento degli immobili in una beneficiaria, seguita dalla cessione delle partecipazioni sia della beneficiaria che della scissa stessa agli altri soci: uno schema che consente a un socio di uscire portando con sé valore senza che si veda mai una “uscita” di beni tassata come tale.
Giurisprudenza: Un riferimento importante è la Cassazione n. 27709/2022. In quel caso, come descritto nella sentenza, il contribuente aveva effettuato: – una scissione parziale di una società, trasferendo tutti gli immobili a una società beneficiaria neocostituita; – poi la società originaria (scissa) aveva riacquistato una parte di quegli immobili dalla beneficiaria; – infine, il socio di maggioranza aveva ceduto sia la partecipazione nella beneficiaria sia parte della propria partecipazione nella scissa agli altri soci .
L’Agenzia delle Entrate (confermata in Commissione Tributaria provinciale e regionale) ha sostenuto che questo intreccio di atti permetteva al socio di aggirare le norme sulle assegnazioni di beni ai soci, ottenendo lo stesso risultato (beni che finiscono sostanzialmente nella sfera di altri soci, e il socio uscente monetizza) senza pagarne le imposte dovute . Il contribuente si difendeva dicendo che formalmente gli immobili non erano mai stati assegnati a lui, essendo rimasti in regime d’impresa (prima in A2, poi riacquistati da A1), e che egli aveva solo venduto quote, operazione di per sé lecita e separata .
La Cassazione ha respinto la tesi difensiva, affermando che occorre guardare alla “logica economica perseguita” e non farsi trarre in inganno dalla denominazione formale dei singoli atti . In particolare, ha ribadito che: “la neutralità della forma della scissione ai fini fiscali non esclude che attraverso essa possa essere realizzato un disegno elusivo (…); ciò che conta è l’esame del significato economico complessivo dell’operazione” . Se le varie fasi non hanno una “autonomia” economica giustificata, bisogna riferirsi all’effetto finale unitario per valutarne l’abusività . Nel caso di specie, il risultato finale era che un socio aveva sostanzialmente attribuito (indirettamente) immobili agli altri soci in cambio dell’uscita dalla società, evitando la tassazione che un’assegnazione diretta avrebbe comportato.
La Suprema Corte ha dunque concluso con un principio di diritto: “In materia tributaria, l’operazione economica che non trova giustificazione extrafiscale ed è diretta essenzialmente a conseguire un risparmio d’imposta costituisce condotta abusiva” . Ha aggiunto che la prova del disegno elusivo incombe sull’Amministrazione, ma non è necessario provare che tutte le fasi fossero preordinate sin dall’inizio; può emergere anche da accordi tra le parti che collegano le operazioni .
Questo caso conferma dunque che una scissione seguita da cessione di partecipazioni può essere vista come abuso se è finalizzata a distribuire valore ai soci in modo fiscalmente attenuato. Ad esempio, scindere immobili in una newco e poi vendere la newco – se il compratore è in realtà il socio stesso o parti correlate – può equivalere a un’assegnazione mascherata. Se invece la vendita delle partecipazioni avviene a terzi indipendenti a valori di mercato, realizzando un’uscita effettiva di un ramo d’azienda verso un nuovo proprietario, l’operazione potrebbe essere giustificata da valide ragioni (es. cedere un ramo senza vendere tutta la società) e l’intento economico (alienazione a terzi) potrebbe prevalere, rendendo più difendibile la legittimità fiscale.
Interessante notare che l’Agenzia delle Entrate, in passato, ha anche riconosciuto la non elusività di operazioni simili quando condotte nel rispetto delle norme: la Risoluzione 97/E/2017 ha affrontato una scissione seguita dalla cessione di partecipazioni “affrancate” (ossia con il pagamento di un’imposta per step-up del valore). In quell’occasione l’Agenzia ha affermato esplicitamente la liceità di scegliere questo percorso, in quanto “l’ordinamento ammette che l’azienda può circolare indifferentemente sia attraverso una cessione diretta sia attraverso una cessione indiretta”, e dunque il contribuente può scegliere la via fiscalmente meno onerosa (la scissione) senza necessità di giustificare ulteriormente l’operazione . Questo orientamento di prassi, ripreso anche in articoli di dottrina (Assonime circolare 27/2018), sottolinea che se tutte le norme specifiche sono rispettate (nel caso citato, fu pagata l’imposta di affrancamento sulle partecipazioni, quindi nessun vantaggio “indebito”), non c’è abuso e non occorre addurre valide ragioni extrafiscali aggiuntive .
Dunque, la sottile linea tra lecito e abusivo in queste operazioni a catena sta spesso in: – Chi è la controparte della cessione e come avviene: se è un terzo estraneo vs se è uno dei soci o soggetti collegati. Nel caso Cass. 27709/2022 la cessione quote era agli altri soci (quindi riorganizzazione interna con socio liquidato); nella Ris. 97/E/2017 probabilmente si trattava di cessione a terzi con pagamento di imposta sostitutiva, considerata lecita. – Se vengono eluse imposte su trasferimenti: se l’effetto è evitare un’imposta su assegnazione ai soci o su cessione di beni, è più facile configurare abuso; se l’operazione rientra nelle alternative consentite e previste (come vendita di partecipazioni con PEX dopo scissione di un ramo), e magari il contribuente versa quanto dovuto (es. affranca plusvalenze latenti pagando l’imposta prevista), allora non c’è “indebito” vantaggio.
In conclusione, le scissioni seguite da cessioni vanno strutturate con estrema attenzione. Per difendersi da eventuali accuse di elusione, è bene: – Documentare un progetto industriale chiaro (es. scissione per separare due business, e cessione di uno di essi a investitori terzi, come operazione di finanza straordinaria con motivazioni di mercato). – Evitare passaggi tortuosi non necessari o re-acquisti incrociati che possono apparire artificiosi (come l’inusuale riacquisto di beni effettuato nella vicenda sopra citata, che ha insospettito il Fisco). – Se l’obiettivo è in realtà far uscire un socio liquidandolo, considerare di usare strumenti fiscalmente trasparenti (es. liquidazione con tassazione agevolata se prevista) oppure assicurarsi che la transazione simuli il meno possibile un’assegnazione (ad esempio, pagando eventuali imposte sostitutive su riserve accumulate, ecc.).
Caso 3: Scissione non proporzionale per dividere patrimoni tra soci (dissidi o riorganizzazioni interne)
Scenario: Più soci detengono congiuntamente una società che magari possiede diversi beni o rami. I soci hanno visioni divergenti o interessi differenti sui vari asset. Si propone allora una scissione non proporzionale in modo da separare gli asset: ad esempio, nella scissione parziale asimmetrica i beni X vanno a una beneficiaria che farà capo al socio A, e i beni Y restano nella società originaria che rimarrà al socio B. Operazioni di questo tipo sono spesso utilizzate per risolvere conflittualità tra soci o per agevolare un passaggio generazionale (assegnando linee di business diverse ai rami familiari) . Dal punto di vista fiscale, in questi casi non c’è un “risparmio d’imposta” immediato evidente, poiché non si stanno distribuendo utili né cedendo a terzi: si sta solo riorganizzando la proprietà dei beni fra i soci esistenti.
Tuttavia, in passato l’Agenzia delle Entrate guardava con sospetto alcune scissioni asimmetriche, temendo che potessero mascherare permute di partecipazioni tra soci o divisioni di patrimoni societari che, se fatte al di fuori del regime di scissione, avrebbero potuto avere costi fiscali (si pensi all’esempio in cui due soci si dividono gli asset di una società: farlo per via di scissione è neutro, farlo liquidando la società comporterebbe tassazione).
Evoluzione della prassi: Sul finire degli anni 2010, la posizione ufficiale dell’Agenzia è diventata più chiara e permissiva verso le scissioni non proporzionali realizzate per motivi non fiscali. Un punto di svolta è la Risoluzione 98/E del 26 luglio 2017, dove l’Amministrazione finanziaria ha di fatto sdoganato la scissione asimmetrica come strumento lecito di riorganizzazione societaria in presenza di dissidi tra soci o esigenze simili . In particolare, quella risoluzione (rispondendo a un interpello anti-abuso) riguardava proprio una scissione parziale asimmetrica non proporzionale di una società immobiliare, pensata per permettere l’assegnazione agevolata di beni solo ad alcuni soci (che la volevano) mentre altri soci contrari sarebbero confluiti in un’altra società tramite scissione. L’Agenzia ha confermato che tale operazione non era abusiva, ma anzi conforme alla ratio della legge di incentivo all’assegnazione agevolata . Si è sottolineato che la scissione era in quel caso strumentale a una migliore ripartizione degli asset tra soci con obiettivi diversi, e che non si realizzava alcun arricchimento/impoverimento tra soci (nessun trasferimento occulto di ricchezza, grazie a rapporti di cambio congrui) . L’Amministrazione ha riconosciuto la scissione come mera operazione organizzativa propedeutica a consentire l’assegnazione agevolata solo ad alcuni soci, opzione non vietata (cita infatti la Circ. 26/E/2016 secondo cui nell’assegnazione agevolata “non costituisce causa ostativa l’attribuzione di beni agevolabili solo a taluni soci anziché alla generalità”) . In definitiva, la Risoluzione 98/E/2017 considera la scissione non proporzionale lecita e non finalizzata ad aggirare l’ordinamento, ma anzi meritevole perché risolve un impasse tra soci rispettando lo spirito della legge .
Analogamente, numerose Risposte ad interpello successive hanno confermato la linea: ad esempio la Risposta 421/2020 ha giudicato non abusiva la scissione non proporzionale di una società immobiliare chiesta per dividere il patrimonio tra due gruppi di soci (nuovi vs anziani) preoccupati di futuri dissidi . L’Agenzia, in quel caso, non ha preteso prove di conflitti insanabili né ha imposto impegni particolari ai soci (come il divieto di cedere le quote dopo la scissione) . Si è limitata a raccomandare attenzione a non alterare i valori di perizia in modo da nascondere cessioni di partecipazioni tra soci sotto le mentite spoglie della scissione . Infatti, se i soci approfittassero della scissione neutrale per assegnare valori sproporzionati (es.: due soci al 50% dividono l’azienda 60/40 tra le due nuove società, realizzando di fatto il passaggio del 10% di valore da uno all’altro), ciò costituirebbe un comportamento illecito – addirittura evasione fiscale se c’è un conguaglio occulto in denaro . Ma in assenza di tali artifizi, la scissione per separare soci è considerata legittima e rispondente allo spirito di consentire flessibilità nelle riorganizzazioni.
Un ulteriore esempio: Risposta 335/2022 (già citata in precedenza) – caso di scissione parziale asimmetrica in ambito di riorganizzazione di gruppo con holding – ha concluso per la non abusività, dichiarando l’operazione “fisiologica” e finalizzata alla continuazione effettiva delle attività d’impresa, senza indebito vantaggio fiscale . Anche qui l’Agenzia ha ribadito che l’effetto tipico della scissione asimmetrica (non assegnare azioni della beneficiaria ad alcuni soci) è espressamente consentito dalla legge civile e nel caso concreto serviva a un miglior assetto organizzativo, dunque privo di intento elusivo.
Sintesi: Le scissioni non proporzionali non sono più viste di per sé come elusive. L’Agenzia delle Entrate stessa ha chiarito che, se l’operazione non comporta indebiti vantaggi fiscali e risponde a logiche di sistema (es. separare soci litigiosi, riorganizzare l’impresa per maggiore efficienza, facilitare passaggi generazionali, ecc.), non si configura abuso . Come ricordato in dottrina, oggi “il contribuente può scegliere… tra l’assegnazione dei beni e la scissione del ramo d’azienda: entrambe le scelte sono lecite e… può scegliere la via fiscalmente meno onerosa (la scissione) senza necessità di giustificare la sostanza economica” – questa affermazione si riferisce proprio al caso di divisione del patrimonio tra soci tramite scissione invece che assegnazione diretta.
Unica cautela: evitare abusi nella valutazione degli asset e nella distribuzione delle partecipazioni. Come evidenziato dalla risposta 421/2020, se la scissione viene usata surrettiziamente per trasferire quote societarie tra soci (tramite attribuzioni asimmetriche non corrispondenti ai valori reali, con eventuali conguagli occultati), allora non si parlerebbe nemmeno di abuso del diritto, bensì di evasione vera e propria (perché si simulerebbe una scissione per coprire una compravendita di partecipazioni non dichiarata) . Ma questi sono casi di frode, non di abuso. In condizioni normali, invece, la scissione asimmetrica rimane nei confini della legalità se attuata correttamente.
Esempio pratico lecito: Tizio e Caio sono fratelli e soci al 50% di una SRL immobiliare con due immobili distinti. Decidono di dividersi gli immobili ciascuno col proprio. Fanno una scissione parziale non proporzionale: l’immobile 1 resta in Alfa SRL (scissa) che avrà come socio unico Tizio al 100%; l’immobile 2 va in Beta SRL (beneficiaria di nuova costituzione) partecipata al 100% da Caio. Nessun conguaglio in denaro, valori divisi equamente. Dopo la scissione, Alfa e Beta saranno messe in liquidazione per assegnare ai rispettivi soci l’immobile. Profilo fiscale: finché la scissione avviene a valori congrui e poi ciascuna società paga l’eventuale imposta sulla successiva assegnazione (o beneficia di un’agevolazione se prevista), non c’è indebito vantaggio. L’operazione appare motivata dalla volontà legittima di separare le proprietà tra i fratelli, ed è stata condotta attraverso un percorso lecito. L’Agenzia – stando alle prassi citate – non dovrebbe considerarla abusiva, in quanto anche scegliendo la via della scissione invece di altre soluzioni, non si è violata alcuna finalità di norma fiscale (i fratelli avrebbero potuto usare direttamente l’assegnazione agevolata dividendo i beni, ma la scissione ha permesso di farlo in modo organizzato: ciò rientra nelle libertà del contribuente).
Caso 4: Scissione e “abuso del diritto” in società in liquidazione o procedure concorsuali
Scenario: Una società è in liquidazione (cessa l’attività e liquida i beni ai soci) oppure in difficoltà. Durante la liquidazione, prima di distribuire attivi ai soci, si effettua una scissione. Ad esempio, la società in liquidazione scinde il suo patrimonio, trasferendone una parte a una beneficiaria, magari con l’obiettivo di vendere separatamente pezzi dell’azienda o soddisfare i creditori in modo più efficiente.
Dal punto di vista civilistico, è ammesso che una società in liquidazione partecipi a una scissione, purché non abbia ancora iniziato la distribuzione dell’attivo (art. 2506 ultimo comma c.c.) . Ciò perché, finché non distribuisce ai soci, la società può riorganizzare il patrimonio anche in liquidazione se ciò non contravviene allo scopo liquidatorio. Per esempio, si può scindere per meglio valorizzare asset da vendere, isolando attività sane da passività, ecc. Come notato in dottrina, questa possibilità deve però essere valutata caso per caso per non violare il divieto di intraprendere “nuove operazioni” da parte del liquidatore (art. 2279 c.c.) . In generale, finché la scissione in liquidazione serve a massimizzare il realizzo per pagare i creditori o a distribuire più agevolmente ai soci ciò che resta, può avere un razionale lecito.
Profilo fiscale: L’Agenzia delle Entrate potrebbe sospettare che una scissione effettuata durante la liquidazione sia finalizzata ad aggirare la tassazione che colpirebbe la distribuzione finale ai soci. Ad esempio, se una società ha riserve o plusvalori latenti, la liquidazione ordinaria farebbe emergere imponibili (es. distribuzione di riserve di capitale eccedenti può essere tassata come dividendo per i soci, e la società potrebbe realizzare plusvalenze su beni ceduti ai soci). Se invece con una scissione i beni vanno a una società di nuova costituzione e la società originaria viene liquidata senza più beni (o con meno beni), i soci potrebbero ritrovarsi proprietari indiretti dei beni attraverso la nuova società, non avendo pagato imposte su quei passaggi.
Questo tipo di schema ricalca in parte il Caso 1 già visto (società in liquidazione che tramite scissione assegna immobili ai soci senza tassazione). E infatti la Cassazione 27870/2024 discussa era proprio relativa a una società in liquidazione che aveva compiuto la scissione elusiva . La Corte in quella sentenza ha precisato che la scissione “di per sé è compatibile con la messa in liquidazione” , cioè non è vietato farla, ma se avviene con i connotati dell’abuso (come nel loro caso) ricade nella contestazione.
Un altro esempio rilevante può essere in ambito di procedure concorsuali: se una società fallenda o in concordato preventivo scinde asset “buoni” verso una newco lasciando i debiti nella vecchia società avviata alla procedura, si potrebbe profilare un abuso o comunque un’operazione revocabile/inefficace verso i creditori. Tuttavia, qui entriamo in ambito concorsuale più che tributario, anche se può avere riflessi fiscali (ad es. evitare il realizzo di plusvalenze in concordato liquidatorio può essere contestato dal Fisco se riduce indebitamente l’imponibile, ma è un caso estremo).
Sintesi e difesa: Una scissione in fase di liquidazione deve avere uno scopo lecito concreto, ad esempio: facilitare la vendita di un ramo d’azienda separandolo dai contenziosi, o permettere l’ingresso di investitori in una parte dell’attività mentre un’altra viene liquidata. Se invece appare come un mezzo per far arrivare beni ai soci senza tassazione, verrà trattata come abuso. Il contribuente (o il liquidatore) che volesse difendere una scissione in liquidazione dovrebbe: – Evidenziare che nessun socio ottiene immediatamente un arricchimento non tassato, ma che l’operazione mira a pagare creditori o continuare parte dell’attività.
– Mostrare che la scissione non ha pregiudicato il Fisco: ad esempio, se poi la distribuzione ai soci dei beni (anche attraverso la nuova società) avverrà comunque con imposizione, oppure se la scissione ha permesso di vendere i beni a terzi a un valore maggiore (generando magari più imposte altrove), ecc.
Va ricordato inoltre che la normativa antielusiva specifica (art. 173 TUIR commi 8-10) contiene vincoli sul riporto delle perdite e degli interessi passivi in caso di scissioni, per evitare che società in perdita vengano scisse al solo fine di trasferire le perdite a società utili. Questi sono profili oltre l’ambito di questa trattazione, ma segnalano che in fase di liquidazione bisogna stare attenti anche a quegli aspetti (es. rispetto del test di vitalità per utilizzare perdite pregresse). In caso di scissione elusiva, comunque, l’Amministrazione può sia applicare la clausola generale (art. 10-bis, disconoscendo l’operazione) che le specifiche (es. negare il riporto delle perdite se i requisiti non sono soddisfatti).
Esempio pratico lecito: Società in liquidazione con due divisioni: una facilmente vendibile, l’altra con passività potenziali. Il liquidatore scorpora la divisione buona in una Beneficiaria (Società B) per venderla sul mercato e incassare soldi da distribuire ai creditori, mentre la società originaria (in liquidazione) trattiene passività e poi si chiuderà. Fisco: qui l’operazione ha una ragione palese (ottenere un miglior prezzo dalla vendita isolando il ramo sano). Se la vendita avviene a valori di mercato, la plusvalenza è tassata normalmente nella società (la scissione è neutra, ma la successiva vendita no). Non c’è un indebito risparmio, anzi si massimizza il valore. Difficile contestare abuso perché l’extrafiscalità della ragione è evidente (soddisfare creditori, evitare svendite). Invece, se la scissione fosse servita a trasferire beni ai soci prima di fallire, lasciando i debiti ai creditori, sarebbe un illecito (anche penal-tributario forse).
Questi casi coprono le situazioni più comuni in cui le scissioni vengono vagliate per possibile elusione: assegnazioni ai soci mascherate, cessioni indirette di asset e divisioni di patrimoni tra soci. Abbiamo visto che la chiave di volta è sempre la presenza o meno di reali ragioni economico-gestionali e la natura del vantaggio fiscale ottenuto.
Se il vantaggio fiscale consiste solo nell’aver scelto un regime o percorso previsto dal legislatore (come la scissione rispetto a un’alternativa più costosa), non è indebito e non c’è abuso . Se invece consiste nel sottrarsi a una tassazione che secondo la logica dell’ordinamento doveva colpire un certo evento (es.: il passaggio di un bene dal patrimonio sociale a quello dei soci), e per di più l’operazione non genera altri effetti economici se non quel risparmio d’imposta, allora l’operazione verrà riqualificata in base alla sostanza e il risparmio negato.
Nei capitoli successivi vedremo come il contribuente può difendersi di fronte a un’accusa di abuso del diritto in una scissione, sia attraverso strumenti preventivi (interpello, pianificazione) sia durante il procedimento di accertamento e nel contenzioso. Inoltre, forniremo alcune tabelle riassuntive delle principali sentenze recenti e dei punti a favore della difesa del contribuente.
Come difendersi in sede amministrativa (fase pre-contenziosa)
Quando l’Agenzia delle Entrate ritiene che una scissione sia elusiva, attiva una specifica procedura prevista dall’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente. Le fasi principali in sede amministrativa sono:
- Richiesta di chiarimenti al contribuente: prima di emettere qualsiasi atto impositivo, l’Ufficio deve inviare al contribuente una comunicazione scritta in cui contesta la possibile abusività dell’operazione e invita a fornire entro 60 giorni eventuali chiarimenti o elementi a difesa (questo contraddittorio preventivo è condizione di legittimità dell’eventuale successivo accertamento) . Nella richiesta l’Ufficio indica quali vantaggi fiscali indebiti ravvisa e perché reputa l’operazione priva di sostanza economica.
- Risposta del contribuente: il contribuente ha, di regola, 60 giorni di tempo per produrre una memoria difensiva, allegare documenti e spiegare le valide ragioni extrafiscali che giustificano la scissione. È fondamentale utilizzare questa sede per evidenziare tutti gli elementi favorevoli: il contesto economico in cui è avvenuta l’operazione, eventuali pareri o ruling ottenuti, confronti con operazioni similari ritenute legittime. Bisogna concentrarsi sui tre punti chiave: dimostrare che il vantaggio fiscale non è indebito (magari era previsto da una norma o è conseguenza collaterale di un’operazione principalmente economica), evidenziare la sostanza economica (effetti non fiscali concreti, es. miglioramenti organizzativi, risoluzione di situazioni critiche), e provare che il risparmio fiscale non era l’unico scopo (es. l’operazione avrebbe avuto luogo comunque per ragioni imprenditoriali). Se certi dati o documenti rilevanti non erano noti al Fisco, è il momento di fornirli .
- Valutazione dell’Ufficio: ricevuti i chiarimenti, l’Ufficio li esamina. Se li ritiene convincenti, può anche archiviare la contestazione (in sede amministrativa alcune contestazioni di abuso vengono chiuse se il contribuente riesce a dissipare i dubbi). Se invece mantiene la sua posizione, trascorsi almeno 60 giorni dalla risposta (o dalla scadenza del termine per rispondere), l’Ufficio può emettere l’Avviso di accertamento motivato . Importante: se l’Ufficio non invia la richiesta di chiarimenti o emette l’accertamento prima dei 60 giorni dalla risposta del contribuente, l’atto è nullo per violazione del contraddittorio ex art. 10-bis.
- Contenuto dell’Avviso di accertamento anti-abuso: l’atto impositivo che contesta abuso del diritto deve indicare, a pena di nullità, alcuni elementi specifici: le motIVAZIONI per cui la condotta è ritenuta abusiva, i vantaggi fiscali indebiti ottenuti, le norme o principi elusi, e tenere conto dei chiarimenti forniti dal contribuente (confutandoli, se del caso) . In pratica, l’Ufficio deve “ingaggiare” le difese presentate e spiegare perché non le ritiene sufficienti.
Durante questa fase amministrativa, il contribuente ha anche a disposizione alcuni strumenti e strategie ulteriori:
- Interpello preventivo anti-abuso: Questo in realtà è uno strumento anteriore all’eventuale contestazione, ma vale la pena menzionarlo come forma di difesa preventiva. L’art. 11, c.1, lett. c) dello Statuto Contribuente consente di presentare un interpello disapplicativo/anti-abuso per chiedere all’Agenzia un parere sull’operazione progettata (o anche già effettuata, ma prima che sia accertata). Se il contribuente prima di eseguire la scissione avesse presentato interpello illustrando l’operazione e chiedendo se configura abuso, avrebbe ottenuto una risposta ufficiale. Le risposte dell’Agenzia pubblicate (come quelle citate in questa guida) dimostrano che spesso l’Agenzia risponde riconoscendo la non abusività se ci sono valide ragioni. Ottenere una risposta favorevole mette al riparo da contestazioni (l’Ufficio locale è vincolato). Se invece l’interpello fosse negativo, quantomeno si conosce la posizione del Fisco in anticipo e si può decidere se procedere lo stesso (rischiando il contenzioso) o modificare l’operazione. Dunque l’interpello è una forma di “difesa” preventiva fondamentale . In sede di accertamento già avvenuto, ovviamente, se non si è fatto prima l’interpello, non lo si può più fare; tuttavia, se esistono precedenti interpelli analoghi con esito positivo, è utile citarli nella memoria difensiva ai chiarimenti, poiché fanno giurisprudenza di prassi.
- Accertamento con adesione: Una volta notificato l’eventuale avviso di accertamento per abuso, il contribuente può valutare di avviare la procedura di adesione (D.Lgs. 218/1997) presentando istanza entro 60 giorni dalla notifica. L’accertamento con adesione è una sorta di negoziazione con l’Ufficio: nel caso di abuso del diritto, questa strada è percorribile se si vuole cercare una riduzione della pretesa o quantomeno delle sanzioni. Si tenga presente che in materia di abuso spesso la contestazione riguarda importi rilevanti (es. plusvalori non tassati); l’Ufficio potrebbe essere disponibile a transare magari riconoscendo parzialmente le ragioni del contribuente. Con l’adesione, le sanzioni amministrative vengono ridotte ad 1/3 di quelle irrogate. Ad esempio, se la sanzione per dichiarazione infedele è del 90% dell’imposta, con adesione scende al 30%. Inoltre si evita il rischio di esito incerto in giudizio e si chiude la vertenza in tempi rapidi. È però una scelta da ponderare: aderire significa rinunciare a sostenere in giudizio la piena legittimità dell’operazione. Se il contribuente è convinto di avere ragione e magari vi sono già sentenze favorevoli su casi analoghi, potrebbe preferire il ricorso.
- Autotutela: L’istanza di autotutela all’Amministrazione (richiesta di annullamento/revoca dell’atto in via di autotutela) può essere presentata, ma di solito per questioni di merito come l’abuso del diritto l’Amministrazione difficilmente annulla da sé il proprio atto (a meno di errori evidenti). Comunque, se emergono elementi nuovi molto forti (es. una sentenza di Cassazione a Sezioni Unite che smentisce la posizione del Fisco in casi analoghi, uscita dopo l’accertamento), si può provare a sollecitare la Direzione regionale in autotutela.
- Mediazione tributaria: se il valore della contestazione (imposta + sanzioni) non supera €50.000, è obbligatorio presentare reclamo/mediazione prima del ricorso (per atti dal 2023 la soglia è 50k). In tale sede, si può allegare una proposta di mediazione all’Ufficio, eventualmente accettando una parziale tassazione. Però nelle questioni di principio come l’abuso, l’Agenzia spesso è restia a mediazioni forti (tende a voler conferma del principio). Comunque tentar non nuoce, anche perché con la mediazione le sanzioni possono essere ridotte al 35% (o 40% a seconda dei periodi) di quanto irrogato. È simile all’adesione ma attivata dal contribuente.
- Argomentazioni procedurali: Il contribuente, oltre alle difese di merito (non è abuso perché… etc.), dovrebbe verificare se l’Ufficio ha rispettato tutte le regole formali. Ad esempio: la tempistica (richiesta chiarimenti inviata e atto notificato dopo 60 gg dalla risposta), la motivazione dell’avviso (ha considerato i chiarimenti dati? Ha specificato gli elementi richiesti dalla legge?). Una svista procedurale può portare all’annullamento dell’atto indipendentemente dal merito. Per esempio, se l’Ufficio non ha atteso i 60 giorni dopo la risposta per emettere l’accertamento, quel vizio comporta nullità insanabile . Oppure, se l’atto include altre riprese a tassazione diverse dall’abuso (cosa vietata, perché l’accertamento per abuso deve riguardare solo l’abuso, eventuali altre violazioni vanno contestate separatamente ), allora c’è violazione del principio di chiarezza (art. 10-bis c.5 e DL 34/2019) . Anche il mancato contraddittorio preventivo (omessa richiesta di chiarimenti) rende nullo l’accertamento. Tali eccezioni vanno sollevate subito nel ricorso introduttivo se si arriva al contenzioso.
In sede amministrativa, comunque, l’obiettivo ideale è evitare di arrivare al contenzioso convincendo l’Agenzia della bontà dell’operazione o trovando un compromesso. Spesso, però, su questioni di abuso l’Amministrazione adotta una linea dura e tende a lasciare che sia il giudice tributario a decidere. Vediamo dunque la fase successiva.
Come difendersi nel contenzioso tributario (Commissioni/Tribunali tributari)
Se la fase amministrativa non ha risolto la vicenda – ad esempio l’Agenzia ha emesso l’avviso di accertamento confermando la contestazione di elusione – il contribuente dovrà tutelarsi presentando ricorso presso la Commissione (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). La difesa in giudizio in casi di abuso del diritto richiede di combinare aspetti giuridici e fattuali in modo convincente:
1. Contestare l’esistenza dei presupposti di abuso: Bisogna smontare almeno uno dei tre pilastri (vantaggio indebito, mancanza di sostanza, intento principalmente fiscale). Ad esempio: – Vantaggio fiscale non indebito: argomentare che il vantaggio ottenuto era in realtà voluto dalla legge o comunque non contrario ad essa. Magari l’operazione ha fruito di un’agevolazione, ma quell’agevolazione era disponibile e non vi è stata violazione dello scopo normativo. Si possono citare prassi (circolari, risoluzioni) dove l’Agenzia stessa riconosce certe scelte come lecite. Nel nostro contesto, ad esempio, sottolineare che la legge consente scissioni neutrali e che non è vietato usarle per separare patrimoni tra soci (come da Ris. 98/E/17, Ris. 97/E/17 etc. che si possono allegare al ricorso). – Sostanza economica positiva: evidenziare tutti i benefici non fiscali concreti derivati dall’operazione. Es.: dopo la scissione l’azienda ha migliorato la sua efficienza, oppure ha attratto nuovi investitori (se successivamente c’è stato ingresso di soci, fusione, etc., citarlo per dimostrare che la scissione era preparatoria a ciò), oppure ha risolto un conflitto sociale (si possono allegare verbali di assemblea che parlavano di litigi tra soci, per mostrare che la pace sociale raggiunta tramite scissione era la ragione vera). Se l’operazione ha comportato cambiamenti sostanziali (nuove linee di credito ottenute grazie alla riorganizzazione, riduzione di costi, specializzazione di rami), portare evidenze (es. bilanci comparativi prima/dopo, contratti stipulati dopo la scissione che prima non erano possibili, etc.). – Motivazioni economiche prevalenti: collegato al punto precedente, far emergere che il risparmio fiscale era quantomeno secondario rispetto ad obiettivi principali. Ad esempio: “È vero, dopo la scissione se avessimo liquidato ci sarebbe stata meno imposta rispetto a liquidare prima; ma la liquidazione non era affatto in programma: l’obiettivo era continuare il business separatamente, tant’è che nessuna liquidazione è avvenuta né beni sono stati assegnati ai soci dopo la scissione”. Se i soci hanno mantenuto l’investimento nell’azienda riorganizzata, ciò dimostra che non volevano tirar fuori utili senza tasse, ma volevano solo ristrutturare. Diversamente, nel caso in cui successivamente ci sia stata una vendita, occorre spiegare che quell’uscita faceva parte di un piano industriale, non di un intento elusivo (magari c’era un accordo preliminare con un investitore prima della scissione, allora è più dura, perché sembra preordinato… in tal caso si potrebbe dire: abbiamo scisso per rendere l’operazione più appetibile a terzi, che non volevano comprare l’intera società, e questo è un valido motivo economico). – Ragioni extrafiscali non marginali: qui è utile richiamare anche il tenore letterale dell’art. 10-bis comma 3: se si dimostra che c’erano ragioni extrafiscali non marginali (ovvero sufficientemente importanti da giustificare l’operazione anche senza considerare il risparmio d’imposta ), l’abuso non sussiste. Nel ricorso si può proprio citare la norma e applicarla al caso concreto, elencando tali ragioni.
2. Richiamare giurisprudenza e prassi favorevoli: La materia abuso è molto casistica. È utile nel ricorso citare sentenze di merito (Commissioni) o di legittimità (Cassazione) che abbiano dato ragione a contribuenti in situazioni analoghe. Ad esempio, se difendo una scissione non proporzionale tra soci familiari, citerò magari una sentenza di CTR (Commissione Tributaria Regionale) che ha riconosciuto la validità di un’operazione per ragioni familiari. Ancora più importante, citare eventuali principi di Cassazione: ce ne sono molti dove la Cassazione ricorda il diritto del contribuente di scegliere forme meno onerose se consentite (ad es. Cass. 14674/2024: il contribuente non deve pagare più tasse del dovuto scegliendo la via più costosa se la via meno costosa è lecita ). Oppure Cass. 27158/2021 sull’analisi di conformità a logiche di mercato – se nel nostro caso la struttura scelta era di mercato (prassi comune nelle operazioni straordinarie), enfatizzarlo.
Sul fronte prassi, come detto, allegare (con traduzione in linguaggio per giudici) i punti salienti di Risoluzioni o Risposte ad interpello dove l’Agenzia ha detto “sì, in questa situazione non c’è abuso”. Ad esempio, se difendo la mia scissione di una immobiliare dove soci si separano consensualmente, allego la Risposta 421/2020 o la Ris. 98/E/17 e dico: “Guardate, perfino l’Agenzia in casi analoghi ha riconosciuto che non è elusivo se non c’è trasferimento di ricchezza tra soci e c’è uno scopo ordinato”. Questo mette in imbarazzo la controparte e rende il giudice più propenso a credere che l’operato non fosse volto a un illecito.
3. Onere della prova e contraddittorio: Ricordare al giudice che spetta all’Amministrazione provare il disegno abusivo (art. 10-bis comma 5). La norma dice chiaramente che l’onere di dimostrare i fatti che costituiscono abuso è del Fisco, mentre il contribuente ha onere di provare le eventuali ragioni extrafiscali addotte . Dunque, nel ricorso si può sostenere: “L’Ufficio non ha fornito adeguata prova del fatto che l’operazione fosse priva di sostanza economica; si è limitato ad affermarlo. Al contrario, noi abbiamo prodotto evidenze contrarie”. Inoltre, evidenziare se l’Ufficio non ha contestato qualche argomento portato nei chiarimenti: ciò potrebbe significare che quell’aspetto è pacifico. Ad esempio, se nei chiarimenti ho elencato 5 motivi economici e nell’avviso l’Ufficio ne contesta solo 2, sugli altri 3 tace – potrei dire che li ha implicitamente ammessi o comunque non smentiti.
Ricordare anche che (per come modificato il contesto normativo nel 2019) il giudice non può rilevare d’ufficio un abuso che l’ufficio non ha contestato formalmente . Quindi il processo è delimitato da quello che c’è scritto nell’atto impugnato. Se l’Agenzia ha sbagliato nel motivare, il giudice non può supplire inventando nuove ragioni. Questo è importante per evitare deriva in causa: mantenere il focus su ciò che è contestato.
4. Aspetti sanzionatori: Far presente che in caso di qualificazione come abuso, le conseguenze sono il recupero dell’imposta risparmiata e l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie (generalmente quelle da infedele dichiarazione, salvo che il contribuente avesse indicato in dichiarazione un comportamento ritenuto poi abusivo – in tal caso potrebbero non esservi sanzioni per obiettiva incertezza, ma è complesso). Tuttavia, ricordare al giudice che non vi è frode né evasione, che il contribuente ha agito alla luce del sole. Questo a volte incide sulle spese di giudizio o sulla valutazione dell’elemento soggettivo nelle sanzioni (ad esempio, se c’era una circolare interpretabile in un certo modo, si può chiedere l’esclusione di sanzioni per incertezza normativa). Nel nuovo processo tributario, se si vince sul merito le sanzioni cadono automaticamente; se si perde, si può ancora discutere in separata sede sull’eventuale non debenza di sanzioni per esimenti (ma spesso conviene farlo notare già nel ricorso, in via subordinata).
5. Soluzioni conciliative in giudizio: Durante il processo tributario c’è sempre la possibilità di proporre una conciliazione giudiziale (art. 48 D.lgs. 546/92) con l’Ufficio, magari accettando una tassazione parziale. Questo può avvenire sia in primo grado che in appello. Se le posizioni non sono troppo distanti, il giudice stesso può invitare le parti a trovare un accordo. Con la conciliazione, oltre a chiudere la lite, si hanno sanzioni ridotte (al 40% in primo grado, 50% in appello). Dunque, se durante la causa emergono rischi (ad esempio il giudice lascia intendere di propendere per l’Agenzia), valutare di chiudere con conciliazione può essere prudente.
6. Nuove norme o orientamenti sopravvenuti: Mantenere aggiornato il giudice se, nel frattempo, la normativa è cambiata a conferma della propria tesi. Ad esempio, se il legislatore nel 2025 introduce esplicitamente una regola che consente certe operazioni (o una interpretazione autentica su abuso), segnalarlo. O se esce una sentenza della Corte di Giustizia UE o Cassazione a Sezioni Unite su punto controverso, depositarla come documento.
Conclusione della difesa in giudizio: Insistere sul concetto che “l’abuso del diritto è l’eccezione, non la regola”: cioè l’ordinamento consente la libertà d’iniziativa economica e di scelta del percorso fiscale meno oneroso quando legittimo . L’operazione di scissione, essendo espressamente regolata dalla legge e neutrale per definizione, non può essere considerata abusiva salvo casi estremi di artificiosità. Se abbiamo fatto bene il nostro lavoro di evidenziare le ragioni imprenditoriali, dovremmo dare al giudice la serenità di decidere a favore, soprattutto se sente che condannare quell’operazione significherebbe punire un comportamento consentito e non fraudolento.
Tabella riepilogativa: Difese del contribuente vs Argomenti del Fisco
Aspetto contestato | Argomento tipico del Fisco | Possibile difesa del contribuente |
---|---|---|
Vantaggio fiscale indebito | “Hai evitato imposte che sarebbero state dovute in un altro schema (es. niente tassa su assegnazione ai soci)” | – Il risparmio d’imposta deriva da un’alternativa lecita offerta dalla legge (es. vendita partecipazioni vs vendita asset).<br>- Non c’è indebitezza perché nessuna norma vieta la scelta fatta (richiamare art. 10-bis c.4: libertà di scelta) .<br>- Eventualmente, abbiamo comunque pagato un’imposta sostitutiva (es. affrancamento) o rispettiamo la ratio di una norma agevolativa (citiamo prassi: es. Ris. 98/E/17) . |
Mancanza di sostanza economica | “L’operazione è solo sulla carta, non ha modificato nulla se non le tasse” | – Elencare i cambiamenti effettivi: riorganizzazione interna, miglioramento efficienza, ingresso soci nuovi, separazione attività in conflitto, etc.<br>- Dimostrare che l’impresa ne ha tratto beneficio non fiscale (profitti aumentati, governance migliorata, crediti ottenuti, ecc.).<br>- Se operazione diffusa nel settore, portare esempi (prassi di mercato). |
Scopo essenziale fiscale | “Hai fatto tutto solo per risparmiare tasse, non c’era altra necessità” | – Mostrare che c’erano motivazioni preminenti (documenti preparatori, delibere che parlano di strategie di business, non di tasse).<br>- Evidenziare eventuali inconvenienti o costi non fiscali che l’operazione ha comportato (se uno fa qualcosa solo per tasse tende a minimizzare i costi; se noi abbiamo accettato costi/rischi, vuol dire che volevamo quell’effetto economico).<br>- Sostenere che l’operazione avrebbe avuto luogo anche senza vantaggi fiscali (se plausibile). |
Preordinazione artificiosa | “Hai concatenato più atti in modo anomalo, segno che c’era un piano preordinato” | – Spiegare ogni singolo passaggio con ragioni logiche (es. “abbiamo dovuto prima scindere perché il compratore voleva solo quel ramo, non tutta la società”).<br>- Negare che vi fosse un accordo segreto complessivo (a meno che emerga, in tal caso difendersi dicendo che comunque l’accordo mirava a un risultato lecito di business).<br>- Far notare se i tempi non sono stati così immediati e consequenziali come sostiene il Fisco (es. tra scissione e vendita passò molto tempo -> segno che non era tutto pianificato in un disegno unico). |
Procedura (contraddittorio) | (L’atto potrebbe essere nullo se manca richiesta chiarimenti o motivazione insufficiente) | – Verificare e far valere eventuali vizi: nessuna richiesta 60gg = nullità automatica; motivazione generica o priva di confutazione difese = violazione art.10-bis; atto emesso fuori termine di decadenza (valutare anche questo) ecc.<br>- Chiedere l’annullamento dell’atto per vizio procedurale prima ancora che sul merito, se pertinente. |
Questa tabella schematizza come fronteggiare le principali censure. Nel contenzioso, il contribuente può vincere dimostrando che manca almeno uno degli elementi costitutivi dell’abuso, oppure che comunque l’operazione rientra in fattispecie espressamente consentite dall’ordinamento tributario.
Burden of proof in court: Si rammenti ancora che il carico della prova è ripartito: l’ente impositore deve provare il vantaggio indebito e la carenza di sostanza, mentre il contribuente, qualora alleghi valide ragioni extrafiscali, deve fornirne dimostrazione . Il giudice valuterà quindi se l’Ufficio ha provato adeguatamente il disegno abusivo. Se la documentazione e gli elementi forniti dal contribuente sono tali da far emergere una plausibile giustificazione economica, e l’Ufficio non riesce a demolirla, il principio del favor rei in dubio dovrebbe portare a escludere l’abuso (o quantomeno le sanzioni).
Domande frequenti (FAQ) su scissioni elusive e difesa del contribuente
D: Cosa significa “scissione con intenti elusivi”?
R: Si riferisce a un’operazione di scissione societaria che, secondo l’Agenzia delle Entrate, è stata effettuata non per normali finalità imprenditoriali, bensì principalmente per ottenere un vantaggio fiscale (tipicamente, evitare o posticipare il pagamento di imposte) in modo indebito. In pratica l’operazione, pur rispettando la forma legale, viene accusata di costituire un abuso del diritto tributario, perché priva di sostanza economica e volta a eludere il fisco . Esempi classici: scissioni usate per assegnare beni ai soci senza tassazione o per vendere un asset tramite cessione di partecipazioni anziché con cessione diretta, solo per avere un trattamento fiscale migliore.
D: Quali tipi di scissioni sono più a rischio di contestazione?
R: In teoria qualsiasi scissione può essere scrutinata per abuso, ma l’esperienza mostra che le scissioni non proporzionali (asimmetriche) sono state spesso oggetto di attenzione. Questo perché cambiano l’assetto dei soci e possono celare spartizioni di patrimonio tra di essi. In particolare: – Scissioni totali asimmetriche di società statiche (es. immobiliari) usate per far ottenere beni ai soci; – Scissioni parziali seguite da vendite di partecipazioni o altri atti che, nel complesso, fanno conseguire risparmi d’imposta; – Scissioni effettuate in prossimità di liquidazioni o cessioni, dove il timing appare scelto per motivi fiscali.
Le scissioni proporzionali pure, in cui nulla cambia per i soci se non la separazione di rami, di solito sono meno contestate, specie se motivate (difficilmente c’è vantaggio fiscale indebito se i soci restano gli stessi con stesse percentuali). Anche le scissioni asimmetriche oggi non sono più viste di per sé come elusive , ma dipende dall’effetto: se un socio “esce” con beni sociali senza tassazione, sarà contestato; se semplicemente soci litigiosi si separano dividendosi l’azienda, è generalmente accettato come lecito .
D: La mia scissione è stata motivata da dissidi tra soci, ma l’Agenzia dice che è ugualmente abusiva perché i soci avrebbero potuto risolvere diversamente. Devo dimostrare i dissidi?
R: Portare evidenze dei dissidi (corrispondenza tra soci, verbali di assemblee turbolente, ecc.) può aiutare a corroborare la ragione extrafiscale. Tuttavia, l’Agenzia in recenti risposte ha affermato che non è necessario “dimostrare” i dissidi in modo oggettivo se l’operazione in sé rispetta i requisiti di legge e non comporta trasferimenti occulti di ricchezza . In altre parole, la scissione non proporzionale anche in assenza di litigi palesi può essere considerata lecita se serve a una separazione consensuale e non ci sono vantaggi fiscali indebiti. L’importante è che i valori divisi corrispondano alle quote dei soci (o comunque non avvantaggino uno a scapito di un altro senza congrua contropartita) . Quindi, sebbene provare l’esistenza di forti contrasti aiuti come “colore”, non è strettamente richiesto se si riesce a dimostrare che la scissione aveva un senso organizzativo (ad esempio evitare future liti, permettere a ciascun socio di gestire separatamente la propria parte di business).
D: È vero che il contribuente può sempre scegliere la via fiscalmente meno onerosa tra quelle consentite?
R: Sì, questo principio è sancito dall’art. 10-bis, comma 4, dello Statuto del contribuente . Significa che se il sistema fiscale offre più alternative lecite, ciascuna con un diverso carico tributario, il contribuente non è obbligato a scegliere quella che comporta più imposte. Ad esempio, se per trasferire un asset a un altro soggetto posso scegliere tra una cessione d’azienda (tassata) o una scissione seguita da cessione di partecipazioni (meno tassata), posso legittimamente propendere per la seconda, a patto che ciò non violi una specifica norma antielusiva. La Cassazione stessa ha affermato che “non c’è sostanza economica da giustificare in operazioni legittime: se il vantaggio è previsto dall’ordinamento, non servono ulteriori ragioni” . Dunque, la scelta di vie fiscalmente efficienti è lecita. Diventa abuso solo quando si costruisce artificiosamente un percorso che, pur formalmente consentito, snatura lo scopo delle norme per ottenere vantaggi che il legislatore non aveva inteso concedere (vantaggio “indebito”). Nel dubbio, occorre chiedersi: “il risparmio deriva dall’applicazione fisiologica di norme, o sto usando una norma contro la sua finalità?” Se ad esempio sfrutto la neutralità della scissione – pensata per favorire riorganizzazioni – unicamente per azzerare la tassazione di una liquidazione, probabilmente eccedo la finalità e ricado nell’abuso.
D: Che differenza c’è tra elusione e evasione in questo contesto?
R: Evasione è violare apertamente la legge fiscale (non dichiarare redditi, annotare false fatture, simulare atti inesistenti, ecc.). Elusione (abuso del diritto) invece significa aderire formalmente alle leggi ma in modo strumentale, distorcendone lo scopo per ridurre le tasse. Nel contesto delle scissioni: – Se una società nasconde un’assegnazione di beni ai soci facendola apparire come scissione (e magari i soci si scambiano conguagli in nero), si ha evasione o comunque un comportamento fraudolento (oltre che abuso) . – Se invece segue tutte le regole della scissione, senza frodi, ma il Fisco ritiene che l’unico motivo fosse evitare imposte, siamo in ambito di abuso/elusione.
Importante: l’elusione non comporta sanzioni penali, mentre l’evasione sì. Infatti le operazioni abusive “non sono soggette a sanzioni penali… poiché non caratterizzate da simulazione o frode” . Inoltre l’abuso fiscale va contestato con la procedura ad hoc (richiesta di chiarimenti, atto motivato solo su quello), mentre l’evasione può portare ad avvisi immediati e anche denunce penali. Nel dubbio, l’Agenzia qualche volta tenta di qualificare come evasione ciò che il contribuente ritiene elusione, per esempio insinuando che certi atti erano simulati. Ma se riesce solo a provare l’uso strumentale senza violazioni di legge, resta nell’ambito dell’abuso.
D: Quali sanzioni si rischiano se l’operazione è qualificata come abusiva?
R: Sul piano pecuniario, l’Agenzia disconosce i vantaggi fiscali indebiti e recupera le imposte che avrebbe dovuto pagare il contribuente (oltre agli interessi). In più, applica le sanzioni amministrative tributarie previste per la violazione che ha causato il vantaggio. Tipicamente, si tratta della sanzione da dichiarazione infedele, pari dal 90% al 180% dell’imposta dovuta (secondo le regole attuali). In molti casi l’Agenzia tende ad applicare il minimo edittale (90%) in caso di abuso, specie se la materia era incerta. Se il contribuente durante l’accertamento collabora o aderisce, può ridurle (fino a 1/3 con adesione). Non vi sono invece sanzioni penali (come detto, l’abuso non è reato) . Va aggiunto che, secondo la riforma 2015, l’abuso non dovrebbe aggravare le sanzioni: anzi, inizialmente si voleva introdurre una sanzione ridotta specifica (5-10%), ma poi si optò per mantenerle nell’alveo dell’infedele dichiarazione. In ogni caso, nessun rischio penale per il contribuente, e questo è un aspetto importante. Inoltre, se l’operazione contestata risale a periodi d’imposta molto vecchi in cui la disciplina era meno chiara, si può invocare l’esimente dell’“incertezza normativa oggettiva” per farsi annullare le sanzioni (il che spetta al giudice valutare).
D: Come posso prevenire il rischio che una scissione venga considerata elusiva?
R: Alcune best practice: – Preparare un solido impianto documentale: redigere verbali dei consigli/assemblee che mettano a verbale le motivazioni economiche della scissione (es. “considerato che occorre separare il ramo X per migliorare l’organizzazione…”). Una relazione dell’organo amministrativo ex art. 2506 c.c. ben fatta, che illustri le ragioni economiche, sarà un prezioso documento da esibire al Fisco . – Evitare tempistiche sospette: se possibile, non far seguire immediatamente la scissione da atti dispositivi contraddittori (es. liquidazione dopo un mese, vendita lampo delle newco se non giustificata). Meglio attendere un periodo congruo o avere evidenze che, se si vende subito, era per cogliere un’opportunità di mercato imprevedibile. – Valutare l’interpello: come detto, chiedere prima il parere all’Agenzia (interpello anti-abuso) è un’ottima mossa. Anche se richiede di svelare i propri piani con anticipo, dà certezza. Spesso le risposte arrivano entro 90-120 giorni. Se positive, ok; se negative, potete rimodellare l’operazione o decidere di rischiare ma sapendo la posizione avversa. – Curare gli aspetti valutativi: nelle scissioni asimmetriche, fate periziare i patrimoni in modo serio e assicuratevi che ogni socio riceva un valore corretto. Evitate accordi “sottobanco” tra soci per compensare squilibri, perché queste cose lasciano tracce e possono far degenerare l’abuso in contestazioni peggiori. – Considerare alternative trasparenti: talvolta la via più diretta (es. assegnazione agevolata pagando un’imposta sostitutiva) è preferibile a costruire una scissione se quest’ultima porta un risparmio risibile a fronte di alto rischio. Valutate costi/benefici anche reputazionali. – Consultare esperti e precedenti: informatevi se ci sono state contestazioni simili (giurisprudenza) per quella tipologia di operazione. Ad esempio, sapendo che scindere immobili per soci è rischioso, magari fate un binding ruling (interpello) oppure adottate misure mitigative (es. fate sì che i soci comprino dalle società post-scissione gli immobili pagando un prezzo di mercato, in modo da far emergere comunque un’imposta, se l’obiettivo era semplicemente separare). – Atto di scissione chiaro: inserire nell’atto di scissione o nei documenti allegati riferimenti alle finalità (non è obbligatorio, ma può aiutare). Se l’interpello ha dato esito positivo, allegate copia della risposta dell’Agenzia all’atto o citatela a verbale, così nessuno all’ufficio locale potrà “dimenticarsene”.
D: In caso di accertamento, conviene aderire (concordare) o fare ricorso?
R: Dipende dalla forza delle proprie argomentazioni e dall’orientamento giurisprudenziale. Se avete un caso di scissione che presenta analogie forti con pronunce sfavorevoli (come Cass. 27870/2024), e poche specificità difensive, forse è prudente tentare una definizione agevolata (adesione o conciliazione) ottenendo sanzioni ridotte e chiudendo la questione. Al contrario, se ritenete di avere elementi solidi (interpello favorevole, circostanze economiche chiare, e magari già qualche sentenza di merito a favore vostro), può valere la pena fare ricorso. Tenete presente che la giurisprudenza di legittimità in tema di abuso è in evoluzione: da un lato Cassazione ha sposato i principi del 10-bis (favorendo la libertà di scelta quando il vantaggio non è indebito) , dall’altro ci sono pronunce severe su casi specifici (operazioni ritenute totalmente artificiose). Il punto centrale è: il vostro caso è più simile a quelli “virtuosi” o a quelli contestati? Una consulenza legale qualificata aiuterà a fare questa valutazione. Inoltre, aspetti pratici: importo in gioco (per somme alte conviene lottare se si crede di aver ragione, per somme piccole magari si chiude per pace), costi del contenzioso, tempo, ecc. Da notare che con la riforma 2022-2023 le Corti tributarie stanno diventando più tecniche e c’è l’introduzione del giudice monocratico sotto 3.000€: ma per abuso di solito le cifre sono elevate, quindi tribunale collegiale.
D: Se il giudice conferma l’abuso, posso fare qualcosa?
R: Si può appellare la sentenza di primo grado alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex CTR). E successivamente, eventualmente, proporre ricorso per Cassazione se ci sono violazioni di legge. La strada è quella tipica del contenzioso. Non esistono strumenti “politici” o amministrativi per ribaltare un giudizio definitivo. L’unico altro percorso, se la sentenza fosse definitiva, sarebbe – in casi estremi – chiedere una revocazione (per errori gravi) o appellarsi a giustizia europea (CEDU) se si ritiene violato un diritto fondamentale (ipotesi remota in tema fiscale). Quindi, è cruciale impostare bene la difesa sin dal primo grado. Ricordate che, una volta concluso il processo, se dovete pagare, potete ancora avvalervi di definizioni agevolate delle liti (se il legislatore le ripropone come fatto nel 2023), oppure rateizzare il debito con l’AdE-Riscossione. Ma l’ideale è non arrivarci.
D: Potrei “patteggiare” le imposte prima della sentenza per evitare la pronuncia su abuso (ad esempio con conciliazione)?
R: Sì, come accennato, potete in qualsiasi momento proporre una conciliazione giudiziale. Se l’Agenzia accetta, si redige un accordo che normalmente comporta: pagamento di una parte delle imposte (magari togliendo quelle su componenti più dubbie), sanzioni ridotte al 40% o 50%, e chiusura della lite. Questo evita anche il formarsi di un precedente giurisprudenziale (cosa che talvolta sta a cuore sia al contribuente sia all’Agenzia, per motivi opposti: il contribuente teme una sconfitta che faccia giurisprudenza, l’Agenzia teme una sconfitta che faccia “troppo” giurisprudenza a favore dei contribuenti su certe operazioni). Conciliare ha il vantaggio di certezza, ma lo svantaggio che comunque qualcosa si paga e si rinuncia a far valere pienamente le proprie ragioni. È una decisione strategica caso per caso.
D: In sede di difesa, posso sostenere che l’Ufficio ha l’onere di provarmi l’abuso e che non lo ha fatto?
R: Assolutamente sì. È uno dei punti cardine: l’art. 10-bis c.5 dice che l’onere della prova dell’abuso è a carico dell’Amministrazione finanziaria . Ciò significa che se la vostra operazione è complessa, l’Ufficio deve ricostruire il disegno elusivo e convincere il giudice. Voi dovete al minimo creare un ragionevole dubbio presentando uno scenario alternativo credibile (ossia che l’operazione era giustificata). In particolare, la prova del Fisco deve riguardare il collegamento teleologico delle operazioni (se sono più d’una), la mancanza di valide ragioni economiche e il fatto che c’era un vantaggio indebito. Non deve provare che voi avevate intenti soggettivamente fraudolenti (non è un processo penale), ma oggettivamente che l’operazione non sta in piedi economicamente senza il vantaggio fiscale. Se l’Agenzia si limita a congetture o a dire “potevi far diversamente pagando più tasse”, questa non è prova sufficiente di abuso alla luce della nuova normativa e giurisprudenza . Quindi certamente, nel ricorso e in udienza, il difensore deve battere sul punto: “onus probandi non assolto dall’Ufficio => niente abuso accertabile”.
D: La scissione ha comportato anche questioni di perdite fiscali/ACE tra le società: possono contestarmele come abuso a parte?
R: Le norme sulle perdite e sull’ACE in operazioni straordinarie (art. 172 e 173 TUIR) sono specifiche disposizioni anti-elusive: richiedono test di vitalità, limiti al patrimonio netto, ecc., per evitare trasferimenti indebiti di vantaggi fiscali. Se la vostra scissione non rispettava tali condizioni, l’Ufficio può disconoscere il riporto delle perdite o dell’eccedenza ACE indipendentemente dall’abuso generale. Questo però rientra nell’applicazione di norme puntuali, non dell’art. 10-bis. L’atto potrebbe contenere entrambe le cose (contestazione di abuso per l’operazione in sé e, separatamente, diniego di alcune deduzioni/perdite). In base alle regole attuali, l’atto dovrebbe essere separato: uno solo per abuso e uno per le violazioni “analitiche”. Ma la prassi non è uniforme. In ogni caso, nel difendervi dovreste affrontare anche questi aspetti: per es. provare che i test di vitalità erano soddisfatti (come magari avete fatto in interpello disapplicativo se ne avete presentato uno). Se non lo erano, si può tentare di dimostrare che la finalità principale non era il riporto delle perdite (che è un aspetto collaterale), ma qui la norma è chiara: se i test falliscono, l’agevolazione decade salvo interpello. Quindi la difesa sulle perdite è più tecnica e meno elastica dell’abuso generale. A seconda dei casi, si può anche valutare se concedere sul punto delle perdite (cioè accettare di non riportarle) per rafforzare la posizione sull’assenza di un disegno elusivo complessivo.
D: In sintesi, qual è la cosa più importante per difendersi con successo?
R: Dimostrare la buona fede economica dell’operazione. Se riuscite a far percepire al giudice che avete fatto la scissione perché aveva senso per la vostra impresa, per i vostri soci, e non semplicemente per non pagare le tasse, avete vinto gran parte della battaglia. Tutte le norme e le sentenze tendono a questo: capire se dietro c’era un’azienda che agiva con logica di mercato (lecita) o un consulente che confezionava un castello per risparmiare imposte (abusivo). Quindi ogni pezzo di evidenza che possa iscrivere la vostra operazione nella normalità delle scelte imprenditoriali vi avvicina alla vittoria: dall’email del partner strategico che chiedeva la scissione, al verbale dei soci che litigarono e portarono a decidere la separazione, al business plan che giustifica la riorganizzazione. Unite i tasselli di questa narrazione e contrastate punto per punto le accuse fiscali, e sarete in una posizione solida per difendervi.
Fonti: – Codice Civile, art. 2506 e seguenti (disciplina delle scissioni).
– D.P.R. 917/1986, art. 173 (neutralità fiscale delle scissioni) e art. 172 co.7 (perdite fiscali), art. 173 co.10 (perdite nella scissa).
– L. 212/2000, art. 10-bis (Abuso del diritto o elusione fiscale – disciplina generale).
– Cass., Sez. Trib., sent. n. 27870 del 29/10/2024 (scissione asimmetrica elusiva in società di godimento) .
– Cass., Sez. Trib., sent. n. 27905 del 29/10/2024 (principi generali abuso in scissione) .
– Cass., Sez. Trib., sent. n. 27709 del 22/09/2022 (scissione seguita da cessioni di partecipazioni – abuso) .
– Cass., Sez. V, ord. n. 14674 del 27/05/2024 (divieto di abuso e libertà di scelta) .
– Cass., Sez. V, sent. n. 27158/2021 (prove dell’elusione: manipolazione strumenti giuridici e logiche di mercato) .
– Risoluzione Agenzia Entrate n. 98/E del 26/07/2017 (scissione parziale asimmetrica non abusiva con assegnazione agevolata) .
– Risposta a interpello Agenzia Entrate n. 421 del 01/10/2020 (scissione non proporzionale lecita, nessun obbligo di provare dissidi) .
– Risposta AE n. 335 del 21/06/2022 (scissione asimmetrica gruppo industriale – ok non abuso) .
– Circolare Assonime n. 14/2023 (scissione mediante scorporo – aspetti fiscali, recepimento Direttiva UE 2019/2121).
– Corte di Cassazione, sentenza n. 27709 del 22 settembre 2022
– Sentenza del 29/10/2024 n. 27905 – Corte di Cassazione
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché la tua operazione di scissione societaria è stata contestata come elusiva? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché la tua operazione di scissione societaria è stata contestata come elusiva?
Vuoi sapere quali rischi corri e come puoi difenderti da queste contestazioni?
La scissione è un’operazione straordinaria lecita, prevista dal codice civile e dalla normativa fiscale, utile per riorganizzare attività, separare rami aziendali o gestire passaggi generazionali. Tuttavia, il Fisco può riqualificarla come abuso del diritto quando ritiene che l’unico scopo sia stato quello di ottenere vantaggi fiscali indebiti (ad esempio evitare imposte su plusvalenze o distribuire utili mascherati).
👉 Prima regola: dimostra che la scissione rispondeva a ragioni economiche concrete e organizzative, non solo a finalità fiscali.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Scissioni parziali o totali seguite da cessioni di partecipazioni o immobili;
- Operazioni prive di sostanza economica, con benefici fiscali come unico effetto;
- Attribuzione selettiva di beni (es. immobili) ai soci o a società veicolo;
- Scissioni a catena utilizzate per abbattere imponibili o trasferire perdite fiscali;
- Anomalie nei valori attribuiti ai beni o nei bilanci post-scissione.
📌 Conseguenze della contestazione
- Disconoscimento dei benefici fiscali derivanti dalla scissione;
- Recupero delle imposte (IRES, IRAP, imposta di registro e altre);
- Applicazione di sanzioni tributarie;
- Interessi di mora;
- Rischio di ulteriori controlli su altre operazioni straordinarie del gruppo.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Ragioni extrafiscali documentabili: esigenze di riorganizzazione, gestione del rischio, passaggio generazionale;
- Atti e delibere societarie: relazioni illustrative, verbali e bilanci;
- Perizie indipendenti che attestino i valori dei beni trasferiti;
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve provare l’assenza di sostanza economica;
- Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Delibere assembleari e atti notarili di scissione;
- Relazioni illustrative e perizie di stima;
- Bilanci societari pre e post operazione;
- Contratti collegati (cessioni, affitti, conferimenti);
- Documentazione bancaria e finanziaria;
- Eventuali consulenze tecniche che giustifichino la ristrutturazione.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la legittimità della scissione con prove di ragioni economiche reali;
- Contestare l’accusa di abuso del diritto quando l’operazione ha avuto effetti concreti sull’organizzazione aziendale;
- Eccepire vizi formali dell’accertamento (motivazione carente, decadenza, notifica irregolare);
- Richiedere autotutela se l’operazione era già conforme a norme e prassi;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con possibilità di sospensione della riscossione;
- Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e trovare un accordo.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’accertamento e i rilievi mossi dal Fisco;
📌 Verifica la sussistenza delle ragioni economiche alla base della scissione;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per evitare la riqualificazione elusiva;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per strutturare operazioni straordinarie sicure e inattaccabili.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in operazioni straordinarie e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di società e gruppi su contestazioni di elusione fiscale;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni del Fisco sulle scissioni societarie con intenti elusivi non sempre sono fondate: spesso si basano su presunzioni e interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la reale utilità economica e organizzativa dell’operazione, evitare la riqualificazione come abuso del diritto e proteggere la tua impresa da conseguenze fiscali pesanti.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle scissioni inizia qui.