Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che la tua cooperativa abbia percepito utili extracontabili? In questi casi, l’Ufficio presume che parte dei ricavi non sia stata registrata in bilancio o che siano stati distribuiti vantaggi ai soci non dichiarati, configurandoli come utili occulti. La conseguenza è il recupero delle imposte, con sanzioni e interessi, oltre al rischio di perdere le agevolazioni fiscali previste per le cooperative. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: ci sono strumenti difensivi per dimostrare la regolarità della gestione contabile.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta utili extracontabili alle cooperative
– Se emergono scostamenti rilevanti tra i ricavi dichiarati e gli elementi di capacità contributiva (costi, rimanenze, margini)
– Se dalle verifiche bancarie risultano movimenti non giustificati rispetto alla contabilità
– Se i rapporti con i soci appaiono utilizzati per distribuire utili occulti anziché mutualità
– Se vi sono incongruenze tra bilanci civilistici e dichiarazioni fiscali
– Se la cooperativa non ha rispettato i requisiti per beneficiare della fiscalità agevolata
Conseguenze della contestazione
– Tassazione degli utili extracontabili come redditi imponibili della cooperativa
– Applicazione di imposte, sanzioni e interessi sulle somme accertate
– Rischio di revoca delle agevolazioni fiscali riservate alle cooperative
– Possibile responsabilità patrimoniale degli amministratori in caso di gestione irregolare
– Maggior rischio di ispezioni e controlli futuri su soci e organi sociali
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la correttezza della contabilità con documenti giustificativi completi
– Contestare le presunzioni di ricavi occulti se basate su dati parziali o non attendibili
– Evidenziare la corretta applicazione del principio di mutualità e dei requisiti cooperativi
– Contestare errori di calcolo, vizi di motivazione o decadenza dei termini nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare i bilanci, i libri sociali e la documentazione fiscale della cooperativa
– Verificare la legittimità dell’accertamento e la corretta applicazione delle norme sulle cooperative
– Redigere un ricorso fondato su vizi sostanziali e formali dell’atto
– Difendere la cooperativa davanti ai giudici tributari contro pretese indebite
– Tutelare i soci e gli amministratori da responsabilità e conseguenze patrimoniali sproporzionate
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La conferma del diritto della cooperativa a mantenere le agevolazioni fiscali
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge, senza indebiti aggravi
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di accertamenti sugli utili extracontabili nelle cooperative e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
L’accertamento di utili extracontabili nelle società cooperative è un fenomeno sempre più frequente nei controlli fiscali. Con questa espressione si intendono i profitti “occulti” o “in nero” che non risultano dalle scritture contabili ufficiali, ma che l’Agenzia delle Entrate presume siano stati realizzati e sottratti a imposizione. Quando il Fisco contesta a una cooperativa utili non dichiarati, si apre uno scenario complesso dal punto di vista giuridico e fiscale, che richiede una difesa avanzata. In questa guida approfondiremo la normativa italiana vigente (aggiornata ad agosto 2025) sulle cooperative e i relativi regimi fiscali, esaminando gli strumenti a disposizione di avvocati, imprenditori e privati per difendersi efficacemente. L’analisi verrà condotta dal punto di vista del debitore, ossia della cooperativa (e dei suoi soci) che si vede notificare un avviso di accertamento per utili extracontabili.
Affronteremo temi complessi con un linguaggio giuridico preciso ma divulgativo, così da essere fruibile sia per professionisti (es. tributaristi, legali) sia per amministratori di cooperative o soci interessati. Verranno citate le fonti normative rilevanti, nonché le sentenze più aggiornate delle Corti (Cassazione e Giustizia Tributaria) che hanno segnato importanti principi in materia, incluse decisioni riguardanti cooperative edilizie, agricole, sociali, di produzione e lavoro. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei regimi fiscali, esempi pratici di contestazioni e difese, una sezione domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi comuni, e persino riferimenti a modelli di atti difensivi (memorie, ricorsi) per orientare concretamente la reazione all’accertamento.
Cooperative: caratteristiche e regime fiscale in sintesi
Le società cooperative sono particolari enti disciplinati dal Codice Civile (artt. 2511 e segg. c.c.) e da leggi speciali, caratterizzati dallo scopo mutualistico. Ciò significa che perseguono l’interesse dei propri soci (consumatori, lavoratori, produttori, utenti a seconda del tipo di cooperativa) offrendo beni, servizi o occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato, anziché massimizzare l’utile. Per legge le cooperative non possono distribuire liberamente gli utili come le società for profit: gran parte degli eventuali utili deve essere accantonata a riserva indivisibile e non distribuibile ai soci, alimentando il patrimonio sociale a fini di stabilità e crescita comune.
Esistono varie tipologie di cooperative, tra cui: cooperative di produzione e lavoro (gestite dai soci lavoratori che producono beni o servizi), cooperative agricole (di coltivatori o allevatori che conferiscono e commercializzano i prodotti), cooperative sociali (erogano servizi socio-assistenziali o integrano lavorativamente soggetti svantaggiati), cooperative edilizie (costruiscono abitazioni da assegnare ai soci) e altre ancora (cooperative di consumo, di credito, ecc.). Ciascuna categoria presenta peculiarità normative e fiscali, ma tutte condividono il vincolo della mutualità.
Dal punto di vista fiscale, il legislatore riconosce da tempo agevolazioni tributarie alle cooperative che rispettano i requisiti di mutualità. In particolare, si distingue tra cooperative a mutualità prevalente (quelle che operano prevalentemente con/su soci, rispettando parametri fissati dall’art. 2513 c.c., ad es. ≥50% delle attività con i soci) e cooperative diverse (non prevalenti). Solo le prime beneficiano delle massime agevolazioni.
Tassazione IRES agevolata per le cooperative
Le cooperative godono di un trattamento IRES (imposta sul reddito delle società) peculiare, consistente in una parziale esenzione degli utili accantonati a riserve indivisibili. La tabella seguente riepiloga, a grandi linee, la quota di utile tassabile per le diverse tipologie (in base alla normativa vigente fino al 2025):
Tipo di cooperativa | Quota di utile imponibile IRES | Quota di utile esente IRES |
---|---|---|
Cooperativa non a mutualità prevalente | 70% (il restante 30% esente) | 30% |
Cooperativa a mutualità prevalente – produzione e lavoro, o generica | 43% circa (restante ~57% esente) | ~57% |
Cooperativa agricola (a mutualità prevalente) | 23% (restante 77% esente) | 77% |
Cooperativa di consumo (prevalente) | 68% (restante 32% esente) | 32% |
Cooperativa sociale (di tipo A o B) | 3% (restante 97% esente) | 97% |
(Le percentuali indicate possono derivare da diverse norme stratificatesi: ad es. art. 11 D.P.R. 601/1973, art. 6 D.L. 63/2002 conv. L. 112/2002, ecc. La sostanza è che gran parte degli utili reinvestiti in riserve non subisce tassazione diretta nelle coop più “virtuose”.)
Inoltre, tutte le cooperative hanno l’obbligo di destinare almeno il 30% degli utili netti a riserva legale indivisibile (art. 2545-quater c.c.), e un ulteriore 3% degli utili netti annuali va versato ai Fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione (L. 59/1992, art. 11). Queste quote di utili destinate a riserve indivisibili rientrano normalmente nella parte esente da IRES. Nelle cooperative a mutualità prevalente spesso lo statuto impone di destinare a riserva indivisibile percentuali ben superiori al minimo di legge (fino al 70%–100% degli utili), al fine di mantenere lo status agevolato.
È importante sottolineare che le agevolazioni fiscali sono subordinate al rispetto di precisi requisiti formali e sostanziali. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha affermato che una cooperativa perde i benefici se omette di presentare la dichiarazione dei redditi o tiene contabilità irregolare, anche se possiede i requisiti mutualistici sostanziali . In altri termini, l’art. 12 della L. 904/1977 (oggi trasfuso nel TUIR) che concede la detassazione degli utili alle cooperative prevalenti, si applica solo se la coop adempie agli obblighi dichiarativi e contabili in quello specifico periodo d’imposta . Una cooperativa che non presenta la dichiarazione fiscale annuale viene dunque tassata ordinariamente sull’intero reddito (perdendo l’esenzione), a prescindere dai requisiti mutualistici: “la cooperativa può godere dei benefici solo se ha presentato la dichiarazione dei redditi e tenuto correttamente la contabilità” (Cass. 24/11/2022 n. 34628) .
Altre agevolazioni tipiche per le cooperative (specie quelle a mutualità prevalente) includono: esenzione o riduzione dell’IRAP su alcune componenti (ad es. deducibilità di parte del costo del lavoro per i soci lavoratori; nelle coop di produzione e lavoro una percentuale di IRAP accantonata può essere dedotta dall’IRES ), aliquote IVA ridotte o regimi speciali in settori particolari (ad es. cooperative agricole possono applicare il regime di esonero IVA sotto certe soglie o compensazioni forfettarie per i conferimenti dei soci agricoltori), nonché esenzioni minori (es. imposta di registro, imposta di bollo e altri tributi minori in misura ridotta per atti connessi all’attività mutualistica ). Le cooperative sociali godono di equiparazione alle ONLUS/enti del Terzo Settore: i loro proventi istituzionali sono de-tassati o tassati simbolicamente (come visto, l’IRES può colpire solo il 3% degli utili) e beneficiano di esenzioni IVA per molte prestazioni socio-sanitarie.
In sintesi, il regime fiscale di favore è il contrappeso pubblico alla funzione sociale svolta dalle cooperative. Tuttavia, come vedremo, nel momento in cui il Fisco contesta utili extracontabili a una cooperativa, spesso ne mette in dubbio anche il merito di accedere a tali benefici. La contestazione di utili occulti può comportare non solo l’imposizione aggiuntiva su quei redditi nascosti, ma anche la revoca delle agevolazioni per quelle somme (tassandole come redditi ordinari). Non di rado, l’Ufficio qualifica la cooperativa come “di fatto non mutualistica” per l’anno in questione, soprattutto se emergono violazioni gravi, attività con terzi fuori dai limiti o distribuzioni occulte ai soci.
Infine, va ricordato che le cooperative sono soggette a vigilanza pubblica (Ministero delle Imprese e del Made in Italy – ex MISE – e centrali cooperative), che possono disporre ispezioni e persino lo scioglimento d’ufficio della società cooperativa in caso di gravi irregolarità (D.Lgs. 220/2002). La contestazione di utili extracontabili, specie se legata a false cooperative (costituite per frodi fiscali o violazioni contributive), può quindi avere conseguenze ulteriori: ad esempio l’esclusione della coop dagli albi, la perdita dello status mutualistico e l’attivazione di controlli giudiziari. In questa sede, tuttavia, ci concentriamo sugli strumenti di tutela tributaria per difendersi dall’accertamento fiscale.
L’accertamento di utili extracontabili: metodi e conseguenze fiscali
Come può l’Agenzia delle Entrate scoprire utili non dichiarati all’interno di una cooperativa? La normativa tributaria italiana mette a disposizione degli ispettori poteri di controllo e metodi di accertamento molto penetranti, sia di tipo analitico (voce per voce) sia di tipo induttivo (basato su presunzioni e ricostruzioni globali). Nel caso di utili extracontabili, generalmente l’Ufficio contesta che la cooperativa abbia conseguito maggiori ricavi rispetto a quelli contabilizzati, oppure che abbia contabilizzato costi fittizi o non deducibili per ridurre artificiosamente l’utile. Entrambi gli approcci (ricavi “neri” o costi indebiti) portano alla determinazione di un maggior reddito imponibile su cui calcolare imposte dovute e sanzioni.
Ecco i principali metodi e indizi con cui vengono scoperti utili occulti:
- Analisi delle movimentazioni finanziarie (Art. 32 DPR 600/1973): il fisco può ottenere gli estratti conto bancari della cooperativa e dei soggetti a essa collegati. Per legge, qualsiasi versamento sui conti della società che non sia giustificato contabilmente viene presunto come un ricavo non dichiarato . Questa è una presunzione legale (relativa) molto potente: spetta poi al contribuente provare l’eventuale diversa natura di quel denaro (es. finanziamento soci, prestito, ecc.). Allo stesso modo, anche prelievi ingiustificati possono essere indizio di utili distribuiti in nero ai soci, sebbene la normativa e la giurisprudenza abbiano avuto evoluzioni (per le imprese, oggi solo i versamenti non giustificati costituiscono prova presuntiva di ricavi, mentre per i prelievi vige un principio più favorevole al contribuente). Esempio: se il conto corrente della cooperativa mostra entrate per 100.000 € in più delle vendite fatturate, l’Ufficio pretenderà IRES, IRAP e IVA su quei 100.000 €, a meno che la cooperativa dimostri che si trattava, poniamo, di finanziamenti soci già tassati per i soci o non imponibili.
- Studi di settore e indicatori ISA: fino a qualche anno fa, l’amministrazione finanziaria utilizzava gli “studi di settore” (ora sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale – ISA) per stimare ricavi o margini attesi in base alle caratteristiche dell’impresa. Se una cooperativa dichiarava ricavi troppo inferiori rispetto allo standard del settore, scattava un alert. Oggi gli ISA forniscono un voto di affidabilità: un punteggio molto basso può far scattare verifiche mirate. Ad esempio, se una cooperativa edile dichiara sistematicamente margini vicini a zero, potrebbe essere selezionata per un controllo, sospettando l’occultamento di utili. Va detto però che uno scostamento dagli indicatori economici, da solo, non può costituire una prova di evasione, ma solo un elemento di innesco del controllo. Qualora però, a seguito di contraddittorio, la cooperativa non fornisca spiegazioni convincenti, l’Ufficio può effettuare un accertamento analitico-induttivo basandosi anche su tali discrepanze (art. 39, comma 1, lett. d, DPR 600/73). In un caso specifico, la Cassazione ha convalidato un accertamento che ricostruiva utili extracontabili tramite lo studio di settore, ma contestualmente ha negato le agevolazioni fiscali alla cooperativa accertata perché non aveva presentato la dichiarazione (Cass. 34628/2022 sopra citata) .
- Analisi di bilancio e indici di redditività: il Fisco può rilevare incongruenze nei bilanci della cooperativa, ad esempio costi del personale elevati a fronte di ricavi esigui o ripetute perdite d’esercizio inspiegabili. Tali situazioni possono essere considerate antieconomiche, inducendo a pensare che parte dei ricavi sfugga alle registrazioni. Ad esempio, una cooperativa di lavoro con 130.000 € di costi per dipendenti e soli 5.000 € di utile (o in perdita) potrebbe destare sospetti: in un caso reale, l’Agenzia delle Entrate ha contestato extra-profitti occulti a una SRL con redditività apparente solo del 2,76%, sostenendo che dovessero esistere ricavi maggiori in nero. In appello, però, i giudici hanno dato ragione al contribuente che aveva dimostrato come le socie avessero altre fonti di reddito e dunque potessero accettare un basso utile sociale senza bisogno di “arrotondare” in nero . Questo evidenzia che l’antieconomicità è un indizio, ma se il contribuente la giustifica (es. l’attività mutualistica della cooperativa impone prezzi di favore ai soci o le socie hanno stipendi altrove), l’accertamento basato solo su di essa può cadere.
- Presunzioni da documenti extracontabili o da verifiche: se durante un controllo vengono trovati documenti “paralleli” (bloc-notes, agende, file) indicanti vendite non fatturate o doppi bilanci, questi costituiscono prova diretta di utili extracontabili. Parimenti, riscontri esterni come fornitori che confermano vendite senza fattura alla cooperativa, o clienti che ammettono acquisti in nero, sono elementi forti. In casi di cooperative, talvolta emergono doppie fatturazioni (una ufficiale inferiore e una occulta in nero) oppure pagamento di ristorni non contabilizzati ai soci. Tutto ciò alimenta l’accertamento.
- Costi non deducibili o fittizi: altra modalità è contestare che alcuni costi registrati siano in realtà estranei all’attività (es. spese personali di amministratori fatte passare nei conti della coop) o addirittura fittizi (false fatture). Eliminando tali costi dal conto economico, l’ufficio genera un maggior utile fiscale. Ad esempio, se la cooperativa ha dedotto fatture per “consulenze” ritenute inesistenti, l’importo viene ripreso a tassazione come utile occulto. La Cassazione ha chiarito che anche il disconoscimento di costi produce “maggiori risorse non dichiarate” imputabili ai soci . In pratica, se una cooperativa con pochi soci deduce costi inesistenti per 50.000 €, il Fisco non solo recupererà IRES e IRAP su quei 50.000 € di utile in più, ma presumerà che tali somme (risparmi d’imposta) siano state occultamente distribuite ai soci stessi (vedremo oltre il meccanismo della presunzione di distribuzione).
- Altri controlli incrociati: l’Agenzia incrocia banche dati (es. operazioni rilevanti IVA, spesometro, fatture elettroniche) e può individuare discrepanze. Esempio: un fornitore dichiara vendite alla cooperativa per 200.000 €, ma la cooperativa registra acquisti per 150.000 € da quel fornitore: potrebbe significare che 50.000 € di merce sono stata pagati in nero e rivenduti in nero, generando utili occulti.
Quando viene accertato un utile extracontabile, quali imposte ne risultano coinvolte? Principalmente:
- IRES: essendo maggiore il reddito imponibile della cooperativa, verrà calcolata una maggiore imposta societaria al 24% su quell’utile occulto (aliquota IRES costante negli ultimi anni). Esempio: utile non dichiarato €100.000 → maggiore IRES dovuta €24.000 (salvo agevolazioni perdute, come detto, su redditi evasivi non spettano esenzioni parziali). Da notare che secondo la Cassazione gli utili occulti non godono dell’eventuale tassazione parziale prevista per i dividendi regolari – ad es. la regola (oggi superata) per cui i dividendi percepiti da persone fisiche erano imponibili al 40% (ora al 100% con tassazione separata) non si applica a utili extrabilancio da evasione: questi si considerano equiparati a redditi di partecipazione come nelle società di persone . Quindi, vengono tassati per intero in capo ai soci, come fossero proventi “trasparenti” di partnership, oltre che in capo alla società stessa . Questo aspetto accentua una sorta di doppia imposizione economica sui medesimi utili, sebbene giuridicamente giustificata dalla sanzione dell’evasione.
- IRAP: la maggior parte delle cooperative esercita attività d’impresa rilevanti ai fini IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). L’IRAP colpisce il valore aggiunto prodotto: per semplificare, parte dall’utile operativo ma non considera costi del personale e oneri finanziari. Se emergono ricavi non dichiarati, il valore della produzione ai fini IRAP aumenta in pari misura; se vengono stornati costi non deducibili, l’imponibile IRAP aumenta (a meno che fossero costi del personale già esclusi a monte). L’aliquota ordinaria IRAP è 3,9% (ma alcune Regioni l’hanno ritoccata, e aliquote diverse valgono per comparti speciali, es. banche, assicurazioni). Per la cooperativa, ciò significa dover versare circa 3,9€ ogni 100€ di base imponibile recuperata. Nel nostro esempio: €100.000 di ricavi occulti → €3.900 di IRAP aggiuntiva. Alcune cooperative (sociali di tipo B, imprese agricole cooperative) godono di esenzioni IRAP particolari, ma anch’esse in caso di evasione potrebbero decadere in parte. Va inoltre citato che per le cooperative agricole e della piccola pesca, esiste un’esenzione IRES specifica (art. 10 DPR 601/1973) per i redditi derivanti da attività di manipolazione e vendita di prodotti conferiti dai soci in misura prevalente . Tuttavia, se l’Ufficio dimostra che parte dei ricavi deriva da prodotti di terzi (non soci) oltre i limiti, quel reddito non gode di esenzione e sarà tassato ordinariamente . In fase di accertamento, dunque, si può contestare non solo il maggior reddito, ma anche la perdita dell’esenzione su certe componenti.
- IVA: se gli utili extracontabili derivano da ricavi non fatturati, l’Agenzia recupererà anche l’IVA evasa su quelle operazioni. Ad esempio, se la cooperativa ha effettuato vendite “in nero” per €100.000, e supponendo che fossero operazioni soggette a IVA al 22%, verranno richiesti circa €22.000 di IVA non versata (salvo prova che trattavasi di operazioni esenti o fuori campo). Non solo: verranno applicate anche sanzioni IVA specifiche (generalmente il 90% dell’imposta non versata, secondo il D.Lgs. 471/1997, art. 5). Diverso è il caso in cui l’utile occulto derivi da sovrafatturazione di costi (false fatture passive): in tal caso, l’Ufficio contesterà l’indebita detrazione IVA sugli acquisti fittizi, richiedendo la restituzione dell’IVA detratta + interessi e sanzioni (dal 90% al 180% dell’imposta). In sintesi, l’accertamento di utili in nero spesso genera un duplice binario: maggiori imposte dirette (IRES, IRPEF per i soci, IRAP) e imposte indirette (IVA) concomitanti.
- Altre imposte: in alcuni frangenti potrebbero emergere conseguenze su imposte locali (es. la cooperativa edilizia che assegnava alloggi potrebbe vedersi negare l’agevolazione IMU se considerata attività commerciale), o su ritenute non operate. Ad esempio, se la cooperativa è trasparente per i soci (in certi casi le cooperative a ristretta base possono essere assimilate a società di persone quanto a tassazione occulta), l’Ufficio può contestare il mancato versamento delle ritenute del 26% su dividendi ai soci . Nel caso reale Cass. 15274/2025, a una SRL controllata da poche società, oltre a imposte e IVA, fu contestato il mancato versamento delle ritenute su utili attribuiti per trasparenza al socio , perché l’Erario trattava quei utili occulti come dividendi distribuiti.
- Sanzioni amministrative: all’imposizione delle maggiori imposte si accompagnano sempre le sanzioni pecuniarie. Per dichiarazione infedele (dati incompleti) la sanzione base è dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta (art. 1, c.2 D.Lgs. 471/1997). Se l’evasione supera determinate soglie (imposta evasa > €50.000 e >10% del dichiarato), si applica la forbice alta; se inferiore e con cooperativa collaborativa, possibile la minima. In caso di omessa dichiarazione (se proprio non fu presentata), la sanzione sale dal 120% al 240% dell’imposta (minimo €250). Inoltre, sanzioni fisse se sono violate obblighi formali (es. non tenuta registri). Tutte queste sanzioni possono essere ridotte aderendo a istituti deflativi (adesione, conciliazione) o dal giudice per circostanze attenuanti.
- Interessi moratori: sulle imposte evase scattano gli interessi giornalieri dal giorno in cui erano dovute (16 giugno dell’anno successivo per i saldi, o scadenze acconti etc.). Il tasso di interesse per il 2025 si aggira intorno al 4-5% annuo (stabilito periodicamente con provvedimento Agenzia Entrate). Gli interessi sono dovuti sia sulle imposte che sulla gran parte delle sanzioni, e non sono in genere rinunciabili.
- Profili penali tributari: dal punto di vista del debitore è fondamentale sapere se l’accertamento fiscale possa sfociare anche in un procedimento penale a carico degli amministratori o di chi ha tenuto le scritture. La normativa penal-tributaria (D.Lgs. 74/2000) prevede reati come la dichiarazione fraudolenta (art. 2, uso di fatture false; art. 3, artifici contabili), la dichiarazione infedele (art. 4), l’omessa dichiarazione (art. 5) e l’occultamento/distruzione di documenti contabili (art. 10). Se gli utili extracontabili derivano, ad esempio, dall’aver utilizzato fatture false per creare costi fittizi o dal non aver dichiarato ricavi per importi rilevanti, potrebbero integrarsi fattispecie di reato. Le soglie di punibilità per la dichiarazione infedele (art. 4) sono: imposta evasa > €100.000 e elementi attivi sottratti > 10% del totale o > €2 milioni. Per l’omessa dichiarazione: imposta evasa > €50.000. Per l’uso di fatture false basta l’utilizzo di qualsiasi importo rilevante. Dunque, una cooperativa che occulta, ad esempio, €1.000.000 di ricavi IVA con evasione di €220.000 IVA e €240.000 IRES, incappa in dichiarazione fraudolenta e omessa dichiarazione IVA. Le pene possono arrivare fino a 6 anni di reclusione nei casi più gravi, anche se in concreto, per importi non enormi, spesso si applicano circostanze attenuanti o la causa di non punibilità per particolare tenuità (art. 131-bis c.p., ma non sempre applicabile: la Cassazione penale ha escluso la particolare tenuità per un reato di dichiarazione infedele con evasione non irrisoria, ribadendo che servono soglie modeste per invocarla ). Dal punto di vista difensivo, è importante prevenire o gestire il rischio penale mostrando collaborazione e magari regolarizzando il dovuto: il pagamento integrale del debito tributario prima del dibattimento può attenuare la pena e in certi reati estinguere il reato (es. omesso versamento).
In sintesi, l’accertamento di utili extracontabili in una cooperativa comporta un pesante impatto: maggiori imposte dirette e indirette, sanzioni amministrative elevate, interessi e potenzialmente azioni penali contro gli amministratori. Nel prossimo paragrafo vedremo uno schema esemplificativo di calcolo e successivamente come articolare la difesa contro tali contestazioni, anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale.
Esempio pratico: calcolo dell’imposizione su utili extracontabili
Si consideri la Cooperativa XYZ (di produzione e lavoro) che per l’anno X ha dichiarato un reddito imponibile nullo o minimo. A seguito di verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate contesta quanto segue: – Ricavi non dichiarati (vendite in nero): €100.000 (soggetti a IVA al 22%). – Costi indeducibili (spese personali dell’amministratore passate a conto economico): €20.000 (IVA su tali fatture già detratta indebitamente). – Totale utili extracontabili accertati = €120.000 (100k + 20k, supponendo che senza quei costi la cooperativa sarebbe andata in utile).
Le maggiori imposte e oneri saranno:
Voce | Calcolo sul maggior imponibile | Importo |
---|---|---|
IRES (24% di 120.000) | 0,24 * 120.000 | €28.800 |
IRAP (3,9% di 120.000) | 0,039 * 120.000 | €4.680 |
IVA vendite non fatturate | 22% * 100.000 | €22.000 |
IVA acquisti indeducibili (da restituire) | 22% * 20.000 (detrazione non spettante) | €4.400 |
Totale imposte dovute | (sommatoria sopra) | €59.880 |
Sanzione IRES (100% ipotetico) | 100% * 28.800 (dichiarazione infedele) | €28.800 |
Sanzione IRAP (100% ipotetico) | 100% * 4.680 | €4.680 |
Sanzione IVA vendite (90%-180%) | 100% * 22.000 (ipotesi 100%) | €22.000 |
Sanzione IVA acquisti (indebita detrazione) | 90% * 4.400 | €3.960 |
Totale sanzioni (circa) | – | €59.440 |
Interessi (circa 4% annuo su imposte per 1-2 anni) | ~4% * 59.880 * 1,5 anni | ~€3.600 |
Importo complessivo da pagare (imposte+sanz+int.) | – | ≈ €123.000 |
N.B.: le sanzioni sopra ipotizzate al 100% sono a titolo esemplificativo; in realtà l’entità effettiva è discrezionale entro i range e può variare in caso di definizione agevolata. In sede di adesione, ad esempio, le sanzioni IRES/IRAP si riducono a 1/3, etc.
Come si vede, a fronte di €120.000 di utili nascosti, la cooperativa si vede richiedere oltre €60.000 tra imposte e IVA, e altrettanto in sanzioni, arrivando a dover pagare una somma superiore all’utile occultato stesso. Inoltre, nel nostro esempio la cooperativa XYZ è a ristretta base sociale (pochi soci): l’Ufficio presumerebbe che quei €120.000 siano stati distribuiti ai soci in proporzione alle quote. Se, poniamo, la coop ha 2 soci principali (ciascuno al 50%), verrebbero emessi avvisi di accertamento personali a carico di ciascun socio per €60.000 di redditi di partecipazione non dichiarati. Questi €60.000 verrebbero tassati in capo ai soci con IRPEF progressiva (aliquote 23%-43% in base allo scaglione) oppure, se i soci sono società, con ulteriori IRES (in parte esenti al 95% se fossero dividendi formalmente deliberati, ma essendo utili extra-bilancio la Cassazione ha escluso tali esenzioni ). Nel nostro caso, ogni socio persona fisica potrebbe vedersi chiedere ~€20.000 di IRPEF + sanzioni del 90-180%. Ciò chiarisce il potenziale impatto devastante di un accertamento simile sul patrimonio sia della cooperativa che dei soci coinvolti.
Va da sé che in tale situazione la difesa punta sia a ridurre la base imponibile accertata (dimostrando che parte di quei €120k non sono in realtà utili imponibili) sia a contestare la presunzione di distribuzione ai soci o almeno a scagionare i soci non coinvolti attivamente nella gestione.
Nei capitoli successivi vedremo come strutturare la strategia difensiva per reagire a questo tipo di accertamenti.
La presunzione di distribuzione ai soci degli utili occulti
Uno degli aspetti più insidiosi degli accertamenti di utili extracontabili nelle cooperative riguarda la presunzione di attribuzione ai soci di questi utili. Si tratta di un principio, elaborato dalla giurisprudenza, secondo cui nelle società di capitali a ristretta base proprietaria (poche persone di controllo) si presume che gli utili extracontabili accertati in capo alla società siano stati occultamente distribuiti ai soci nello stesso esercizio in cui sono maturati . Questo principio, nato per le SRL familiari o poche persone, è stato esteso anche alle società cooperative quando la compagine sociale, di fatto, è dominata da un gruppo ristretto di individui.
Origine e fondamento della presunzione
La logica della presunzione è la seguente: se una società (in particolare, di capitali) è controllata da poche persone legate da vincoli familiari o di reciproca fiducia, è poco credibile che eventuali utili “in nero” rimangano inutilizzati o nascosti nelle casse sociali; è invece plausibile che vengano ripartiti tra i soci “complici” in proporzione alle loro quote. La Cassazione parla, in tal caso, di “vincolo di solidarietà e reciproco controllo” tra i membri di una ristretta compagine, specie se familiari . Insomma, pochi soci tendono ad operare di concerto e a spartirsi i benefici non ufficiali dell’impresa.
Già negli anni 2000 la giurisprudenza di legittimità aveva sancito che la ristrettezza della base sociale costituisce un fatto noto (indizio) dal quale inferire la distribuzione pro-quota degli utili extrabilancio, salvo prova contraria del contribuente. Sentenze come Cass. 20078/2005 e 3896/2008 hanno consolidato questo orientamento, individuando soglie di pochi soci (anche 4-5 persone) come sufficienti a far scattare la presunzione . Addirittura Cass. 21415/2007 ha esplicitamente annoverato gli “enti cooperativi” tra i soggetti cui può applicarsi la presunzione, se ricorre la ristrettezza e vincoli di gestione accentrata .
Nel contesto cooperativo, è noto che spesso la compagine formale può essere ampia (es. decine di soci), ma in molte situazioni esistono i cosiddetti “soci tiranni”: pochi soggetti che di fatto controllano la cooperativa, mentre gli altri soci sono figure marginali o addirittura “soci figurativi”. Proprio su un caso del genere è intervenuta una importante pronuncia del 2022: la Cassazione, con sentenza n. 32451 depositata il 3 novembre 2022, ha stabilito che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili propria delle società a ristretta base si applica anche alle società cooperative a responsabilità limitata, ma solo nei confronti dei soci che hanno effettivamente “in mano” la società . Nel caso concreto, una coop era formalmente composta da più soci, ma di fatto due persone (un socio amministratore e un’altra socia di fatto) gestivano autonomamente l’attività – definiti appunto “soci tiranni” . L’Agenzia aveva accertato utili extra-contabili ai fini IRES/IRAP sulla cooperativa e, contestualmente, emesso avvisi ai due soci dominanti per i dividendi “in nero” percepiti . La Suprema Corte ha convalidato tale operato: “La presunzione… si può applicare anche alle società cooperative a r.l. e nei confronti dei soli soci che hanno ‘in mano’ la società” (Cass. 32451/2022) . Non rileva che vi fossero altri soci solo figurativamente: l’ampiezza nominale della base sociale “non salva il socio tiranno” , ovvero non basta ad evitare la presunzione se in concreto il controllo è accentrato.
In definitiva, oggi è pacifico che anche una cooperativa può essere considerata “a ristretta base proprietaria” se la gestione e i benefici sono accentrati in poche mani . Ciò farà scattare la presunzione di distribuzione degli utili occulti a quei medesimi soggetti.
Funzionamento della presunzione e onere della prova
Tecnicamente, la presunzione di distribuzione è una presunzione semplice (relativa) ex art. 2729 c.c., non una presunzione assoluta di legge. Ciò significa che: – L’Amministrazione finanziaria deve fornire un inizio di prova o quantomeno la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti che giustificano la presunzione . Non è sufficiente limitarsi ad affermare “la società ha pochi soci, quindi utili sicuramente distribuiti”: la ristretta base è un elemento, ma deve essere corroborato da ulteriori circostanze fattuali che rendano ragionevolmente deducibile la percezione occulta di utili . Ad esempio, la Cassazione stessa ha recentemente chiarito che la mera esistenza di una ristretta base sociale non basta di per sé: va supportata da elementi concreti aggiuntivi . In ordinanze del 2025 (Cass. 2464/2025, 2288/2025) si è affermato un orientamento “restrittivo” secondo cui l’Ufficio deve provare qualcosa di più, come movimenti finanziari anomali, confusione tra patrimonio sociale e personale dei soci, incrementi patrimoniali dei soci non giustificati, soci che prelevano fondi sociali senza titolo, ecc. . Tali circostanze rafforzano l’indizio iniziale della piccola base proprietaria.
- Il contribuente (socio) ha però l’onere della prova contraria: una volta che l’Ufficio ha dimostrato la ristrettezza societaria e i citati indizi, si inverte l’onere e spetta al socio provare che quegli utili extracontabili non gli sono stati distribuiti . Le strade percorribili per il socio (o la società che lo affianca in giudizio) sono essenzialmente due:
- Negare l’esistenza stessa di utili extracontabili: se cade l’accertamento alla società, cade a monte anche quello ai soci. In pratica, contestare che vi sia stato un maggior reddito (es. dimostrando che i ricavi in nero in realtà non esistevano o erano minori). È la difesa principale: se non c’è utili extra, non c’è nulla da distribuire.
- Dimostrare che, pur essendo maturati maggiori utili, questi non sono stati distribuiti ma sono rimasti in capo alla società (accantonati o reinvestiti) . Ad esempio, provare che l’utile occulto è servito a finanziare acquisti di magazzino extra-contabili, o a coprire perdite pregresse, o giace in cassa aziendale (magari rinvenuta). Questa prova è notoriamente difficile, perché implica provare un fatto negativo (la mancata distribuzione) e spesso l’utile occulto, per definizione, non risulta da nessuna parte. La Cassazione ha escluso che sia “prova contraria” sufficiente il semplice fatto che il bilancio ufficiale della società chiuda in perdita – argomento talora usato dai soci per dire: “non potevamo aver ricevuto nulla, la società ufficialmente era in perdita!”. Se c’è evasione, infatti, il bilancio ufficiale non è attendibile per negare la distribuzione. Servono evidenze concrete.
- Dimostrare l’estraneità del socio alla gestione: questa è una terza via, affermatasi di recente, che in pratica non nega la distribuzione avvenuta, ma cerca di escludere uno o più soci dal novero dei beneficiari presunti, provando che costoro non partecipavano in alcun modo alla gestione della cooperativa (quindi non potevano sapere né ricevere utili in nero). Per capirci: se una coop è controllata dal socio A, coadiuvato dal socio B, ma ha anche un socio C con piccola quota e nessun ruolo operativo, C può difendersi dicendo “gli utili occulti se li saranno presi A e B, io non c’entro”. In passato questa linea difensiva incontrava resistenze (essendo i soci comunque proprietari, presumere che alcuni sì e altri no avessero preso i proventi era complicato). Tuttavia, Cass. 2464/2025 ha segnato una svolta aderendo a un orientamento definito “minoritario” ma ormai emergente: ha ritenuto valida la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione societaria come prova contraria idonea a superare la presunzione . In altre parole, per il socio dormiente o puramente di capitale, è ammissibile liberarsi dalla presunzione provando di non aver partecipato né potuto partecipare alle scelte gestionali e all’occultamento degli utili. Esempi concreti di prova di estraneità:
- Il socio dimostra di lavorare a tempo pieno altrove o risiedere lontano, quindi di non partecipare attivamente alla cooperativa (Cass. 26873/2016 ha accolto la difesa di un socio dipendente di altra azienda) .
- Il socio documenta di essere in cattivi rapporti con gli amministratori o di essere stato emarginato (es. verbali assemblee conflittuali, dimissioni da cariche): segno che non faceva “comunella” nel gestire utili occulti .
- Il socio possiede solo una quota minoritaria e si dimette presto, o subentra dopo il periodo incriminato.
- In cooperativa, potrebbe capitare con i soci sovventori o finanziatori, che non hanno ruoli operativi.
Se la prova dell’estraneità convince, il socio in questione non pagherà imposte sul utile occulto (rimarrà a carico eventualmente solo degli altri soci attivi). Questa posizione è ormai accettata in giurisprudenza e rende giustizia a soci che, pur figurando nel capitale, non hanno colpe specifiche né vantaggi dall’evasione.
Applicazione pratica nelle cooperative
Nelle cooperative, la presunzione di distribuzione va modulata sulle particolarità di questo tipo di ente: – Cooperative con molti soci attivi: se davvero la base sociale è ampia e diffusa, l’Ufficio difficilmente applicherà la presunzione in automatico, perché l’esperienza insegna che più è alto il numero di soci, meno è plausibile che tutti siano d’accordo in un occultamento (rischio di delazioni, difficoltà logistica nel dividere il bottino, ecc.). Tuttavia, potrebbe farlo limitatamente a un gruppo di soci amministratori. Ad esempio, in una coop a 100 soci, con CDA composto da 3 persone, l’Agenzia potrebbe sostenere che solo i 3 del CDA (o alcuni di essi) abbiano intascato gli utili extrabilancio (soci tiranni in mezzo a soci inconsapevoli). In dottrina si è discusso se sia lecito presumere la distribuzione non proporzionale alle quote (es. tutta a pochi e zero agli altri) – la regola classica prevede distribuzione pro-quota a tutti i soci. Sentenze come Cass. 32451/2022 hanno di fatto accettato la distribuzione mirata ai soli soci dominanti, quindi di fatto non paritaria . Si supera così la vecchia obiezione del “doppio salto logico” (presumere prima utili occulti, poi presumere anche chi li ha presi): oggi si focalizza la presunzione sui destinatari più plausibili (dominanti).
- Cooperative eterogenee (soci persone giuridiche): c’è stato il caso di una società a ristretta base i cui soci erano a loro volta società di capitali. La Cassazione ha stabilito che la presunzione opera anche se la compagine è composta da società e non persone fisiche, purché il controllo sia accentrato in poche mani dietro quelle società . Quindi anche una cooperativa posseduta da, ad es., due SRL può incorrere nella presunzione se quelle SRL fanno capo alla stessa famiglia o gruppo.
- Distribuzione temporalmente: la giurisprudenza dice che la distribuzione si considera avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili occulti sono stati conseguiti . Questo per ovviare al fatto che trattandosi di utili nascosti, non ci sarà mai una delibera formale di riparto nell’anno successivo. Quindi il socio dovrà essere tassato per quell’anno stesso. Ciò può avere effetti su prescrizione/decadenza: l’accertamento ai soci deve quindi avvenire entro i termini di decadenza dello stesso anno d’imposta (in genere contestualmente all’accertamento alla società, con “accertamento parallelo”).
- Quantificazione per socio: se nulla prova il contrario, di regola il riparto presunto segue le percentuali di partecipazione al capitale. Es: socio 40% → 40% degli utili occulti tassati a lui. Tuttavia, come visto, se alcuni soci sono di facciata, l’Ufficio può tentare di attribuire tutto ai soci gestori dominanti. È il caso dei soci tiranni: Cassazione e dottrina concordano che l’ampiezza della base sociale non salva il socio tiranno dal fisco , intendendo che questi potrebbe dover rispondere praticamente di tutti gli utili occulti. Questa impostazione, sebbene pragmatica, deve fare i conti col rispetto del principio di capacità contributiva: tassare uno per l’utile “anche altrui” può essere eccessivo salvo prova che gli altri non ne hanno avuto.
In generale, il principio di diritto formulato dalla Cassazione sul punto (massimato più volte, da ultimo Cass. 4861/2024) è: “nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione, ma siano stati accantonati dalla società o reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio si sia chiuso con perdite contabili” . Dunque, il punto fermo è questo; e la recente apertura sulla prova di estraneità ne è corollario. Il contribuente (socio) che voglia vincere la presunzione deve predisporre un’adeguata strategia difensiva, di cui parliamo nel capitolo successivo.
Prima di passare oltre, è utile menzionare un’evoluzione normativa in corso: la Legge Delega 111/2023 per la riforma fiscale prevede di limitare per il futuro l’automatismo della presunzione di utili ai soci. In particolare, all’art. 17, comma 1, lett. h), n.4, la Delega prevede che gli accertamenti ai soci per utili extra-contabili possano aversi solo se (a) l’accertamento societario è fondato su elementi certi e precisi di maggior reddito e (b) l’accertamento deriva da componenti positivi non dichiarati o componenti negativi inesistenti (escludendo i soli costi non inerenti) . Si vuole quindi evitare che si tassino i soci quando l’utile emergente è frutto solo di una ripresa per antieconomicità o per costi non inerenti. Questa riforma non è ancora operativa (ad agosto 2025 il decreto attuativo non risulta emanato), ma indica un indirizzo: rendere più garantista la materia. Finché la legge delega non sarà attuata, resta valida la giurisprudenza attuale, che – come abbiamo visto – continua ad applicare la presunzione anche indipendentemente dal tipo di accertamento (analitico o induttivo) e anche se il maggior reddito deriva da costi non inerenti .
Come difendersi: strategie e strumenti di tutela
Dinnanzi a un accertamento di utili extracontabili, la cooperativa e i suoi soci devono predisporre una difesa articolata su più fronti. Si può intervenire in fase pre-contenziosa (prima che l’atto diventi definitivo, sfruttando il dialogo con l’Ufficio) e, se necessario, in fase contenziosa (ricorrendo alle Corti di Giustizia Tributaria). L’obiettivo è ridurre o annullare la pretesa fiscale, o almeno eliminare le parti più infondate (es. far cadere la presunzione di distribuzione ai soci, che raddoppia la tassazione).
Vediamo le principali strategie difensive:
Fase pre-contenziosa: contraddittorio e accertamento con adesione
Quando la verifica fiscale si conclude, i verificatori (Agenzia Entrate o GdF) redigono un Processo Verbale di Constatazione (PVC). Da quel momento, la cooperativa ha 60 giorni per presentare osservazioni e richieste all’Ufficio (D.P.R. 600/73, art. 12 c.7, Statuto diritti contribuente). Presentare una memoria difensiva in questa fase è fortemente consigliato: consente di chiarire da subito le ragioni del contribuente e magari evitare l’emissione di un avviso di accertamento totalmente sfavorevole. Nella memoria si dovrebbero: – Correggere eventuali errori fattuali dei verificatori (es: dimostrare che un versamento bancario sospetto era in realtà un finanziamento soci documentato da contratto e già restituito; allegare evidenza). – Fornire giustificazioni e prove per i ricavi presunti: ad esempio, se contestano vendite in nero sulla base di acquisti di materiali non ritrovati nel magazzino, spiegare che i materiali sono stati utilizzati per manutenzioni interne e non rivenduti, con documenti interni o fotografie. – Giustificare eventuali perdite o bassa redditività: illustrare, magari con bilanci pluriennali, che la cooperativa segue finalità mutualistiche (es. ristorni ai soci sotto forma di sconti di prezzo, salari più alti ai soci lavoratori) tali per cui è fisiologico un utile basso. Se c’è un bilancio sociale o relazioni di revisori delle centrali cooperative, citarli a sostegno della buona fede. – Sulle contestazioni IVA: verificare se l’Ufficio ha applicato correttamente il regime (es. per cooperative agricole controllare se certe cessioni in nero in realtà sarebbero state esenti ex art. 34 co.7 DPR 633/72, ecc.) e farlo presente. – Impegni: se qualcosa è effettivamente non regolare ma di entità minore, la cooperativa può prospettare un ravvedimento o l’intenzione di versare spontaneamente parte del dovuto, chiedendo magari il non applicare sanzioni massime.
Un approccio collaborativo può convincere l’Ufficio a ridurre sul nascere l’accertamento. Se la cooperativa è assistita da un professionista, questi potrà anche chiedere incontro con i funzionari per discutere il PVC. In alcune situazioni è previsto l’invito al contraddittorio obbligatorio prima dell’accertamento (specie per tributi armonizzati come l’IVA, in base a principi UE di buona amministrazione). Non sfruttare questa possibilità è un’occasione persa: oltre che un diritto, è nell’interesse del contribuente portare elementi prima che l’avviso venga emesso (dopo, l’Agenzia è meno propensa ad auto-correggersi).
Una volta notificato l’avviso di accertamento, permane la possibilità di definizione stragiudiziale tramite l’Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997). Questo strumento permette, entro 60 giorni dalla notifica, di presentare istanza di adesione e avviare un dialogo con l’ufficio accertatore per cercare un accordo sull’entità della pretesa. Durante l’adesione: – Si può negoziare la riduzione dei ricavi accertati se si convincono i funzionari con documentazione aggiuntiva. – Si può far valere la precarietà di alcune prove, ottenendo sconti. – Le sanzioni vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto per legge (questo è un forte incentivo: ad es. sanzione 90% scende al 30%). – Si ottiene la sospensione dei termini per ricorrere (che ripartono se l’adesione non va a buon fine).
Ad esempio, la coop può proporre: “riconosciamo 50k di ricavi in più invece di 100k, perché i restanti 50k erano finanziamenti; accettiamo le sanzioni su quei 50k al 1/3”. Se l’ufficio concorda, si formalizza un atto di adesione. Pagando quanto concordato (imposte + sanzioni ridotte + interessi) entro 20 giorni dall’atto, la questione si chiude senza contenzioso. L’adesione ha anche il vantaggio che normalmente l’Ufficio rinuncia ad altre pretese sul medesimo fatto (es. se l’atto riguardava IRES e IVA, definendolo non potranno poi farti un nuovo avviso per quell’annualità su altri aspetti correlati). Bisogna però ponderare: aderire significa rinunciare al ricorso e “cristallizzare” una posizione di compromesso (che può essere meno vantaggiosa di quanto un giudice avrebbe potuto sentenziare, ma evita i rischi del giudizio e riduce sanzioni). Dal punto di vista del debitore, l’adesione è opportuna se la pretesa è in buona parte fondata e difficilmente smontabile in toto, oppure se comunque c’è interesse a chiudere rapidamente la questione (per evitare aggravi futuri, spese legali, ecc.). Se invece l’accertamento appare del tutto infondato o eccessivo, la cooperativa potrebbe scegliere di non aderire e prepararsi al ricorso in Commissione tributaria.
Ricorso in Commissione (Corte di Giustizia Tributaria) e processo
Qualora non si trovi un accordo con l’Agenzia o si ritenga di aver ragione, il passo successivo è presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione dal 2023 delle Commissioni Tributarie Provinciali). Il ricorso va notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (termine prorogato di 90 giorni se si è presentata istanza di adesione e questa è fallita). Ecco alcuni punti chiave:
- Pagamento provvisorio: la presentazione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Di regola, l’Agenzia “iscrive a ruolo” un importo pari al 1/3 delle imposte accertate che va pagato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (se si fa ricorso entro i 60gg, coincide con la scadenza – ma in pratica o paghi o chiedi sospensione). Con le riforme recenti, c’è un po’ di incertezza sul meccanismo, ma indicativamente il 1/3 va versato. Se il contribuente non paga quel 1/3, la riscossione può procedere (Agenzia Riscossione può emettere cartella dopo 30 gg dal termine). Quindi è prudente valutare di pagarlo (eventualmente chiedendo una rateazione subito dopo la cartella, per diluire). In alternativa, se il pagamento immediato creerebbe un danno grave (es. metterebbe a rischio la continuità aziendale della cooperativa), si può chiedere alla Commissione una sospensione dell’esecuzione. L’istanza di sospensione va presentata contestualmente al ricorso o anche successivamente (entro la prima udienza) e occorre dimostrare sia il periculum (danno grave e irreparabile dal pagamento) sia il fumus boni iuris (il ricorso non è pretestuoso ma ha reali possibilità di accoglimento). Se concessa, la sospensione blocca la riscossione fino alla sentenza di primo grado.
- Contenuto del ricorso: va redatto con cura tecnica. Deve indicare:
- Giudice adito (es: “Alla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di [Provincia]”).
- Dati del ricorrente (cooperativa XY, cod.fisc…, e soci eventualmente ricorrenti personalmente) e del suo difensore (se nominato) e dell’ente resistente (Agenzia Entrate – Direzione provinciale di …).
- Atto impugnato (numero avviso, data, anno d’imposta, importi).
- Fatti: esposizione dei fatti e della vicenda (qui si può raccontare la natura della coop, l’attività, la verifica, cosa è stato contestato).
- Motivi di ricorso: questa è la parte cruciale, dove si articolano le censure all’atto. Ogni motivo di solito attacca un profilo specifico di illegittimità o infondatezza. Nel nostro caso, potrebbero esserci più motivi:
- Insussistenza dei ricavi non dichiarati: contestare la metodologia con cui sono stati calcolati i presunti ricavi in nero, evidenziando errori (es. doppi conteggi, mancata considerazione di eventi successivi, o che i movimenti bancari contestati erano finanziamenti soci – allegando i contratti di finanziamento).
- Inesistenza della distribuzione di utili ai soci: qui si può contestare che l’Ufficio ha applicato erroneamente la presunzione di distribuzione. Ad esempio: “Erroneamente l’Agenzia ha ritenuto la cooperativa a ristretta base proprietaria; in realtà i soci erano 50 e non vi era un vincolo di complicità tra tutti, anzi erano presenti soci sovventori estranei alla gestione. La presunzione non risulta supportata da indizi ulteriori (mancano evidenze di prelievi sospetti o arricchimenti dei soci). In ogni caso, il ricorrente (socio) dimostra la propria estraneità gestionale, essendo mero finanziatore”. Questo motivo mira a far cadere gli avvisi ai soci (o quantomeno ad alcuni di essi) e quindi a togliere l’IRPEF personale.
- Violazione di legge o vizi procedurali: ad esempio se l’Agenzia non avesse rispettato il contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (in alcune materie lo è, in altre no: per IVA sì, per imposte dirette no se accertamento parziale). Oppure, se l’accertamento è stato notificato oltre i termini di decadenza (di norma il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione dichiarazione, esteso a settimo se omessa). Oppure vizi formali dell’atto (motivazione carente, mancata allegazione di documenti richiamati, ecc.). Questi vizi, se presenti, vanno sempre contestati perché potrebbero portare all’annullamento integrale indipendentemente dal merito.
- Richiesta di riduzione sanzioni: anche se non è un vero “motivo” (il giudice può ridurre d’ufficio se accoglie motivi sul merito), il difensore spesso chiede in subordine la concessione delle circostanze attenuanti per ridurre le sanzioni al minimo, invocando la buona fede, la natura cooperativa (quindi non profit-oriented) e l’assenza di precedenti violazioni, ad esempio.
- Richiesta finale (petitum): deve essere chiaro cosa si chiede alla Corte. Può essere l’annullamento totale dell’avviso impugnato, o l’annullamento parziale (es. limitatamente alla parte di maggiori ricavi, confermando invece altri punti accettati, oppure annullamento degli avvisi ai soci lasciando quello societario, ecc.). Si può chiedere la vittoria di spese legali.
Il ricorso va sottoscritto dal legale rappresentante della cooperativa e dal difensore (se necessario). Ricordiamo che il contenzioso tributario richiede l’assistenza di un difensore abilitato (avvocato, dottore commercialista o esperto contabile, o consulente del lavoro per materie contributive) per controversie di valore oltre 3.000 €. Quindi quasi certamente, per accertamenti di utili, servirà un professionista.
- Fase processuale: depositato il ricorso, l’Agenzia Entrate costituirà in giudizio con controdeduzioni (memoria difensiva dell’Ufficio). Ci potranno poi essere memorie aggiuntive, repliche, ecc. Infine si terrà l’udienza (spesso solo discussione scritta con possibilità di trattazione orale su istanza). La Corte emetterà una sentenza di primo grado. Se questa è sfavorevole, la cooperativa/soci potranno appellare entro 60 giorni alla CGT di secondo grado (ex Commissione Regionale). Attenzione: dopo la sentenza di primo grado, se la cooperativa vince anche solo parzialmente, ha diritto al rimborso di quanto pagato in eccedenza e la sospensione dell’eventuale residuo; se perde, dovrà pagare un ulteriore importo (2/3 residui) per proseguire o chiedere nuova sospensione in appello.
Durante il processo, è fondamentale provare quanto si afferma. Il giudizio tributario è di regola documentale. La prova testimoniale orale è stata per decenni vietata, ma la riforma 2022 ha introdotto una limitata ammissibilità (art. 7, c.5-bis D.Lgs. 546/92, come modificato): il giudice può ammettere testimonianze solo in forma scritta e su fatti specifici, e comunque non per supplire a veri e propri atti mancanti. In pratica, raramente nei nostri casi si avrà testimonianza di soci o terzi. Piuttosto, concentratevi su prove documentali: – Contratti e scritture private: se affermate che certe somme erano finanziamenti soci, mettete agli atti i contratti di finanziamento o le delibere assembleari relative a quei versamenti. – Estratti conto e schede contabili con annotazioni: per ogni versamento contestato, allegare il prospetto che ne spiega la fonte (es. vers. 10/5/2020 €5.000 da socio X, causale “prestito” – allegare evidenza del bonifico con causale). – Perizie o relazioni tecniche: ad esempio, se la coop edilizia è accusata di aver venduto appartamenti in nero, una perizia può stimare che i ricavi dichiarati erano allineati ai costi + margine minimo, a conferma che non c’era lucro occulto. – Delibere sociali: se la coop ha deliberato ristorni ai soci (che per legge se destinati a incremento del capitale sociale non sono imponibili per i soci fino a concorrenza di certi limiti), presentarle per dimostrare che la mutualità si è esplicata correttamente e gli utili non sono andati oltre. – Documenti di spesa: per contestare un disconoscimento di costo, portare i contratti, i report di lavoro svolto, foto, email, qualsiasi cosa dimostri che quel costo è reale e inerente. – Situazione personale dei soci: per la difesa del singolo socio, allegare documenti che provino l’estraneità: ad es. contratto di lavoro altrove, lettera di dimissioni dalla cooperativa per contrasti, ecc.
Una buona idea è predisporre in ricorso (o in memorie) anche tabelle riassuntive che aiutino il giudice a capire i numeri (ad esempio come fatto sopra: tabella comparativa fra ricavi dichiarati e accertati per anno, con le differenze spiegate; oppure una tabella che elenca tutti i movimenti bancari contestati e accanto la giustificazione e il documento di prova per ciascuno).
Giurisprudenza utile da citare
Come parte della strategia, è spesso efficace richiamare nelle difese le sentenze favorevoli su casi analoghi, specie di Corti superiori: – Per esempio, per sostenere che la presunzione di distribuzione non può applicarsi se il socio prova estraneità, citare Cass. 2464/2025 . – Per affermare che l’ampia base sociale di una cooperativa esclude l’automatismo della presunzione, citare magari Cass. 15824/2016 (vincolo familiare come base della presunzione) . – Se la coop è agricola e si discute di mutualità prevalente, citare Cass. 22307/2021 sui requisiti di prevalenza e l’esenzione art. 10 DPR 601/73 . – Se la coop è edilizia e l’ufficio considera tassabile l’assegnazione di alloggio ai soci, citare la Cass. 28069/2024 che ha statuito l’opposto: “Il valore correlato all’assegnazione dell’unità abitativa al socio della cooperativa edilizia a proprietà divisa non va considerato corrispettivo di vendita ai fini dei ricavi” . Quella sentenza chiarisce che l’atto di assegnazione, pur trasferendo la proprietà, non genera di per sé un ricavo tassabile perché rientra nello scambio mutualistico tra coop e socio a prezzo di costo . I giudici di merito talvolta sbagliano su questo (come successo in quel caso, poi corretto in Cassazione ), quindi avere il precedente è decisivo. – Per invocare una linea morbida se l’accusa si basa solo su margini bassi (antieconomicità), citare la recente CGT Campania 3026/5/2025, che ha annullato un accertamento induttivo basato su bassa redditività poiché la difesa ha dimostrato la presenza di altre fonti di reddito per i soci . – In generale, evidenziare se la cooperativa è virtuosa: ad esempio, se negli anni successivi ha aderito alla compliance o ha pagato le imposte per evitare ulteriori problemi, menzionarlo per far emergere la buona fede.
È importante capire che il giudice tributario valuta le prove secondo il principio del “libero convincimento” (ora specificato che deve essere coerente con la normativa tributaria sostanziale ). Nel caso di presunzioni, i giudici sanno che la presunzione di utili ai soci è relativa: se la cooperativa fornisce una spiegazione credibile e supportata, il giudice può disattendere la presunzione. Ad esempio, se si dimostra che l’utile occulto è rimasto investito nell’acquisto di un bene sociale (magari la coop ha costruito un immobile non contabilizzato, ma lo si rintraccia), la presunzione viene meno. O se il socio dimostra che ha avuto zero benefici (estraneità totale), il giudice può escluderlo dalla tassazione.
In caso di esito negativo in primo grado, non scoraggiarsi: spesso le Commissioni di primo grado si allineano alle tesi dell’Ufficio, ma in appello o Cassazione c’è più spazio per far valere la giurisprudenza di legittimità. È noto che la Cassazione ha una visione ultimamente rigorosa verso le evasioni, ma anche attenta a non punire oltre misura i contribuenti dove la legge non lo consente (ad es. su alcune questioni formali e sui diritti del contribuente, la Cassazione può annullare atti viziosi).
Difendersi dalla riscossione e tutela del patrimonio
Dal punto di vista del debitore cooperativa, mentre si combatte nel merito, bisogna anche gestire pragmaticamente gli effetti finanziari: – Se l’importo è alto, valutare se conviene chiedere una rateizzazione all’Agenzia Riscossione per il dovuto in pendenza di giudizio (ad esempio il 1/3 intanto). Pagare a rate non pregiudica il ricorso (non è un’acquiescenza se si continua la causa). – Verificare se la cooperativa può accedere a strumenti come la sospensione ex art. 153 c.p.c. in appello (rischi gravi). – Considerare possibili definizioni agevolate se il legislatore ne offre (nel 2023 c’è stata la “rottamazione-quater” per i carichi affidati, e la “definizione liti pendenti” per le cause in corso: quest’ultima permette di chiudere le liti con sconti sanzioni, pagando solo tributo o percentuale, se ricorrono requisiti. Ad agosto 2025 potrebbero essercene di nuove). – Infine, se malauguratamente la cooperativa va in crisi per il debito fiscale, ricordare che anche nel Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) i debiti tributari possono essere ristrutturati con transazioni fiscali, ecc. Ma questa è un’ultima ratio oltre il nostro scope.
Peculiarità nelle diverse tipologie di cooperative
Le linee difensive esposte valgono in generale per tutte le cooperative, ma vi sono peculiarità specifiche a seconda del settore in cui opera la cooperativa e della normativa speciale ad essa applicabile. Analizziamo alcuni casi particolari, dato che il quesito menziona espressamente cooperative edilizie, agricole, sociali, di produzione e lavoro.
Cooperative di produzione e lavoro
Le cooperative di produzione e lavoro sono formate da soci lavoratori che forniscono la propria attività lavorativa e, insieme, sono proprietari dell’azienda. Queste cooperative spesso operano in settori dell’industria, artigianato, servizi. Dal punto di vista fiscale, se a mutualità prevalente, godono di forte detassazione degli utili (solo il 43% tassabile, vedi tabella sopra). Il modo con cui possono generarsi utili occulti qui è sostanzialmente lo stesso delle SRL: vendite non fatturate, lavori pagati in nero, ecc. Tuttavia, c’è una particolarità: il rapporto di lavoro dei soci. La L. 142/2001 regola il socio lavoratore prevedendo che debba avere un trattamento economico minimo. In alcune situazioni patologiche, le false cooperative di lavoro riducono all’osso i compensi dei soci-lavoratori per accumulare riserve che poi spariscono. Se il Fisco scopre pagamenti extra non dichiarati ai soci lavoratori (magari rimborsi spese artificiosi, oppure compensi fuori busta), potrebbe riqualificarli come utili occulti distribuiti. Dal lato opposto, può contestare costi fittizi per lavoro (ad esempio, se la coop assume fittiziamente manodopera interinale o di altre coop per creare costi e abbattere utili, mentre in realtà è mano d’opera mai resa). In queste ipotesi, oltre alle imposte, entrano in gioco anche contributi previdenziali evasi e sanzioni INPS.
Strategie difensive specifiche: – Dimostrare la mutualità prevalente reale: se l’Agenzia cerca di disconoscere lo status mutualistico (es. perché troppi lavoratori non soci), portare i numeri: la percentuale di ore lavorate dai soci vs non soci, per provare il rispetto di art. 2513 c.c. (50%+ lavoro da soci). Questo per mantenere le agevolazioni su almeno parte del reddito. – Documentare le condizioni di lavoro: se l’Ufficio interpreta erroneamente somme date ai soci come utili, spiegare che magari erano ristorni ai soci-lavoratori calcolati sui risultati d’impresa (i ristorni, deliberati dall’assemblea, non sono tassabili come utili se restano capitale sociale o compensano compensi). – Frodi carosello: talvolta coop di lavoro sono coinvolte in appalti illeciti (es. consorzi di coop usati per fatture di comodo). In caso di contestazioni di fatture false, la difesa consiste nel provare la reale esecuzione delle prestazioni lavorative. Se es. accusano la coop di essere una “cartiera” che forniva fatture ad un consorzio, bisogna dimostrare i cantieri effettivamente serviti, la presenza di operai, turni, ecc., per smentire l’accusa di fictio.
Va citato che il legislatore ha introdotto misure contro le false cooperative (L. 161/2014, ad esempio, ha previsto la possibilità di scioglimento per atto dell’autorità per cooperative che violano norme lavoristiche). Questo esula dal contenzioso tributario, ma se la coop dimostra di essersi adeguata (es. regolarizzando posizioni lavorative), potrebbe ottenerne un favore nel giudizio come elemento di buona condotta.
Cooperative agricole
Le cooperative agricole presentano alcune specificità: – Spesso hanno la qualifica di mutualità prevalente per legge se almeno il 50% dei conferimenti o degli scambi è tra soci . Se perdono questa prevalenza (es. acquistano troppi prodotti da terzi), l’anno dopo vanno in regime ordinario. L’accertamento fiscale potrebbe contestare che la coop non aveva i requisiti di mutualità (ad esempio perché scambi con non soci >50%), e quindi che indebitamente ha goduto di esenzioni. – La normativa fiscale (art. 10 DPR 601/73) prevede per cooperative di conferimento agricolo l’esenzione totale IRES sui redditi da manipolazione, trasformazione e vendita dei prodotti conferiti dai soci . Questa esenzione però non copre i redditi derivanti da prodotti acquistati da terzi o attività extra (che sono tassati). Dunque, un accertamento tipico potrebbe essere: l’Agenzia scopre che la coop ha venduto anche prodotti comprati sul mercato (non conferiti dai soci) e non ha separato i redditi imponibili da quelli esenti, occultandoli magari. La difesa in tal caso consisterà nel dimostrare la corretta separazione delle attività, o che le vendite contestate in nero riguardavano comunque prodotti dei soci (quindi non tassabili, benché non fatturate – comunque resterebbe l’IVA da versare). – IVA in agricoltura: le coop agricole spesso applicano il regime speciale IVA con detrazione forfettaria (aliquote di compensazione). Se l’accertamento concerne vendite in nero di prodotti agricoli, può emergere un problema: la coop potrebbe sostenere che, anche se non fatturati, quei prodotti sarebbero stati soggetti a compensazione forfettaria e non a IVA piena. Questo va dibattuto: in linea di principio, la cessione non fatturata di prodotto agricolo è soggetta comunque a IVA, ma la tipologia di prodotto determina l’aliquota e la detrazione forfait. La difesa punterà a far applicare l’aliquota IVA corretta e l’eventuale forfettizzazione, per ridurre il debito. Ad es. se vendite di ortofrutta in nero: IVA 4% con comp forfait 4%, ergo di fatto non c’era IVA da versare comunque – dunque contestare l’imposta se l’ufficio erroneamente calcolasse 10% o 22%. Citare normative specifiche (DPR 633/72, Tabella A). – Conferimenti dei soci vs acquisti: un aspetto di utili extracontabili può riguardare i prezzi di conferimento. Se la cooperativa paga ai soci conferenti un prezzo minore del mercato per poi rivendere a prezzo pieno, quell’avanzo va a formare utile (che se in nero, è contestato). Ma a volte la coop può ridistribuire ai soci quei margini sotto forma di ristorno o integrazione prezzo a fine anno. Occorre mostrare i meccanismi: se l’utile è stato retrocesso ai soci come sovrapprezzo dei conferimenti (operazione che alcune coop fanno), allora l’utile non è “evaso” ma restituito mutualisticamente (anche se va valutato il trattamento fiscale di tali integrazioni).
Difesa tipica: portare tutta la documentazione di carico/scarico di magazzino agricolo, per mostrare che la differenza tra prodotto acquistato e venduto coincide con quello conferito (nessun “buco” che suggerisca vendite clandestine). Se contestano movimenti finanziari, spiegare che spesso i soci vengono pagati con acconti e saldi su conferimenti e che quei flussi potrebbero essere stati male interpretati dall’ufficio come ricavi di vendite.
La Cassazione nel 2021 (sent. 22307/2021) ha ribadito l’importanza dei requisiti di prevalenza e ha negato esenzione a una coop agricola che svolgeva attività commerciale parallela non giustificata . Dunque, se l’ufficio dimostra quelle attività extra, c’è poco da fare se erano davvero extra-statutarie: in difesa bisognerà eventualmente puntare su vizi formali o su errori di calcolo dell’imponibile.
Cooperative sociali
Le cooperative sociali (L. 381/1991) hanno finalità assistenziali o di inserimento lavorativo di soggetti deboli (tipo A e B). Sono considerate ONLUS di diritto fino al 2017 e ora “imprese sociali di diritto” (D.Lgs. 112/2017). Godono di esenzioni fiscali molto ampie: non pagano IRES sui utili se impiegati per scopi sociali (praticamente tutte sono mutualità prevalente), hanno IVA 5% su molti servizi socio-sanitari, esenzioni IRAP per alcune attività, deduzioni contributive, ecc.
Se l’Agenzia contesta utili extracontabili in una coop sociale, spesso ciò può implicare che la coop abbia sforato i limiti dell’attività istituzionale. Ad esempio, una cooperativa sociale tipo B (inserimento lavorativo) che gestisce appalti di pulizia: se si scopre che ha fatto da interposta per manodopera in modo illecito (sottopagando i soci svantaggiati e intascando differenze), quelle differenze possono essere utili occulti. Oppure, coop sociali tipo A che gestiscono comunità educative: se ricevono contributi pubblici e li usano male, ma questo incide meno sul fisco.
La difesa qui si intreccia con aspetti civilistici: la coop sociale deve reinvestire tutti gli utili nell’attività sociale (divieto di distribuzione). Un utile extracontabile, se provato, è di per sé una violazione grave perché significherebbe che i gestori si sono appropriati di risorse che dovevano essere per finalità mutualistiche o che hanno fatto profitti oltre i limiti. Dal punto di vista penale, può scattare anche l’art. 316-bis c.p. (malversazione di erogazioni pubbliche) se c’erano fondi pubblici.
Quindi, per difendersi: – Mostrare che eventuali “somme extra” non erano proventi commerciali nascosti ma donazioni o liberalità fuori campo imponibile (spesso le coop sociali ricevono offerte, 5×1000, ecc.). – Se contestano costi indeducibili (es. retribuzioni esagerate a dirigenti), cercare di provare che erano a valori di mercato e comunque deliberati secondo statuto (difficile, perché se eccessivi in ONLUS il fisco li può considerare lucro distratto). – Sottolineare il quadro normativo: le coop sociali non possono distribuire utili se non in misura limitata (fino al 3% remunerazione capitale sociale max), quindi sostenere che è inverosimile una distribuzione occulta, perché ciò le esporrebbe a perdere qualifica di ONLUS/impresa sociale. Non è però una prova, solo un argomento equitativo.
Una cosa importante: se per caso la cooperativa sociale perde la qualifica di ONLUS/impresa sociale (ad esempio per violazioni statutarie), tutte le sue agevolazioni decadono anche retroattivamente. L’Agenzia potrebbe, oltre a chiedere imposte sugli utili extracontabili, riliquidare anche le imposte su utili regolarmente dichiarati che però erano esenti da IRES. Ad esempio, una coop sociale beccata a fare utili extra per fini non sociali, può essere trattata come società commerciale per quell’anno, tassando al 24% anche l’utile che altrimenti sarebbe stato 97% esente. La difesa deve quindi provare di mantenere lo status: se l’ente non è stato formalmente disqualificato, l’Agenzia non può arbitrariamente revocare le esenzioni. Solo l’autorità vigilante (Ministero o Regione) può farlo. Questo è un punto da far valere: “La cooperativa risulta iscritta all’Albo imprese sociali e non risulta provvedimento di perdita qualifica, pertanto le agevolazioni tributarie non sono revocabili dall’Ufficio”. Se la contestazione è figlia di un’ispezione ministeriale con esito di irregolarità, allora la strada è più in salita.
Cooperative edilizie (di abitazione)
Le cooperative edilizie hanno lo scopo di procurare ai soci un alloggio, in proprietà divisa (assegnazione individuale dell’immobile) o in proprietà indivisa (uso in godimento, tipicamente cooperative a proprietà indivisa affittano ai soci gli appartamenti). Fiscalmente: – Cooperative edilizie a proprietà indivisa spesso godono di regime fiscale agevolato simile a enti non commerciali se affittano solo ai soci a costi agevolati (spesso non producono utili commerciali). – Cooperative a proprietà divisa operano costruendo immobili e assegnandoli ai soci. Viene stipulato un contratto di assegnazione, di fatto una compravendita dove il socio paga il prezzo di costo convenuto.
Un tema annoso era: questo corrispettivo di assegnazione costituisce un ricavo tassabile per la cooperativa? L’Agenzia sosteneva di sì (equiparandolo alla vendita di un bene, quindi imponibile come ricavo di impresa), mentre le cooperative replicavano che incassare dai soci il costo della costruzione non genera utile (è un realizzo di rimanenze al pari, senza margine). Ebbene, come già anticipato, la Cassazione con ordinanza 28069/2024 ha dato ragione alle cooperative: ha sancito che l’assegnazione della casa al socio è atto di adempimento dello scopo mutualistico, non genera plusvalenza né ricavo imponibile, in quanto l’alloggio è ceduto al costo ed equivale allo scioglimento del vincolo mutualistico col socio . Ha scritto la Corte: “l’assegnazione […] di norma, non può costituire conseguimento di una plusvalenza o di un ricavo, non generando materia imponibile per la società assegnante, in quanto il valore degli alloggi da assegnare ai soci è determinato al ‘costo’ ed il totale dei costi sostenuti […] risulta pari al corrispettivo di assegnazione” . Dunque non c’è utile né imponibile (né IRES né IRAP) se il prezzo coincide con i costi.
Perché questo è importante in tema di utili extracontabili? Perché in passato alcune cooperative edilizie subivano accertamenti in cui il Fisco riteneva che in realtà vendessero a prezzi maggiori del costo e occultassero profitti. Con la pronuncia del 2024, se la cooperativa dimostra che i corrispettivi di assegnazione = costi di costruzione, l’Ufficio non può inventarsi utili. Se invece scoprisse che ai soci sono stati chiesti prezzi maggiori (quindi c’è margine occulto), allora sì quell’eccedenza è utile extracontabile. Tuttavia, di solito i soci di coop edilizie vigilano per pagare il giusto, difficile che la coop faccia profitto occulto sui soci (semmai potrebbe farlo su vendite a terzi estranei, ma in tal caso si è fuori dallo scopo e si entra nel commerciale: es. cooperativa che vende alloggi invenduti sul libero mercato a prezzo pieno e magari occulta parte del corrispettivo).
Difese specifiche per cooperative edilizie: – Se viene contestato un utile sull’assegnazione: presentare tabella costi di costruzione vs prezzo pagato da socio, mostrando che coincide (e citare Cass. 28069/2024) . – IVA nelle assegnazioni: l’assegnazione è soggetta a IVA come una vendita (di solito 4% prima casa). Se la coop non ha fatturato correttamente al socio, il Fisco può chiedere quell’IVA. Difendersi qui è difficile: se non l’hai fatturata, l’imposta è dovuta a meno che la cooperativa non fosse in regime speciale. Talvolta le coop edilizie si avvalgono del regime di autoconsumo (ma è raro). La Cassazione 28069/24 era su imposte dirette, non sull’IVA: attenzione che la non imponibilità riguarda reddito, non significa che l’operazione non fosse cessione ai fini IVA. Quindi la coop potrebbe dover versare l’IVA sulle assegnazioni se non l’ha già fatto, mentre non paga IRES/IRAP sul margine assente. Esempio: coop costruisce case, costo €100k cad., rivende ai soci a €100k: utile zero → niente IRES, ma IVA 4% su €100k va pagata comunque. Se non l’ha fatto, quell’IVA è dovuta come imposta evasa. – Assegnazione a socio vs terzo: se l’Agenzia scopre che Tizio che ha avuto casa non era socio alla data di assegnazione (magari l’ha ceduta subito a un terzo, caso di cooperative edilizie usate a fini speculativi), potrebbe considerare la vendita a terzo come operazione imponibile a valore di mercato. La difesa: mostrare che formalmente l’iter è stato rispettato (Tizio era socio al momento dell’atto, poi receduto, ecc.) e che la cooperativa non ha incassato più del dovuto.
Un altro aspetto: fondi pubblici. Cooperative edilizie a volte ricevono finanziamenti pubblici (es. per edilizia economica popolare). Se emergono irregolarità, il Fisco potrebbe considerare revocati quei fondi e tassare eventuali importi che la coop avrebbe dovuto restituire e non ha (ma questo è borderline, direi trascurabile qui).
In generale, la miglior difesa per una cooperativa edilizia è la trasparenza nei costi: predisporre un rendiconto finale di costruzione da dare ai soci, che si può esibire anche al Fisco, dove si vede che ogni euro versato dai soci è andato in costi di cantiere e spese generali senza residui. Se ciò è chiaro, l’Agenzia difficilmente potrà sostenere l’esistenza di utili occulti (a meno di voler sindacare i costi, ma se questi sono documentati da fatture reali di fornitori, non ci sono costi fittizi).
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa significa esattamente “utili extracontabili”?
R: Si intendono i profitti aziendali non risultanti dalla contabilità ufficiale, ossia redditi conseguiti ma non dichiarati al Fisco. Nel contesto delle cooperative, può trattarsi di ricavi da vendite o servizi effettuati “in nero” senza fattura, oppure di utili ottenuti grazie a costi falsi o gonfiati inseriti in contabilità (che abbassano l’utile ufficiale), oppure di qualsiasi altra forma di entrata non registrata. Sono detti “extracontabili” proprio perché al di fuori delle scritture: il Fisco li ricostruisce mediante presunzioni, indagini bancarie, documenti trovati, ecc. In pratica, se una cooperativa ha in realtà guadagnato 100 ma a bilancio risulta 20, la differenza 80 è utile extracontabile (non contabilizzato). L’Agenzia delle Entrate quando li scopre li tassa come utili evasi, applicando imposte e sanzioni su tale differenza.
D: Come fa l’Agenzia delle Entrate a individuare utili non dichiarati in una cooperativa?
R: Gli strumenti principali sono: – Le verifiche fiscali (ispezioni presso la sede con accesso a documenti, conti, ecc.). – Le indagini finanziarie sui conti correnti: ogni versamento non giustificato è considerato un ricavo occulto . – L’analisi dei bilanci e degli indici: ad esempio utile troppo basso rispetto ai ricavi, perdite sistematiche, margini incoerenti possono far presumere evasione. – Il raffronto con dati di terzi: es. fornitori che hanno dichiarato vendite verso la cooperativa maggiori degli acquisti registrati dalla cooperativa (indice che la cooperativa potrebbe aver comprato di più e venduto di più di quanto dichiarato). – Le presunzioni di legge: alcune norme creano presunzioni a sfavore del contribuente, ad es. i prelevamenti non giustificati sui conti di soci amministratori talvolta (per le imprese) possono indicare compensi occulti, o le percentuali di ricarico (se un dettagliante vende con ricarico troppo basso rispetto al settore, il Fisco può rideterminare i ricavi). – Segnalazioni e soffiate: talvolta soci scontenti o terzi segnalano irregolarità, innescando controlli mirati. In sintesi, l’Agenzia incrocia moltissime informazioni. Nell’era attuale, con la fatturazione elettronica e l’accesso ai dati bancari centralizzato, è diventato più facile per il Fisco scovare incongruenze. Ad esempio, se una cooperativa risulta aver pagato stipendi per 1 milione € e incassato vendite per 1,1 milioni, è strano che abbia solo 0,1 milioni di margine: potrebbe essere segnalata per controllo di economicità. Durante il controllo poi, tramite accesso ai documenti e ai conti, si cercano le prove concrete dell’evasione (movimenti di denaro non registrato, doppie contabilità, etc.).
D: Quali tasse e sanzioni possono essere richieste se vengono accertati utili extracontabili?
R: Come visto, il recupero fiscale riguarda: – IRES sulle maggiori somme (aliquota 24%). Niente agevolazioni sugli importi evasi (vengono tassati per intero). – IRAP (aliquota ~3,9%) sul maggior valore della produzione. – IVA sulle vendite non fatturate (aliquote dipendono dal bene/servizio, es. 22% generico, 4% alimentari prima necessità, 10% altri, ecc.) e/o IVA indetraibile su costi fittizi (da restituire). – Ritenute non operate su utili occulti ai soci (teoricamente andavano operate del 26% se dividendi): in pratica l’Agenzia può richiedere quel 26% come sostituto d’imposta (ma spesso preferisce tassare direttamente il socio in capo al quale attribuisce il reddito). – Sanzioni amministrative: tipicamente 90% dell’imposta evasa per infedele dichiarazione, aumentabile fino a 180% nei casi gravi. Per IVA può arrivare al 100% o 200% dell’imposta a seconda (fatture false 90-180%, omessa fatturazione 90%). – Interessi legali su ogni imposta non versata (attualmente circa 4-5% annuo). – Eventuali sanzioni accessorie: raramente applicate, ma esistono (es. interdizione da appalti pubblici per gravi violazioni tributarie, segnalazioni alla Banca d’Italia se società di credito cooperativo, ecc.).
In cifre, per ogni €100.000 di utili occulti, ci si può aspettare circa €24.000 di IRES, €3.900 di IRAP, magari €22.000 di IVA (se al 22%), totale imposte ~€50.000. Le sanzioni potrebbero essere altrettanto (90% su IRES 24k = 21.6k, su IVA 22k = 19.8k, su IRAP 3.9k = 3.5k, sommate ~45k). Quindi €100k nascosti possono generare €95k tra imposte e sanzioni, oltre interessi. In più, se quei €100k si presumono distribuiti ai soci, ogni socio deve pagare IRPEF personale su quanto ricevuto (aliquote 23-43% + sanzioni 90-180%). Spesso per il socio c’è l’attenuante che pensava alle imposte avesse già pensato la società (ma formalmente non è scusante). Quindi il socio, su €50k ricevuti, potrebbe pagare sui €15-20k tra imposta e sanzione. In totale quindi l’evasione costa molto di più di quanto “risparmiato”.
D: I soci della cooperativa rischiano qualcosa personalmente in caso di utili occulti?
R: Sì, i soci (in particolare quelli di controllo) possono rischiare in due modi: 1. Accertamento fiscale ai soci: come spiegato diffusamente, il Fisco può emettere avvisi di accertamento IRPEF (o IRES se socio è società) a carico dei soci, presumendo che abbiano percepito i dividendi occulti. Quindi il socio deve pagare le imposte sul suo presumibile “incasso in nero” . Questo avviene di solito per i soci delle cooperative a ristretta base, ossia poche persone. Per i soci estranei alla gestione è possibile difendersi (provando che non hanno ricevuto nulla). Ma i soci amministratori sicuramente verranno colpiti. In aggiunta alle imposte, i soci subiscono le stesse sanzioni (90-180%) sul loro omesso reddito, e interessi. 2. Responsabilità penale: se l’evasione è rilevante, scattano denunce penali (che colpiscono gli amministratori o chi firma la dichiarazione, non i soci semplici, salvo questi coincidano). Reati possibili: dichiarazione fraudolenta (se usati artifici), infedele (dichiarato almeno 10% in meno di imponibile con imposta evasa >100k), emissione o utilizzo fatture false, occultamento di documenti contabili, ecc. I soci che hanno solo beneficiato di utili ma non hanno ruoli gestionali in genere non sono imputati, a meno che non emergano come istigatori. Inoltre, per i soci illimitatamente responsabili (non il caso delle cooperative a responsabilità limitata; ma se fosse cooperativa diversa come consorzio privo di personalità, qui non interessa) ci sarebbe un profilo civilistico di obbligazione verso il fisco. Nelle cooperative a r.l., invece, i soci rispondono delle imposte solo in quanto beneficiari di redditi (non per obbligazione sociale).
Quindi, il socio rischia di dover pagare le tasse sull’utile in nero e, se ha contribuito attivamente alla frode, anche sanzioni penali. Non rischia invece, di per sé, il suo patrimonio per i debiti sociali oltre quanto sopra (essendo la cooperativa un ente autonomo).
D: La presunzione di distribuzione degli utili occulti vale per tutte le cooperative, anche grandi?
R: In linea di principio la presunzione di distribuzione si applica solo alle società (anche cooperative) a ristretta base sociale, cioè con pochi soci e legati da vincoli di gestione unitaria . Se una cooperativa ha una compagine ampia, frammentata, con soci estranei tra loro, è molto meno automatico presumere che eventuali utili sottratti siano stati distribuiti. Ad esempio, una cooperativa di consumo con 500 soci non sarà trattata come “ristretta base” – se anche evadesse, probabilmente l’utile rimarrebbe nell’orbita gestionale (o magari appropriazione indebita dei dirigenti, ma quello è altro). Tuttavia, attenzione: contano i fatti, non solo i numeri. Ci sono cooperative anche con decine di soci dove però solo 2-3 persone decidono tutto (magari gli altri sono nominali). La Cassazione ha confermato che la presenza di soci puramente formali non impedisce di considerare la società a ristretta base relativamente ai soci dominanti . Quindi, di fatto, anche in coop grandi, il fisco potrebbe colpire solo il consiglio di amministrazione. In conclusione: – Sì, se la cooperativa è di fatto gestita da un numero ristretto di individui compiacenti tra loro, la presunzione può applicarsi. – No, se la cooperativa è realmente cooperativa con tanti soci attivi e amministrazione trasparente verso la base sociale, difficilmente si applicherà (non c’è la “complicità” tipica che la giurisprudenza richiede ). Va anche detto che più è grande la cooperativa, più è improbabile che generi utili extracontabili rilevanti senza che emergano interne tensioni: quindi realisticamente i casi di presunzione riguardano coop piccole/medie.
D: Come si può evitare la presunzione di utili ai soci, in sede di difesa?
R: Il contribuente (socio) può vincere la presunzione offrendo prova contraria. Le strade sono: – Provare che quegli utili non esistono o che sono rimasti nella società (accantonati). Ad esempio, mostrando che il supposto maggior guadagno è stato reinvestito in un capannone acquistato e presente nel patrimonio sociale (quindi non distribuito). Se ciò è credibile, la presunzione cade . – Provare l’estraneità del socio alla gestione. Se un socio dimostra di non aver partecipato all’attività (es. era un finanziatore passivo), la Cassazione ora gli riconosce lo scudo: non gli si possono imputare utili occulti . Esempio: socio medico di una coop di lavoro edile che non segue i cantieri e sta in ospedale tutto il giorno – probabile accoglimento della sua estraneità. – Contestare la qualifica di ristretta base in generale: se la coop aveva organi di controllo esterni o molti soci che vigilavano, sottolineare questo per dire che non c’era il clima di segretezza tipico. Questo da solo però non basta a vincere (è argomento di contorno). In pratica, l’ideale è presentare elementi oggettivi (documenti, situazioni) che convincano il giudice che quell’utile non è stato spartito. Non esiste una formula magica, dipende dal caso. Nei casi discussi: un socio è riuscito a salvarsi mostrando che lavorava altrove , un altro perché litigava col boss . L’importante è non restare passivi: se non si prova nulla, la presunzione resta e si paga.
D: La cooperativa può mantenere le agevolazioni fiscali (iva, ires ridotta, ecc.) se viene accusata di utili extracontabili?
R: Dipende. L’accertamento di per sé non revoca lo status giuridico di cooperativa a mutualità prevalente o di cooperativa sociale, ecc. Tuttavia: – Se la cooperativa non ha presentato la dichiarazione o ha tenuto contabilità inattendibile, come detto la Cassazione esclude le agevolazioni per quell’anno . – Se la cooperativa, pur con dichiarazione presentata, ha violato i requisiti mutualistici (es. una coop agricola che non ha raggiunto il 50% di conferimenti da soci), l’Ufficio in sede di accertamento può disconoscere le esenzioni riferite a quel periodo su quella parte di reddito. Ad esempio, può ricalcolare l’utile imponibile tassando anche il 70% che normalmente sarebbe esente se risulta che quell’anno la coop non era prevalente. Questo perché la qualifica di prevalenza si verifica anno per anno (art. 2513 c.c. con bilancio). – Se la cooperativa è sociale ONLUS, solo l’ente vigilante può revocare tale qualifica, ma il Fisco se accerta che ha svolto attività commerciale “ulteriore” può tassare quest’ultima. Esempio: coop sociale tipo B che oltre all’inserimento fa anche vendita di beni a terzi: quell’utile extra è tassabile. In generale, se l’accertamento riguarda maggiori ricavi di attività che rientra comunque nello scopo mutualistico, la cooperativa può rivendicare l’applicazione delle stesse agevolazioni anche sul maggior reddito accertato. Ad esempio, coop edilizia prevalente: se emergesse un maggior utile, dovrebbe essere tassato nei limiti previsti per coop (esente al 70% se prevalente, tassato 30%). Ma bisogna vedere: secondo alcune pronunce, l’utile occulto derivante da evasione fiscale perde il diritto all’agevolazione. Cassazione ha affermato che gli utili extracontabili sono equiparati a utili di società di persone, “giustificando così la perdita del beneficio dell’esenzione parziale, che si applica solo agli utili regolarmente dichiarati” . In parole semplici: se è utile lecito dichiarato, coop tassa solo 30%; se è utile nascosto evaso, quando lo becchiamo, lo tassiamo 100% come fosse di SRL trasparente ai soci. Questa posizione però è discutibile per alcuni (viola il principio di uguaglianza e punisce due volte). Ma al 2025 sembra orientamento prevalente: l’evasione fa perdere agevolazione . Quindi realisticamente, no, sugli importi evasi non potrai invocare l’aliquota di favore – pagherai il 24% pieno.
Unica eccezione: se l’evasione è piccola e la coop comunque presenta bilancio che rispetta parametri, forse l’ufficio non contesta lo status generale e quindi applica aliquote ridotte anche al maggior utile. Questo può capitare, ma non contarci: di solito recuperano l’intera imposta.
D: Quali sono le opzioni per risolvere la controversia senza arrivare fino in Cassazione?
R: Abbiamo parlato dell’accertamento con adesione (fase pre-ricorso). Anche dopo aver presentato ricorso, si può cercare un accordo tramite la conciliazione giudiziale: è un istituto che consente, in qualsiasi grado di giudizio, di chiudere la lite con un accordo tra contribuente e ufficio, ratificato dal giudice (D.Lgs. 546/92, art. 48). La conciliazione può essere totale o parziale: – In primo grado spesso si tenta la conciliazione in udienza: l’ente può proporre di ridurre dell’X% le imposte accertate e applicare sanzioni ridotte (40% del minimo se conciliazione in primo grado, 50% se in appello). Se il contribuente accetta, il giudice emette sentenza che recepisce l’accordo. – In appello c’è anche la possibilità di mediazione tributaria (obbligatoria per liti fino a 50k in primo grado, ma per importi alti come questi non si applica). Però volendo, si può sempre conciliare.
Conciliare conviene se durante il processo sono emersi elementi per un compromesso: ad es. l’ufficio si rende conto che su 5 motivi di ricorso 2 sono favorevoli al contribuente e rischia di perdere metà, allora offre conciliazione abbattendo metà imposte. Il contribuente evita rischi ulteriori e accetta. Si paga quanto concordato entro 20 giorni dal verbale di conciliazione (rateizzabile in 8 rate trimestrali se >50k). Le sanzioni ridotte al 40% garantiscono un risparmio.
Un’altra opzione se si arriva a sentenza sfavorevole di primo grado: valutare la definizione agevolata delle liti pendenti. Periodicamente le leggi di bilancio offrono la possibilità di chiudere le controversie in corso pagando una percentuale del valore (ad esempio, nel 2023 c’era la definizione liti: 90% se in primo grado pendente senza sentenza, 40% se contribuente vittorioso in primo grado, etc.). Queste misure non sono strutturali, ma conviene monitorare: se esce una pace fiscale, la cooperativa potrebbe aderire per togliersi il pensiero, pagando magari solo imposta senza sanzioni.
D: Quanto tempo ci vuole per concludere queste dispute?
R: Purtroppo, possono volerci anni. I termini: – 60 giorni per il ricorso in primo grado. – Il processo di primo grado in media dura 1-2 anni (ma può essere veloce, 6-12 mesi in alcune Commissioni). – Appello altri 1-2 anni. – Cassazione, se si arriva, anche 2-3 anni. In totale, non è raro che dal PVC iniziale alla decisione finale passino 5-7 anni. Durante questo tempo maturano interessi sul debito e, salvo sospensive, l’Agente della riscossione può aver già riscosso in parte (1/3 dopo avviso, un altro 1/3 dopo sentenza primo grado se non sospendi, il resto dopo sentenza secondo grado se negativa). Quindi spesso il contribuente paga prima di sapere l’esito definitivo e poi, se vince, deve farsi rimborsare (con interessi). È stressante e richiede liquidità. Ecco perché a volte definire prima (adesione o conciliazione) può essere preferibile: chiudere in 6-12 mesi la questione, magari pagando un po’ di più del minimo teorico, ma evitando anni di incertezza e uscite di cassa frammentate.
D: Come va impostata una memoria difensiva o un ricorso tributario per una cooperativa?
R: In modo sintetico: – Memoria difensiva (fase precontenziosa): va indirizzata all’ufficio che ha redatto il PVC o sta per emettere l’avviso, recante: – Riferimenti al PVC o invito a comparire. – Breve descrizione dell’attività cooperativa e sua peculiarità (far capire all’Ufficio il contesto mutualistico, magari non gli è chiaro). – Per ogni rilievo del PVC, una risposta puntuale: – Rilievo X (es: ricavi non contabilizzati per €…): spiegazione con eventuali allegati (es. documenti che provano trattarsi di finanziamenti soci). – Rilievo Y (costi indeducibili): spiegare l’inerenza di quei costi con allegati (es. fatture, contratti, foto del lavoro svolto). – Rilievo presunzione utili ai soci: contestare evidenziando numero soci e mancanza di vincolo familiare, dichiarare (se vero) che eventuali utili sono stati reinvestiti per scopi sociali (es. costruzione nuova sede). – Richiesta finale: archiviazione del rilievo o rideterminazione del dovuto. – Tono rispettoso ma fermo, allegare copie di documenti citati.
- Ricorso tributario (fase giudiziale): è un atto formale, strutturato come detto prima, tipicamente lungo e denso di riferimenti normativi e giurisprudenziali. Oltre ai motivi, è opportuno:
- Inserire subito dopo i fatti un paragrafo di “Diritto” in cui si sviluppano i motivi richiamando articoli di legge (es. art. 39 DPR 600/73 per limite accertamento induttivo, art. 2729 c.c. per presunzioni, art. 7 c.5bis D.Lgs. 546/92 per valutazione prova, etc.) e sentenze autorevoli .
- Formulare i motivi in modo chiaro: es. “Violazione di legge – art. 2697 c.c. – Erronea applicazione presunzione di distribuzione utili ai soci” e spiegarlo.
- Concludere con formula di rito: “Si chiede dunque, per i motivi esposti, l’annullamento dell’avviso… in via principale; in subordine nella parte relativa all’imputazione ai soci; nonché la condanna alle spese.”
Essendo un contenzioso complesso, si consiglia vivamente di affidarsi a un professionista specializzato in diritto tributario per la redazione del ricorso. Egli saprà calibrare tecnicamente le argomentazioni (ad esempio, se puntare più su vizi procedurali o sul merito, quali sentenze citare, se chiedere CTU contabile per ricostruire i flussi, etc.).
D: Se la cooperativa non è in grado di pagare il debito accertato, cosa può fare?
R: Può: – Chiedere rateazione fino a 72 rate (6 anni) all’Agenzia Riscossione dopo la notifica della cartella esattoriale sul primo 1/3 (importi sotto 120k sono concessi automaticamente fino 6 anni, oltre serve prova difficoltà). Attenzione: la rateazione fa perdere il diritto alla sospensione giudiziale, per legge. – Chiedere sospensione giudiziale immediata come detto, se il pagamento la porterebbe al fallimento o giù di lì, per guadagnare tempo almeno fino alla sentenza di primo grado. – Valutare procedure concorsuali: se il debito è insostenibile e la coop è insolvente, potrebbe accedere a una composizione negoziata o presentare un concordato preventivo includendo il Fisco (che spesso accetta almeno il pagamento di IVA e ritenute integralmente e un parziale su IRES). Ma questo è scenario estremo. – Rinegoziare con l’ufficio: a volte, di fronte a difficoltà, si può trovare un accordo transattivo fuori dalle procedure formali (specie se è cooperativa “politicamente” rilevante, l’Agenzia può essere sensibile, ma raramente).
In caso di inerzia, l’Agente può avviare pignoramenti (conto corrente, crediti verso terzi, immobili). Le coop spesso non hanno immobili (a parte coop edilizie con terreni). Comunque ignorare il problema non conviene: meglio attivarsi per dilazioni o soluzioni.
Conclusione
Difendersi da un accertamento di utili extracontabili in una cooperativa richiede un approccio multidisciplinare: bisogna far valere la specificità giuridica della cooperativa (scopo mutualistico e normative di settore) nel contesto del rigoroso diritto tributario. La giurisprudenza recente offre sia conferme delle pretese erariali (soprattutto sul fronte della presunzione di distribuzione ai soci e della linea dura verso chi evade) sia spiragli difensivi (riconoscimento della buona fede del socio estraneo, necessità di prove concrete oltre la semplice base ristretta, tutela di certe operazioni mutualistiche come l’assegnazione case ai soci non tassabile).
Per un avvocato tributarista, è fondamentale padroneggiare le sentenze chiave e saperle adattare al caso concreto. Per un imprenditore o amministratore di cooperativa, la lezione è che conviene prevenire questi problemi: tenere contabilità in ordine, dichiarare il vero, e se utile occulto c’è stato, valutarne il pentimento operoso (oggi esistono istituti come il ravvedimento operoso che permettono di sanare prima di essere scoperti con sanzioni ridotte). Una cooperativa che opera correttamente e conserva traccia di tutti i propri movimenti avrà molte più armi per difendersi efficacemente qualora accusata ingiustamente.
In ogni caso, di fronte a un avviso di accertamento, non bisogna scoraggiarsi: spesso si può ottenere una riduzione significativa della pretesa mostrando elementi che il Fisco non aveva considerato. Collaborare in fase pre-contenziosa è utile, ma se l’Agenzia risulta inflessibile su aspetti discutibili, allora il ricorso è doveroso. I giudici tributari, specie quelli di appello e la Cassazione, conoscono bene le peculiarità delle cooperative e possono correggere gli eccessi dell’amministrazione finanziaria (come avvenuto nei casi citati).
Questa guida ha fornito un panorama avanzato degli strumenti di difesa, con fonti aggiornate ad agosto 2025 e simulazioni pratiche. Ogni caso concreto poi fa storia a sé: per assistenza puntuale, è opportuno rivolgersi a consulenti specializzati che possano calarsi nei numeri e nei documenti specifici della cooperativa in questione. Sfruttando il punto di vista del debitore in modo proattivo e documentato, è possibile trasformare l’accertamento fiscale da potenziale dramma in una questione gestibile e, auspicabilmente, risolvibile con il minor danno possibile per la cooperativa e i suoi soci.
Fonti normative e giurisprudenziali citate:
– Codice Civile, art. 2511 e segg. (disciplina società cooperative)
– DPR 601/1973, art. 11 e art. 10 (agevolazioni IRES cooperative a mutualità prevalente; esenzione coop agricole)
– L. 904/1977 art. 12 (detassazione utili coop, vedi Cass. 34628/2022)
– Cass., sez. trib., 3/11/2022 n. 32451 (presunzione utili occulti anche in coop a r.l.)
– Cass., sez. trib., 24/11/2022 n. 34628 (coop perde benefici fiscali senza dichiarazione)
– Cass., sez. trib., 13/11/2024 n. 29289 (utili extracontabili presunti distribuiti stesso anno)
– Cass., sez. trib., 9/6/2025 n. 15274 (presunzione anche con soci persone giuridiche; disconoscimento costi = utili a soci)
– Cass., sez. trib., 2/2/2025 n. 2464 (prova contraria: estraneità socio alla gestione)
– Cass., sez. trib., 31/1/2025 n. 2288 (necessità indizi ulteriori oltre base ristretta)
– Cass., sez. trib., 2018 n. 32959 (solidarietà e reciproco controllo in ristrette base)
– Cass., sez. trib., 2024 n. 4861 (conferma orientamento presunzione, Rv. 670408)
– Cass., sez. trib., 2017 n. 27778 (onere prova su soci, perdita contabile irrilevante)
– Cass., sez. trib., 2024 n. 2752 (utili occulti tassati per intero, niente esenzione dividendi)
– CGT II grado Campania, 3/4/2024 n. 3026/5/2025 (antieconomicità smentita da redditi soci)
– Cass., sez. trib., 30/10/2024 n. 28069 (assegnazione alloggi coop edilizia non è ricavo tassabile)
– Cass., sez. trib., 5/8/2021 n. 22307 (requisiti mutualità prevalente coop agricole, esenzione art. 10 DPR 601)
– D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) e Cass. pen. 31/1/2025 n. 4145 (no tenuità per evasione non modesta)
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate sostiene che la tua cooperativa abbia prodotto utili extracontabili non dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Le cooperative godono di un regime fiscale speciale, con particolari agevolazioni, ma sono sottoposte a controlli molto stringenti. Il Fisco può presumere l’esistenza di utili extracontabili quando rileva incongruenze tra scritture contabili, movimentazioni finanziarie e vantaggi attribuiti ai soci. Tuttavia, le presunzioni non sempre bastano: servono prove concrete.
👉 Prima regola: dimostra la correttezza delle scritture contabili e la reale destinazione delle somme ai fini mutualistici.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Scostamenti significativi tra contabilità ufficiale e movimenti bancari;
- Costi indeducibili considerati utili occulti;
- Distribuzione dissimulata di vantaggi ai soci (beni, servizi, rimborsi);
- Margini anomali rispetto a cooperative simili del settore;
- Presunzioni basate su controlli incrociati (fornitori, clienti, INPS, banche).
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte su utili presunti;
- Perdita delle agevolazioni fiscali tipiche delle cooperative;
- Sanzioni per infedele dichiarazione;
- Interessi di mora;
- Rischio di ulteriori verifiche su soci, amministratori e bilanci.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Completezza della contabilità: i registri e i bilanci sono regolari?
- Effettiva natura mutualistica: le somme sono state realmente destinate ai soci secondo lo statuto?
- Prove documentali: esistono contratti, fatture e quietanze che giustificano le operazioni?
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve spiegare in modo dettagliato le ragioni della presunzione;
- Termini di decadenza e regolarità della notifica.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Bilanci d’esercizio e verbali assembleari;
- Registri contabili e scritture ausiliarie;
- Estratti conto bancari e documentazione dei movimenti finanziari;
- Contratti con fornitori e clienti;
- Statuto e regolamenti interni della cooperativa;
- Prove della corretta distribuzione mutualistica dei vantaggi.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la regolarità della contabilità e la destinazione mutualistica delle somme;
- Contestare le presunzioni quando non supportate da prove concrete;
- Eccepire vizi formali: carenza di motivazione, notifica irregolare, decadenza dei termini;
- Chiedere autotutela se l’accertamento si fonda su errori evidenti;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con possibilità di sospendere il recupero;
- Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e trovare una soluzione conciliativa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’accertamento e le presunzioni utilizzate dal Fisco;
📌 Verifica la regolarità dei bilanci e delle scritture contabili;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per dimostrare la natura mutualistica della cooperativa;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione fiscale trasparente delle cooperative.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di cooperative e società contro presunti utili extracontabili;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni del Fisco sugli utili extracontabili delle cooperative non sempre sono fondate: spesso derivano da presunzioni fragili o da interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità della gestione mutualistica, salvaguardare le agevolazioni fiscali e proteggere la tua cooperativa da richieste indebite.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sugli utili extracontabili inizia qui.