Donazioni Simulate Contestate Come Elusione Fiscale: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che una donazione sia stata simulata per eludere il fisco? In questi casi, l’Ufficio presume che l’atto di donazione non sia reale, ma solo uno strumento per trasferire beni o denaro con l’obiettivo di ridurre imposte, successioni o altre pretese fiscali. La conseguenza è il disconoscimento della donazione e il recupero delle imposte con sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: esistono strategie difensive per dimostrare la genuinità della donazione.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una donazione come simulata
– Se manca la tracciabilità dei trasferimenti di denaro o beni
– Se il donante continua a mantenere la disponibilità del bene donato
– Se la donazione avviene poco prima di un accertamento o di una procedura esecutiva
– Se vi sono incongruenze tra il valore dichiarato e quello reale del bene trasferito
– Se l’operazione appare strumentale a evitare imposte di successione o di registro

Conseguenze della contestazione
– Riqualificazione della donazione come operazione elusiva o come atto a titolo oneroso
– Recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali non corrisposte
– Applicazione di sanzioni per abuso del diritto ed elusione fiscale
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile apertura di ulteriori controlli patrimoniali e successori

Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale volontà liberale del donante con documenti e testimonianze
– Provare la tracciabilità dei trasferimenti tramite bonifici, assegni o atti notarili regolari
– Contestare la presunzione di simulazione basata solo su indizi e non su prove concrete
– Evidenziare errori di qualificazione giuridica o difetti di motivazione dell’accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’atto di donazione e la documentazione collegata
– Verificare la legittimità della contestazione sotto il profilo fiscale e civilistico
– Redigere un ricorso fondato su vizi sostanziali e formali dell’accertamento
– Difendere il donante e il donatario davanti ai giudici tributari
– Tutelare il patrimonio familiare da indebite tassazioni e contestazioni fiscali

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– Il riconoscimento della validità e genuinità della donazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– La sospensione di eventuali procedure di recupero già avviate
– La certezza di proteggere il patrimonio trasferito da indebite pretese fiscali

⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e diritto successorio – spiega come difendersi in caso di contestazioni su donazioni simulate e come tutelare i tuoi diritti.

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Introduzione

Le donazioni simulate – ossia trasferimenti apparentemente a titolo gratuito ma privi di reale spirito di liberalità o finalizzati a scopi diversi – sono spesso utilizzate per eludere obblighi fiscali o patrimoniali. In Italia tali operazioni possono essere contestate dalle autorità o dai creditori come elusione fiscale o frodi ai creditori, esponendo i donanti (spesso debitori verso Fisco o terzi) a rischi significativi. Si pensi ad esempio al contribuente indebitato che dona beni ai familiari per sottrarli alla riscossione, o al genitore che trasferisce la proprietà ai figli simulando una donazione per evitare imposte di successione. In questi casi l’ordinamento prevede strumenti per reprimere gli abusi – sia sul piano tributario (abuso del diritto, requalificazione ai fini fiscali) sia sul piano civile (azione revocatoria, nullità per simulazione) – e offre tuttavia al debitore-donante la possibilità di difendersi.

In questa guida approfondiremo, con riferimenti normativi italiani aggiornati ad agosto 2025 e pronunce giurisprudenziali recenti, come vengono individuate e sanzionate le donazioni simulate ritenute elusive, e quali strategie difensive può adottare chi le ha poste in essere. Il taglio è avanzato, rivolto a professionisti legali, privati e imprenditori; il linguaggio è giuridico ma divulgativo, per chiarire concetti complessi. Saranno incluse tabelle riepilogativeesempi pratici e una sezione di Domande & Risposte, oltre a cenni su modelli di atti difensivi utilizzabili in giudizio. L’analisi privilegia il punto di vista del debitore, ossia di chi ha effettuato la donazione contestata, illustrando come possa tutelarsi nelle varie sedi.

Concetti chiave e quadro normativo di riferimento

Donazione e forma richiesta: La donazione è il contratto con cui, per spirito di liberalità, il donante arricchisce il donatario disponendo a suo favore un diritto o assumendo un obbligo (art. 769 c.c.). La regola generale (art. 782 c.c.) richiede l’atto pubblico notarile con due testimoni, a pena di nullità, salvo le donazioni di modico valore (che si perfezionano con la tradizione del bene). Una donazione priva di forma pubblica è nulla in sede civile. Ad esempio, un bonifico bancario di grande importo eseguito come liberalità senza atto notarile è una donazione informale che, civilisticamente, sarebbe nulla per difetto di forma, salvo configurarsi come donazione indiretta (se inserita in un’operazione negoziale più ampia). Le donazioni indirette sono quei negozi che perseguono un arricchimento gratuito attraverso schemi diversi dal contratto tipico di donazione – es. il pagamento di un immobile da parte del padre ma intestazione al figlio, oppure la rinuncia a un credito per favorire qualcuno. Pur mancando la forma solenne, tali liberalità indirette producono ugualmente effetti di arricchimento del beneficiario per spirito di liberalità.

Simulazione assoluta o relativa: In diritto civile, la simulazione di un contratto si ha quando le parti, d’accordo tra loro, fanno apparire un negozio che in realtà non vogliono (simulazione assoluta) oppure ne dissimulano un altro (simulazione relativa). Nel contesto delle donazioni, è frequente la simulazione relativa: atti di vendita fittizi che celano donazioni o viceversa donazioni apparenti che nascondono altri scopi. Ad esempio, un padre potrebbe vendere un immobile al figlio a prezzo simbolico, simulando una compravendita che in realtà è una donazione dissimulata (donazione indiretta). Oppure, al contrario, potrebbe formalizzare una donazione pur mantenendo segretamente il controllo sul bene, così da simulare l’uscita dal patrimonio (tipico nei casi di trust simulati o intestazioni fiduciarie). La simulazione è disciplinata dagli artt. 1414 e ss. c.c.: l’atto simulato è inefficace tra le parti, mentre resta inopponibile ai terzi in buona fede, i quali possono far valere a propria tutela sia la situazione apparente sia quella reale, scegliendo quella ad essi più favorevole. Ciò significa, ad esempio, che un creditore del donante può ignorare la donazione simulata (se prova che era fittizia) e considerare il bene ancora nel patrimonio del debitore. Analogamente, un legittimario pretermesso (erede con quota di legittima lesa) può agire per far emergere la natura simulata di vendite fatte in vita dal de cuius, trattandole come donazioni lesive della legittima.

Elusione fiscale e abuso del diritto: In ambito tributario, per elusione fiscale si intende l’uso di strumenti giuridici leciti volto però a ottenere vantaggi fiscali indebiti, aggirando la norma fiscale senza violarla letteralmente. L’ordinamento italiano, specie dopo l’introduzione dell’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000, come inserito dal D.Lgs. 128/2015), contrasta l’elusione attraverso la nozione di abuso del diritto: l’Amministrazione finanziaria può disconoscere i benefici fiscali conseguiti tramite atti privi di sostanza economica e posti in essere essenzialmente per ottenere quel vantaggio fiscale. Nel contesto delle donazioni, si parla di elusione fiscale ad esempio quando un contribuente effettua un trasferimento di beni in forma gratuita allo scopo principale di evitare un’imposta (imposta di donazione, imposte sui redditi, ecc.), senza reali ragioni economiche sostanziali. Un caso tipico è l’attribuzione di beni a un trust o a un familiare per evitare la tassazione o per sottrarsi alla futura imposta di successione. La Corte di Cassazione tributaria applica il principio del substance over form, privilegiando la sostanza economica sull’apparenza giuridica: negozi formalmente leciti possono essere riqualificati se privi di causa economica diversa dal risparmio d’imposta. Ad esempio, un trust estero in cui il disponente resta l’effettivo gestore e beneficiario è stato qualificato come sham trust (trust simulato) dalla Cassazione, finalizzato a occultare redditi, e i relativi redditi sono stati imputati direttamente al disponente in base all’art. 37, co.3, DPR 600/1973.

Rischio penale: Oltre agli aspetti civilistici e fiscali, va ricordato che certe condotte simulatorie o fraudolente mirate a evitare il pagamento di imposte integrano un illecito penale. L’art. 11 D.Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte dovute (per un ammontare complessivo superiore a €50.000), alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni tali da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione. La norma ricomprende dunque sia l’alienazione simulata (come una donazione fittizia) sia altri atti dispositivi fraudolenti (es. vincoli come fondi patrimoniali o trust) tesi a occultare il patrimonio. È configurato come reato di pericolo: basta che esista il debito tributario e l’atto sia potenzialmente idoneo a ostacolare la riscossione, anche se non è ancora iniziata l’esecuzione forzata. La Cassazione penale ha infatti chiarito che sono punibili tutti gli atti anche formalmente leciti con connotati di inganno o artificio volti a rappresentare una realtà patrimoniale non veritiera e a sottrarre garanzie ai creditori erariali. Un esempio concreto: costituire un fondo patrimoniale e poi donare i beni al figlio senza reale motivo economico, dopo aver maturato un debito fiscale, configura una condotta fraudolenta idonea a integrare il reato. Pertanto, chi pianifica donazioni o atti similari in presenza di debiti fiscali deve essere consapevole non solo delle possibili azioni civili di annullamento, ma anche di possibili conseguenze penali.

Nel prosieguo, analizzeremo varie tipologie di donazioni simulate spesso oggetto di contestazione (ambito successorio, familiare, trust, impresa), i relativi profili fiscali (in particolare l’imposta di donazione e le novità legislative) e civilistici (tutela dei creditori e dei terzi). Infine, esamineremo gli strumenti di difesa a disposizione del donante/debitore e risponderemo ai principali quesiti pratici.

Tipologie comuni di donazioni simulate a scopo elusivo

Non tutte le donazioni “sospette” presentano le medesime caratteristiche; è utile distinguere alcune situazioni tipiche in cui la donazione (o un atto apparentemente tale) viene utilizzata come strumento elusivo o fraudolento, poiché ciascuna presenta peculiari implicazioni giuridiche:

Elusione successoria tramite donazioni

In ambito successorio, la donazione in vita può essere usata per alterare la futura divisione ereditaria o ridurre l’impatto fiscale della successione. Due profili rilevanti:

  • Elusione della legittima (legittimari pretermessi): Un testatore potrebbe donare in vita gran parte del patrimonio a determinati soggetti (spesso alcuni eredi o terzi di fiducia) per sottrarre quei beni alla massa ereditaria, di fatto pretermettendo (escludendo) gli eredi legittimari dalle loro quote di riserva. Formalmente le donazioni in vita non violano la legge finché il donante è vivo, ma al momento dell’apertura della successione gli eredi lesi possono reagire. La legge attribuisce ai legittimari l’azione di riduzione per recuperare le donazioni che ledono la legittima. In tali casi, spesso si affianca un’azione di simulazione: il legittimario totalmente escluso può sostenere che taluni atti compiuti dal de cuius, formalmente vendite a terzi o ad altri eredi, dissimulavano in realtà delle donazioni effettuate per sottrargli la quota di riserva. La Cassazione ha recentemente ribadito che il legittimario pretermesso che agisce per simulazione di un atto compiuto dal de cuius (ad esempio una finta vendita fatta in realtà a titolo di liberalità) agisce come terzo, non come erede, e quindi non necessita di aver accettato l’eredità con beneficio d’inventario prima di agire . Ciò gli consente ampia libertà di prova: benché la simulazione contrattuale tra parti richieda prova scritta, il legittimario (essendo un terzo rispetto al negozio simulato) può provare la natura donativa dell’atto anche con testimoni e presunzioni . In sostanza, se Tizio in vita vende a Caio (suo fidato) tutti i suoi beni per escludere il figlio legittimario, quest’ultimo – totalmente pretermesso – potrà in giudizio dimostrare che quelle vendite erano fittizie e a titolo gratuito, agendo da terzo, e farle dichiarare simulate (ossia considerarle donazioni) ai fini di ottenere la riduzione e reintegrare la sua quota. Questa tutela è molto forte: la Cassazione (ord. n. 19010/2024) ha sottolineato proprio che il legittimario pretermesso ha tale status di terzo e non perde il diritto neppure se non fa l’inventario . Dal punto di vista del donante (futuro de cuius), dunque, tentare di eludere la legittima tramite donazioni simulate è poco efficace: gli atti saranno contestabili e, se provata la simulazione, inefficaci verso l’erede leso. In sede difensiva, l’unica speranza per chi ha compiuto tali atti è far leva sulle difficoltà probatorie del legittimario; ma date le aperture probatorie citate, la difesa è ardua se le circostanze rivelano chiaramente l’intento donativo.
  • Elusione dell’imposta di successione: Un’altra finalità può essere anticipare il trasferimento dei beni con donazione, per approfittare di franchigie e aliquote vigenti, evitando possibili aumenti futuri dell’imposta successoria. Attualmente in Italia l’imposta sulle successioni e donazioni ha aliquote relativamente basse (4% per coniuge e figli, con franchigia di €1.000.000 ciascuno; 6% per fratelli e altri parenti con franchigie minori o nulle; 8% per i non parenti, senza franchigia). Alcuni potrebbero donare oggi ai figli per scongiurare possibili stangate fiscali domani (specie se si prevede un aumento delle aliquote o l’abbassamento delle soglie esenti). Questa è una forma di elusione lecita se resta nell’ambito consentito dalla legge (sfruttare norme vigenti prima di modifiche non è illecito). Tuttavia, occorre attenzione: un trasferimento fatto in prossimità della morte potrebbe essere rivisto dal legislatore o considerato strumentale. Allo stato, non vi sono norme che penalizzano la donazione rispetto alla successione (anzi, sono soggette alla stessa imposta). Quindi, donare per ragioni di pianificazione successoria è legittimo. Diventa contestabile solo se simulata o accompagnata da patti di retromarcia (es. donazione solo fittizia con accordo di restituire i beni al disponente più avanti): in tal caso, il Fisco potrebbe riqualificare l’operazione o considerare i beni ancora nell’asse ereditario. Inoltre, dal punto di vista degli eredi non donatari, la legge già prevede la collazione e la riduzione per lesione di legittima: quindi l’effetto di certi trasferimenti può essere annullato d’ufficio nella divisione ereditaria o su istanza di parte.

Difesa dal punto di vista del donante: se un erede legittimario contesta una donazione del de cuius come lesiva o simulata, il donatario (beneficiario) o i successori del donante potranno difendersi cercando di dimostrare che l’atto era reale e oneroso (se ad esempio si sostiene che una vendita era fittizia, provare che invece il prezzo fu pagato e l’operazione aveva causa reale). Tuttavia, qualora emerga un accordo simulatorio, la legge non offre vie di scampo: l’atto simulato è nullo. Una strategia difensiva può consistere nel valorizzare eventuali ragioni genuine dell’atto (es. vendita a figlio per necessità di denaro, poi donato in altra forma, ecc.) per confutare l’intento donativo. In mancanza, un accordo transattivo con i legittimari (riconoscendo loro una somma) potrebbe evitare la causa. In ogni caso, il consiglio pratico è evitare architetture artificiose: molto meglio regolare le proprie ultime volontà attraverso strumenti leciti (patti di famiglia, trust trasparenti con rispetto delle legittime, polizze vita, ecc.), anziché sperare che donazioni occulte sfuggano a contestazioni.

Donazioni ai familiari per sottrarre beni ai creditori

È frequente nella pratica che un soggetto in difficoltà economiche trasferisca beni di sua proprietà a parenti stretti (coniugi, figli, fratelli) a titolo di donazione, con l’intento di sottrarli alle pretese dei creditori. Ad esempio, un imprenditore oberato di debiti dona la nuda proprietà della casa ai figli mantenendo l’usufrutto, oppure un contribuente con cartelle esattoriali pendenti dona un immobile al coniuge. Queste donazioni ai familiari, se fatte in presenza di debiti, sono atti a titolo gratuito che pregiudicano le ragioni dei creditori, rendendo più difficile il loro soddisfacimento. Dal punto di vista legale, il principale strumento per contrastarle è l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.: il creditore (anche l’Agenzia delle Entrate per i crediti tributari) può chiedere al tribunale di dichiarare inefficace quella donazione nei suoi confronti, purché sussistano le condizioni di legge.

Presupposti della revocatoria: bisogna provare che il debitore (donante) conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori al momento in cui l’ha compiuto. Nel caso di atto a titolo gratuito (quale la donazione), non serve provare la malafede del beneficiario; basta la consapevolezza del debitore. Inoltre, deve esistere un credito (anche solo eventuale o litigioso, non necessariamente certo e definitivo) e l’atto deve aver causato un eventus damni (pregiudizio alle ragioni creditorie), ossia il patrimonio residuo del debitore non è sufficiente a soddisfare il credito. Quando la donazione è avvenuta dopo il sorgere del credito, questi requisiti si presumono più facilmente. Anzi, la giurisprudenza considera valido anche il credito litigioso o non ancora accertato, purché non sia pretestuoso. Nel caso di donazione ad un familiare, spesso i tribunali deducono che il debitore fosse consapevole del danno e considerano irrilevante l’eventuale buona fede del parente (che, essendo atto gratuito, non rileva ai fini della revoca).

Esempio pratico: Se Caio dona la propria casa al figlio Sempronio mentre ha debiti verso Tizio, quest’ultimo potrà agire ex art. 2901 c.c. per far dichiarare la donazione inefficace nei suoi confronti. Se vince la causa, potrà pignorare la casa come se fosse ancora di Caio, prelevandola a Sempronio (che subisce l’azione sul bene). A tal fine, Tizio dovrà dimostrare che il credito vantato esisteva (o era prevedibile) prima della donazione e che Caio sapeva di danneggiarlo con quella donazione. Non sarà necessario provare malafede di Sempronio (terzo donatario) perché l’atto è a titolo gratuito. Sempronio, in quanto convenuto in revocatoria, potrà difendersi provando magari che la donazione non ha arrecato pregiudizio (ad esempio perché Caio possedeva altri beni di valore sufficiente a garantire Tizio). Oppure potrà eccepire che il credito di Tizio è inesistente o già prescritto (dunque pretestuoso). Se la donazione risale a più di cinque anni prima, potrà inoltre eccepire la prescrizione dell’azione revocatoria (art. 2903 c.c. fissa il termine in 5 anni dall’atto).

Strumenti “semplificati” per i creditori – art. 2929-bis c.c.: Va ricordato che dal 2015 esiste un ulteriore mezzo a tutela dei creditori in caso di atti gratuiti: l’art. 2929-bis c.c. consente al creditore munito di titolo esecutivo di procedere direttamente all’esecuzione forzata sul bene donato o vincolato (es. fondo patrimoniale), senza necessità di causa revocatoria, purché l’atto sia posteriore al sorgere del credito e trascritto dopo la trascrizione del pignoramento. In pratica, se il creditore ha già una sentenza o cartella esecutiva, e il debitore dona un immobile, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale e poi pignorare subito quell’immobile come se fosse ancora del debitore, salvo che il beneficiario faccia opposizione dimostrando che non vi erano i presupposti (ad esempio, che il credito non era anteriore o che l’atto non è realmente a titolo gratuito). Questa norma ha di molto snellito la reazione verso donazioni ai familiari fatte in frode: i creditori (specie il Fisco, che spesso ha titoli esecutivi pronti) possono saltare il lungo iter giudiziale e colpire immediatamente i beni. Dal punto di vista del debitore-donante, ciò significa che la donazione non offre più neppure il “beneficio” di guadagnare tempo: un atto gratuito può essere neutralizzato quasi immediatamente con 2929-bis. L’unica difesa qui è attaccare la regolarità formale dell’azione esecutiva o dimostrare che l’atto non era gratuito in senso tecnico (ad esempio, rivendicare che in realtà si trattava di vendita con corrispettivo, quindi fuori dall’ambito di applicazione di 2929-bis). In sostanza, la protezione del patrimonio familiare tramite donazioni è oggi molto debole: i creditori hanno strumenti agili per vanificarla e, come accennato, persino il diritto penale può intervenire. Infatti, se le donazioni ai familiari avvengono dolosamente per frodare il Fisco, il donante rischia l’incriminazione per sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000). La Cassazione penale ha reputato “fraudolenta” proprio la condotta di chi vincola beni in un fondo patrimoniale e poi li dona ai figli per metterli al riparo dal Fisco. In tali casi, la difesa penale tenterà di provare che all’epoca degli atti il debitore non aveva la consapevolezza del debito tributario (ad es. perché non accertato) o che disponeva di altri beni per pagare, così da escludere l’elemento fraudolento. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene sufficiente la prevedibilità del debito e considera fraudolenta qualsiasi operazione priva di reale giustificazione economica fatta per occultare i beni.

In sintesi: le donazioni a familiari in presenza di debiti sono altamente rischiose e difficili da difendere. Il consiglio per un debitore che voglia salvaguardare il patrimonio senza infrangere la legge è valutare strumenti legittimi e meno attaccabili, come accordi di ristrutturazione del debito, fondi patrimoniali o trust antecedenti ai debiti (se creati quando ancora non vi erano creditori, possono resistere salvo prova di frode preordinata), oppure soluzioni transattive con i creditori. La donazione simulata o effettuata in extremis rischia quasi certamente di essere revocata e, se coinvolge il Fisco, di avere strascichi penali.

Uso di trust e vincoli di destinazione

L’istituzione di un trust (o di un fondo patrimoniale, o vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.) è spesso impiegata come strumento di pianificazione patrimoniale. Tuttavia, un trust può diventare un escamotage per realizzare una donazione indiretta o per proteggere beni da creditori in modo abusivo. Dal punto di vista civilistico, trasferire beni in trust significa spossessarsene a favore del trustee, che li amministrerà per lo scopo del trust (spesso a beneficio di certi familiari beneficiari). Se il trust è istituito gratuitamente (cioè senza corrispettivo e per libera scelta del disponente), l’atto istitutivo e di dotazione del trust viene considerato un atto a titolo gratuito. La Cassazione civile ha chiarito che il negozio istitutivo di un trust familiare, se disposto volontariamente e non in adempimento di obblighi, è considerato a titolo gratuito ai fini della revocatoria ordinaria. Infatti, manca una controprestazione a favore del disponente; il trust non è “dovuto” per legge, quindi è equiparabile a un atto di liberalità. Ciò comporta che un trust del genere è facilmente revocabile dai creditori del disponente: rientra negli atti gratuiti revocabili ex art. 2901 c.c. senza bisogno di provare la partecipazione del trustee alla frode. La Suprema Corte (Cass. 28145/2023) ha anche sancito che per colpire un trust in sede di revocatoria, il creditore può impugnare l’atto istitutivo: se viene revocato quello, cade anche l’atto di trasferimento al trustee, data la stretta connessione tra i due. In altri termini, l’azione revocatoria può annullare l’intera operazione sin dalla radice, facendo venir meno la separazione patrimoniale del trust. Unica eccezione: i trust di garanzia o trust solutori (ad es. un trust istituito in adempimento di un accordo con creditori per garantire il pagamento) potrebbero essere considerati atti a titolo oneroso, se c’è un obbligo pregresso e uno scambio di utilità. Ma un trust meramente interno, istituito motu proprio dal disponente per destinare beni alla famiglia, sarà considerato gratuito.

Dal lato tributario, i trust hanno sollevato complesse questioni di tassazione come possibili strumenti elusivi delle imposte sui trasferimenti e sui redditi. Due profili principali: imposta sulle donazioni per il trasferimento di beni al trust, e tassazione dei redditi prodotti dal trust in caso di trust opachi o simulati.

  • Imposta sulle donazioni e trust: in passato vi è stato dibattito se l’atto di dotazione di un trust scontasse subito l’imposta sulle successioni e donazioni. La Cassazione (Sez. Un. 21614/21615/2021) aveva affermato che l’imposta si applica solo quando vi sia un’attribuzione patrimoniale stabile ai beneficiari, non al momento del conferimento al trustee se i beneficiari finali sono ancora incerti o differiti. La logica è che il trust crea una segregazione ma non un arricchimento definitivo di un beneficiario. Dunque, molti trust interni non venivano tassati in entrata, ma solo all’uscita (quando i beni sarebbero stati attribuiti ai beneficiari). Tuttavia, il legislatore è intervenuto di recente per chiarire e modificare la tassazione dei trust: il D.Lgs. 18 novembre 2022 n. 184 (in attuazione di delega fiscale) ha riscritto l’art. 2, co. 47-53, D.L. 262/2006 e altre norme, stabilendo che dal 2023/2024 l’imposta di donazione è dovuta al momento in cui i beni escono dal trust verso i beneficiari finali (principio del “beneficiario”). Inoltre, con decorrenza 1° gennaio 2025 (per effetto del D.Lgs. 139/2024), si considera beneficiario anche un eventuale trust successivo: se un trust originario trasferisce beni a un altro trust autonomo, tale trasferimento è ora considerato donazione tassabile. L’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 170/E del 24 giugno 2025 ha infatti chiarito che lo spostamento di beni da un trust a tre trust distinti (istituiti per ripartire il patrimonio tra rami familiari) costituisce il presupposto d’imposta come liberalità, in quanto quei trust secondari sono “beneficiari ulteriori” del patrimonio. Quindi, tentativi di usare trust a cascata per evitare l’imposta sono inefficaci: il Fisco li considera trasferimenti donativi immediatamente imponibili. Inoltre, se i beni in trust sono immobili, ogni trasferimento sconta anche imposte ipotecarie e catastali proporzionali.
  • Trust come schermo per redditi (interposizione): un trust può essere usato per mascherare la titolarità di redditi, specie se istituito all’estero con il disponente come beneficiario di ritorno. In tali casi, interviene l’art. 37, co. 3, DPR 600/1973 (disciplina dell’interposizione fittizia): se vi è interposizione reale o fittizia di un soggetto (il trust) che formalmente risulta titolare di beni o redditi, ma in sostanza il controllo resta in capo al disponente, allora i redditi vengono imputati a quest’ultimo. La Cassazione con la sentenza n. 9096/2025 ha applicato questo principio ad un trust estero il cui settlor era anche beneficiario e gestore di fatto: ha ritenuto il trust simulato per fini elusivi e i redditi da capitale prodotti dalle attività nel trust sono stati considerati come del disponente, con obbligo di indicarli in dichiarazione (Quadro RW) e pagarci le imposte. Importante, la Corte ha sottolineato che non occorre dimostrare un fenomeno simulatorio in senso civilistico, basta provare che sostanzialmente il trust non ha attuato una vera separazione patrimoniale e che il disponente ne ha mantenuto la disponibilità effettiva. In altre parole, in ambito fiscale conta l’effettività economica: se il trust è solo schermo, il fisco lo ignora e tassa come se non esistesse. Questo rientra nella più ampia dottrina dell’abuso del diritto: l’Agenzia delle Entrate e i giudici guardano alla finalità concreta. Un trust valido formalmente ma usato unicamente per occultare ricchezze all’estero o evitare imposte verrà “smontato” dall’Amministrazione finanziaria.

Difendersi in caso di contestazione su trust: Per un disponente (debitore o contribuente) che abbia impiegato un trust, le linee di difesa variano a seconda della sede:
– In sede civile (revocatoria): il trustee e il disponente possono opporsi sostenendo che il trust non era a titolo gratuito oppure che il creditore non ha subito pregiudizio. Ad esempio, se il trust fu creato prima di contrarre debiti, si negherà la scientia damni (assenza di debiti noti al momento). Oppure si potrebbe qualificare il trust come atto dovuto/garantito (non frutto di libera volontà) – ipotesi rara, se non nel caso di trust di garanzia approvati dai creditori stessi. Un’altra difesa è cercare di distinguere atto istitutivo e atto dispositivo: talora si è eccepito che il creditore avrebbe dovuto impugnare il trasferimento specifico e non l’istituzione, ma Cassazione ha respinto tali formalismi, considerando il trust un fenomeno unitario. In definitiva, se c’è prova che il trust serviva a sottrarre beni, la difesa è debole. Un consiglio preventivo per chi istituisce trust legittimi è farlo in bonis, cioè quando non vi sono creditori insoddisfatti; inoltre mantenere un patrimonio capiente al di fuori del trust per fronteggiare obblighi, così da poter poi difendere il trust come non lesivo.
– In sede tributaria (accertamento abuso): il contribuente dovrà dimostrare che il trust aveva ragioni economiche sostanziali diverse dal mero risparmio d’imposta. Ad esempio, finalità di tutela di un soggetto debole, pianificazione successoria genuina, esigenze di riservatezza o gestione patrimoniale efficiente. Se il trust è operativo, con un trustee indipendente che gestisce realmente e beneficiari diversi dal disponente, sarà più facile difenderne la effettività. Contrariamente, se l’Agenzia prova che il disponente aveva ancora pieni poteri e benefici, la difesa rischia il fallimento. In tal caso, può essere utile concordare l’adesione o il pagamento delle imposte evase per evitare anche sanzioni penali (nel caso di omessa dichiarazione di redditi esteri, può configurarsi reato se superate soglie rilevanti). A livello documentale, chi impiega trust dovrebbe sempre predisporre un corredo probatorio (delibere del trustee, rendiconti, ecc.) che attestino l’autonomia gestionale e lo scopo non fiscale.

Trasferimenti d’impresa e altri atti societari come donazioni simulate

Un ulteriore contesto in cui possono verificarsi liberalità dissimulate è quello dell’impresa e delle società. Ad esempio: un imprenditore potrebbe cedere quote societarie o un ramo d’azienda a un familiare simulando una vendita a prezzo irrisorio (di fatto una donazione); oppure potrebbe effettuare un aumento di capitale riservato ad un figlio facendogli sottoscrivere azioni a un valore molto inferiore al reale, mascherando così un arricchimento gratuito. Anche operazioni come trasferimenti di asset dall’azienda di famiglia a persone fisiche senza congruo corrispettivo, o la remissione di un debito sociale da parte del socio senza compenso, possono costituire liberalità.

Queste situazioni rilevano su due fronti:
– Fiscale: la cessione di partecipazioni o aziende a titolo gratuito tra parenti può essere vista come donazione, soggetta all’imposta sulle donazioni (che per parenti in linea retta è comunque 4% oltre franchigia di €1M, quindi spesso esente se il valore non supera la franchigia per ciascun beneficiario). Più insidioso è il caso in cui si simula un corrispettivo fittizio per evitare imposte diverse. Si pensi ad esempio alla cessione di un immobile dell’azienda al figlio per un prezzo simbolico: se qualificata come vendita, pagherebbe registro/ipotecaria/catastale fissi o ridotti, e nessuna donazione; ma se il fisco la riqualifica come donazione, potrebbero applicarsi imposta di donazione e le imposte ipocatastali in misura proporzionale. Un altro caso: la cosiddetta donazione d’azienda (trasferimento di azienda familiare gratuitamente) beneficia oggi di esenzione d’imposta di donazione (se chi riceve prosegue l’attività per almeno 5 anni). Però se l’atto viene simulato (es. vendita fittizia per non dover rispettare i vincoli di continuazione), l’Agenzia potrà revocare l’esenzione e applicare imposte e sanzioni. In generale, l’Amministrazione finanziaria può contestare, con gli strumenti dell’abuso del diritto, operazioni societarie che mascherino liberalità: ad esempio, una complessa riorganizzazione societaria che sposti ricchezza a un erede senza tassazione potrebbe essere scrutinata e riqualificata. È celebre un caso di donazione indiretta di partecipazioni: Cass. 19973/2024 (ord.) ha esaminato una vicenda in cui, mediante patti parasociali e aumento di capitale societario, di fatto un padre aveva trasferito valore al figlio socio senza un pagamento effettivo. La Corte ha distinto la donazione indiretta (che segue la disciplina civilistica della donazione, seppur attuata con strumenti societari) dalla simulazione e ha valutato la validità formale dell’operazione. Purtroppo l’ordinanza dettagliata non è pubblica qui, ma segnaliamo il principio: anche in ambito societario se l’arricchimento gratuito è voluto, si può configurare una liberalità (donazione indiretta) soggetta a regole e tasse relative. L’Agenzia può dunque pretendere l’imposta di donazione ove identificabile un trasferimento gratuito di ricchezza (come ribadito anche in casi di bonifici di denaro per aumenti di capitale).

  • Creditori e soci di minoranza: se l’imprenditore ha debiti, anche trasferire asset aziendali a titolo gratuito a terzi costituisce pregiudizio ai creditori. Ad esempio, conferire l’immobile dell’impresa in un trust o donarlo a un familiare espone ad azione revocatoria (come visto sopra). Inoltre, se in società vi sono altri soci, un atto che favorisce uno (regalandogli di fatto quote o valore) può essere impugnato dai soci pretermessi o dai creditori sociali. Pensiamo a una SRL dove il socio di maggioranza rinunci a un credito verso la società per favorirla: i suoi creditori personali potrebbero dire che ha leso la loro garanzia compiendo un atto gratuito (rinuncia al credito) e agire in revocatoria. Oppure, se un amministratore cede un bene sociale sottoprezzo a un parente, i soci di minoranza potrebbero far valere la responsabilità per atti in conflitto di interessi o chiedere l’annullamento per frode. Quindi la simulazione in ambito d’impresa può avere implicazioni di governance e di tutela di terzi. Dal lato difensivo, chi compie atti del genere potrebbe giustificarli come operazioni di mercato (es. la vendita a prezzo basso motivata da urgenza di liquidità) o come atti nell’interesse della società (se il socio rinuncia al credito per risanare l’azienda, potrebbe sostenere che c’era una causa benefica per la società stessa). Ma se emerge che la ragione vera era favorire un familiare, le difese cedono.

Conclusione su questo punto: in ambito societario e imprenditoriale, è fondamentale mantenere la trasparenza e correttezza delle operazioni. Strumentalizzare atti societari per fare donazioni occulte è pericoloso: meglio ricorrere a strumenti tipici (patti di famiglia per il passaggio generazionale, aumenti di capitale sottoscritti con sovrapprezzo condonabile, ecc.) che hanno una loro disciplina e generalmente non vengono visti come elusivi se rispettati.

Profili fiscali: imposta sulle donazioni ed abuso del diritto

Uno degli aspetti cruciali nelle donazioni simulate è il trattamento fiscale. Occorre comprendere come funziona l’imposta sulle donazioni, quando si applica o meno, e come il Fisco individua le operazioni elusive.

Imposta sulle donazioni: regole, esenzioni e novità

In Italia, l’imposta sulle successioni e donazioni (disciplinata dal D.Lgs. 346/1990, il “TUS” – Testo Unico Successioni e Donazioni) prevede aliquote differenti in base al grado di parentela e soglie di esenzione (franchigie). La seguente tabella riassume il regime vigente (aggiornato al 2025):

Aliquote e franchigie dell’imposta su donazioni e successioni (rapporti di parentela)

BeneficiarioAliquota impostaFranchigia esenzione (per beneficiario)
Coniuge e parenti in linea retta (figli, genitori, nipoti in linea diretta)4%€ 1.000.000 (un milione)
Fratelli e sorelle6%€ 100.000
Altri parenti fino al 4° grado e affini fino al 3° grado6%Nessuna franchigia (0 €)
Soggetti diversi (non legati da parentela o affinità entro i gradi suddetti)8%Nessuna franchigia (0 €)
Portatore di handicap grave (L.104/1992 art.3 c.3) – indipendentemente da parentelaAliquota come sopra, franchigia €1.500.000

Fonti normative: art. 2, D.L. 262/2006 conv. L.286/2006 (riapertura imposta donazioni) e art. 56 D.Lgs. 346/1990, come modif. da L. 296/2006, L. 191/2009, L. 112/2016 (franchigia disabili).

Come si vede, molte donazioni tra familiari stretti rientrano nelle franchigie e quindi di fatto non pagano imposta (ad es., un padre può donare fino a 1 milione di euro in beni al figlio senza imposta; importi eccedenti pagano il 4% sull’eccedenza). Questo spiega perché talvolta i contribuenti preferiscono inquadrare un trasferimento come donazione anziché come operazione imponibile con altre tasse: ad esempio, regalare €100.000 al fratello non sconta imposta di donazione (franchigia 100k), mentre se fosse un reddito o altro sarebbe tassato; oppure donare un immobile al figlio è al 4% (oltre un milione) mentre una vendita sconta il 9% di registro (salvo agevolazioni). In alcuni casi, quindi, la donazione conviene fiscalmente. Di contro, in altri scenari il contribuente vuole evitare la donazione perché genera un’imposta che altrimenti non ci sarebbe: pensiamo al bonifico di €500.000 da padre a figlio – se è donazione palese, sarebbe tassabile al 4% sull’importo oltre 1M (qui nulla, perché 500k < 1M); ma se fosse tra estranei pagherebbe 8%. O ancora, un trasferimento di denaro tramite artificio societario potrebbe sfuggire all’imposta. L’Agenzia delle Entrate negli anni ha temuto la erosione della base imponibile delle liberalità tramite strumenti indiretti.

Donazioni indirette e informali: Un tema caldo è quello delle cosiddette liberalità non risultanti da atti pubblici. La legge prevedeva (fino al 2024) che l’imposta sulle donazioni potesse essere applicata anche a liberalità diverse dalle donazioni, ma solo in casi specifici: in particolare, l’art. 56-bis del D.Lgs. 346/1990 stabiliva che l’accertamento di liberalità “diverse dalle donazioni” (es. donazioni indirette, atti di arricchimento privi di forma) potesse avvenire solo se: (a) ne risulti l’esistenza da dichiarazioni dell’interessato in procedimenti tributari; e (b) abbiano determinato un arricchimento > 350 milioni di lire (circa €180.759). Queste condizioni limitavano molto il potere di tassare le liberalità indirette: di fatto, solo se il contribuente confessava l’esistenza di una donazione indiretta in qualche atto (es. in un verbale di accertamento) e sopra una certa soglia. L’Agenzia delle Entrate nel 2015, con la Circolare 30/E/2015, diede però un’interpretazione molto ampia, sostenendo che anche le liberalità tra vivi prive di atto scritto fossero soggette all’imposta e dovessero essere “spontaneamente” registrate. In altre parole, il Fisco pretendeva che anche un bonifico o una donazione informale fossero tassati. Questa posizione è stata a lungo discussa e, di fatto, raramente applicata perché priva di basi normative solide. Nel 2024 è intervenuta la Cassazione (Sez. Trib. sent. n. 7442/2024) a fare chiarezza: ha censurato la circolare 30/E/2015, definendola “imprecisa e incompleta e pertanto non condivisibile” nella parte in cui affermava un obbligo generalizzato di registrazione per liberalità non risultanti da atti. La Corte ha stabilito che, in base all’art. 56-bis TUS, le donazioni indirette o informali non sono soggette a imposta se non sono formalizzate in atti registrati o volontariamente dichiarate. In pratica: un bonifico bancario tra parenti o il pagamento di un bene per spirito di liberalità non sconta imposta, a meno che il contribuente stesso non lo dichiari (ad esempio in una procedura di voluntary disclosure) o vi sia un atto notarile che le faccia emergere. La Cassazione ha evidenziato come la legge non preveda un obbligo generalizzato di registrazione per queste liberalità: donante e donatario hanno facoltà, non obbligo, di registrare spontaneamente l’atto (pagando l’imposta). Se non lo fanno, il Fisco può tassare solo se scopre la liberalità da dichiarazioni del contribuente in sede di accertamento. Inoltre, la condizione (b) della soglia > 350 milioni di lire doveva essere rispettata (soglia poi abolita nel 2024 come vedremo). Nel caso specifico (zio che aveva bonificato €816.000 alla nipote, che poi rinunciò all’elargizione), la Corte ha deciso che quell’operazione era tassabile perché emersa da procedura di collaborazione volontaria e superava le franchigie. Dunque ha confermato l’imposta, ma delineando il principio generale valido per tutti. In breve, oggi la situazione (alla luce di Cass. 7442/2024) è:

  • Se fai un bonifico o regalo informale a un parente e non formalizzi nulla: niente imposta dovuta immediatamente. Solo se decidi di registrare volontariamente per dare data certa, allora paghi (ma di solito uno non registra un bonifico).
  • Se il Fisco scopre quella liberalità in un’indagine fiscale (ad es. controllando i conti e tu ammetti che quei soldi erano un regalo), allora può richiedere l’imposta purché il valore superi la franchigia prevista per quella relazione. Nel nostro esempio, €816.000 da zio a nipote: franchigia zero (perché nipote rientra in “altri parenti” oltre fratelli), quindi interamente tassabile all’8% circa. Se fosse stato padre-figlio €816k, sarebbe stato sotto la franchigia 1M e quindi non avrebbe pagato nulla comunque.
  • Se la liberalità informale viene poi formalizzata in qualche atto (es. una scrittura privata successiva, un accertamento con adesione dove lo ammetti, etc.), scatta la tassazione.

Questa interpretazione resta valida fino al 31 dicembre 2024. Dal 1° gennaio 2025, però, entra in vigore una modifica legislativa importante: il D.Lgs. 139/2024 ha riformulato l’art. 56-bis TUS eliminando la condizione della soglia di 350 milioni di lire e fissando l’aliquota dell’8% per le liberalità indirette accertate. In pratica, l’accertamento di liberalità indirette potrà avvenire anche se di qualsiasi importo, purché risultino da dichiarazioni del contribuente in atti fiscali. L’aliquota applicabile sarà quella propria del rapporto (di regola 4%,6%,8% a seconda del beneficiario) e sulle somme eccedenti le franchigie ordinarie. La novità è che non serve più superare la vecchia soglia forfettaria (che peraltro era un retaggio, già comunque superato perché la franchigia generalizzata di €180k era stata abolita dal 2006). Quindi, dal 2025, la Cassazione 7442/2024 rimane attuale nel ribadire che serve una dichiarazione del contribuente per tassare le liberalità non formalizzate, ma cade ogni discorso di importo minimo: anche €10.000 regalati informalmente, se confessati in un accertamento, potrebbero essere tassati (ma tipicamente sarebbero comunque sotto franchigia tra genitore e figlio, ad esempio). Inoltre, il D.Lgs. 139/2024 ha aumentato al 8% l’aliquota base per liberalità indirette accertate, rispetto al 7% che prima era previsto specificamente per quelle eccedenti il vecchio tetto. Questo per uniformare al più alto scaglione generico, ma ricordiamo che poi la vera aliquota è determinata dal rapporto di parentela (l’8% si applicherebbe se non c’è parentela entro il 4° grado, altrimenti valgono 4% o 6%).

In sintesi, per difendersi sul piano fiscale da contestazioni relative all’imposta di donazione, il contribuente/donante può far leva su questi concetti:
– Se l’atto è simulato (es. una vendita che nasconde una donazione) ed emerge, l’Agenzia potrà riqualificarlo e chiedere l’imposta di donazione dovuta. La difesa qui consiste nel contestare la riqualificazione: dimostrare che non c’era animus donandi ma vere ragioni onerose. Ad esempio, nel caso dei bonifici, si è tentato di sostenere la nullità civile per difetto di forma pubblica: la contribuente nel caso zio-nipote diceva “non era donazione valida perché non per atto pubblico, quindi non tassabile”. La Cassazione però ha replicato che ai fini fiscali rileva l’arricchimento come indice di capacità contributiva, a prescindere dalla validità civilistica. Quindi l’argomento “atto nullo = niente imposta” non ha convinto la Corte. D’altronde, l’imposta di donazione colpisce anche atti annullabili civilmente, finché producono effetti di arricchimento (salvo poi chiedere rimborso se l’atto viene annullato giudizialmente). – Se si tratta di liberalità indiretta non formalizzata (bonifici, pagamenti per altri, ecc.), l’imposta non è dovuta finché il Fisco non la scopre in un procedimento. Una strategia di difesa del contribuente in un eventuale accertamento potrebbe essere non qualificare l’atto come donazione: ad esempio, asserire che il bonifico era un prestito o un anticipo da restituire (anche se poi non avviene), oppure frutto di un’obbligazione morale, o una spesa familiare. Tuttavia, mentire in un procedimento è rischioso e può avere rilevanza penale se fatto in atti ufficiali. Se vi sono prove chiare dell’intento di liberalità, la miglior difesa è evidenziare l’applicazione corretta delle franchigie (magari suddividendo la liberalità fra più donatari o più anni per restare esenti). – Un’altra linea difensiva è verificare la prescrizione del potere di accertamento: l’imposta di donazione ha termini di decadenza (di norma 5 anni dall’omessa registrazione per atti non registrati). Se l’emersione avviene molto tempo dopo, potrebbe essere tardi per liquidare l’imposta (ma attenzione: se emerge da dichiarazioni volontarie, quel termine potrebbe decorrere da lì). – Infine, una difesa può essere invocare l’esenzione per certe liberalità: alcune liberalità sono esenti per legge, come le spese di mantenimento, educazione, nozze in conformità agli usi (art. 742 c.c.). Se l’elargizione rientra in queste categorie (es. pagamento studi del figlio), si può sostenere che non è imponibile.

Donazioni simulate e reati tributari

Abbiamo già toccato l’aspetto penale a proposito di sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art.11 D.Lgs 74/2000). Dal punto di vista fiscale amministrativo, esiste anche la sanzione dell’infedele dichiarazione se tramite atti simulati si occultano imponibili. Ad esempio, se un contribuente vende sotto costo un bene a un parente simulando una vendita ma in realtà è donazione, a parte l’imposta di donazione evasa, potrebbe emergere una plusvalenza non dichiarata (se quella cessione era a titolo oneroso parziale). In generale, l’abuso del diritto non comporta sanzioni amministrative se le condotte erano formalmente rispettose delle norme (oggi l’art. 10-bis L.212/2000 esclude sanzioni e interessi per le contestazioni di abuso, salvo i tributi dovuti). Tuttavia, se la condotta travalica nell’evasione (dichiarazione omessa o infedele), possono scattare sanzioni e addirittura reati (dichiarazione fraudolenta, ecc., in base alle soglie). Ad esempio, nel caso del trust estero non dichiarato, il disponente fu accusato di omessa dichiarazione di redditi esteri (se superano €50.000 di imposta evasa è reato ex art.5 D.Lgs 74/2000). La Cassazione 9096/2025 di cui sopra rientrava in un giudizio tributario, ma la stessa situazione avrebbe potuto avere riflessi penali. Dunque, chi struttura donazioni simulate deve tenere presente l’intero spettro: il rischio fiscale (imposte dovute con interessi), il rischio sanzionatorio amministrativo e anche quello penale.

Tabella – Principali cause di nullità/inefficacia e tassazione per diversi tipi di donazione simulata:

Tipo di atto simulatoEffetto civilisticoConseguenze fiscali
Vendita simulata che dissimula una donazioneNullo come vendita; vale la donazione dissimulata se provata (tra parti occorre controdichiarazione scritta; terzi possono provare per presunzioni). Il bene in realtà si considera donato.L’Agenzia può riqualificare l’atto come donazione imponibile. Imposta di registro versata (sulla finta vendita) recuperabile, ma si applica imposta di donazione (salvo esenzioni). Possibile sanzione per dichiarazione mendace se atto pubblico con falso prezzo.
Donazione apparente con accordo simulatorio (es: donazione con retropatto di restituzione)Donazione nulla per simulazione assoluta (se entrambe le parti non volevano effetti) oppure inefficace per il patto segreto contrario a norma imperativa (se c’è accordo di retrocessione non dichiarato). Il bene resta del donante.Se il Fisco scopre l’accordo, potrebbe considerare la donazione mai avvenuta, quindi ignorarla. Tuttavia, se nel frattempo era stata pagata l’imposta di donazione, il donante potrebbe chiederne il rimborso (atto nullo). Se la simulazione mirava a non far risultare il bene nel patrimonio (es. per non pagare IVIE o altre imposte patrimoniali), potrebbero emergere violazioni fiscali diverse.
Bonifico/trasferimento di denaro senza atto (donazione informale)Civilmente nullo oltre modico valore (se considerato donazione diretta senza forma). Potrebbe valere come donazione indiretta (eseguita mediante delegazione di pagamento): in tal caso valida senza atto pubblico. Se contestata tra privati, difficile farla annullare se volontariamente eseguita (rinuncia del donatario possibile).Non tassata d’ufficio. Se emerge (dichiarazione del contribuente), tassabile ex art.56-bis TUS. Franchigie applicabili come da parentela. Se fra non parenti, 8% sull’importo eccedente 0. Rinuncia del donatario dopo aver ricevuto i soldi non evita l’imposta se l’atto di liberalità si è perfezionato. (Nel caso Cass.7442/2024, il rifiuto successivo non ha impedito la tassazione).
Trasferimento a trust (disponente = trustee o beneficiario)Validità formale del trust (se atto pubblico). Civilmente efficace, ma se il disponente mantiene controllo, terzi creditori possono farlo revocare (atto gratuito pregiudizievole). Possibile qualificazione come negozio fiduciario anziché trust, se il trustee non esercita realmente il suo ufficio.Atto istitutivo: fino al 2022 considerato non imponibile se beneficiari non definiti; dal 2022/2023 tassazione al momento attribuzione a beneficiari. Se trust simulato (disponente=beneficiario effettivo), per il Fisco è interposizione: redditi e patrimoni attribuiti al disponente. Imposta donazione: se trust usato per passare a trust secondari, ora tassata immediatamente.
Donazione a familiare occultata come fondo patrimoniale (es: conferisco casa in fondo, poi uso solo io)Il fondo patrimoniale vincola beni a bisogni familiari, non cambia proprietà. Se però si abusa (bene usato per altro o poi donato a terzi) l’atto può essere revocato da creditori come fatto in frode. Donazione di beni dal fondo ai figli: annullabile se lesiva dei creditori e comunque revocabile.La costituzione del fondo patrimoniale è atto a titolo gratuito e sconta imposta fissa di registro; la successiva donazione a figli sconta imposta di donazione secondo regole solite (coniuge-figli franchigia 1M, 4%). Se il tutto è fatto per evadere il Fisco, si configura reato ex art.11 d.lgs 74/2000. L’Agenzia può agire ex art.2929-bis c.c. per pignorare i beni senza causa (titolo esecutivo permettendo).

Nella pratica odierna, l’Agenzia delle Entrate è particolarmente vigile su: donazioni di importo rilevante non dichiarate (che possono emergere da controlli bancari, segnalazioni antiriciclaggio, ecc.), trust nei quali il disponente risulta beneficiario (presunzione di interposizione), trasferimenti immobiliari intrafamiliari a prezzi simbolici (vengono spesso riqualificati in base al valore di mercato, facendo emergere eventualmente una parte donativa), e utilizzo di vincoli di destinazione per sottrarre beni (con possibili segnalazioni anche penali se ci sono cartelle esattoriali).

Dal punto di vista del contribuente/donante, essere informati della normativa è il primo passo per non incorrere in violazioni. Se si desidera effettuare liberalità regolari e non contestabili, è consigliabile:
– Formalizzare con atto pubblico le donazioni di beni immobili o di valore significativo, pagando eventualmente la relativa imposta (tanto se rientra in franchigia non costa nulla, se la supera è meglio pagare il 4-6-8% che rischiare sanzioni future).
– Evitare artifici e simulazioni: la pianificazione fiscale aggressiva ormai viene facilmente smascherata grazie a incrocio di dati e principi antiabuso. Meglio scegliere strumenti chiari e leciti (esempio: utilizzare l’istituto del patto di famiglia per trasferire azienda ai figli con tassazione agevolata e tutela degli altri legittimari invece di escogitare aumenti di capitale ad hoc).
– Conservare documentazione: se ricevete soldi da parenti come prestito e non come donazione, fate una scrittura privata o bonifico con causale di prestito. Così, in caso di controlli, potete provare che non era liberalità (attenzione però: se poi non viene mai restituito, quell’accordo rischia di apparire fittizio).

In ogni caso, qualora l’Agenzia contesti un’operazione come elusiva, il contribuente può far valere il contraddittorio, spiegando le ragioni extra-fiscali dell’atto (es. “ho venduto la casa a mio figlio a prezzo basso perché aveva investito nella ristrutturazione, non per evadere”; oppure “ho messo beni nel trust non per evitare tasse ma per tutelare un figlio disabile” supportando con evidenze). L’ufficio dovrà valutare se esistono alternative meno onerose che avrebbe potuto usare: se sì, allora l’abuso è difficile da negare; se no (cioè l’operazione aveva una logica di mercato o familiare non ottenibile altrimenti), il contribuente ha chance di spuntarla.

Profili civilistici: simulazione contrattuale e tutela dei creditori

In parallelo alle questioni fiscali, le donazioni simulate coinvolgono diversi aspetti di diritto civile: dalla validità o nullità degli atti simulati, agli strumenti dei creditori per far valere le proprie pretese, fino agli effetti su terzi. Abbiamo già anticipato molti concetti, che qui sistematizziamo:

Validità e nullità della donazione simulata

Una donazione simulata – nel senso di una donazione solo apparente, in realtà non voluta – è nulla per difetto di volontà reale. Se le parti firmano un atto di donazione ma in realtà concordano che non produrrà effetti (simulazione assoluta), quell’atto non trasferisce la proprietà: di fronte alla legge rimane tutto come prima. La simulazione può però essere opposta solo se provata nelle forme di legge. Tipicamente, i protagonisti redigono una “controdichiarazione” scritta dove attestano la simulazione. Quella controdichiarazione è la prova regina, ma resta segreta finché uno dei due non intende far valere la simulazione. Ad esempio, Caio dona a Sempronio un immobile, ma segretamente firmano che è finta e Caio ne resta il vero proprietario: se Caio poi ha problemi (creditori) potrebbe tirar fuori la controdichiarazione per dire che il bene è ancora suo (attenzione: Caio stesso, avendo simulato, non può giovarsi della simulazione se ciò lede diritti altrui consolidati; però i suoi creditori possono farlo). Senza controdichiarazione, dimostrare la simulazione è arduo per le parti, dato il divieto di prova testimoniale su patti contrari al documento (art. 1417 c.c.). Per i terzi, invece, come visto, la prova è libera. Quindi: civilmente la donazione simulata non regge se qualcuno la contesta con prova. Nel frattempo, però, essendo l’atto pubblicamente trascritto, per tutti (fino a sentenza contraria) il bene risulta del donatario. Un creditore che ne fosse all’oscuro tratterebbe il bene come estraneo al patrimonio del debitore. Ma un creditore che lo scopra può scegliere di ignorare la simulazione se gli conviene l’atto apparente, oppure di prevalersi della realtà. L’art. 1415 c.c. tutela i terzi di buona fede nelle loro acquisizioni sul bene oggetto di simulazione (es. se Sempronio rivende a Tizio in buona fede, la vendita regge nonostante la simulazione iniziale). Invece i creditori anteriori lesi dalla simulazione possono farla valere: se Caio aveva debiti prima della finta donazione, i creditori possono chiedere al giudice di accertare che l’atto era simulato e quindi il bene è ancora aggredibile di Caio. Questa azione è una sorta di accertamento, non richiede i presupposti dell’art. 2901, essendo la simulazione una forma di nullità relativa. In dottrina si discute se serva l’azione revocatoria o basti l’azione di simulazione ut universi. Di solito i creditori propongono entrambe (in subordine) per ogni sicurezza.

Un caso peculiare è la donazione dissimulata dietro una vendita: formalmente c’è un contratto oneroso valido, ma sottobanco prezzo non pagato = in realtà volevano donare. Qui la giurisprudenza è oscillata: manca l’atto pubblico di donazione, quindi la donazione dissimulata potrebbe essere nulla per difetto di forma (richiesta per la donazione). Le Sezioni Unite nel 2017 (sent. 18725/2017) hanno chiarito che il trasferimento di denaro via bonifico bancario con intento liberale non è donazione indiretta ma donazione tipica ad esecuzione indiretta, quindi soggetto a forma (a meno che modico valore). Questo significa che se Tizio “vende” a Caio un immobile ma Caio non paga perché Tizio in realtà glielo regala, quell’operazione è una donazione nulla (non essendo stata fatta per atto pubblico). Quindi Caio, volendo, potrebbe anche rifiutare poi dicendo che il contratto era nullo. Tuttavia, se nessuno la impugna, rimane ferma. In ambito fiscale, come visto, la Cassazione tributaria considera comunque tale passaggio di ricchezza una manifestazione di capacità contributiva tassabile. Ma civilisticamente resta un pasticcio: Caio non avrebbe un titolo valido di proprietà (donazione nulla), quindi i suoi aventi causa rischiano evizione e così via. Ecco perché, oltre al fisco, è sconsigliabile fare donazioni dissimulate: meglio affrontare direttamente la donazione con la forma e i costi dovuti, piuttosto che creare atti nulli. Perché se saltano fuori, i guai sono maggiori (ad esempio, il donante potrebbe pentirsi e reclamare il bene indietro appellandosi alla nullità).

Difesa in caso di simulazione contestata: Se sei un donatario che ha ricevuto un bene con un atto simulato e un terzo (creditore, coerede, ecc.) lo contesta, come difenderti? Le opzioni sono limitate:
– Negare la simulazione adducendo che l’atto era voluto seriamente. Se il terzo non ha prove schiaccianti, può non riuscire a dimostrarla. Questo è il classico scontro probatorio: controdichiarazione esistente o no? Testimonianze indirette etc. Se pensi che il terzo non abbia elementi, resisti sostenendo la piena validità dell’atto.
– Oppure, se la simulazione è palese e innegabile, valutare se transigere: es. accordarsi col creditore offrendo un pagamento per evitare che annulli la donazione (in cambio, lui rinuncia all’azione).
– Un escamotage talvolta usato: far intervenire successivamente un acquirente di buona fede. Se il bene passa a un terzo in buona fede a titolo oneroso, la simulazione iniziale non potrà essere opposta a quel terzo. Questa è però una manovra rischiosa e potenzialmente fraudolenta di per sé (potrebbe configurare un ulteriore atto in frode se orchestrato).

In linea generale, chi beneficia di una donazione simulata è in posizione debole se viene smascherato. È come trovarsi con un pugno di mosche in mano: l’atto può essere dichiarato inefficace o nullo. L’unica protezione è la speranza che nessuno contesti oppure creare situazioni di fatto irreversibili (non legali, ma pratiche). Ad esempio, vendere il bene a valore di mercato e consumare il ricavato – i creditori potranno seguire i soldi se individuabili, ma diventa più complicato. Tuttavia, questa è gestione “furba” che sconfina nella mala fede e può aggravare la posizione anche penale. Non lo si consiglia certo in una trattazione giuridica corretta.

Azione revocatoria e mezzi di tutela dei creditori

Abbiamo già diffusamente trattato la azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) nel contesto delle donazioni ai familiari. Qui riassumiamo i punti salienti come riferimento:

  • Cos’è la revocatoria: È l’azione con cui un creditore chiede di dichiarare inefficace verso di sé un atto di disposizione compiuto dal debitore che lede le sue ragioni. Inefficace verso il creditore significa che costui potrà aggredire il bene uscito dal patrimonio come se l’atto non ci fosse mai stato. Non è una nullità assoluta dell’atto (l’atto resta valido tra le parti e rispetto ai creditori che non hanno agito), ma un’inefficacia relativa limitata.
  • Atti revocabili: qualsiasi atto dispositivo (vendita, donazione, costituzione di garanzie reali, trust, pagamenti affrettati, ecc.). La legge distingue atti a titolo gratuito (sempre revocabili se pregiudizievoli e fatti dopo il sorgere del credito, o anche prima se dolosamente preordinati) e atti a titolo oneroso (revocabili solo se il terzo era consapevole del pregiudizio; se anteriori al credito, serve dolo concordato). Le donazioni rientrano tra gli atti gratuiti, quindi il regime più favorevole al creditore: basta la consapevolezza del debitore e il pregiudizio, non occorre la partecipatio fraudis del donatario.
  • Prescrizione: 5 anni dalla data dell’atto da revocare (termine di decadenza). Decorso questo, l’atto è salvo da revocatoria (ma potrebbe sempre essere attaccato come simulato se era fittizio).
  • Effetti: sentenza costitutiva ex tunc (cioè il creditore agisce come se l’atto non fosse stato compiuto a suo tempo). Importante: se il bene nel frattempo è passato a terzi, il creditore può seguire le vicende successive? La regola è che la revocatoria colpisce il bene nelle mani del terzo originario: se il donatario l’ha alienato, la revocatoria travolge anche l’atto di alienazione successivo se questo è successivo alla trascrizione della domanda di revocatoria (principio della continuità delle trascrizioni). Se invece il bene è passato a terzi prima che il creditore agisse, e i terzi erano in buona fede, la situazione si complica: il creditore potrebbe dover revocare in serie gli atti o far valere la simulazione se c’era (ma è oltre questa sede approfondire).
  • Eccezioni difensive per il donatario/debitore:
  • Insussistenza del credito: dimostrare che il creditore attore non aveva un diritto valido (ad es. credito fittizio, estinto, contestato e infondato). Se il credito è di natura fiscale, si potrebbe contestare la legittimità della pretesa tributaria (cartella pazza, prescritta, ricorso pendente vinto, ecc.).
  • Mancanza di pregiudizio (eventus damni): provare che il debitore, dopo la donazione, aveva ancora un patrimonio sufficiente a soddisfare il creditore. Oppure che il bene oggetto di donazione era già gravato da ipoteche che ne esaurivano il valore (se il creditore è chirografario, se c’è un’ipoteca di terzi che copre tutto il valore, quel bene era di fatto inaccessibile – Cass. 25733/2015 citata in Ticozzi). Questo argomento, se supportato da perizie e dati, può convincere il giudice che non c’era reale danno e rigettare la domanda.
  • Atto anteriore senza dolo preordinato: se la donazione è avvenuta prima che sorgesse il debito (es. dono la casa al figlio e due anni dopo vengo condannato a risarcire un danno), allora il creditore deve provare che a quel tempo io già preordinavo l’atto per frodarlo in futuro. Se riesco a dimostrare che all’epoca non c’era alcun sentore di debiti e l’atto fu fatto in buona fede, il creditore non ha presupposto soggettivo (dolo) e la revocatoria va respinta.
  • Termine quinquennale decorso: spesso è la difesa più semplice se applicabile: “l’atto è di oltre 5 anni fa, quindi l’azione non è più proponibile”.
  • (Per atti onerosi) assenza di malafede del terzo: se, in parallelo alla donazione, viene contestata magari una vendita (atto oneroso), il debitore può difendere quell’atto sostenendo che il terzo acquirente ignorava i miei problemi (e quindi niente revoca). Nel caso di atti misti (es. vendite a coniuge a prezzo irrisorio, che sono un po’ vendite un po’ donazioni), se qualificate come onerose il creditore deve provare la collusione; il convenuto chiaramente sottolineerà la buona fede del coniuge. La giurisprudenza però è severa: se c’è parentela stretta, ritiene inverosimile l’ignoranza del terzo riguardo ai debiti del disponente. Quindi la parentela stretta è una presunzione di malafede per atti onerosi successivi (Cass. 5359/2009 cit.).
  • 2929-bis c.c. (difesa): se il creditore procede ex art.2929-bis (pignoramento diretto), il debitore/donatario può proporre opposizione all’esecuzione contestando i requisiti. Ad esempio, eccependo che il titolo esecutivo è posteriore alla donazione (quindi l’art.2929-bis non si applicava), oppure che l’atto non era gratuito (oppure ancora che c’erano i presupposti dell’art. 170 c.c. per l’impignorabilità se fondo patrimoniale e credito estraneo ai bisogni familiari). Insomma, in sede di esecuzione forzata si spostano lì i motivi di difesa, ma l’ambito è più ristretto e veloce.

Azione di restituzione degli eredi legittimari: Accenniamo anche alla situazione in cui gli eredi legittimari ottengano la riduzione delle donazioni lesive: in tal caso essi agiscono per restituzione contro i donatari (se questi non restituiscono volontariamente). Non è una revocatoria ma un’azione successoria, però l’effetto è simile: il bene donato viene recuperato all’asse per soddisfare le quote di legittima. La difesa del donatario in tali cause sta nel contestare il calcolo delle quote (sostenere che la legittima non è lesa computando il relictum e il donatum) oppure invocare la prescrizione della riduzione (10 anni dall’apertura successione per agire, ma per legittimari pretermessi il termine decorre dalla morte e l’azione di simulazione può essere alternativa come visto). Approfondire oltre esula, ma era per dire che anche qui c’è un meccanismo di annullamento postumo della donazione.

Giurisprudenza recente in materia (2023-2025)

Di seguito elenchiamo alcune pronunce giurisprudenziali rilevanti e aggiornate riguardanti donazioni simulate, elusione fiscale e strumenti di tutela, con una sintetica indicazione del principio di diritto stabilito. Questa carrellata offre un riferimento autorevole per orientarsi nella materia:

  • Cass. Civ. Sez. III, 6 ottobre 2023 n. 28145 – Revocatoria del trust familiare: ha stabilito che l’istituzione di un trust familiare integra un atto a titolo gratuito ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, poiché non è adempimento di un obbligo legale né comporta vantaggi per il disponente. Revocando l’atto istitutivo, risulta inefficace anche il trasferimento al trustee, facendo cadere l’intero trust. In sostanza il trust, se volontario e non nell’ambito di accordi con creditori, può essere annullato dai creditori come una donazione. (Conferma indirizzo severo vs trust in frode).
  • Cass. Pen. Sez. III, 10 maggio 2023 n. 19603 – Sottrazione fraudolenta e atti simulati: ha ritenuto integrato il reato ex art.11 D.Lgs 74/2000 nel caso di costituzione di fondo patrimoniale seguita da donazione di beni al figlio in presenza di debiti fiscali noti. La Corte ha ribadito che il reato sussiste come reato di pericolo quando il debitore compie atti simulati o comunque privi di giustificazione economica, idonei a rendere inattuabile la riscossione. Anche atti leciti (fondo, donazione) diventano penalmente rilevanti se concatenati per frodare il Fisco.
  • Cass. Civ. Sez. Unite, 27 luglio 2017 n. 18725 – Bonifico bancario e forma della donazione: (un po’ meno recente ma fondamentale, richiamata nelle successive) ha qualificato il trasferimento di strumenti finanziari per bancogiro come donazione tipica soggetta a forma solenne, salvo modico valore, non rientrando nelle mere donazioni indirette. Ciò ha implicazioni sulla validità di molte liberalità di denaro: se di non modico valore e non c’è atto pubblico, sono nulle civilmente. (A livello fiscale però, come visto, ciò non impedisce la tassazione, cfr. Cass. 7442/2024).
  • Cass. Civ. Sez. V, 20 marzo 2024 n. 7442 – Bonifico zio-nipote e imposta donazioni: ha segnato un cambio di rotta in materia di donazioni indirette/informali, affermando che l’art. 56-bis TUS va interpretato nel senso che solo le liberalità indirette risultanti da atti scritti soggetti a registrazione o da dichiarazioni rese dal contribuente sono tassabili. Ha bollato come non condivisibile l’opposta tesi dell’Agenzia (circolare 30/E-2015). Ha inoltre chiarito che l’eventuale nullità civilistica per difetto di forma pubblica non esclude il presupposto d’imposta, trattandosi comunque di arricchimento tassabile. Nel caso specifico, la liberalità è stata tassata perché emersa in voluntary disclosure e oltre franchigia, nonostante il successivo rifiuto della donazione da parte della nipote. (Principio: no obbligo generalizzato di registrazione di donazioni indirette; tassabilità solo a certe condizioni).
  • Cass. Civ. Sez. II, 11 luglio 2024 n. 19010 (ord.) – Legittimario pretermesso e simulazione: ha sancito che il legittimario totalmente escluso dall’asse (né per testamento né per legge) che agisce per far dichiarare la natura donativa di atti compiuti dal de cuius, lo fa in qualità di terzo (non di erede), quindi non è soggetto all’onere dell’accettazione con beneficio d’inventario (ex art. 564 c.c.) e può provare la simulazione con ogni mezzo, anche testimoniale . Principio importante perché facilita la tutela degli eredi lesi da manovre elusive del defunto: questi non devono soggiacere ai limiti probatori e formali altrimenti previsti nelle azioni di riduzione se contestano la simulazione di vendite o altri atti. (È un orientamento che rafforza la posizione dei legittimari). Conseguenza: chi in vita compie vendite simulate per aggirare la legittima si espone a facile rescissione post mortem da parte degli esclusi.
  • Cass. Civ. Sez. III, 5 maggio 2022 n. 13848 – (sul tema revocatoria) ha confermato che il pregiudizio ai creditori va valutato globalmente e consiste anche nel rischio futuro di insufficienza patrimoniale, senza necessità di insolvenza attuale. In linea con orientamento costante che amplia la tutela del creditore: non occorre che il patrimonio residuo sia zero, basta che l’atto lo riduca e potenzialmente metta a rischio il soddisfacimento. (Questa pronuncia è citata a titolo esemplificativo del rigore nella valutazione dell’eventus damni).
  • Cass. Civ. Sez. V, 12 gennaio 2022 n. 735 – Donazione di denaro con bonifico e profili fiscali: linea in continuità poi con la 7442/2024, ha evidenziato che il bonifico bancario si configura come delegazione di pagamento e può realizzare una liberalità tassabile. In quell’occasione la Cassazione già affermava che la donazione di denaro depositato in banca assume connotazione diversa ai fini fiscali (non è contratto a favore di terzo, come chiarito anche dalle SS.UU. 2017). Importante perché segna la differenza tra lettura civilistica e fiscale di questi atti.
  • Cass. Civ. Sez. II, 19 agosto 2021 n. 23127 – Donazione indiretta immobiliare: ha ribadito, richiamando le SU 2017, che l’acquisto di un immobile pagato da un terzo (es. padre) e intestato a un beneficiario (figlio) costituisce una donazione indiretta e non richiede la forma dell’atto pubblico, né sconta imposta di donazione al momento (ma imposta di registro sull’acquisto sì). Ciò lo citiamo per completezza: è l’esempio classico di donazione indiretta lecita, che il fisco può tassare solo in caso di dichiarazione (voluntary, ecc.) e i creditori possono revocare solo se provano l’accordo fraudolento (essendo a titolo oneroso verso il venditore, per il creditore del padre è più complicato, deve dimostrare collusione del figlio, anche se parentela stretta può essere indizio).
  • Comm. Trib. Reg. Lombardia, 15 aprile 2021 (caso Trust) – anche se non di Cassazione, merita menzione la giurisprudenza tributaria di merito che ha anticipato il legislatore: alcune CTR avevano già affermato che il trust sconta l’imposta donativa solo all’atto del trasferimento finale ai beneficiari, e non al momento della dotazione iniziale, perché solo allora vi è arricchimento. Questa interpretazione è ora legge grazie alla modica normativa del 2022-2023, ma chi in passato si era visto liquidare imposte all’istituzione del trust ha potuto appellarsi con successo richiamando tali principi (ora consolidati).

Queste pronunce – specialmente quelle degli ultimi due anni – delineano un approccio molto rigoroso verso le donazioni simulate o indirette: la Cassazione civilistica tutela gli interessi dei creditori e legittimari ampliando gli strumenti (revocatoria facile sui trust, simulazione provabile dai legittimari terzi, ecc.), mentre la Cassazione tributaria e il legislatore chiudono le scappatoie per evitare l’imposta (sostanza economica, trust tassati, liberalità indirette scovate nelle VD, ecc.). Il debitore-donante deve quindi muoversi con cautela: raramente i suoi stratagemmi reggeranno a un vaglio giudiziale, e anzi rischia conseguenze peggiori (pagare imposte, spese legali, e nei casi estremi sanzioni penali). D’altro canto, conoscere questi precedenti consente al legale difensore di costruire argomenti ancorati alla giurisprudenza, quando vi sono margini (ad es. invocare la mancanza di pregiudizio come in Cass. 13848/2022 per salvare un atto, o sostenere che un trust non era fraudolento ma con finalità legittime, citando differenze riconosciute in dottrina).

Strumenti di difesa per il donante (debitore)

Affrontiamo ora in modo organico il tema cruciale: come difendersi se una donazione viene contestata come atto elusivo o in frode? Dal punto di vista del debitore che ha compiuto l’atto (o del donatario che ne beneficia e si trova convenuto in giudizio o oggetto di accertamento), le strategie difensive variano a seconda del tipo di contestazione (civile o fiscale) e del soggetto che la solleva (creditore privato, Agenzia Entrate, erede, etc.). Analizzeremo separatamente le principali situazioni, tenendo presente che talvolta esse possono coesistere (es. l’Agenzia Entrate può agire sia con revocatoria sia con accertamento fiscale, parallelamente).

Difendersi da una azione revocatoria (creditori, Fisco)

Quando un creditore notifica un atto di citazione in revocatoria riguardante una donazione (o atto a titolo gratuito equiparato), il donante e il donatario – di solito entrambi convenuti – devono impostare la difesa in giudizio. Oltre alle eccezioni già illustrate (mancanza di presupposti: credito, scientia damni, eventus damni, tempore etc.), ecco alcuni consigli pratici su come articolare la difesa in atti e memorie:

  • Verificare la legittimazione attiva: accertarsi che il soggetto che agisce sia effettivamente un creditore e che il credito sia documentato. Se, ad esempio, l’azione è promossa dall’Agenzia delle Entrate, controllare che vi sia un atto impositivo definitivo o titolo che la legittima. In mancanza, eccepire l’assenza di legitimatio ad agendum (es.: l’ente agisce per tributo non accertato con atto definitivo? potenzialmente contestabile, anche se giurisprudenza concede azione con credito litigioso, ma va almeno pendente un contenzioso). Se il creditore è un privato con causa in corso, si può sostenere che il credito è sub iudice e magari chiedere sospensione ex art. 295 c.p.c. fino all’esito su quel credito (non sempre concesso, ma tentare).
  • Negare il pregiudizio: come visto, provare che la donazione non rende il debitore insolvente. Nella comparsa di risposta conviene elencare analiticamente i beni rimasti al debitore post-donazione, con valori (meglio se supportati da perizia giurata), dimostrando che il patrimonio residuo copriva il credito. Oppure dimostrare che il bene donato era gravato da pegni/ipoteche di importo tale da far sì che, anche se fosse rimasto al donante, il creditore chirografario non avrebbe comunque ricavato nulla (questa linea ha avuto successo in Cass. 25733/2015 cit., e si può allegare un esito asta per dire “vedete, nemmeno i privilegiati han preso tutto, il chirografario zero”). Se ci sono più creditori, evidenziare l’esiguità relativa del bene donato rispetto agli altri beni: ad es., “vero che Tizio ha donato la casa al figlio, ma aveva un capannone ipotecato di valore ben superiore al debito, dunque le ragioni creditorie non erano compromesse”. Queste argomentazioni, se credibili, possono portare il giudice a escludere l’eventus damni e rigettare la revoca.
  • Assenza di scientia fraudis: sostenere che al momento della donazione il debitore non era consapevole di danneggiare i creditori perché magari il debito era controverso, o confidava di poterlo pagare. Ad esempio, citare che all’epoca aveva prospettive di guadagno, poi sfumate, o che il debito era inizialmente annullato in primo grado (se c’era contenzioso). Per atti anteriori al sorgere del credito, negare qualsiasi dolo specifico: ad es. la donazione ai figli fu fatta in tempi non sospetti, e il creditore insinua preordinazione senza prova. Portare elementi di contesto: “all’epoca non esisteva alcuna cartella esattoriale né lite pendente, il debitore navigava in buone acque, è assurdo pensare volesse frodare creditori inesistenti”.
  • Contestare la natura gratuita dell’atto (se possibile): Qualora l’atto abbia qualche caratteristica onerosa, enfatizzarla. Ad esempio, se è una donazione modale (onerata da un onere a carico del donatario), argomentare che non è atto a titolo completamente gratuito; la Cassazione ha escluso che la presenza di un modus faccia diventare un atto oneroso salvo oneri di rilevante entità, ma vale la pena segnalarlo. Oppure, se è una cessione a prezzo simbolico, dire che un corrispettivo c’era (per quanto modesto) e che il creditore allora deve provare la malafede del cessionario. Magari citare il vincolo di parentela come elemento che non basta da solo a provare la collusione, sebbene ci sia giurisprudenza contraria; si può provare a distinguerla: “il grado di parentela è tale (cugini, suocera, etc.) che non è affatto detto conoscessero la situazione debitoria”.
  • Tempore (prescrizione): verificare data atto e data citazione. Se oltre 5 anni, eccepire immediatamente la prescrizione in comparsa. A volte le citazioni arrivano per atti di 4 anni e 11 mesi… occhio a quando la notifica è perfezionata per destinatario vs mittente (usare data notifica al convenuto, perché per l’attore vale invio: art. 2903 c.c. vuole “esercizio” in 5 anni, interpretato come spedizione entro 5 anni? Questione discussa – da approfondire all’occorrenza).
  • Dare spiegazioni sostanziali sull’atto: se la donazione non era fatta per frode ma per ragioni affettive o di sostentamento, evidenziarlo. Es: “Tizio ha donato la casa al figlio disabile per garantirgli un tetto, non per spogliarsi a danno di creditori” – provando magari che Tizio ha altri beni con cui sta pagando i debiti. Il giudice, pur in astratto dovendo applicare la legge, potrebbe essere influenzato in equità.

In concreto, un modello sintetico di memoria difensiva (comparsa conclusionale) in una revocatoria per donazione potrebbe argomentare così:

“L’istante non ha fornito prova rigorosa dell’eventus damni: all’epoca della donazione (2019) il convenuto disponeva ancora di [elenco beni e valori], di valore complessivo superiore all’asserito credito di €X. Inoltre, l’immobile donato era gravato da mutuo ipotecario per €Y, già di importo prossimo al valore di mercato, sicché la sua alienazione non ha inciso sulle ragioni creditorie, risultando incapiente per creditori chirografari. Si evidenzia peraltro che la ragione di credito vantata dall’attore era all’epoca contestata: la cartella esattoriale n… fu impugnata e solo con sentenza del …(passata in giudicato nel 2021) venne confermata. Dunque nel 2019 il convenuto, confidando nell’annullamento del debito, non aveva la consapevolezza di ledere alcun credito certo. In difetto dell’elemento soggettivo della scientia fraudis e in assenza di reale depauperamento patrimoniale, l’azione ex art. 2901 c.c. risulta infondata e la domanda va respinta.”

Arricchendo con riferimenti a Cassazioni (come quelle citate) si dà maggior forza scientifica alle affermazioni. Ad esempio, per sostenere la nozione lata di credito ma anche la necessità che non sia pretestuoso, si può citare Cass. 4212/2020 e Cass. 20002/2008; per l’ipotesi del bene ipotecato, Cass. 25733/2015; per il principio dei parenti presunzione malafede, Cass. 5359/2009 (magari per distinguerla se serve).

Difendersi in un accertamento fiscale di elusione/abuso

Quando invece è l’Amministrazione finanziaria a contestare una donazione come elusiva, il contesto tipico è un avviso di accertamento (o di liquidazione) in cui si riqualifica l’atto ai fini fiscali: ad esempio, l’Agenzia invia al contribuente un avviso chiedendo imposta di donazione su una liberalità indiretta scoperta, oppure riprende a tassazione certe somme ritenute frutto di atti simulatori. Oppure ancora, nega agevolazioni (ad es. niente esenzione donazione d’azienda perché ritiene l’operazione non genuina). In tali casi, il contribuente può presentare ricorso alla Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria) provinciale. Ecco alcune linee difensive possibili:

  • Contestare i presupposti dell’abuso del diritto: ai sensi dell’art. 10-bis L. 212/2000, non c’è abuso se l’operazione ha sostanza economica e ragioni extrafiscali non marginali. Dunque, spiegare dettagliatamente le ragioni economico-giuridiche dell’operazione contestata. Esempio: l’Agenzia dice che la costituzione di trust è stata fatta solo per non pagare imposte ipocatastali su vincoli, voi dimostrate invece che l’intento principale era proteggere un figlio incapace e gestire il patrimonio in modo unitario. Se c’è un business purpose o comunque un motivo serio, enfatizzarlo. Anche documenti preparatori, pareri professionali dell’epoca che attestavano la finalità (es. “come da parere notarile allegato, il trust fu istituito per pianificazione successoria, quando non vi erano pendenze col fisco…”).
  • Difetto di prova dell’Amministrazione: l’onere di provare i fatti costitutivi dell’abuso è dell’Agenzia. Nel ricorso, potete eccepire che le argomentazioni dell’ufficio sono generiche o non comprovate. Ad esempio: “L’ufficio assume la natura simulata del trust basandosi solo sulla coincidenza soggettiva di disponente e beneficiario, ma non considera che il trust ha effettivamente perseguito lo scopo indicato e che il beneficiario finale è un terzo (alla scadenza). Nessuna prova è offerta circa un accordo simulatorio; al contrario, la gestione separata risulta da…”.
  • Errori procedurali: verificare se l’accertamento anti-abuso ha rispettato la procedura (notifica preventiva della motivazione specifica di abuso e 60 giorni per controdedurre, come richiesto dall’art. 10-bis). Una difesa formale ma utile: se non è stato fatto, l’atto potrebbe essere nullo per vizio procedimentale. Altre cose: rispetto termini, sottoscrizione valida, ecc.
  • Aspetti tecnici tributari: nel merito, confutare la ricostruzione fiscale: se l’ufficio riqualifica in donazione un’operazione, valutare se la legge effettivamente lo consente. Ad esempio, se vi contestano imposta di donazione su un bonifico perché emerso in voluntary, verificate il calcolo dell’imposta, l’applicazione delle franchigie, eventuali duplicazioni (nel caso zio-nipote, la difesa provò a dire che la nipote aveva rifiutato quindi l’effetto era venuto meno, ma non è servito; tuttavia, se in altri casi la liberalità viene stornata, si potrebbe eccepire che non c’è arricchimento finale e quindi manca il presupposto).
  • Documentare eventuali controprestazioni reali**: se l’ufficio tratta come donazione quella che voi ritenete vendita, portate prove di pagamenti, ricevute, qualsiasi flusso di denaro che supporti che un corrispettivo è passato. Anche se fosse simbolico, mostrare che l’atto aveva un perché commerciale. Ad esempio, una cessione quote a 1 euro di SRL ritenuta donativa: portare bilanci che mostrano che la società aveva patrimonio netto nullo o perdite (quindi 1 euro era un prezzo congruo). Insomma, attaccare il fulcro dell’elusione: far vedere che l’operazione era in linea col valore reale, oppure che se c’è stato vantaggio fiscale, era voluto dal legislatore (abuso non può contestare vantaggi espressamente riconosciuti dalla norma). Per esempio, se ho donato l’azienda al figlio usufruendo dell’esenzione art.3 co.4-ter D.Lgs.346/90, l’ufficio non può dire “lo ha fatto per non pagare imposta” perché è un’agevolazione di legge: l’abuso non è configurabile dove c’è una norma di favore specifica usata correttamente.
  • Prescrizione e decadenza anche qui: controllare se l’atto di donazione era datato e l’agenzia ha rispettato i termini per liquidare l’imposta (in genere 3 anni dall’autoliquidazione per imposta successoria, ma per donazioni indirette scoperte il termine è 5 anni da quando hanno notizia, etc.). Se l’atto era registrato ma tassato insufficiente, forse decadenza 3 anni… Dipende, va studiato caso per caso.
  • Nel processo tributario, testimonianze e prove atipiche: purtroppo in Commissione Tributaria non sono ammessi testimoni, quindi potete basarvi su documenti e presunzioni. Il contribuente può però allegare qualsiasi documento, anche scritture private non registrate, per provare la sua versione (non c’è il limite dell’art. 1417 c.c. qui, perché non è controversia civile tra parti del contratto, è con fisco, ed è un processo tributario con regole sue). Quindi, se esiste una controdichiarazione (caso raro, di solito ce l’ha il fisco non il contribuente), potreste allegarla ma attenti: se conferma la simulazione avvalorerebbe l’abuso forse.
  • Definizioni agevolate: ricordare che se l’accertamento riguarda imposta di donazione o materie definibili, si può valutare definire per evitare lungo contenzioso. Nel 2023-25 ci sono diverse norme di tregua fiscale: ad esempio, rottamazione cartelle (se era un avviso diventato ruolo), conciliazione agevolata in CTR, ecc. Non è “difesa” in senso stretto, ma è un modo per chiudere con danno minore se la causa appare persa.

Difendersi da azioni dei legittimari (simulazione, riduzione)

Quando i figli o coniuge del de cuius contestano donazioni fatte in vita che li hanno lesi, il donatario (tipicamente un altro figlio o un terzo) deve difendere la legittimità di quelle donazioni. Qui la legge tende a proteggere i legittimari, quindi la difesa è spesso in salita: se la lesione c’è matematicamente, la donazione verrà ridotta (in tutto o in parte). Unica chance per il donatario è dimostrare che in realtà la legittima non era lesa (ad esempio perché i beni donati non vanno collazionati per natura o perché c’erano rinunce a legittima, etc.). Se però agiscono in simulazione (pretendono che vendite fossero donazioni), il donatario può tentare di sostenere che la vendita era genuina e a prezzo giusto: produrre il contratto, testimonianze di pagamento (anche se testimonianze non ammesse tra parti, il legittimario è terzo, dunque può portare testimoni lui; il donatario potrà contro-esaminarli). In pratica, se c’è una contesa su se un atto era oneroso o gratuito, bisogna portare quante più evidenze dell’onerosità: estratti conto, ricevute, etc. Anche qui, il ruolo del notaio è centrale: se c’è un atto pubblico di vendita con quietanza, il donatario dirà “fa piena prova fino a querela di falso” dell’attestazione di pagamento; il legittimario replicherà che è ammessa la prova contraria perché terzo. Insomma, è questione di fatto.

Inoltre, in sede successoria, talvolta i donatari eccepiscono a loro volta la limite decennale: l’azione di riduzione si prescrive in 10 anni dall’apertura della successione. Se i legittimari dormono oltre 10 anni, la donazione è ormai inattaccabile. Però attenzione: la giurisprudenza dice che se il legittimario era pretermesso e non ha accettato con beneficio, il termine non decorre finché non sa dell’atto… questione intricata. Comunque è un punto difensivo da valutare nel tempo (non immediato, spesso agiscono ben prima 10 anni).

Atti difensivi e modelli: cenni pratici

Nel predisporre atti difensivi – sia in tribunale ordinario (revocatoria, simulazione) sia davanti al giudice tributario (accertamento fiscale) – è buona norma:
– Richiamare espressamente le sentenze di legittimità più pertinenti (come fatto in questa guida) per dare forza alle proprie tesi, soprattutto se si punta a creare un principio favorevole (i giudici apprezzano riferimenti giurisprudenziali, in particolare a S.U. o pronunce recenti di Cassazione).
– Produrre tutta la documentazione utile: atti notarili, visure catastali, bilanci, corrispondenza che possa far luce sulle reali intenzioni. Ad esempio, se c’è una email dove il donante dice al donatario “ti cedo questo bene tanto poi me lo rendi”, è la pistola fumante contro di voi – meglio sapere cosa ha il nemico. Viceversa, se c’è una lettera dove spiega le ragioni filantropiche sincere, usatela a vostro favore.
– Nel linguaggio degli atti, mantenere un tono di buona fede: presentare il donante non come uno che voleva fregare tutti, ma come persona in difficoltà o con intenzioni nobili (aiutare i figli, ecc.), e magari sottolineare eventuali tentativi di soluzione antecedenti (es.: “il convenuto aveva proposto un piano di rientro al creditore, che non è stato accettato, il che lo ha indotto – erroneamente – a tutelare la famiglia con quel gesto; ciò dimostra la mancanza di spirito fraudolento”). Non è una giustificazione legale, ma può umanizzare la vicenda.
– Considerare sempre possibili accordi: soprattutto con creditori privati, una volta che questi hanno avviato revocatoria, spesso lo scopo è arrivare a ottenere garanzie o pagamento. Una difesa saggia valuta se offrire una transazione (pagamento parziale del debito, ipoteca su altro bene) per chiudere la causa. Se il creditore è il Fisco, esistono istituti come la rateazione, la transazione fiscale (in procedure concorsuali) – difficilmente l’Agenzia ritira la revocatoria se ha margine di vittoria, ma potrebbe accettare un concordato.

Infine, se la difesa vede che la posizione è indifendibile (ad es. chiaro atto in frode), una strategia può essere puntare a prendere tempo per riorganizzare il patrimonio o trovare risorse. Nel processo civile, eccepire e appellarsi può dare qualche anno. Nel frattempo il debitore potrebbe salvare il salvabile (legalmente, si intende: trovare un accordo con creditori, vendere volontariamente beni per liquidità e pagare transando prima che arrivi l’ufficiale giudiziario, etc.). Però qui si entra più nella consulenza strategica che nell’aspetto giuridico.

Domande e Risposte frequenti

Di seguito una serie di Q&A (domande e risposte) per affrontare in forma schematica alcuni dubbi comuni su donazioni simulate ed elusione, dal punto di vista sia pratico che giuridico:

D: Cosa si intende esattamente per “donazione simulata”?
R: Si parla di donazione simulata quando un atto di donazione è posto in essere solo formalmente, mentre in realtà le parti non intendono produrre gli effetti di una vera donazione. Ad esempio le parti potrebbero firmare un atto notarile di donazione di un immobile ma con un accordo segreto che tale trasferimento non avrà effetto (simulazione assoluta), oppure potrebbero chiamare “donazione” ciò che in realtà è qualcos’altro (simulazione relativa) come ad esempio far apparire una liberalità mentre sotto banco c’è un pagamento (in tal caso non c’è animus donandi reale). In pratica, la volontà effettiva dei contraenti non corrisponde a quella dichiarata nell’atto. L’operazione spesso viene usata per schermare il patrimonio: si finge di cedere un bene a titolo gratuito così che formalmente esca dal patrimonio del disponente (debitore, futuro defunto, ecc.), pur volendo in realtà mantenerne la disponibilità o farlo rientrare in futuro. In termini giuridici, la simulazione rende l’atto nullo/inefficace tra le parti, e i terzi (come creditori o eredi) possono far valere questa nullità per tutelarsi. È un concetto diverso dalla “donazione indiretta” (dove c’è realmente una liberalità seppur attuata con mezzi diversi) e dalla “dissimulazione” (dove dietro un contratto oneroso si cela una donazione voluta).

D: In che modo il Fisco può contestare una donazione come elusione fiscale?
R: L’Amministrazione finanziaria può contestare una donazione sotto diversi profili:
– Imposta sulle donazioni non pagata: se la donazione (o liberalità) non è stata dichiarata e tassata, l’Agenzia può emettere un avviso di liquidazione richiedendo l’imposta dovuta. Questo accade soprattutto quando la liberalità emerge da controlli (es. movimenti bancari giustificati come regalo, o dichiarazioni rese in accertamenti). Ad esempio, a seguito di una voluntary disclosure, l’AE ha appreso di un bonifico zio-nipote e ha chiesto il pagamento dell’imposta di donazione evasa.
– Riqualificazione per abuso del diritto: se una certa operazione è stata strutturata in forma di donazione (o con donazioni indirette) al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali, l’Agenzia può applicare l’art. 10-bis L.212/2000 (disciplina dell’abuso). Ciò significa che può disconoscere i benefici fiscali ottenuti e riqualificare l’operazione nella sua sostanza. Un esempio: se Tizio trasferisce titoli a Caio tramite conti esteri evitando l’atto pubblico (per non pagare imposta), il Fisco può comunque tassarlo come liberalità. Oppure se un’operazione societaria di famiglia è servita per far pervenire ricchezza a un erede senza imposte, l’AE potrebbe considerarla donazione e imporre le relative tasse.
– Accertamenti sui redditi occulti: qualora la donazione simulata sia usata per occultare redditi o patrimoni (tipico il trust fittizio all’estero), l’AE tramite norme antielusive (es. art. 37 DPR 600/73) può attribuire i redditi al reale titolare. La Cassazione ha definito questi trust sham e finge di ignorarli ai fini fiscali.
– Sottrazione fraudolenta (profilo penale): se ravvisa atti simulatori fatti per non pagare imposte già dovute (es. dopo una cartella esattoriale), l’Agenzia può segnalare all’Autorità giudiziaria il reato ex art.11 D.Lgs.74/2000.

Formalmente, la contestazione fiscale avviene con un atto motivato (avviso di accertamento/liquidazione). L’onere di motivare l’operazione abusiva è dell’Ufficio, e il contribuente può difendersi dimostrando che l’operazione aveva ragioni valide oltre al risparmio fiscale.

D: Cosa rischio se faccio una donazione simulata per non pagare le tasse?
R: I rischi sono molteplici e gravi:
– Recupero delle imposte evitate: Il Fisco può chiedere le imposte non pagate a causa della simulazione. Ad esempio, se hai ceduto un bene simulando una donazione per non dichiarare una plusvalenza, l’Agenzia può calcolare quella plusvalenza come se il bene lo avessi venduto o può comunque chiedere l’imposta di donazione dovuta. Inoltre, se hai omesso di indicare redditi (es. frutti di un patrimonio trasferito fittiziamente), può emettere avvisi di accertamento con imposte, interessi e sanzioni.
– Sanzioni amministrative: Compiere un atto simulato può comportare dichiarazioni infedeli o omesse (ad esempio non hai dichiarato un trasferimento tassabile). Se l’imposta evasa supera certe soglie, ci sono sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta non pagata (nell’ambito tributario).
– Nullità dell’atto e perdita del bene: Civilmente, la donazione simulata può essere dichiarata nulla. Ciò significa che l’asset presumibilmente uscito dal patrimonio in realtà vi rientra e può essere preso dai creditori. Quindi il tuo tentativo di protezione fallisce, anzi peggiora la situazione perché potresti aver perso il controllo “di fatto” del bene se nel frattempo l’avevi consegnato al donatario. In più, potresti aver speso soldi in atti notarili inutili.
– Azione dei creditori (revocatoria): Come detto, i tuoi creditori possono facilmente revocare una donazione se li pregiudica. Ciò porta a costose cause legali che in genere perdi, con condanna alle spese. E anche se magari l’atto era genuino, ma fatto in un momento inopportuno, rischi comunque la revoca.
– Conseguenze penali: In casi estremi, se il fine era evadere imposte già dovute (e l’importo supera €50.000 di imposte), scatta il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Questo comporta un processo penale e potenzialmente la reclusione da 6 mesi a 4 anni (o 1-6 anni se imposte oltre €200k). Ad esempio, la Cassazione ha confermato la condanna di un contribuente che aveva costituito un fondo patrimoniale e donato i beni al figlio per non pagar tasse. Va sottolineato: per condannare non serve che il Fisco tenti davvero il pignoramento; basta l’idoneità ingannatoria degli atti.
– Immagine e affidabilità: Un simile comportamento, se scoperto, ti qualifica come soggetto poco affidabile economicamente (ad esempio, banche e fornitori potrebbero non fidarsi più, sapendoti capace di simili frodi). Se sei un imprenditore, potresti avere ripercussioni reputazionali e difficoltà di credito.

Insomma, tentare di frodare il Fisco con donazioni simulate non conviene: il risparmio immediato può tramutarsi in costi ben maggiori a distanza di anni, con l’aggiunta di sanzioni penali. Molto meglio negoziare con l’Erario piani di rientro o approfittare di definizioni agevolate, invece di compiere atti illeciti.

D: Qual è la differenza tra una donazione indiretta e una donazione simulata?
R: La donazione indiretta è una liberalità effettiva attuata però con uno schema negoziale diverso dalla donazione tipica. C’è realmente un animus donandi (intento di arricchire gratuitamente qualcuno), ma invece di fare un contratto di donazione, se ne fa un altro: ad es. pagare il prezzo di un bene che viene intestato al beneficiario; rinunciare a un credito per arricchire il debitore; intestare un conto cointestato su cui l’altro può operare. La donazione indiretta è valida senza bisogno dell’atto pubblico, tranne certe ipotesi particolari dettate dalla Cassazione (come i bonifici bancari considerati donazioni dirette). In sintesi, nella donazione indiretta le parti vogliono davvero attribuire un vantaggio economico gratuito al beneficiario, ma lo fanno indirettamente. Invece, la donazione simulata è quella in cui le parti non vogliono davvero fare una liberalità, ma solo fingere di farla, per conseguire magari altri scopi (es. nascondere il bene). Quindi:
– Nella donazione indiretta l’arricchimento del beneficiario è reale e voluto, anche se travestito (non c’è simulazione, c’è un risultato gratuito concreto). Ad esempio, i genitori comprano casa al figlio: c’è un esborso, il figlio si arricchisce, i genitori si impoveriscono, era voluto, solo che tecnicamente è un contratto di vendita col venditore, non un “contratto di donazione” col figlio. Queste liberalità sono valide e rilevanti (anche ai fini, ad esempio, della collazione nelle successioni). Fiscalmente, come visto, non scontano imposta immediata se non c’è atto, salvo emersione successiva.
– Nella donazione simulata invece non c’è un reale spostamento di ricchezza voluto: o perché è tutta una messinscena (simulazione assoluta) e il bene resta nella disponibilità occulta del donante; oppure perché il “regalo” nasconde in realtà un’operazione a pagamento (in tal caso non c’è liberalità, c’è un corrispettivo clandestino). In entrambi i casi, manca lo spirito di liberalità genuino. È un atto fittizio. Ad esempio, Tizio “dona” la casa alla sorella Caia, ma segretamente Caia si impegna a restituirgliela dopo un anno: nessun arricchimento stabile, è finta. Oppure Tizio “dona” 100.000 € all’amico, ma in realtà c’è un accordo che l’amico gli ha dato altrove un quadro di pari valore: quindi era uno scambio barattato, camuffato da donazione.

In pratica, la donazione indiretta è un’altra via per donare davvero; la donazione simulata è una non-donazione travestita da tale. Dal punto di vista probatorio, se un atto viene asserito come donazione indiretta, bisogna provare l’intento liberale e l’operazione triangolare; se viene accusato di simulazione, bisogna provare il patto simulatorio e l’assenza di spirito di liberalità reale.

D: Un bonifico di una somma di denaro a un familiare è soggetto a imposta sulle donazioni?
R: Dipende dalle circostanze. Un semplice bonifico bancario effettuato per aiutare un familiare (es. genitore -> figlio) costituisce una liberalità “informale”Di per sé, non essendo formata da un atto pubblico né da un atto scritto soggetto a registrazione, non viene automaticamente tassata al momento in cui viene eseguita. L’obbligo di registrazione infatti vige solo per gli atti espressi di donazione (notarili) o per gli atti “dichiarativi” di liberalità. Quindi, se fai un bonifico con causale “regalo” o anche senza causale a tuo figlio, non devi pagare alcuna imposta subito né fare qualche comunicazione al Fisco. Per altro, spesso tali trasferimenti rientrano nelle soglie di esenzione (se un genitore bonifica €50.000 al figlio, comunque sarebbe sotto franchigia di 1 milione). Tuttavia, attenzione a due cose:
1. Prova dell’intento: Dal punto di vista civilistico e bancario, è bene indicare la causale (es. “donazione per acquisto casa” o “regalia”) per evitare che in futuro il fisco interpreti quel movimento come qualcos’altro (reddito non dichiarato). Paradossalmente però, indicando “donazione” uno potrebbe temere di autodenunciarsi per l’imposta di donazione. In realtà, finché non è un atto registrato, l’Agenzia non viene automaticamente a saperlo. Verrà a saperlo solo se controlla i conti o se c’è un accertamento in cui tu lo dichiari.
2. Emersione in accertamento: come spiegato, se in un controllo fiscale tu dichiari che quel bonifico era una donazione, a quel punto scatta l’imposta (se l’importo supera la franchigia applicabile). Ad esempio, caso Cass. 7442/2024: il bonifico zio->nipote è stato scoperto perché lo zio lo ha rivelato in voluntary disclosure, e l’Agenzia ha preteso l’imposta (8% su ~€816.000). Se fosse rimasto occulto o dichiarato diversamente, non sarebbe stato tassato. 3. Importo e tracciabilità: se la somma è molto grande e fuori proporzione rispetto ai redditi dichiarati, può far scattare una segnalazione o domanda in sede di accertamento reddituale. In quel caso, meglio poter giustificare che proveniva dai risparmi del genitore e destinata come regalo al figlio. Altrimenti l’Agenzia potrebbe sospettare altre cose (riciclaggio, nero…) anche se non c’entra con imposta di donazione.

Riassumendo: no, normalmente un bonifico familiare non comporta dover pagare imposte sulle donazioni (e non va dichiarato nella dichiarazione dei redditi). Pagherai l’eventuale imposta solo se decidi di registrare formalmente la liberalità o se salta fuori in controlli formali. Tieni presente che dal 2025 l’Agenzia può tassare ogni liberalità scoperta, senza più nemmeno il limite minimo precedente. Ma restano esenti sotto soglie di franchigia di legge. Quindi se una madre trasferisce €200.000 al figlio e l’Agenzia lo scopre, il figlio non paga comunque nulla perché per i figli c’è franchigia 1.000.000. Se trasferisce €2.000.000, allora su €1.000.000 pagherà il 4%. Semplificando: tra genitori e figli i trasferimenti di liquidità fino a un milione non subiscono imposta alcuna (purché se emergono si giustifichi che erano effettivamente donazioni e non redditi diversi).

D: Come può difendersi un contribuente se l’Agenzia delle Entrate contesta come abusiva una donazione o un trust?
R: Può difendersi sia nella fase amministrativa (presentando memorie, documenti, chiedendo il contraddittorio) sia, se viene emesso avviso, davanti al giudice tributario, sostanzialmente su due fronti: fattuale e giuridico. Sul piano fattuale deve dimostrare che l’operazione aveva ragioni economiche sostanziali, non era una mera costruzione artificiosa. Ad esempio, se contesta un trust, spiegare (e provare con regolamento, verbali, ecc.) che lo scopo era di tutela familiare, che il disponente non ne traeva benefici personali, che c’è stato un effettivo trasferimento di poteri al trustee (quindi non era finto). Se contesta una donazione a un parente come aggiramento di tasse, argomentare che c’erano motivi familiari (sostenere il parente in difficoltà, anticipare eredità per evitare liti, etc.) e che l’operazione in sé non ha generato un vantaggio fiscale indebito oltre quanto la legge consente. In parallelo, sul piano giuridico, può eccepire che non ricorrono i presupposti dell’abuso del diritto definiti dall’art. 10-bis: ovvero l’assenza di sostanza economica e il conseguimento essenziale di un vantaggio fiscale contrario alla legge. Deve convincere che almeno uno dei due manca: o c’era sostanza (es. nel trust c’è vero assetto di interessi, la donazione rientra in un disegno lecito di successione), oppure il vantaggio fiscale non era “indebito” (magari era previsto dalle norme: se uso una franchigia o esenzione voluta dal legislatore, non è abuso, è usufruire di una norma). Inoltre può verificare se l’ufficio ha rispettato la speciale procedura anti abuso: in teoria deve comunicarne al contribuente la contestazione e permettergli di replicare prima di emettere l’atto. Se non l’ha fatto, si può far leva su quel vizio procedurale. In giudizio, conviene portare a supporto precedenti in cui situazioni analoghe sono state ritenute lecite: es., citare Cass. SU 21614/2021 che ha ritenuto non tassabile immediatamente il trust autodichiarato (se del caso), o circolari stesse delle Entrate se favorevoli.

In definitiva, la difesa deve far emergere la normalità e genuinità dell’operazione. Un esempio di argomentazione in caso di trust contestato: “Il trust Alfa non è affatto un artificio privo di sostanza economica, come erroneamente sostenuto dall’Ufficio, bensì uno strumento tipico di pianificazione patrimoniale adottato con lo scopo principale di assicurare il mantenimento dei figli minori del disponente in caso di sua premorienza. Questa finalità extrafiscale è documentata dalla clausola X dell’atto istitutivo e dalla corrispondenza con il consulente legale. Il disponente non riveste alcun ruolo di controllo: non è trustee né guardiano, e non figura tra i beneficiari finali, come risulta dall’art. Y del regolamento. Il trustee, soggetto indipendente, ha piena titolarità e gestione dei beni conferiti, circostanza incompatibile con la tesi di un trust “sham” simulato. Ne deriva che non ricorre alcuna interposizione fittizia e non è applicabile l’art. 37, co.3, DPR 600/73: i redditi prodotti dal trust non erano disponibili per il disponente, e quindi correttamente non sono stati da costui dichiarati. L’operato dell’Ufficio, che riqualifica il trust come interposizione soggettiva, è privo di riscontro fattuale e muove da un pregiudizio generalizzato verso l’istituto, disattendendo i principi sanciti dalla Suprema Corte (Cass. 9096/2025) secondo cui rileva la sostanza economica e l’effettiva separazione patrimoniale. In mancanza di prova di un disegno elusivo (che qui difetta, essendo l’operazione giustificata da valide ragioni familiari), la ripresa fiscale per abuso del diritto è illegittima e va annullata.”

Naturalmente, la solidità della difesa dipende dalle caratteristiche oggettive: se in verità il trust era finto (disponente=beneficiario con poteri), sarà dura convincere. In quel caso, si può eventualmente puntare a transigere il contenzioso (pagando il dovuto magari con sanzioni ridotte).

D: Cosa può fare un creditore se scopre che il debitore ha donato tutti i suoi beni?
R: Un creditore che si accorge di essere stato pregiudicato da donazioni del suo debitore ha vari rimedi:
– Il principale è l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) per far dichiarare inefficaci le donazioni verso di lui. Come detto, se la donazione è recente (entro 5 anni) e il credito è anteriore, la revocatoria è quasi certa perché l’atto è a titolo gratuito (non serve provare la malafede del donatario, basta dimostrare che c’era un credito e che la donazione ha reso il debitore insolvente). Il creditore ottenuta la sentenza potrà pignorare i beni donati.
– Se il creditore è già munito di titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo, cartella esattoriale), può sfruttare anche la scorciatoia dell’art. 2929-bis c.c.: in pratica, procedere direttamente al pignoramento dei beni donati senza aspettare la sentenza di revoca. Deve però farlo entro poco tempo per avere la priorità, altrimenti il bene potrebbe essere alienato ulteriormente. In sede esecutiva, il donatario potrà opporsi, ma intanto il vincolo si iscrive.
– Se vi è il sospetto che la donazione sia simulata (fittizia), il creditore può agire anche con un’azione di accertamento di simulazione. In genere la cosa viene prospettata insieme alla revocatoria (in molti atti di citazione, i creditori deducono “in via principale accertarsi la simulazione dell’atto per difetto di animus donandi, e in subordine revocarlo”). Se la simulazione è provata, il bene si considera mai uscito dal patrimonio e quindi pignorabile. Ad esempio, se Caio dona all’amico un immobile ma ne mantiene possesso e incassa ancora affitti, il creditore può sostenere che era una simulazione assoluta e farla dichiarare.
– Se il debitore è una società, e i soci persone fisiche hanno fatto donazioni per svuotarla, ci sono azioni specifiche come actio pauliana fallimentare (art. 66 L.F.) o azione di responsabilità vs amministratori se era pregiudizievole. Ma restiamo sul piano privato: la revocatoria ex art. 2901 c.c. vale anche in contesti societari, così come l’art. 2929-bis per atti gratuiti dei soci/debitori.
– Se il debitore dona i beni e poi si dichiara fallito (o viene liquidato), il curatore può esercitare l’azione revocatoria fallimentare (art. 64 L.F. prevede che le donazioni fatte nei 2 anni precedenti il fallimento sono revocabili di diritto). Quindi i creditori concorsuali recupereranno i beni nel fallimento.
– Potenzialmente, se c’è profilo penale (sottrazione fraudolenta), il creditore può anche fare una denuncia/querela. Una condanna penale può portare alla confisca dei beni trasferiti fraudolentemente, che poi potranno essere usati per pagare il Fisco (se confisca per equivalente, lo Stato si soddisfa su altri beni, ma per i creditori privati il penale non li risarcisce direttamente, è più un castigo per il debitore).

In pratica, un creditore ben consigliato reagisce tempestivamente con una causa revocatoria. Deve però conoscerne l’esistenza: per questo è sempre importante, per un creditore, monitorare i registri immobiliari e dei beni (Conservatoria, PRA, Registro delle imprese) per vedere se il debitore sta dismettendo beni.

D: Quali accorgimenti si possono prendere per proteggere il patrimonio senza incorrere in invalidità o revocatorie?
R: La protezione del patrimonio di fronte a possibili futuri creditori è un tema delicato. Ci sono strumenti legittimi di asset protection, ma occorre pianificazione e onestà di fondo (non avere già il creditore dietro la porta). Alcuni accorgimenti e strumenti:
– Fondo patrimoniale: è un classico per tutelare la casa e altri beni destinandoli ai bisogni familiari. Se costituito prima di contrarre debiti, offre una certa tutela (i creditori estranei ai bisogni della famiglia non possono aggredirne i beni, ex art. 170 c.c.). Tuttavia, se i debiti erano pregressi o finalizzati alla famiglia, il fondo non li blocca; inoltre se abusivo può essere revocato e persino considerato reato se fatto apposta in vista di cartelle esattoriali.
– Trust: un trust fatto in tempi non sospetti, con un trustee indipendente e regole serie, può proteggere beni per determinati scopi (figli disabili, tutela patrimonio per discendenti, ecc.). Deve essere strutturato bene (non self-settled totalmente, non revocabile a piacimento, ecc.), altrimenti sarà perforato dal giudice come simulazione. Un trust di garanzia concordato con i creditori, per esempio, è robusto (perché è addirittura fatto con loro). Un trust familiare “da manuale” prima di indebitarsi può resistere alle pretese estranee se non c’è frode. Ma costa e va gestito professionalmente.
– Vincoli ex art. 2645-ter c.c.: dal 2006 si possono vincolare beni immobili o mobili registrati per soddisfare interessi meritevoli (es. destinazione a un certo scopo per 90 anni max o vita beneficiario). Questo vincolo di destinazione è pubblico (si trascrive) e crea segregazione come un mini-trust. Anche qui, è opponibile ai creditori futuri ma non a quelli preesistenti se dimostrano il malintento (equiparato a atto gratuito, quindi revocabile). Quindi serve farlo quando non c’è puzza di guai in giro.
– Patto di famiglia: per imprenditori che vogliono passare l’azienda a eredi senza litigi e con protezione. Consente di trasferire azienda o partecipazioni a un discendente con accordo che altri eredi ricevono liquidazione o rinunciano in cambio di qualcosa, il tutto con esenzione da imposta di donazione (se proseguono attività). Ha forza di legge e non è soggetto a riduzione dopo (se rispettate le regole). Strumento molto utile per evitare contestazioni di legittima e garantire continuità.
– Assicurazioni sulla vita e pensionistiche: i beneficiari di polizze vita ottengono le somme fuori dall’asse ereditario e impignorabili dai creditori dell’assicurato (salvo premio sproporzionato e dolo verso creditori, dove c’è azione revocatoria speciale art.1923 c.c.). Versare liquidità in una polizza a favore dei figli può dribblare successori e creditori in certi limiti. Attenzione però: versamenti ingenti a ridosso di insolvenza possono comunque essere revocati come atto a titolo gratuito (ci sono sentenze in merito).
– Holding e società: talvolta conviene far detenere beni personali (es immobili) a una società, perché le azioni/quote di SRL sono più facilmente gestibili (si possono dare in pegno ai creditori invece di subire aste, ecc.). Non è protezione assoluta – i creditori possono aggredire le quote – ma l’aggressione indiretta è più complessa e magari la società può contrarre debiti separati. Sono valutazioni da fare con esperti, perché introdurre una società per scopi solo difensivi può avere costi fiscali e rischi (se fatto male, è elusione pure questo).
– Atti a titolo oneroso veri: se proprio devi trasferire un bene per isolare il patrimonio, meglio venderlo (anche a un parente ma realmente, a valore di mercato, con soldi che poi magari tieni su un trust estero etc.) piuttosto che donarlo. Un atto oneroso genuino, soprattutto se il denaro ricavato non sparisce e resta disponibile per i creditori, di solito non è revocabile (perché manca scientia fraudis del terzo se è un acquirente vero). Certo, se vendi a tuo fratello c’è presunzione che sapesse dei tuoi guai, ma se paga prezzo pieno e i soldi li usi per pagare dei debiti, nessun giudice glielo toglierà quel bene. Invece il regalo puro è facile preda. Quindi: converti la donazione in vendita, magari poi con quei soldi fai qualcosa per tuo figlio (che so, glieli presti, ma occhio…). Non elegante, ma più difendibile.

In poche parole, l’asset protection lecita richiede di anticipare i tempi rispetto a potenziali crisi e di utilizzare strumenti previsti dalla legge, evitando le scorciatoie illegali. E un principio fondamentale: lasciare comunque soddisfatti i creditori per quanto possibile, perché se porti via tutto e loro restano a bocca asciutta, troveranno il modo di colpirti. Invece se strutturi ad esempio un trust pagando transazioni ai creditori, difficilmente verrà toccato.

D: I trust sono sempre considerati elusivi dal Fisco italiano?
R: No, non sempre. Il trust è uno strumento neutro, che può essere usato sia per finalità del tutto legittime sia per scopi elusivi/abusivi. L’orientamento del Fisco e della Cassazione è di guardare alla sostanza:
– Se un trust è istituito con effettiva segregazione patrimoniale, beneficiari reali diversi dal disponente, scopi meritevoli (protezione familiare, passaggio generazionale, beneficenza, ecc.), e non c’è un risparmio d’imposta indebito (si pagheranno le imposte quando i beni andranno ai beneficiari finali, come da legge), allora non viene considerato un abuso. Ad esempio, un trust dove Tizio conferisce beni per i figli minorenni e Tizio non li può più toccare, pagando le imposte ipotecarie ora e in futuro i figli pagheranno la successione quando li riceveranno, è sostanzialmente rispettoso della legge. L’Agenzia anzi ha riconosciuto con circolari che trust istituiti per tutela di disabili godono di esenzioni (Legge “Dopo di noi”).
– Se invece un trust è solo sulla carta e il disponente continua a gestire e beneficiarne come prima (il classico trust auto-dichiarato dove disponente è anche trustee e beneficiario finché in vita), allora è visto con sospetto. Ad esempio, se serve solo a intestarvi beni per non farli apparire in dichiarazione, il Fisco lo ignora e considera i beni come tuoi (principio substance over form). Cassazione 2025 l’ha ribadito per trust estero: formale ma di fatto fittizio = trattato come interposizione.
– Sul piano della tassazione indiretta: dal 2022-2023 la normativa è chiara nel tassare i trust in modo non penalizzante ma nemmeno agevolativo: imponibile al momento in cui i beni escono a favore di beneficiari. Quindi un trust genuino paga le stesse imposte di una donazione/successione normale, solo differite nel tempo. Quello che il Fisco non vuole è che il trust diventi un modo di non pagare mai (prima era possibile se il trust durava a lungo e i beneficiari non erano individuati con certezza, c’era un congelamento dell’imposta). Ora con modifica art.2 TUS, anche beneficiari “ulteriori” come altri trust vengono tassati.
– Dunque, non tutti i trust sono elusivi: quelli usati come previsto dalla legge (p.es. per scopi di pianificazione) sono accettati. L’Agenzia delle Entrate spesso risponde a interpelli positivamente su trust fatti correttamente (es. trust per dividere patrimonio fra discendenti al 30° anno, ecc.). Invece, trust usati per shopping fiscale (tipo spostare residenza di beni in paradisi fiscali, o evitare imposta di donazione su multilevel trust) vengono contrastati.

In conclusione, se vuoi usare un trust, progettalo con finalità concrete e trasparenti e mettiti in regola con la fiscalità (paga le imposte ipocatastali all’atto di conferimento, dichiara redditi eventualmente imputabili al trust, etc.). Un trust onesto non verrà attaccato; uno opaco e auto-referenziale sì. Anche i giudici civili guardano: un “trust familiare” creato spontaneamente e gratuito è revocabile come donazione, quindi se lo scopo era proteggere beni da creditori, fallisce. Diverso un trust di garanzia dove i creditori stessi sono d’accordo, quello nessuno lo tocca.

D: Una donazione può essere annullata o revocata dopo essere stata fatta?
R: Sì, ci sono vari casi in cui una donazione, anche effettiva, può venire meno successivamente:
– Azione di riduzione (eredi legittimari): se la donazione lede la quota di legittima riservata per legge a certi eredi (coniuge, figli, ascendenti), costoro possono, una volta aperta la successione del donante, chiedere la riduzione della donazione. Il giudice riduce la donazione per reintegrare le quote violate; ciò può comportare la restituzione totale o parziale dei beni donati agli eredi legittimari. In pratica è come se la donazione fosse annullata pro quota. Questa azione però spetta solo a quegli eredi e secondo l’ordine (prima si riducono le disposizioni testamentarie, poi le donazioni).
– Revoca per ingratitudine o sopravvenienza figli: il Codice Civile (artt. 800 e segg.) prevede che il donante possa chiedere la revoca di una donazione in due ipotesi: se il donatario si rende gravemente ingiurioso o colpevole di fatti gravi verso il donante (ingratitudine, es: attenta alla vita del donante, reati gravi contro di lui) oppure se il donante al momento di donare non aveva figli e poi ne ha/riconosce di legittimi (sopravvenienza di figli). Queste sono cause limitate e vanno fatte valere entro 1 anno dalla conoscenza del fatto (ingratitudine) o dalla nascita/riconoscimento del figlio. Non c’entrano con l’elusione fiscale, ma sono casi di “annullamento” di donazione ammessi.
– Annullamento per vizi del consenso o incapacità: come ogni contratto, se la donazione è frutto di errore, violenza o dolo, può essere annullata su istanza del donante. Anche se il donante era incapace di intendere (senza tutela attivata) può essere annullata. Questi sono casi contenziosi civili normali.
– Nullità per difetto di forma: se la donazione non rispetta i requisiti di forma (es. non c’era notaio o mancavano testimoni, ecc.), è radicalmente nulla. In teoria non serve neppure un’azione (la nullità è rilevabile d’ufficio), ma praticamene se uno vuole formalizzare la nullità deve agire in giudizio. Come detto, molte donazioni “fatte in casa” di somme ingenti sono nulle; raramente si invoca, perché di solito entrambe le parti volevano comunque il risultato e nessuno si lamenta. Ma può succedere, specialmente con eredi che impugnano dopo la morte del donante.
– Revocatoria ordinaria (creditori): è un modo per rendere inefficace la donazione rispetto a un creditore che l’ha impugnata entro 5 anni. Non è una nullità erga omnes, ma di fatto per quel creditore annulla gli effetti. Il donatario che vede la donazione revocata “perde” il bene nei confronti di quel creditore (che ad es. se lo fa vendere all’asta).
– 2929-bis: come visto, in pratica è come una revocatoria accelerata; se il creditore pignora ex 2929-bis, la donazione viene resa inefficace verso di lui.
– Simulazione: se viene accertato che la donazione era simulata, l’atto è nullo sin dall’inizio. Quindi più che annullare, si svela che era fittizio. Ad esempio, con controdichiarazione il giudice dichiara la nullità dell’atto per simulazione: il bene torna formalmente al donante.

In conclusione, raramente la donazione è irreversibile al 100%. Solo una donazione fatta e non contestata per decenni diventa tranquilla (passati 20 anni uno potrebbe invocare usucapione del donatario sul bene, etc.). Ma in ambito familiare e creditorio, per diversi anni resta “instabile”. Vale la pena ricordare che molte persone hanno timore a ricevere beni in donazione proprio perché sanno che possono emergere rischi (eredi legittimari o creditori del donante). Spesso i notai segnalano questa cosa agli acquirenti di immobili provenienti da donazione recente. Dunque la donazione non è l’atto più solido per trasferire ricchezza, va usata con cautela e consapevolezza. Se si vuole che sia definitiva, conviene anche assicurarsi che nessuno avrà titolo per contestarla (ad es. far sottoscrivere ai futuri legittimari rinunce assistite da legge – se possibile – o soddisfarli con altri beni). E ovviamente non avere creditori insoddisfatti in giro.

D: Quali sono le sentenze più recenti da conoscere sull’argomento?
R: Ne abbiamo citate diverse nel corso della trattazione. Riassumendo per importanza:
– Cass. 7442/2024 (tributaria): liberalità indirette tassabili solo se dichiarate dal contribuente; no obbligo generalizzato di tassare bonifici tra parenti. Importante perché smentisce la posizione AE 2015 e allinea la prassi alla normativa (poi modificata nel 2024 con D.Lgs 139, ma in senso simile).
– Cass. 9096/2025 (tributaria): trust estero simulato, principi di “substance over form” e imputazione al disponente dei redditi. Rilevante perché mostra l’approccio duro verso trust fittizi e richiama art.37 DPR 600/73.
– Cass. 28145/2023 (civile): trust familiare = atto gratuito, quindi revocabile dai creditori; inefficacia travolge anche trasferimento. Importante per asset protection: trust autoconferito non protegge da revocatoria ordinaria.
– Cass. 19010/2024 (civile): legittimario pretermesso agisce come terzo in simulazione, prova libera, niente inventario . Rilevante per successioni: smaschera finte vendite del de cuius.
– Cass. 19603/2023 pen.: fondo patrimoniale + donazione figli = reato sottrazione fraudolenta se c’è debito fiscale sopra soglia. Fa capire che atti leciti concatenati possono portare a condanna penale quando c’è intento di frodare Erario.
– Cass. 5359/2009 (civile): vincolo parentale stretto = indizio di malafede per revocatoria onerosa. Non recente ma spesso citata.
– Sez. Unite 18725/2017 (civile): bonifico come donazione tipica soggetta a forma (no contratto a favore terzo). Importante per la validità delle donazioni di denaro.
– Cass. 17311/2016 (civile): sentenza che ribadisce natura costitutiva sentenza revocatoria (non retroattiva verso altri) e che conferma opportunità di difendersi anche se atto revocato (non “punisce” il convenuto se aveva qualche buona fede).
– Cass. 22332/2021 (civile): (non citata prima) ma riguarda la presunzione di gratuità atti con coniugi/affini, in linea con Cass.2009, utile sapere c’è continuità.

Conoscere queste sentenze aiuta a capire il trend: più tutela a creditori e legittimari, fermezza contro simulazioni, e lato tributario maggiore adesione alla sostanza economica.

D: Dopo quanti anni una donazione non è più impugnabile?
R: Dipende dal tipo di impugnazione:
– Per revocatoria ordinaria dei creditori, il termine è 5 anni dalla data dell’atto (art. 2903 c.c.). Decorso questo, i creditori non possono più avviare azione revocatoria. (NB: per revocatoria fallimentare il termine è 2 anni prima del fallimento).
– Per riduzione da parte dei legittimari, il termine di prescrizione è 10 anni dall’apertura della successione (ossia dalla morte del donante). Quindi se il donante muore, passati 10 anni gli eredi legittimari non possono più contestare le sue donazioni lesive (salvo qualche discussione dottrinale sul pretermesso, ma in generale 10 anni).
– La revoca per ingratitudine o sopravvenienza figli va esercitata entro 1 anno dal fatto (ingratitudine) o dalla nascita/riconoscimento (figlio).
– L’azione di simulazione da parte di terzi creditori non ha un termine breve stabilito, se non la prescrizione ordinaria di 10 anni per far valere un diritto soggettivo leso. Diciamo 10 anni anche lì tendenzialmente (specie se combinata con azione revocatoria, molti la legano al 5 anni revocatoria come limite, ma non è pacifico – la simulazione in sé non è soggetta a termine se fatta valere in via di eccezione, altrimenti 10 anni se domanda costitutiva).
– L’accertamento fiscale per imposta di donazione omessa: l’Agenzia può emetterlo entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quando il contribuente ha fatto una dichiarazione da cui risulta la liberalità. Ma se non c’è dichiarazione, teoricamente il termine è indefinito finché scopre (nel caso di imposta liquidata d’ufficio, spesso non c’è decadenza se atto non registrato, questione tecnica). Diciamo che prudentemente fino a 5 anni (in certi casi 6) dal momento in cui confessi la donazione l’ufficio può chiederti le imposte.
– Per i reati tributari, la prescrizione del reato di sottrazione fraudolenta è 6 anni (prorogabili di 1/4 per atti interruttivi).

In parole semplici, se tu fai una donazione e passano oltre 10 anni dalla tua morte (per eredi) e oltre 5 anni dall’atto (per creditori), quella donazione è abbastanza al sicuro: non c’è più revocatoria ordinaria né riduzione. Resta però la possibilità di attacchi se emergono frodi (ma dopo 5 anni penalmente di solito scadono). Quindi la “zona franca” totale si ha dopo un decennio abbondante. Prima di allora, come visto, è attaccabile in varie forme.

D: Una simulazione di vendita può essere scoperta dal Fisco?
R: Sì, ci sono vari indizi che possono far scoprire una vendita simulata (dove in realtà era una donazione o comunque il prezzo non è reale):
– Prezzo molto basso dichiarato: l’Agenzia delle Entrate, in sede di registro, se vede che un immobile è venduto a un prezzo stracciato rispetto al valore catastale o di mercato, può rettificare il valore ai fini dell’imposta di registro (oggi c’è libertà di pattuizione e il fisco tendenzialmente accetta il dichiarato salvo incongruenze macroscopiche o atti tra parenti). Se rettifica il valore, già evidenzia che quell’importo non era congruo. Non prova la simulazione, ma accende un faro.
– Legami familiari tra venditore e acquirente: se padre vende casa a figlio a prezzo “di favore”, il Fisco in genere non può far nulla se davvero c’è un atto oneroso (perché imposte pagate sul valore catastale etc.), ma se un domani quella famiglia finisce sotto controllo (es. per successione) potrebbe scoprire che il figlio non ha mai pagato il prezzo. Ad esempio, se il padre poi muore e nelle carte non c’è traccia dei soldi ricevuti, gli altri eredi possono dire era donazione dissimulata. Il Fisco se partecipa (per imposte successione) potrebbe allora considerare quell’atto come donazione da collazionare eventualmente.
– Mancato movimento di denaro: ormai con l’uso dei pagamenti tracciati, se vendi un immobile e dichiari che il prezzo è pagato, devi fare assegno o bonifico. Se l’Agenzia in un controllo incrociato vede che quell’assegno è stato restituito o non incassato, capisce che era fittizio. Idem, se manca totalmente traccia dei pagamenti che dovevano avvenire. L’Agenzia incrociando dati bancari (ha accesso tramite l’Anagrafe dei conti) può talvolta notare che Tizio non ha ricevuto alcun bonifico dall’acquirente Caio dopo l’atto, o che Caio non ha prelevato quella somma. Questo indizio può far scattare verifiche.
– Dichiarazioni incoerenti: se per caso, in altra sede, una parte ammette la simulazione. Esempio: in un processo tra privati l’acquirente dice “io in realtà non ho mai pagato perché era un regalo”. Quella sentenza, se nota al Fisco, lo porta a recuperare imposte di donazione evase e applicare sanzioni. Oppure, a volte, c’è chi si pente e fa registrare la controdichiarazione: l’AdE allora liquida l’imposta come se fosse donazione (è raro, ma se accade, il fisco colpisce).
– Ricostruzione reddituale: se vendi a 100 e incassi 0, tu hai una differenza patrimoniale enorme (avevi un bene, ora non hai né bene né soldi) – questo impoverimento innaturale potrebbe emergere in un accertamento sintetico o redditometro, dove vedono che hai “perso” un capitale senza corrispettivo e magari continuando a goderne (tipo vivi ancora in quella casa). Sono segnali.

Quindi sì, non è impossibile che il Fisco scopra una simulazione. Magari non lo fa sistematicamente, ma nei casi noti (ad es. voluntary disclosure ha portato a galla molte controdichiarazioni di finte vendite fatte per portare soldi all’estero, ecc.). Se la scopre, come detto, agirà di conseguenza: tassazione come donazione, sanzioni, eventuale denuncia penale se c’erano imposte rilevanti evase.

D: È vero che le donazioni creano problemi quando si rivende un immobile?
R: Sì, questo è un aspetto pratico importante. Gli immobili che provengono da donazione (entro gli ultimi 20 anni) possono creare difficoltà in caso di rivendita, perché gli acquirenti temono le possibili azioni di riduzione o revocatoria da parte di eredi o creditori del donante. In pratica, se compri una casa che Tizio aveva ricevuto in donazione da Caio, e Caio ha figli non tutti d’accordo, c’è il rischio teorico che entro il termine di legge quei figli facciano annullare la donazione (lesione di legittima) e rivogliano l’immobile, coinvolgendoti. Se succede, tu acquirente perderesti l’immobile (dovresti restituirlo agli eredi) e dovresti rivalerti su Tizio (il tuo venditore) per il prezzo e i miglioramenti – ma se nel frattempo Tizio è nullatenente o sparito, rimani fregato. Lo stesso con creditori: se Caio (donante) aveva debiti e i 5 anni non sono passati, un creditore potrebbe revocare la donazione Caio->Tizio e poi pignorare la casa anche se Tizio l’ha venduta a te (fanno revoca più estensione effetti se malafede, è complicato ma possibile). Per questo, i notai e le compagnie di assicurazione si sono attrezzati: c’è la polizza assicurativa contro rischio di evizione da donazione. Oppure si chiedono garanzie al venditore (fideiussioni, deposito prezzo per 20 anni ecc. – misure drastiche che spesso fanno saltare la vendita). In generale, gli acquirenti preferiscono immobili non provenienti da donazione recente, e se proprio devono, pretendono prezzi un po’ più bassi e misure di cautela.

Questo è un effetto indiretto delle donazioni: riduce la commerciabilità del bene per un certo periodo. Quindi prima di fare una donazione immobiliare, sarebbe bene valutare questo aspetto: se pensi che il donatario vorrà rivendere presto, magari è meglio fare subito una compravendita con pagamento, così quell’ombra non c’è.

D: Conviene fare donazioni o è meglio usare altri metodi (testamento, vendita, ecc.)?
R: Dipende dalle situazioni:
– Se lo scopo è fiscale, come abbiamo visto, la donazione in sé non offre speciali vantaggi (le aliquote sono basse ma lo sono anche in successione e ci sono franchigie analoghe). Non c’è imposta sulle plusvalenze in caso di donazione (mentre nella vendita potresti dover pagare la plusvalenza su certi beni), quindi qualcuno dona anche per trasferire asset senza tassazioni sui guadagni: ad esempio, donare titoli azionari al figlio evita la tassazione delle eventuali plusvalenze, che invece emergerebbero se li vendesse e gli regalasse soldi – però attenzione che il figlio poi eredita il valore fiscale originario. Insomma, per ottimizzare magari sì, ma va studiato e i risparmi non sono enormi in scenario di aliquote donazione così basse.
– Se lo scopo è anticipare successione: la donazione è uno strumento classico per dare subito ai figli ciò che spetterebbe loro, magari godendo te della soddisfazione di vederli sistemati. Va bene se la famiglia è d’accordo e non ci saranno liti. Ma se c’è anche solo un potenziale erede scontento, la donazione potrebbe essere impugnata alla morte. Per evitare problemi, a volte meglio fare un testamento equo o un patto di famiglia se impresa. Il testamento consente di regolare le cose efficacemente senza intaccare subito il patrimonio (utile se potresti aver bisogno tu dei beni per reddito o sicurezza). La donazione invece è immediata e irreversibile (per riaverla serve consenso del beneficiario o cause di revoca). Molti professionisti consigliano: se non necessario, non fare donazioni ai figli in vita, piuttosto fagli un testamento chiaro e eventuali legati. Anche perché la donazione fatta a un figlio dovrà essere “computata” nella divisione (collazione), quindi non è che eviti la ripartizione, a meno che tutti i figli ricevono proporzionalmente.
– Se lo scopo è proteggere dai creditori: come discusso, la donazione è tra i primi atti che i creditori possono attaccare. Quindi è un pessimo strumento di protezione patrimoniale a breve termine. Molto meglio una separazione di beni fatta anni luce prima di indebitarsi, o fiduciarie, trust, assicurazioni. La donazione è troppo facile da revocare.
– Se lo scopo è trasferire un bene a qualcuno per ragioni affettive e non c’è corrispettivo: la donazione è l’unico modo. Ad esempio vuoi dare una casa a tuo fratello perché ti ha accudito – non c’è contratto oneroso ad hoc (potresti vendergliela a 1 euro, ma come visto è problematico). In questi casi la donazione è appropriata, però vanno considerati i possibili effetti (altri eredi?). A volte si preferisce vendere al fratello a prezzo di mercato e poi regalargli i soldi per evitare donazione diretta dell’immobile (per via della commerciabilità futura).
– Se c’è incertezza: tieni conto che la donazione ti toglie la proprietà di quel bene. Se poi litighi col donatario, non puoi tornare indietro salvo ingratitudine grave o accordo. Succede spesso: genitore dona casa al figlio riservandosi l’usufrutto, poi litigano e il figlio minaccia di buttarlo fuori (non può perché c’è usufrutto, ma insomma, i rapporti degenerano). Con testamento, finché sei vivo puoi cambiare idea infinite volte; con donazione, una volta fatta è fatta.

Quindi “conviene o no” è questione personale e di contesto. Sicuramente non conviene farla per motivi scorretti (evasione, frode): lì i rischi superano i benefici. Conviene se serve ad uno scopo legittimo e ben ponderato. Sennò, esistono alternative contrattuali e successorie spesso migliori.

Conclusione: La materia delle donazioni simulate e considerate elusive è complessa, ma l’obiettivo di questa guida era fornire una panoramica approfondita e aggiornata dal punto di vista di chi potrebbe trovarsi a difendere tali atti. Abbiamo esaminato normative, casistiche, pronunce di vertice fino al 2025 e possibili strategie di tutela. In definitiva, la lezione che emerge è che la trasparenza e la pianificazione prudente sono la via maestra: utilizzare gli strumenti giuridici rispettandone la causa e lo scopo, senza cercare scorciatoie illegali, permette di raggiungere in sicurezza gran parte degli obiettivi (familiari, imprenditoriali, successori) che altrimenti maldestri tentativi di donazioni simulate metterebbero a rischio. In ogni caso, chi dovesse essere coinvolto in vicende simili – come debitore, donatario o anche creditore leso – dovrebbe avvalersi di consulenza legale specializzata, poiché gli esiti dipendono dalle sfumature del caso concreto e dall’evoluzione costante di giurisprudenza e norme.

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate sostiene che alcune donazioni siano simulate e utilizzate come strumento di elusione fiscale? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate sostiene che alcune donazioni siano simulate e utilizzate come strumento di elusione fiscale?
Vuoi sapere quali rischi corri e come puoi difenderti da queste contestazioni?

Il Fisco può ritenere che una donazione sia solo apparente, realizzata per nascondere veri trasferimenti patrimoniali o per evitare imposte (successioni, registro, plusvalenze). In questi casi l’operazione viene riqualificata come atto elusivo o simulato, con conseguente recupero delle imposte e applicazione di sanzioni.

👉 Prima regola: la donazione deve essere supportata da un atto valido, registrato e coerente con le reali capacità patrimoniali delle parti.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Donazioni tra parenti o soci non proporzionate alle capacità economiche;
  • Donazioni fittizie seguite da retrocessione dei beni al donante;
  • Donazioni di immobili usate per aggirare imposte di successione o compravendite;
  • Assenza di reale spossessamento del bene da parte del donante;
  • Movimenti finanziari sospetti che contraddicono l’atto di donazione.

📌 Conseguenze della contestazione

  • Riqualificazione dell’atto come compravendita, distribuzione di utili o altro trasferimento imponibile;
  • Recupero delle imposte non versate (registro, ipotecarie, catastali, successione, donazione);
  • Applicazione di sanzioni fiscali per elusione o simulazione;
  • Interessi di mora;
  • Possibili profili di responsabilità penale in caso di dichiarazioni mendaci o frodi.

🔍 Cosa verificare per difendersi

  • Validità dell’atto notarile: è stato redatto e registrato correttamente?
  • Effettivo spossessamento del bene: il donatario ne ha la piena disponibilità?
  • Movimenti finanziari: sono coerenti con l’operazione dichiarata?
  • Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve dimostrare con prove concrete la simulazione;
  • Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.

🧾 Documenti utili alla difesa

  • Atto notarile di donazione registrato;
  • Prove di disponibilità e gestione del bene da parte del donatario (utenze, residenza, redditi);
  • Estratti conto che dimostrano l’assenza di retrocessioni al donante;
  • Delibere societarie (se la donazione riguarda quote o azioni);
  • Dichiarazioni di successione e atti patrimoniali collegati.

🛠️ Strategie di difesa

  • Dimostrare la genuinità della donazione e la reale volontà di trasferire il bene;
  • Contestare la riqualificazione dell’atto quando basata solo su presunzioni;
  • Eccepire vizi formali: motivazione insufficiente, notifica irregolare, decadenza dei termini;
  • Chiedere autotutela in presenza di documentazione ignorata dall’Ufficio;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni con possibilità di sospensione del recupero;
  • Mediazione tributaria per ridurre sanzioni e chiudere la lite in via agevolata.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’accertamento e gli atti di donazione contestati;
📌 Verifica la legittimità della riqualificazione operata dal Fisco;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per dimostrare la reale natura delle donazioni;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per strutturare correttamente trasferimenti patrimoniali futuri.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su donazioni e successioni;
✔️ Specializzato in difesa contro contestazioni di elusione e simulazione fiscale;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sulle donazioni simulate come elusione fiscale non sempre hanno basi solide: spesso derivano da presunzioni e interpretazioni soggettive.
Con una difesa adeguata puoi dimostrare la legittimità della donazione, evitare la riqualificazione e proteggere il tuo patrimonio.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

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