Agenzia Delle Entrate Accerta Sotto-valutazioni In Conferimenti: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché il conferimento di beni o rami d’azienda è stato considerato sotto-valutato? In questi casi, l’Ufficio presume che il valore attribuito ai beni trasferiti sia artificiosamente basso per ridurre imposte di registro, ipotecarie, catastali o per ottenere vantaggi fiscali indebiti. La conseguenza è il recupero delle imposte con sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: vi sono strumenti di difesa per dimostrare la legittimità delle valutazioni.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una sotto-valutazione nei conferimenti
– Se il valore dichiarato dei beni conferiti è molto inferiore a quello di mercato
– Se non sono state prodotte perizie o relazioni tecniche a supporto della valutazione
– Se l’operazione comporta effetti fiscali rilevanti in termini di minori imposte dovute
– Se emergono incongruenze tra il valore contabile e quello attribuito in conferimento
– Se la sotto-valutazione è ritenuta strumentale a eludere il fisco o a favorire i soci

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione del valore dei beni conferiti ai fini fiscali
– Recupero delle maggiori imposte su registro, ipotecarie e catastali
– Tassazione aggiuntiva su eventuali plusvalenze non dichiarate
– Applicazione di sanzioni per dichiarazioni infedeli o elusione fiscale
– Interessi di mora sulle somme accertate

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la correttezza delle valutazioni con perizie indipendenti e documentazione tecnica
– Provare che il valore dichiarato rifletteva condizioni oggettive (vetustà, vincoli urbanistici, stato del bene)
– Contestare presunzioni eccessive dell’Agenzia basate solo su valori medi di mercato
– Evidenziare vizi di motivazione o errori procedurali nell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’atto di conferimento e la documentazione di valutazione prodotta
– Verificare la legittimità della contestazione sotto il profilo fiscale e civilistico
– Redigere un ricorso fondato su perizie, dati di mercato e vizi dell’accertamento
– Difendere la società e i soci davanti ai giudici tributari contro richieste indebite
– Tutelare l’operazione societaria da conseguenze fiscali sproporzionate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della legittimità della valutazione adottata
– La sospensione delle richieste di pagamento già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e societario – spiega come difendersi in caso di contestazioni per sotto-valutazioni nei conferimenti e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una sotto-valutazione in un conferimento, si sta insinuando che il valore attribuito a beni o denaro conferiti (ad esempio in una società, in un trust o in altra entità) sia artificiosamente inferiore al reale valore di mercato. In pratica, il Fisco sospetta che il contribuente abbia dichiarato un valore più basso per il conferimento al fine di ottenere un vantaggio fiscale, come ridurre plusvalenze tassabili, evitare imposte indirette (registro, donazione) o in generale pagare meno tasse. Dal punto di vista del contribuente (debitore fiscale potenziale), questa situazione può emergere sia in verifiche fiscali già concluse – con la notifica di un avviso di accertamento – sia nel corso di una verifica ancora in atto.

Le sotto-valutazioni oggetto di contestazione possono riguardare conferimenti in natura (beni immobili, aziende, partecipazioni societarie, crediti, ecc.) oppure conferimenti in denaro (ad es. apporti di liquidità formalmente eseguiti in misura minore di quanto effettivamente trasferito o con valori anomali dichiarati). I casi tipici includono: conferimenti di beni a società di capitali (S.p.A., S.r.l.) a un valore inferiore a quello effettivo; conferimenti di aziende o rami d’azienda da parte di ditte individuali a società neo-costituite con valutazioni conservative; attribuzione di beni a un trust con stima ridotta del loro valore; perfino apporti in società di persone o altri enti con valori dichiarati non allineati al mercato.

Il fenomeno può avere diverse motivazioni. Talvolta è frutto di pianificazione fiscale aggressiva: ad esempio un imprenditore conferisce un immobile valutandolo sotto il mercato nella propria S.r.l. così da minimizzare la plusvalenza imponibile, oppure due soci realizzano un aumento di capitale non proporzionale in cui uno conferisce beni di valore elevato ricevendo poche quote, arricchendo di fatto l’altro socio (donazione indiretta) senza però dichiararla. In altri casi, può dipendere da errori di valutazione o interpretazioni difformi sul valore di beni difficili da stimare (si pensi a un brevetto, o un’opera d’arte).

L’Agenzia delle Entrate dispone di vari strumenti per scoprire queste discrepanze: analisi dei bilanci e delle perizie di stima depositate, confronto con valori OMI o di mercato per immobili, controlli incrociati (ad esempio se subito dopo il conferimento il bene è rivenduto a prezzo ben maggiore), segnalazioni da altri Uffici o Guardia di Finanza, ecc. Quando individua una probabile sotto-valutazione, l’Ufficio può emettere atti impositivi recuperando le imposte supposte evase. Ciò può riguardare imposte dirette (tassazione di plusvalenze non dichiarate sul conferimento), imposte indirette (applicazione dell’imposta di registro o di donazione sul maggior valore non dichiarato), oltre all’irrogazione di sanzioni amministrative. Nei casi più gravi, se la differenza di valore comporta evasione rilevante, può scattare anche l’aspetto penale tributario (come il reato di dichiarazione infedele o frode fiscale) e persino azioni per reati di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte se il conferimento appare volto a rendere i beni non aggredibili dal Fisco.

Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, esamina in dettaglio la normativa italiana rilevante, la giurisprudenza più recente (anche di legittimità) e le strategie difensive a disposizione del contribuente. L’analisi adotta un taglio approfondito ma con linguaggio chiaro, adatto sia a professionisti legali e fiscali (avvocati tributaristi, commercialisti) sia a privati e imprenditori coinvolti in tali vicende, offrendo un approccio pratico dal punto di vista del debitore (il contribuente sotto accertamento). Troverete riferimenti normativi, sentenze aggiornate dalle fonti istituzionali più autorevoli, tabelle riepilogative per chiarire i punti chiave, una sezione di domande e risposte frequenti, esempi pratici di possibili scenari e persino indicazioni su modelli di atti e memorie difensive.

Affronteremo sia i conferimenti in società di capitali (che sono i più frequenti in ambito di accertamenti per sotto-valutazione) sia alcune peculiari fattispecie come il conferimento di beni in trust e il passaggio da ditta individuale a società. Verranno trattati i casi di accertamenti già conclusi (come difendersi in contenzioso) e di verifiche in corso (come gestire il contraddittorio con l’Ufficio), senza tralasciare i possibili profili penali e le interazioni tra procedimento tributario e penale. L’obiettivo è fornire una panoramica completa e aggiornata su “Agenzia delle Entrate accerta sotto-valutazioni in conferimenti: come difendersi”.

(Segue un’analisi dettagliata suddivisa in sezioni tematiche, con riferimenti normativi e giurisprudenziali recentissimi a supporto di ogni argomento trattato.)

Normativa di riferimento: conferimenti, valutazioni e imposte

Per comprendere come difendersi, è fondamentale avere chiari i riferimenti normativi che disciplinano i conferimenti di beni o denaro e il loro valore, nonché le norme fiscali applicabili. In questa sezione esamineremo brevemente: (a) le regole civilistiche sulla valutazione dei conferimenti in società e in trust, (b) il trattamento fiscale dei conferimenti secondo le imposte dirette (redditi) e indirette (registro, donazioni, IVA), e (c) le norme sull’abuso del diritto e sugli accertamenti che l’Agenzia può utilizzare in questi casi.

Valutazione dei conferimenti nel diritto civile (S.p.A., S.r.l., trust)

Conferimenti in società di capitali: Nel diritto societario, i conferimenti rappresentano gli apporti dei soci al capitale sociale. Possono essere in denaro oppure in natura (beni, crediti) e sono regolati principalmente dagli artt. 2342-2343 c.c. per le S.p.A. e dall’art. 2464 e 2465 c.c. per le S.r.l. Per le S.p.A. vige l’obbligo di una relazione giurata di stima da parte di un esperto indipendente nominato dal tribunale (art. 2343 c.c.) quando si conferiscono beni in natura o crediti. Tale perizia serve a certificare che il valore attribuito al bene conferito non eccede il suo valore reale, a tutela dell’integrità del capitale sociale e dei creditori. Importante notare che la stima fissa un valore massimo riconoscibile ai fini del capitale (ed eventuale sovrapprezzo) – infatti è richiesto di attestare che il valore è almeno pari a quello attribuito per la formazione del capitale . Ciò significa che non è necessario valorizzare esattamente al valore di mercato: la legge consente esplicitamente che le parti assegnino al conferimento un valore anche inferiore a quello stimato dall’esperto . In altre parole, l’esperto garantisce un tetto (per evitare sopravvalutazioni dannose), ma non impedisce sotto-valutazioni volontarie, le quali sono lecite civilmente (nessuno vieta ad un socio di “sacrificare” il proprio bene attribuendogli un valore minore, poiché questo non lede la garanzia dei creditori, anzi semmai la rafforza) .

Per esempio, se l’esperto giurato valuta un bene almeno 100, i soci ben potrebbero decidere di imputarlo a capitale per 80: dal punto di vista civilistico ciò è valido (il capitale risulterà coperto da un bene che vale più di 80). Attenzione: una sotto-valutazione eccessiva in sede di conferimento potrebbe generare disparità tra soci (in caso di conferimenti non proporzionali) e potenziali contestazioni in altri ambiti (ad es. donazione indiretta, come vedremo). Ma ai fini della costituzione del capitale sociale, l’ordinamento richiede solo che il valore reale non sia inferiore a quello nominale attribuito. Nelle S.r.l., la disciplina è analoga con alcune semplificazioni: è possibile omettere la perizia preventiva nelle S.r.l. (i conferenti e amministratori rispondono direttamente, art. 2465 c.c.), ma il concetto rimane che il capitale dev’essere effettivamente coperto dal valore dei beni conferiti. Anche nelle S.r.l., dunque, sono possibili in concreto sotto-valutazioni volontarie (purché tutti i soci siano consapevoli e consenzienti).

Conferimenti con sovrapprezzo: Spesso nelle società di capitali il valore del bene conferito eccede il capitale nominale assegnato in cambio; la differenza può essere imputata a riserva da sovrapprezzo (patrimonio netto di capitale senza aumentare il nominale quote/azioni). Questa pratica è lecita e comune. Ai fini legali, la presenza di un sovrapprezzo contabilizza l’intero valore conferito tra capitale nominale e riserva di capitale (sovrapprezzo). Più avanti vedremo che ciò ha rilievo in materia d’imposta di donazione: la Cassazione ha di recente confermato che un’operazione di conferimento in cui sia istituita una congrua riserva da sovrapprezzo non può essere riqualificata come donazione ai fini fiscali, in quanto gli effetti giuridici tipici (aumento di capitale con sovrapprezzo) non lasciano spazio ad altre interpretazioni economiche .

Conferimenti in trust e vincoli di destinazione: Un trust non è una società, ma comporta un trasferimento di beni dal disponente al trustee (o a sé medesimo trustee nel trust autodichiarato) da destinare allo scopo del trust. Civilisticamente, anche qui si può parlare di “conferimento” di beni al fondo in trust. Non esiste una disciplina codicistica specifica per la valutazione di tali conferimenti, sebbene sia buona prassi indicarne il valore negli atti istitutivi per finalità informative e per il calcolo di eventuali imposte. Nel trust autodichiarato (disponente = trustee), formalmente non vi è un trasferimento a un soggetto distinto, ma solo una segregazione patrimoniale. La giurisprudenza ha rimarcato che in simili casi non avviene una attribuzione patrimoniale stabile: il disponente non si è spogliato definitivamente del valore, che resta vincolato per un futuro beneficio ai destinatari .

È importante evidenziare che civilmente una sotto-valutazione nell’atto di conferimento in trust (ad es. dichiarare un valore inferiore di un immobile) non produce invalidità dell’atto – al più potrebbe essere indice di intenti simulatori se c’è malafede. Tuttavia, ciò rileva specialmente in ambito fiscale (dove un valore inferiore dichiarato potrebbe essere contestato come elusione di imposta di donazione o come operazione volta a sfuggire a future pretese dei creditori).

Sintesi normativa civilistica: In generale, non esiste un obbligo generale di conferire i beni al loro “giusto prezzo” dal punto di vista civilistico. Il sistema si preoccupa piuttosto di evitare sopravvalutazioni (che metterebbero a rischio l’integrità del capitale sociale e la par condicio dei creditori sociali). Le sotto-valutazioni sono lecite, fatti salvi i diritti individuali dei soci (che normalmente approvano comunque l’operazione) e dei terzi ove rilevino intenti fraudolenti. Ciò comporta che molte contestazioni nascono in sede fiscale, dove invece il valore normale di mercato spesso è parametro per determinare la base imponibile reale.

Disciplina fiscale dei conferimenti: imposte dirette

Dal punto di vista delle imposte sui redditi, un conferimento di beni può generare plusvalenze tassabili per il soggetto conferente, analogamente a una cessione a titolo oneroso. La disciplina però varia a seconda della natura del conferimento e dei soggetti coinvolti, prevedendo in alcuni casi regimi di neutralità o realizzo controllato:

  • Conferimento di azienda o ramo d’azienda (imprenditore individuale o società conferente): L’operazione è equiparata a una cessione di azienda ai fini delle imposte sui redditi, ma esiste la possibilità di optare per la neutralità fiscale ex art. 176 TUIR (D.P.R. 917/1986). Il regime di neutralità – applicabile quando il conferimento avviene verso una società e come corrispettivo si ricevono azioni o quote della conferitaria – comporta che non si generi plusvalenza imponibile immediata: i beni dell’azienda conferita mantengono il valore fiscale originario (continuità dei valori) e la partecipazione ricevuta assume lo stesso valore fiscale dell’azienda conferita. In tal modo, il conferente non paga imposte sulla plusvalenza al momento del conferimento. Questo regime è automatico se ci sono i requisiti di legge e il contribuente può comunque scegliere il regime ordinario se preferisce (ad esempio per utilizzare perdite fiscali). In assenza di neutralità, il conferimento è tassato: la plusvalenza (differenza tra valore normale dell’azienda e valori fiscali netti dei beni conferiti) va assoggettata ad IRES/IRPEF. In tal caso, la tentazione di dichiarare un valore inferiore è forte, perché una sottostima del valore riduce la plusvalenza e quindi le imposte dovute. Bisogna però ricordare che l’Agenzia delle Entrate, in presenza di rapporti correlati (es. conferente e conferitaria sotto controllo comune o stesso soggetto), può contestare il valore dichiarato applicando il valore di mercato effettivo in base al principio del valore normale o come ipotesi di elusione. La normativa specifica prevede che la neutralità dei conferimenti d’azienda assicuri continuità di valori indipendentemente dai trattamenti contabili adottati , mentre per i conferimenti fuori neutralità si può fare riferimento all’art. 9 TUIR: la plusvalenza o minusvalenza si calcola in base al corrispettivo convenuto. Tuttavia, se il corrispettivo (valore delle partecipazioni ricevute) è anormalmente basso rispetto al valore di mercato dei beni conferiti, l’Ufficio può intervenire.
  • Valore normale e art. 9 TUIR: L’art. 9, comma 2, TUIR definisce il “valore normale” dei beni per diversi fini fiscali. Pur non essendoci una norma che imponga esplicitamente al contribuente di dichiarare il valore normale in caso di cessione o conferimento, l’Amministrazione finanziaria ha facoltà di rettificare il corrispettivo qualora sia infondatamente basso, specie in operazioni tra parti correlate. In passato, prima dell’introduzione della norma generale antiabuso, si faceva ricorso all’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973 (ora abrogato e sostituito dall’art. 10-bis L. 212/2000) per riqualificare ai fini fiscali atti che, pur legittimi civilmente, fossero privi di valide ragioni economiche e determinati essenzialmente da motivi di risparmio d’imposta. Oggi, l’art. 10-bis sul divieto di abuso del diritto si applica anche a tali fattispecie (vedi oltre). In alternativa o in aggiunta, il Fisco può sostenere che l’operazione di conferimento sotto-valutato configuri in parte una donazione indiretta (esente da imposte dirette, ma soggetta a imposte sulle donazioni), e quindi tassare separatamente la componente liberale. Su questo, la Cassazione è recentemente intervenuta (si veda infra, imposte indirette).
  • Va sottolineato che, secondo la Cassazione, l’Amministrazione non può in via generalizzata ricalcolare i valori ai fini Irpef/Ires basandosi solo su valori indicativi (per es. i valori catastali usati per registro) senza prova concreta. Ad esempio, in materia di cessioni d’azienda, è stato affermato che un valore di avviamento derivato da un precedente accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro non vincola automaticamente il valore ai fini delle imposte dirette, ma può essere un indizio da confermare con altri elementi . Tuttavia, quando la sotto-valutazione è macroscopica e tra correlati, spesso l’Agenzia procede motivando l’atto con perizie di stima ufficio o riferimenti a valori correnti di mercato.
  • Conferimento di singoli beni da parte di privati (non imprenditori): Se una persona fisica non imprenditore conferisce (apporta) un bene personale in una società, occorre distinguere la natura del bene. Se è un bene immobile o un bene mobile di cui all’art. 67 TUIR (oggetti d’arte, collezioni, etc.), in genere per i privati le plusvalenze su beni detenuti da lungo termine non sono imponibili (ad esempio la cessione di un immobile dopo 5 anni dall’acquisto non genera plusvalore tassato). Tuttavia, il conferimento non è identico a una vendita: parte della dottrina e giurisprudenza lo assimila a una permuta (bene vs partecipazioni). La plusvalenza andrebbe calcolata come differenza tra il valore delle partecipazioni ricevute e il costo fiscalmente riconosciuto del bene conferito. In linea di principio, se il bene conferito era detenuto in ambito privatistico, potrebbe non emergere tassazione se non c’è una norma specifica (ad esempio conferimento di immobile posseduto >5 anni non dovrebbe generare plusvalenza imponibile, analogamente a una vendita). Occorre però cautela: l’Agenzia potrebbe sostenere che l’operazione sia elusiva se finalizzata ad aggirare la regola (un caso eclatante è l’uso del conferimento seguito da cessione di partecipazioni per evitare l’imposta su plusvalenze immobiliari). Infatti, operazioni combinate come conferire un immobile a una società appena costituita e rivendere subito le quote della società – sfruttando magari il fatto che la cessione di partecipazioni a lungo termine gode di esenzioni o non è tassata per il privato – sono state ritenute potenzialmente abusive. La Cassazione, ad esempio, ha valutato con severità conferimenti di immobili seguiti a stretto giro dalla vendita delle quote, negando benefici come la partecipation exemption (PEX) o riqualificando l’insieme di atti . D’altro canto, non si può affermare automaticamente che ogni conferimento seguito da cessione sia un abuso: la presenza di valide ragioni extra-fiscali (riorganizzazioni societarie genuine) esclude l’abuso . Il discrimine è sottile e dipende dalle circostanze (tempi, soggetti coinvolti, risparmi d’imposta ottenuti).
  • Conferimento di partecipazioni: Se il conferente è una persona fisica che conferisce partecipazioni (quote/azioni) detenute, si possono verificare plusvalenze soggette a regime dei capital gain (26% imposta sostitutiva per partecipazioni non qualificate, o tassazione IRPEF su una percentuale per partecipazioni qualificate, secondo norme previgenti fino al 2018 e poi modificate). Esistono norme specifiche di realizzo controllato (art. 177 TUIR) per scambi di partecipazioni via conferimento: ad esempio, l’art. 177 consente, al ricorrere di certe condizioni (conferimento di partecipazioni di controllo o collegamento), di non applicare il valore normale come corrispettivo bensì di riconoscere un valore fiscalmente pari a quello storico (realizzo “neutrale” o controllato). Questa è una deroga al criterio generale del valore normale di cui all’art. 9 TUIR . In sostanza: se Tizio conferisce a una holding appena costituita le azioni della Alfa S.p.A. di cui ha il 100%, ricevendo azioni della holding, può applicarsi l’art. 177 comma 2 TUIR (scambio di partecipazioni) con realizzo controllato, evitando la tassazione immediata della plusvalenza latente su Alfa. Se invece le condizioni non sono rispettate, il conferimento di partecipazioni è tassato secondo le regole ordinarie sui capital gain. Anche qui, dichiarare un valore inferiore (ad esempio conferire al valore contabile invece che di mercato) ridurrebbe la plusvalenza. L’Amministrazione però può far valere l’art. 9 TUIR (il corrispettivo in natura, ossia le azioni ricevute, va valutato al valore normale delle partecipazioni conferite, a meno che non ricorrano regimi speciali). Da notare: il regime del realizzo controllato è molto tecnico, ma se utilizzato correttamente non dà spazi all’accertamento sulla plusvalenza, poiché per legge la plusvalenza non è imponibile e c’è continuità dei valori. Viceversa, un contribuente che avrebbe potuto rientrare nella norma di favore ma non lo fa, e tenta invece una sotto-valutazione “fai da te”, rischia grosso: l’Ufficio potrà facilmente contestare che quel valore non è congruo.

In sintesi, la normativa sulle imposte dirette offre spesso regimi ad hoc per i conferimenti in ambito aziendale e partecipativo, proprio per evitare che operazioni di riorganizzazione siano penalizzate fiscalmente. Tuttavia, se il contribuente non rientra (o non vuole/pensa di rientrare) in tali regimi e opera sottostime unilaterali, l’Agenzia ha strumenti per recuperare la differenza di imponibile.

Esempio pratico: Alfa è una ditta individuale con un capannone acquistato anni fa a 100 (valore attuale 300). Se Alfa conferisce il capannone nella nuova Beta S.r.l. valutandolo 100 (anziché 300), Beta le assegna quote per 100. Alfa non dichiara alcuna plusvalenza (valore di conferimento = costo storico 100, quindi plusvalenza zero). L’Agenzia scopre che il valore di mercato era 300 e contesta un’operazione elusiva: in sostanza Alfa ha realizzato un arricchimento di 200 non tassato. Fiscalmente può agire in due modi (anche cumulativi): 1. Imposte dirette: imputare ad Alfa una plusvalenza di 200, sostenendo che il corrispettivo del conferimento (quote del valore effettivo 300) era superiore a quanto dichiarato, quindi riqualificare l’operazione in base all’art. 9 TUIR o all’abuso del diritto. In caso di successo, Alfa pagherebbe le imposte su tale plusvalenza latente. 2. Imposta di donazione: considerare che Alfa ha effettuato una liberalità di 200 a favore di Beta (o dei soci di Beta). Alfa infatti ha dato un bene da 300 ricevendo valore 100; la società Beta (e indirettamente eventuali altri soci di Beta) si è arricchita della differenza. L’atto, se riqualificato come “negozio misto con donazione”, sconta imposta di donazione sulla parte gratuita. Su questo meccanismo torneremo a breve.

Disciplina fiscale dei conferimenti: imposte indirette (registro, donazione, IVA)

Oltre alle imposte sui redditi, un conferimento può essere soggetto ad imposte indirette. Le sotto-valutazioni in conferimenti vengono contestate frequentemente proprio in ambito di imposte indirette, specialmente imposta di registro e imposta di donazione, perché dichiarare un valore inferiore può far pagare meno tasse di registro o evitare l’applicazione della donazione.

  • Imposta di registro: I conferimenti di beni in società di regola scontano l’imposta di registro in misura fissa (attualmente 200 euro) se si tratta di conferimenti in società di capitali per formare o aumentare il capitale sociale. Ciò in base all’art. 4 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986 (il Testo Unico dell’imposta di registro) che prevede l’imposta fissa per gli atti di aumento di capitale sociale (ad eccezione di conferimenti di immobili o aziende in cambio di corrispettivo diverso da azioni, ipotesi particolari). Dunque, sorprendentemente, nella maggior parte dei conferimenti in società di capitali non c’è un’imposta di registro proporzionale sul valore. Ad esempio, conferire un immobile in una S.r.l. come capitale sociale non paga il classico 9% di registro sul valore, ma solo 200 euro fissi, purché sia parte di aumento di capitale e il conferente riceva quote (atto societario). Questo regime di favore è uno dei motivi per cui in passato alcune operazioni elusive consistevano nel far transitare beni immobili via conferimento societario per risparmiare imposte (il rovescio era poi la cessione quote soggetta a imposta modesta). Oggi l’art. 20 DPR 131/86 – dopo la modifica del 2018 – impedisce all’Amministrazione di riqualificare un insieme di atti in base alla causa economica prevalente, dovendo invece attenersi alla forma giuridica dichiarata. Quindi, se c’è un conferimento in società (atto societario soggetto a imposta fissa) seguito da cessione di quote (atto esente da registro), l’Ufficio non può sommare i due atti e tassarli come cessione di immobile (come invece talvolta tentava in passato) perché ciò contrasterebbe con l’art. 20 che impone di considerare gli effetti giuridici dell’atto e non operazioni “economicisticamente” connesse. Cassazione a Sezioni Unite (sent. 227/2018) e vari interventi normativi hanno cristallizzato questo principio.
  • Sottovalutazione e registro: Se il conferimento di per sé paga imposta fissa, dichiarare un valore minore non incide sul registro (che è fisso comunque). Tuttavia, può incidere su altre imposte (donazione, ipocatastali) e potrebbe essere indice di un disegno elusivo. Un caso a parte: conferimenti di immobili o aziende in trust, o atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c., dove l’imposta di registro può essere proporzionale. Es: se Tizio conferisce un immobile in un trust, l’atto sconta registro proporzionale come trasferimento di immobile (a meno di inquadrarlo diversamente). In tali ipotesi, l’Ufficio può contestare il valore dichiarato come troppo basso e liquidare maggiore imposta di registro (usando le ordinarie potestà di accertamento di valore). Per gli immobili, l’Agenzia dispone di banche dati, valori OMI, prezzi di mercato e perizia proprie per dimostrare che il valore reale era più alto. Il contribuente dovrà difendersi mostrando che il prezzo dichiarato era effettivo (se c’era un corrispettivo in denaro) oppure che la stima era corretta (se conferimento a titolo gratuito). Nota: per gli immobili tra privati vige l’opzione “prezzo-valore” (calcolo imposta su rendita catastale capitalizzata indipendentemente dal prezzo), ma questa si applica a compravendite di abitazioni prima casa tra privati, non ai conferimenti in società o trust, dove invece conta il valore venale.
  • Imposta sulle donazioni: Qui sta uno snodo cruciale. Una sotto-valutazione in un conferimento spesso implica che una parte del trasferimento patrimoniale è avvenuta a titolo gratuito. Se Tizio conferisce un bene del valore 100 e riceve partecipazioni per 60, la differenza di 40 è, economicamente, un arricchimento di altri soggetti senza corrispettivo. Occorre capire chi è il beneficiario di questa liberalità indiretta: può essere la società conferitaria stessa (che si trova un bene che vale più di quanto emesso in capitale) e/o i soci preesistenti di tale società (che vedono crescere il valore complessivo della società senza investire). Secondo la prospettiva adottata dall’Agenzia delle Entrate in vari casi, l’operazione andrebbe “spacchettata” in: una parte onerosa (conferimento per cui Tizio riceve partecipazioni pari a 60) e una parte gratuita (donazione di valore 40). Il soggetto donatario, secondo questa visione, sarebbe colui che riceve l’arricchimento senza pagare: tipicamente la società (e, indirettamente, i soci già presenti in essa, poiché il capitale economico che sta dietro alle loro quote aumenta). La Cassazione in passato ha avuto oscillazioni: a volte ha ritenuto che la donazione indiretta fosse inopponibile socialmente (ma questo è un tema civilistico), altre volte, in ambito fiscale, ha ammesso la tassazione della liberalità indiretta risultante da un conferimento disomogeneo.
  • Norma sulla qualificazione mista degli atti: L’art. 1, comma 4-bis del D.Lgs. 346/1990 (Testo Unico Successioni e Donazioni – TUS) stabilisce che se un atto contiene disposizioni sia a titolo oneroso sia a titolo gratuito, l’imposta di donazione si applica alle attribuzioni a titolo gratuito in esso contenute, mentre quelle onerose scontano imposta di registro (o IVA) come di norma. Questo consente appunto di tassare la parte “donativa” di un atto misto. L’Agenzia, basandosi su ciò, ha più volte sostenuto che un conferimento sotto valore è un atto misto: c’è una componente onerosa (le partecipazioni date come corrispettivo fino a tot valore) e una componente gratuita (l’eccedenza di valore conferito non “pagato”). Quindi ha emesso avvisi di liquidazione dell’imposta di donazione sulla parte gratuita.
  • Evoluzione giurisprudenziale recente: La diatriba si è risolta a favore dei contribuenti con una pronuncia molto recente. La Cassazione, sentenza n. 17991 del 2 luglio 2025, ha chiarito che non è consentito al Fisco riqualificare l’operazione basandosi su elementi economici estranei all’atto, ribadendo il principio della prevalenza della forma giuridica sugli elementi extra-testuali . In quella vicenda, vi era un conferimento di rami d’azienda in una società con aumento di capitale, dove ai conferenti furono assegnate partecipazioni di valore nominale inferiore al valore effettivo dei beni (ma fu creata una riserva da sovrapprezzo a bilancio per colmare la differenza). L’Agenzia aveva qualificato l’operazione come “negozio misto con donazione” tassando la presunta liberalità a favore dei soci preesistenti. Ebbene, la Cassazione ha annullato tale interpretazione, richiamando l’art. 20 DPR 131/1986: per registro (e donazione) conta ciò che l’atto giuridico produce come effetti formali, non la sostanza economica che si vorrebbe leggere in controluce . In quell’atto, formalmente, c’era un conferimento con aumento di capitale e costituzione di sovrapprezzo – operazione tipica disciplinata dal codice civile – senza alcuna donazione espressa. L’arricchimento eventualmente derivato andava a una riserva societaria, non a un altro soggetto identificabile come donatario. Dunque l’imposta di donazione non era applicabile. Questa sentenza autorevole rafforza la tutela per i contribuenti: di fatto impedisce all’Agenzia di tassare come donazione una sotto-valutazione se l’atto è strutturato correttamente secondo gli schemi societari (capitale + sovrapprezzo, ecc.).
  • Va notato: la sentenza 17991/2025 si inserisce in un filone inaugurato da una modifica normativa del 2019 all’art. 20 del DPR 131/86, che come detto vincola all’interpretazione formale. Nel solco di tale norma, anche la Corte Costituzionale con sent. 158/2020 ha avallato l’idea che l’imposta di donazione colpisce manifestazioni concrete di capacità economica e non costruzioni teoriche di arricchimento. Altre pronunce (Cass. n. 13133/2016, n. 32823/2018, etc.) avevano già escluso l’imposta di donazione su operazioni prive di animus donandi effettivo e di arricchimento stabile.
  • In pratica: se un conferimento sotto-valutato avviene con modalità che non prevedono espressamente una donazione, oggi il contribuente può ragionevolmente sostenere, in caso di accertamento, che l’imposta di donazione non è dovuta, perché l’atto non contiene una liberalità tipica e l’arricchimento di altri è solo riflesso e non oggetto di una disposizione negoziale.
  • Esempio: Caio ha il 100% di Delta S.r.l. e vuole far entrare l’amico Sempronio cedendogli di fatto una parte dell’azienda, ma facendo risultare un conferimento: Sempronio conferisce un immobile del valore reale 500 in Delta, ottenendo il 50% delle quote che formalmente valgono 250. Non viene menzionato alcun sovrapprezzo, e quindi a bilancio Delta registra l’immobile a 500, capitale aumentato di 250 e magari una riserva di sovrapprezzo di 250 (oppure rivalutazione implicita dei beni preesistenti di Caio). L’Agenzia vede che Sempronio ha “regalato” 250 di valore in più di quanto ricevuto come quote, e vorrebbe tassare Caio (socio preesistente) per una donazione indiretta di 250 ricevuta. Dopo Cass. 17991/2025, un’operazione del genere – se effettivamente formalizzata con aumento di capitale a pagamento con sovrapprezzo – non può essere riqualificata: Caio non ha ricevuto nulla direttamente; la società ha incamerato il bene in cambio di capitale+riserva. Non c’è atto di liberalità verso Caio. Dunque, niente imposta di donazione. (Resta però aperta la questione plusvalenza per Sempronio o eventuale abuso, che valuteremo).
  • Imposte ipotecarie e catastali: In caso di conferimento di immobili, si pagano le imposte ipotecarie e catastali. Se l’atto di conferimento è soggetto a imposta di registro fissa come atto societario, le imposte ipo-catastali dovrebbero essere in misura fissa (euro 200 cad.) anch’esse, in quanto spesso assimilate agli aumenti di capitale esenti. Nel caso di trust, la Cassazione (sent. 7003/2020) ha affermato che il conferimento di immobili in trust sconta le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, non proporzionale , aderendo alla tesi che non si ha trasferimento definitivo. Dunque, in un conferimento sotto-valore, l’eventuale pretesa potrebbe semmai riguardare il ripristino di imposte proporzionali se il Fisco disconoscesse la natura societaria o di mera segregazione dell’atto. Nella pratica attuale, però, dopo gli orientamenti recenti, imposte ipocatastali fisse sono la regola in trust e conferimenti societari (salvo eccezioni normative).
  • IVA: I conferimenti di beni in società sono generalmente fuori campo IVA. La cessione di beni dietro assegnazione di partecipazioni non è considerata cessione di beni ai fini IVA (art. 2, DPR 633/1972 esclude i conferimenti da IVA in varie ipotesi). Dunque raramente sorgerà una questione di sotto-valutazione ai fini IVA. Tuttavia, attenzione: se il conferimento avviene verso un soggetto estero o configura in realtà una prestazione, l’Agenzia potrebbe tentare di riqualificare l’operazione come cessione imponibile IVA se ciò comporta un carico fiscale (ma questo sarebbe contraddittorio perché il conferimento stesso non produce corrispettivo in denaro). Nella stragrande maggioranza dei casi, non c’è un accertamento IVA sulla sotto-valutazione di conferimenti, perché o l’operazione è esclusa da IVA, oppure se soggettivamente rilevante viene considerata valore normale comunque. Dunque ci focalizzeremo su imposte dirette e indirette come registro/donazione.
  • Trust e imposta di donazione (e successione): Merita un approfondimento specifico. Negli ultimi anni c’è stato un acceso dibattito se l’atto di dotazione di beni in un trust configuri immediatamente un presupposto di imposta di donazione. L’Agenzia delle Entrate inizialmente sosteneva di sì (tassazione upfront), ma la Cassazione ha costantemente smentito questa impostazione, affermando che manca una attribuzione patrimoniale stabile e quindi l’imposta si applicherà solo al momento dell’eventuale trasferimento finale ai beneficiari . Sentenze come Cass. 8082/2020 , Cass. 19167/2019, Cass. 21614/2018 e molte altre hanno chiarito che la segregazione in trust è un atto fiscalmente neutro (registro e ipocatastali fissi; niente donazione) finché i beni non escono dal trust verso un beneficiario con arricchimento definitivo. La stessa Agenzia delle Entrate, preso atto di ciò, ha modificato la propria prassi con Circolare 34/E 2022, ammettendo la tassazione in uscita. Nel 2023 il legislatore ha inserito queste indicazioni in una norma: la Delega fiscale 2023 (L. 111/2023) ha portato all’emanazione del D.Lgs. 139/2024 che introduce l’art. 4-bis nel TUS dedicato a “Trust e altri vincoli di destinazione” . Tale norma (che a luglio 2025 è di freschissima introduzione) conferma che i vincoli di destinazione e i trust rilevano ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni solo al momento dell’attribuzione finale dei beni ai beneficiari, salvo la facoltà per il disponente di optare per la tassazione immediata sui beneficiari individuati (utile per sfruttare franchigie attuali). Di conseguenza, in un conferimento di beni in trust sottostimato, l’Agenzia oggi non emetterà più un avviso di liquidazione per imposta di donazione immediata (come invece faceva anni fa), ma potrà semmai contestare l’operazione come abuso del diritto se ravvisa che il trust è usato allo scopo di evitare imposte (ad esempio donazione o futura successione) senza reale scopo meritevole.
  • In pratica, le sotto-valutazioni in trust potrebbero emergere se l’Agenzia sostiene che il trust sia fittizio o interposto e che in realtà vi sia stata una donazione dissimulata. Ad esempio, se conferisco beni in un trust estero di dubbia sostanza a favore dei miei figli e dichiaro valori bassi, il Fisco potrebbe contestare (una volta scoperto) che era una donazione indiretta immediata ai figli travestita da trust: potrebbe allora disconoscere il trust e riqualificare il tutto come donazione autentica, pretendendo l’imposta (4% ecc. a seconda del grado di parentela) sul valore pieno. Ma per farlo dovrà dimostrare l’abuso o la simulazione. Non potrà più limitarsi a dire “il trust paga donazione perché c’è un vincolo”. Servirà provare che il trust è inesistente dal punto di vista fiscale (es. disponente ancora nel pieno possesso, beneficiari già individuati e in controllo, etc.) .

Riassumendo le imposte indirette: grazie agli sviluppi normativi e giurisprudenziali recenti, la posizione del contribuente si è rafforzata. Le sotto-valutazioni nei conferimenti difficilmente potranno essere sanzionate con imposta di donazione se l’operazione è stata costruita formalmente in modo corretto e tipico. Resta però il terreno delle imposte sui redditi e dell’abuso del diritto, dove invece il Fisco ha ancora spazio per intervenire, non vincolato dal formalismo dell’art. 20 DPR 131/86.

Di seguito, una tabella riepiloga i diversi tipi di conferimento e le possibili pretese fiscali connesse, evidenziando la normativa applicabile e l’approccio difensivo generale:

Tabella 1: Tipologie di conferimento, imposte coinvolte e note fiscali

Tipologia di conferimentoImposte potenzialmente coinvolteNorme/Principi chiaveOsservazioni difensive
Conferimento di azienda/ramo (imprenditore o società)– Plusvalenza da conferimento (IRES/IRPEF) se fuori neutralità.<br>– Registro fisso €200 (atto societario) se in società di capitali.<br>– NO donazione se atto tipico (Cass. 17991/2025) .<br>– IVA non applicabile (cessione di azienda esclusa da IVA).Art. 176 TUIR (neutralità conferimenti d’azienda);<br>Art. 20 DPR 131/86 (interpretazione atti);<br>Art. 10-bis L.212/2000 (abuso del diritto).Difesa plusvalenza: dimostrare che il valore adottato era giustificato (es. passività incluse, condizioni particolari) o rientrava in regimi di continuità.<br>Difesa donazione: invocare forma giuridica dell’atto (aumento capitale) e assenza di animus donandi .<br>Abuso: evidenziare ragioni economiche sostanziali del conferimento (es. riorganizzazione non finalizzata solo a risparmio imposte).
Conferimento di bene singolo (es. immobile) in società di capitali– Plusvalenza IRPEF se bene ceduto da privato <5 anni (o sempre tassabile se bene di impresa). Se bene non producente plusvalenza per legge (immobile >5 anni) → nessuna imposta diretta, ma rischio contestazione abuso se combinato con cessione quote.<br>– Registro fisso €200 (atto societario) per capitale sociale. Imposte ipotecarie-catastali fisse €200+€200 se in società di capitali.<br>– Donazione: in teoria possibile su valore eccedente capitale, ma Cass. 17991/2025 esclude tassazione se atto regolare con sovrapprezzo .<br>– IVA: escluso (conferimento fuori campo).Art. 67 TUIR (plusvalenze private immobili entro 5 anni);<br>Art. 9 TUIR (valore normale);<br>Art. 20 DPR 131/86; D.Lgs 346/90 art. 1 co.4-bis (atti misti).<br>Art. 10-bis L.212/2000 (abuso).Difesa plusvalenza: se privato, sottolineare non imponibilità per decorso termine; se imprenditore, giustificare valutazione (es. perizia) e contestare metodi alternativi del Fisco.<br>Difesa abuso: dimostrare che non era finalizzato a rivendere esentasse ma aveva altro scopo (es. apportare immobile in società per ottenere finanziamenti, etc.), tempistiche lunghe prima di eventuale cessione.<br>Difesa donazione: ribadire che la società non è “terzo donatario” ma parte di un’operazione unitaria, nessun arricchimento extra-atto tassabile .
Conferimento di partecipazioni (quote societarie)– Plusvalenza per il conferente (persona fisica o società) su differenza valore partecipazioni conferite vs valore fiscale: soggetta a imposta sostitutiva (privati) o IRES (società). Possibile regime di realizzo controllato (art. 177 TUIR) se requisiti, che evita tassazione immediata.<br>– Registro €200 (atto societario).<br>– Donazione: se conferimento sproporzionato può ipotizzarsi liberalità indiretta a soci preesistenti, ma stessi principi limitativi (forma vs sostanza).<br>– IVA: no (cessione partecipazioni esente IVA per legge).Art. 177 TUIR (conferimenti partecipazioni di controllo/collegamento: realizzo controllato, niente valore normale) ;<br>Art. 9 TUIR (valore normale in altri casi);<br>Art. 20 DPR 131/86.Difesa plusvalenza: se l’Agenzia contesta valore normale, presentare perizie di stima delle partecipazioni (valutazione aziendale) a supporto del valore dichiarato; evidenziare se il conferimento rientrava in art. 177 (allora l’ufficio sbaglia a tassare).<br>Difesa donazione: se aumento di capitale, richiamare Cass. 17991/2025; se coinvolte persone fisiche (es. conferimento a favore di parenti), sostenere eventualmente che non vi era animus donandi ma ragioni familiari/organizzative (argomentazione da usare con cautela).
Conferimento in trust (beni immobili, partecipazioni, liquidità, ecc.)– Imposta donazione: non applicabile al conferimento iniziale se trust valido, salvo opzione contraria; tassazione rimandata all’assegnazione finale . Se Fisco considera il trust fittizio/interposto, può ignorarlo e tassare come donazione/successione diretta.<br>– Registro: atti istitutivi e dotazione trust soggetti a registro fisso €200 (qualificati come atti di trasferimento con vincolo); eventuali conferimenti di immobili: registro proporzionale se considerati trasferimenti a effetti reali (ma Cass. e prassi li vedono come segregazioni neutre → registro fisso). <br>– Ipotecaria-catastale: fisse €200+€200 (Cass. 7003/2020 conferma) .<br>– IVA: non applicabile (atto fuori campo, non è prestazione di servizi né cessione consumo finale).<br>– Profilo elusione: alto rischio contestazione abuso (art. 10-bis) se trust istituito per eludere creditori o fisco.Art. 2, DL 262/2006 conv. L.286/2006 (reintroduzione imp. donazione, assoggettamento vincoli di destinazione);<br>Art. 53-bis D.Lgs. 346/90 (come modificato da D.Lgs 139/2024, art. 4-bis TUS: tassazione posticipata);<br>Circolare AE 34/E 2022 (trust tassazione in uscita);<br>Art. 20 DPR 131/86; Art. 10-bis L.212/2000 (abuso); Art. 13 DLgs 74/2000 (reati tributari pagamento).Difesa principale: dimostrare la genuinità del trust, ossia che non è un mero schermo per sottrarre beni al Fisco o per fare donazioni occulte, ma ha scopi leciti (protezione familiare, pianificazione successoria) . In caso di accertamento, evidenziare che al momento del conferimento in trust non c’è arricchimento di terzi determinato (beneficiari eventuali) , quindi l’imposta di donazione anticipata non è dovuta, in linea con Cassazione e nuova normativa. <br>Se l’Agenzia accusa abuso: documentare le ragioni concrete (es. trust costituito prima di debiti noti, gestione per figli disabili, ecc.) per escludere il vantaggio fiscale indebito. <br>Nel contenzioso, citare giurisprudenza favorevole (Cass. 8082/2020, 2334/2024, CTR Lombardia 107/2023) che riconosce la neutralità fiscale dell’atto istitutivo di trust .

(Legenda: TUIR = D.P.R. 917/1986 Testo Unico Imposte sui Redditi; TUS = D.Lgs. 346/1990 Testo Unico Successioni e Donazioni; DPR 131/86 = Testo Unico Registro; AE = Agenzia Entrate; PEX = Participation Exemption.)

Accertamento e contestazione: poteri dell’Agenzia delle Entrate

Come agisce l’Agenzia delle Entrate quando sospetta una sotto-valutazione in un conferimento? E quali sono i suoi limiti? Comprendere il modus operandi del Fisco consente di orientare meglio la difesa.

Fonti informative e collaborazione tra uffici: L’Amministrazione finanziaria può venire a conoscenza della sotto-valutazione da molteplici fonti. Spesso l’innesco è un controllo formale sugli atti registrati (es. un aumento di capitale con conferimento viene segnalato all’ufficio), oppure una verifica fiscale più ampia in azienda che ingloba anche la ricostruzione di operazioni straordinarie passate. Gli Uffici possono anche scambiarsi informazioni: la Cassazione ha chiarito che è legittimo integrare un accertamento con elementi nuovi appresi da un diverso ufficio fiscale (grazie anche all’interconnessione delle banche dati) . Ad esempio, l’ufficio del registro immobiliare può far pervenire al settore imposte dirette l’informazione che un dato immobile conferito valeva in realtà X; oppure, se in sede di registro è stato fatto un accertamento di valore su un conferimento immobiliare (ai fini dell’imposta ipocatastale per dire), quell’esito può essere comunicato all’ufficio reddituale per verificare la plusvalenza. La sentenza Cass. 10226/2024 ha confermato che l’art. 43, co.3, DPR 600/73 consente notifiche di avvisi integrativi basati su elementi sopravvenuti noti ad altri uffici, anche dopo l’accertamento originario . Ciò significa che il contribuente potrebbe vedersi recapitare un secondo avviso di accertamento con pretesa aumentata se, ad esempio, un altro ufficio scopre successivamente nuovi fatti (nei limiti dei termini decadenziali, ovviamente).

Ispezioni, indagini finanziarie e perizie: Nel corso di una verifica, specialmente se condotta dalla Guardia di Finanza, possono essere acquisiti documenti utili: la perizia di stima redatta dal conferente (se esiste oltre a quella giurata), le scritture contabili della società (che mostrano come è stato contabilizzato il bene conferito), eventuali perizie assicurative o valutazioni interne sul medesimo bene, documentazione bancaria su flussi finanziari legati all’operazione (ad es. se c’è stato passaggio di denaro, anche parziale). Le indagini finanziarie potrebbero rivelare che il conferente ha ricevuto in realtà altro denaro “fuori atto” a conguaglio (il che addirittura configurerebbe un pagamento occulto e quindi contraddirebbe la tesi di sotto-valutazione, prospettando piuttosto un nero non dichiarato). Se invece non emerge nulla, l’attenzione si focalizzerà sul valore di mercato: il Fisco può disporre di propri tecnici (ad es. ingegneri dell’Agenzia del Territorio per valutare immobili, o esperti stimatori per aziende e partecipazioni). Spesso l’atto impugnato dal contribuente contiene allegata una Relazione tecnica di valutazione commissionata dall’Ufficio, che contesta punto per punto le assunzioni della perizia di parte e stima il bene conferito al valore pieno di mercato.

Profili temporali – decadenza accertamento: I termini ordinari per accertare imposte sui redditi sono il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ad esempio, conferimento fatto nel 2020 dichiarato nel redditi 2021 → accertabile fino al 31/12/2026). Per le imposte di registro/donazione il termine è, in assenza di registrazione fraudolenta, 2 anni oltre il quarto anno successivo alla registrazione (quindi praticamente 5 anni dall’anno dopo la registrazione, similmente). Se però vi è un’ipotesi di reato tributario, scatta il cosiddetto raddoppio dei termini: 5 anni diventano 7 per le imposte sui redditi (art. 43 DPR 600/73) e analogamente per il registro. Il raddoppio opera se c’è obbligo di denuncia penale a carico del funzionario accertatore (es. constata un’evasione sopra soglie penali). Nel contesto di sotto-valutazioni, se il recupero a tassazione della plusvalenza evasa porta imposta evasa > soglia penalmente rilevante (vedi sezione penale), l’Ufficio spesso invia la notizia di reato e beneficia dei termini ampliati. È importante sapere che il raddoppio dei termini non dipende dall’esito penale finale (anche se il contribuente fosse poi assolto, il termine lungo resta valido se la denuncia era legittimamente presentata). Un aspetto formale di difesa: la Cassazione ha richiesto che negli avvisi di accertamento l’Ufficio motivasse l’applicazione del raddoppio, indicando il fatto che ha dato luogo alla denuncia . Se tale indicazione mancasse, il contribuente può eccepire la decadenza dell’azione impositiva ove l’atto sia stato notificato oltre i termini ordinari (5 anni). Questa è una linea difensiva procedurale da considerare sempre: controllare data del conferimento, anno d’imposta interessato e data notifica avviso, per verificare se l’accertamento è stato tempestivo; se fuori termine ordinario, controllare se l’Ufficio ha motivato il raddoppio e se esso è applicabile.

Contestazioni tipiche formulate dall’Ufficio: Esaminiamo ora quali rilievi concreti l’Agenzia può muovere nell’accertamento:

  • Recupero plusvalenza non dichiarata (Irpef/Ires): L’atto impositivo potrebbe addebitare al conferente un maggior reddito da plusvalenza. Esempio, nel Quadro Rl del modello Unico della società conferente o nel Quadro RM del privato, viene imputata plusvalenza di €X non dichiarata, con relativa maggiore imposta dovuta. La motivazione sarà che “il valore normale del bene conferito è determinato in €Y, a fronte di un corrispettivo dichiarato di €Z, da cui scaturisce una plusvalenza non dichiarata pari a Y – costo fiscalmente riconosciuto”. Qui l’Agenzia cita in genere l’art. 9 TUIR sul valore normale e/o l’art. 37-bis (per atti precedenti al 2015) o 10-bis L.212/2000 (per atti successivi) sull’abuso del diritto, sostenendo che l’operazione era priva di valide ragioni economiche e ha indebitamente evitato tassazione. Se ricorre, viene menzionato anche l’art. 176 c.2 TUIR: ad esempio se il conferimento era di azienda e l’Ufficio nega la neutralità perché la plusvalenza è stata “realizzata” in un contesto elusivo (ci sono stati casi in cui l’Amministrazione ha provato a disapplicare la neutralità sostenendo l’abuso, specialmente se immediatamente dopo il conferimento l’azienda veniva venduta fuori).
  • Applicazione imposta di donazione su liberalità indiretta: L’avviso di liquidazione (atto tipico per registro/donazione) contesterebbe che dall’atto di conferimento emerge un trasferimento gratuito di valore. Tipicamente individua il “donante” e il “donatario” e calcola l’imposta (aliquota e franchigia in base al rapporto di parentela). Esempio: “Tizio, conferendo il bene Alfa del valore €100.000 in Beta Srl a fronte di partecipazioni del valore €60.000, ha effettuato una liberalità indiretta di €40.000 a favore dei soci preesistenti di Beta Srl (donatari). Pertanto si applica l’imposta di donazione (aliquota X%) su €40.000, oltre imposta ipotecaria 2% e catastale 1% su tale valore per la quota immobiliare eventualmente compresa…”. Con Cass. 17991/2025 in mano, una tale motivazione può essere ribaltata sostenendo l’illegittimità, ma è l’iter tipico di questi atti. Spesso l’Ufficio cita l’art. 1 co.4-bis del TUS e magari precedenti Cassazione (ormai superati) che avallavano la tassazione delle donazioni indirette risultanti da atti a titolo oneroso. Va prestata attenzione a chi è destinatario dell’atto: a volte notificano l’avviso al socio preesistente (ritenuto beneficiario), altre volte direttamente alla società (cosa discutibile, in quanto la società formalmente non paga imposta di donazione su apporto dei soci – nel dubbio spesso la notificano a entrambi in solido).
  • Ipotetica riqualificazione in cessione imponibile: Un’altra (rara) contestazione potrebbe essere riqualificare l’atto come cessione anziché conferimento. Questo potrebbe accadere se, ad esempio, il conferente non ha ricevuto azioni ma altro in cambio (denaro? obbligazioni? all’assurdo, nulla perché era socio unico prima e dopo). In tal caso l’Ufficio potrebbe sostenere che in realtà non c’è stato un conferimento per acquisire qualità di socio (che già aveva) ma una trasferimento di proprietà con causa diversa. Se passasse questa linea, tratterebbe l’operazione come vendita, con tutte le imposte correlate (registro 9% su immobiliare, plusvalenza ecc.). Tuttavia, questa posizione è difficilmente sostenibile se l’atto formale parla di aumento di capitale: sarebbe in palese contrasto con l’art. 20 DPR 131/86. Dunque è evenienza remota post-2018.
  • Abuso del diritto: Più frequentemente dell’ipotesi sopra, l’Ufficio contesterà comunque l’operazione nei termini dell’abuso fiscale (senza disconoscerla civilmente). Nel processo verbale o nell’avviso, leggeremo passaggi come: “L’operazione di conferimento di cui trattasi risulta priva di sostanza economica, realizzata al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale indebito consistente nella non tassazione di una plusvalenza altrimenti dovuta, in assenza di valide ragioni economiche diverse dalla mera aspettativa di detto risparmio di imposta. Ai sensi dell’art. 10-bis L.212/2000, si procede quindi a disapplicare l’operazione ai fini tributari, tassando la plusvalenza che si assume dovuta”. In casi simili, la legge prevede che l’Agenzia debba attivare il contraddittorio preventivo col contribuente (notifica di un avviso di motivazione per permettere repliche entro 60 giorni, a pena di nullità dell’atto impositivo). Questo obbligo procedurale è sancito dall’art. 10-bis stesso. Un profilo difensivo è dunque verificare: l’Agenzia ha esplicitamente contestato abuso? Se sì, ha seguito la procedura (invito a controdedurre etc.)? Se no, l’accertamento potrebbe essere nullo per violazione del contraddittorio obbligatorio in materia di anti-abuso. Alcune CTP/CTR hanno annullato atti per questo vizio.
  • Sanzioni amministrative: L’accertamento comporta sanzioni tributarie. Per infedele dichiarazione (omessa plusvalenza) la sanzione è solitamente il 90% della maggior imposta (D.Lgs. 471/97, art. 1). Per l’imposta di donazione evasa, la sanzione è dal 120% al 240% dell’imposta non versata (D.Lgs. 471/97, art. 13). In caso di contestazione come abuso del diritto, la legge prevede che, se il contribuente aveva pienamente divulgato l’operazione in dichiarazione o in un interpello, non si applichino sanzioni; altrimenti le sanzioni si applicano ma spesso con riduzioni (in molti casi la CTP/CTR può riconoscere l’esimente di incertezza normativa). Ad ogni modo, la presenza di sanzioni rilevanti aggiunge leva al Fisco per negoziare e al contribuente per considerare una definizione agevolata (vedi seguito).

Case study reale: Un caso complesso affrontato in Cassazione (ord. 36392/2021) ha visto l’Agenzia contestare un’articolata operazione dove un’azienda fu conferita a valore di mercato elevato all’interno di un gruppo, generando una grossa plusvalenza che però il gruppo stesso aveva manovrato in modo da non tassarla ordinariamente (forse per farla ricadere in partecipation exemption o distribuirla come riserva di capitale). La CTR aveva ravvisato una simulazione di operazioni societarie e frode fiscale ai fini di far emergere plusvalori interni non tassati . In appello, la Cassazione confermò la legittimità della ricostruzione dell’Agenzia. Questo esempio estremo insegna che il Fisco guarda con sospetto non solo le sotto-valutazioni, ma anche le sovra-valutazioni strategiche se finalizzate a creare basi di calcolo vantaggiose in qualche altra fase. Nel nostro contesto, però, le sotto-valutazioni sono quelle che generano immediate imposte evitate e quindi sono attaccate direttamente.

Strategie di difesa: come tutelarsi in fase di verifica e contenzioso

Passiamo ora dal “che cosa può fare il Fisco” al “che cosa può fare il contribuente”. Affrontare un’accusa di sotto-valutazione in un conferimento richiede un approccio su più livelli: preventivodifensivo in sede di verifica e difensivo in sede contenziosa (tributaria e, se del caso, penale). In questa sezione tratteremo le strategie e gli strumenti a disposizione del contribuente (o del suo professionista) per difendere la legittimità dell’operazione o quantomeno ridurre le conseguenze sfavorevoli.

Prevenire è meglio: accorgimenti da adottare in fase di conferimento

Innanzitutto, se state pianificando un’operazione di conferimento che potrebbe implicare valutazioni delicate, è bene tenere a mente alcuni accorgimenti preventivi che, documentati correttamente, potranno costituire la prima linea di difesa in futuro:

  • Documentare il processo valutativo: Se si attribuisce al bene conferito un valore che potrebbe essere inferiore alle stime di mercato, è importante avere una solida perizia di stima redatta da un esperto indipendente (ad es. un perito estimatore, un tecnico iscritto all’albo per immobili, un valutatore d’azienda per i rami d’azienda). Anche se non sempre obbligatoria per legge (nelle S.r.l. non serve perizia giurata formale, ma nulla vieta di produrne una di parte), una perizia dettagliata può provare che il valore scelto non è arbitrario bensì basato su criteri oggettivi. Ad esempio, l’esperto potrebbe motivare la scelta di un valore prudenziale con la presenza di passività potenziali, vetustà dell’immobile, vincoli d’uso, perdite pregresse dell’azienda conferita, ecc. Questo contrasterà eventuali accuse di “valutazione da sacco di patate” fatta solo per pagare meno tasse. Certo, la perizia del contribuente non vincola il Fisco, ma costituisce prova a suo favore da esibire.
  • Trasparenza e completezza nell’atto di conferimento: Redigere l’atto (che sia rogito notarile per immobili, verbale assembleare per conferimenti di altro tipo, atto istitutivo di trust, etc.) in modo dettagliato aiuta a prevenire fraintendimenti. Se c’è un sovrapprezzo destinato a riserva, menzionarlo esplicitamente. Se il conferimento è non proporzionale tra soci (uno mette beni di valore, altri denaro), spiegare nell’atto se la differenza è giustificata da qualche elemento (ad esempio l’assunzione di un debito della società verso il conferente, o compensazione di crediti). Se il conferimento serve a estinguere un’obbligazione pregressa, dichiararlo chiaramente. Tutto ciò fornirà evidenze testuali che potranno essere opposte all’artificiosa scomposizione che potrebbe farne l’Agenzia. Per esempio, nell’esempio Tizio conferisce azienda per valore nominale basso: se nel verbale si fosse motivato che “il minor valore è giustificato dalla volontà di favorire l’ingresso del socio Caio per ragioni di continuità aziendale e in considerazione dell’apporto di competenze che Caio offre” – benché non eliminerebbe la natura liberale dell’atto, mostrerebbe almeno un motivo economico (la competenza di Caio come quid pluris non valutato in denaro).
  • Interpello sui nuovi articoli anti-abuso: In situazioni dubbie, si può valutare un interpello all’Agenzia delle Entrate (probabilmente un interpello anti-abuso ex art. 11, co.1, lett. c) L.212/2000). Ad esempio, se si vuole conferire un bene a valore contabile, si può prospettare l’operazione all’Agenzia chiedendo se configuri abuso. L’interpello obbliga l’Agenzia a prendere posizione: se risponde che è abuso, avremo quantomeno la possibilità di ristrutturare diversamente; se risponde che non è abuso (o non risponde affatto entro 120 gg, che vale assenso), quell’opinione ci tutela da sanzioni e in parte da contestazioni. Tuttavia, va detto che l’Agenzia difficilmente benedice esplicitamente operazioni border-line: nella prassi spesso non risponde o risponde in modo generico. Inoltre, un interpello negativo vincola il contribuente (nel senso che se poi fa l’operazione, sa già che verrà contestata). Dunque è strumento utile ma delicato da usare. Se c’è tempo e la questione è di importo rilevante, può valere la pena.
  • Curare gli aspetti societari e contabili: Il bilancio successivo al conferimento deve riflettere correttamente l’operazione. Ad esempio, se c’è un sovrapprezzo, accertarsi che sia contabilizzato come riserva da sovrapprezzo e non disperso impropriamente. Se un immobile conferito vale in realtà di più, la società conferitaria può anche indicare in nota integrativa che il valore di mercato è superiore al valore contabile, magari destinando la differenza a una riserva occulta (non in bilancio ma come informativa) – questo per trasparenza. Certo, ciò potrebbe dare al Fisco un assist; quindi la scelta va ponderata: dal lato difensivo, dimostra buona fede e nessuna volontà di occultare valori; però potrebbe essere usato come prova contro di noi (ammissione di sottovalore). È un bilanciamento: in genere, se l’operazione era genuina, la trasparenza paga.
  • Attenzione alle operazioni successive: Una delle peggiori cose che possano capitare è che, subito dopo aver conferito a sotto-valore, si compia un atto che “sveli” il reale valore. Tipico: conferisco un immobile in società a 100, e dopo 6 mesi la società vende quell’immobile a 300 a terzi. Questo è praticamente la pistola fumante per l’Agenzia, che dirà: “vedi? Valeva 300, tu 6 mesi fa l’hai messo a 100 per non pagare plusvalenza. Abbiamo la prova provata.” In contenzioso, difendersi in tal caso è quasi impossibile, perché la sproporzione è palese. Dunque, se si decide di tenere un valore prudente, bisogna almeno pianificare di mantenere l’asset conferito per un periodo congruo e non fare operazioni contrarie. Se per necessità sopravviene la vendita, e comunque di gran lunga superiore, conviene valutare di rettificare spontaneamente la plusvalenza del conferimento (ad esempio presentare una dichiarazione integrativa per quell’anno, riportando la plusvalenza non dichiarata – sì, pagando imposte e sanzioni ridotte – ma evitando il rischio di accuse penali di frode). Questo è un consiglio a posteriori qualora ci si renda conto di essere scoperti.

In sintesi, la fase preparatoria e attuativa dell’operazione può già gettare le basi di una futura difesa efficace. Ovviamente, non sempre si ha questa lungimiranza o possibilità (magari l’atto è già fatto e scopriamo solo ora la contestazione). In tal caso, le prossime sezioni guideranno su come difendersi dopo.

Difesa durante la verifica fiscale (fase pre-contenziosa)

Se l’Agenzia delle Entrate (o la Guardia di Finanza) sta effettuando una verifica o un controllo e vi contesta informalmente la sotto-valutazione prima di emettere l’accertamento, siete in una fase cruciale in cui alcune mosse possono fare la differenza:

  • Contraddittorio anticipato: Spesso, specie nei controlli complessi, prima di emettere l’atto l’Ufficio invita il contribuente a un confronto (anche se non formalmente obbligatorio, è prassi). Oppure la GdF, terminata l’ispezione, redige il PVC (processo verbale di constatazione) dove espone i rilievi. È fondamentale non subire passivamente: presentare osservazioni, memorie, documenti integrativi entro i 60 giorni dal PVC (diritto ex art. 12, c.7 L.212/2000), oppure durante l’audizione se concessa, è un diritto e usarlo può portare l’Ufficio a rivedere parzialmente la posizione. Ad esempio, se la GdF nel PVC dice “il bene X è valutato almeno 500 secondo i nostri calcoli, a fronte dei 300 dichiarati”, nelle osservazioni si può allegare una controperizia fatta fare velocemente da un esperto di fiducia che, con altri metodi, arrivi magari a 350, ridimensionando la pretesa. O si può evidenziare che certi comparables usati dalla GdF non erano omogenei, o che c’erano oneri sul bene non considerati. Queste osservazioni devono essere esaminate dall’Ufficio e troveranno riscontro (in bene o in male) nell’atto finale.
  • Accertamento con adesione (fase ufficiosa): Prima che esca formalmente l’avviso di accertamento, il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) per aprire una trattativa con l’Ufficio. In realtà, prima dell’emissione dell’atto non si parla di “istanza” (che tecnicamente si fa dopo la notifica per sospendere i termini del ricorso), ma nulla vieta di contattare l’ufficio legale o il funzionario per manifestare disponibilità a una definizione bonaria. Talvolta, se il caso non è di quelli esemplari da perseguire, l’Ufficio stesso preferisce trovare un accordo: ad esempio, riconosce parte delle nostre ragioni e riduce la pretesa a una via di mezzo. Con l’adesione, si beneficia delle sanzioni ridotte a 1/3. Esempio: plusvalenza contestata €200 con imposta €50k e sanzioni €45k; si tratta e si concorda plusvalenza €100 con imposta €25k e sanzioni ridotte a €15k (1/3 del 90% su 25k). Il vantaggio è che si evita il contenzioso e si chiude la questione (salvo penale, si veda dopo). Lo svantaggio: bisogna pagare, ovviamente, seppur in rate. Questa soluzione va ponderata sulla base della forza delle proprie argomentazioni: se si ritiene di avere ottime carte in tribunale, meglio non aderire; se il rischio è alto, l’adesione è spesso consigliabile. Attenzione però: su imposta di donazione e atti di liquidazione, l’accertamento con adesione non è applicabile (vale solo per tributi “accertabili” con avviso ordinario). Quindi, se la contestazione è solo sulle indirette, l’unica via bonaria è eventualmente il ravvedimento operoso (ma quando l’ufficio ha già rilevato, ravvedimento non è più possibile), oppure chiedere autotutela (il che in genere non riduce nulla, serve solo se convinci l’ufficio a rinunciare del tutto).
  • Autotutela e interlocuzione informale: Se emergono elementi schiaccianti a proprio favore (es. un errore dell’Ufficio nel leggere i dati di bilancio, o una norma chiaramente fraintesa), si può provare a far correggere il tiro in autotutela, anche semplicemente scrivendo al dirigente una lettera con la spiegazione e le prove. L’autotutela è discrezionale per l’Ufficio, ma se siamo ancora pre-notifica, spesso preferiscono modificare l’atto piuttosto che incorrere in una sconfitta sicura in contenzioso. Ad esempio, supponiamo che l’ufficio avesse incluso nel calcolo del “valore normale” dell’azienda conferita anche dei cespiti che però non erano compresi nel perimetro del conferimento (magari li avevamo esclusi per clausola, ma non l’hanno capito): presentando l’evidenza contrattuale di ciò, potrebbero ricalcolare al ribasso prima di emettere.
  • Focus sul contraddittorio in materia di abuso: Se la contestazione si fonda su abuso del diritto, il contribuente ha diritto a ricevere la comunicazione preventiva con i motivi e i periodi d’imposta coinvolti (art. 10-bis, c.5). Da quel momento ha 60 giorni per presentare deduzioni difensive. È cruciale sfruttare questa finestra perché, come noto, in sede di giudizio non si possono produrre nuovi documenti se non già esibiti prima (limite introdotto dalla riforma 2015 del processo tributario, per cui il giudice non può considerare documenti non mostrati in fase amministrativa senza valide ragioni). Quindi, se l’ufficio ci accusa di abuso, dobbiamo ribattere per iscritto in questi 60 giorni, allegando tutti i documenti utili a provare le “ragioni extrafiscali” genuine dell’operazione. Ad esempio: verbali assemblee che provano intenti espansivi, corrispondenza con banche o investitori che richiedevano quella riorganizzazione societaria, ecc. Anche testimonianze scritte (es. perizie di advisor indipendenti che suggerivano il conferimento come best practice aziendale) possono essere allegate.

In generale, la fase pre-contenziosa è un terreno dove l’abilità del difensore sta nel convincere l’ufficio – con cortesia ma fermezza – che la posizione del contribuente ha fondamento e che trascinare la questione in Commissione Tributaria potrebbe non essere una vittoria sicura per il Fisco. Spesso il funzionario, vedendo un contribuente ben documentato e determinato, rivede in parte le sue conclusioni.

Difesa in contenzioso tributario (Commissioni Tributarie / Corti Giustizia Tributaria)

Quando si arriva all’avviso di accertamento o all’avviso di liquidazione e non c’è stato accordo, occorre predisporre il ricorso alla Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). Ecco i punti chiave per una difesa efficace in giudizio:

  1. Vizi formali e procedurali: Sempre verificare se l’atto è formalmente valido. Alcuni possibili vizi:
  2. Motivazione insufficiente: ad es., l’avviso indica solo “valore normale 300” senza spiegare come è stato calcolato, né allega la perizia dell’Ufficio. Questo può violare l’art. 7 L.212/2000 (obbligo di motivazione e allegazione documenti richiamati). Il ricorso dovrebbe eccepire nullità per carenza di motivazione. La giurisprudenza infatti richiede che l’Ufficio espliciti il criterio di valutazione usato, specie se si discosta da valori dichiarati e se la stima è complessa.
  3. Mancato contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio: se ci si trova in una regione o settore in cui il contraddittorio è obbligatorio anche in assenza di norma (ad es. materia di tributi “armonizzati” con diritto UE come IVA: qui non c’entra, ma se fosse), oppure nel caso di abuso ex art.10-bis, come detto sopra. Se l’Ufficio non ha ottemperato, il ricorso lo deve segnalare, chiedendo l’annullamento dell’atto.
  4. Decadenza dei termini: come discusso, se l’atto è arrivato tardi e il raddoppio termini non era legittimo o non motivato, sollevare l’eccezione di decadenza. Ad esempio: “L’avviso è stato notificato oltre il 31/12/2025, termine ultimo per l’anno d’imposta 2019, e l’Ufficio non ha indicato circostanze idonee a raddoppiare i termini ex art.43 co.3 DPR 600/73. Ne consegue la nullità dell’atto per intervenuta decadenza dall’azione accertatrice .”. Su questo i giudici tributari sono abbastanza attenti, perché è questione dirimente.
  5. Notifica errata o carente legittimazione passiva: ad esempio, avviso di liquidazione per donazione notificato alla persona sbagliata (es. notificato solo alla società quando il presunto donatario era il socio). Oppure un vizio nella firma digitale dell’atto, etc. Sono aspetti tecnici ma a volte paganti.
  6. Errori di soggettività d’imposta: se contestano IRPEF a una società o IRES a una persona fisica – su operazioni straordinarie può succedere confusione. Verificare che abbiano colpito il soggetto giusto (il plusvalore va al conferente, non al conferitario; la donazione semmai al beneficiario, non al disponente donante – che non è soggetto passivo dell’imposta donazione).

Non ci si illuda: raramente un giudice risolve tutto su un vizio formale, se dietro c’è una sostanza di possibile evasione. Però sollevare questi punti è doveroso: in caso di dubbio sul merito, potrebbero optare per annullare l’atto per un vizio (specie se c’è stata violazione del diritto di difesa del contribuente).

  1. Argomentazioni sul merito – imposte dirette: Qui bisogna convincere che la valutazione dell’Ufficio è errata o comunque la pretesa ingiustificata.
  2. Confutare la perizia/valutazione del Fisco: se l’accertamento si basa su una stima, il ricorrente deve presentare al giudice elementi per dimostrare che quella stima non è corretta. Questo si fa allegando al ricorso, o in sede di perizia di parte in giudizio, una relazione tecnica alternativa. Spesso è opportuno chiedere anche una CTU (consulenza tecnica d’ufficio) al giudice, ovvero che nomini un perito terzo. I giudici la dispongono se ritengono che la questione del valore sia decisiva e c’è conflitto tra perizie. Nel ricorso, intanto, potete scrivere: “si depositano relazione peritale Ing. Rossi che valuta l’immobile €120.000; si chiede in via istruttoria ammettersi CTU estimativa”. Anche se la CTU verrà forse più avanti, intanto la perizia di parte (sottoscritta dall’esperto con giuramento se possibile) è già una prova.
  3. Dimostrare che la stima bassa aveva ragioni oggettive: esponete nel ricorso tutti i fattori che giustificavano quel minor valore. Ad esempio: il terreno conferito era gravato da rischio idrogeologico (allegate mappe e normative che ne limitano edificabilità); l’azienda conferita aveva in corso una causa passiva milionaria (allegate copie di atti di citazione); la partecipazione conferita era di minoranza e illiquida (valutazione va fatta con sconto minoranze, ecc.). Se questi elementi non sono stati considerati dall’Ufficio, puntateci per delegittimare la sua valutazione.
  4. Nessun obbligo di valore normale se non in specifici casi: potete argomentare che non esiste una norma generale che imponga di tassare a valore di mercato ogni conferimento. Ad es., se è un privato che conferisce immobile dopo 5 anni, la plusvalenza è esente ex lege. Quindi l’Ufficio non può inventarsi di tassarla invocando il valore normale: deve prima dimostrare l’abuso. Su questo pigiate: “non esiste alcuna disposizione che imponga al contribuente di dichiarare una plusvalenza che la legge non prevede; l’Ufficio può solo censurare il caso se prova l’abuso del diritto, onere probatorio a suo carico consistente nel dimostrare l’assenza di ragioni economiche e la presenza esclusiva di vantaggio fiscale”.
  5. Ragioni economiche dell’operazione: spiegate bene, come se fosse una narrazione, perché è stato fatto quel conferimento. Magari era per salvare l’azienda indebitata portandola in una newco insieme a nuovo socio capitalizzatore. Oppure per tutelare un immobile di famiglia in una società a controllo condiviso. O ancora per ottenere credito bancario (le banche preferivano finanziarie una società di capitali invece che un privato). Le ragioni possono essere tante: occorre convincere che l’operazione nel suo complesso aveva un senso economico al di là delle tasse. Questo è cruciale per smontare l’accusa di abuso del diritto. Si possono citare anche prassi (es. “era prassi del settore immobiliare conferire in società veicolo per frazionare il rischio e poi vendere quote, come da studi apparsi su riviste specializzate X , quindi il contribuente ha seguito una linea operativa usuale, non una costruzione ad hoc per evadere”).
  6. Richiamare giurisprudenza favorevole: se vi sono precedenti (anche di merito) analoghi dove i contribuenti hanno vinto, menzionarli. Ad esempio, se il vostro caso è conferimento+vendita quote, potete citare CTR Lombardia 2018 n. XYZ che ha ritenuto non abusive tali operazioni quando coerenti con riorganizzazione. Oppure Cassazione 3735/2015 (sulle donazioni indirette) se c’entra. Ovviamente citate la Cassazione più calzante: come visto, Cass. 17991/2025 è un must per dire “non c’era base per imposta donazione”. Anche Cass. 8082/2020 per trust: “nel trust manca arricchimento immediato ”. I giudici tributari apprezzano i riferimenti alle massime, specie se aggiornate e provenienti da Cassazione o Corte Costituzionale. Occhio però a non citare a sproposito: selezionate quelle davvero attinenti.
  7. Argomentazioni sul merito – imposte indirette: Se l’atto impugnato è, ad esempio, un avviso di liquidazione per imposta di donazione, la linea difensiva sarà:
  8. Ribadire che nell’atto di conferimento non è ravvisabile alcuna donazione espressa. Citare art. 20 DPR 131/86 e Cass. 17991/2025: “l’Ufficio ha violato il principio secondo cui le imposte di registro/donazione si applicano sulla base della qualificazione giuridica dell’atto come risultante dai suoi effetti legali, senza poter considerare presunti intenti economici ulteriori . Nel caso di specie, l’atto era un aumento di capitale societario con conferimento, fattispecie tipica che non contempla alcun arricchimento di un socio a danno di un altro, essendo anzi prevista dalla legge la figura del sovrapprezzo proprio per regolare i rapporti di cambio . L’operato dell’Agenzia configura un’illecita riqualificazione economica in spregio della norma anti-riadattamento degli atti introdotta dal legislatore del 2018”. Questo passaggio può portare i giudici – se aggiornati – ad annullare l’imposta di donazione senza troppi indugi, prendendo a riferimento proprio la pronuncia del 2025.
  9. Sottolineare l’assenza di animus donandi: la donazione indiretta richiede pur sempre la volontà di arricchire altri senza corrispettivo, e deve emergere in modo univoco. Se la nostra tesi è che volevamo semplicemente far entrare un socio o trasferire un bene nella sfera societaria per ragioni d’affari, allora non c’era volontà di donare nulla a nessuno. Si può citare Cass. civ. sez. II n. 15396/2024 (recentissima) che ha ribadito come grava su chi pretende di far valere una donazione indiretta l’onere di provare l’animus donandi con elementi precisi . Trasporre questo in ambito fiscale: l’Agenzia non ha provato alcuna intenzione liberale, si è limitata a dedurre una liberalità da scostamenti di valore. Ma la Cassazione insegna che la liberalità indiretta è soggetta a imposta solo se risulta da atto soggetto a registrazione che la manifesti , altrimenti no (principio affermato da SU 18725/2017).
  10. Se parliamo di trust: invocare a gran voce Cass. 8082/2020 e succ. (Cass. 11815/2021, Cass. 1131/2019, etc.) dove si dice chiaramente che l’atto di dotazione trust non è di per sé imponibile perché non c’è arricchimento definitivo . Inoltre, evidenziare che la stessa Agenzia Entrate ora lo riconosce (Circ. 34/E, risposta interpello 533/2020, ecc.). Quindi quell’avviso è in contrasto con consolidata giurisprudenza e prassi.
  11. Nel caso improbabile ma non impossibile in cui il Fisco sostenga che la società conferitaria è “donataria” della differenza di valore: replicare che ciò è concettualmente errato, perché la società ha emesso partecipazioni in cambio, dunque non ha ricevuto arricchimento gratuito; i soci preesistenti al più hanno beneficiato di un aumento valore delle proprie quote, ma anch’essi in modo riflesso e non oggetto di una disposizione diretta. Insomma, mancano i presupposti di una donazione indiretta tassabile.
  12. Contestare anche qui eventuali vizi: errori di calcolo del valore donato, applicazione errata di aliquote o franchigie, ecc.
  13. Chiedere la sospensione e misure cautelari: Se l’importo è elevato e c’è rischio per l’azienda o il patrimonio personale, ricordarsi di chiedere sospensione dell’atto (art. 47 D.Lgs. 546/92) in sede di ricorso. Nelle sotto-valutazioni, gli importi contestati possono essere grossi (si pensi a immobili). Se si ravvisano evidenti motivi di fondatezza (es. grosso punto a favore nostro, tipo Cassazione calzante) o danno grave, c’è buona chance di ottenerla.
  14. Memorie e discussione: Nel corso del processo, depositare memorie aggiuntive se emergono nuovi precedenti (il processo tributario ora consente anche memorie integrative fino a 5 giorni prima). E all’udienza, fare una discussione chiara, focalizzata sui punti forti: per esempio, se il Collegio appare poco addentro, puntare sul fatto che “la Cassazione proprio quest’anno ha risolto la questione a favore del contribuente in una vicenda identica” – questo di solito fa colpo.

In conclusione sul contenzioso tributario: è una battaglia spesso in salita, ma con le giuste armi (perizie, documenti, giurisprudenza) si può ribaltare l’accertamento. Ci sono diversi esempi di vittorie dei contribuenti su queste materie. D’altronde, come evidenziato, la legge stessa in anni recenti si è evoluta in senso più favorevole sui profili di donazione e registro, mentre resta stringente sui profili di evasione redditi (che però devono essere provati come tali).

Profili penali: reati tributari e difesa nel procedimento penale

Quando si parla di contestazioni fiscali per sotto-valutazioni, occorre considerare anche l’eventuale pendenza penale. Come già accennato, ridurre artificiosamente il valore di un conferimento può integrare alcuni reati previsti dal D.Lgs. 74/2000, in particolare:

  • Dichiarazione infedele (art.4 D.Lgs.74/2000): Scatta se nella dichiarazione dei redditi vengono indicati elementi attivi inferiori al reale (o elementi passivi fittizi) con imposta evasa superiore a €100.000 e l’ammontare degli elementi sottratti a tassazione supera il 10% del reddito dichiarato o comunque €2 milioni. Nel caso di sotto-valutazione, il soggetto che presenta la dichiarazione infedele è il conferente (persona fisica o società) che non ha dichiarato la plusvalenza reale. Esempio: Tizio doveva dichiarare 1 milione di plusvalenza, ne dichiara zero – imposta evasa 240k > 100k, elemento sottratto (€1 mln) > 10% reddito → punibile. La pena attualmente va da 2 a 4 anni di reclusione (limiti soggetti a sospensione condizionale etc. se incensurato). Se però il fatto è di particolare tenuità (imposta evasa < 30k) è escluso il reato.
  • Dichiarazione fraudolenta (art.3): Richiede condotte fraudolente, ad esempio l’uso di fatture false o altri artifizi come operazioni simulate. Nel caso di sotto-valutazioni, se per abbassare il valore sono state poste in essere fittizie operazioni o documenti falsi (ad es. un contratto simulato a prezzo basso, oppure scissioni/operazioni a catena per mascherare il reale trasferimento), potrebbe essere contestato l’art.3 (pena 3-8 anni, soglia imposta evasa > 30k). Ad esempio, se c’è un intreccio di società interposte per ridurre il valore nominale, la Procura potrebbe sostenere la fraudolenza. Nella vicenda “Villa Dominica” prima citata, pare emergesse proprio una frode articolata , che sicuramente ha fatto partire denunce penali.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art.11): Questa norma punisce chi, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte già dovute o di sanzioni, compie atti dispositivi del proprio patrimonio idonei a pregiudicare l’Erario. Un tipico scenario è quando, dopo aver ricevuto un accertamento o avendo un debito tributario certo, il contribuente “svuota” il patrimonio intestando beni ad altri, conferendoli in trust, vendendoli a prezzo vile, ecc. Ebbene, un conferimento sotto-valore può rientrare in questa fattispecie se effettuato scientemente per sottrarsi al fisco. Ad esempio, Caio dopo aver avuto una cartella esattoriale da 500k conferisce la sua villa in un trust autodichiarato valutandola 100k invece di 500k: qui abbiamo sia un atto gratuito (trust autodichiarato) sia un valore ridicolo. La Cassazione penale ha ritenuto che costituire un trust autodestinato quando si ha un debito col Fisco configuri reato di sottrazione fraudolenta . La pena è 6 mesi-4 anni se il debito superava 50k. Quindi attenzione: se la contestazione fiscale è già sorta, fare movimenti di beni a prezzi di favore può aggravare la situazione col penale.

Difendersi sul piano penale: Le strategie difensive in ambito penale tributario differiscono per certi versi dal contenzioso tributario, anche se sono collegate (spesso l’esito di uno influenza l’altro). Alcuni punti: – Dimostrare buona fede/errore valutativo: Nel reato di dichiarazione infedele, l’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico di evasione. Se la sotto-valutazione deriva da una valutazione tecnica opinabile (es. una perizia che stimava 1 mln e la GdF dice 2 mln), la difesa può sostenere che il contribuente riteneva in buona fede corretto quel valore. Ad esempio, se c’è una perizia giurata depositata, è un ottimo elemento per dire “mi sono affidato a un esperto, non avevo volontà di frodare”. Questo non sempre esclude il reato (perché per infedele basta il dolo generico di indicare dati falsi, non serve l’accordo collusivo col perito). Tuttavia, può portare a proscioglimento per difetto di dolo se la discrepanza può stare nell’ambito del ragionevole. Al limite, si chiederà una perizia nel processo penale per valutare il bene. – Assenza di artifici (per art.3): Se contestano la frode, la difesa evidenzierà che non vi sono state condotte artificiose: l’operazione era palese e documentata, solo valutata differentemente. Quindi semmai è infedele (meno grave) ma non fraudolenta. La distinzione è importante perché se si derubrica da fraudolenta a infedele, magari si rientra sotto soglia o pena inferiore. – Pagare il debito tributario: Il legislatore, specie con la Riforma 2019 e in discussione 2024, ha incentivato il pagamento integrale dei debiti tributari per evitare sanzioni penali. Ai sensi dell’art. 13 D.Lgs.74/2000, il pagamento integrale del tributo e sanzioni prima del dibattimento (e in alcuni casi entro termini anche più larghi) costituisce causa di non punibilità per reati come l’infedele dichiarazione . In altre parole, se un contribuente, una volta scoperto, versa tutto quanto dovuto al Fisco (imposta evasa + interessi + sanzioni amministrative) prima dell’apertura del dibattimento penale, può ottenere l’archiviazione o il proscioglimento per intervenuto pagamento. Questa è una potente leva: conviene spesso trovare le risorse e pagare, se l’alternativa è un processo penale dall’esito incerto. Per i reati di sottrazione fraudolenta invece il pagamento non estingue il reato, trattandosi di reato di pericolo contro il patrimonio pubblico, ma può influire sulla pena (in senso di attenuanti generiche). – Procedimento parallelo tributario-penale: Bisogna coordinare le difese. Una sentenza della Commissione Tributaria che annulla l’accertamento per insussistenza del maggior valore può essere molto utile nel penale, perché fa venir meno il fatto materiale di evasione (nessuna imposta dovuta = nessun reato). Viceversa, una sentenza penale di assoluzione con formula piena (“il fatto non sussiste”) potrebbe convincere l’Agenzia a desistere in appello nel tributario. Purtroppo non c’è un vincolo assoluto tra i due giudicati, ma in pratica i giudici si influenzano. Quindi la difesa spesso cerca di far calendarizzare prima il giudizio che appare più favorevole per il contribuente, in modo da usarne l’esito nell’altro. Ad esempio, se in tributario abbiamo ottime carte, si chiederà al giudice penale di attendere l’esito del ricorso (sospendendo per pregiudizialità tributaria – cosa teoricamente possibile ma discrezionale). Oppure se il penale va male, si cercherà di far valere comunque i diversi standard probatori (nel penale oltre ogni ragionevole dubbio, nel tributario più probabile che non). – Sottrazione fraudolenta: qui la difesa è fattuale: dimostrare che l’atto (conferimento in trust o vendita sotto prezzo) non era fatto “per sottrarsi al pagamento di imposte”. Ad esempio, se il trust è avvenuto prima dell’accertamento o quando non c’era ancora nessun debito certo, manca l’elemento soggettivo di voler sottrarre a esecuzione. O se vendi a prezzo basso ma poi i soldi li usi per pagare creditori normali, potresti dire che non era mirato al Fisco. Tuttavia, è difficile: la Cassazione ha maglie larghe su questo reato, ravvisandolo anche solo col fine di rendere inefficace la riscossione, anche se il debito non è definitivo. Un trust autodichiarato post-debito è praticamente indifendibile ormai: Cass. pen. 13844/2024 ha sancito che quello è reato . L’unica attenuante può essere provare che il contribuente ignorava il debito (buona fede) o ha poi concordato un pagamento col fisco (dimostrando che non voleva sottrarsi).

  • Patteggiamento e pene sostitutive: In caso di evidenza di colpevolezza, conviene prendere iniziativa: il patteggiamento consente di ridurre la pena fino a 1/3 e spesso di ottenere pene sospese o convertite (es. lavori sociali). Anche la messa alla prova è ipotizzabile per infedele se pena <4 anni. Quindi, come strategia, magari si patteggia in penale per chiudere la questione e ci si concentra a evitare di pagare due volte in tributario (anche se pagando tutto, il penale si estingue e niente precedenti).

In generale, l’obiettivo primario del contribuente è evitare la condanna penale (la galera, seppur di rado effettiva, è un’onta e ha implicazioni personali serie). Quindi ogni mossa nel tributario che possa supportare la non colpevolezza va sfruttata.

Importante: La collaborazione e il pagamento spontaneo contano molto in penale tributario. Un soggetto che prima ancora che il PM si muova versa il dovuto, spesso ottiene l’archiviazione. Ad esempio nel 2023 molte procure hanno archiviato reati di infedele a chi aveva aderito alla definizione agevolata (pace fiscale) pagando le somme.

Domande frequenti (FAQ) su accertamenti per sotto-valutazione nei conferimenti

Di seguito proponiamo una serie di domande comuni che privati e professionisti si pongono in situazioni di questo genere, con risposte sintetiche basate su quanto illustrato nella guida:

D: Ho conferito un immobile in una S.r.l. valutandolo molto meno del prezzo di mercato. L’Agenzia Entrate può tassarmi la differenza?
R: Sì, l’Agenzia può contestare la sotto-valutazione sotto due profili: imposte sui redditi (plusvalenza non dichiarata) e imposta di donazione (liberalità indiretta). Nel primo caso, ti imputerebbero una plusvalenza come se avessi ceduto l’immobile al valore di mercato; nel secondo, potrebbero sostenere che hai in parte “donato” valore agli altri soci o alla società. Oggi, grazie alla giurisprudenza (Cass. 17991/2025), è più difficile per il Fisco applicare l’imposta di donazione se l’atto di conferimento è formalmente ineccepibile . Tuttavia, sul fronte IRPEF/IRES la contestazione della plusvalenza è possibile invocando il principio di valore normale o l’abuso del diritto. Dovrai difenderti mostrando che il valore dichiarato era giustificato (es. perizia) o che comunque non c’era intento evasivo ma ragioni di business.

D: La perizia giurata di stima depositata (art. 2343 c.c.) attestava un certo valore, ma l’Agenzia dice che è sbagliata. Possono ignorare la perizia?
R: In sede fiscale, purtroppo . La perizia di stima richiesta dal codice civile serve a tutelare la società e i creditori, ma non vincola il Fisco nella determinazione delle imposte. L’Agenzia può far redigere un’altra perizia ai propri tecnici e sostenere che il valore vero sia diverso. La tua perizia però rimane un documento importante di prova a tuo favore, perché dimostra che ti sei basato su criteri oggettivi e buona fede. In contenzioso, sarà il giudice a valutare quale perizia è più convincente o a disporre eventualmente una CTU (perizia terza). Nota che l’esperto ex art.2343 c.c. attesta un valore minimo (“almeno pari a…”), non il valore di mercato puntuale . Quindi l’Agenzia può dire: ok, il valore era “almeno 100”, ma secondo noi era 150. Non c’è contraddizione logica, purtroppo, quindi formalmente possono farlo.

D: Mi è arrivato un avviso di accertamento che considera “elusiva” l’operazione di conferimento seguita da cessione di partecipazioni. Ma all’epoca (prima del 2015) l’art. 37-bis imponeva di notificare un avviso di chiarimenti, che non ho mai ricevuto. Posso far annullare l’atto per questo?
R: Se l’operazione è antecedente al 2015 e l’Ufficio l’ha contestata ai sensi dell’allora art.37-bis DPR 600, in effetti doveva seguire il procedimento col contraddittorio preventivo. Dal 2016 è subentrato l’art. 10-bis L.212/2000 che parimenti impone il contraddittorio prima dell’atto definitivo, pena nullità. Dunque , la mancata attivazione del contraddittorio anti-abuso è motivo di nullità dell’accertamento. Questo va eccepito nel ricorso. Ci sono state sentenze che hanno annullato atti per violazione di tali procedure. Assicurati però che la motivazione dell’atto sia effettivamente basata sull’abuso del diritto/elusione; se invece l’Ufficio ha finto di contestare un “fatto” (tipo “valore non congruo” senza menzionare abuso), potrebbe cercare di sostenere che non era necessario il contraddittorio. Ma la giurisprudenza tende a guardare la sostanza: se l’unica cosa contestata è un vantaggio fiscale indebito, è abuso, e il contraddittorio serviva .

D: Sono un socio di minoranza di una società in cui un altro socio ha conferito un bene sottostimato arricchendomi (indirettamente). L’Agenzia vuole farmi pagare l’imposta di donazione su questo “regalo”. Devo pagarla io personalmente?
R: Questa era proprio la tesi del Fisco: tassare il socio preesistente come beneficiario della donazione indiretta. E infatti notificano a te l’avviso di liquidazione. La buona notizia è che la Cassazione (sent. 17991/2025) ha stabilito che non si può fare questo, perché l’atto era un aumento di capitale e non una donazione a te . Quindi hai ottime chance di far annullare l’imposta in contenzioso, sostenendo che non sei donatario di nulla in via giuridica. Fai ricorso nei termini, citando quella sentenza e l’art. 20 DPR 131/86. Nel frattempo, potresti valutare di chiedere la sospensione della cartella se arriva. In sintesi, la legge non ti impone di pagare un’imposta su un arricchimento economico solo eventuale e riflesso. Se, per assurdo, il conferimento fosse stato manifestamente simulato come liberalità (es. con dichiarazione di intento donativo allegata), allora sì saresti donatario. Ma in un classico conferimento societario tu non hai firmato alcuna accettazione di donazione né nulla.

D: Dopo l’accertamento per plusvalenza non dichiarata, ho paura di essere denunciato. Come capisco se scatterà il penale?
R: Verifica innanzitutto i numeri. Se l’imposta evasa (IRPEF/IRES) supera €100.000, allora potenzialmente c’è reato di dichiarazione infedele. Inoltre, devono essere superate anche le soglie relative agli elementi attivi sottratti (>10% del totale reddito o >€2 milioni). Nel caso di sotto-valutazione, spesso queste soglie monetarie sono superate perché si parla di immobili o aziende di valore importante. Dunque è probabile la segnalazione penale. I tempi: di solito l’Agenzia invia la denuncia dopo la notifica dell’accertamento (a meno che la GdF non l’abbia già fatta durante la verifica). Puoi accorgertene se nell’accertamento trovi riferimenti al “raddoppio dei termini per violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi art.331 c.p.p.” . Quella è una spia quasi certa che faranno la comunicazione in Procura. Dopo di che, il PM potrebbe informarti (o magari no, a volte aspettano). In generale, se superi le soglie, metti in conto un procedimento penale. È consigliabile in tal caso attivarti subito: per esempio, puoi valutare di presentare una dichiarazione integrativa e pagare (o aderire all’accertamento) così da estinguere il debito fiscale: questo, se completato prima del processo, ti mette al riparo dalla condanna (causa di non punibilità per pagamento integrale, art.13 D.Lgs.74) . Se le soglie non sono superate (es. imposta evasa 50k) allora stai tranquillo, niente penale perché la legge esige quelle quantità minime.

D: Se sistemo tutto pagando l’accertamento, il reato penale è automaticamente estinto?
R: Dipende dal reato. Per i reati di dichiarazione infedele o fraudolenta, la legge prevede la non punibilità se paghi prima del dibattimento tutto il dovuto (imposte, interessi, sanzioni amministrative) . Quindi sì, se paghi l’accertamento (o la parte concordata in adesione) integralmente, quando si arriverà in tribunale il tuo avvocato chiederà l’applicazione dell’art.13 e l’archiviazione/sentenza di non luogo a procedere. Invece, per il reato di sottrazione fraudolenta (art.11) il pagamento non estingue il reato, perché lì l’offesa è già consumata (aver tentato di evadere il patrimonio dalle pretese). Però pagare può rendere il giudice più mite nella pena. Attenzione: il pagamento dev’essere integrale. Se rateizzi, devi comunque finire di pagare prima del dibattimento (le riforme 2023 hanno ampliato un po’ le maglie: la non punibilità scatta anche se il debito è in corso di integrale estinzione mediante rateazione prima della dichiarazione di apertura del dibattimento) . Quindi se hai un piano di rate che copre tutto, potresti rientrare. In ogni caso, è fortemente consigliato usare l’adesione o il saldo delle somme prima possibile, come strategia difensiva penale.

D: Ho fatto un trust e l’Agenzia dice che è “fittizio” e vuole tassarmi come se non esistesse. Posso difendermi?
R: Sì, ma devi dimostrare che il trust ha sostanza. L’Agenzia nei casi di trust fittizio di solito contesta sia le imposte indirette (riporta i beni nel tuo patrimonio per donazione/successione) sia eventualmente le imposte dirette (imputando a te redditi del trust) e può anche ipotizzare abuso. Per difenderti: – Mostra che il trust è stato gestito correttamente: il trustee è indipendente, i beni risultano separati, magari hai anche comunicato il trust al Registro dei Trust se previsto, hai compilato quadro RW (se estero) ecc. Insomma, nessuna volontà di occultamento . – Sottolinea lo scopo meritevole: es. “Trust istituito a beneficio di figlio disabile secondo legge 112/2016, non certo per evadere imposte” – se è vero, il giudice tributario ne terrà conto. – Cita la normativa nuova (D.Lgs.139/2024) che conferma che la tassazione avviene in uscita, quindi l’atto istitutivo non va tassato ora . Se l’Agenzia insiste nel tassare l’atto iniziale, è in errore. – Se sostengono interposizione (cioè che tu disponente sei ancora il reale possessore), devi fare in modo di smontare quell’assunto. Ad esempio, se ti contestano che continuavi ad abitare nella casa conferita in trust come se nulla fosse: porta evidenze che pagavi un canone d’uso al trust, o che il trust prevedeva ciò esplicitamente. Se dicono che hai riavuto soldi dal trust in modo discrezionale: mostra che erano pagamenti previsti (se lo erano). – Questo tipo di difesa è molto casistica. Spesso i trust “finti” perdono in giudizio perché sono fatti male. Ma trust autentici vincono. Ad esempio, CTR Lombardia 107/2023 ha riconosciuto che un trust autodichiarato puro (disponente = trustee = beneficiario vita natural durante) non paga imposta di donazione perché manca trasferimento . Cass. 2334/2024 e altre hanno confermato neutralità. Usali a tuo favore.

D: Nel ricorso tributario devo allegare anche tutto ciò che riguarda il penale?
R: In genere no, sono separati. Però può essere utile informare la Commissione se c’è un procedimento penale in corso, specie se magari in quel procedimento è stata svolta una perizia o raccolte testimonianze utili. La C.T. non è vincolata da quelle prove, ma potrebbe valutarle se le produci. Ad esempio, se nel penale un perito ha detto “il valore del bene era effettivamente X, come da conferimento”, depositane l’estratto in Commissione: rafforza la tua tesi. Viceversa, se nel penale c’è una confessione o elementi a te sfavorevoli, meglio non tirarli fuori. Tieni presente che vige il segreto istruttorio nella fase delle indagini penali: se sei ancora in indagine preliminare, magari non hai accesso a tutto. Ma una volta eventualmente rinviato a giudizio, gli atti diventano accessibili. Sta al tuo avvocato (penalista) e al tributarista coordinarsi. In sintesi, porta nel ricorso tutto ciò che aiuta la causa fiscale; non è obbligatorio menzionare il penale se non vuoi. Il giudice tributario di solito non aspetta l’esito penale a meno che tu lo chieda (e serve accordo di entrambe le parti in genere per sospendere in attesa).

D: Quali sono le sanzioni amministrative e c’è modo di ridurle senza fare causa?
R: Le sanzioni, come detto, sono salate: 90% imposta evasa sulle dirette; 120-240% su donazione se considerata occultata, più interessi. Modi per ridurle: – Accertamento con adesione: sanzioni ridotte a 1/3. – Acquiescenza: se non fai ricorso e paghi entro 60 gg, sanzioni ridotte a 1/3 (simile a adesione). – Ravvedimento operoso: possibile solo prima che l’accertamento sia notificato. Se ti sei “pentito” perché hai visto che è palese la sotto-valutazione, puoi inviare una dichiarazione integrativa spontanea e pagare il dovuto con sanzione ridotta (in base al tempo, se ravvedimento entro 1 anno è 1/8 della minima). Ma molti non lo fanno perché sperano di non essere scoperti. Se però oramai sei stato verbalizzato, non puoi ravvederti (il PVC preclude ravvedimento). – Definizione agevolata liti pendenti: queste sono misure straordinarie (nel 2023 ce n’era una) in cui lo Stato permette di chiudere cause pendenti pagando solo imposte senza sanzioni. Se fosse riproposta e hai già un ricorso in corso, potresti aderire. – Transazione fiscale in concordato o composizione debiti: discorso a parte, ma se la tua situazione è grave e finisci in una procedura concorsuale, potresti trattare lì anche i debiti tributari includendo sanzioni azzerate.

In sintesi, se vuoi evitare la causa, l’adesione è la via “standard” per tagliare le sanzioni di due terzi. Se fai causa, puoi sempre poi, anche in appello, trovare un accordo con l’ufficio (cosiddetta conciliazione giudiziale) con sanzioni al 50%. Quindi la riduzione è minore, conviene farlo prima.

D: Come sarà considerata in futuro questa materia? Ci sono novità normative in arrivo?
R: Da quanto si vede, il trend normativo è stato rendere più chiaro il trattamento dei trust (tassazione finale) e sbarrare il passo a riqualificazioni fantasiose (art.20 registro). Quindi sul fronte imposte indirette il contribuente è oggi più tutelato rispetto a 10 anni fa. Sul fronte imposte dirette e abuso, la materia rientra nella generale disciplina antielusiva: qui l’approccio sarà sempre caso per caso. La delega di riforma fiscale 2023 non ha modificato l’art.10-bis in senso sostanziale. Una novità importante è la riforma della giustizia tributaria (giudici professionali dal 2023): c’è attesa di vedere se le decisioni saranno più uniformi e magari sensibili alla sostanza economica. Inoltre, la digitalizzazione permetterà all’Agenzia di incrociare dati di valori OMI, banche dati immobiliari e altro in modo più efficiente: possibili più accertamenti di valore, insomma. Insomma, per il futuro ci si può aspettare meno casi di imposta donazione su conferimenti (ormai la linea è fissata: tassazione solo se atto liberale conclamato), ma il Fisco punterà sempre su recupero di plusvalenze mancate e sul colpire eventuali schemi abusivi (conferisci e vendi subito, ecc.). Sul penale, la tendenza del legislatore è stata mitigare per chi paga: quindi ci sono incentivi a ravvedersi. In definitiva: chi vuole fare operazioni legittime non deve temere, chi vuole fare il furbo con valutazioni farlocche sappia che gli strumenti per intercettarlo ci sono e saranno usati.

Conclusione

Le operazioni di conferimento di beni o denaro, soprattutto in ambito societario, sono un terreno dove i confini tra lecita autonomia negoziale e potenziale elusione fiscale possono diventare sottili. Dal punto di vista del contribuente, è fondamentale conoscere i propri diritti e doveri: sapere come va correttamente gestito un conferimento, quali sono le libertà (ad esempio poter attribuire un valore prudenziale) e quali invece le possibili conseguenze fiscali. Abbiamo visto che la normativa italiana offre opportunità per realizzare conferimenti in neutralità d’imposta (artt. 176, 177 TUIR) e che i recenti indirizzi giurisprudenziali tutelano dagli eccessi di riqualificazione (Cass. 17991/2025 su donazione indiretta, Cass. 8082/2020 e successive su trust). Al contempo, l’Amministrazione finanziaria ha strumenti efficaci per contrastare gli abusi e le evasioni vere e proprie, e in casi estremi non esita a percorrere la via penale.

Una difesa efficace richiede un approccio a 360 gradi: tecnico-giuridico (norme e sentenze alla mano), fattuale (perizie, evidenze economiche) e anche strategico (negoziazione, pagamento se conviene, ecc.). L’importante è non farsi trovare impreparati: fin dalla fase di pianificazione dell’operazione è bene valutare anche l’impatto fiscale e predisporre la documentazione che un domani potrebbe salvarci da contestazioni. E se l’accertamento arriva, agire tempestivamente, con l’aiuto di professionisti esperti, per far valere le proprie ragioni nelle sedi opportune.

In conclusione, conferire un bene a un valore apparentemente “basso” non è di per sé un illecito – può anzi essere perfettamente legittimo – ma occorre essere pronti a dimostrare il perché di quel valore. La trasparenza e la buona fede sono le migliori armi preventive. E nel caso di un confronto con il Fisco, questa guida ha cercato di fornire gli strumenti conoscitivi per affrontare la sfida, forte di normative aggiornate e delle ultime pronunce giurisprudenziali. Con preparazione e tenacia, è possibile difendersi efficacemente dalle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate su sotto-valutazioni in conferimenti, tutelando i propri diritti senza rinunciare alle operazioni societarie o patrimoniali che si ritengono opportune.

[Fonti: norme citate (D.P.R. 917/1986, D.Lgs. 346/1990, DPR 131/1986, L.212/2000, D.Lgs.74/2000); Cass. civ. sez. V n.17991/2025 ; Cass. civ. sez. V nn.5800/2023, 2334/2024 (trust) ; Cass. civ. sez. V n.8082/2020 (trust) ; Cass. civ. SU 227/2018; Cass. civ. sez. V n.36392/2021 (operazioni simulate) ; Circ. AE 34/E 2022 ; D.Lgs.139/2024 (delega fiscale) ; Sent. Corte Cost. 158/2020; Fonti dottrinali e prassi su CommercialistaTelematico e StudioLegaleBianucci , etc.]

  • Corte di Cassazione sentenza n. 8082 depositata il 23 aprile 2020 – Trust, l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale
  • Sentenza n. 10226 del 2024: Chiarimenti sull’Accertamento Fiscale e Nuovi Elementi
  • Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.36392 del 24/11/2021
  • Cassazione civile Sez. II ordinanza n. 15396 del 3 giugno 2024

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate contesta una sotto-valutazione nei conferimenti d’azienda, di ramo o di beni in società? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate contesta una sotto-valutazione nei conferimenti d’azienda, di ramo o di beni in società?
Vuoi sapere cosa rischi e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Il Fisco può ritenere che i beni o l’azienda conferiti siano stati valutati artificiosamente al ribasso, con lo scopo di ridurre l’imponibile o ottenere vantaggi fiscali. In questi casi, procede a rettificare il valore del conferimento, con conseguente recupero di imposte e applicazione di sanzioni.

👉 Prima regola: supporta sempre i conferimenti con perizie indipendenti e documentazione tecnica che ne attestino il reale valore.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Valori dichiarati inferiori a quelli di mercato secondo le stime dell’Agenzia;
  • Perizie considerate non attendibili o carenti di elementi probatori;
  • Conferimenti a società collegate o familiari, visti come operazioni elusive;
  • Incoerenza tra valore attribuito ai beni e dati di bilancio;
  • Operazioni a catena (conferimento + cessione di quote) che evidenziano vantaggi fiscali indebiti.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Rettifica del valore del conferimento con maggiore imponibile;
  • Recupero delle imposte (registro, imposte dirette, IVA se applicabile);
  • Sanzioni tributarie per dichiarazioni infedeli;
  • Interessi di mora;
  • Rischio di ulteriori controlli su altre operazioni societarie.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Esistenza e validità delle perizie: sono state redatte da professionisti qualificati?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia ha indicato parametri di mercato e fonti attendibili?
  • Coerenza con i dati di bilancio: il valore del conferimento trova riscontro nei documenti contabili?
  • Eventuali ragioni economiche che hanno giustificato la valutazione (es. situazione debitoria, mercato di riferimento);
  • Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Atto notarile di conferimento;
  • Perizie di stima redatte da professionisti indipendenti;
  • Bilanci e scritture contabili;
  • Verbali di assemblea e relazioni illustrative;
  • Contratti e documentazione bancaria collegata all’operazione;
  • Report di mercato e valutazioni tecniche di settore.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare l’attendibilità delle perizie e la correttezza del valore attribuito;
  • Contestare i criteri utilizzati dall’Agenzia per la rettifica;
  • Eccepire vizi formali dell’accertamento: motivazione carente, decadenza, notifica irregolare;
  • Richiedere autotutela se la documentazione a supporto era già presente ma non considerata;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con possibilità di sospensione cautelare;
  • Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e trovare una soluzione conciliativa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’accertamento e i criteri di valutazione contestati;
📌 Verifica la legittimità delle rettifiche operate dall’Agenzia delle Entrate;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per difendere la correttezza delle perizie;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per strutturare conferimenti societari in modo sicuro e inattaccabile.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su conferimenti e operazioni straordinarie;
✔️ Specializzato in difesa di società e soci contro contestazioni su sotto-valutazioni;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni del Fisco sulle sotto-valutazioni nei conferimenti non sempre sono fondate: spesso derivano da criteri di stima diversi o da interpretazioni arbitrarie.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza delle perizie e delle valutazioni adottate, evitare rettifiche indebite e proteggere la tua impresa da conseguenze fiscali pesanti.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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