Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la liquidazione volontaria della tua società non risulta chiusa fiscalmente? In questi casi, l’Ufficio presume che l’omessa chiusura abbia comportato la mancata presentazione di dichiarazioni finali o l’occultamento di redditi, con conseguente recupero di imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: vi sono strumenti difensivi per dimostrare la regolarità della liquidazione e tutelare la società e i liquidatori.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una liquidazione volontaria
– Se la società non ha presentato le dichiarazioni fiscali di chiusura della liquidazione
– Se non è stato depositato il bilancio finale o il verbale di approvazione da parte dei soci
– Se emergono incongruenze tra i redditi dichiarati in corso di liquidazione e i movimenti contabili effettivi
– Se i liquidatori non hanno provveduto a comunicare la cessazione dell’attività ai fini IVA
– Se l’omessa chiusura è ritenuta strumentale a sottrarre redditi o patrimonio a tassazione
Conseguenze della contestazione
– Recupero delle imposte non dichiarate sui redditi dell’ultimo periodo di liquidazione
– Applicazione di sanzioni per omessa dichiarazione o infedele dichiarazione
– Interessi di mora calcolati dalla data di scadenza delle dichiarazioni non presentate
– Possibile responsabilità patrimoniale diretta dei liquidatori
– Rischio di controlli fiscali estesi ai soci e agli amministratori
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare l’avvenuta chiusura della liquidazione con bilanci e verbali regolarmente approvati
– Produrre documentazione fiscale e contabile che attesti l’assenza di redditi imponibili residui
– Contestare errori dell’Agenzia delle Entrate nella ricostruzione dei dati contabili e fiscali
– Evidenziare vizi formali, difetti di motivazione o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare gli atti societari e fiscali relativi alla liquidazione volontaria
– Verificare la correttezza delle operazioni contabili e delle dichiarazioni presentate
– Redigere un ricorso fondato su vizi formali e sostanziali dell’accertamento
– Difendere la società, i soci e i liquidatori davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio aziendale e personale da conseguenze fiscali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della regolarità della liquidazione già effettuata
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di chiudere correttamente la posizione fiscale della società
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni sulle liquidazioni volontarie non chiuse fiscalmente e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Le liquidazioni volontarie non chiuse fiscalmente rappresentano un tema complesso e cruciale nel diritto italiano, soprattutto quando il Fisco contesta il modo in cui una società è stata liquidata. In altre parole, la cancellazione di una società dal Registro delle Imprese non significa che l’Agenzia delle Entrate rinunci a pretendere tributi non pagati . Dal punto di vista del debitore (ex soci, ex amministratori o liquidatori, persone fisiche coinvolte), è fondamentale conoscere i propri diritti e doveri per difendersi efficacemente da contestazioni che possono sorgere dopo la chiusura formale dell’azienda.
Negli ultimi anni, normativa e giurisprudenza si sono evolute per delineare con maggiore precisione le responsabilità fiscali successive alla liquidazione. Sono intervenute riforme fiscali (fino al 2024-2025) e importanti sentenze della Corte di Cassazione (anche a Sezioni Unite) e della Corte Costituzionale, che hanno chiarito molte incertezze . Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – offre un’analisi approfondita e avanzata del tema, con un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a privati e imprenditori direttamente interessati.
Cosa troveremo in questa guida? Dopo un inquadramento normativo (civilistico e tributario) della liquidazione volontaria, esamineremo le differenze in base alla forma giuridica dell’impresa (società di capitali, di persone, ditte individuali). Passeremo poi alle contestazioni tipiche sollevate dal Fisco in caso di liquidazione “non chiusa” dal punto di vista fiscale (ad es. accuse di indebita interruzione dell’attività per sottrarsi ai creditori, omissioni di versamenti tributari, operazioni simulate per nascondere asset o utili). Approfondiremo le conseguenti responsabilità degli ex amministratori e liquidatori, nonché dei soci o titolari, incluse le eventuali sanzioni.
Un’ampia sezione sarà dedicata alle strategie difensive, sia stragiudiziali (strumenti deflattivi, accordi, definizioni agevolate) sia giudiziali (ricorso in contenzioso tributario, opposizioni in sede di riscossione). Il tutto corredato da tabelle riepilogative, esempi pratici riferiti all’ordinamento italiano e un format domande & risposte per chiarire i dubbi più frequenti. L’obiettivo è fornire un quadro completo su come difendersi di fronte a contestazioni fiscali legate a una liquidazione volontaria non completamente “regolarizzata” con l’Erario.
Quadro normativo di riferimento
Per affrontare al meglio il tema, occorre integrare le norme civilistiche sulla liquidazione societaria con quelle tributarie sull’accertamento e la riscossione. Inoltre, quando la società in liquidazione ha debiti significativi, entrano in gioco anche le norme concorsuali (in caso d’insolvenza). Di seguito un riepilogo dei riferimenti chiave.
Norme civilistiche sulla liquidazione volontaria
La liquidazione volontaria di una società è disciplinata dal Codice Civile. Le disposizioni principali includono:
- Cause di scioglimento e nomina del liquidatore: Art. 2484 c.c. elenca le cause per cui la società si scioglie (ad es. decisione dei soci, raggiungimento scopo sociale, perdite ecc.), mentre gli artt. 2485-2487 c.c. impongono agli amministratori, appena si verifica una causa di scioglimento, di convocare l’assemblea per formalizzare lo scioglimento e nominare uno o più liquidatori . I liquidatori subentrano nella gestione con il dovere di conservare il patrimonio e soddisfare i creditori.
- Poteri e doveri dei liquidatori: Artt. 2489-2491 c.c. stabiliscono che i liquidatori hanno il potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione, ma anche precisi obblighi. In particolare, devono predisporre il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto (art. 2492 c.c.), dal quale risulta come sono stati pagati i debiti e come l’eventuale attivo residuo è distribuito ai soci . Importante: i liquidatori devono soddisfare tutti i creditori sociali prima di distribuire alcunché ai soci . Pagare i soci prima dei creditori (incluso il Fisco) costituisce violazione dei doveri di legge (art. 2491 c.c.) e può integrare responsabilità personale del liquidatore.
- Cancellazione ed effetti sui debiti: L’art. 2495 c.c. sancisce che, una volta approvato il bilancio finale e depositata la domanda di cancellazione al Registro delle Imprese, la società si estingue come soggetto giuridico. Tuttavia, i creditori non soddisfatti non perdono i loro diritti: possono far valere i crediti verso gli ex soci, ma soltanto nei limiti di quanto questi hanno eventualmente ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione, e verso i liquidatori se il mancato pagamento è dovuto a colpa di questi ultimi . In pratica, il debito non si estingue ma “si sposta” su altri soggetti in misura limitata . Nel caso di società di persone (snc, sas), l’art. 2312 c.c. prevede analogamente l’azione dei creditori contro i soci illimitatamente responsabili e i liquidatori in colpa, ma va ricordato che in quelle società i soci erano già illimitatamente responsabili dei debiti sociali anche prima (per cui la cancellazione non aggiunge nuove responsabilità, semmai permane quella illimitata già esistente) .
- Successione nei rapporti pendenti: La giurisprudenza civile ha definito l’estinzione della società come un “evento successorio sui generis” . Ciò significa che i rapporti attivi e passivi residui si trasferiscono ai soci (sul piano sostanziale, i soci diventano titolari di crediti non riscossi e debiti insoddisfatti, nei limiti suddetti). Le Sezioni Unite della Cassazione già nel 2010 e 2013 hanno chiarito che la cancellazione produce effetto estintivo immediato, e nei giudizi pendenti i soci subentrano ex lege alla società estinta . Questo principio vale anche nel processo tributario, come vedremo, con adattamenti particolari.
In sintesi, in via civilistica: la società liquidata scompare, ma per i debiti rimasti valgono due regole fondamentali: 1. Gli ex soci di società di capitali rispondono solo entro quanto riscosso in liquidazione (se non hanno ricevuto nulla, non sono tenuti a pagare di tasca propria) . I soci di società di persone invece continuano a rispondere illimitatamente (salvo i soci accomandanti di una sas, che restano limitati al conferimento) . 2. I liquidatori possono essere chiamati a rispondere illimitatamente dei debiti sociali non soddisfatti solo se il mancato pagamento è dipeso da una loro colpa specifica (es.: hanno pagato i soci o altri creditori preferendo questi al Fisco, oppure hanno occultato attivo) . In assenza di colpa, non c’è responsabilità personale automatica.
Norme tributarie: accertamento e riscossione dopo la chiusura
Durante la liquidazione, la società resta soggetto passivo d’imposta e deve continuare a rispettare gli obblighi dichiarativi e di versamento per tutto il periodo di liquidazione. Ci sono però norme speciali per gestire il momento della chiusura ai fini fiscali e la sorte dei debiti tributari una volta che la società è estinta:
- Dichiarazioni fiscali di liquidazione: Occorre presentare le dichiarazioni dei redditi relative agli esercizi di liquidazione. Il TUIR (DPR 917/1986) all’art. 182 prevedeva fino al 2024 un meccanismo di tassazione “provvisoria” anno per anno, con conguaglio fiscale finale alla chiusura (per compensare utili e perdite durante la liquidazione). La recente riforma (D.Lgs. 192/2024) ha modificato questo regime: dal 2025 i redditi di ciascun anno di liquidazione sono tassati separatamente, senza conguaglio globale finale, salvo la possibilità di riportare a ritroso (carry-back) l’eventuale perdita finale entro 5 anni . Ciò semplifica i calcoli di chiusura, evitando che la liquidazione protratta generi ricalcoli complessi.
- Accertamenti fiscali: l’Agenzia delle Entrate ha i consueti termini per accertare le imposte (generalmente fino al 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ex DPR 600/1973). Se però la società viene meno prima che il Fisco agisca, si pone il problema di a chi intestare e notificare l’eventuale avviso di accertamento, dato che il contribuente (società) non esiste più . Per risolvere questo impasse, è stata introdotta nel 2014 una finzione giuridica di sopravvivenza fiscale della società estinta: l’art. 28, comma 4, D.Lgs. 175/2014 dispone che “ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle Imprese”. In sostanza, per il Fisco una società cancellata continua ad essere considerata esistente per i 5 anni successivi alla cancellazione . Questo consente:
- di emettere avvisi di accertamento e cartelle intestati alla società anche se è formalmente estinta,
- di notificarli presso la sede legale originaria oppure, più efficacemente, presso l’ultimo legale rappresentante (es. il liquidatore) .
Trascorsi i 5 anni, la società è definitivamente estinta anche agli occhi del Fisco, che dovrà rivolgersi direttamente ai successori (ex soci, liquidatori) con atti a loro nome .
- Notifica degli atti e contraddittorio: Se un atto impositivo viene notificato entro i 5 anni alla società (presso l’ex liquidatore), sorge il problema di chi possa impugnarlo. La giurisprudenza ha chiarito che, nonostante la fictio iuris, la società rimane estinta civilisticamente e non può agire in giudizio . I veri soggetti interessati sono gli ex soci, in quanto successori nei rapporti dell’ente estinto . Dunque, spetta ai soci proporre ricorso contro l’avviso intestato alla società, eventualmente rappresentati da un difensore, mentre l’ex liquidatore, in quanto tale, non ha legittimazione autonoma (non può ricorrere “a nome della società” ormai estinta) . Su questo punto la Cassazione ha emanato pronunce importanti (ad es. Cass. 25415/2024) che esamineremo più avanti. In pratica: l’atto è intestato alla società, ma devono essere i soci a firmare il ricorso (ciascuno per la propria posizione oppure congiuntamente tramite lo stesso difensore). Se nessun socio impugna, l’atto diverrà definitivo e si passerà alla riscossione contro di loro nei limiti di responsabilità.
- Riscossione dei tributi: una volta accertato il debito, il Fisco può iscrivere a ruolo le somme e procedere con cartelle esattoriali. Qui entra in gioco la regola civilistica: i soci pagano entro il limite di quanto ricevuto, il liquidatore eventualmente per intero se colpevole. L’ordinamento prevede anche strumenti per accertare nominativamente questa responsabilità: ad esempio, l’art. 36 DPR 602/1973 consente all’Amministrazione di emanare appositi avvisi di accertamento nei confronti di soci o liquidatori, per attribuire a loro il debito della società nei limiti e condizioni di legge . Tali atti “personalizzati” servono a provare, caso per caso, che ricorrono i presupposti di responsabilità (es: che il socio ha riscosso X euro in sede di liquidazione, oppure che il liquidatore ha compiuto violazioni). Questo accertamento nominativo è necessario perché non avviene alcun trasferimento automatico dell’obbligazione tributaria sui terzi . La Cassazione ha ribadito che, con la cancellazione, non si ha una mera modifica soggettiva del rapporto d’imposta, ma occorre un titolo specifico per colpire soci o liquidatori . Ad esempio, se il Fisco vuole escutere un ex socio, deve dimostrare che questi ha percepito distribuzioni di attivo sanzionate dall’art. 2495 c.c. o dall’art. 36 DPR 602/73 .
- Conferma di costituzionalità: La sopravvivenza fiscale quinquennale è stata sottoposta a vaglio della Corte Costituzionale, che l’ha ritenuta legittima (sent. 142/2020). La Consulta ha giudicato ragionevole permettere notifiche a un soggetto estinto entro 5 anni, bilanciando l’interesse erariale con l’esigenza di certezza giuridica . Quindi, se un avviso viene notificato entro questo termine alla società (presso l’ex liquidatore), non viola la Costituzione, purché poi ai soci sia garantito il diritto di difesa. Dopo i 5 anni, torna pienamente il principio civilistico (estinzione definitiva e fenomeno successorio).
Norme concorsuali e casi di insolvenza
Quando una società ha debiti (inclusi debiti tributari) che non riesce a pagare regolarmente, si parla di insolvenza. In tali situazioni, anziché la liquidazione volontaria, dovrebbero attivarsi le procedure concorsuali previste dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022 . Gli amministratori hanno il dovere di intercettare per tempo la crisi e attivare strumenti di regolazione (piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo) invece di aggravare la situazione . Se l’insolvenza è conclamata, la società può essere assoggettata a liquidazione giudiziale (la “nuova” parola per fallimento).
È importante notare che la cancellazione volontaria della società non mette al riparo da un’eventuale procedura concorsuale. La legge consente, infatti, di dichiarare il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) di una società già cancellata, purché l’istanza sia proposta entro un anno dalla cancellazione . Ciò serve a evitare cancellazioni fittizie tese a sfuggire ai creditori: se la società era insolvente prima di estinguersi, i creditori (incluso il Fisco) possono chiedere al tribunale, entro un anno, di “riaprire” la liquidazione in sede concorsuale . In tal caso si nomina un curatore e si ricostituisce la massa attiva (anche tentando di recuperare somme distribuite ai soci indebitamente).
Dal punto di vista del debitore, questo significa che liquidare volontariamente un’azienda con debiti ingenti non risolve ogni problema: l’Agenzia Entrate Riscossione o altri creditori potrebbero attivarsi per far dichiarare il fallimento entro l’anno, con conseguenze come: – revocatoria dei pagamenti o atti di distribuzione ai soci avvenuti prima della cancellazione (se pregiudizievoli per i creditori); – responsabilità penale per bancarotta in capo agli amministratori/liquidatori se emergono distrazioni di beni o altri reati fallimentari commessi prima/durante la liquidazione; – sospensione delle iniziative individuali di riscossione del Fisco, poiché il recupero dei crediti avviene nell’ambito concorsuale (il credito fiscale diventa parte del passivo fallimentare).
Pertanto, un liquidatore diligente, di fronte a evidente incapacità di pagare tutti, dovrebbe valutare l’ipotesi concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale) invece di chiudere e basta. Se però la liquidazione volontaria viene comunque portata a termine senza fallimento, il debito tributario residuo segue le regole illustrate: sopravvivenza fiscale 5 anni, responsabilità limitata di soci e liquidatori, ecc. Ma resta la spada di Damocle dell’azione fallimentare entro l’anno se c’è stato abuso.
Responsabilità di soci, amministratori e liquidatori dopo la chiusura
Chiuso il capitolo normativo, esaminiamo chi rischia di dover pagare i debiti fiscali rimasti insoluti dopo una liquidazione volontaria. Come già accennato, entrano in gioco la posizione degli ex soci, degli ex liquidatori e talvolta degli ex amministratori. Le responsabilità variano a seconda del tipo di impresa (capitali, persone, impresa individuale) e delle condotte tenute durante la liquidazione. La tabella riepilogativa seguente sintetizza le regole fondamentali:
Tabella – Responsabilità post-liquidazione in base al tipo di impresa
Tipo di impresa | Responsabilità ex soci/proprietari | Responsabilità ex liquidatori / amministratori | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|
Società di capitali<br>(S.r.l., S.p.A., etc.) | – Soci: responsabilità limitata alle somme ricevute in liquidazione (pro-quota). Se non hanno ricevuto alcun riparto, non devono pagare nulla (resta comunque accertabile il debito a carico della società estinta) .<br>– NB: I soci succedono nei rapporti obbligatori dell’ente estinto ai soli fini processuali e sostanziali, ma l’Erario deve provare quanto hanno incassato prima di esigere da loro . | – Liquidatore: responsabilità illimitata solo se ha violato i doveri di pagamento dei debiti sociali. In particolare se, per colpa sua, non sono state pagate imposte dovute pur essendoci attivo (es.: ha pagato prima i soci o altri creditori postergando il Fisco) . Altrimenti, nessuna responsabilità personale tributaria generale.<br>– Amministratori (pre-liquidazione): non subentrano automaticamente nei debiti fiscali. Rispondono solo se hanno compiuto illeciti specifici (es.: occultamento di attivo, omissione dolosa di obblighi che ha impedito al Fisco di soddisfarsi) o se non hanno attivato la liquidazione pur dovendo (violazione art.2485 c.c.) . | Art. 2495 c.c.<br>Art. 36 D.P.R. 602/1973, co. 3 (soci) e co. 2-4 (liquidatori).<br>Cass. SS.UU. 3625/2025 <br>Cass. 23341/2024 (sanzioni ai soci)<br>Cass. 24316/2023 (no sanzioni a soci/liquid.) |
Società di persone<br>(S.n.c., S.a.s., società semplici) | – Soci illimitatamente responsabili (tutti i soci di snc e i soci accomandatari di sas): rispondono in modo illimitato e solidale dei debiti sociali, già per legge. La cancellazione non cambia questa regola (semmai, dopo la chiusura, i creditori possono agire solo contro i soci perché la società non esiste più) .<br>– Soci accomandanti: responsabilità limitata al capitale conferito e eventuali utili percepiti in liquidazione. | – Liquidatore: analoga alla società di capitali, risponde illimitatamente solo se con colpa non ha soddisfatto i creditori (art. 2312 c.c.) .<br>– Amministratori: eventuali atti di mala gestio pre-liquidazione (distrazioni, frodi) li rendono perseguibili civilmente come co-obbligati per i danni causati (anche ex art. 36 DPR 602/73, assimilati a liquidatori in colpa). | Art. 2312 c.c.<br>Art. 36 D.P.R. 602/1973, co. 1.<br>Giurisprudenza costante su successione dei soci nei processi pendenti . |
Ditta individuale<br>(Impresa individuale cessata) | – Non ci sono “soci”: l’imprenditore è il debitore stesso. Dopo la cessazione attività, egli continua a rispondere illimitatamente con il proprio patrimonio personale di tutti i debiti tributari maturati durante l’esercizio dell’impresa . La chiusura della partita IVA non è una difesa di per sé: non può eccepire “non pago perché ho chiuso”, poiché rimane obbligato come persona fisica . | – Non vi è una distinta figura di liquidatore (il titolare stesso liquida i beni aziendali). Se per caso viene nominato un curatore per liquidare l’azienda (es. in caso di eredità d’azienda), questi risponde nei limiti del mandato e del patrimonio aziendale assegnato . L’imprenditore individuale può considerare strumenti come la liquidazione del patrimonio (procedura da sovraindebitamento) se non è in grado di far fronte ai debiti con i propri beni . | Art. 65 d.P.R. 600/1973 (debiti tributari trasmessi agli eredi).<br>Legge 3/2012 (Crisi da sovraindebitamento) / CCII art. 268 ss. (per esdebitazione della persona fisica). |
Nota: la responsabilità per le sanzioni tributarie (multe e sovrattasse) segue regole particolari. Tradizionalmente si riteneva che le sanzioni non si trasmettano a soci o liquidatori, per il principio di personalità della sanzione (nessuno può essere punito per un fatto altrui) . Ad esempio la Cass. 24316/2023 ha confermato che, estinta la società, né soci né liquidatore rispondono delle sanzioni amministrative tributarie perché mancherebbe un autore materiale in persona fisica . Tuttavia, una pronuncia più recente (Cass. 23341/2024) ha affermato il contrario, ossia che i soci debbano pagare le sanzioni nei limiti di quanto riscosso . Le Sezioni Unite 2025 non si sono espresse esplicitamente su questo punto, lasciando aperto il contrasto interpretativo. In pratica, l’Amministrazione finanziaria potrebbe tentare di irrogare sanzioni agli ex soci proporzionalmente al beneficio che hanno tratto; spetterà ai soci contestare tale pretesa appellandosi al principio di personalità della sanzione (anche richiamando l’art. 2 co.2 D.Lgs. 472/97 e l’art. 7 D.L. 269/2003) . È dunque un terreno insidioso e dibattuto: in via prudenziale, il socio ex liquidazione dovrebbe impugnare anche l’eventuale parte di sanzioni, sostenendo l’illegittimità della trasmissione.
Chiarimenti sulla responsabilità ex amministratori
Una questione frequente riguarda gli ex amministratori (che hanno gestito la società prima della liquidazione): possono essere chiamati dal Fisco a rispondere dei debiti tributari non pagati? In linea generale, no, non esiste nel nostro ordinamento una norma che renda automaticamente coobbligati amministratori e soci per i debiti tributari sociali . L’art. 36 DPR 602/73 cita solo soci e liquidatori. Tuttavia, vi sono circostanze in cui l’amministratore potrebbe incorrere in responsabilità indiretta: – Omessa attivazione della liquidazione: se si verifica una causa di scioglimento e gli amministratori non convocano l’assemblea e non nominano un liquidatore, ma magari continuano l’attività o chiudono di fatto senza liquidazione formale, essi stessi assumono i doveri dei liquidatori ipso iure . Di conseguenza, potrebbero essere chiamati a rispondere come se fossero liquidatori. Ad esempio, se una SRL di fatto cessa l’attività nel 2025 ma gli amministratori non la pongono in liquidazione e la lasciano inattiva con debiti, l’Agenzia può sostenere che essi avevano gli obblighi del liquidatore e, avendoli violati, ne rispondono per colpa (in base sempre all’art.36 DPR 602). – Atti distrattivi o fraudolenti prima della liquidazione: se gli amministratori, sapendo dei debiti, hanno sottratto beni sociali (es. vendite simulate a terzi compiacenti, spostamento di asset a un’altra società riconducibile ai medesimi soci, ecc.), tali condotte possono integrare reati tributari o civili (es. operazioni simulate o abuso del diritto, v. oltre) e dare luogo sia a responsabilità penale sia a azione per danni. Il Fisco, se individua queste operazioni, può considerarle nulle o inopponibili: in pratica può ignorare il trasferimento simulato e ritenere ancora la società (o i soci) in possesso di quei beni/proventi, rivalendosi su di essi. Inoltre, i creditori possono agire contro l’amministratore per risarcimento del danno causato da atti in frode (anche ex art. 2394 c.c. se hanno aggravato il dissesto). – Responsabilità per indebito arricchimento personale: se l’amministratore ha beneficiato direttamente di somme sociali (ad es. compensi non dovuti, prelievi conto soci non restituiti) in prossimità della liquidazione, l’Agenzia delle Entrate potrebbe tentare di rivalersi su di lui almeno per tali importi, qualificandoli come utili occulti distribuiti. In generale però, questo rientra nell’azione verso i soci percettori più che in una responsabilità dell’amministratore qua tale.
In conclusione, l’amministratore che ha operato correttamente (non ha occultato beni, non ha ritardato illecitamente la liquidazione, ecc.) non risponde dei debiti tributari rimasti – questi seguiranno la via verso i soci e, semmai, verso il liquidatore per colpe di quest’ultimo. Viceversa, in caso di illeciti o abusi commessi dall’amministratore, vi sono strumenti per chiamarlo in causa (anche sul piano penale, si pensi ai reati di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11 D.Lgs. 74/2000, o appropriazione indebita se ha distratto risorse spettanti ai creditori).
Onere della prova e modalità di accertamento delle responsabilità
Un elemento fondamentale emerso dalle sentenze recenti è l’onere della prova a carico del Fisco nel perseguire ex soci o liquidatori: – Per pretendere da un ex socio il pagamento, l’Amministrazione deve provare che quel socio ha effettivamente ricevuto somme dall’attivo di liquidazione . Non basta dire “era socio, quindi paga”: occorre un atto (avviso) che accerti la distribuzione di una quota di attivo a suo favore e quantifichi il limite della sua responsabilità. Ad esempio, se Tizio era socio al 50% e dal bilancio finale risulta un riparto di €20.000 a lui, il Fisco potrà chiedergli al massimo €20.000 (oltre eventuali sanzioni se ritenute dovute), ma deve indicare questi fatti nell’atto indirizzato al socio. – Per agire contro il liquidatore, il Fisco deve provare la colpa specifica del liquidatore nel non aver pagato le imposte. Questo tipicamente significa provare che vi era sufficiente attivo per pagare quelle imposte e che il liquidatore lo ha destinato altrove, oppure che ha compiuto atti in violazione della par condicio creditorum . La Cassazione (SU 3625/2025) ha chiarito che la responsabilità del liquidatore non è una mera successione nel debito, bensì una responsabilità per inadempimento di obblighi legali: il liquidatore risponde se e nella misura in cui, per sua colpa, il Fisco non è stato soddisfatto . Ne consegue che in giudizio è richiesto al liquidatore di dimostrare l’assenza di colpa da parte sua (inversione dell’onere della prova) . In pratica dovrà provare, per esimersi, che non poteva pagare le imposte a causa dell’insufficienza dell’attivo e che ha rispettato l’ordine dei privilegi nei pagamenti. Se lo dimostra, sfugge alla condanna; se invece emerge che ha pagato altri indebitamente prima del Fisco, verrà ritenuto responsabile. Ad esempio, se il liquidatore ha distribuito €50.000 ai soci ma poi è rimasto un debito IVA di €30.000 impagato, è pressoché certo che gli verrà addebitato quel €30.000 (dovrà rifonderlo di tasca propria) .
In virtù di queste regole probatorie, gli ex soci “innocenti” (che non hanno preso nulla) hanno buone possibilità di difesa, mentre i liquidatori negligenti difficilmente potranno sottrarsi alle proprie responsabilità. Le pronunce più recenti, come vedremo, confermano questa impostazione: niente responsabilità automatica per soci/liquidatori, ma nemmeno scappatoie per chi ha realmente beneficiato di attivi societari o leso i diritti erariali .
Contestazioni tipiche del Fisco nelle liquidazioni “non chiuse” fiscalmente
Quali sono, in concreto, le contestazioni che l’Amministrazione finanziaria può muovere in occasione (o a seguito) di una liquidazione volontaria? Esaminiamo le situazioni più frequenti, dal punto di vista del debitore che si vede recapitare atti o accuse, e vediamo come impostare una difesa.
Liquidazione come abuso per sfuggire ai debiti (cd. “indebita interruzione”)
Spesso il Fisco guarda con sospetto le liquidazioni volontarie di società cariche di debiti, specie se seguite magari dall’apertura di una nuova società con gli stessi soci. Si parla talvolta di “indebita interruzione” dell’attività: la società viene sciolta (interrotta) al solo scopo di sfuggire al pagamento delle imposte, magari proseguendo il business sotto altra veste. Questo può configurare un abuso del diritto o addirittura ipotesi di reato.
Dal punto di vista fiscale, grazie alla sopravvivenza quinquennale, il tentativo di “spegnere” la società per evitare l’accertamento è in gran parte vanificato: l’Agenzia può comunque notificare avvisi entro 5 anni dalla cancellazione . Inoltre, la Cassazione ha chiarito che la cancellazione non comporta l’estinzione del debito tributario, ma solo la sua eventuale traslazione su soci e liquidatori . Pertanto, non è una difesa per il contribuente dire: “la società non esiste più, quindi il debito non è esigibile”. Come visto, il debito resta esigibile eccome, sebbene con modalità diverse.
Tuttavia, l’“abuso” può consistere in operazioni collaterali: ad esempio, trasferire l’azienda o i beni a un’altra società prima di liquidare la vecchia (così l’attività prosegue altrove, mentre i debiti restano in capo al guscio vuoto che viene chiuso). In tali casi, il Fisco può: – contestare un trasferimento d’azienda in frode ai creditori fiscali, magari utilizzando l’art. 14 D.Lgs. 472/1997 (obbligazione solidale del cessionario d’azienda per i debiti tributari altrui) se ne ricorrono gli estremi; – oppure invocare l’inefficacia dell’atto ex art. 66 L.Fall. (ora art. 292 CCII) in un eventuale fallimento postumo, o anche promuovere un’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. se il trasferimento è avvenuto a titolo gratuito o con dolo; – sul piano penale, contestare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) qualora gli amministratori abbiano compiuto atti simulati o fraudolenti per rendere inefficace la riscossione (esempio tipico: svuotare la società prima della liquidazione).
Esempio pratico: Alfa S.r.l., carica di debiti IVA, cede tutti i suoi macchinari e clienti a Beta S.r.l. (neocostituita con gli stessi soci) a un prezzo irrisorio, dopodiché Alfa viene messa in liquidazione e chiusa. L’Agenzia delle Entrate può considerare l’operazione come simulata o comunque un abuso: accerterà eventualmente una plusvalenza occulta su Alfa per aver ceduto sottocosto, coinvolgerà Beta come responsabile in solido (cessione d’azienda) e segnalerà il fatto alla Procura per sottrazione fraudolenta. Inoltre, se Alfa non paga le imposte dovute, il liquidatore e i soci di Alfa saranno perseguiti nelle forme già descritte (entro i limiti delle loro responsabilità), mentre Beta S.r.l. rimarrà debitore in via principale per i tributi suoi e in via sussidiaria per quelli eventualmente derivanti dall’azienda ricevuta.
Come difendersi da simili contestazioni? Dal lato civile/tributario, il debitore potrà: – dimostrare la genuinità delle operazioni contestate: nel nostro esempio, provare che la cessione d’azienda è avvenuta a valori di mercato e senza intento fraudolento (perizia di stima, pagamento effettivo di un corrispettivo congruo, ecc.); – eccepire l’assenza di un vantaggio fiscale indebito: se la liquidazione è stata decisa per ragioni extrafiscali (fine dell’attività per ragioni di mercato) e non c’è continuità imprenditoriale, non c’è abuso del diritto. È fondamentale poter evidenziare la discontinuità, ad esempio mostrando che Beta S.r.l. opera diversamente o che i soci non hanno tratto profitto personale dal “trasloco” di attività; – opporsi ad eventuali pretese di responsabilità solidale (es. cessionario d’azienda) sostenendo la non applicabilità della norma se non erano rispettate le condizioni (ad esempio, se non c’è un ramo d’azienda ma solo singoli beni ceduti, l’art.14 D.Lgs 472/97 non opera).
Dal lato penale, se vi sono accuse di reato, la difesa consisterà nel dimostrare che manca l’elemento fraudolento: ad esempio, che gli asset non sono stati nascosti ma regolarmente venduti a terzi estranei, che il prezzo non era fittizio, oppure che la decisione di liquidare era dovuta a una crisi irreversibile e non a una macchinazione contro il Fisco. In sostanza, occorre provare la buona fede del liquidatore e degli amministratori.
Va detto che l’onere di provare l’abuso è in capo all’Amministrazione finanziaria: per qualificare una condotta come elusiva o abusiva, ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000), il Fisco deve individuare vantaggi fiscali indebiti come motivo essenziale delle operazioni. Il contribuente potrà controbattere evidenziando motivazioni economiche valide (business reasons) alla base della liquidazione e delle eventuali operazioni connesse.
Omissioni di versamenti di imposte e contributi
Un’altra contestazione frequente riguarda le omissioni di versamento di imposte dovute in capo alla società in liquidazione. Tipicamente parliamo di IVA non versata, ritenute fiscali non versate, oppure rate di cartelle esattoriali non pagate durante la liquidazione. Dal punto di vista del Fisco, il mancato versamento genera: – Debiti tributari iscritti a ruolo, che come abbiamo visto potranno essere chiesti a soci e liquidatori secondo le regole di responsabilità limitata o illimitata. – Sanzioni amministrative per omesso versamento (generalmente pari al 30% dell’importo non versato, salvo definizioni agevolate se il ravvedimento è ancora possibile). – Possibili conseguenze penali se l’omissione riguarda certe imposte oltre soglie specifiche (il D.Lgs. 74/2000 prevede reati tributari per omesso versamento di ritenute certificate sopra €150.000 e per omesso versamento IVA sopra €250.000, per ciascun periodo d’imposta – art. 10-bis e 10-ter).
Dal punto di vista del debitore ex liquidazione, ci si può trovare in due situazioni: 1. Contestazione in sede fiscale-amministrativa: L’Agenzia emette un atto (avviso di accertamento o addebito) per recuperare l’imposta non versata, con interessi e sanzioni. Questo atto può arrivare alla società entro 5 anni (c/o liquidatore) oppure direttamente al socio/liquidatore come atto nominativo ex art.36 DPR 602. 2. Contestazione penale (procura della Repubblica): In parallelo o successivamente, se le soglie di punibilità sono superate, gli amministratori o liquidatori responsabili potrebbero ricevere un decreto di citazione o un avviso di garanzia per il reato di omesso versamento. Da notare che soggetto attivo di tali reati è colui che doveva effettuare il versamento: tipicamente il legale rappresentante pro-tempore al momento della scadenza (se durante la liquidazione, il liquidatore; se prima, l’amministratore).
Difendersi sul piano tributario: In sede di contenzioso tributario, le omissioni di versamento offrono pochi spiragli sul merito (se l’imposta era dovuta ed è stata dichiarata, l’unica contestazione può riguardare aspetti formali). Tuttavia, il debitore sociale può far valere alcune difese: – Impugnare le sanzioni: come detto, sostenendo che non sono trasmissibili a soci/liquidatori, o chiedendone la riduzione se ci sono attenuanti (es. crisi di liquidità non imputabile). – Chiedere la rateazione o definizione agevolata: se l’avviso non è stato impugnato nel merito, a volte conviene più negoziare un pagamento a rate o aderire a condoni/rottamazioni (quando disponibili) piuttosto che fare causa su un omesso versamento difficilmente contestabile. Di questo diremo nelle strategie stragiudiziali. – Verificare la regolarità procedurale: ad esempio, se la società era cancellata e l’avviso è notificato al liquidatore ma poi la cartella è arrivata direttamente al socio senza un nuovo avviso, si potrebbe eccepire vizio di notifica (ogni soggetto coobbligato dovrebbe ricevere il proprio atto).
Difendersi sul piano penale: Fino al 2023, l’unica vera via di uscita dal reato di omesso versamento era il pagamento integrale del dovuto (imposte, sanzioni e interessi) prima dell’apertura del dibattimento, ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000, che prevede la non punibilità in caso di integrale estinzione del debito tributario. In mancanza di pagamento, l’imputato poteva solo invocare una causa di forza maggiore (ad es. provare che una crisi di liquidità lo aveva reso materialmente incapace di pagare, senza sua colpa), ma la giurisprudenza era molto severa nel riconoscerla.
Novità 2023-2024: in attuazione della delega per la riforma fiscale (L. 111/2023), è stato emanato il D.Lgs. 87/2024, in vigore dal 29 giugno 2024, che ha introdotto importanti cause di non punibilità per i reati di omesso versamento. In particolare, il nuovo art. 13, comma 3-bis, D.Lgs. 74/2000 dispone che non è punibile il reato di omesso versamento di ritenute o IVA se l’omissione dipende da cause non imputabili all’autore, sopravvenute dopo il momento in cui le imposte sono state incassate o le ritenute operate . Viene così codificata la “crisi di liquidità non transitoria” come causa di forza maggiore: il giudice penale dovrà verificare che la crisi: – sia reale, non temporanea, e causata da eventi al di fuori del controllo dell’imprenditore (es: mancati pagamenti da clienti importanti, insolvenze a catena, crisi di settore) ; – e che l’imprenditore abbia fatto tutto il possibile per porvi rimedio (ad esempio tentando finanziamenti, dilazioni, vendite di asset personali per reperire fondi) .
In pratica, se l’omissione di versamento è davvero dovuta a forza maggiore, oggi c’è uno spazio normativo per ottenere l’assoluzione senza dover necessariamente pagare l’intero debito (che magari è impossibile da pagare). Resta però un onere probatorio molto elevato in capo all’imputato, che dovrà documentare in dettaglio l’origine della crisi e l’inevitabilità dell’omissione . Ad esempio, dovrà provare che non ha riscosso crediti fondamentali da clienti insolventi, e che ciò ha reso impossibile pagare l’IVA, malgrado abbia provato a salvare liquidità tagliando altre spese, ecc. La Cassazione aveva già affermato che la crisi di liquidità può rilevare solo se non imputabile e sfuggita al controllo dell’imprenditore ; ora questo principio è legge.
Inoltre, il D.Lgs. 87/2024 ha introdotto un nuovo comma 3-ter all’art. 13 che sembra riconoscere la non punibilità anche nei casi in cui il debito tributario sia estinto o ridotto nell’ambito di procedure concorsuali o accordi di ristrutturazione omologati . Ad esempio, se un imprenditore evita il fallimento con un concordato in cui l’Erario accetta il pagamento parziale del debito IVA, il pagamento della quota concordataria estinguerebbe il reato.
In sintesi, per l’ex liquidatore o amministratore indagato per omessi versamenti: – La prima opzione di difesa resta il pagamento integrale (se possibile) del dovuto prima del processo: ciò estingue il reato (art. 13 co.1 e 2). – Se il pagamento integrale non è fattibile, valutare se rientra nella causa di forza maggiore codificata dal comma 3-bis: preparare un dossier sulla crisi aziendale che ha portato all’omissione, dimostrando l’assenza di colpa (questa strada richiede supporto di consulenti e documenti contabili). – In ogni caso, far emergere che le risorse finanziarie disponibili al momento sono state destinate a spese obbligate (es. pagamento stipendi, fornitori vitali) e che non c’è stato arricchimento personale: ciò aiuta sia a livello penale (escludere dolo di evasione) sia a livello fiscale (evitare che il Fisco pensi a distrazioni volontarie).
Va ricordato che la sanzione penale colpisce la persona fisica (amministratore/liquidatore) e prescinde dalla società ormai estinta. Dunque, se il reato è configurabile, la chiusura della società non impedisce al processo penale di fare il suo corso. Di contro, se l’imputato viene prosciolto perché il fatto non è punibile (crisi di forza maggiore), questo non significa che il debito fiscale sparisce: semplicemente, si eviterà la pena, ma l’Agenzia potrà comunque perseguire il recupero delle somme secondo le vie amministrative.
Contestazione di operazioni simulate o distribuzioni occulte ai soci
Durante le verifiche fiscali sulle società in liquidazione, spesso vengono analizzate con attenzione le ultime operazioni compiute prima della chiusura. L’obiettivo del Fisco è scoprire eventuali operazioni simulate o riparti occulti di patrimonio, cioè atti volti a occultare redditi o a distribuire utili in modo non dichiarato. Alcuni esempi: – Vendite di beni a valori irrisori a favore di soci o parti correlate, poco prima della liquidazione, che potrebbero celare distribuzioni di utili non tassati (il bene sottostimato è un modo per dare un vantaggio al socio acquirente). – Cancellazione di crediti verso i soci o versamento a fondo perduto a favore di società collegate, per svuotare la società di liquidità. – Fatture per operazioni inesistenti (simulate) emesse o ricevute negli ultimi periodi, per abbattere l’utile o drenare cassa (ad esempio, il liquidatore paga fatture a una ditta fittizia, facendo uscire denaro che in realtà finisce al socio di tale ditta, il tutto per non mostrare utili residui). – Omissione di dichiarare ricavi nell’ultimo esercizio o gonfiare i costi, in modo che il bilancio finale risulti “in pareggio” o in perdita e nulla venga apparentemente distribuito.
Se l’Agenzia delle Entrate contesta operazioni simulate, in genere emetterà avvisi di accertamento per rettificare il reddito d’impresa degli ultimi esercizi, ripristinando la corretta rappresentazione: – Una vendita a prezzo stracciato a un socio verrà riqualificata come vendita a valore normale, con conseguente maggior ricavo tassabile per la società (e IVA evasa se applicabile) e, indirettamente, come utilo/dividendo occulto al socio beneficiario. – Una fattura falsa verrà disconosciuta: se era un costo fittizio, verrà recuperata a tassazione (più sanzione per dichiarazione fraudolenta se del caso). – Se risultano utili occulti distribuiti (ad esempio prelievi di cassa senza giustificativo), il Fisco li può considerare dividendi ai soci, tassandoli in capo ai soci stessi (oltre a pretenderli come attivo extra-bilancio su cui soddisfare i creditori).
Per difendersi da tali contestazioni, le strade sono: – Dimostrare la sostanza economica reale: ad es., se contestano che un immobile venduto al socio per €100.000 ne valeva €300.000, produrre perizie o evidenze che supportino il prezzo di €100.000 (magari c’erano vincoli, danni, difficoltà di mercato). Se c’è logica di mercato, l’accusa di simulazione decade. – Documentare i flussi finanziari: se il Fisco ipotizza che una certa uscita sia finita di nascosto al socio, mostrare invece dove è andata realmente (conto corrente, pagamenti a terzi effettivi). La trasparenza è la miglior difesa contro l’accusa di occultamento. – Verificare la procedura di contestazione: nel caso di rilievi che configurano reati (come le fatture false), il contribuente ha diritto al contraddittorio penale-tributario e devono essere seguite specifiche garanzie (processo verbale di constatazione, eventuale segnalazione alla Guardia di Finanza, ecc.). Vizi procedurali possono talvolta invalidare l’atto (anche se poi colmabili). – Limiti di accertamento temporale: spesso le operazioni simulate vengono contestate a distanza di anni. Bisogna controllare i termini di decadenza: se, poniamo, l’ultimo anno d’imposta della società era il 2019 e l’avviso arriva nel 2025, potrebbe essere tardivo oltre i termini di accertamento (a meno di proroghe per reato, che estendono i termini). Far valere la decadenza dell’accertamento se applicabile.
Va aggiunto che, se davvero vi furono operazioni simulate, il liquidatore o gli amministratori rischiano anche sul piano penale: ad esempio l’emissione o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è reato (art. 2 e 8 D.Lgs. 74/2000); la sottrazione di attivo ai creditori può integrare bancarotta fraudolenta se c’è fallimento, o il già citato art.11 D.Lgs.74 se fatto per evitare imposte. La difesa penale in questi casi è molto tecnica, ma in genere se la contestazione in sede tributaria riesce ad essere superata (provando la legittimità delle operazioni), anche il penale viene meno perché manca l’elemento delittuoso.
Esempio pratico: Beta S.r.l. in liquidazione cede nel 2024 un automezzo al socio Tizio per €5.000. Un anno dopo, il Fisco accerta che il valore di mercato del mezzo era €20.000. Ne deriva un maggior ricavo di €15.000 tassato in capo a Beta (maggiori IRES e IVA) e considerato distribuzione di utili a Tizio. Tizio riceve un avviso per tassazione di dividendi occultati. Beta ormai è estinta, ma l’avviso a Beta viene notificato c/o il liquidatore entro 5 anni e i soci dovranno difendersi. Se Beta/Tizio dimostrano che il mezzo era inutilizzabile e venduto per rottamazione (dunque €5.000 era congruo), l’accertamento può cadere. Altrimenti, Beta (tramite i soci) dovrà pagare le imposte evase e Tizio dovrà pagare le imposte sui dividendi percepiti (oltre all’eventuale sanzione, salvo eccepire la non trasmissibilità come detto prima).
In definitiva, la miglior strategia è prevenire: durante una liquidazione, evitare qualunque apparenza di favoritismo verso soci o operazioni non a valore di mercato. Se però il danno è fatto e arriva la contestazione, raccogliere ogni prova contraria e, se le contestazioni sono fondate, valutare soluzioni transattive (come adesione, v. oltre) per limitare i danni economici e sanzionatori.
Procedura di accertamento fiscale e contenzioso dopo la liquidazione
Esaminiamo ora come concretamente l’Agenzia delle Entrate procede per accertare e riscuotere tributi dopo la chiusura della società, e quali sono le regole processuali per impugnare gli atti. La fase è delicata perché il soggetto originario (la società) non esiste più, quindi occorre individuare il destinatario corretto degli atti e chi abbia la legittimazione processuale per stare in giudizio. Analizziamo separatamente: – Accertamento entro i 5 anni dalla cancellazione. – Accertamento oltre i 5 anni. – Notifica degli atti impositivi. – Ricorso in commissione tributaria (oggi Corti di Giustizia Tributaria).
Accertamento entro i cinque anni dalla cancellazione
Nei primi 5 anni post-cancellazione, come visto, vige la fictio iuris della “società fiscalmente ancora in vita”. Ciò significa che l’Agenzia può emettere un avviso di accertamento intestato alla società e spedirlo all’ultimo indirizzo noto. In pratica: – L’avviso riporterà il nome della società (es. “Alfa S.r.l.”) con il suo codice fiscale, ma sarà inviato presso l’ultimo legale rappresentante noto . Spesso l’intestazione sull’atto è del tipo “Alfa S.r.l. in persona del sig. Mario Rossi, ultimo liquidatore”. – La notifica si considera valida se consegnata al liquidatore (o ex amministratore, se non c’era un liquidatore) quale nuntius della società . Il liquidatore che riceve l’atto non diventa automaticamente debitore di quelle somme, ma è tenuto a informarne i soci e comunque subisce gli effetti processuali (in quanto atto ritualmente notificato all’ente). – Una volta ricevuto l’avviso, scattano i normali 60 giorni per fare ricorso. E qui, come detto, il ricorso deve essere proposto dagli ex soci. Tutti i soci interessati dovrebbero impugnarlo, di solito con un ricorso congiunto tramite un unico difensore, oppure separatamente se hanno posizioni differenti. Il liquidatore in proprio non ha legittimazione: Cass. 25415/2024 ha chiarito che il ricorso presentato dall’ex liquidatore in nome della società è inammissibile , perché la società era già estinta e lui non può più rappresentarla. Se il liquidatore è anche socio, può agire in qualità di socio, ma deve farlo esplicitando tale veste.
- Caso particolare: se nessun socio impugna l’atto, la società (fittiziamente esistente) risulterà contumace e l’atto potrà divenire definitivo. In tal caso l’Agenzia, trascorsi i termini, iscriverà a ruolo le somme a nome della società, ma per riscuoterle dovrà rivolgersi a soci e liquidatore con atti esecutivi. È una situazione da evitare: gli ex soci devono coordinarsi per non lasciare scoperto l’atto.
Durante il giudizio, la società estinta non può comparire come parte se non tramite i soci. La Cassazione (Sez. Unite 2013 nn.6070-72) ha statuito che la cancellazione crea un fenomeno successorio: i soci stanno in giudizio al posto della società estinta . Quindi il giudice ammetterà il ricorso presentato dai soci come se fossero essi i ricorrenti originari. In effetti, spesso il ricorso viene intitolato così: “Ricorso dei sigg. X e Y, quali ex soci della Alfa Srl estinta, avverso avviso emesso nei confronti di Alfa Srl”.
Da notare: se l’atto è intestato alla società ed impugnato dai soci, l’oggetto del giudizio è comunque l’accertamento del tributo in capo alla società (cioè, se l’imposta era dovuta o no). Il fatto che i soci assumano la veste di ricorrenti non trasforma automaticamente il merito in un accertamento sulla responsabilità di costoro. Questo crea a volte confusione: i soci possono eccepire questioni sulla loro responsabilità (ad es. “io non ho incassato utili, quindi non devo pagare”), ma alcuni giudici ritengono che tali questioni di responsabilità esulino dal giudizio sull’atto intestato alla società. Le Sezioni Unite 3625/2025 hanno fatto chiarezza: la percezione di somme da parte dei soci rileva come condizione dell’interesse ad agire del Fisco, non come elemento della legittimazione passiva . Ciò significa che: – Se un socio non ha ricevuto nulla, può sostenere che al Fisco manca l’interesse a colpire lui, ma questo va fatto valere con un autonomo atto verso di lui (non può essere motivo per annullare l’accertamento in sé, che riguarda la società) . – L’Agenzia, per sicurezza, spesso notifica anche un avviso al socio ai sensi dell’art. 36 DPR 602/73, contestualmente. In quel caso il socio impugnerà entrambi: l’avviso alla società (per contestare il merito del tributo) e l’avviso a sé (per contestare di dover pagare). È un doppio binario.
Riassumendo i passi pratici entro 5 anni: 1. Avviso al nome della società → notificato al liquidatore (valido). 2. Ricorso da proporre entro 60 giorni → a cura dei soci (il liquidatore non agisce a nome proprio se non è anche socio). 3. Giudizio → vede i soci come parti. Eventuale sentenza riguarda il tributo (e se i soci hanno eccepito di non aver ricevuto attivo, il giudice può limitarsi a prenderne atto ai fini dell’interesse). 4. Esito: se i soci vincono, nulla è dovuto. Se perdono, la sentenza accerta il debito della società; a quel punto l’Erario potrà procedere contro i soci per la riscossione nei limiti.
Accertamento oltre i cinque anni dalla cancellazione
Decorso il quinquennio dalla cancellazione, la fictio cessa: la società è a tutti gli effetti giuridici estinta anche per il Fisco. Ciò significa che non si possono più emettere atti a nome della società – sarebbero nulli per inesistenza del destinatario. L’Agenzia dovrà allora emettere eventuali avvisi di accertamento direttamente nei confronti dei soggetti obbligati: tipicamente gli ex soci, oppure il liquidatore se ritiene la sua responsabilità.
In questi atti, il Fisco contesterà sia il tributo evaso dalla società sia il fatto che l’obbligo di pagarlo ricade su quel soggetto in virtù degli artt. 2495 c.c. e 36 DPR 602. Ad esempio: “Avviso di accertamento IRPEG 2019 a carico del sig. X quale ex socio della Alfa Srl, per €… dovuti a seguito di utili di liquidazione percepiti e non assoggettati a tassazione in capo alla società”. Oppure: “Avviso al sig. Y quale ex liquidatore della Beta Srl, per €… dovuti in ragione dell’omesso pagamento di tributi per colpa nella gestione della liquidazione”.
Le regole per l’accertamento oltre 5 anni sono in parte analoghe ma con una differenza processuale importante: – L’atto essendo intestato al socio (o liquidatore) è da lui impugnabile normalmente, come fosse un accertamento “personale”. Dunque, X riceve l’avviso e fa ricorso come contribuente, senza necessità di successori processuali. – In tale giudizio si discuterà sia del merito del tributo (X potrà contestare l’esistenza del debito d’imposta originario) sia della sua responsabilità (potrà eccepire ad esempio di non aver ricevuto somme, ecc.). Il giudice tributario dovrà valutare entrambi gli aspetti.
La Cassazione, in merito, ha affermato che l’avviso “al socio” è l’atto corretto per accertare la responsabilità e che non è possibile coinvolgere i soci in contenziosi solo intestati alla società senza questo passaggio . Dunque se l’Erario si è lasciato scadere i 5 anni senza notificare nulla alla società, non tutto è perduto: può ancora colpire i soci direttamente, ma deve farlo con un atto motivato ad hoc e sempre entro il termine di decadenza dell’accertamento fiscale (che di solito è il 31 dicembre del quinto anno successivo al periodo d’imposta, prorogabile in caso di reato contestato).
Esempio: Alfa Srl cancellata nel 2018. Nel 2025 l’Agenzia scopre evasione IVA 2017 non accertata prima. Siccome sono passati più di 5 anni dalla cancellazione (2018–>2023), l’Agenzia non può notificare un avviso ad “Alfa Srl”. Dovrà notificare entro il 31/12/2025 atti ai soci di Alfa, indicando che chiede a loro il pagamento dell’IVA evasa dalla società per quell’anno, nei limiti delle somme di liquidazione incassate. I soci faranno ricorso come normali contribuenti. Se l’Agenzia notificasse erroneamente un atto intestato ad Alfa Srl nel 2025, questo sarebbe nullo per “inesistenza del destinatario” (società estinta da oltre 5 anni) .
Notifica delle cartelle esattoriali e ruoli “straordinari”
Dopo che un accertamento diviene definitivo (per mancata impugnazione o a seguito di sentenza passata in giudicato), l’Agenzia Entrate Riscossione procede con la notifica della cartella esattoriale. Anche qui sorgono problemi di intestazione: – Se c’è un ruolo a nome di una società cancellata da meno di 5 anni, in genere il concessionario notifica la cartella ancora alla società (presso il liquidatore). Può sembrare strano, ma è considerato valido grazie alla fictio. Tuttavia, data la coesistenza della responsabilità dei soci, spesso le cartelle vengono notificate contestualmente anche agli ex soci come coobbligati. In alcuni casi, l’ADER emette cartelle separate: una a nome società (che formalmente ha ancora la partita IVA attiva ai fini fiscali per quei 5 anni) e altre a nome soci (come obbligati ai sensi di art. 2495). – Se la società è estinta da oltre 5 anni, il ruolo dovrebbe essere intestato direttamente ai soci o al liquidatore responsabile, mai più alla società.
Come difendersi nella fase di riscossione? Se si riceve una cartella: – Verificare chi è intimato al pagamento: se arriva una cartella intestata alla società ma consegnata al socio, occorre fare attenzione. Formalmente, quella cartella è diretta a un soggetto estinto; la Cassazione ha ritenuto inesistenti le cartelle intestate a società defunte e mai notificate ai soci . Dunque, un socio che si vede recapitare (magari per posta) una cartella a nome della ex società, può eccepire che quell’atto è nullo (notifica a destinatario inesistente). Attenzione: alcuni concessionari scrivono sulla cartella sia il nome della società che quello del socio come obbligato in solido. In tal caso la cartella vale come rivolta al socio, ed è impugnabile da quest’ultimo. – Tempestività: la cartella, se non è preceduta da un avviso notificato regolarmente al socio, può essere il primo atto che il socio vede. In tal caso, si può impugnarla entro 60 giorni eccependo la mancata notifica dell’atto presupposto . Ad esempio: socio riceve cartella nel 2025 per IRPEF 2018 della società, senza aver mai visto un avviso prima – impugnerà dicendo che l’accertamento a base del ruolo non gli è mai stato notificato, quindi il debito non è esigibile. – Ruolo straordinario: vale la pena menzionare che, se vi è pericolo per la riscossione, l’Agenzia può iscrivere a ruolo straordinario i debiti non contestati per importi rilevanti, notificando cartelle anche prima dei 60 giorni dall’accertamento (art. 15-bis DPR 602/73). È un caso raro, ma spesso usato quando la società si cancella: l’Ufficio teme di non recuperare e accelera i tempi di iscrizione a ruolo anche senza attendere definitività. In ogni caso, il socio/liquidatore può opporsi se i termini non sono rispettati o se manca la condizione di pericolo.
In sede di opposizione alla cartella, il socio potrà far valere gli stessi argomenti che avrebbe fatto valere contro l’accertamento, ma limitatamente ai vizi “a valle”: – se non ha impugnato l’accertamento pur conoscendolo, non può rimettere in discussione il merito del tributo in sede di cartella (principio di cosa giudicata amministrativa); – se però l’accertamento non gli fu notificato regolarmente, può far valere l’inesistenza di esso nei suoi confronti e quindi ottenere l’annullamento della cartella perché priva di titolo .
Inoltre, la legge prevede che se il socio paga oltre la propria quota (magari perché la cartella gli chiede tutto e lui per evitare ganasce paga per tutti), avrà diritto di regresso verso gli altri soci per la parte eccedente la sua . Questo rilievo è più teorico perché di solito l’Agente della riscossione fraziona già la pretesa pro-quota, ma in assenza di ciò è bene sapere che chi paga più del dovuto può poi rivalersi civilmente.
Aspetti procedurali particolari
- Interruzione del giudizio per cancellazione: Se la società viene cancellata durante un giudizio (ad es. la società fa ricorso in primo grado, poi mentre l’appello è pendente viene estinta), si verifica un evento interruttivo. Sta alle parti dichiararlo al giudice. La giurisprudenza ha oscillato, ma oggi è pacifico che il processo può proseguire con la partecipazione dei soci subentrati . Ad esempio, se in appello l’Agenzia scopre che la società appellata è estinta, notificherà l’atto d’appello direttamente ai soci (come accaduto nel caso deciso da Cass. SU 3625/2025) . Se ciò non avviene, c’è il rischio che la sentenza d’appello sia nulla per inesistenza della parte. In pratica: soci e difensori dovrebbero segnalare la cancellazione e dichiararsi eventualmente costituiti come eredi/successori, per evitare guai di procedura.
- Legittimazione del liquidatore a titolo individuale: Un ex liquidatore che non fosse socio si trova in posizione scomoda: non può impugnare come socio, ma potrebbe avere timore di essere ritenuto responsabile. La Cassazione (ord. 12641/2025) ha chiarito che il liquidatore non socio può intervenire in giudizio per difendere i propri interessi, ma non come rappresentante della società . Ad esempio, può costituirsi “ad adiuvandum” per dimostrare che non ha colpa. Tuttavia, la sua posizione verrà esaminata solo se e quando il Fisco gli notificherà un atto specifico di responsabilità.
- Giudice competente: Il ricorso contro atti intestati alla società si propone alla C.G.T. (ex Commissione Tributaria) competente per l’ultimo domicilio fiscale della società. Quello contro atti intestati al socio, al giudice del domicilio fiscale del socio. Sono dettagli, ma contano per presentare il ricorso nel luogo giusto (in genere coincidono se soci e società erano nella stessa provincia, ma potrebbero differire).
- Abrogazione del reclamo/mediazione: Fino al 2023 i ricorsi di valore fino a €50.000 dovevano passare per la fase di reclamo-mediazione. Dal 2024 questa fase non è più obbligatoria (per gli atti notificati dal 4 gennaio 2024 in poi) . Quindi, ad esempio, se un ex socio riceve nel 2025 un avviso da €30.000, può ricorrere direttamente in Commissione senza dover presentare istanza di mediazione all’Agenzia. Ciò snellisce i tempi, ma toglie anche un’occasione di composizione anticipata. Resta comunque possibile la conciliazione giudiziale in corso di causa.
Strategie difensive stragiudiziali (prima del contenzioso)
Affrontare contestazioni fiscali post-liquidazione non significa sempre e solo fare causa. Esistono una serie di strumenti deflattivi e soluzioni stragiudiziali che il debitore può valutare per risolvere o attenuare la pretesa fiscale. Ecco le principali:
- Presentare osservazioni e richieste in sede amministrativa: Se si riceve un Processo Verbale di Constatazione (PVC) da parte della Guardia di Finanza o dell’Agenzia prima che sia emesso l’accertamento, è fondamentale inoltrare osservazioni difensive entro 60 giorni (come da L.212/2000, diritto al contraddittorio preventivo per tributi armonizzati come l’IVA). Nel caso di società già estinta, le osservazioni possono essere presentate dai soci (o dal liquidatore a nome dei soci). Questo può talvolta convincere l’Ufficio a non emettere l’atto o a ridurne i rilievi.
- Istanza di autotutela: Se l’atto di accertamento è già stato emesso ma presenta errori palesi (di fatto o di diritto) – ad es. notificato al soggetto sbagliato, oppure calcoli evidentemente errati – si può proporre un’istanza di annullamento in autotutela all’ufficio dell’Agenzia. Ciò non sospende i termini di ricorso, ma talvolta l’Agenzia può riconoscere l’errore e annullare o correggere l’atto d’ufficio. Nelle questioni complesse (responsabilità soci etc.) l’autotutela è rara, ma tentare non costa nulla.
- Accertamento con adesione: Una volta notificato l’avviso (a società o a soci), il contribuente può chiedere l’adesione (D.Lgs. 218/1997) prima di fare ricorso. L’istanza va fatta entro 60 giorni, e sospende il termine per ricorrere. In sede di adesione si può discutere con l’ufficio per trovare un accordo sull’importo da pagare, con vantaggi: riduzione delle sanzioni a 1/3, pagamento rateale fino a 8 rate trimestrali. Dal punto di vista dell’ex socio, l’adesione potrebbe essere utile se non ci sono solide ragioni per contestare la pretesa nel merito e si vuole solo ottenere uno sconto sanzioni e più tempo. Ad esempio, se il socio riconosce che la società evase €50.000 di imposte e sa di aver preso €40.000 in liquidazione, potrebbe aderire a un contraddittorio per definire magari con sanzioni ridotte. Va valutato caso per caso, anche tenendo conto che l’adesione costituisce ammissione del debito (poi non più impugnabile).
- Transazioni fiscali e accordi nel crisis management: Se il debito tributario è elevato e il soggetto obbligato (socio o liquidatore o l’impresa individuale) non è in grado di pagarlo integralmente, si può considerare di ricorrere a strumenti concorsuali minori:
- Per società non ancora cancellate (o cancellate da meno di un anno riattivabili), un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale può ridurre il carico fiscale con l’accordo dell’Erario . Tuttavia, se la società è già estinta, questo diviene teorico (bisognerebbe revocare la cancellazione, possibile solo se avvenuta per errore materiale).
- Per persone fisiche (ex soci illimitatamente responsabili o ex imprenditori individuali), esiste la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (oggi nel CCII: piano del consumatore, accordo o liquidazione del patrimonio). Attraverso questa, un privato soffocato dai debiti (inclusi quelli erariali) può proporre il pagamento parziale e ottenere l’esdebitazione finale. Ad esempio, un ex socio che avesse ricevuto un enorme avviso per debiti IVA della società potrebbe, se non ha capacità di pagarli, rivolgersi all’OCC (Organismo di Composizione Crisi) e tentare un piano di ristrutturazione dove il Fisco accetta, poniamo, il 30% dilazionato, pur di incassare qualcosa. La legge attuale consente l’esdebitazione anche parziale dei debiti tributari (salvo IVA e ritenute che devono in teoria essere pagate almeno al 10% nel concordato, ma nel sovraindebitamento c’è più flessibilità).
Queste soluzioni extragiudiziali-concorsuali sono complesse e richiedono l’assistenza di professionisti specializzati. Si tratta in sostanza di negoziare col Fisco, direttamente o col tramite del giudice concorsuale, una soluzione di compromesso. Per importi modesti non ne vale la pena per via dei costi, ma per debiti molto alti sì.
- Rateizzazioni delle cartelle esattoriali: Sul fronte della riscossione, se arriva una cartella e non la si vuole/potrebbe impugnare, è possibile chiedere all’ADER la dilazione in rate mensili (fino a 72 rate ordinariamente, o 120 rate in casi di grave e comprovata difficoltà). La rateazione evita azioni esecutive immediate e permette di “tirare il fiato”, magari in attesa di una definizione agevolata futura. Attenzione che chiedere la rateazione equivale ad accettare il debito, quindi niente più contestazioni sull’atto.
- Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Negli ultimi anni il legislatore ha varato varie edizioni di saldo e stralcio o rottamazione delle cartelle (l’ultima “rottamazione-quater” nel 2023). Tenersi informati su queste possibilità è importante: se il proprio debito rientra nelle cartelle “rottamabili”, si può presentare istanza nei termini previsti dalla legge per pagare solo l’imposta senza sanzioni e interessi di mora (nel saldo e stralcio addirittura solo una percentuale del dovuto, ma servono requisiti stringenti). Ad agosto 2025, non ci sono nuove rottamazioni aperte, ma il Parlamento potrebbe introdurne di nuove in futuro. Vale la pena monitorare, perché queste sanatorie rappresentano spesso la via più rapida ed economica per chiudere la partita con il Fisco.
In generale, prima di intraprendere un lungo contenzioso, il debitore farebbe bene a valutare con un esperto tutte le opzioni qui elencate. Spesso, combinare una strategia giudiziale e una stragiudiziale è la scelta vincente: ad esempio, presentare ricorso per guadagnare tempo e nel frattempo negoziare un accordo a saldo col Fisco se possibile.
Strategie difensive nel contenzioso tributario
Quando si decide (o è inevitabile) di impugnare un atto e affrontare il contenzioso tributario, è importante impostare correttamente la difesa sin dal primo grado. Di seguito, le principali strategie e accorgimenti per gli ex soci, liquidatori o altri soggetti coinvolti:
- Impugnare tempestivamente gli atti ricevuti: La regola numero uno è non ignorare l’atto. Se si riceve un avviso di accertamento, un avviso di addebito, una cartella o un qualsiasi atto impositivo riferito a una società estinta, occorre attivarsi entro 60 giorni dalla notifica per presentare ricorso . L’inazione porta a decadenza dei diritti di difesa: l’atto non impugnato diviene definitivo e si passa alla riscossione coattiva . Bisogna quindi rivolgersi prontamente a un avvocato tributarista o altro difensore abilitato, portando tutta la documentazione del caso (bilancio finale di liquidazione, prova di eventuali somme ricevute o meno, copia degli atti sociali, ecc.).
- Argomentare su più fronti nel ricorso: Nel ricorso introduttivo conviene articolare tutti i motivi di difesa rilevanti. In particolare:
- Motivi di merito sul tributo: contestare la fondatezza dell’imposta richiesta. Esempio: l’avviso sostiene che la società ha nascosto ricavi, ma il socio può portare prove che quei ricavi non esistevano o erano già tassati; oppure eccepire che l’IVA non era dovuta per mancanza del presupposto, ecc. Si tratta di contestare l’an debeatur, ossia l’esistenza stessa del debito fiscale . Questa linea difensiva mira a ridurre o annullare l’importo contestato, ed è indipendente dalla posizione soggettiva del ricorrente.
- Motivi sulla responsabilità personale: qui il ricorrente fa valere che, anche se il debito della società fosse valido, lui non dovrebbe comunque pagarlo (in tutto o in parte). Ad esempio: il socio dichiara di non aver mai ricevuto somme in sede di liquidazione (quindi, ex art.2495, non è tenuto a pagare i debiti sociali) ; oppure di aver ricevuto €10.000 ma l’Agenzia gliene chiede €20.000 – eccepisce che la sua responsabilità è al massimo di €10.000. Un socio accomandante eccepirà di essere limitatamente responsabile e non oltre il conferimento . Un liquidatore potrà sostenere di aver pagato i debiti secondo l’ordine e che l’insolvenza non è dipesa da lui. Questi motivi mirano a ridurre la pretesa in capo al ricorrente in base alle regole di responsabilità.
- Vizi procedurali e formali: controllare sempre la regolarità formale dell’atto. Ad esempio: notifica nulla (indirizzo errato, termini non rispettati) ; difetto di motivazione (se l’atto indirizzato al socio non spiega perché gli si chiede di pagare: la motivazione deve indicare che ha ricevuto tot in liquidazione, ecc.) ; omessa indicazione delle norme o violazione del contraddittorio (in materia di tributi armonizzati, se non è stato inviato PVC o invito a comparire quando doveva, si può eccepire la nullità).
- Difetto di legittimazione passiva: se l’Agenzia ha “sbagliato bersaglio”. Esempi: l’atto viene notificato a un ex socio che però aveva ceduto le quote prima della liquidazione e non c’entra con il riparto finale – costui eccepirà di non essere soggetto passivo perché non era socio al momento rilevante . Oppure viene chiesto a un socio accomandante di pagare un debito illimitato: eccepirà che la legge lo limita al conferimento e quindi non può essere obbligato ultra vires . Sono casi particolari ma da evidenziare subito, perché se il ricorrente non è affatto il soggetto giusto, il giudizio potrebbe fermarsi lì (annullamento per difetto di legittimazione).
- Prescrizione o decadenza: valutare se il diritto del Fisco è decaduto. Ad esempio, un avviso relativo all’anno d’imposta 2015 notificato dopo il 2022 potrebbe essere fuori termini (salvo proroghe per COVID o altro). Oppure, se si è in fase di cartella, eccepire la prescrizione della riscossione (10 anni dall’ultima notifica valida, o 5 per sanzioni amministrative) . La prescrizione può estinguere il debito anche se era legittimo nel merito, quindi è sempre un aspetto da considerare.
Formulare motivi multipli tutela il ricorrente: anche se il giudice non gli dà ragione sul merito, potrebbe accogliere un vizio formale e annullare comunque l’atto.
- Chiedere la sospensione giudiziale dell’atto: Se l’importo preteso è elevato e c’è rischio che il Fisco avvii subito misure cautelari o esecutive (ipoteche, fermi amministrativi, pignoramenti) prima della sentenza, il ricorrente può presentare una istanza di sospensione al giudice tributario . Bisogna dimostrare:
- il fumus boni iuris, cioè che il ricorso non è pretestuoso ma ha fondamento (ad esempio, allegando la prova che il socio non ha ricevuto nulla, o che l’atto è palesemente sbagliato);
- il periculum in mora, cioè il danno grave e irreparabile che subirebbe se dovesse pagare subito (es.: l’importo è tale da portarlo alla rovina, o causargli dissesti finanziari gravi) .
I giudici tributari concedono abbastanza spesso la sospensiva, soprattutto per somme ingenti relative a persone fisiche. Ad esempio, un ex socio pensionato a cui viene chiesto di pagare €80.000 per debiti IVA societari potrà evidenziare che l’esecuzione immediata lo manderebbe insolvente (danno grave) e che c’è buon fumus se davvero lui non aveva mai preso utili. La sospensione, se accordata, blocca la riscossione fino alla sentenza di primo grado (o fino a 6 mesi oltre la sentenza, secondo le nuove regole del DLgs 546/92 riformato).
- Tutela nella fase di riscossione (opposizioni): Abbiamo già anticipato, ma è bene ribadire: se per qualunque motivo l’accertamento non è stato impugnato in tempo, c’è ancora un’ultima chance di difesa all’arrivo della cartella o dell’atto di pignoramento. In sede tributaria, la cartella esattoriale può essere impugnata entro 60 giorni, facendo valere vizi propri (es. mancata notificazione del precedente avviso) . In sede civile, se si riceve un atto di precetto o di pignoramento per un debito tributario (caso raro, di solito si sta nel tributario), si può presentare opposizione all’esecuzione eccependo che il titolo è mancante o viziato. Ma questi sono rimedi estremi. L’ideale è agire prima, in ambito tributario.
- Coordinare la difesa con gli altri soggetti coinvolti: Spesso in queste vicende ci sono più destinatari: i vari ex soci e il liquidatore. È consigliabile che le loro difese siano coerenti. Ad esempio, se il liquidatore sostiene “non avevo soldi per pagare il Fisco”, i soci dovrebbero sostenere “non abbiamo ricevuto nulla” – affermazioni che si rafforzano a vicenda. Se invece uno dice una cosa e uno l’altra in contrasto, si rischia di indebolire tutti i ricorsi. Idealmente, uno stesso difensore o difensori che collaborano dovrebbero impostare una linea comune. Inoltre, se il valore lo consente, possono fare ricorso congiunto più soci per dividere spese e presentare un fronte unito.
- Utilizzare la giurisprudenza aggiornata: Citare nelle memorie e in udienza le sentenze di legittimità più recenti aiuta a persuadere i giudici. Ad esempio:
- Citare Cass. SS.UU. 3625/2025 per sostenere il principio che i soci limitatamente responsabili pagano solo entro il riparto ricevuto e che tale circostanza va provata dal Fisco .
- Citare Cass. 24316/2023 per la non trasmissibilità delle sanzioni .
- Citare Cass. 25415/2024 per dichiarare inammissibile l’azione dell’ex liquidatore in proprio (se la controparte insiste erroneamente nel dire che il ricorso doveva farlo il liquidatore) .
- Citare Cass. 20840/2023 e altre, che hanno ribadito che i soci rispondono anche se non hanno avuto utili, ma solo se è presumibile che li abbiano avuti occultamente . In altre parole, far presente che la Cassazione non ammette furbi, ma tutela chi davvero non ha beneficiato.
Spiegare al giudice di primo grado la ratio di queste pronunce orienta spesso la decisione, soprattutto in un campo come questo, specialistico e in evoluzione.
Infine, è bene ricordare che il contenzioso tributario attualmente ha due gradi di merito (Corte di Giustizia Tributaria di primo e di secondo grado, ex CTP e CTR) e poi l’eventuale ricorso in Cassazione per motivi di diritto. La riforma ha introdotto anche un giudice monocratico per cause fino a €3.000 e l’ufficio del processo, ma in cause complesse come queste si avranno comunque collegi. I tempi possono essere lunghi (2-3 anni a grado). Ciò può essere sfibrante per i contribuenti, ma talvolta gioca a loro favore: ad esempio, se c’è in corso una definizione agevolata, si può attendere sperando in una pace fiscale; oppure se il socio ha solo 5 anni per esser perseguito, allungando il processo può innescare la decadenza per eventuali altri atti.
Domande frequenti (FAQ) e risposte sintetiche
D: La chiusura volontaria della società estingue i debiti fiscali?
R: No. La cancellazione dal Registro Imprese non estingue i debiti tributari. Essi restano dovuti e il Fisco può accertarli e riscuoterli entro i termini ordinari . Quello che cambia è chi ne risponde: non più la società (che è estinta), ma gli ex soci entro i limiti di quanto riscosso e i liquidatori se colpevoli . Inoltre, per 5 anni la legge finge che la società esista ancora, per facilitare notifiche e accertamenti .
D: Sono un ex socio di S.r.l.: devo pagare i debiti tributari della società fallita?
R: In una S.r.l. (società di capitali), gli ex soci devono pagare i debiti tributari solo se hanno ricevuto somme dal bilancio finale di liquidazione, e comunque mai oltre quelle somme . Se la società si è estinta in perdita e non ha distribuito nulla, i soci non sono tenuti a versare nulla (il Fisco tuttavia può accertare il debito e pretenderlo se mai emergesse che i soci hanno beneficiato di attivo occulto) . In pratica, se come socio non hai avuto indietro neanche un euro, hai ottime chance di far annullare qualunque richiesta fiscale verso di te, eccependo l’assenza di riparto. Se invece hai avuto, ad esempio, €10.000 di liquidazione, potresti dover restituire al Fisco fino a quella cifra, ma non di più . Fanno eccezione i soci di società di persone, che erano già illimitatamente responsabili: in quel caso anche senza aver ricevuto niente potrebbero dover rispondere, perché già garantivano i debiti sociali con il loro patrimonio.
D: Il liquidatore di una società può essere perseguito personalmente dal Fisco?
R: Sì, il liquidatore rischia in proprio se non ha rispettato i suoi obblighi. In particolare, se ha pagato i soci o altri creditori lasciando impagate le imposte dovute, l’Erario può chiedergli tutto il dovuto (responsabilità illimitata per danno arrecato) . Anche se ha occultato attivi o non ha agito con la diligenza richiesta nella riscossione dei crediti sociali, può dover rispondere dei debiti rimasti insoluti. Se invece il liquidatore dimostra che non c’erano risorse per pagare le tasse e di aver comunque rispettato la par condicio (es. ha pagato prima il Fisco pro quota e tutti i chirografari sono rimasti insoddisfatti in pari grado), allora non sarà ritenuto responsabile . Inoltre, il liquidatore non è mai responsabile per sanzioni “di per sé” (se non era lui l’autore della violazione) – su questo come detto c’è dibattito, ma è un buon argomento difensivo .
D: La chiusura dell’attività individuale mi libera dai debiti con il Fisco?
R: Purtroppo no. Se eri un imprenditore individuale, il debito fiscale resta tuo personalmente anche dopo la cessazione . Non c’è distinzione tra patrimonio dell’impresa e personale, quindi chiudi la partita IVA ma continui a rispondere con i tuoi beni presenti e futuri. Per risolvere debiti troppo grandi per le tue capacità, puoi valutare le procedure da sovraindebitamento (esdebitazione) che eventualmente cancellano i debiti residui a certe condizioni. Ma la semplice cessazione amministrativa dell’attività non cancella nulla.
D: Ho ricevuto una cartella intestata alla mia ex società chiusa, cosa devo fare?
R: Se la cartella è intestata alla società ormai estinta, non pagarla subito senza verifica. È possibile che sia nulla. Porta l’atto a un esperto: se la società è cancellata da oltre 5 anni, la cartella è inesistente nei suoi confronti e va contestata. Se invece sono passati meno di 5 anni, la cartella poteva essere emessa a nome della società, ma tu come ex socio potrai impugnarla sostenendo che non ti fu notificato regolarmente l’accertamento precedente . In ogni caso, non ignorare la cartella: impugnala entro 60 giorni. Se la ignori, il concessionario potrebbe procedere con pignoramenti sui tuoi beni ritenendoti obbligato in solido.
D: Se la società aveva un credito d’imposta o un rimborso, che fine fa dopo la chiusura?
R: I crediti attivi della società estinta si trasferiscono ai soci, in proporzione alle quote . Quindi, ad esempio, se la società vantava un rimborso IVA di €10.000 e ci sono due soci al 50%, ciascuno potrà richiederne €5.000. In pratica, i soci subentrano anche nei rapporti attivi. Devono però attivarsi: presentare domanda di voltura del credito o comunicare all’Agenzia la cessazione indicando i propri dati. In mancanza, il rimborso potrebbe rimanere “congelato”. Attenzione che, se la società aveva debiti e crediti col Fisco, l’Agenzia tende a compensare: quel rimborso potrebbe essere trattenuto a scomputo di cartelle esattoriali intestate alla società (ancorché estinta). In sede di riparto, un credito d’imposta andava indicato e assegnato ai soci; se il liquidatore non l’ha fatto, i soci possono ancora far valere il loro diritto.
D: Ho chiuso la società e dopo anni mi contestano una fattura falsa/usura etc., rischio sanzioni penali?
R: Se emergono reati tributari (es. fatture false, occultamento di ricavi rilevante, omessi versamenti sopra soglia), la circostanza che la società sia estinta non impedisce l’azione penale contro gli amministratori, liquidatori o altri responsabili. La società non può più essere punita (nemmeno amministrativamente se non esiste più soggettività), ma le persone fisiche sì. Quindi se eri amministratore e avevi emesso fatture false, potresti essere indagato oggi. La difesa in quei casi segue le regole penali standard: il fatto va a giudizio penale e potrai difenderti dimostrando la tua innocenza o beneficiando di cause di non punibilità (ad esempio pagamento del tributo, v. supra). Da notare che per i reati dichiarativi (tipo false fatture) la punibilità non viene meno per cause come la crisi di liquidità – quella vale solo per omessi pagamenti. Quindi, sì, la chiusura della società non ti rende immune sul penale: se emergono irregolarità gravi, ne rispondi in persona.
D: Nel mio caso, il Fisco mi chiede più soldi di quelli che ho avuto dalla liquidazione. Com’è possibile, non c’era il limite?
R: Il limite c’è ed è legge (art. 2495 c.c.). Tuttavia, possono esserci situazioni particolari: – Se l’importo richiesto include sanzioni e interessi, questi possono far superare l’attivo percepito. L’art. 2495 c.c. parla di “somma riscossa in base al bilancio finale” come limite per i crediti dei creditori verso il socio, ma non è chiarissimo se comprenda sanzioni e interessi. L’Agenzia di solito tende a chiedere tutto (imposte + interessi + sanzioni) sino a concorrenza dell’attivo avuto. Alcune sentenze (Cass. 23341/2024) hanno detto che anche le sanzioni vanno comprese fino a quel limite . Quindi può darsi ti chiedano più del capitale ricevuto perché sommano le sanzioni. Puoi però contestare la parte sanzionatoria appellandoti al principio di personalità (argomento non risolto definitivamente). – Può darsi che l’Agenzia presuma che hai avuto utili occulti oltre a quanto risultava formalmente. Ad esempio, nessun attivo distribuito, ma sostiene che in realtà ti sei arricchito con operazioni simulate. In questo caso proveranno a farti pagare oltre il riparto ufficiale, dimostrando magari che hai beneficiato di altri beni. Sta a te dimostrare il contrario. – Oppure si tratta di socio illimitatamente responsabile (snc, accomandatario sas): in quel caso il limite del riparto non vale, e il Fisco può chiederti l’intero importo del debito sociale (poi tu hai diritto di regresso verso gli altri soci). Se sei in questa situazione, il fatto che ti chiedano più di quanto hai avuto è normale, perché per legge rispondi illimitatamente.
In ogni caso, se l’importo appare calcolato male o in eccesso rispetto ai limiti legali, solleva esplicitamente la questione nel ricorso, costringendo l’Ufficio a giustificare la cifra e il giudice a verificarla.
D: Ci sono termini di prescrizione dopo la chiusura?
R: Sì. Abbiamo due concetti: decadenza per accertare e prescrizione per riscuotere. La decadenza dell’accertamento (5 anni dall’anno in cui avresti dovuto dichiarare) non si interrompe né proroga per la chiusura – salvo che intervenga un procedimento penale a rendere illecita l’omissione, in tal caso sale a 7 anni. Quindi l’Agenzia deve comunque emettere gli avvisi nei termini usuali. La prescrizione della cartella invece è di norma 10 anni (per tributi erariali) dall’ultima notifica valida. Se la società è chiusa e i soci non si vedono notificare nulla per 10 anni, quel debito non è più riscuotibile. Occhio però: atti come solleciti, intimazioni di pagamento, ecc., interruttivi, inviati ai soci, possono mantenere vivo il credito. Inoltre, essendo materia complessa, conviene far valere la prescrizione in giudizio perché l’ADER spesso non la riconosce spontaneamente.
D: Un ex socio può transigere col Fisco senza coinvolgere gli altri soci?
R: Sì. La responsabilità dei soci di società di capitali è parziaria pro-quota (anche se la Cassazione la definisce “successoria”, in pratica ciascuno risponde del proprio pezzo). Significa che tu, come socio al 30%, puoi pagare la tua parte e liberartene, mentre gli altri soci eventualmente no. L’Agenzia tende a chiedere a ciascuno il 100% (in solido) fino a saturare il dovuto, ma se uno paga, poi scaleranno quell’importo dagli altri. Quindi nulla vieta che un socio trovi un accordo (es. paga subito con sconto sanzioni) e gli altri invece litighino o non paghino. Chiaramente, se un socio paga più del suo, può rivalersi sugli altri per la quota eccedente . Ma l’Erario può preferire farsi pagare da uno solo se è più solvibile. Ecco perché è importante coordinarsi: se tu hai patrimonio e gli altri no, rischi di pagare per tutti in sede di esecuzione.
Conclusioni e consigli finali
Affrontare contestazioni fiscali relative a una liquidazione volontaria non chiusa sul piano tributario è un compito arduo che richiede competenze interdisciplinari (diritto tributario, societario e fallimentare). Dal punto di vista del debitore, i punti chiave da tenere a mente sono:
- Preparazione in anticipo: Se stai per liquidare una società con debiti, pianifica con i consulenti una strategia per gestire il Fisco. Paga ciò che puoi pagare (soprattutto debiti con privilegio come IVA e ritenute) e documenta bene nel bilancio finale la destinazione di ogni soldo. Evita mosse opache che potrebbero insospettire (es. non distribuire somme ai soci se ci sono imposte non saldate).
- Collaborazione e trasparenza: In caso di controlli fiscali durante o dopo la liquidazione, mostrati collaborativo. Fornisci i documenti, spiega le ragioni economiche delle scelte fatte. A volte una spiegazione convincente all’ufficio può evitare un contenzioso. La trasparenza riduce anche il rischio di essere accusati di frode.
- Tempestività nelle difese: Se arriva un avviso o una cartella, non rimandare. Il fattore tempo è cruciale: 60 giorni passano in fretta e un ricorso tardivo non è ammesso. Anche per le procedure penali, agire subito (ad es. pagando il dovuto se possibile per evitare incriminazioni) può fare la differenza.
- Limiti di responsabilità: Conosci i tuoi limiti legali – letteralmente. Se sei socio di Srl sai che oltre a quanto ricevuto non dovresti pagare: ciò ti dà un target chiaro su cui negoziare (ad esempio, se ti chiedono €100k ma hai avuto €30k, puoi puntare a chiudere pagando sotto €30k in adesione). Se sei liquidatore, sai che devi provare di aver fatto tutto il possibile: raccogli prove e documenti prima che vadano persi (rendiconti, estratti conti, lettere ai creditori).
- Assistenza specializzata: Queste controversie sono troppo complesse per il fai da te. Affidati a professionisti esperti di contenzioso tributario. Anche questioni procedurali (legittimazione, notifiche) possono decidere una causa a tuo favore, ma devi saperle sollevare correttamente. Un avvocato tributarista potrà inoltre interloquire con l’ufficio per ipotesi di accordo o proporre soluzioni creative (es. usare una definizione agevolata a tuo vantaggio).
- Mantenere la calma e valutare i costi-benefici: Ricevere richieste del Fisco anni dopo la chiusura di un’impresa è destabilizzante, ma panico e rabbia non aiutano. È importante valutare lucidamente se conviene fare causa (e su quali motivi) o se cercare un componimento. Fai due conti: qual è il rischio in gioco? Hai probabilità di vittoria? I costi legali sono sostenibili in rapporto al beneficio? A volte, pagare pro quota e chiudere subito può essere la scelta più saggia per voltare pagina; altre volte la pretesa è così ingiusta o gonfiata che vale la pena combattere fino in fondo.
In conclusione, dal punto di vista del contribuente-d, il motto è “prevenire è meglio che curare”: una liquidazione fatta con disciplina e correttezza fiscale avrà meno strascichi. Ma qualora le contestazioni arrivino, armarsi di conoscenza (come quella di cui sopra), di documenti e del giusto supporto professionale permetterà di difendersi efficacemente, spesso riducendo in modo significativo – se non azzerando – le pretese del Fisco. Il tutto ricordando che le norme esistono per tutelare sia l’Erario sia il contribuente onesto: farle valere è un diritto, oltre che la via per la giustizia nel caso concreto.
Fonti normative e giurisprudenziali citate: – Codice Civile: artt. 2312, 2484-2495 (liquidazione società). – DPR 602/1973: art. 36 (responsabilità terzi) , art. 11 e 15-bis (ruolo straordinario) . – D.Lgs. 175/2014 art. 28 co.4 (estinzione società dopo 5 anni) , Corte Cost. 142/2020 (legittimità norma) . – Cassazione SS.UU. 4060-4061/2010 ; SS.UU. 6070-6072/2013 (estinzione società e rapporti); SS.UU. 3625/2025 (responsabilità soci limitati; onere di prova del Fisco); Cass. 25415/2024 (ex liquidatore senza legittimazione); Cass. 23341/2024 e Cass. 24316/2023 (dibattito su sanzioni post estinzione); Cass. 20840/2023 (soci rispondono anche senza utili se circostanze lo suggeriscono); Cass. 38130/2022 (conferma fictio 5 anni); Cass. 25530/2021 (diligenza e responsabilità liquidatore); Cass. 14570/2021 (natura civilistica obblighi ex soci/liquid). – D.Lgs. 74/2000: art. 10-bis, 10-ter (reati omesso versamento); art. 11 (sottrazione fraudolenta); art. 13 e 13-bis come modificati da D.Lgs. 87/2024 (cause non punibilità per pagamento e crisi di liquidità) .
- Cassazione civile Sez. Trib. ordinanza n. 12641 del 13 maggio 2025
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La liquidazione volontaria è la fase che porta alla chiusura di una società. Tuttavia, fino a quando non vengono eseguiti tutti gli adempimenti fiscali (dichiarazioni, bilanci finali, versamenti), la società resta soggetta a obblighi tributari. Se la liquidazione non viene chiusa correttamente, il Fisco può contestare omissioni dichiarative, imposte non versate e responsabilità dei liquidatori.
👉 Prima regola: verificare che la liquidazione sia stata seguita non solo sul piano civilistico, ma anche su quello fiscale.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali negli anni di liquidazione;
- Bilancio finale di liquidazione non depositato o non approvato;
- Distribuzione di attivi ai soci senza avere prima assolto i debiti tributari;
- Liquidazione rimasta “aperta” per anni senza operazioni, ma non formalmente chiusa;
- Responsabilità personale dei liquidatori per omessi versamenti.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte su redditi societari non dichiarati;
- Sanzioni tributarie per omissioni e infedeltà dichiarative;
- Interessi di mora;
- Responsabilità patrimoniale diretta dei liquidatori, se i debiti fiscali non sono stati saldati prima della distribuzione ai soci;
- Possibili controlli aggiuntivi sui soci beneficiari delle somme.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Adempimenti dichiarativi: sono state presentate tutte le dichiarazioni annuali e finali?
- Bilancio di liquidazione: è stato predisposto, approvato e depositato?
- Pagamenti tributari: le imposte risultano versate o compensate?
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve specificare quali omissioni contesta;
- Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Dichiarazioni fiscali della società negli anni di liquidazione;
- Bilancio finale e verbale di approvazione assembleare;
- Estratti conto bancari e quietanze di pagamento delle imposte;
- Documentazione dei rapporti con i soci (distribuzioni, rimborsi);
- Comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate o con la Camera di Commercio.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’adempimento degli obblighi fiscali o la loro non debenza;
- Contestare errori dell’Agenzia in merito a dichiarazioni presentate ma non considerate;
- Eccepire vizi formali: motivazione carente, notifica irregolare, decadenza dei termini;
- Richiedere autotutela se gli adempimenti erano stati regolarmente eseguiti;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni per bloccare il recupero;
- Mediazione tributaria (nei casi previsti) per ridurre sanzioni e interessi.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la posizione fiscale della società in liquidazione;
📌 Verifica la regolarità delle dichiarazioni e dei versamenti;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi contro gli accertamenti;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per chiudere correttamente liquidazioni future ed evitare responsabilità personali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e procedure societarie;
✔️ Specializzato in difesa di liquidatori, società e soci in contestazioni su liquidazioni volontarie;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni del Fisco sulle liquidazioni volontarie non chiuse fiscalmente non sempre sono fondate: spesso derivano da adempimenti eseguiti ma non rilevati, o da interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la corretta chiusura della liquidazione, evitare responsabilità personali e proteggere il patrimonio della società e dei soci.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sulle liquidazioni volontarie inizia qui.