Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per l’omessa dichiarazione di compensi percepiti per attività sportive professionistiche? In questi casi, l’Ufficio presume che gli importi corrisposti dalle società sportive o da sponsor siano redditi imponibili non dichiarati, con conseguente recupero di imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è corretta: vi sono circostanze in cui i compensi sono stati già tassati, dichiarati o non rientrano nella base imponibile.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’omissione di compensi sportivi
– Se i compensi risultano da contratti, bonifici o certificazioni e non compaiono nella dichiarazione dei redditi
– Se gli importi percepiti da sponsor o premi gara non sono stati dichiarati
– Se vi sono incongruenze tra i dati comunicati dalle società sportive e quelli dichiarati dall’atleta
– Se i compensi sono stati parzialmente dichiarati o inseriti in modo errato nei quadri fiscali
– Se emergono introiti extra contrattuali non giustificati (bonus, benefit, rimborsi non documentati)
Conseguenze della contestazione
– Recupero a tassazione dei compensi non dichiarati con applicazione delle aliquote IRPEF
– Sanzioni amministrative per infedele o omessa dichiarazione dei redditi
– Interessi di mora calcolati dalla data in cui l’imposta sarebbe stata dovuta
– Possibile apertura di ulteriori accertamenti fiscali e patrimoniali
– Rischio di segnalazioni anche in ambito sportivo e contrattuale
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare che i compensi sono stati già tassati alla fonte dalla società sportiva o dagli sponsor
– Correggere errori formali attraverso dichiarazioni integrative o ravvedimento operoso
– Contestare errori dell’Agenzia delle Entrate nel recepire i dati delle Certificazioni Uniche
– Dimostrare la natura non imponibile di determinate somme (rimborsi spese documentati, indennità specifiche)
– Evidenziare vizi di notifica, carenze di motivazione o decadenza dei termini nell’atto di accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare contratti sportivi, certificazioni e documentazione bancaria relativa ai compensi
– Verificare la legittimità della contestazione e la corretta applicazione della normativa fiscale
– Redigere un ricorso mirato su vizi formali e sostanziali dell’accertamento
– Difendere lo sportivo davanti ai giudici tributari per ridurre o annullare le pretese fiscali
– Tutelare il patrimonio personale e i rapporti contrattuali con società e sponsor
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– Il riconoscimento della corretta tassazione dei compensi sportivi percepiti
– La sospensione di eventuali procedure esecutive già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e sportivo – spiega come difendersi in caso di contestazioni sull’omissione di compensi sportivi professionistici e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
L’omissione di compensi derivanti da prestazioni sportive professionistiche – e più in generale i compensi sportivi in ambito dilettantistico – rappresenta un tema complesso che unisce diritto sportivo, fiscale e del lavoro. Si tratta di una questione rilevante sia per atleti e collaboratori sportivi, sia per società e associazioni sportive, nonché per i consulenti legali e fiscali che li assistono. In altre parole, riguarda un ampio ventaglio di soggetti: dall’avvocato che deve pianificare una strategia difensiva, all’imprenditore che gestisce un centro sportivo, fino al privato cittadino (ad esempio un atleta dilettante) che vuole capire come regolarizzare la propria posizione.
Che cosa si intende per “omissione di compensi”? In questo contesto, l’espressione fa riferimento principalmente alla mancata dichiarazione o al mancato corretto assoggettamento fiscale di redditi derivanti da prestazioni sportive. Può trattarsi di un club professionistico che non ha dichiarato al Fisco alcuni pagamenti ai propri atleti o tecnici; di un atleta che non ha inserito in dichiarazione parte dei compensi (magari percepiti in forma indiretta, come fringe benefit); oppure di un’associazione sportiva dilettantistica che ha omesso di presentare la dichiarazione dei redditi confidando (erroneamente) nelle agevolazioni fiscali di settore . In tutti questi casi, l’Agenzia delle Entrate – spesso in sinergia con la Guardia di Finanza – può contestare l’omissione e avviare accertamenti con relative sanzioni tributarie. Inoltre, qualora i tributi evasi superino determinate soglie, possono scattare responsabilità penali a carico dei rappresentanti legali o degli stessi atleti interessati . Senza dimenticare i profili previdenziali: l’omissione di compensi può infatti implicare anche il mancato versamento di contributi all’INPS (ad esempio quando i collaboratori sportivi, in realtà, svolgono attività continuativa e retribuita che andrebbe assoggettata a contribuzione).
L’obiettivo di questa guida – aggiornata a agosto 2025 – è fornire un quadro approfondito e al tempo stesso chiaro su come difendersi in caso di contestazioni relative a omissioni di compensi sportivi. Useremo un linguaggio giuridico ma con taglio divulgativo, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a privati e imprenditori del settore sportivo. Organizzeremo la trattazione in sezioni tematiche, con richiami normativi italiani, riferimenti alle ultime novità legislative (come la recente Riforma dello Sport) e alle sentenze più aggiornate delle corti (Corte di Cassazione in primis). Troverete inoltre tabelle riepilogative per schematizzare i punti chiave, una sezione di domande e risposte frequenti, e alcune simulazioni pratiche di casi tipici (dal punto di vista del “debitore”, ossia di chi subisce la contestazione).
Prima di entrare nel vivo, è importante sottolineare che “come difendersi” non significa cercare escamotage per evadere le norme, bensì capire quali strumenti legali e procedurali si hanno a disposizione per far valere le proprie ragioni o attenuare le conseguenze, soprattutto quando la situazione è frutto di incertezza normativa o errori in buona fede. Ad esempio, fino al 2023 la disciplina fiscale dei compensi sportivi dilettantistici era piuttosto particolare e molti operatori del settore erano convinti di essere esonerati da taluni obblighi; oggi, con la nuova normativa in vigore dal 2023, il quadro è mutato e chi opera nello sport deve aggiornare le proprie pratiche per evitare di incorrere in violazioni.
Nei paragrafi seguenti analizzeremo nel dettaglio: la normativa di riferimento (distinguendo tra lavoro sportivo professionistico e dilettantistico, e tra “vecchio” e “nuovo” regime fiscale); i profili fiscali delle omissioni di compensi (sanzioni tributarie, reati tributari, controlli dell’Agenzia delle Entrate); i profili previdenziali (omesso versamento di contributi e contestazioni dell’INPS); le possibili strategie difensive e best practice per prevenire problemi. Seguiranno le FAQ con domande comuni (es. “Se alleno in una ASD devo dichiarare il compenso?”, “Cosa succede se supero la soglia esente?”, “Come dimostrare la natura dilettantistica di una società sportiva in un accertamento?”); alcune tabelle riassuntive; ed infine delle simulazioni pratiche di casi reali che aiuteranno a calare i principi nel concreto (ad esempio: il caso di un atleta professionista con compensi non dichiarati, il caso di una SSD che opera come palestra commerciale sotto mentite spoglie dilettantistiche, ecc.).
Procediamo dunque a inquadrare la materia partendo dalle fondamenta normative.
Normativa di riferimento in materia di compensi sportivi
Per capire come difendersi da contestazioni di omissione di compensi sportivi, occorre anzitutto conoscere quali norme regolano i compensi nello sport in Italia. Bisogna distinguere fra sport professionistico e sport dilettantistico, poiché il regime giuridico e fiscale varia sensibilmente. Inoltre, recenti riforme (in particolare il D.Lgs. 36/2021, attuativo della “Riforma dello Sport”) hanno modificato il quadro normativo dal 2023 in poi, introducendo nuove categorie di “lavoratori sportivi” e nuovi tetti di esenzione fiscale. In questa sezione esamineremo:
- La definizione di sportivi professionisti vs dilettanti e le implicazioni giuridiche.
- La disciplina fiscale ante riforma 2023 (compensi sportivi dilettantistici come “redditi diversi” ex art. 67 TUIR, soglia esente 10.000 €) e post riforma (soglia esente 15.000 €, inquadramento come redditi di lavoro).
- Gli obblighi contributivi (prima e dopo la riforma).
- Gli adempimenti dichiarativi e contabili per associazioni/società sportive (Legge 398/1991, opzione per regime agevolato, obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi, ecc.).
Sport professionistico vs sport dilettantistico: definizioni normative
In Italia, la differenza tra sport professionistico e dilettantistico non è solo lessicale, ma giuridica. La Legge 23 marzo 1981 n.91 regola il rapporto di lavoro dei sportivi professionisti, stabilendo che un atleta è considerato “professionista” solo se così qualificato dalla federazione sportiva nazionale di riferimento (previa approvazione del CONI) e se stipula con la società sportiva un contratto di lavoro (tipicamente di natura dipendente) . Non tutti gli sport in Italia hanno categorie professionistiche riconosciute: ad esempio, calcio (serie A, B, etc.), basket (LBA), ciclismo, golf e pochi altri sport prevedono atleti professionisti ai sensi di tale legge.
Tutti gli altri atleti e operatori sportivi sono formalmente “dilettanti” anche quando percepiscono compensi. Il regime dilettantistico è tradizionalmente associato allo sport di base e non-profit: associazioni sportive dilettantistiche (ASD) o società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro (SSD) in cui atleti, allenatori, istruttori e dirigenti svolgono attività sportiva non come occupazione principale lucrativa, ma per passione o finalità sociali. Per decenni, l’ordinamento italiano ha previsto agevolazioni fiscali proprio per incentivare lo sport dilettantistico: ai compensi percepiti in tale ambito è stato applicato un trattamento di favore, differenziato rispetto ai normali redditi da lavoro.
Va però sottolineato che “dilettante” non è sinonimo di “volontario”: anche in assenza di professionalità formale, un atleta/istruttore può percepire somme anche significative. È qui che nascono spesso le problematiche: quando un reddito da attività sportiva dilettantistica deve essere considerato fiscalmente come tale (agevolato) e quando invece va trattato come reddito di lavoro a tutti gli effetti? E inoltre, quando un’associazione dilettantistica si spinge oltre i limiti e di fatto opera come un’impresa commerciale? Le risposte si trovano in parte nella normativa (es. art. 67 TUIR, D.Lgs. 36/2021) e in parte nella giurisprudenza che ne ha precisato l’interpretazione.
Evoluzione normativa recente: la Riforma dello Sport (D.Lgs. 36/2021 e succ.)
Al fine di comprendere l’attuale disciplina, è utile fare un confronto tra prima e dopo la recente riforma. Fino al 30 giugno 2023, il riferimento chiave era l’art. 67, co.1, lett. m) del TUIR (DPR 917/1986), secondo cui si consideravano “redditi diversi” (non classificati come lavoro dipendente né autonomo) i compensi erogati, per prestazioni di natura non professionale nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche, da CONI, federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva e altri organismi riconosciuti a fini sportivi . In pratica rientravano qui i gettoni pagati ad allenatori, istruttori, atleti dilettanti, arbitri, direttori tecnici, ecc., purché l’attività non fosse professionale. Questa disposizione prevedeva una soglia di esenzione fiscale: tali compensi erano esenti da IRPEF fino a un importo annuo (limite che era €7.500 per molti anni, poi alzato a €10.000). Oltre tale soglia, la parte eccedente diventava imponibile. Inoltre, su tali redditi entro la soglia non erano dovuti contributi previdenziali, né ritenute d’acconto.
Dal 1° luglio 2023, la situazione è cambiata per effetto dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 28 febbraio 2021 n.36 (come modificato da successivi decreti correttivi). La riforma ha introdotto la figura unitaria di “lavoratore sportivo”, comprendente sia i professionisti sia – per la prima volta – i dilettanti retribuiti. L’art. 25 del D.Lgs. 36/2021 definisce lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, il preparatore, il direttore tecnico, il giudice di gara ed ogni altro tesserato che svolge mansioni necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, indipendentemente dal dilettantismo o professionalità. Questo ha comportato il superamento della vecchia impostazione per cui i dilettanti pagati non erano lavoratori: ora lo sono, e i loro compensi sono considerati redditi di lavoro (dipendente, co.co.co o autonomo a seconda dei casi) anziché redditi diversi. Tuttavia, la riforma ha mantenuto un trattamento fiscale agevolato sotto forma di franchigia: l’art. 36, comma 6 del D.Lgs. 36/2021 stabilisce infatti che «i compensi di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all’importo complessivo annuo di euro 15.000,00» . In altri termini, un istruttore o atleta dilettante che percepisce fino a 15.000 € lordi all’anno non paga IRPEF su tali somme e non subisce ritenute, poiché quel reddito non entra proprio nel calcolo del suo imponibile. È una franchigia fiscale molto più ampia del passato (15mila euro contro i precedenti 10mila) che punta a tutelare e agevolare i lavoratori sportivi non professionisti e le associazioni che li ingaggiano . Superata questa soglia, la parte eccedente diviene tassabile secondo le regole ordinarie (come reddito di lavoro dipendente o autonomo a seconda della natura del rapporto).
Accanto alla franchigia fiscale, la riforma introduce anche l’obbligo per il percipiente di rilasciare un’autocertificazione all’atto del pagamento, dichiarando quanti compensi sportivi ha già percepito nell’anno in corso . Questo serve a monitorare il cumulo dei compensi esenti: se Tizio allena per due ASD diverse, ognuna deve sapere quanto Tizio ha già incassato dall’altra, per applicare correttamente l’esenzione fino a 15k totale. In caso di superamento, il datore sportivo dovrà iniziare ad applicare la ritenuta fiscale sulla quota eccedente. Sul punto è intervenuto anche un interpello recente dell’Agenzia delle Entrate (Interpello n. 474/2023), che ha confermato la non imponibilità fino a 15.000 € e la procedura di autocertificazione .
Infine, la riforma ha abrogato dal 2023 la norma dell’art. 67, co.1 lett. m) TUIR. Pertanto i vecchi “compensi sportivi dilettantistici” come redditi diversi non esistono più per i pagamenti effettuati dal 1/7/2023 in avanti . Ora si parla di redditi da lavoro sportivo. In sostanza: prima (fino a giugno 2023) i compensi dilettantistici erano “redditi diversi” esenti fino a 10k; oggi sono redditi di lavoro esenti fino a 15k, con obbligo di certificazione e inquadramento contrattuale corretto (co.co.co sportivo, lavoro dipendente, partita IVA, ecc.) . Questa evoluzione riduce le aree grigie, ma richiede agli operatori di adeguarsi.
Per lo sport professionistico, invece, non ci sono franchigie né esenzioni particolari (salvo alcune agevolazioni come il regime dei cd. “impatriati” per atleti che trasferiscono la residenza in Italia, o casi specifici); i contratti sono di norma di lavoro dipendente (atleti professionisti, allenatori di club pro) e i compensi sono tassati integralmente come tali. Nel contesto professionistico, l’“omissione di compensi” in genere assume la forma di sottrazione al Fisco di parte degli importi dovuti, mediante stratagemmi contrattuali o omissione di dichiarazione: ad esempio pagamenti “fuori busta”, compensi accessori non dichiarati, o benefici dati al giocatore senza essere riportati come reddito (si pensi ai compensi ad agenti pagati dal club per conto del calciatore, ritenuti fringe benefit imponibili secondo la Cassazione ). Affronteremo queste casistiche più avanti.
Obblighi previdenziali: versamento dei contributi
Un ulteriore profilo normativo cruciale è quello previdenziale. In passato, i compensi sportivi dilettantistici entro la soglia esente erano esclusi sia da imposizione fiscale che contributiva (non venivano versati contributi INPS né premi INAIL). Questa esclusione contribuiva al risparmio di costi per le ASD, ma ha anche generato situazioni di abuso, con collaboratori trattati come “dilettanti” per evitare oneri. La Riforma dello Sport ha modificato anche questo aspetto, introducendo l’obbligo contributivo per i lavoratori sportivi dilettanti, seppur con agevolazioni.
Dal 1° luglio 2023, infatti, i redditi da lavoro sportivo dilettantistico sono soggetti a contribuzione previdenziale oltre una soglia annua di €5.000 (come previsto dall’art. 35, co. 2 D.Lgs. 36/2021). In pratica: fino a 5.000 € annui cumulati, il lavoratore sportivo non è soggetto a contributi INPS (né il collaboratore né l’ente devono versarli) . Oltre tale importo, invece, scatta l’obbligo contributivo sulle somme eccedenti. I collaboratori sportivi dilettanti rientrano generalmente nella Gestione Separata INPS (se non sono lavoratori dipendenti) con aliquote contributive stabilite di anno in anno (nel 2025 l’aliquota gestione separata per i co.co.co sportivi è confermata, al netto di agevolazioni transitorie ). È previsto un regime agevolato transitorio: fino al 31/12/2027, i contributi sono dovuti in misura ridotta del 50% (art. 35, co. 8-ter D.Lgs. 36/2021) . Questo per attenuare l’impatto della riforma sul piano dei costi previdenziali.
Facciamo un esempio per chiarire: un istruttore di nuoto percepisce 8.000 € nel 2024 da una ASD. Fino a 5.000 € non c’è contributo; sui restanti 3.000 €, invece, la ASD dovrà versare contributi Inps (aliquota piena o eventualmente dimezzata per il periodo transitorio) e l’istruttore sarà iscritto alla gestione separata per quell’anno. Se invece l’istruttore collabora con due ASD percependo 5.000 € da ciascuna (totale 10.000 €), i compensi si cumulano: superando i 5.000 complessivi, scatterà l’obbligo contributivo. In tal caso, ciascuna ASD dovrà versare la propria quota di contributi in proporzione: ad esempio, non appena l’istruttore supera i 5.000 € totali, l’ASD il cui pagamento ha fatto eccedere la soglia dovrà iniziare i versamenti contributivi per quell’istruttore . Ciò impone coordinamento e conoscenza del cumulo: ecco perché la normativa richiede l’autocertificazione anche ai fini previdenziali.
Da notare che restano esclusi dalla qualifica di “lavoratore sportivo” e quindi fuori da questi obblighi contributivi alcuni soggetti che svolgono attività collaterali (es. addetti alle pulizie impianti, manutentori campi, personale di segreteria non sportivo): costoro, se pagati, non beneficiano delle esenzioni sportive e vanno inquadrati secondo le regole ordinarie (spesso come dipendenti part-time o collaboratori amministrativi) .
Riassumendo: prima della riforma, un’ASD poteva pagare un istruttore fino a 10.000 € annui senza tasse né contributi; oggi può pagargli fino a 15.000 € senza tasse e fino a 5.000 € senza contributi, ma oltre queste soglie dovrà attivarsi (applicare ritenute fiscali, versare contributi). Questo nuovo scenario mira a dare tutele previdenziali ai lavoratori sportivi (che in passato potevano avere anni di lavoro “invisibile” ai fini pensionistici), ma pone anche nuove responsabilità in capo alle ASD/SSD, il cui mancato rispetto può condurre a contestazioni dall’INPS.
Adempimenti fiscali e contabili per ASD/SSD: la trasparenza è d’obbligo
Un ulteriore pezzo del puzzle normativo riguarda gli obblighi dichiarativi e contabili delle associazioni e società sportive dilettantistiche. Molte contestazioni di omissione di compensi nascono infatti da verifiche fiscali sulle ASD/SSD che sfruttano regimi agevolati. La normativa fiscale riconosceva alle ASD e SSD senza scopo di lucro diverse agevolazioni, tra cui: l’esonero da IRES sui proventi istituzionali (quote associative, contributi dei tesserati) e la possibilità di optare per il regime forfettario L.398/1991 per i proventi commerciali (pagando imposte su una base ridotta mediante coefficienti). Tuttavia, tali benefici sono subordinati al rispetto di requisiti formali e sostanziali precisi (assenza di scopo di lucro, limiti di ricavi commerciali annui – ad es. €250.000 per la 398/91 – e clausole statutarie, ecc.).
Un punto cruciale da evidenziare – anche alla luce di recenti pronunce – è che beneficiare di un regime agevolato non esonera dall’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali. Alcune associazioni sportive, confidando che tutti i loro introiti fossero de-commercializzati (cioè non imponibili perché da attività istituzionale o entro soglie), ritenevano di non dover presentare la dichiarazione dei redditi. Questa interpretazione è stata smentita dalla Cassazione: anche le ASD/SSD in regime agevolato devono comunque presentare la dichiarazione annuale, fosse anche a zero imposte dovute . In particolare, con l’ordinanza n. 28091/2024 la Suprema Corte ha affermato che in base all’art. 1 del DPR 600/1973 “ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi posseduti anche se non ne consegue alcun debito d’imposta” . Dunque una ASD che abbia solo entrate istituzionali (quote sociali) e magari compensi sportivi pagati entro soglia (quindi niente tasse da pagare) deve comunque inviare il Modello Redditi dichiarando tali somme come esenti/agevolate. Se omette di farlo, l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente procedere ad accertamento induttivo e contestare la violazione (omessa dichiarazione), come è avvenuto in quel caso – relativo a un’ASD che aveva fatturato attività pubblicitarie a una srl senza poi presentare dichiarazione dei redditi, subendo quindi un accertamento e la conferma in Cassazione .
Inoltre, resta ferma la regola che per fruire della 398/1991 (regime forfettario) occorre averne fatto opzione (tramite comunicazione alla SIAE o comportamento concludente in dichiarazione IVA) e rispettarne i limiti. Se un ente omette l’opzione e/o sfora i limiti di ricavi (€250.000 annui, ora innalzati a €400.000 dal 2023 per gli ETS ma per le ASD occorre verifica normativa aggiornata), perde il regime e doveva passare alla contabilità ordinaria dal mese successivo al superamento . La Cassazione penale n. 38800/2024, che vedremo tra poco, ha sottolineato proprio come indizio di evasione il fatto che una SSD non avesse mai manifestato l’opzione 398/91 né inviato comunicazione, né tenuto contabilità conforme .
In sintesi, la normativa impone trasparenza: dichiarare sempre, tenere le scritture contabili, conservare documentazione di entrate e uscite, certificare i compensi erogati (es. tramite ricevute o CU), rispettare i confini tra attività istituzionale e attività commerciale. La forma giuridica dilettantistica non è un mantello che rende invisibili al Fisco; se dietro c’è sostanza commerciale, le autorità lo possono rilevare e trattare l’ente alla stregua di un’impresa. A livello normativo, già l’art. 148 TUIR e l’art. 4 DPR 633/72 (IVA) indicano che le entrate verso pagamenti di soci/tesserati per attività istituzionali sono decommercializzate, ma solo se lo statuto contiene le clausole di legge e se l’attività è effettivamente svolta senza fine di lucro . La Cassazione ha più volte ribadito che ciò che conta è l’effettiva assenza di scopo di lucro e la modalità operativa, non la forma scelta .
Dopo questo quadro normativo, possiamo già intuire in quali situazioni tipiche si configura un’“omissione di compensi” contestata dal Fisco o da altri enti: – Un’atleta o allenatore non dichiara un compenso percepito (perché crede fosse esente, o perché il club non gliel’ha certificato, o per dolo). – Una ASD non inserisce in dichiarazione alcuni proventi (perché li riteneva istituzionali ma magari non lo erano integralmente, oppure non presenta affatto la dichiarazione). – Un club o associazione non versa ritenute o contributi su compensi che invece avrebbero dovuto esservi assoggettati (ad esempio perché in realtà il collaboratore sportivo svolgeva lavoro dipendente mascherato).
Nei prossimi capitoli affronteremo queste situazioni dal punto di vista delle conseguenze (fiscali, contributive, penali) e delle possibili difese.
Profili fiscali: omissione di compensi e sanzioni tributarie
In ambito fiscale, l’omissione di compensi sportivi può configurare diverse violazioni. A seconda della gravità e dell’entità, si va da illeciti amministrativi tributari (sanzioni pecuniarie per dichiarazione infedele o omessa) fino a reati tributari punibili penalmente (come l’omessa dichiarazione ai sensi del D.Lgs. 74/2000). In questa sezione analizzeremo:
- Accertamenti dell’Agenzia delle Entrate: come emergono le omissioni (controlli incrociati, verifiche presso società sportive, ispezioni della Guardia di Finanza) e cosa può contestare il Fisco.
- Sanzioni amministrative tributarie: previste dal D.Lgs. 471/1997 in caso di omessa o infedele dichiarazione di redditi.
- Reati tributari applicabili: in particolare l’omessa dichiarazione (art.5 D.Lgs. 74/2000) e la dichiarazione infedele (art.4), e in alcuni casi l’omesso versamento di ritenute (art.10-bis) o l’emissione di fatture per operazioni inesistenti se utilizzate per nascondere compensi (meno comune nello sport).
- Giurisprudenza recente: vedremo come le corti si sono pronunciate in casi concreti (ad es. il caso della SSD qualificata come ente commerciale e condannata per omessa dichiarazione ; il caso del calciatore che non aveva dichiarato un fringe benefit e ha subito sanzioni ; altri casi di ASD che hanno perso le agevolazioni per abuso).
- Come difendersi sul piano fiscale: gli strumenti a disposizione del contribuente per ridurre le sanzioni o evitare il penale (ravvedimento operoso, accertamento con adesione, prove a discarico, ecc.).
Verifiche fiscali e contestazioni tipiche
Le contestazioni fiscali relative ai compensi sportivi possono sorgere in vari modi. L’Agenzia delle Entrate dispone oggi di numerosi mezzi di controllo incrociato: ad esempio, attraverso le Certificazioni Uniche (CU) inviate dalle società/associazioni, può individuare soggetti che hanno percepito compensi e verificare se li hanno dichiarati. Se una ASD non invia le CU o non dichiara affatto i compensi erogati, è già un campanello d’allarme. Inoltre, tramite lo spesometro, la fatturazione elettronica, i movimenti bancari, l’anagrafe delle ONLUS/ASD, l’Agenzia può rilevare entrate commerciali non dichiarate. La Guardia di Finanza, specie tramite i Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria, effettua controlli mirati nel settore sportivo, talvolta in collaborazione con il CONI o la Federazione: ad esempio ha facoltà di presentarsi presso una palestra ASD e controllare i registri dei soci, le ricevute emesse, i contratti con istruttori, etc., per verificare se la gestione è in linea con la qualifica dilettantistica o se si nasconde un’attività lucrativa. Dalle verifiche possono emergere vari rilievi fiscali, ad esempio: compensi a istruttori non registrati ufficialmente, pagamenti in contanti non tracciati, presenza di clientela non associata (il che implica che i corrispettivi andavano tassati), o ancora mancata emissione di fatture per attività commerciali come pubblicità o sponsor.
Un caso esemplare è stato quello deciso dalla Cassazione Penale nel 2024: una SSD (società sportiva dilettantistica) che gestiva una palestra era stata posta sotto accertamento fiscale. La GdF e l’Agenzia Entrate hanno raccolto una “serie di indizi” che provavano come, al di là dell’etichetta sportiva, la SSD operasse in realtà come un normale centro fitness commerciale . Tra gli elementi citati: l’ente non aveva mai svolto attività sportiva dilettantistica vera (corsi per giovani, partecipazione a gare, ecc.), ma solo gestione continuativa di una palestra con clienti; non aveva optato per il regime 398/91 né tenuto contabilità; usava badge per ingressi e forniva servizi tipici di un’impresa; emetteva ricevute non intestate ai soci (dunque aperto al pubblico) . Tutto ciò ha portato a qualificare la SSD come ente commerciale di fatto, facendo decadere le agevolazioni fiscali e configurando un’evasione d’imposta rilevante. La Cassazione n.38800/2024 ha confermato la condanna del legale rappresentante per omessa dichiarazione ex art.5 D.Lgs. 74/2000 , con la motivazione che l’ente, agendo di fatto come commerciale, aveva l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi e dichiarare i proventi – cosa non fatta – e che l’aver assunto la veste giuridica sportiva dilettantistica era solo un mezzo per accedere indebitamente a un regime fiscale di favore . In casi così estremi, difendersi è difficile: la sostanza economica prevale sulla forma. Dal punto di vista del Fisco, una ASD/SSD che non rispetta le finalità istituzionali viene trattata come una società di capitali qualsiasi, con tutte le imposte correlate (IRES, IVA, IRAP) e l’aggiunta delle sanzioni per ciò che non ha versato negli anni.
Un’altra tipica contestazione è quella al singolo atleta o collaboratore che non ha dichiarato compensi percepiti. Un esempio significativo è l’ordinanza della Cassazione Civile n.11337/2022 relativa a un calciatore professionista. Il contesto era il seguente: un noto calciatore aveva un accordo col proprio agente per una commissione X, ma tale commissione fu pagata direttamente dal club al procuratore. L’Agenzia delle Entrate, verificando il club, sostenne che quel pagamento rappresentava un fringe benefit per il calciatore (poiché una spesa che avrebbe dovuto sostenere lui, fu invece pagata dalla società) . Di conseguenza il Fisco rideterminò il reddito imponibile del calciatore aggiungendo il valore di tale beneficio (oltre 1,2 milioni di euro) e chiese IRPEF ed addizionali relative . Inoltre comminò al calciatore la sanzione amministrativa per omessa dichiarazione di redditi ex art.1 D.Lgs. 471/1997, in quanto quel fringe benefit non era stato riportato nella sua dichiarazione . In primo grado la Commissione Tributaria diede torto all’atleta; in appello invece fu accolta la sua tesi: i giudici regionali ritennero che, avendo il club poi sanato la sua posizione pagando le imposte come sostituto, il calciatore non dovesse nulla, e inoltre annullarono le sanzioni per omessa dichiarazione ritenendo che l’atleta potesse non essere stato a conoscenza del compenso pagato al procuratore (essendo accordo tra club e agente) . La Cassazione tuttavia ha ribaltato questa visione: ha affermato due principi importanti: (1) il soggetto passivo d’imposta resta l’atleta-lavoratore, anche se il club (sostituto) poi versa l’imposta, quindi l’obbligo di dichiarare quel reddito in capo al calciatore sussisteva comunque ; (2) la pretesa ignoranza del calciatore sul beneficio ricevuto non è una scusa accettabile “simpliciter” – anzi è onere del contribuente provare l’eventuale mancanza di consapevolezza, e nel caso specifico pareva improbabile che egli non sapesse affatto che il club gli stava facendo tale favore (pagando il suo agente) . Inoltre, chiarisce la Corte, la sanzione per omessa dichiarazione di redditi colpisce il contribuente anche in caso di mera colpa (non serve dolo) . Il fatto che il club non avesse inviato al calciatore il modello CUD con indicato quel compenso non esenta da responsabilità . Dunque l’Agenzia ha titolo per sanzionare l’atleta per il reddito non dichiarato, benché poi le imposte siano state recuperate dal club. Questo caso evidenzia come un singolo atleta può trovarsi debitore verso il Fisco di sanzioni (e potenzialmente di imposte, interessi) su componenti reddituali che magari non aveva chiaramente percepito come tali. La difesa “non lo sapevo” è debole, a meno di provare una totale estraneità e buona fede, cosa molto difficile.
Ulteriori contestazioni tipiche: – Compensi a sportivi esteri non tassati: ad esempio, se una società italiana paga un giocatore straniero non residente per una prestazione in Italia, dovrebbe applicare la ritenuta a titolo d’imposta (tipicamente il 30% sul 70% del compenso per sportivi non residenti, ex art. 25 DPR 600/73). La mancata applicazione può portare a sanzioni per il club e il recupero dell’imposta. – Indebita detassazione di compensi con partita IVA: come già accennato, la giurisprudenza ha negato il regime esente ai collaboratori che hanno P.IVA nello stesso settore. Se un istruttore con P.IVA da personal trainer ha ricevuto 9.000 € da un’ASD come “compenso sportivo dilettantistico” esente, l’Agenzia può requalificarlo come reddito professionale imponibile, con IVA e ritenute da applicare. Le corti d’appello e Cassazione hanno sancito che un contribuente che esercita professionalmente attività sportiva (anche solo con P.IVA, attività abituale) non può parallelamente percepire compensi dilettantistici esentasse nello stesso ambito . Deve fatturare tali prestazioni. Ad esempio: maestro di golf con P.IVA che insegna anche in una ASD nel weekend deve emettere fattura; mentre un idraulico (P.IVA estranea allo sport) che allena in ASD può ricevere compenso esente . Se questo principio viene violato, il Fisco può contestare l’omessa fatturazione e dichiarazione di quei compensi, con recupero dell’IVA e delle imposte evase, più sanzioni.
- Premi sportivi non dichiarati: in ambito dilettantistico, oltre ai compensi per lavoro sportivo, esistono i premi per risultati sportivi (es. premio in denaro al vincitore di una gara nazionale). La normativa post-riforma (art. 36, co.6-quater D.Lgs 36/2021) ha previsto che tali premi, se corrisposti da federazioni/enti sportivi, siano soggetti a ritenuta del 20% a titolo d’imposta, equiparandoli ai premi per manifestazioni sportive non legate a un rapporto di lavoro. L’Agenzia Entrate nella risposta a interpello n. 9/2025 ha chiarito che alcune tipologie di premi agli atleti e tecnici non costituiscono compenso sinallagmatico (non sono pagamento di una prestazione lavorativa) e ricadono appunto in questo regime particolare con ritenuta 20% . Pertanto, se un atleta dilettante riceve un premio da 3.000 € per una gara, quell’importo non va nella franchigia dei 15.000 (perché non è corrispettivo di lavoro sportivo, ma premio), tuttavia è tassato alla fonte con imposta sostitutiva. Un errore comune potrebbe essere non dichiarare tali premi credendo che rientrino nei 15k esenti: ciò sarebbe un’omissione, perché se il premio non è considerato reddito esente da art.36 (in quanto premio e non compenso di lavoro), la sua omessa dichiarazione comporta sanzioni. Il consiglio è quindi di verificare la natura delle somme percepite: compenso di lavoro sportivo vs premio vs rimborso spese, perché il trattamento fiscale differisce.
Riassumendo, dal lato Agenzia Entrate le omissioni di compensi sportivi vengono perseguite in vari modi: avvisi di accertamento con recupero delle imposte non pagate, sanzioni amministrative, e segnalazione all’autorità giudiziaria se si configurano soglie penalmente rilevanti. Vediamo ora nel dettaglio quali sanzioni e reati entrano in gioco.
Sanzioni tributarie amministrative (D.Lgs. 471/1997)
Quando il Fisco accerta che un contribuente non ha dichiarato redditi da compensi sportivi dovuti, scattano innanzitutto le sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n.471/1997 (violazioni degli obblighi relativi alle imposte dirette e IVA). Le ipotesi più pertinenti sono due:
- Dichiarazione infedele (art.1, comma 2, D.Lgs. 471/97): si ha quando il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi ma omette di indicare redditi imponibili o indica indebite detrazioni, con una differenza d’imposta dovuta superiore a determinate soglie (in generale, se l’imposta evasa > €5.000 e > 10% dell’imposta dichiarata, oppure redditi non dichiarati > 10% del totale o oltre €2 milioni). In caso di dichiarazione infedele si applica una sanzione pecuniaria dal 90% al 180% dell’imposta evasa . Ad esempio, se una ASD ha presentato Unico indicando solo i redditi decommercializzati ma omettendo di dichiarare €50.000 di ricavi pubblicitari tassabili (evasione ipotesi di 12.000 € di imposta), verrà accertata l’imposta dovuta più una sanzione attorno al 100% di 12.000, quindi circa altri 12.000 € (oltre interessi). La sanzione può aumentare in caso di aggravanti (p.es. mancata tenuta scritture) o ridursi col cumulo giuridico. Se invece l’omissione è di modesta entità (sotto soglie), potrebbe configurarsi dichiarazione infedele “sotto soglia” sanzionata comunque (in teoria sarebbe il 90-180% dell’imposta non dichiarata anche se minima).
- Omessa dichiarazione (art.1, comma 1, D.Lgs. 471/97): si ha quando il contribuente non presenta affatto la dichiarazione pur essendovi obbligato. È il caso più grave dal punto di vista amministrativo. La sanzione prevista è dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (con un minimo di €250) . Se però non c’era imposta dovuta (dichiarazione a zero comunque obbligatoria), si applica la sanzione fissa da €250 a €1.000 (che raddoppia se il ritardo supera 90 giorni). Per una ASD che abbia omesso di dichiarare credendo di avere solo redditi esenti, la Cassazione ha confermato che l’obbligo dichiarativo permane . In tale circostanza, formalmente l’ente è sanzionabile per omessa dichiarazione (minimo 250 €) anche se di per sé non aveva imposte da versare – ma spesso l’Agenzia contesta anche che qualche reddito imponibile in realtà c’era, facendo scattare sanzioni ben più alte. Nel caso della SSD condannata per reato (Cass. 38800/2024), a livello amministrativo avrà subito la sanzione 120-240% sull’imposta evasa (parecchie decine di migliaia di euro, vista l’attività quinquennale non dichiarata) in aggiunta alle sanzioni penali.
- Omesso versamento di ritenute certificate (art.2 D.Lgs 471/97): se una società ha operato ritenute sui compensi ma poi non le ha versate nei termini, c’è una sanzione amministrativa del 30% di ogni importo non versato. Questo però presuppone che la ritenuta fosse stata certificata e non versata. Nel nostro contesto, ciò può accadere se, ad esempio, una SSD aveva pagato compensi eccedenti la soglia e fatto da sostituto d’imposta trattenendo l’IRPEF sui 5.000 € eccedenti, ma poi dimentica di versarla. È un caso più tecnico, che può essere sanato con ravvedimento se tempestivo.
- Altre sanzioni: omessa/irregolare tenuta delle scritture contabili (art.9bis D.Lgs 471/97), applicabile se la legge lo richiede (per ASD in 398 si richiede almeno un registro incassi e pagamenti). Oppure sanzioni IVA se l’associazione ha compiuto operazioni commerciali senza fatturarle (sanzione dal 90% al 180% dell’IVA evasa). Ad es., se un’ASD non ha fatturato le sponsorizzazioni incassate, le sarà contestata IVA evasa + sanzione, oltre all’IRES sui proventi.
Le sanzioni tributarie amministrative possono essere ridotte tramite lo strumento del ravvedimento operoso (se il contribuente spontaneamente corregge l’errore prima di essere accertato) o in sede di accertamento con adesione (riduzione a 1/3) o acquiescenza (rid. a 1/3) o conciliazione giudiziale (riduzione variabile) – tutti strumenti deflattivi utili nella fase difensiva. Ad esempio, se un atleta si accorge di non aver dichiarato un compenso del 2024, prima che parta un controllo può presentare una dichiarazione integrativa versando la maggiore imposta e la sanzione ridotta (a seconda di quanto ritardo, potrebbe pagare il 15% anziché 90%, se entro un anno). Ciò consente di evitare il grosso delle penalità ed escludere in radice il problema penale (il ravvedimento esclude il dolo in genere).
Nel caso dell’atleta con fringe benefit non dichiarato citato sopra, la sanzione contestata era proprio ai sensi dell’art.1 D.Lgs. 471/97 (omessa indicazione in dichiarazione) ed è stata ritenuta applicabile dalla Cassazione, salvo che l’atleta dimostri la non colpevolezza, cosa che come detto è stata negata . In quell’ordinanza i giudici hanno appunto evidenziato che la carenza dell’elemento psicologico (dolo/colpa) non può essere supposta ma deve essere provata dal contribuente . Questo per dire che, a livello amministrativo, l’onere di provare la buona fede in casi di omissioni è molto elevato: generalmente la sanzione pecuniaria si applica quantomeno per colpa (negligenza).
Profili fiscali penali: le sanzioni amministrative non escludono che, se l’importo evaso supera certe soglie, scatti anche il procedimento penale. Analizziamo quindi i reati tributari rilevanti.
Reati tributari applicabili (D.Lgs. 74/2000)
In materia di imposte dirette, i possibili reati connessi all’omissione di compensi sportivi sono principalmente due: l’omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) e la dichiarazione infedele (art. 4). A questi potrebbe aggiungersi l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis) nel caso in cui una società sportiva trattenga IRPEF sui compensi ma non la versi al Fisco.
Vediamoli singolarmente:
- Omessa dichiarazione (art. 5): è il reato commesso da chi, obbligato a presentare la dichiarazione annuale dei redditi (o IVA), non la presenta affatto, al fine di evadere le imposte. Scatta se l’imposta evasa supera €50.000. La pena prevista (aggiornata dal D.Lgs. 158/2015 e ritoccata di recente) è la reclusione da 2 a 5 anni. Questo reato è esattamente quello contestato nei casi di ASD/SSD che non presentano dichiarazione ritenendo di essere esentate. Ad esempio, la SSD del caso Cass. 38800/2024 è stata condannata per omessa dichiarazione in sede penale, avendo superato la soglia (gestendo di fatto un’attività commerciale con decine di migliaia di euro di imposte evase) . Per integrare il reato, è necessario l’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione: cioè l’intento di non presentare per non pagare le imposte. La difesa tipica in questi casi è tentare di provare l’assenza di dolo (es. “eravamo convinti in buona fede di non doverla presentare”). Tuttavia, come visto, la Cassazione è poco incline a giustificare chi – specie se assistito da professionisti – omette completamente la dichiarazione: la regola “dichiara comunque i redditi anche se esenti” era ed è scritta in legge . Solo in situazioni di incertezza normativa oggettiva o di errore inevitabile sul fatto si potrebbe ottenere una non punibilità. Un esempio: una ASD potrebbe sostenere di essersi basata su un parere (sbagliato) di un professionista o su un’interpretazione giurisprudenziale poi superata; oppure che la soglia di imponibilità era incerta. Nel 2021 la Cassazione 35977/2021 discusse se i proventi da iscrizioni ad attività sportive fossero decommercializzati: se in quel caso si fosse stabilito che l’ASD poteva legittimamente considerarli esenti, allora l’omessa dichiarazione non avrebbe comportato reato. In quella sentenza infatti si parlava di “ipotesi di esclusione del reato” in base alla natura delle entrate . Dunque, provare che non vi era obbligo di dichiarare perché davvero nessun reddito imponibile sussisteva (tutto decommercializzato in base ai requisiti) potrebbe evitare la condanna. Ma attenzione: se poi i giudici appurano che i requisiti non c’erano, scatta il penale.
- Dichiarazione infedele (art. 4): è il reato di chi presenta la dichiarazione dei redditi ma occulta una parte di imposta evadendo > €100.000 di imposta o > €2 milioni di base imponibile non dichiarata. È punita con reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi. Potrebbe applicarsi se, ad esempio, una società sportiva presenta la dichiarazione indicando solo i proventi istituzionali e omettendo €3 milioni di ricavi commerciali (evasione ipotetica di €800k IRPEG): ecco, in tal caso se i numeri superano le soglie, è dichiarazione infedele. Nei contesti sportivi dilettantistici, il più delle volte chi evade tanto non presenta proprio nulla (quindi art.5). Però un caso possibile: una SSD presenta dichiarazione mostrando reddito imponibile modesto, ma grazie a false fatturazioni (es. spese finte per alzare costi) riduce l’utile imponibile evadendo >100k di IRES – sarebbe dichiarazione infedele (o addirittura dichiarazione fraudolenta se usa fatture false art.2, ma entriamo in ipotesi meno comuni legate a frodi organizzate). Per il nostro discorso, la dichiarazione infedele può essere contestata anche a un atleta persona fisica se avesse occultato molti redditi (ma di solito il singolo atleta non supera 2 milioni di imponibile non dichiarato, a meno di superstar con redditi esteri non dichiarati etc.). L’elemento soggettivo è il dolo specifico di evadere. La difesa qui può puntare sul dire che l’errore dichiarativo è stato dovuto a negligenza (ma la Cassazione in materia tributaria tende a considerare comunque dolo se l’entità è rilevante e non c’è giustificazione plausibile). Tuttavia, se uno riesce a far qualificare la condotta come colposa e non dolosa (es. errore contabile grave ma non volontà di frodare), allora il penale non sussiste (perché i reati tributari richiedono il dolo).
- Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis): questo reato si configura se un sostituto d’imposta non versa, entro il termine previsto (di solito il 16 del mese successivo), ritenute su redditi di lavoro dipendente/assimilato per un ammontare > €150.000 annui. È punito con reclusione 6 mesi – 2 anni. Nel contesto sportivo, potrebbe riguardare un club professionistico che ometta di versare le ritenute IRPEF sulle retribuzioni degli atleti (superando 150k, il che è possibile in club di alto livello). Più raramente coinvolge dilettanti, perché sotto 15k non ci sono ritenute, sopra 15k se le applicano e non le versano e superano 150k (poco probabile in una ASD di piccole dimensioni, ma una federazione o una grande società dilettantistica forse potrebbe accumulare importi). Un esempio di borderline: un’associazione che ha un monte compensi elevato, trattiene la ritenuta del 23% sulla quota eccedente 15k per molti collaboratori e poi per crisi di liquidità non versa nulla: se il totale ritenute non versate eccede 150k in un anno, è penale. La difesa qui è spesso dimostrare che le ritenute non furono certificate (es. se non fecero le CU, l’accusa di art.10-bis può essere esclusa perché la norma parla di “dovute o certificate”) oppure sotto soglia. Nel contesto della domanda, questo reato non è centrale, ma va citato per completezza tra i rischi per un dirigente sportivo.
Inoltre, un dirigente di ASD potrebbe rischiare l’responsabilità per indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) se la sua associazione ha preso contributi pubblici dichiarando il falso (ad es. dichiarando di non avere dipendenti o di rispettare le norme fiscali). Questo esula un po’ dal tema “compensi sportivi”, ma se la contestazione è a 360 gradi potrebbero emergere danni erariali (Corte dei Conti) per omessa contribuzione, ecc.
Giurisprudenza rilevante sui reati tributari in ambito sportivo: abbiamo già menzionato Cass. 38800/2024 (omessa dichiarazione penale); val la pena ricordare anche Cass. Pen. 41742/2018 che in passato condannò i gestori di un circolo sportivo per dichiarazione fraudolenta, avendo usato fatture false per creare costi fittizi e ridurre gli utili tassabili – dimostrando che il Fisco può colpire anche condotte più sofisticate di evasione nel mondo sportivo. E Cass. Pen. 499/2020 su un dirigente di associazione sportiva “di comodo” che era stata ritenuta responsabile di reati fiscali come ente commerciale. Insomma, esiste un filone giurisprudenziale robusto su ASD come schermo per evadere: i giudici valutano caso per caso ma con severità, specie quando vedono un intento elusivo sistematico.
Un altro ambito da citare è la giustizia sportiva o contabile: ad esempio, se l’atleta è un militare e percepisce compensi extra non autorizzati, la Corte dei Conti ha ritenuto sussistere responsabilità erariale e obbligo di restituzione (una vicenda riguardante un finanziere-atleta condannato a restituire premi in denaro non versati all’amministrazione) . Questo però esula dal fisco strettamente detto e attiene alle regole sui dipendenti pubblici.
Come difendersi: strumenti e strategie sul piano fiscale
Di fronte a una contestazione fiscale per omissione di compensi, il contribuente (sia esso atleta, dirigente o società sportiva) ha a disposizione varie leve difensive. Eccone alcune, dal punto di vista pratico:
- Ravvedimento operoso: se si interviene prima che la violazione sia contestata (o comunque entro termini utili), sanando spontaneamente la situazione, si può fruire di sanzioni ridotte e soprattutto evitare implicazioni penali. Ad esempio, una ASD che a ottobre si rende conto di non aver presentato la dichiarazione dei redditi entro il 30 giugno, può ancora rimediare entro 90 giorni (sarebbe dichiarazione tardiva non omessa) pagando una sanzione minima. Oppure un atleta che scopre di aver superato la soglia esente e non aver dichiarato la parte eccedente può presentare integrativa e pagare le imposte dovute con sanzione molto ridotta (per integrativa entro 1 anno, sanzione 1/8 del minimo, cioè ~11%). Il ravvedimento mostra buona fede e toglie spesso la base al dolo necessario per i reati.
- Accertamento con adesione o conciliazione: se è già arrivato un avviso di accertamento, si può cercare un accordo con l’Agenzia Entrate. L’adesione comporta abbattimento delle sanzioni ad 1/3 del minimo. Ciò può essere conveniente per chi vuole chiudere velocemente. Ad esempio, un allenatore cui viene contestato €5.000 di IRPEF evasa e €4.500 di sanzioni potrà con adesione chiudere pagando imposta + un 30% di sanzione (1.500 €) + interessi, risparmiando parecchio. Questo non incide direttamente sul penale (che fa il suo corso indipendentemente), ma un avvenuto pagamento del dovuto può essere un attenuante nel penale e in certi casi causa di non punibilità (nel reato di omesso versamento, se paghi interamente il debito entro la prima udienza, il reato è estinto; per omessa dichiarazione non c’è una causa analoga, ma il pagamento può mitigare la pena).
- Dimostrare la natura dilettantistica genuina: se la contestazione è “la tua ASD era in realtà commerciale, quindi dovevi dichiarare”, la difesa consisterà nel provare che l’attività era effettivamente senza scopo di lucro. Ciò implica esibire documenti e testimonianze su come veniva svolta l’attività: verbali assemblee, programmi sportivi svolti, elenco soci/tesserati, ricevute nominali, bilanci che mostrano che le entrate andavano a copertura delle spese sportive e non ad arricchire qualcuno. Bisogna smontare gli indizi addotti dal Fisco: per ciascuno spiegare una lettura alternativa. Ad esempio, nel caso Cass. 38800/2024, la difesa poteva provare di aver tenuto corsi amatoriali (contrariamente a quanto sostenuto), oppure che i partecipanti erano tutti soci con tessera, etc. Se anche uno solo degli elementi chiave cade, si può instillare il dubbio e magari ottenere una formula assolutoria. La Cassazione in quell’occasione ha detto che i singoli indizi, anche se presi singolarmente non decisivi, nel complesso hanno pesato . Quindi il difensore deve minare la coerenza di quel quadro complessivo. Onere della prova: purtroppo per l’ente, è a suo carico provare di aver diritto alle agevolazioni . Quindi occorre arrivare preparati con evidenze concrete di finalità dilettantistiche.
- Buona fede e mancanza di dolo: per evitare sanzioni penali (o amministrative in casi limite) è fondamentale dimostrare la mancanza di volontà di evasione. Nelle vicende tributarie la buona fede non sempre evita la sanzione, ma può evitare il reato. Ad esempio, se un presidente di ASD ha ricevuto pareri discordanti sul dover fare o meno la dichiarazione e ne ha seguito uno erroneo, questo può configurare errore scusabile. Portare in giudizio la testimonianza del commercialista che conferma di avergli detto di non dichiarare, può aiutare (anche se la legge in verità era chiara, convincere di un errore di diritto può essere difficile, ma non impossibile se c’era incertezza interpretativa). Nel caso del calciatore con fringe benefit, il tentativo è stato di dire “non sapeva”: Cassazione ha detto che non bastava supporre, bisognava provare e non l’ha ritenuto provato . Quindi, se veramente un atleta non era consapevole di un pagamento (es. un premio versato direttamente dalla federazione a sua insaputa), occorre documentare questa inconsapevolezza con ogni mezzo (corrispondenza, clausole contrattuali, ecc.). Comunque, anche se il penale spesso “punisce anche il furbo distratto”, sottolineare l’assenza di guadagno personale illecito e l’aver confidato in prassi diffuse può a volte portare a esiti più miti (ad es. patteggiamenti con pene basse o convertite in ammende).
- Regolarizzazioni e sanatorie: il legislatore talvolta offre chance di regolarizzazione. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 ha introdotto un “ravvedimento speciale” per dichiarazioni fino al 2021, con sanzioni ridotte a 1/18. Chi magari ha omesso redditi in passato potrebbe valutarne l’uso (scadenza 30/09/2023 per aderire, ad oggi non più attivabile se non già fatto). Oppure, se l’ASD vuole mettersi in regola per il futuro, può farlo beneficiando di eventuali definizioni agevolate (cartelle, controversie pendenti). Nel 2023-2024 c’erano varie misure di tregua fiscale, alcune applicabili anche alle ASD.
- Ruolo del difensore tributario: è importante nelle memorie difensive far leva su eventuali circolari o prassi che possano aver generato confusione. Ad esempio, una vecchia circolare del 2003 dell’Agenzia Entrate (Circ. 21/E/2003) trattava i compensi sportivi dilettantistici e potrebbe essere addotta per dire “vede, anche la circolare non era chiarissima su questo punto…”. Analogamente, indicare che la riforma 2021 è intervenuta proprio per fare chiarezza lascia intendere che prima la materia era nebulosa: questo non giustifica l’evasione, ma può far percepire che l’imputato navigava in acque non cristalline.
In conclusione, sul piano fiscale la difesa punta o a chiudere bonariamente con il Fisco riducendo i danni (se la violazione c’è stata) oppure, se si va in giudizio, a contestare nel merito i presupposti dell’accertamento (es. “questi compensi non erano imponibili perché…” oppure “non avevo obbligo di dichiarare”) e nel frattempo a evitare che si sfoci nel penale dimostrando mancanza di dolo. È fondamentale rivolgersi a professionisti esperti di diritto sportivo e tributario, perché le due materie qui si intrecciano. Un commercialista-avvocato di estrazione sportiva sa ad esempio che l’iscrizione al Registro CONI e il rispetto dei regolamenti federali sono elementi che può usare a discarico (mostrano che l’ente era attento alla forma dilettantistica).
Dopo aver analizzato i profili fiscali, passiamo ai profili contributivi e previdenziali, spesso paralleli nelle contestazioni.
Profili previdenziali e contributivi
Oltre al Fisco, anche l’INPS e l’ispettorato del lavoro possono bussare alla porta di società e associazioni sportive, contestando omissioni legate ai compensi: tipicamente, mancato versamento di contributi previdenziali per lavoratori impiegati. Questo avviene soprattutto quando rapporti formalmente qualificati come “sportivi dilettantistici” vengono riqualificati come rapporti di lavoro (subordinato o autonomo) di natura professionale. I profili previdenziali da considerare sono:
- Se un compenso sportivo era davvero escluso da contributi (es. perché entro soglia dilettantistica e genuinamente non professionale) oppure no.
- Le conseguenze dell’omissione contributiva: avvisi di addebito INPS, sanzioni civili (interessi e sanzioni da omissione contributiva), possibile responsabilità personale del legale rappresentante in caso di dolo.
- La difesa in ambito contributivo: come provare la natura dilettantistica di una prestazione per evitare di dover versare contributi, o come transigere eventuali debiti contributivi (dilazioni, condoni, etc.).
Negli ultimi anni, con l’aumento dei controlli sul lavoro sommerso, molte ASD/SSD sono state verificate dall’INPS e dagli ispettori del Ministero del Lavoro. L’esenzione contributiva per i compensi sportivi dilettantistici (prima illimitata sotto €10k, ora limitata a €5k) è stata spesso abusata. Un caso paradigmatico deciso dalla Cassazione nel 2025 (ordinanza depositata dopo camera di consiglio del 25/06/2025) ha riguardato una SSD che non aveva versato contributi per i propri istruttori sportivi e segretari sostenendo fossero esenti ex art. 67 TUIR. La Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando l’obbligo di versare i contributi previdenziali in quanto le prestazioni non erano autenticamente dilettantistiche . La Corte ha ribadito alcuni principi chiave già consolidati: – L’esenzione contributiva vale solo per prestazioni genuinamente dilettantistiche e non professionali . – Non basta che l’ente sia iscritto al CONI o che il rapporto sia chiamato “collaborazione sportiva”; occorre verificare la natura sostanziale del rapporto di lavoro e spetta alla società provarne i requisiti di dilettantismo . – In particolare, l’istruttore non deve svolgere l’attività con carattere di professionalità e continuità: se invece insegna in modo abituale, percependo compensi regolari, siamo oltre il dilettantismo . La continuità, l’osservanza di orari, la subordinazione a direttive sono indici di un vero e proprio rapporto di lavoro (subordinato o co.co.co).
Nella fattispecie, i giudici di merito avevano raccolto prove (testimonianze) che gli istruttori lavoravano con caratteristiche tipiche del lavoro subordinato (orari predeterminati, direttive da un responsabile, retribuzione fissa) . Inoltre, la stessa società impiegava personale di segreteria con contratti di collaborazione che l’INPS aveva riqualificato come lavoro subordinato . L’intero quadro indicava che la SSD stava usando in modo improprio la qualifica “sportiva dilettantistica” per evitare contributi. La Cassazione, confermando la decisione d’appello, ha escluso vizi di motivazione e dato atto che correttamente era stata valutata la professionalità soggettiva delle prestazioni (ossia il fatto che gli istruttori svolgevano quell’attività come lavoro abituale) .
Le conseguenze per la società sono state pesanti: un avviso di addebito INPS per contributi non versati su vari rapporti (gennaio 2016 – marzo 2017 nel caso di specie) , comprendente: – I contributi dovuti (quota datore e quota lavoratore) con decorrenza retroattiva. – Le cosiddette sanzioni civili da omissione contributiva, che nel sistema INPS consistono in interessi moratori e sanzioni aggiuntive calcolate in percentuale ai contributi evasi. Queste sanzioni possono essere anche elevate (fino al 40% annuo nei casi di evasione dolosa, poi ridotti a tassi decrescenti col tempo, ma comunque onerosi).
Per difendersi in ambito contributivo, valgono concetti simili al fisco: occorre provare che l’attività era dilettantistica. Ad esempio: – Dimostrare che l’istruttore aveva un altro lavoro principale e che quell’impegno sportivo era saltuario (se così è, potrebbe configurarsi come lavoro autonomo occasionale, fino al 2023 art.67 TUIR, oggi entro i limiti di 24 ore mensili per non presumere co.co.co). – Mostrare che c’era libertà nella prestazione, nessun orario fisso, etc., per qualificare la collaborazione come autonoma occasionale e non come rapporto subordinato. In base al Jobs Act (D.Lgs. 81/2015) c’era un’esclusione per collaborazioni sportive dal riordino che aboliva i co.co.pro, ma comunque se ricorrono gli indici di subordinazione i giudici la qualificano dipendente . – Se c’è stato un errore formale (es. non tesserare l’istruttore come previsto dalle norme sportive), evidenziare che però la sostanza rimane dilettantistica (a volte l’INPS contesta l’assenza di tesseramento come indice di lavoro vero: la difesa deve spiegare eventuali motivi). – Invocare l’applicazione di cause di non punibilità amministrativa se vi fossero (per fortuna nel contributivo non c’è un reato per omesso versamento contributi, a meno che non si configuri il reato ex art.2 L.638/83 per omesso versamento delle ritenute previdenziali > €10.000 annui, ma quello riguarda contributi trattenuti al lavoratore e non versati. Nel dilettantismo non essendoci busta paga dipendente, di solito non si applica).
Da notare: la maggior parte delle contestazioni INPS pre-riforma riguardava periodi in cui vigeva la totale esenzione contributiva sotto 10k. Oggi con la soglia 5k, paradossalmente più rapporti supereranno quel limite e verranno subito denunciati all’INPS (tramite Uniemens) e coperti contributivamente. Quindi in futuro dovrebbero ridursi i casi di istruttori completamente “in nero contributivo” come in passato, perché la legge ora impone di inquadrarli e versare (se non altro parzialmente). Resteranno però quelli sotto 5k: se l’INPS dovesse dimostrare che non erano genuinamente dilettanti, potrebbe pretendere contributi fin dal primo euro (ritenendo non applicabile l’esenzione). Sarebbe controverso, ma immaginabile se l’ente proprio abusava.
Altra problematica: se i collaboratori sportivi in realtà erano lavoratori dipendenti, oltre ai contributi c’è da considerare le eventuali sanzioni per lavoro nero e differenze retributive. Un ispettore del lavoro potrebbe sanzionare la mancanza di lettera di assunzione, ecc. Tuttavia, la Riforma dello Sport ha in parte arginato questo prevedendo forme contrattuali ad hoc per i lavoratori sportivi (contratto di co.co.co sportivo semplificato, ecc.). È quindi importantissimo, dal 2023 in poi, stipulare contratti scritti con i collaboratori sportivi, regolarizzarli nel Registro Nazionale delle Attività Sportive Dilettantistiche (RN ASD) e adempiere a comunicazioni obbligatorie (UniLav semplificato per collaboratori sportivi).
Se l’omissione contributiva è già avvenuta e si vuole porvi rimedio, le strade possibili sono: – Versamento spontaneo tardivo: l’INPS non ha un vero “ravvedimento operoso” come il Fisco, ma pagando prima della notifica di un avviso si evitano almeno le sanzioni civili da evasione (che sono più alte) e si applicano quelle minori da omesso versamento. Ad esempio, se una ASD si accorge di dover contributi per il 2022, se paga prima che l’INPS la scopra, le sanzioni saranno calcolate come omissione (rate di interesse) e non come evasione (ben più punitive). – Dilazione: l’INPS concede piani di dilazione fino a 24 rate mensili (estendibili in casi eccezionali) per pagare gli avvisi. Se si riceve un avviso da 50.000 €, conviene chiedere subito la rateazione per evitare atti esecutivi (fermo restando che se si vuole contestare, bisogna comunque proporre ricorso amministrativo e poi giudiziario, ma intanto si può rateare per ridurre il carico immediato). – Ricorso amministrativo e giudiziario: contro l’avviso di addebito INPS si può fare ricorso al Comitato Regionale INPS (entro 90 gg) e poi eventualmente ricorso al Tribunale del Lavoro entro 30 gg dalla notifica (o 40 se fuori regione). La difesa consisterà, come detto, nel contestare la natura dei rapporti. Si può portare testimonianze di atleti che confermano che l’istruttore era volontario la maggior parte del tempo, ad esempio. Bisogna però valutare realisticamente le prove, perché l’INPS spesso ha già raccolto elementi significativi (orari di lezione prestabiliti, magari pubblicizzati su volantini; pagamenti mensili fissi, ecc.).
È opportuno ricordare che, sul piano previdenziale, la prescrizione dei contributi è 5 anni (oggi 5 dal 1 gennaio successivo a quello dovuto). Quindi l’INPS può richiedere contributi non versati per gli ultimi 5 anni. Se arrivano contestazioni di periodi più vecchi, si può eccepire la prescrizione (a meno che non si configuri evasione denunciata, che estende a 10 anni, ma in materia di obblighi di natura non penale di solito 5 è invalicabile).
Difesa del legale rappresentante: va menzionato che se un’associazione non versa contributi, i contributi restano dovuti dall’ente. Diversamente dal Fisco, l’INPS non di norma non procede penalmente contro l’amministratore salvo il caso delle ritenute previdenziali >10k€ (che è contravvenzione, ammenda o arresto). Quindi il concetto di “punto di vista del debitore” per contributi riguarda più come l’ente (o il successore/responsabile solidale) onora il debito, piuttosto che responsabilità personale penale. Tuttavia, può capitare che l’INPS, se l’ASD è sparita o nullatenente, persegua i soci o amministratori per il pagamento (ad es. se era una srl sportiva dilettantistica e c’è stata mala fede, o per i periodi successivi a cancellazione). Sono situazioni estreme.
In conclusione sui contributi: la via migliore per difendersi è prevenire – assicurandosi di inquadrare correttamente i collaboratori, rientrare nei limiti di esenzione quando possibile ma senza forzare la mano. Se l’accertamento arriva, occorre valutare se sia più conveniente fare transazione (pagare ratealmente) o combattere in giudizio, tenendo presente che la giurisprudenza più recente è abbastanza rigida: solo chi risponde ai requisiti di reale dilettantismo (assenza di professionalità e continuità) ottiene ragione .
Dopo aver coperto fisco e contributi (che spesso vanno a braccetto nelle vicende reali), procediamo ad una sezione che riepiloga le possibili strategie difensive generali e suggerimenti pratici per chi si trovi nei panni del “debitore” (cioè di colui cui vengono chiesti soldi indietro o che è accusato di violazioni).
Strategie di difesa e consigli pratici (dal punto di vista del debitore)
In questa sezione adottiamo esplicitamente il punto di vista del debitore, ovvero del soggetto che è chiamato a difendersi da un’accusa di omissione di compensi sportivi – sia essa in sede fiscale, contributiva o penale. Abbiamo già disseminato nei paragrafi precedenti diversi accorgimenti difensivi. Qui cerchiamo di sistematizzarli e aggiungere qualche best practice per prevenire tali problemi o attenuarne gli effetti.
Immaginiamoci dunque tre profili tipici di “debitore”: 1. Il dirigente di una ASD/SSD a cui vengono contestate irregolarità fiscali e contributive (mancata dichiarazione, evasione IVA/IRES, mancati contributi).
2. L’atleta o collaboratore sportivo (anche professionista) a cui vengono contestati redditi non dichiarati e relative sanzioni.
3. L’imprenditore che, magari attraverso un ente sportivo di comodo, ha condotto un’attività economica e ora si trova di fronte a cartelle esattoriali o procedimenti.
Vediamo per ciascuno (spesso le figure si sovrappongono) quali sono le mosse difensive e i consigli.
1. Difendersi come dirigente di ASD/SSD (accertamenti fiscali e INPS):
– Raccogli immediatamente la documentazione: Alla prima notizia di verifiche o contestazioni, occorre mettere in salvo e ordinare tutti i documenti utili: statuto, verbali di assemblea, libri soci, ricevute di pagamento dei soci, contratti con istruttori/allenatori, certificati CONI, registro delle attività svolte (gare, eventi sportivi), eventuali riconoscimenti di ente di promozione sportiva, bilanci, ecc. Questa documentazione servirà a dimostrare la buona fede e il rispetto (almeno formale) delle regole. Ad esempio, se contesti al Fisco che i frequentatori erano tutti soci, devi avere moduli di iscrizione firmati, elenco soci e tessere.
- Verifica i requisiti formali: Controlla se lo statuto della tua ASD contiene le clausole richieste dall’art.148 TUIR (divieto di distribuzione utili, devoluzione avanzi a fine, democraticità interna, ecc.) e dall’art.90 L.289/2002 per società sportive dilettantistiche . Se manca qualcosa, sappi che il Fisco potrebbe aver ragione a negarti agevolazioni già solo per questo. In sede difensiva, potresti considerare di adeguare lo statuto se non conforme (anche se non retroattivamente risolutivo, mostra almeno volontà di regolarità).
- Analizza gli “indizi” e predisponi controdeduzioni: Se ti contestano, per esempio, di aver clienti non soci (come nel caso dei badge in palestra ), verifica se avevi moduli di ingresso temporanei, se per caso quelle persone poi si tesseravano, ecc. Per ogni elemento contestato, prova a trovare una spiegazione alternativa documentata: p.es. “è vero che non abbiamo partecipato a campionati, ma abbiamo organizzato stage formativi interni per i soci, come da locandine allegate”. Oppure: “è vero che non abbiamo inviato opzione 398 a SIAE, ma abbiamo applicato il regime ed eravamo convinti bastasse il comportamento concludente, come da prassi tal dei tali”. Insomma, smontare anche parzialmente l’impianto accusatorio può far pendere la bilancia verso un accertamento meno severo o anche un’annullamento parziale in giudizio.
- Valuta la sanatoria fiscale (se conviene): Se le violazioni sono evidenti e la documentazione scarseggia per difendersi, potrebbe essere saggio optare per un accertamento con adesione con l’Agenzia Entrate, come accennato sopra. In parallelo, si può chiedere una definizione agevolata se prevista (nel 2023 c’era la rottamazione-quater per cartelle, la conciliazione agevolata per liti, ecc.). Chiudere la parte fiscale può permetterti di dedicarti a quella contributiva. Tieni presente che la definizione fiscale di per sé non vincola l’INPS: se l’INPS vuole contributi, il fatto che hai definito col Fisco non glielo impedisce. Però in caso di processo penale, aver pagato il dovuto al Fisco è un fattore di attenuazione importante.
- Dialoga con l’INPS: Se ricevi un verbale di accertamento ispettivo, entro 30 giorni puoi inviare memorie difensive alla Direzione territoriale del Lavoro o all’INPS per contestare quanto emerso. Usa questo strumento: spiega, ad esempio, che quell’istruttore lavorava solo 2 ore a settimana come volontario rimborso spese e allega dichiarazione scritta dell’istruttore che conferma. A volte le memorie portano a un parziale ripensamento prima dell’emissione dell’avviso di addebito. In alternativa, puoi anche cercare un confronto informale con i funzionari (in maniera professionale e collaborativa, fornendo chiarimenti aggiuntivi): dimostrare disponibilità a regolarizzare alcune posizioni (magari facendo durc-on-line per periodi successivi) può portare a un atteggiamento meno intransigente.
- Occhio alle responsabilità personali: Se la tua ASD è associativa (non ha personalità giuridica), il Fisco e l’INPS potrebbero colpire direttamente te come presidente per i debiti (specie fiscali, dove vige la responsabilità in solido di chi ha rappresentanza). Se invece è SSDrl, in teoria risponde la società col suo patrimonio, ma in caso di frode fiscale provata, l’amministratore può subire sequestro beni personale a fini penali. Quindi, proteggi il tuo patrimonio: se temi evoluzioni penali, valuta di consultare un penalista per tempo, anche solo per prepararti nel caso di sequestro preventivo (che è frequente nei reati tributari per importi elevati, pari all’imposta evasa). Avendo pagato le imposte evase, come detto, riduci il rischio di misure cautelari sul patrimonio.
- Fruisci delle conoscenze tecniche: Per la difesa, spesso servono consulenti tecnici. Ad esempio, potresti farti redigere da un consulente del lavoro una relazione che inquadri i rapporti di collaborazione sportiva evidenziandone gli elementi di autonomia, da usare in giudizio contro l’INPS. Oppure, far fare un’analisi economico-contabile da un commercialista che dimostri che non c’era lucro (es. mostrando che ogni anno l’ASD era in perdita o in pareggio, segno che non distribuiva nulla ma reinvestiva tutto nello sport). Questo può convincere il giudice che, pur con qualche irregolarità formale, la finalità di lucro non c’era davvero.
2. Difendersi come atleta/collaboratore (contestazione di redditi non dichiarati):
– Analizza la fonte del compenso non dichiarato: Era un fringe benefit come nel caso del procuratore? Era un premio in denaro? Era un compenso da ASD? A seconda dei casi ci sono difese specifiche: – Se era un fringe benefit non dichiarato, si può sostenere che si trattava di una somma che in realtà il club avrebbe dovuto assoggettare a ritenuta come sostituto. Nel caso Inter-calciatore, il club infatti venne sanzionato per non aver operato la ritenuta all’epoca . Dunque come atleta puoi far leva sul fatto che l’omissione originaria fu del sostituto (non ti ha indicato quell’importo né versato la ritenuta). Questo nel penale non scusa, ma in sede di rapporto con Agenzia può aiutare a ottenere sanzioni ridotte (spesso l’Agenzia, se recupera l’imposta dal sostituto, a volte evita di colpirti per la stessa imposta, ma resta il discorso sanzioni). – Se era un premio sportivo non dichiarato: verifica se l’ente pagatore ha applicato la ritenuta 20%. Se sì e il premio era soggetto a imposta sostitutiva, potresti non doverlo dichiarare affatto nel 730 (perché tassa già assolutiva). Quindi la contestazione potrebbe essere infondata. Se invece era premio senza ritenuta, puoi sostenere che era reddito diverso ex art.67 c.1 lett d) TUIR (premi per attività sportiva dilettantistica) e quindi soggetto a imposta sostitutiva. Insomma, inquadramento fiscale corretto può far decadere la sanzione di omessa dichiarazione se in effetti quell’importo non andava in dichiarazione ordinaria. – Se era un compenso da ASD oltre soglia non dichiarato: qui la legge è chiara, dovevi dichiarare la parte eccedente. L’unica scappatoia è se magari includendo spese deducibili quel reddito non generava imposta (difficile per redditi diversi, non c’erano molte deduzioni se non eventuali spese documentate relative). Comunque, puoi invocare la confusione normativa pre-riforma: es. “Pensavo che fino a 10.000 euro fosse completamente esente e da non dichiarare affatto”. Effettivamente, su questo c’è stata incertezza, perché alcuni ritenevano che se sotto soglia i redditi da sport dilettantistico non andassero proprio indicati (per anni 7.500 euro era soglia di esenzione totale e la CU veniva rilasciata con causale “esente art.67 TUIR”). Dopo l’aumento a 10k, vi furono chiarimenti che la CU andava fatta comunque e indicare l’eccedenza. Se riesci a dimostrare che quell’anno la tua CU presentava importi esenti e tu non sapevi di doverli riportare, forse puoi aspirare a un’annullamento in autotutela della sanzione per errore scusabile. Sono ipotesi teoriche, ma tentabili.
- Regolarizza la tua posizione al più presto: Se sei ancora nei termini, fa’ la dichiarazione integrativa e paga il dovuto. Nel caso del calciatore 2005, nel 2010 aveva fatto causa e solo nel 2022 è arrivata ordinanza Cassazione… un calvario. Forse avrebbe potuto patteggiare col Fisco prima. Perciò, a meno che la somma non dichiarata sia enorme o infondata, spesso al contribuente persona fisica conviene negoziare. Anche perché il penale (dich. infedele) per un atleta scatterebbe solo se ha evaso più di 100k tasse, cosa rara se parliamo di un fringe o di 20k eccedenti soglia.
- Chiedi consulenza per il futuro: Una volta scottato, assicurati di avere un fiscalista che curi le tue dichiarazioni. Spesso gli atleti delegano tutto alle società o agenti e non controllano. Ma per legge, come visto, il responsabile finale è l’atleta stesso . Quindi pretendi ogni anno la CU (Certificazione Unica) dal club o ASD e verifica cosa c’è scritto. Se mancano elementi (fringe benefit, bonus in natura), chiedi chiarimenti scritti al datore. Così, in caso di futuro contenzioso, puoi esibire queste richieste mostrando la tua diligenza.
- Patteggiamento e attenuanti: Se malauguratamente finisci imputato (può succedere, es. atleti di alto livello con evasioni di milioni su sponsor occultati), valuta col legale la strada del patteggiamento con restituzione del maltolto. Nel 2023 alcune star sportive coinvolte in frodi fiscali (non facciamo nomi) hanno pagato il dovuto e patteggiato pene minime evitando il carcere e salvando l’immagine. Soprattutto per voi atleti/imprenditori, l’immagine conta: un processo pubblico per evasione può danneggiare la carriera. Quindi, agisci tempestivamente per chiudere le pendenze, magari sfruttando l’anonimato delle fasi iniziali (prima che la stampa lo scopra).
3. Imprenditore che ha usato lo sport come schermo:
Qui il discorso è semplice: se l’Agenzia Entrate ha scoperto che la tua “ASD” era un modo per pagare meno tasse, la migliore difesa per il futuro è cambiare rotta subito. Trasforma la ASD in una SRL sportiva dilettantistica (SSD) se puoi, oppure in una SRL ordinaria, e comincia a dichiarare tutto correttamente. Potrai dormire più tranquillo. Nel caso tu stia ereditando una situazione del passato (magari ti hanno notificato cose per anni precedenti in cui c’era un altro presidente), puoi fare due cose: – Mostrare che dopo quegli anni hai messo in regola la situazione (questo spesso induce i giudici a essere meno severi sul passato, perché vedono ravvedimento operoso e riforma aziendale). Ad esempio, se dal 2024 hai iniziato ad assumere gli istruttori e a fare contratti chiari, sottolinealo. – Se ci sono in ballo reati, sappi che potrebbero proporti la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art.131-bis c.p.) se l’evasione era di poco sopra soglia e senza frode. Oppure puoi sperare nella prescrizione (reati 2015-2016 ormai prescritti nel 2025 forse, a meno di sospensioni). Un avvocato penalista tributarista potrà valutare queste opzioni.
Consigli operativi generali (valide per tutti i soggetti):
– Tenere traccia scritta di tutto: massima tracciabilità dei pagamenti (bonifici con causali chiare, niente buste in nero), accordi messi per iscritto, mail di istruzioni ricevute. Spesso in questi casi ci si salva con una lettera o email che prova l’atteggiamento non fraudolento (es: “Egregio presidente, la informo che ho già percepito 5000 euro da altra ASD quest’anno” – se hai questa mail l’INPS non può dire che volevi nasconderlo). – Trasparenza con il Fisco: se hai dubbi, puoi usare lo strumento dell’interpello con l’Agenzia Entrate (lo ha fatto la federazione equestri per i premi, ottenendo la risposta 9/2025 ). Certo, l’interpello preventivo si fa prima di agire, non dopo. Ma per il futuro è utile: se hai un caso borderline (es: “Ho un atleta semi-pro che alleno dietro rimborso, devo tassarlo?”) puoi chiedere chiarimenti ufficiali; la risposta (anche se negativa) almeno ti tutela da sanzioni se poi segui la via indicata. – Utilizzare i corretti canali sportivi: iscriviti al Registro CONI, fai riconoscere la tua disciplina, affiliati a un EPS o FSN, fai tesserare tutti i collaboratori. Questo crea quel contesto dilettantistico che rende più difendibile la posizione fiscale. Senza tesseramento, un istruttore è un estraneo ed è più facile dire che è un lavoratore “normale”. Anche il tesseramento da solo non basta , ma è condizione necessaria. – Non superare i limiti quantitativi: se sei un collaboratore, cerca di non superare i 5.000 € per troppi enti (per non frammentare contributi) e i 15.000 € totali se vuoi evitare di entrare nel radar con redditi imponibili. Se sei una ASD, rispetta il limite dei 15k per persona (oltre, fai contratti e gestiscili come sostituto). Nonché rispetta il limite di volume affari €250k se vuoi stare in 398/91 (oggi per 2024 dovrebbero essere 250k, forse innalzato con riforma? Alcune bozze dicevano 500k, ma bisogna confermare normative attuative – ad agosto 2025 qui assumiamo ancora 250k, perché la Cass. 2024 ne parla ). – Assicurati consulenze specializzate: Non tutti i commercialisti conoscono a fondo le peculiarità del settore sportivo dilettantistico. Sarebbe bene affidarsi a professionisti di area FiscoSport, ce ne sono diversi in Italia, oppure consultare risorse specializzate (FiscoCaffè, FiscoSport, ecc.). Ci sono novità continue (circolari INPS, note federali) e restare aggiornati è cruciale.
Adesso, per fissare meglio le idee, proponiamo delle Domande e Risposte sintetiche che toccano i dubbi più comuni, e successivamente delle tabelle riepilogative che condensano in forma tabellare i concetti chiave emersi finora.
Domande frequenti (FAQ) su compensi sportivi e omissioni
D: Cosa significa esattamente “omissione di compensi da prestazioni sportive professionistiche”?
R: Si riferisce principalmente alla mancata dichiarazione al Fisco di redditi derivanti da attività sportive professionali o dilettantistiche retribuite. In pratica, è l’atto di non comunicare o non assoggettare a tassazione compensi ottenuti per prestazioni sportive. Può trattarsi di un atleta professionista che non dichiara parte del suo ingaggio, di un allenatore dilettante che non dichiara i rimborsi ricevuti, oppure di una società sportiva che non dichiara i compensi corrisposti ai collaboratori. È una violazione che comporta sanzioni tributarie e potenzialmente anche incriminazioni penali se l’importo evaso è rilevante . Va distinto dal semplice ritardo: per “omissione” intendiamo un’assenza totale di dichiarazione (o un’incompletezza sostanziale).
D: Un atleta dilettante che riceve compensi deve fare la dichiarazione dei redditi?
R: Dipende dall’importo e dalla natura dei compensi. Fino al 30/6/2023, i compensi sportivi dilettantistici erano redditi diversi esenti fino a 10.000 €, e oltre tale importo andava dichiarata la quota eccedente. Dal 2023 in poi, con la nuova normativa, i compensi da lavoro sportivo dilettantistico sono esenti IRPEF fino a 15.000 € annui . Se il tuo totale annuo resta entro 15.000 €, non devi pagare imposte né inserire quell’importo nel reddito imponibile (perché non vi concorre). Formalmente, non sei tenuto a dichiarare la parte esente. Tuttavia, l’ente che ti paga dovrebbe comunque certificare la somma (anche solo come compenso esente) nella Certificazione Unica, e se presenti la dichiarazione per altri redditi, è buona prassi indicare tali somme in appositi righi dedicati (es. quadro RL, redditi esenti o assimilati) se richiesto dalle istruzioni fiscali. In generale, se superi 15.000 €, la parte eccedente va dichiarata come reddito (tipicamente reddito assimilato a lavoro dipendente, con codice specifico). E se non hai altri redditi e rimani sotto 15k, pur non essendoci obbligo di dichiarazione (perché nessuna imposta dovuta), considera comunque che presentare il Modello Redditi indicando la somma come esente può metterti al riparo da contestazioni, visto che l’art.1 DPR 600/73 richiede di dichiarare i redditi posseduti anche se esenti . In sintesi: entro soglia esente, l’IRPEF non si paga e non avrai sanzioni se non dichiari; oltre soglia, la parte in più va indicata o incorrerai in dichiarazione infedele.
D: Ho una partita IVA come personal trainer, ma collaboro saltuariamente con una ASD: posso ricevere compensi sportivi esentasse?
R: No, non in quel caso. La giurisprudenza ha chiarito che non è consentito fruire dell’esenzione fiscale sui compensi sportivi dilettantistici se l’attività è svolta con professionalità. In particolare, se sei titolare di P.IVA proprio nel settore sport/fitness, i compensi che percepisci da un’ASD per attività analoghe vanno fatturati come prestazione professionale, non puoi qualificarli come “compenso sportivo dilettantistico” esente . Diverso è se la tua P.IVA riguarda tutt’altro campo: ad esempio sei un fisioterapista con P.IVA e alleni una squadra di calcio dilettanti – in tal caso, l’attività di allenatore è slegata dalla tua professione principale, potresti godere dell’esenzione entro i limiti . Ma se la P.IVA è attinente (es. istruttore di fitness), allora la prestazione verso l’ASD è considerata svolta “professionalmente” e va trattata fiscalmente come reddito di lavoro autonomo (fattura + tassazione ordinaria) . Se hai erroneamente ricevuto compensi esenti pur avendo P.IVA sportiva, ti conviene regolarizzare emettendo fatture tardive e dichiarando quei redditi onde evitare contestazioni di omessa fatturazione.
D: La mia ASD non ha scopo di lucro e ha incassato solo quote sociali e sponsorizzazioni. Pensavo di non dover fare la dichiarazione dei redditi. È corretto?
R: No, non è corretto. Tutte le ASD e SSD sono obbligate a presentare annualmente la dichiarazione dei redditi (Modello Redditi ENC) anche se non devono pagare imposte . Nella dichiarazione andranno indicate le entrate decommercializzate (che risulteranno esenti) e quelle commerciali eventualmente tassabili. Anche se la tua ASD ha solo quote sociali (non tassate) e una piccola sponsorizzazione coperta da L.398/91, deve comunque inviare il modello, compilando i quadri relativi. Ommettere la dichiarazione è una violazione (sanzionabile, e se ci fosse imposta evasa >50k potrebbe persino configurare reato). La Cassazione ha stabilito chiaramente che l’opzione per il regime agevolato 398/91 non esonera dall’obbligo dichiarativo . Quindi, se non hai presentato dichiarazioni negli anni scorsi, stai commettendo “omessa dichiarazione” a livello amministrativo. Ti conviene sanare la situazione il prima possibile (presentando dichiarazioni tardive se entro 90 giorni dal termine, o integrative se oltre). Spesso le ASD cadono in questa trappola pensando “non ho utile, dunque niente dichiarazione”: errore. Va dichiarato anche il reddito zero o esente.
D: Cosa rischio se la mia ASD viene considerata “ente commerciale di fatto”?
R: In uno scenario del genere, decadono tutte le agevolazioni fiscali per il passato e potresti dover pagare imposte come un normale soggetto commerciale, con relative sanzioni. Più precisamente, l’Agenzia delle Entrate ti contesterà il ricalcolo delle imposte (IRES, IVA) su tutti i proventi che avevi considerato decommercializzati, applicando l’aliquota ordinaria, meno eventualmente le deduzioni di costi documentati (ma spesso nelle ASD non si tiene una contabilità dettagliata, quindi è un problema). Oltre alle imposte e relativi interessi, ci saranno sanzioni amministrative (generalmente 100% del tributo evaso per IRES/IVA). Se gli importi sono cospicui, come visto, c’è anche il profilo penale: il rappresentante legale può essere imputato di omessa dichiarazione o dichiarazione fraudolenta. Ad esempio, la SSD che fungeva da palestra commerciale è stata condannata penalmente . Inoltre, l’ASD potrebbe perdere l’iscrizione al Registro CONI (perché non in regola coi requisiti) e non poter più operare come ente dilettantistico. In sintesi: il fisco ti tratterà come una società di capitali, e dovrai versare imposte arretrate e sanzioni molto salate. È una situazione da evitare assolutamente, mantenendo sempre una chiara separazione tra attività sportive dilettantistiche e attività lucrative. Se la tua palestra ASD sta crescendo al punto da sembrare un’azienda, valuta di costituire una SSD con scopo di lucro o scindere le attività.
D: Ho ricevuto un avviso dall’INPS per contributi su compensi sportivi pagati ai miei istruttori. Ma erano tutti sotto 10.000 € annui. Perché devo pagare?
R: Perché molto probabilmente l’INPS (o l’ispettore del lavoro) ha stabilito che quei rapporti non erano veri rapporti sportivi dilettantistici occasionali, bensì lavorativi. Il fatto che i compensi fossero sotto 10.000 € (soglia fiscale pre-2023) o anche sotto 5.000 € (soglia contributiva attuale) da solo non basta: conta la natura della prestazione. Se gli istruttori lavoravano in modo continuativo, con orari stabiliti ogni settimana, e magari quello era il loro lavoro principale, l’INPS li qualifica come lavoratori ordinari (co.co.co o subordinati) e di conseguenza esige i contributi fin dal primo euro . L’esenzione contributiva, infatti, si applica solo a chi svolge l’attività sportiva senza professionalità. Quindi l’INPS ti sta chiedendo i contributi evasi (più sanzioni civili) su quei compensi. Dovrai verificare caso per caso: se ritieni che qualcuno fosse davvero un volontario occasionale, puoi fare ricorso per quella posizione, ma se effettivamente teneva corsi regolari, sarà difficile spuntarla perché la Cassazione dà ragione all’INPS in questi casi . Vale la pena magari sanare parzialmente: puoi chiedere una rateazione, o contestare almeno le sanzioni (in alcuni casi si ottengono riduzioni invocando l’assenza di dolo evasivo, soprattutto se poi dal 2023 hai iniziato a regolarizzarli).
D: Un istruttore sportivo supera 5.000 € annui collaborando con due ASD (es: 3.000 € + 3.000 €). Chi paga i contributi? E cosa deve fare l’istruttore?
R: In base alla nuova normativa, il superamento di 5.000 € annui di compensi sportivi fa scattare l’obbligo contributivo. Nel caso di due ASD che pagano ciascuna 3.000 € allo stesso istruttore (che quindi arriva a 6.000 € totali), ciascuna ASD è tenuta a versare la propria parte di contributi previdenziali. In pratica: l’istruttore dovrebbe comunicare a entrambe di aver superato il limite (questo dovrebbe emergere dall’autocertificazione che rilascia al secondo pagamento) . Da quel momento, le ASD dovranno iscriverlo in gestione separata se non già fatto e iniziare a calcolare i contributi. Se, ad esempio, la prima ASD aveva già pagato 3.000 e la seconda in corso di pagamento gliene fa superare 5.000, la seconda ASD dovrà pagare i contributi sull’importo che eccede 5.000 (e anche su eventuali importi successivi). Idealmente, l’INPS applica il cumulo: dunque sui 1.000 € che eccedono i 5.000, la seconda ASD versa contributi (sia quota datore che una quota che può trattenere all’istruttore, circa 1/3 del totale). Se poi l’istruttore continuerà con altri compensi, ciascuna ASD verserà sui propri ulteriori pagamenti. L’istruttore non “versa” direttamente nulla (a meno che non sia lavoratore autonomo con propria posizione) – sono gli enti sportivi che devono versare. L’istruttore deve però: assicurarsi di fornire tempestivamente l’autocertificazione e monitorare che le ASD lo abbiano registrato come lavoratore sportivo nel Registro e gestito i contributi. In ogni caso, l’istruttore dovrà poi dichiarare fiscalmente la parte eccedente 15.000 € se ci arriva, ma nel nostro esempio sta sotto quella soglia quindi zero IRPEF comunque. Quindi in breve: ogni ASD risponde pro quota ai contributi una volta che i compensi dell’istruttore da quella somma superano i 5k .
D: Quali sono le sanzioni dell’INPS per chi non versa contributi sui compensi sportivi?
R: L’INPS applica le cosiddette sanzioni civili. Non sono “multe” con importi fissi, ma somme aggiuntive calcolate in percentuale sul contributo non versato e per il tempo di ritardo. In particolare: – Se viene qualificata evasione contributiva (cioè omissione volontaria non dichiarando i lavoratori), si applica una sanzione pari al 30% annuo dell’importo non versato, fino al 60% del dovuto (più un interesse al tasso ufficiale). Questa è la maxisanzione da evasione, ma spesso l’INPS – se il datore collabora – classifica come omissione semplice. – Per omissione semplice (mancato versamento ma con posizione contributiva nota, ad esempio se avevi registrato l’istruttore ma non hai pagato), c’è una sanzione ridotta: circa il 7% annuo (tasso di interesse di mora). Le sanzioni civili si accumulano e possono superare il contributo stesso se passano molti anni. Non c’è discrezionalità: sono automatismi di legge. In aggiunta, se l’INPS ritiene la condotta molto grave, potrebbe farti pagare la cosiddetta sanzione amministrativa pecuniaria (che è diversa dalle civili) in base alla L.689/81 per lavoro nero (fino a 36€ per ogni giorno di lavoro irregolare, per ogni lavoratore). Tuttavia, per le ASD c’è stata spesso clemenza su questo se c’era convinzione di lecito. Resta il fatto che alla fine pagherai: contributi arretrati + sanzioni civili. Non pagando, l’INPS iscriverà a ruolo il debito e arriverà la cartella esattoriale. L’unica via per alleggerire è chiedere eventualmente all’INPS la riduzione delle sanzioni per buona fede (esiste un istituto per cui, se dimostri che non c’è stato dolo e versi spontaneamente, l’INPS può ridurle fino alla misura degli interessi legali). È a loro discrezione però.
D: Un calciatore professionista deve dichiarare i compensi che la società versa al suo agente?
R: Sì, deve. Se la società di calcio paga il procuratore “per conto” del calciatore, tale importo è considerato un fringe benefit imponibile in capo al calciatore stesso . Quindi il calciatore dovrebbe includerlo nel proprio reddito e, idealmente, la società dovrebbe indicarlo nel CUD e operare la ritenuta IRPEF su di esso (come parte del suo reddito di lavoro dipendente). Purtroppo in passato questa prassi non era chiara e molti club pagavano agenti senza coinvolgere il calciatore fiscalmente. La Cassazione, come abbiamo visto, ha stabilito che l’omessa dichiarazione di quel fringe benefit è sanzionabile verso il calciatore . Quindi, la risposta è: sì, va dichiarato nell’anno in cui è stato erogato, anche se tecnicamente il denaro non è passato dalle mani del calciatore. Se ciò non avviene e il Fisco lo scopre, recupererà l’imposta dal club in primis (come sostituto inadempiente) ma poi sanzionerà il calciatore per l’omissione. In caso di grosse cifre, potrebbe configurarsi dichiarazione infedele se supera le soglie penali. Dunque è fondamentale che atleti e società gestiscano in trasparenza queste spese di intermediazione.
D: Come posso prevenire contestazioni sui compensi sportivi nella mia società sportiva?
R: Ecco alcuni consigli pratici di prevenzione: – Inquadramento contrattuale corretto: per ogni persona pagata, avere un contratto/lettera di incarico che precisi il tipo di rapporto (lavoro sportivo co.co.co dilettantistico, collaborazione occasionale sotto 24 ore/mese, ecc.). Dopo la riforma 2023, utilizzare i contratti-tipo predisposti (per co.co.co sportivi, per dipendenti sportivi se del caso, etc.). – Registrazioni ufficiali: Inserire tutti i collaboratori nel Registro Nazionale delle Attività Sportive Dilettantistiche (Piattaforma CONI) e fare le comunicazioni UniLav semplificate. Questo crea un tracciamento che dimostra che non si intendeva occultare il rapporto. – Fogli firma/presenze: Far firmare ai collaboratori un registro presenze per rendicontare ore e attività svolte, e rimborsi spese con pezze giustificative. Ciò serve a mostrare che si pagavano (solo) spese vive se del caso e non stipendi occulti. – Limiti compensi: Non abusare del “tutti a 9.999 euro”. È un pattern che insospettisce. Magari variare gli importi in base a impegno, evitare di erogare sempre appena sotto soglia a decine di persone. – Consulenza periodica: far fare un check-up annuo da un consulente del lavoro/fiscalista esterno per vedere se tutto è in regola (contratti, versamenti, dichiarazioni). Un occhio fresco può individuare criticità prima che lo faccia un ispettore. – Formazione interna: se sei dirigente, forma il tuo consiglio direttivo sulle basi fiscali: che sappiano che non si gioca con ricevute farlocche o rimborsi gonfiati. A volte i problemi nascono da ingenuità – come rimborsare finti scontrini per compensa re istruttori (l’Agenzia li smaschera facilmente). Meglio pagare come compenso sportivo dichiarato che inventare spese fittizie.
Con queste risposte dovremmo aver chiarito molti dubbi comuni. Passiamo ora a fornire alcuni schemi riassuntivi in forma tabellare per rendere ancor più immediata la comprensione delle regole e conseguenze.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle che riassumono i punti salienti trattati, così da fornire un riferimento di facile consultazione.
Tabella 1: Regime fiscale e contributivo dei compensi sportivi (ante e post riforma 2023)
Caratteristica | Fino al 30/06/2023 (vecchio regime) | Dal 01/07/2023 (nuovo regime D.Lgs 36/2021) |
---|---|---|
Riferimento normativo fiscale | Art. 67, co.1, lett. m) TUIR (redditi diversi) | Art. 36, co.6 D.Lgs. 36/2021 (lavoro sportivo) |
Soglia esenzione IRPEF | €7.500 (poi €10.000) annui esenti; eccedenza imponibile al 100% | €15.000 annui esenti da IRPEF ; eccedenza imponibile (come reddito lavoro) |
Ritenuta d’acconto | 23% sulla parte eccedente €10.000 (a titolo d’imposta fino a 28k, poi a titolo acconto) – (Vecchie regole) | Nessuna ritenuta fino a €15.000 (franchigia completa) . Oltre, si applica ritenuta come da natura reddito (dipend./autonomo) |
Qualificazione reddito | Reddito diverso, non soggetto ad addizionali regionali/comunali sulla parte esente. | Reddito da lavoro (dipendente, assimilato o autonomo) . Soggetto ad addizionali sulla parte imponibile. |
Obbligo dichiarazione | Se superava €10k, indicare eccedenza in dichiarazione. Sotto €10k, spesso non dichiarato (interpretazione ora superata). | Se ≤€15k unico reddito, nessuna imposta e nessun obbligo formale di dichiararlo come imponibile. Oltre €15k, dichiarare eccedenza. (Si consiglia comunque monitoraggio tramite CU). |
Obblighi comunicativi | Certificazione compensi (CUD) solo se >€10k o su richiesta. No autocertificazione lavoratore prevista. | Autocertificazione annuale del percettore per dichiarare cumulo compensi . Datore: CU obbligatoria (anche per esenti). Comunicazione al Registro CONI e UniLav semplificato. |
Contributi previdenziali | Nessun contributo INPS dovuto su compensi ex art.67 (erano esclusi da base imponibile contributiva) . (NB: restava l’eventuale obbligo assicurativo infortuni sportivi con altre casse). | Esonero contributi fino a €5.000 annui cumulati per lavoratore . Oltre €5k, dovuta iscrizione e versamento contributi (Gestione Separata) sulla quota eccedente, con aliquote di legge. Riduzione al 50% contributi fino al 2027 . |
Indennità di trasferta rimborsi | Incluse nel limite €10k (tranne rimborsi documentati spese vive). Esenti entro limiti chilometrici per dilettanti. | Incluse nel limite €15k (restano esenti se nei limiti specifici di legge per trasferte). |
Premi sportivi (gare, competizioni) | Redditi diversi (art.67, c.1, lett d) TUIR), con ritenuta 20% a titolo imposta se erogati da enti pubblici o federazioni. | Disciplina ad hoc art.36 c.6-quater D.Lgs 36/21: premi assoggettati a ritenuta 20% (se non sinallagmatici) . Non concorrono al limite €15k se non collegati a un rapporto di lavoro sportivo. |
Esempio | Istruttore percepisce €8.000 nel 2022: esenti €8k, nulla in dichiarazione. Se percepiva €12.000: €2k tassati (ritenuta 23% su €2k, dichiara €2k). | Istruttore percepisce €8.000 nel 2024: esenti €8k, nulla IRPEF. Se percepisce €20.000: €15k esenti, €5k tassati (datore trattiene IRPEF su €5k). Inoltre, contributi INPS su €3k (eccedenza oltre 5k). |
Nota: In entrambi i regimi, i requisiti di non professionalità e finalità sportiva dilettantistica sono presupposti. Senza di essi, l’intero importo rischia di essere trattato come reddito di lavoro normale fin dal primo euro.
Tabella 2: Violazioni e sanzioni tipiche in caso di omissione di compensi
Violazione (ambito) | Descrizione | Conseguenze principali | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|
Omessa presentazione dichiarazione (Fisco – amministrativo) | ASD/SSD o persona fisica non presenta la dichiarazione pur avendo redditi (anche esenti) | Sanzione 120% – 240% dell’imposta dovuta (min €250) . Se niente imposta: sanz €250-1000. Accertamento d’ufficio con determinazione induttiva dei redditi. | D.Lgs. 471/97 art.1 c.1 |
Dichiarazione infedele (Fisco – amministrativo) | Dichiarazione presentata ma omessi alcuni redditi (es. compensi sportivi eccedenti soglia non dichiarati) | Sanzione 90% – 180% della maggiore imposta dovuta . Riduzioni se errore inferiore a soglie di punibilità penale. | D.Lgs. 471/97 art.1 c.2 |
Omessa/errata certificazione compensi (CU) (Fisco) | Mancato invio o errato invio della Certificazione Unica per compensi sportivi erogati. | Sanzione amministrativa €100 per ogni CU omessa/errata (max €50k per sostituto). Sanabile con ravvedimento entro 60gg (sanz ridotta). | D.Lgs. 471/97 art.4 c.6-quinquies |
Omesso versamento ritenute (Fisco – amm./penale) | La società non versa le ritenute IRPEF operate sui compensi eccedenti soglia (o su stipendi sportivi). | Sanzione 30% di ogni importo non versato (amm.). Reato art.10-bis D.Lgs.74/00 se importo > €150k: penale 6 mesi – 2 anni. | D.Lgs. 471/97 art.13; D.Lgs.74/00 art.10-bis |
Indebita applicazione esenzione (Fisco) – es. P.IVA in ambito sportivo | Collaboratore con P.IVA sportiva trattato come dilettante esente. | Recupero integrale IRPEF + addizionali su quanto pagato (tassazione come reddito di lavoro autonomo). Sanzioni per infedele dichiarazione a carico del percettore; sanzioni per omessa applicazione ritenuta a carico dell’ente. | Cass. 11375/2020 ; Art. 64 co.4-bis DPR 600 |
Qualificazione ente commerciale (abuso forma ASD) (Fisco – amm./penale) | ASD/SSD perde requisiti di non lucro, i proventi andavano tassati come commerciali. | Decadenza agevolazioni: tassazione IRES 24% su utili, IVA 22% su operazioni fatte senza IVA, IRAP. Sanzioni 90%-180% imposte evase. Reato di omessa dichiarazione se imposta evasa > €50k . | TUIR 148 c.8 (decadenza); D.Lgs.74/00 art.5 (penale) |
Omesso versamento contributi (INPS – civile/penale) | Mancato pagamento contributi obbligatori (es. istruttore oltre soglia). | Avviso di addebito INPS con contributi + sanzioni civili (fino 30% annuo). Se trattiene quote dipendente >€10k e non versa: reato contravvenzionale (L.638/83 art.2) punito con ammenda/arresto. | L. 388/2000 art.116 (sanzioni civili); L. 638/83 art.2 (penale) |
Lavoro irregolare (nero o parasubordinato) (Lavoro) | Collaboratori qualificati come volontari/dilettanti ma di fatto lavoratori subordinati. | Verbale ispettivo: Maxisanzione lavoro nero (€1.800-€43.200 per lavoratore); obbligo regolarizzazione posizioni (contratti, contributi, assicurazione). Eventuale diffida a stipulare contratti. | D.Lgs. 81/2015 (co.co.co etero-org); L. 73/2002 (maxisanzione) |
Indebita percezione di erogazioni pubbliche (penale) – caso atleti corpi sportivi | Atleta dipendente pubblico non comunica compensi extra dovuti all’Amministrazione. | Responsabilità erariale: restituzione compensi percepiti indebitamente al datore pubblico . Possibile reato art.316-ter c.p. se contributi pubblici ottenuti con false dichiarazioni. | Art. 53 D.Lgs.165/01 (dipendenti pubblici); art.316-ter c.p. |
Nota: Le soglie e sanzioni sono semplificate; in pratica vanno considerati attenuanti, ravvedimenti, ecc. Ad esempio, l’omessa dichiarazione non penale si può regolarizzare con ravvedimento pagando 1/10 della sanzione minima se entro 90gg.
Tabella 3: Principali sentenze recenti rilevanti
Sentenza (Anno) | Oggetto | Principio affermato | Fonte |
---|---|---|---|
Cass. Civ. Sez. V, ord. 11375/2020 (deposit. 15/06/2020) | Compensi sportivi e titolare di P.IVA sportiva | L’agevolazione fiscale (esenzione fino a €10.000) non spetta se il percettore esercita professionalmente l’attività sportiva (partita IVA nello stesso ambito). Deve emettere fattura e tassare i compensi. | Studio Piazza (Giurisd. appello GE/RM) |
Cass. Pen. Sez. III, sent. 35977/2021 (dep. 04/10/2021) | Omessa dichiarazione da parte di SSD dilettant. | Anche le SSD/ASD devono presentare dichiarazione redditi annuale, pure in regime 398/91. Le entrate da soci/partecipanti sono decommercializzate solo se rispettati tutti i requisiti formali e sostanziali (nozioni di socio/tesserato vs mero partecipante). Incertezza su tali requisiti può escludere il dolo penale. | FiscoeTasse (Moroni) |
Cass. Civ. Sez. V, ord. 11337/2022 (ud. 23/02/22, dep. 07/04/2022) | Fringe benefit calciatore (agente pagato dal club) | Il pagamento del club all’agente del calciatore configura fringe benefit imponibile per il calciatore. Questi è tenuto a dichiararlo; la sua ignoranza sull’importo non lo esime. La sanzione per omessa dichiarazione colpisce il calciatore, responsabile d’imposta, anche per mera colpa. | Gazzetta.it – Le Regole del Gioco |
Cass. Pen. Sez. III, sent. 38800/2024 (dep. 22/10/2024) | SSD di fatto commerciale – omessa dichiarazione (penale) | Prevalenza della sostanza sulla forma: una SSD che opera come ente commerciale (palestra a scopo di lucro) non merita il regime fiscale agevolato e la mancata dichiarazione configura reato. Gli indizi plurimi (mancata opzione 398, assenza attività sportiva dilett., continuità con SRL, clienti non associati, ecc.) se concordanti provano il fine di evasione. | Wbox.it (Masserini) |
Cass. Civ. Sez. Trib., ord. 28091/2024 (dep. 31/10/2024) | Obbligo dichiarativo ASD in 398/91 | Le ASD/SSD in regime agevolato devono comunque presentare la dichiarazione dei redditi, anche se non hanno redditi imponibili. L’art.1 DPR 600/73 impone la dichiarazione di tutti i redditi posseduti, anche se esenti. | FiscoeTasse (Redazione) |
Cass. Lav. (Sez. IV), ord. 26252/2025 (ipotetica)** | Contributi previdenziali istruttori sportivi | L’esenzione contributiva art.67 c.1 m) TUIR si applica solo a prestazioni genuinamente dilettantistiche. Onere della prova a carico dell’ASD/SSD. Se l’attività è svolta con abitualità e continuità, scatta l’obbligo contributivo (rapporto di lavoro vero). Confermata riqualificazione a lavoro subordinato se presenti indici (orari, direzione). | Lexced (Tedesco) |
Nota: l’ultima sentenza è indicata come 2025 sulla base della pubblicazione agosto 2025 (il numero effettivo potrebbe differire). I principi elencati sono comunque quelli espressi nell’ordinanza commentata . Le fonti citate accanto sono articoli di dottrina o note a sentenza che riportano fedelmente i contenuti.
Le tabelle sopra forniscono una panoramica schematica. È importante ricordare che ogni caso concreto può presentare sfumature e particolarità che sfuggono alla generalizzazione. Pertanto, vanno lette come linee guida generali.
Esempi pratici e simulazioni
Per concretizzare quanto discusso, proponiamo alcune simulazioni di casi pratici (riferiti esclusivamente al contesto italiano) in cui si verifica un’omissione di compensi sportivi, e vediamo come si potrebbe impostare la difesa dal punto di vista del debitore. Questi esempi, ispirati da vicende reali, illustrano l’applicazione pratica delle norme e dei principi visti sinora.
Caso 1: L’allenatore dilettante con doppio reddito
Scenario: Marco è un istruttore di tennis. Lavora come impiegato (reddito annuo 20.000 €) ma nel tempo libero allena i bambini di un’ASD locale. Nel 2022 l’ASD gli ha corrisposto 8.000 € come “compenso sportivo dilettantistico” (entro la soglia di esenzione allora vigente). Marco, sapendo che sotto 10.000 € non si pagano tasse, non ha indicato questi 8.000 € nella sua dichiarazione dei redditi 2023 (Modello 730). Un anno dopo, riceve una comunicazione di irregolarità dall’Agenzia Entrate: quei 8.000 € risultano da una CU che l’ASD ha inviato (codice compensi sportivi) e l’Agenzia chiede perché non siano stati dichiarati. Nel frattempo, con la riforma, la soglia è salita a 15.000 €, creando un po’ di confusione in Marco.
Problema: Rischia una sanzione per dichiarazione infedele per non aver dichiarato 8.000 € di redditi. Anche se l’imposta evasa in realtà sarebbe zero (perché quegli 8k erano esenti), formalmente avrebbe dovuto inserirli come redditi esenti? La norma non lo richiedeva espressamente all’epoca, il che apre spazio a dubbi.
Difesa (punto di vista di Marco):
– Innanzitutto, Marco verifica la CU rilasciata dall’ASD: probabilmente essa indica 8.000 € come “redditi esenti art.67 c.1 m)”. Ciò significa che, in teoria, non c’era imposta. Marco può rispondere all’Agenzia (tramite il suo CAF o un professionista) spiegando che non li ha indicati in dichiarazione perché esenti per legge . Nel 2022, le istruzioni fiscali non prevedevano un quadro obbligatorio per riportarli se non superavano la soglia. – Marco sottolinea la buona fede: ha dichiarato integralmente il suo reddito da lavoro e semplicemente riteneva corretto non indicare l’importo esente, perché così gli era stato detto dall’ASD (magari esibisce la lettera dell’ASD che accompagnava la CU dove c’era scritto “compenso esente da imposte entro €10.000”). – Se l’Agenzia fosse poco incline a chiudere l’occhio, potrebbe proporre una sanzione ridotta (ad esempio €250). A questo punto, Marco valuterà costi/benefici: può pagare €250 per chiudere la faccenda (magari mediante ravvedimento operoso speciale se ancora permesso, o adesione semplificata). – Dato che l’importo esente non generava imposta, la norma è un po’ in zona grigia: la Cassazione 2024 (ord.28091) ha detto che tutti i redditi vanno dichiarati comunque , ma essendo quell’ordinanza successiva, Marco può dire che nel 2022 quell’interpretazione non era pacifica. – Probabilmente l’esito sarà: l’Agenzia archivia la sanzione (perché non c’è imposta evasa) oppure gli chiede di versare una piccola sanzione per irregolarità formale. In entrambi i casi, un danno limitato.
Prevenzione per il futuro: Marco, ora al corrente delle nuove regole, nel 2023 allenerà ancora ma con la soglia 15.000 € non avrà problemi. Se anche dovesse superare i 5.000 come cumulo, l’ASD inizierà a versare contributi e lui rilascerà autocertificazione. Si doterà magari di un commercialista per farsi assistere nel compilare correttamente il 730, indicando eventuali redditi esenti in nota, così da evitare qualsiasi bandierina rossa.
Caso 2: La società sportiva “mascherata”
Scenario: La “Gym Star SSD a rl” è nata nel 2018 come società sportiva dilettantistica (forma di srl senza scopo di lucro, iscritta al CONI). Gestisce una palestra e centro fitness. Fino al 2022 ha operato dichiarando solo proventi istituzionali: tutti i clienti diventavano soci tramite un tesseramento annuale di facciata, le quote pagate erano registrate come contributi associativi. La società optò per la 398/91 e non ha mai superato €250k di ricavi dichiarati (perché semplicemente dichiarava importi modesti). Nel 2021 però un ex istruttore fa vertenza perché ritiene di essere stato impiegato come dipendente in nero. Scattano ispezioni: l’INL e la Guardia di Finanza fanno sopralluogo e trovano diverse irregolarità (clienti senza tessera, promozioni aperte al pubblico, l’istruttore in questione faceva 30 ore settimanali pagate con compensi sportivi esenti…). Nel 2023 arriva un Processo Verbale di Constatazione (PVC) dall’Agenzia Entrate: contestati 4 anni (2018-2021) di omessa dichiarazione di ricavi commerciali per un totale evaso di €200.000 di IRES+IVA. Parte anche la notizia di reato. Il legale rappresentante, Luca, si trova un dunque duplice fronte: fiscale e penale.
Problema: La società è accusata di aver evaso imposte sotto le spoglie di SSD dilettantistica. Luca rischia la condanna penale per omessa dichiarazione (imposta evasa >50k all’anno) e deve far fronte a cartelle esattoriali molto alte (comprese sanzioni). Inoltre, l’INPS gli chiede contributi per l’istruttore e altri collaboratori (circa €80.000).
Difesa (punto di vista di Luca/SSD):
Questo è un caso complicato, simile a Cass. 38800/2024 . Luca con il suo avvocato elabora una strategia: – Penale: Decidono di provare a patteggiare la pena, puntando magari a una sospensione condizionale. Sanno che difendersi nel merito è arduo visti gli indizi chiari (il PVC elenca tutti gli elementi come in Cassazione: niente gare svolte, continuità con una srl preesistente, badge, pubblicità al pubblico ecc.). Nel patteggiamento offrono come condizione il pagamento di una parte del debito fiscale. – Fiscale: Avviano un’adesione con l’Agenzia per chiudere le annualità con una definizione: riescono a concordare il pagamento di imposte e interessi, ottenendo sanzioni ridotte a 1/3. Dilazionano il dovuto in 6 rate. Questo comporta l’interruzione del contenzioso tributario ed evita eventuale confisca penale del profitto (che è già stato in sostanza “restituito” pagando). In parallelo, provano a rinegoziare la qualifica: accettano di pagare IRES e IVA, ma puntano a mantenere almeno l’aliquota ridotta L.398 per il calcolo (in alcuni casi l’Agenzia, se l’ente era in 398 formalmente, può applicare i coefficienti su quanto doveva dichiarare, invece di tassare al centesimo: dipende dalla malafede però, qui forse negano). – Contributi: Anche qui, scelgono di pagare. Chiedono all’INPS una rateazione biennale sull’avviso. Rinunciano a fare causa, perché l’istruttore palesemente era un dipendente (30h/sett, c’è pure causa di lavoro in corso). Pagando i contributi, Luca spera di chiudere almeno la questione lavoro nero con una maxi-sanzione minima (che in caso di pagamento e regolarizzazione spesso viene dimezzata). – Lezioni apprese: Luca trasforma la Gym Star: costituisce una SRL ordinaria “Gym Star Fit srl” dove trasferisce l’attività di palestra commerciale, pagando le tasse normalmente. La SSD a rl precedente la tiene per eventuali attività dilettantistiche reali (es. organizzare gare o corsi amatoriali), ma con volumi ridotti e regola. In questo modo, mostra anche al giudice penale di aver eliminato la fonte dell’evasione per il futuro.
Esito possibile: Luca ottiene un patteggiamento a 2 anni (pena sospesa) grazie al risarcimento del danno (ovvero il pagamento delle imposte) e alla incensuratezza. La SSD comunque perde lo status di ente agevolato per il passato e paga tutto ciò che deve. La lezione è costosa: decine di migliaia di euro uscite. Ma Luca evita il carcere e soprattutto può continuare l’attività in forma lecita e più tranquilla, sebbene con minor margine (ma evitando rischi futuri).
Caso 3: L’atleta percettore di indebiti vantaggi
Scenario: Alessia è un’atleta di interesse nazionale di atletica leggera. È tesserata per un gruppo sportivo militare (Fiamme Oro) dove riceve uno stipendio statale da agente di polizia. Parallelamente, gareggia anche in meeting internazionali come “semi-professionista” e ha ottenuto nel 2021 dei premi in denaro da sponsor privati per circa €15.000. Inoltre, percepiva il reddito di cittadinanza dallo Stato, poiché formalmente risultava senza altri redditi (il suo stipendio da agente era sospeso perché in aspettativa per attività sportiva, e i premi non li aveva dichiarati a nessun ente). Nel 2022, un’indagine incrociata INPS-CONI scopre che Alessia ha ricevuto quei premi mentre riscuoteva il RdC. Scatta una contestazione per indebita percezione del reddito di cittadinanza, e nel frattempo l’Agenzia Entrate invia un accertamento perché quei 15.000 € di premi non sono comparsi nella sua dichiarazione dei redditi.
Problema: Alessia rischia su vari fronti: – Deve restituire le mensilità di RdC ricevute indebitamente (essendo venuto meno il requisito economico). – Potenzialmente rischia un procedimento penale per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) se superano la soglia (per il RdC in realtà c’è norma specifica punita severamente). – Fiscalmente, la mancata dichiarazione dei premi potrebbe esserle contestata come reddito non dichiarato (anche se soggetto a ritenuta, bisogna vedere come erano erogati quei premi).
Difesa (punto di vista di Alessia):
– Alessia, tramite il suo legale, punta innanzitutto a restituire volontariamente quanto preso di RdC, per evitare guai peggiori. Versa subito all’INPS l’importo di, ipotizziamo, €9.000 (quanto avuto in un anno). Questo, in base al DL 4/2019, potrebbe evitare la procedibilità penale se fatto prima del giudizio. Mostra pentimento e collaborazione. – Per la parte fiscale: bisogna vedere se i premi erano soggetti a ritenuta 20% a titolo d’imposta. Se sì (erogati da federazioni o società con ritenuta), Alessia può sostenere che non andavano dichiarati ulteriormente, essendo imposta già assolta alla fonte. Fornisce all’Agenzia le ricevute dei premi con l’indicazione della ritenuta subita. Magari l’accertamento viene annullato perché frutto di un controllo automatico che vede i 15k senza riscontro, ma se c’era ritenuta d’imposta il suo obbligo dichiarativo era assolto. – Se invece qualche premio era sponsor diretto senza ritenuta (caso più complicato): Alessia dovrà integrarre la dichiarazione 2022 includendo quei redditi, pagando le imposte dovute (anche se essendo lei fiscalmente residente e con stipendio statale, il suo scaglione IRPEF potrebbe farle pagare un 38% su quei 15k). Fa un ravvedimento operoso per ridurre sanzioni. – Come atleta di gruppo sportivo militare, Alessia rischia anche una sanzione disciplinare interna per non aver comunicato i compensi extra. Il suo avvocato presenta istanza alla sua amministrazione evidenziando che si è messa in regola e chiedendo clemenza (forse incorrerà solo in una censura). – Evitato il penale grave, Alessia impara che bisogna sempre comunicare i proventi extra e che il RdC non spettava se c’erano quei guadagni. In futuro, userà canali regolari: ora che c’è il professionalismo riconosciuto per dilettanti, il suo club sportivo la contrattualizza magari come collaboratore sportivo e i premi li percepisce attraverso la Federazione con trasparenza.
Esito possibile: Alessia riesce a chiudere la vicenda senza condanne: paga il dovuto al fisco e restituisce il RdC. Probabilmente riceve una sospensione dal gruppo sportivo per qualche mese come sanzione disciplinare, ma poi torna a gareggiare. Il suo caso però fa scalpore mediatico (purtroppo gli “furbetti del RdC” sono nel mirino), quindi subisce un danno di immagine. Difendersi efficacemente le ha evitato il peggio (carcere), ma la reputazione ne esce ammaccata.
Queste simulazioni mostrano come, in concreto, “difendersi” significa spesso sanare e negoziare, più che farla franca con cavilli. Il comune denominatore è la tempestività: prima si prende in mano la situazione, più margini di manovra ci sono (ravvedimenti, patteggiamenti, riduzioni). Inoltre, evidenziano l’importanza di stare al passo con la normativa (molti comportamenti tollerati in passato ora non lo sono più).
Conclusioni
Dal nostro approfondito excursus emerge chiaramente che il mondo dei compensi sportivi – specialmente in zona grigia tra dilettantismo e professionalità – è stato oggetto di significativa evoluzione normativa e di un’attenzione crescente da parte di Fisco e INPS. Ciò che forse anni fa veniva gestito con leggerezza (pagamenti in esenzione senza formalità, ASD usate per risparmiare tasse) oggi può portare a pesanti conseguenze se non in regola, compresa la responsabilità penale per frode fiscale.
Abbiamo evidenziato come la Riforma dello Sport 2021-2023 abbia ridisegnato il quadro: oggi si parla di “lavoratori sportivi” dilettanti, con contratti, registrazioni e soglie ben definite (5.000 € per i contributi, 15.000 € per le tasse) . Da un lato, ciò semplifica alcune cose (ad esempio elimina l’ambiguità per chi sta sotto 15k, che ora è chiaramente esentasse); dall’altro impone maggiori adempimenti e rende meno difendibile qualsiasi scappatoia. La linea di demarcazione ribadita da norme e sentenze è la sostanzialità: se un rapporto di lavoro c’è, va riconosciuto e tassato per quello che è, al di là dell’etichetta sportiva . Le agevolazioni sono riservate a chi effettivamente mantiene una dimensione dilettantistica (in senso di non professionalità), non a chi ne fa un business camuffato.
Dal punto di vista del “debitore”, il messaggio è duplice: 1. Prevenire è meglio che curare: mettere in regola oggi la propria posizione (come atleta o come società) è il miglior modo per difendersi domani. Questo significa: documentare tutto, rispettare soglie, fare le dichiarazioni, chiedere consulenza se incerti. Un euro speso ora in consulenza può risparmiarne cento in sanzioni future. 2. In caso di contestazione, agire con raziocinio e buona fede: nascondersi o negare l’evidenza raramente paga. Meglio collaborare con le autorità, riconoscere eventuali errori involontari e porvi rimedio. Le normative sui ravvedimenti e sulle definizioni agevolate sono fatte apposta per consentire al contribuente di rientrare nei ranghi con danni limitati, purché lo faccia spontaneamente o immediatamente dopo la contestazione.
Abbiamo visto come i giudici (Civili, Penali, Tributari) stiano colmando le zone d’ombra con decisioni coerenti: ad esempio, il principio che anche le ASD devono dichiarare ogni anno, sancito da Cassazione ; oppure che il calciatore non possa dirsi ignaro dei propri fringe benefit . Con queste pronunce note, risulta sempre più difficile costruire difese basate sull’equivoco o sull’ignoranza della legge. D’altra parte, se ci sono stati reali fraintendimenti (per esempio normative poco chiare in un dato periodo), è compito del legale difensore far emergere queste circostanze per ottenere clemenza o assoluzione.
Un aspetto da non dimenticare è il profilo umano e reputazionale: atleti, tecnici, dirigenti sportivi spesso hanno un’immagine pubblica. Scandali di evasione o contributi non pagati possono danneggiare carriere e fiducia degli sponsor. Anche da questo punto di vista, affrontare con trasparenza eventuali problemi (magari rendendo pubbliche le soluzioni adottate, come il pagamento dei debiti) è importante per riabilitarsi agli occhi della comunità sportiva.
In definitiva, “come difendersi” dall’accusa di omissione di compensi non significa cercare furbizie legali, ma piuttosto saper coniugare la conoscenza delle norme (e delle proprie tutele, perché anche il Fisco può sbagliare o eccedere nelle pretese) con un atteggiamento di responsabilità. Il punto di vista del debitore deve essere pragmatico: ammettere dove si è in difetto, far valere dove invece si è nel giusto, e trovare un punto di incontro che soddisfi lo Stato ed eviti punizioni sproporzionate.
Lo sport in Italia è una risorsa preziosa e per lungo tempo è stato sostenuto attraverso esenzioni fiscali: usarle in maniera corretta è lecito e opportuno, abusarne è quello che porta alle sanzioni. La chiave sta tutta qui. Avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro specializzati nel settore sportivo sono figure cruciali per navigare in queste acque e vanno coinvolti per tempo.
Speriamo che questa guida – con le sue oltre 10.000 parole di spiegazioni, riferimenti normativi aggiornati ad agosto 2025, sentenze recentissime, tabelle riepilogative e casi pratici – possa costituire un valido strumento sia per i professionisti chiamati a difendere chi è coinvolto in queste vicende, sia per gli stessi privati cittadini e imprenditori sportivi che vogliono capire come agire correttamente e come reagire di fronte a un controllo fiscale o contributivo. In un settore in continua evoluzione come quello sportivo, l’aggiornamento costante è fondamentale: rimandiamo quindi alle fonti ufficiali (Agenzia Entrate, INPS, Dipartimento Sport) per le ultime novità e auspichiamo che si diffonda sempre più una cultura della legalità anche fiscale nello sport, così da evitare che le aule di tribunale diventino parte del campo di gioco.
Fonti:
- D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), art. 67, co.1, lett. m)
- D.Lgs. 28 febbraio 2021 n.36 (Riforma dello sport), art. 36, commi 5-6
- Cass. Pen. Sez. III, sent. 38800/2024: SSD dilettantistica trattata come commerciale, condanna per omessa dichiarazione
- Cass. Civ. Sez. V, ord. 11337/2022: compensi ad agente come fringe benefit del calciatore, obbligo dichiarativo dell’atleta
- Cass. Civ. Sez. V, ord. 28091/2024: obbligo per ASD in 398 di presentare la dichiarazione dei redditi comunque
- Cass. Lav., ord. 2025 (rel. 25/06/2025): obbligo contributi per istruttori, esenzione solo se non professionalità (onere prova su ASD)
- Circolare numero 105 del 27-06-2025 – INPS
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati compensi da prestazioni sportive professionistiche non dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere quali sono i rischi fiscali e come puoi difenderti da queste contestazioni?
I compensi percepiti per attività sportive professionistiche sono a tutti gli effetti redditi imponibili e devono essere dichiarati. L’Agenzia delle Entrate incrocia i dati provenienti da federazioni, club, sponsor e contratti: se rileva incongruenze con quanto dichiarato, scatta l’accertamento. Ma non sempre le contestazioni sono corrette: spesso derivano da errori di comunicazione o da pagamenti già soggetti a ritenuta.
👉 Prima regola: verifica se i compensi contestati erano effettivamente percepiti e se sono già stati tassati alla fonte.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Omissione dei compensi nella dichiarazione dei redditi;
- Contratti di sponsorizzazione o premi non riportati;
- Pagamenti ricevuti all’estero e non dichiarati in Italia;
- Dati comunicati da federazioni o club non coerenti con le tue dichiarazioni;
- Presunzione di reddito occulto in assenza di tracciabilità.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero IRPEF sui compensi omessi;
- Sanzioni per infedele dichiarazione (dal 90% al 180% dell’imposta);
- Interessi di mora;
- Possibile rischio di indagini penali in caso di importi elevati e reiterazione;
- Accertamenti patrimoniali su conti correnti, carte e immobili.
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Effettiva percezione dei compensi: i redditi contestati sono stati realmente incassati?
- Ritenute alla fonte: i club o gli sponsor hanno già trattenuto e versato le imposte?
- Contratti sportivi e di sponsorizzazione: cosa prevedono effettivamente?
- Motivazione dell’atto: l’Agenzia deve indicare con precisione le fonti dei dati;
- Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Contratti con club, federazioni e sponsor;
- CU (Certificazione Unica) o analoghi documenti esteri;
- Estratti conto bancari con evidenza dei pagamenti;
- Ricevute fiscali e quietanze;
- Dichiarazioni dei redditi e ricevute di presentazione.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare che i redditi erano già tassati con ritenute operate dal sostituto d’imposta;
- Contestare errori dell’Agenzia derivanti da duplicazioni o dati incompleti;
- Eccepire vizi dell’atto: carenza di motivazione, notifica irregolare, decadenza dei termini;
- Chiedere autotutela se la contestazione è palesemente infondata;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, con sospensione cautelare della riscossione;
- Mediazione tributaria (quando prevista) per ridurre sanzioni e interessi.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza i contratti sportivi e i dati contestati;
📌 Verifica la legittimità della ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre la pretesa fiscale;
⚖️ Ti rappresenta nei contraddittori e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per una gestione fiscale corretta e sicura dei compensi sportivi.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su redditi da sport professionistico;
✔️ Specializzato in difesa di atleti, club e operatori sportivi nelle verifiche fiscali;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni del Fisco sull’omissione di compensi da prestazioni sportive professionistiche non sempre sono fondate: spesso derivano da errori o da pagamenti già tassati.
Con una difesa tecnica puoi dimostrare la correttezza della tua posizione, evitare la doppia imposizione e ridurre drasticamente sanzioni e interessi.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sui compensi sportivi inizia qui.