Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per affitti turistici non registrati? In questi casi, l’Ufficio presume che i canoni percepiti siano stati occultati al Fisco e può emettere un accertamento con recupero delle imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: ci sono strumenti difensivi per dimostrare la correttezza della propria posizione e ridurre o annullare la pretesa fiscale.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta affitti turistici non registrati
– Se i contratti di locazione breve non sono stati registrati nei termini di legge
– Se i canoni percepiti non sono stati dichiarati ai fini IRPEF o cedolare secca
– Se mancano le ricevute fiscali o altra documentazione dei pagamenti
– Se emergono incongruenze tra annunci online (Airbnb, Booking, portali simili) e quanto dichiarato
– Se la durata o la tipologia dei contratti non risulta coerente con la normativa vigente
Conseguenze della contestazione
– Tassazione dei redditi da locazione non dichiarati con aliquote ordinarie
– Decadenza da agevolazioni fiscali come la cedolare secca
– Applicazione di sanzioni per omessa o infedele dichiarazione dei redditi
– Interessi di mora sulle somme accertate
– Possibile apertura di ulteriori controlli fiscali e indagini patrimoniali
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare i redditi effettivamente percepiti con tracciabilità dei pagamenti (bonifici, estratti conto)
– Contestare l’inesistenza di canoni non dichiarati se l’immobile era inutilizzato o adibito ad altro uso
– Dimostrare la registrazione tardiva o regolarizzazione già effettuata con ravvedimento operoso
– Evidenziare vizi formali, errori di calcolo o difetti di motivazione nell’atto di accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la documentazione relativa ai contratti di locazione e ai flussi di pagamento
– Verificare la legittimità dell’accertamento e i termini di decadenza dell’Agenzia
– Redigere un ricorso fondato su vizi formali e sostanziali dell’atto contestato
– Difendere il contribuente davanti ai giudici tributari contro pretese fiscali indebite
– Tutelare il patrimonio personale da azioni esecutive conseguenti all’accertamento
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– La riduzione dell’imponibile ai soli canoni realmente percepiti
– La sospensione di eventuali procedure esecutive già avviate
– La certezza di pagare solo quanto effettivamente dovuto, evitando aggravi ingiusti
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non si agisce nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e immobiliare – spiega come difendersi in caso di contestazioni su affitti turistici non registrati e come tutelare i tuoi diritti.
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Introduzione
Le locazioni turistiche brevi (affitti per finalità di soggiorno di durata limitata) sono divenute molto diffuse grazie a piattaforme come Airbnb e Booking. Tuttavia, affittare in modo “non registrato” – ad esempio senza dichiarare i proventi al Fisco o senza registrare i contratti quando richiesto – espone il proprietario a sanzioni fiscali severe e accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza . Negli ultimi anni (specialmente dal 2023-2024) il quadro normativo italiano si è irrigidito: nuove norme impongono codici identificativi nazionali per gli alloggi, aliquote fiscali differenziate e un intenso scambio di informazioni (DAC7) che rende più facile per il Fisco individuare gli affitti “in nero”. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – fornisce un’analisi avanzata, con linguaggio giuridico ma comprensibile, degli obblighi in materia di affitti turistici e delle contestazioni tipiche, dal punto di vista di chi viene accusato (il debitore/contribuente). Verranno esaminati il quadro normativo italiano, le sanzioni tributarie e penali per affitti non dichiarati, le procedure di accertamento fiscale e soprattutto come difendersi: dagli strumenti deflattivi (ravvedimento, adesione) al contenzioso (ricorsi, memorie) e ai casi pratici. Numerose sentenze recenti e fonti ufficiali saranno citate per orientare privati, imprenditori e professionisti del settore. Troverete anche tabelle riepilogative, una sezione di Domande & Risposte frequenti, e casi pratici con simulazioni di difesa (inclusi modelli schematici di atti difensivi) riguardanti esclusivamente la materia fiscale (sanzioni e accertamenti tributari, con eventuali risvolti penali), come richiesto.
Quadro normativo: definizioni e regimi fiscali
Definizione di locazione breve: La normativa italiana definisce locazioni brevi quelle affittanze di immobili a uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, stipulate da persone fisiche (al di fuori dell’esercizio d’impresa) direttamente o tramite intermediari (agenzie o portali online) . In questi contratti possono essere inclusi servizi accessori (fornitura di biancheria, pulizia iniziale) purché strumentali all’uso abitativo e non tali da configurare servizi da albergo (colazione, rifacimento camere, etc.) . La durata massima di 30 giorni comporta due importanti conseguenze: (a) tali contratti non sono soggetti all’obbligo di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate (obbligo che invece scatta per le locazioni di durata superiore a 30 giorni) ; (b) sul piano civilistico, si tratta di locazioni per finalità turistiche o transitorie, non subordinate alle norme protettive delle locazioni residenziali di lungo termine. In sintesi, l’affitto turistico breve resta un contratto di godimento dell’immobile a fini abitativi (anche vacanzieri) in ambito privatistico, distinto dall’attività d’impresa ricettiva (come vedremo, oltre certi limiti scatta la presunzione di attività imprenditoriale) . È irrilevante dove sia situato l’immobile (città d’arte, località di villeggiatura, ecc.) e non vi sono restrizioni sulla residenza delle parti: ciò che conta è solo la brevità del contratto .
Tassazione dei redditi da affitto breve: I canoni percepiti da persone fisiche per locazioni brevi costituiscono redditi di natura fondiaria (se il locatore è proprietario o titolare di diritto reale sull’immobile) oppure redditi diversi (se il locatore è ad es. sublocatore o comodatario che dà in locazione) . In entrambi i casi, tali proventi vanno dichiarati annualmente nella dichiarazione dei redditi (quadro RB per redditi fondiari, quadro RL per redditi diversi) . Dal punto di vista impositivo, il locatore privato ha due opzioni principali:
- IRPEF ordinaria: il canone percepito si somma agli altri redditi del contribuente ed è tassato secondo gli scaglioni progressivi IRPEF (23% fino a €15.000, 25% da 15k a 28k, 35% fino a 50k, 43% oltre 50k, più addizionali regionali e comunali) . Sul reddito da locazione ad uso abitativo è prevista una deduzione forfettaria del 5% (si dichiara il 95% del canone annuo), mentre non sono deducibili le spese specifiche dell’immobile (manutenzioni, arredi, utenze), coperte appunto dal forfait 5% . La tassazione ordinaria può risultare conveniente solo in casi particolari (ad es. contribuente con aliquota IRPEF molto bassa e altri oneri deducibili), ma in genere – soprattutto per chi ha aliquote medio-alte – esiste un regime alternativo più vantaggioso: la cedolare secca.
- Cedolare secca sugli affitti brevi: regime facoltativo introdotto dall’art. 3 del D.Lgs. 23/2011 (per le locazioni abitative) ed esteso alle locazioni brevi dall’art. 4 del D.L. 50/2017 . Consiste in un’imposta sostitutiva fissa sulle locazioni abitative, che sostituisce IRPEF e addizionali su quei redditi. Il locatore che opta per la cedolare rinuncia alla facoltà di aggiornare il canone (niente adeguamenti ISTAT) e al diritto di chiedere aumenti durante la locazione, in cambio di una aliquota agevolata e dell’esenzione dall’imposta di registro e bollo sul contratto . Fino al 2023 l’aliquota cedolare per gli affitti brevi era unica al 21% dei canoni percepiti, indipendentemente dal numero di immobili affittati .
Novità 2024 – doppia aliquota 21%/26%: La Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2023) ha introdotto modifiche rilevanti alla disciplina fiscale degli affitti brevi . In particolare, ha modificato l’art. 4 del D.L. 50/2017 prevedendo dal 1° gennaio 2024 una cedolare secca al 26% per i redditi da locazioni brevi relativi a più di un immobile, mantenendo invece l’aliquota 21% solo per i redditi riferiti a un singolo immobile per anno (scelto dal contribuente) . In pratica, se un privato loca in regime “breve” più immobili nello stesso periodo d’imposta, potrà applicare il 21% solo ai redditi di un immobile (da lui indicato in dichiarazione), mentre i canoni relativi agli altri immobili saranno soggetti alla cedolare al 26% . La scelta dell’immobile “agevolato” al 21% va fatta ogni anno in dichiarazione . Questa novità penalizza fiscalmente il multiproprietario che svolge affitti brevi su ampia scala, preservando in parte il piccolo locatore (che può mantenere l’aliquota inferiore almeno su un immobile) . Da notare che le eventuali ritenute operate dagli intermediari restano comunque al 21% come acconto – sarà il locatore in dichiarazione a calcolare l’imposta complessiva dovuta al 21/26% e versare la differenza .
- Limite di 4 immobili e presunzione di impresa: Un’importante norma anti-evasione è stata introdotta dalla L. 178/2020 (Bilancio 2021): se un privato concede in locazione breve più di 4 appartamenti per ciascun periodo d’imposta, l’attività si presume svolta in forma d’impresa . Ciò significa che a partire dal 5° immobile locato brevemente nell’anno, il Fisco considererà il locatore un imprenditore nel settore turistico-ricettivo . Le conseguenze sono rilevanti: vi è obbligo di apertura della partita IVA, iscrizione al Registro delle Imprese, eventuale SCIA comunale come attività ricettiva, nonché rispetto della normativa di pubblica sicurezza e dei requisiti previsti per le strutture professionali (come se gestisse una casa vacanze o affittacamere in forma imprenditoriale) . Sul piano fiscale, i proventi non vanno più dichiarati come redditi fondiari soggetti a cedolare, ma come redditi d’impresa (quadro RG/RF) . In tal caso il contribuente potrà eventualmente aderire a regimi agevolati per le piccole imprese, ad esempio il regime forfettario al 15% (ricavi < €85.000) applicando il coefficiente di redditività previsto per le attività di alloggio (40% imponibile) . In ogni caso, oltre il quarto immobile non si può applicare la cedolare secca, riservata per legge ai locatori persone fisiche non imprenditori . Questa presunzione serve a evitare che soggetti con molti immobili eludano le regole fingendosi “privati” – chi opera su larga scala deve seguire le regole d’impresa (partita IVA, eventuale IVA/IRAP, contributi previdenziali se dovuti, ecc.).
Obblighi degli intermediari (agenzie e portali): La legge impone a chi facilita queste locazioni – come i portali online tipo Airbnb, Booking, Vrbo ecc. – due obblighi principali: (a) trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi tramite il loro intervento; (b) se intervengono nel pagamento o incassano i canoni per conto del locatore, operare una ritenuta fiscale del 21% sui canoni versati al locatore, a titolo di acconto d’imposta . Questi obblighi, introdotti dal 2017 (DL 50/2017, commi 4-5) mirano a coinvolgere le piattaforme digitali come sostituti d’imposta e fonti di informazione. In caso di inadempimento: la mancata comunicazione dei dati dei contratti è punita con sanzione da €250 a €2.000 per ciascun anno (ridotta alla metà se la trasmissione avviene con un ritardo non superiore a 15 giorni) ; la mancata effettuazione della ritenuta del 21% comporta una sanzione pari al 20% delle somme non trattenute, oltre al recupero dell’imposta e interessi . Tali sanzioni gravano sull’intermediario (portale o agenzia) . Il locatore individuale, dal canto suo, rimane comunque tenuto a dichiarare i redditi percepiti e a pagare l’eventuale differenza d’imposta non coperta dalla ritenuta dell’intermediario . Ad esempio, se una piattaforma non ha applicato la ritenuta (come Airbnb non ha fatto fino al 2023), il locatore deve ugualmente dichiarare l’intero canone lordo e pagare le imposte dovute: il Fisco in teoria potrebbe contestare anche al locatore le sanzioni per omessa dichiarazione, pur se l’imposta è stata versata tardivamente dal sostituto . (Va detto che, nel caso specifico di Airbnb, c’è stato un enorme accertamento transattivo: Airbnb ha infatti raggiunto un accordo col Fisco nel 2023, pagando 576 milioni di euro per chiudere il contenzioso 2017-2021 sulle ritenute non operate, e si è impegnata a fungere da sostituto d’imposta dal 2024 . Gli host coinvolti non dovrebbero subire ulteriori pretese su quelle ritenute omesse, dato l’accordo globale .) In ogni caso, dal 2024 in poi Airbnb e altre piattaforme comunicano regolarmente i dati e applicano le ritenute, anche in forza della normativa UE DAC7 (recepita in Italia) che li obbliga a condividere con il Fisco i ricavi degli utenti .
Nuovi obblighi 2024-2025 – Codice identificativo e sicurezza: Oltre agli aspetti fiscali, chi affitta ai turisti deve rispettare normative amministrative introdotte di recente. In particolare, dal 1° gennaio 2025 diviene operativo il Codice Identificativo Nazionale (CIN) per le locazioni brevi e le strutture ricettive extra-alberghiere (previsto dall’art. 13-quater del DL 34/2019 e dal DL 73/2022, attuato col DM Turismo 29/09/2022) . Il CIN è un codice alfanumerico assegnato dal Ministero del Turismo ad ogni immobile offerto in locazione breve o struttura ricettiva, previa registrazione del locatore sul portale nazionale (inserendo i dati catastali e una dichiarazione sui requisiti di sicurezza) . È obbligatorio indicare il CIN in ogni annuncio o offerta dell’alloggio (sia online che su altri media) e esporlo nell’immobile affittato . L’obiettivo è far sì che ogni inserzione di affitto breve riporti un codice univoco, collegato all’immobile e al suo proprietario, così da facilitare i controlli fiscali incrociando codice e dichiarazioni dei redditi . Le sanzioni in caso di inadempienza sono pesanti: chi affitta un immobile per finalità turistiche senza aver richiesto il CIN è soggetto a multa da €800 a €8.000 (variabile in base alle dimensioni della struttura) ; chi, pur avendo il CIN, non lo indica negli annunci pubblicati è punito con sanzione da €500 a €5.000 per ogni annuncio irregolare , con l’ulteriore sanzione accessoria della rimozione immediata dell’annuncio stesso . Inoltre, dal 2024 sono stati emanati standard minimi di sicurezza per gli alloggi turistici privati (es. dotazione di rilevatori di fumo/gas e estintori portatili) : affittare senza adeguarsi a queste prescrizioni comporta sanzioni amministrative da €600 a €6.000 a carico del proprietario, irrogate a livello locale . Infine, se l’attività di locazione breve sfocia in attività imprenditoriale non dichiarata (oltre 4 immobili senza aver aperto P.IVA né SCIA), possono cumularsi altre sanzioni: il Comune può irrogare una sanzione fino a €10.000 per esercizio ricettivo abusivo (mancata presentazione della SCIA) , e l’Agenzia delle Entrate può riqualificare i proventi come redditi d’impresa, con recupero di IVA e imposte IRAP eventualmente dovute oltre alle imposte dirette . Conviene dunque non “sfidare” la presunzione legale: se si superano i limiti da privato, meglio mettersi in regola aprendo posizione d’impresa.
(Tabella 1 – Principali sanzioni amministrative extra-fiscali introdotte 2024-25:)
Obbligo amministrativo | Sanzione per inadempimento | Normativa riferimento |
---|---|---|
Segnalazione inizio attività (SCIA) – richiesta se attività ricettiva imprenditoriale (oltre 4 immobili)** | Multa da €2.000 a €10.000 per esercizio di attività ricettiva senza SCIA (irrogata dal Comune) . | DL 73/2022, art. 7-quater (c.4-sexiesdecies conv. L.122/2022) |
Codice Identificativo Nazionale (CIN) – obbligo di richiederlo per ogni immobile in affitto breve/turistico | Multa da €800 a €8.000 se non si richiede il CIN per l’immobile (importo graduato in base alle dimensioni) . | DL 34/2020 art. 180; DL 73/2022 (c.4-noviesdecies) |
Indicazione del CIN negli annunci (online o altri mezzi) | Multa da €500 a €5.000 per ogni annuncio privo di codice ; prevista anche la rimozione dell’inserzione irregolare . | DL 73/2022 cit. |
Requisiti di sicurezza minima (rilevatori fumo/CO, estintori, ecc.) | Multa da €600 a €6.000 per mancato adeguamento dell’immobile alle dotazioni di sicurezza richieste . | DM Turismo 29/09/2022; DL 73/2022 cit. |
Imposta di soggiorno – obbligo di riscuoterla dagli ospiti e versarla al Comune (ove prevista) | Dal 2020 non è più reato omesso versamento; resta sanzione amministrativa (in genere 30% dell’importo non versato + interessi) comminata dal Comune . | DL 34/2020 art. 180 (depenalizz. peculato) e regolamenti comunali |
Sanzioni fiscali e accertamenti tributari
Quando il Fisco individua affitti turistici non dichiarati (o dichiarati parzialmente) attiva la procedura di accertamento fiscale . Esaminiamo il percorso tipico – dai controlli iniziali alla notifica di un Avviso di Accertamento – e le sanzioni tributarie applicabili, distinguendo le diverse violazioni. Infine, affronteremo i possibili risvolti penali nei casi più gravi.
Controlli e avvio dell’accertamento
Strumenti di controllo: L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza oggi dispongono di molteplici strumenti per scoprire affitti in nero. In primo luogo, come visto, le piattaforme online trasmettono annualmente i dati dei contratti e dei pagamenti ai fini fiscali . Airbnb, ad esempio, dopo una lunga diatriba legale, ha accettato di fungere da sostituto d’imposta e di comunicare alle autorità italiane i redditi percepiti dagli host . Anche Booking.com e altri operatori già fornivano (o ora forniscono) i dati delle prenotazioni concluse tramite i loro portali . A livello europeo, dal 2023 è in vigore la direttiva DAC7, recepita in Italia, che obbliga tutte le piattaforme digitali (anche non residenti) a comunicare alle amministrazioni fiscali gli introiti dei loro utenti . Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate dispone (o disporrà a breve) di un quadro completo dei compensi percepiti tramite questi siti .
In aggiunta alle fonti “interne” (dichiarazioni fiscali) e ai dati forniti dagli intermediari, il Fisco incrocia altre informazioni: ad esempio alcune amministrazioni comunali trasmettono all’Anagrafe Tributaria gli elenchi della tassa di soggiorno versata dai locatori, permettendo di stimare presenze e incassi attesi . La Guardia di Finanza, nelle sue analisi, può ricorrere a banche dati sui consumi (utenze elettriche anomale per case dichiarate sfitte), a sopralluoghi o indagini sui luoghi (anche raccogliendo testimonianze da vicini o ospiti) e al monitoraggio degli annunci online . Già nel 2018-2019 sono partiti controlli incrociando i dati delle Questure (registrazione degli ospiti in arrivo, obbligatoria per motivi di P.S.) con quelli delle dichiarazioni dei redditi: molti proprietari che ospitavano turisti e comunicavano le generalità alle autorità di P.S. ma non dichiaravano i canoni sono stati individuati in quell’operazione . Oggi questi incroci sono ancora più efficaci, grazie anche al codice identificativo (CIN) – ogni annuncio può essere ricondotto ad un immobile e al relativo proprietario – e alla cosiddetta “superanagrafe dei conti” che consente all’Agenzia di analizzare flussi bancari (versamenti ricorrenti da piattaforme o bonifici da turisti sui conti dei proprietari). In sintesi, è improbabile che redditi da affitti brevi significativi rimangano completamente invisibili al Fisco.
Lettera di compliance: Spesso il primo segnale di anomalia è l’arrivo di una lettera di compliance (comunicazione “bonaria”) da parte dell’Agenzia delle Entrate . Si tratta di avvisi non impegnativi in cui l’Agenzia informa il contribuente di aver riscontrato possibili redditi non dichiarati e lo invita a fornire chiarimenti o a regolarizzare spontaneamente. Ad esempio, da fine 2019 in poi migliaia di host hanno ricevuto lettere riguardanti i redditi 2017-2018 segnalati dalle piattaforme ma assenti in dichiarazione . Una tipica lettera indica: “risultano percepiti redditi da locazione breve per €X, non dichiarati nel anno Y” e concede (di norma) 30 giorni per spiegazioni o per presentare una dichiarazione integrativa . È fondamentale non ignorare queste comunicazioni: esse rappresentano un’opportunità per rimediare con sanzioni ridotte (tramite ravvedimento operoso) prima che scatti l’accertamento formale . Se invece la lettera rimane senza riscontro, oppure se le spiegazioni inviate non convincono l’Ufficio, la fase “bonaria” cede il passo all’accertamento vero e proprio.
Processo verbale e avviso di accertamento: Nei casi più complessi, specialmente se vi è stata un’attività investigativa sul campo, la Guardia di Finanza può redigere un PVC – Processo Verbale di Constatazione. Ad esempio, se i finanzieri effettuano un controllo mirato su un immobile (pedinamenti per verificare ingressi di turisti, acquisizione di testimonianze dagli ospiti, verifica dei pagamenti in contanti) concludono l’istruttoria con un PVC che riepiloga le violazioni constatate. Il PVC viene notificato al contribuente, che può presentare osservazioni difensive entro 60 giorni. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate (cui il PVC è trasmesso) emette il vero e proprio Avviso di Accertamento, che ingloba gli esiti della verifica GdF. In assenza di un PVC (ad esempio se il controllo è interamente documentale), l’Agenzia può comunque procedere direttamente all’avviso, spesso preceduto – ma non sempre – da un “invito al contraddittorio”: una convocazione del contribuente per discutere i rilievi prima dell’emissione dell’atto. Dal 2020 il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio per alcuni tipi di accertamento, ma non per tutti (dipende dalla natura del tributo e dell’atto) . In ogni caso, la notifica di un Avviso di Accertamento segna l’avvio della fase contenziosa vera e propria, con applicazione delle imposte evase, delle relative sanzioni e interessi.
Calcolo dei redditi non dichiarati e imposte evase
Determinazione del reddito occulto: In sede di accertamento, l’Agenzia quantifica i canoni di locazione breve non dichiarati avvalendosi dei dati a disposizione. Se dispone di evidenze certe – ad esempio i bonifici incassati, le Certificazioni Uniche rilasciate dagli intermediari o i dati comunicati dalle piattaforme – l’importo accertato corrisponderà ai canoni effettivamente percepiti dal locatore . In mancanza di dati completi, il Fisco può procedere in via induttiva, ossia stimare il reddito con metodi presuntivi: ad esempio basandosi sulle tariffe medie di zona moltiplicate per i giorni di affitto desunti dalle recensioni online, oppure analizzando le spese correlate (utenze, spese di pulizia) per inferire il tasso di occupazione dell’immobile . Tali presunzioni devono però essere gravi, precise e concordanti; se il contribuente porta evidenze contrarie solide (ad es. calendario Airbnb vuoto in un certo anno, bollette che provano assenza di consumi), l’accertamento induttivo può essere annullato per mancanza di prova (si veda il Caso 4 più avanti).
Una volta stimata la base imponibile non dichiarata, vengono ricalcolate le imposte dovute su quei redditi. Le ipotesi principali sono due:
- IRPEF e addizionali: se il contribuente non aveva esercitato l’opzione per la cedolare secca (ossia non aveva dichiarato quei redditi in cedolare), l’accertamento liquiderà l’IRPEF dovuta su tali redditi secondo gli scaglioni progressivi ordinari . Esempio: Caio non dichiara €10.000 di canoni Airbnb relativi al 2022; se si trova nello scaglione IRPEF marginale del 35%, il Fisco recupererà circa €3.500 di IRPEF evasa, oltre alle addizionali regionale e comunale (supponiamo 1,5% + 0,5% su 10k = altri ~€200) . In totale, imposta evasa ~€3.700. A questa seguiranno sanzioni e interessi (come vedremo in dettaglio più avanti).
- Cedolare secca: se il contribuente avrebbe potuto optare per la cedolare (ossia aveva i requisiti per la cedolare 21%, non essendo attività d’impresa) ma non lo ha fatto in dichiarazione, la prassi dell’Agenzia è di considerare l’opzione tardiva/omessa e quindi di tassare comunque in via ordinaria IRPEF . In altre parole, chi non dichiara i canoni non può pretendere ex post l’aliquota agevolata del 21%, a meno che effettui un ravvedimento prima dell’accertamento e applichi l’istituto della remissione in bonis . Quest’ultima consente, in alcuni casi particolari, di “rimediare” a un’omessa opzione fiscale pagando una sanzione fissa di €250 (vedi oltre). Ma per l’omissione completa di redditi, la cedolare non è recuperabile a posteriori tramite l’accertamento standard . Quindi, nella maggior parte dei casi l’Agenzia ricalcola IRPEF e addizionali. Fa eccezione qualche situazione limite in cui il contribuente aveva manifestato l’intenzione di optare per la cedolare in altro modo: ad esempio aveva registrato il contratto con clausola di cedolare ma poi non ha dichiarato i redditi, oppure ha indicato per errore canone zero in dichiarazione barrando però la casella cedolare – in queste ipotesi l’Ufficio talvolta riconosce la cedolare in sede di accertamento, applicando quindi il 21% (o 26%) dovuto . Ma in assenza di indizi di un’opzione esercitata a suo tempo, la cedolare non viene mai applicata d’ufficio in accertamento . (Nota: la remissione in bonis è utilizzabile se l’unica violazione consiste nel non aver comunicato tempestivamente un’opzione fiscale, pur avendo dichiarato il reddito. Es: il locatore ha dichiarato il canone in redditi fondiari ma ha “dimenticato” di barrare l’opzione cedolare – può versare €250 e considerare valida l’opzione . Non si applica invece se il reddito non fu proprio dichiarato).
- Riqualificazione come reddito d’impresa: se dai controlli emerge che l’attività era in realtà esercitata con modalità imprenditoriali (ad es. numero di immobili oltre soglia, servizi offerti tipici di strutture ricettive, presenza di una vera organizzazione), l’Ufficio può riqualificare il reddito conseguente. In tal caso, oltre all’IRPEF, possono essere contestati IVA e IRAP non assolti, o l’IRES se il soggetto andava considerato società . Esempio: un contribuente gestisce 5 case affittate brevemente con servizi aggiuntivi da B&B – il Fisco potrebbe contestare non solo l’IRPEF non dichiarata, ma anche la mancata apertura della partita IVA e il mancato versamento dell’IVA al 10% sui corrispettivi (qualora ritenga che l’attività integrasse un servizio para-alberghiero) . Queste situazioni sono complesse e relativamente estreme; in simili casi è consigliabile farsi assistere da un tributarista per delimitare l’addebito e, se possibile, negoziare soluzioni transattive . Ad ogni modo, esse esulano dall’accertamento standard su privati che trattiamo principalmente qui (tipicamente focalizzato sull’IRPEF).
Sanzioni amministrative tributarie
Contestualmente alle imposte evase, l’accertamento comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie proporzionali, previste dal D.Lgs. 471/1997 (come modificato dalle riforme più recenti). Esaminiamo le principali sanzioni tributarie nel caso di affitti non dichiarati:
- Dichiarazione infedele: si configura quando il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi, ma ha omesso di indicare una parte dei redditi (nel nostro caso i canoni d’affitto) o li ha indicati in misura inferiore al reale . La sanzione ordinaria è pari al 90% dell’imposta evasa relativa a tali redditi, elevabile fino al 180% nei casi più gravi (violazioni di maggiore entità o reiterate) . Ad esempio, riprendendo il caso di Caio con ~€3.700 di IRPEF evasa, la sanzione base sarebbe di circa €3.330 (il 90%) .
Va ricordato che la normativa ha previsto, per i redditi da locazione, sanzioni aggravate rispetto al regime ordinario. Dal 2016 in poi (dopo alcune modifiche normative) la sanzione per dichiarazione infedele relativa a canoni di locazione abitativa è stata aumentata: attualmente è dal 180% al 360% dell’imposta evasa (in precedenza era addirittura 200%-400%) . Questo inasprimento colpisce chi “nasconde” affitti, considerati redditi facilmente accertabili. In sede applicativa, però, tale massimo edittale si può modulare: la sanzione è ridotta se la violazione non incide sulla determinazione del reddito imponibile complessivo (casi particolari, ad esempio eccedenze di detrazioni) . Al di là di queste eccezioni, le cifre restano elevate. Segnaliamo che con la riforma del sistema sanzionatorio (D.Lgs. 87/2024, in vigore dal 1/9/2024) il quadro generale delle sanzioni per dichiarazione infedele è cambiato per il futuro: per le infedeltà ordinarie la sanzione è ora fissa al 70% dell’imposta (minimo €150) , mentre per le infedeltà su canoni di locazione è fissata al 140% (minimo €300) . Trattandosi di novità recenti, gli atti emessi fino ad agosto 2024 applicano ancora i vecchi range (90-180% ordinario, 180-360% locazioni). Dalla fine del 2024 in poi si vedranno sanzioni infedeli “standard” molto ridotte (70%), ma con mantenimento di un trattamento più severo per le locazioni (140%).
- Omessa dichiarazione: ricorre quando il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione annuale pur essendovi obbligato (situazione tipica: l’unico reddito imponibile era quello da affitti brevi, che supera la soglia di esenzione) . La sanzione è ancor più pesante: dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di €250 . (Prima della riforma del 2015 poteva arrivare al 400-480%, poi ridotta.) In concreto, se Caio non avesse presentato affatto la dichiarazione sul suo imponibile di €3.700 evaso, la multa base sarebbe €3.700×120% = €4.440 (fino a un massimo teorico di €8.880) . Anche qui c’è un’aggravante per le locazioni: fino al 2020 la legge prevedeva, in caso di canoni abitativi non dichiarati e non registrati, una sanzione dal 240% al 480% dell’imposta . Dal 2021 in poi tale sproporzione è stata attenuata: per gli affitti in cedolare non dichiarati si applica una sanzione uniforme pari al 240% dell’imposta, con sanzione minima €500 . Anche questo è stato rivisto dalla riforma D.Lgs. 87/2024: d’ora in poi l’omessa dichiarazione “generale” comporta sanzione fissa al 120% (minimo €250), mentre l’omessa riferita a redditi da locazione secca resta più alta, pari al 240% fisso (minimo €500) . In sintesi, chi non presenta affatto la dichiarazione rischia una multa pari a oltre il totale delle imposte evase (il doppio e oltre), specialmente se l’omissione riguarda affitti brevi. Ciò riflette la maggiore gravità attribuita all’omissione completa rispetto alla dichiarazione infedele.
- Omesso versamento: è una violazione distinta, che si ha quando il contribuente ha dichiarato il reddito ma non ha versato in tutto o in parte l’imposta dovuta nei termini . La sanzione è pari al 30% dell’imposta non versata (art. 13 D.Lgs. 471/97) . Nel contesto degli affitti brevi può capitare, ad esempio, se Tizio dichiara i redditi ma poi non versa la cedolare secca o l’IRPEF alle scadenze (saldo o acconti) . Questa sanzione eventualmente si cumula con quella da infedele solo se riguardano oggetti diversi – ad es. Tizio dichiara solo una parte dei redditi (violazione infedele) e inoltre non paga le imposte neppure su quella parte dichiarata (violazione omesso versamento) . Se invece un reddito non è stato proprio dichiarato, prevale la sanzione da infedele/omessa dichiarazione, e l’“omesso versamento” si applicherà solo all’eventuale parte di imposta dichiarata ma non pagata . In pratica, chi non dichiara affatto un affitto non viene sanzionato anche per il mancato versamento (perché non c’era un debito dichiarato): la sanzione sarà solo quella proporzionale sull’imposta evasa.
- Altre sanzioni/accessori: l’accertamento fiscale potrebbe includere anche sanzioni fisse o accessorie. Ad esempio, se per quell’affitto andava registrato un contratto (durata > 30 giorni) e ciò non è stato fatto, si applica la sanzione per omessa registrazione del contratto di locazione . Tale sanzione, prevista dal DPR 131/1986 (Testo Unico dell’Imposta di Registro), è pari al 120% dell’imposta di registro non pagata (imposta che per i contratti di locazione abitativa è lo 0,5% annuo del canone), con minimo di solito €200; se la registrazione è avvenuta ma in ritardo, la sanzione è ridotta (30-60% a seconda del ritardo). Nel caso degli affitti brevi <30gg questo obbligo non sussiste, dunque generalmente non vedrete questa voce negli accertamenti di locazioni turistiche . Un’altra sanzione minore riguarda l’opzione cedolare nei contratti lunghi: la legge imponeva, per i contratti 4+4 in cedolare, l’invio di una raccomandata all’inquilino per comunicare la rinuncia agli aggiornamenti ISTAT; il mancato invio comportava una multa fissa di €100. Tuttavia, nei contratti brevi questa formalità non è prevista, quindi non rileva ai nostri fini . Infine, se vengono contestate più violazioni della stessa indole in anni diversi, l’Ufficio può applicare il cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97): ovvero determinare una sanzione unica per il complesso delle violazioni, prendendo la sanzione base più elevata aumentata da 1/4 fino al doppio . Questo criterio, spesso favorevole al contribuente rispetto alla somma aritmetica delle sanzioni per ogni anno, è applicabile quando le violazioni si reputano “collegate” come continuazione. La riforma 2024 ha esteso il cumulo giuridico a tutte le violazioni (non solo formali) ma ha anche introdotto margini di aumento più ampi (fino al triplo in certi casi) . In sostanza, la disciplina del cumulo è complessa; in sede di adesione però il Fisco spesso concede comunque di non cumulare le sanzioni anno per anno a carico di chi aderisce, nell’ottica transattiva .
- Interessi: sulle somme dovute (imposte evase) si applicano sempre gli interessi di mora dal giorno in cui l’imposta avrebbe dovuto essere versata (tipicamente dal 30 giugno dell’anno successivo a quello di produzione del reddito, per IRPEF) fino alla data del pagamento . Il tasso d’interesse legale varia di anno in anno (nel 2025 è 2% annuo) . Sebbene apparentemente basso, su diversi anni gli interessi si sommano in misura non trascurabile. Gli interessi non hanno natura sanzionatoria, servono a compensare il ritardo nel pagamento dell’imposta, ma chiaramente aumentano l’esborso complessivo.
Esempio di calcolo (sanzioni e interessi): Poniamo che Marco nel 2021 abbia incassato €15.000 da affitti Airbnb che non ha dichiarato (aveva già altri redditi di lavoro dichiarati). Se viene accertato nel 2025, l’Agenzia recupererà circa: €15.000 * 25% = €3.750 di IRPEF evasa (ipotizzando Marco in uno scaglione medio); più le addizionali regionali/comunali (~€150) . Sulle imposte evase (€3.900 ca.) si applica la sanzione: ipotizziamo dichiarazione infedele → 90% = ~€3.510 (se l’ufficio applica il minimo edittale) . Consideriamo poi gli interessi legali: dal metà 2022 al 2025, tasso medio ~0,5-1%, importo stimato ~€75 . Totale dovuto ~€7.200. Se Marco avesse potuto optare per cedolare al 21%, l’imposta sarebbe stata €3.150; non avendo optato e non avendo dichiarato, ora paga molto di più di imposte (perde la cedolare) e subisce la sanzione . Se addirittura non avesse presentato affatto la dichiarazione (nessun altro reddito), la sanzione sarebbe al 120%-240%, quindi almeno €4.500 solo di multa, e il totale oltre €8.300. E questo per un solo anno di evasione su un immobile; si immagini chi, per vari anni e più immobili, non ha dichiarato nulla – le cifre diventano ingenti, spesso superiori agli stessi canoni incassati . (Non è raro infatti che molti “furbetti” si pentano quando ricevono l’accertamento e constatano di dover pagare importi che di fatto azzerano tutti i guadagni degli affitti in nero, e oltre.)
(Tabella 2 – Sanzioni tributarie per affitti non dichiarati: sintesi)
Violazione fiscale (redditi da locazione) | Sanzione applicabile (al 2025) | Base normativa (D.Lgs. 471/97) |
---|---|---|
Dichiarazione infedele (affitto dichiarato solo in parte) | 90% dell’imposta evasa (fino a 180% se aggravato). Locazioni brevi: 180%-360% dell’imposta (sanzione aggravata) . Riforma 2024: 70% fisso ordinario, 140% fisso locazioni . | Art. 1, c.2; Art. 1, c.3-quater (redditi fondiari) |
Omessa dichiarazione (affitto non dichiarato affatto, dich. annuale omessa) | 120%–240% dell’imposta evasa, min €250. Locazioni brevi in cedolare: 240% fisso, min €500 (aggravante) . Riforma 2024: 120% fisso (min €250) ordinario, 240% fisso (min €500) locazioni . | Art. 1, c.1; Art. 1, c.1-bis (redditi fondiari cedolare) |
Omesso versamento (imposta dichiarata ma non pagata) | 30% dell’importo non versato (riducibile se pagato con lieve ritardo o ravvedimento) . | Art. 13, c.1 |
Omessa registrazione del contratto (>30 gg) | 120%–240% dell’imposta di registro dovuta (minimo €200); ridotta a 60%-120% se registrato con ritardo (sanz. ridotte se ravvedimento). Nessuna sanzione per contratti <30gg (non soggetti a registrazione) . | Art. 69 DPR 131/86 (Tur) |
Intermediario – omessa comunicazione dati | €250 – €2.000 per anno, ridotta metà se ritardo ≤15gg . | Art. 11, c.1 D.Lgs. 471/97 |
Intermediario – omessa ritenuta 21% | 20% delle somme non trattenute (oltre a dover versare l’imposta stessa e interessi) . | Art. 14, c.1 D.Lgs. 471/97 |
Profili penali (reati tributari)
L’evasione fiscale legata agli affitti “in nero”, quando supera una certa gravità, può integrare precise fattispecie di reato tributario ai sensi del D.Lgs. 74/2000. In particolare, per i redditi non dichiarati si possono configurare due delitti :
- Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): è il reato di aver presentato una dichiarazione fiscale omettendo elementi attivi (ricavi, redditi) o indicando elementi passivi fittizi, superando però determinate soglie di rilevanza penale . La legge infatti richiede che l’imposta evasa superi €100.000 per singola imposta e che l’ammontare non dichiarato superi il 10% di quanto dichiarato (oppure sia comunque superiore a €2 milioni) . La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi . Nel caso degli affitti brevi, questo reato potrebbe concretizzarsi solo per grandi evasori: ad esempio un contribuente che, avendo altri redditi dichiarati, omette oltre €100k di imposte relative agli affitti, il che implica centinaia di migliaia di euro di canoni non dichiarati . Non è lo scenario del piccolo proprietario medio, ma potrebbe riguardare soggetti con decine di immobili che nascondono sistematicamente i proventi fingendo di essere privati.
- Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): è il reato di non presentare affatto la dichiarazione annuale pur essendo obbligati, con evasione d’imposta oltre una certa soglia . La soglia è €50.000 di imposta evasa (per ciascun tributo). La pena è la reclusione da 2 a 5 anni . Questa ipotesi può riguardare chi – avendo solo redditi da affitti brevi o comunque superando la no-tax area – non presenta proprio il Modello Redditi, e l’imposta dovuta sugli affitti non dichiarati supera i 50mila euro . Ad esempio, un host che incassa €100.000 all’anno di canoni e non dichiara nulla: la cedolare dovuta su 100k è circa €21.000/anno; in due anni avrebbe evaso ~42.000 €, in tre anni ~63.000 €, superando così la soglia e realizzando il reato di omessa dichiarazione (plurima) .
Sotto queste soglie, l’evasione resta un illecito amministrativo (sanzioni pecuniarie) ma non penale . Ciò significa che il proprietario medio che evade qualche migliaio di euro in genere non rischia il carcere . Al contrario, chi gestisce una vera attività occulta con importi elevati rischia anche sul piano penale. È importante sottolineare che i reati tributari sopra descritti richiedono il dolo specifico di evasione: l’omessa o infedele dichiarazione sono punibili solo se il contribuente ha agito con intento fraudolento di evadere le imposte (non per semplice negligenza). Questo elemento soggettivo rileverà nell’eventuale procedimento (spetterà alla Procura dimostrare che l’omissione fu intenzionale e non frutto di errore scusabile, anche se nei casi di mancata dichiarazione di intere annualità l’intento evasivo è normalmente evidente).
Cause di non punibilità (pagamento del dovuto): La legislazione penale tributaria è stata modificata per incentivare il contribuente a pagare integralmente il dovuto ed evitare il carcere. In particolare, l’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 prevede che non siano punibili (o si applichi una causa di estinzione del reato) le condotte di omessa o infedele dichiarazione se prima che l’autore abbia formale conoscenza di indagini a suo carico paga integralmente l’imposta evasa, le sanzioni amministrative e gli interessi . In pratica, se un contribuente si autodenuncia e paga tutto spontaneamente (o anche dopo un primo rilievo amministrativo ma prima che parta la denuncia penale), può evitare il processo penale . Questa è un forte incentivo a utilizzare il ravvedimento operoso o a definire l’accertamento con adesione prima che la Procura intervenga . Ad esempio, chi riceve un PVC dalla Guardia di Finanza potrebbe, pagando il dovuto con sanzioni e interessi ancor prima dell’avviso di accertamento o comunque prima di ricevere notizia di una denuncia, chiudere la vicenda penale sul nascere. Inoltre, la recente depenalizzazione di alcuni reati minori ha escluso, ad esempio, la punibilità penale dell’omesso versamento di ritenute da cedolare in qualità di sostituto d’imposta (il “caso Airbnb”) se viene sanato entro certi termini . Dunque, oggi come oggi la strada della regolarizzazione integrale è la migliore protezione anche in ottica penale.
Imposta di soggiorno – da peculato a illecito amministrativo: Merita un cenno la questione dell’imposta di soggiorno (il tributo comunale per i pernottamenti turistici). In passato, alcuni proprietari che non versavano al Comune la tassa di soggiorno riscossa dagli ospiti venivano perseguiti per peculato (considerandoli agenti contabili che si appropriavano di denaro pubblico). Su questo fronte c’è stata una svolta: dal 19 maggio 2020 il mancato versamento della tassa di soggiorno non è più reato penale, bensì solo illecito amministrativo tributario . La Cassazione ha preso atto della depenalizzazione (es. Cass. pen. 9213/2022) e ha annullato le condanne ancora pendenti per peculato in tali casi. Pertanto, oggi chi non versa la tassa di soggiorno rischia sanzioni amministrative (il Comune in genere ingiunge il pagamento del dovuto più una sanzione pari al 30% di tale importo, analogamente all’omesso versamento di tributi locali) , ma non un procedimento penale per peculato. Attenzione però: la depenalizzazione vale dal 2020 in avanti; eventuali omessi versamenti anteriori restano formalmente perseguibili come reato (anche se, col senno di poi, molti procedimenti sono stati archiviati in virtù del nuovo orientamento legislativo e della tenuità del danno nei casi minori).
Come difendersi: strumenti e strategie del contribuente
Di fronte a un accertamento fiscale su redditi da affitti brevi, il contribuente (assistito preferibilmente da un professionista, commercialista o avvocato tributarista) ha a disposizione diversi strumenti di difesa e opportunità per ridurre il danno e regolarizzare la propria posizione. È importante agire tempestivamente, valutando caso per caso la strategia migliore. Di seguito esaminiamo le opzioni principali, dalla regolarizzazione spontanea all’impugnazione dell’atto.
1. Ravvedimento operoso (prima dell’accertamento): Il ravvedimento operoso è l’arma principale per chi si accorge spontaneamente di non aver dichiarato (o di aver dichiarato solo in parte) i redditi da locazione breve . Consiste nel presentare una dichiarazione integrativa per l’anno (o gli anni) omesso/i e versare le imposte dovute con sanzioni ridotte proporzionalmente al ritardo, evitando così l’accertamento d’ufficio . Il ravvedimento è ammesso finché l’irregolarità non sia stata già constatata (tramite PVC) o non siano iniziati accessi/verifiche formalmente comunicati al contribuente . Dunque, se non è ancora arrivato un avviso, in generale ci si può ancora ravvedere. Anche la ricezione di una lettera di compliance non preclude il ravvedimento – anzi, quella lettera è proprio un invito a farlo . Diverso è se arriva un PVC della GdF: tecnicamente a quel punto la violazione è già “contestata” e il ravvedimento integrale non è più ammesso (restano però possibili l’adesione o l’acquiescenza, di cui diremo). Vediamo le casistiche principali di ravvedimento:
- Affitti brevi mai dichiarati (omessa dichiarazione): se non è stata presentata proprio la dichiarazione dei redditi per quell’anno (pur essendo dovuta), si può rimediare presentando la dichiarazione, se il ritardo è contenuto, oppure pagando il dovuto spontaneamente. In dettaglio: entro 90 giorni dalla scadenza di presentazione, l’invio della dichiarazione è considerato tardivo ma valido, con sanzione minima fissa (€25 euro, pari a 1/10 di €250) . Se sono passati più di 90 giorni, la dichiarazione omessa non è più emendabile ai fini formali; tuttavia è comunque consigliabile presentarla lo stesso, pagando imposte, interessi e la sanzione minima di €250 per omessa dichiarazione . Questo perché, nella prassi, l’Agenzia in tal caso considera la violazione sanata quantomeno ai fini penali e molto attenuata sul piano amministrativo . Ad esempio, per l’anno d’imposta 2022 la scadenza ordinaria era 30/11/2023: inviando la dichiarazione entro il 28/02/2024 (entro 90 gg) è tardiva ma non omessa, e si applica solo la sanzione ridotta. Se si supera tale termine, l’Agenzia considererà comunque la dichiarazione presentata (sia pure “nulla” giuridicamente) ai fini della quantificazione del dovuto e normalmente, in sede di accertamento, applicherà la sanzione 120% anziché 240% (come segno di collaborazione) . In più, presentando ora la dichiarazione e pagando spontaneamente, si rende inapplicabile il reato di omessa dichiarazione (causa di non punibilità ex art.13) in caso di somme oltre soglia.
- Affitti brevi parzialmente dichiarati (dichiarazione infedele): se si era presentata la dichiarazione dei redditi includendo altri redditi ma omettendo i canoni di locazione, si può presentare una dichiarazione integrativa per aggiungere i redditi non dichiarati . La violazione è “dichiarazione infedele” e la sanzione base del 90% (o 180% se affitti) viene ridotta in funzione del ravvedimento. Le percentuali di riduzione, aggiornate dal 2015 e ulteriormente estese dalla L. 190/2014, sono:
– entro 14 giorni dalla scadenza si paga 1/15 del minimo (6% circa);
– entro 90 giorni si paga 1/9 della sanzione (≈10%) ;
– entro l’anno successivo 1/8 (12,5%);
– entro il secondo anno 1/7 (~14,3%) ;
– oltre 2 anni 1/6 (~16,7%) ;
– dopo PVC ma prima dell’atto (ravvedimento “sprint” ammesso dal 2019) 1/5 (18%) – anche se va detto che dopo un PVC integrale il ravvedimento non è permesso per quella violazione .
Dunque, se Caio si ravvede dopo 2 anni, pagherà circa il 16% di sanzione invece del 90% . Si applica inoltre la sanzione del 30% per omesso versamento sulle imposte tardivamente versate, anch’essa ravvedibile (ridotta nelle stesse proporzioni: ad es. entro 1 anno diventa 3,75%, ecc.) . Non serve memorizzare tutte queste frazioni: l’Agenzia mette a disposizione sul sito dei calcolatori di ravvedimento, e qualsiasi professionista le sa calcolare. L’importante è capire che col ravvedimento si risparmia moltissimo rispetto alla sanzione piena, specialmente se non sono passati troppi anni .
In entrambi i casi, per perfezionare il ravvedimento occorre: presentare la dichiarazione integrativa (tramite i canali telematici Entratel/Fisconline) e versare – tramite modello F24 – l’imposta dovuta, gli interessi legali maturati (dal giorno in cui andava versata l’imposta originaria fino al giorno del pagamento) e la sanzione ridotta calcolata come sopra . Sul sito dell’Agenzia sono pubblicati i codici tributo da utilizzare (ad es. “TARD” per versare l’IRPEF da dichiarazione integrativa tardiva). È opportuno conservare con cura tutta la documentazione del ravvedimento ed eventualmente comunicare all’ufficio locale di essersi ravveduti, se nel frattempo fosse arrivata una comunicazione o se era stata avviata un’istruttoria informale .
Benefici del ravvedimento: Oltre alle sanzioni ultraridotte, il ravvedimento esclude la punibilità penale (per le ragioni dette: nessuna contestazione formale e pagamento spontaneo completa = art.13 non punibilità) e toglie terreno all’Agenzia per futuri accertamenti, in quanto il contribuente ha già dichiarato quei redditi . Di solito, dopo il ravvedimento l’Agenzia al più emette una comunicazione di liquidazione automatica per confermare il calcolo e l’avvenuto pagamento. È cruciale però anticipare l’Amministrazione: per ravvedersi efficacemente, tutto (dichiarazione integrativa e pagamenti) va fatto prima che venga notificato un formale avviso di accertamento o un invito a comparire . Se è arrivata solo una lettera di compliance, siamo ancora in tempo (anzi, quella è proprio un’occasione offerta) ; se arriva un PVC della GdF o un avviso, è tardi per il ravvedimento puro (restano però altre vie, come l’adesione).
2. Remissione in bonis (per opzioni tardive): Un caso particolare di ravvedimento riguarda la mancata (o tardiva) comunicazione di un’opzione fiscale formale pur avendo rispettato la sostanza. Ad esempio, la scelta della cedolare secca deve essere comunicata in sede di registrazione di un contratto lungo e in sede di dichiarazione annuale. Se il contribuente ha dichiarato il reddito ma dimenticato di comunicare l’opzione (o di barrarla in dichiarazione), la legge consente di sanare l’omissione tramite la remissione in bonis . Consiste nel presentare l’atto omesso (es. la comunicazione di opzione cedolare) entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile e nel versare una sanzione fissa di €250 . Applicato agli affitti brevi, questo strumento è utile se – per esempio – un contribuente ha registrato un contratto turistico >30gg senza optare per cedolare, ma vuole rimediare entro l’anno; oppure se ha indicato in dichiarazione il reddito da locazione ma si è scordato di barrare la casella cedolare . Pagando €250 si “riaprono i termini” per esercitare quell’opzione come se fosse stata fatta correttamente. È importante chiarire che la remissione in bonis non si applica per sanare la mancata opzione dovuta a omessa dichiarazione del reddito stesso – in tal caso bisogna usare il ravvedimento operoso visto sopra . La remissione è pensata per violazioni formali o piccoli ritardi in adempimenti quando sostanzialmente non c’è evasione d’imposta (cioè le imposte sono state dichiarate/pagate, ma manca un pezzo di burocrazia).
3. Accertamento con adesione: Se invece l’accertamento è già stato notificato (o l’ufficio ha convocato il contribuente per un contraddittorio prima dell’atto), è possibile attivare la procedura di accertamento con adesione disciplinata dal D.Lgs. 218/1997 . Questo strumento, su istanza del contribuente (o su invito dell’ufficio), consente di definire in via bonaria la controversia prima che diventi definitiva, tramite un accordo sull’ammontare dovuto . In sostanza, si apre una negoziazione col funzionario accertatore. I vantaggi dell’adesione sono notevoli:
- Riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo edittale. In pratica, se l’avviso prevedeva ad esempio una multa del 90%, con l’adesione si paga solo il 30% . Nel nostro esempio di Marco, una sanzione di €3.330 scenderebbe a ~€1.110 . Questo beneficio è alternativo ad altre riduzioni (non si cumula con il ravvedimento o con l’acquiescenza, che ha anch’essa 1/3), ma rappresenta di solito il massimo sconto ottenibile una volta emesso l’atto.
- Rateazione: l’importo concordato (imposte + interessi + sanzione ridotta) si può pagare fino a 8 rate trimestrali (16 rate se l’importo supera €50.000) . Ciò aiuta a diluire l’esborso ed evitare difficoltà di cassa.
- Chiusura rapida e niente contenzioso: firmando l’atto di adesione, l’accertamento si perfeziona in via consensuale e non c’è bisogno di fare ricorso in Commissione . L’Ufficio rinuncia a ogni ulteriore pretesa per quel periodo e materia, e il contribuente rinuncia a impugnare. Si evitano così le spese processuali e il rischio di una condanna alle spese in caso di sconfitta.
Per avviare l’adesione, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso il contribuente presenta un’istanza all’ufficio accertatore . La presentazione dell’istanza sospende per legge i termini per fare ricorso (che riprenderanno solo in caso di esito negativo o rinuncia) . L’ufficio dunque convoca il contribuente per un incontro (di solito entro 30-60 gg). Durante il contraddittorio, si possono discutere sia questioni di fatto (ad es. far ridurre parzialmente il reddito accertato se ci sono errori) sia aspetti sanzionatori (spesso il funzionario è disponibile a riconoscere attenuanti, per es. applicare il cumulo giuridico invece del cumulo materiale su più anni) . Se si raggiunge un accordo, viene redatto un verbale con il nuovo importo concordato . Il contribuente deve versare la prima rata (o l’intero, se preferisce) entro 20 giorni, e l’atto di adesione diviene definitivo e non più impugnabile da entrambe le parti .
L’adesione conviene soprattutto se il contribuente riconosce la fondatezza (almeno in buona parte) dell’accertamento e desidera limitare le sanzioni . Se invece si ritiene che l’accertamento sia infondato o eccessivo, e l’ufficio non è disposto a riduzioni significative, può essere preferibile fare ricorso . In ogni caso, la partecipazione al contraddittorio non preclude affatto il successivo ricorso se non si arriva a un accordo . Quindi si può provare a trattare senza compromettere la possibilità di difendersi in giudizio.
4. Ricorso e contenzioso tributario: Se non si aderisce (o l’adesione fallisce), l’alternativa è impugnare l’atto di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie dal 2023) . Il ricorso va notificato (telematicamente) entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso , salvo che si sia presentata istanza di adesione nel frattempo (in tal caso i 60 gg decorrono dall’eventuale mancato accordo). Per importi fino a €50.000, il ricorso è anticipato da un’istanza di mediazione/reclamo obbligatoria: in pratica si deposita il ricorso presso l’ufficio, che ha 90 giorni per eventualmente accogliere/ridurre la pretesa; decorso tale termine, il ricorso acquista efficacia e prosegue in giudizio . Sopra €50.000, si ricorre direttamente (ricordando che per valori superiori a €3.000 è necessaria l’assistenza tecnica di un difensore abilitato – avvocato, commercialista o esperto contabile) .
Nel giudizio tributario, le possibili linee difensive per un accertamento su affitti brevi includono:
- Contesting the facts (contestare i fatti): dimostrare che l’importo accertato è errato o esagerato . Ad esempio, provare che alcuni versamenti considerati come canoni in realtà erano cauzioni restituite o rimborsi spese non imponibili; oppure che l’immobile era affittato in comproprietà e una quota dei canoni andava all’altro comproprietario (dunque il reddito imputabile al ricorrente è inferiore a quanto calcolato) . Possono essere utili estratti conto bancari, ricevute, il contratto di locazione se esistente, e persino testimonianze . Dal 2015, infatti, nel processo tributario è ammessa la prova testimoniale (sia pure con limiti) e la Cassazione ha riconosciuto la possibilità di tener conto di dichiarazioni testimoniali raccolte anche in sede extra-tributaria (ad es. dalla GdF). Un caso emblematico è Cass. n. 16223/2014, in cui la testimonianza dell’inquilino convinse i giudici che i canoni non dichiarati erano effettivamente stati percepiti – in quel caso a sfavore del contribuente, ma rileva per dire che la testimonianza può essere decisiva . Nel nostro contesto, potrebbe accadere l’opposto: il contribuente potrebbe far testimoniare l’ospite per dimostrare che ha pagato meno di quanto il Fisco presume, oppure che certe somme non erano affitto. È un terreno delicato, ma praticabile.
- Questioni giuridiche: contestare la corretta applicazione della norma fiscale . Ad esempio, eccepire che l’Agenzia avrebbe dovuto applicare la cedolare al 21% invece dell’IRPEF al 43%, perché l’omessa opzione è stata causata da forze maggiori o errore scusabile (cercando di far valere in giudizio il principio di tassazione più favorevole in presenza dei requisiti) . Oppure sostenere l’inapplicabilità della presunzione d’impresa nel caso specifico: ad esempio, se il contribuente ha 5 immobili ma uno di questi è all’estero o affittato con contratto lungo, si potrebbe argomentare che non andavano conteggiati tutti come “brevi” (anche se la legge su questo è chiara, il difensore creativo potrebbe sollevare la questione) . In generale, se la legge prevede esplicitamente una certa conseguenza (es. la presunzione oltre 4 immobili), mettere in discussione la norma in sé è molto difficile, a meno di sollevare profili di illegittimità costituzionale – strada impervia . Più concrete sono questioni interpretative: ad esempio, se l’Agenzia applica un’aliquota o una disposizione in modo non conforme alla legge o alla giurisprudenza (si pensi al tema cedolare per società, dove fino a ieri le Entrate erano su posizioni opposte alla Cassazione). In quei casi, richiamare la giurisprudenza favorevole (come vedremo nel Caso 3 sotto) può far vincere il ricorso.
- Vizi procedurali: verificare se l’accertamento rispetta tutte le regole formali previste dalla legge . Ad esempio, per annualità fino al 2017 la giurisprudenza richiedeva il contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio per alcuni accertamenti “a tavolino” (specie in materia di tributi armonizzati): se l’Agenzia non ha invitato il contribuente a fornire chiarimenti prima dell’atto, l’accertamento poteva essere nullo (tale principio però, dopo il 2018, è stato recepito solo in parte in normativa) . Un altro aspetto fondamentale è il rispetto dei termini di decadenza: il Fisco ha un limite temporale per notificare gli avvisi di accertamento, di regola il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (ad es., per redditi 2019 accertamento fino al 31/12/2025) . Se la dichiarazione è omessa, i termini diventano sette anni (per redditi 2019, fino al 31/12/2026) . Se l’avviso arriva oltre questi termini, è nullo per decadenza, salvo il caso di raddoppio dei termini per reato (che però richiede che la denuncia penale sia presentata entro i termini ordinari) . È utile controllare anche la correttezza della notifica (se ad esempio l’atto non è stato ricevuto dal contribuente secondo le modalità di legge, p.es. PEC o raccomandata con relata), nonché la presenza di una motivazione adeguata nell’atto (una motivazione insufficiente o contraddittoria può viziare l’accertamento) .
- Esimenti di buona fede (obiettiva incertezza): Le sanzioni amministrative possono essere annullate o ridotte dal giudice se si dimostra che il contribuente versava in una situazione di obiettiva incertezza normativa sul significato della norma, ovvero se ricorrono esimenti quali forza maggiore o errore scusabile dovuto a indicazioni dell’Amministrazione stessa . Nel contesto affitti brevi questo è raro perché la normativa è relativamente chiara e conosciuta – tuttavia non è impossibile. Un esempio potrebbe essere il caso in cui la Cassazione cambi radicalmente interpretazione su un tema e il contribuente si era adeguato alla prassi precedente: qui il giudice potrebbe disapplicare le sanzioni per incertezza normativa, pur richiedendo le imposte. Proprio sul tema della cedolare per società, la Cassazione nel 2022-2025 ha sconfessato la prassi dell’Agenzia: se un contribuente, fidandosi delle istruzioni ufficiali, non aveva applicato la cedolare su affitto a società, si potrebbe sostenere che vi fosse incertezza e chiedere l’annullamento delle sanzioni (mentre l’imposta eventualmente già versata in più andrebbe rimborsata). Questa argomentazione di bona fides va articolata con cura e supportata da documenti o prassi fuorvianti dell’A.F.: il giudice tributario ha potere di annullare in tutto o in parte le sanzioni per questi motivi, ex art. 6 comma 2 D.Lgs. 472/97.
Affrontare un ricorso tributario richiede competenze tecniche; è consigliabile farsi rappresentare da un avvocato tributarista o da un commercialista esperto in contenzioso . Detto ciò, se le somme in ballo sono modeste, a volte la stessa Agenzia – dopo un primo grado – può transigere la lite, specie con le nuove norme sulla conciliazione agevolata e la definizione delle liti pendenti (introdotte dalla L. 197/2022) . Ad esempio nel 2023 era possibile chiudere le liti pendenti pagando solo il 100% dell’imposta e il 5% di sanzioni : opportunità del genere vanno tenute presenti, perché consentono di chiudere i conti col Fisco a condizioni vantaggiose. Chi si trova in piena fase di accertamento nel 2025, terrà d’occhio eventuali disposizioni nella Legge di Bilancio 2026 che offrano definizioni agevolate delle controversie .
5. Acquiescenza e definizioni agevolate: Un’ulteriore opzione, qualora non si voglia né aderire né fare ricorso, è l’acquiescenza all’accertamento. Significa accettare l’atto così com’è, pagando quanto dovuto entro 60 giorni dalla notifica . In tal caso è prevista per legge una riduzione delle sanzioni a 1/3 (simile all’adesione) . Attenzione: pagare con acquiescenza implica rinunciare a impugnare l’accertamento (diventa definitivo) . Lo si valuta solo se l’accertamento è effettivamente corretto e magari l’Ufficio non ha concesso adesione (o il contribuente preferisce chiudere subito) . Spesso si preferisce l’adesione perché consente una trattativa sui numeri e la rateazione; tuttavia, l’acquiescenza rimane un’alternativa nel caso l’Ufficio non accolga l’istanza di adesione o se, entro i 60 giorni, il contribuente cambia strategia e decide di pagare per chiudere. Da sottolineare: adesione e acquiescenza si escludono a vicenda – se hai presentato istanza di adesione, non puoi fare acquiescenza entro gli stessi 60 giorni (i termini sono sospesi e poi l’atto non è più “integro” negoziandolo).
Periodicamente, inoltre, il legislatore introduce sanatorie o definizioni agevolate nelle leggi di bilancio. Ad esempio con la L. 197/2022 (Bilancio 2023) chi aveva una lite tributaria pendente in materia di imposte sui redditi poteva chiudere pagando solo il 100% dell’imposta e il 5% di sanzioni . Nel 2023 è stata prevista anche la conciliazione agevolata in appello con sanzioni ridotte al 1/18. Queste misure sono occasionali, ma vanno tenute d’occhio: se c’è la possibilità di aderirvi, possono far risparmiare gran parte delle sanzioni e degli interessi. Come detto, chi sta affrontando un accertamento oggi dovrebbe monitorare la normativa in evoluzione (decreti fiscali, leggi di bilancio) per cogliere eventuali “finestre” di definizione.
Consigli pratici per il contribuente (debitore):
- Non ignorare le comunicazioni: se ricevete una lettera di compliance o un invito a comparire, affrontatelo subito contattando un professionista di fiducia. Ignorare può portare a un accertamento d’ufficio più severo e a perdere benefici che invece si ottengono collaborando . Ad esempio, rispondendo a una lettera con integrativa si evita la sanzione piena; se non rispondete, arriverà l’atto con sanzioni intere.
- Valutare costi-benefici del ricorso: se avete chiaramente torto (affitti non dichiarati) e l’importo non è enorme, spesso aderire o pagare con sanzioni ridotte conviene più che imbarcarsi in un ricorso lungo e costoso con poche chance di vittoria . Viceversa, se ci sono buoni argomenti difensivi (es. errore di persona, doppia imposizione, importo gonfiato da presunzioni errate), vale la pena fare ricorso . Un professionista può aiutarvi a stimare le probabilità di successo e i costi del contenzioso rispetto allo sconto ottenibile in adesione.
- Documentare tutto: nel settore degli affitti brevi la tracciabilità è alta – e questo può essere sia un’arma per il Fisco, sia una difesa per voi. Conservate accuratamente estratti conto, ricevute di pagamenti, e-mail/mesaggi con gli ospiti, calendari delle prenotazioni, ricevute delle piattaforme, ecc. In caso di contestazione, poter dimostrare esattamente periodi e importi vi aiuta a far correggere eventuali errori del Fisco . Ad esempio, se l’Agenzia ipotizza 100 giorni locati ma voi ne avete fatti solo 60, i dati di Airbnb o le recensioni online (con date) potranno essere usati come prova a vostro favore . Anche bollette e testimonianze di vicini possono tornare utili per provare che l’immobile in certi periodi era vuoto e non affittato .
- Prevenire è meglio: se ad oggi (2025) vi rendete conto di aver ometto qualcosa in passato, il ravvedimento operoso immediato è caldamente consigliato . Il quadro normativo e tecnologico attuale è tale che, presto o tardi, quei redditi verranno alla luce . Ravvedersi costa molto meno che farsi accertare, e consente di dormire tranquilli, evitando anche rischi penali . La finanziaria 2023 ha persino previsto un “ravvedimento speciale” per annualità 2021 e precedenti (con sanzioni ridotte a 1/18), segno che il legislatore incoraggia la regolarizzazione spontanea. Approfittare di queste possibilità può farvi risparmiare decine di migliaia di euro.
- Chiedere la rateazione: una volta chiuso l’accertamento (con atto definitivo, sia per adesione sia dopo sentenza), se l’importo è elevato e non riuscite a saldarlo in un’unica soluzione, ricordate che esiste la possibilità della rateazione ordinaria delle cartelle esattoriali. L’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) consente di dilazionare il pagamento fino a 72 rate mensili (6 anni) o addirittura 120 rate (10 anni) in casi di grave difficoltà . È decisamente meglio rateizzare che cadere in morosità e subire poi fermi amministrativi, ipoteche o pignoramenti sui beni da parte del Fisco . Se il debito supera €20.000, il Fisco può iscrivere ipoteca sull’immobile; oltre €5.000 può disporre il fermo dell’auto; e col protrarsi del mancato pagamento può procedere al pignoramento del conto corrente o all’espropriazione (messa all’asta) dell’immobile ipotecato . Tutto questo per dire: non lasciate incancrenire la posizione debitoria. Se non potete pagare subito, attivate le procedure per rateizzare – è un diritto del contribuente e vi mette al riparo da misure esecutive drastiche.
Esempi pratici di accertamenti e difesa
Di seguito presentiamo alcuni scenari tipici di accertamenti fiscali su affitti brevi “in nero”, illustrando come potrebbe procedere l’Agenzia delle Entrate e quali strumenti avrebbe il contribuente per difendersi o rimediare. Ogni caso evidenzia una diversa strategia (ravvedimento, adesione, ricorso, ecc.) e include modelli di comportamento difensivo.
Caso 1: Host occasionale non dichiarante
– Scenario: Maria possiede un bilocale a Firenze che nel 2022 ha affittato su Airbnb in alcuni weekend, incassando complessivamente €5.000. Maria, lavoratrice part-time, non ha altri redditi imponibili di rilievo; erroneamente pensa che quei proventi “non contino” o siano esenti, e non li indica nella dichiarazione dei redditi 2023. Nell’ottobre 2024 Maria riceve una lettera di compliance dall’Agenzia: risulta che Airbnb ha comunicato per il 2022 canoni per €5.000 a suo nome, ma la sua dichiarazione non li riporta . Le viene chiesto di “verificare i dati e correggere eventuali omissioni” (tipico invito a ravvedersi).
- Accertamento (in caso di inerzia): Se Maria ignorasse la lettera, l’Agenzia – non vedendo reazione – potrebbe a fine 2024 emettere un avviso di accertamento per redditi 2022. L’ufficio determinerebbe i €5.000 di base imponibile (dato certo ricevuto dal portale) e applicherebbe IRPEF e addizionali su tale importo. Maria, con un part-time, magari era nel primo scaglione: ipotizziamo aliquota media ~23%. L’imposta evasa sarebbe ~€1.150. A questa si sommerebbe la sanzione per infedele dichiarazione, pari al 90% = ~€1.035, elevabile fino a 180% in teoria (ma l’ufficio applicherebbe il minimo se è la prima volta) . Più interessi di mora per il ritardato pagamento (limitati, forse qualche decina di euro). Il totale intimato con cartella potrebbe aggirarsi sui €2.300 . Inoltre, l’ufficio quasi certamente tasserebbe con IRPEF questi redditi, poiché Maria non aveva optato per la cedolare (e difficilmente in accertamento riconoscono l’aliquota cedolare se l’opzione non era stata esercitata) – vedi prossimo punto.
- Difesa (ravvedimento e cedolare): Maria ha varie opzioni, ma la migliore è agire subito alla ricezione della lettera (anziché aspettare l’accertamento). Assistita dal suo commercialista, presenta una dichiarazione integrativa per il 2022 indicando i €5.000 tra i redditi fondiari e optando per la cedolare secca al 21% su tale importo . In questo modo, l’imposta dovuta è €1.050 (21% di 5.000). Calcola gli interessi (modesti, circa €30) e la sanzione ridotta per infedele: essendo entro 2 anni, la sanzione base 90% si riduce a 1/8 ≈ 11,25% dell’imposta , quindi circa €118. Maria compila l’F24 e paga tutto: imposta (€1.050) + interessi (€30) + sanzione (€118) = ~€1.198. Contestualmente, tramite il canale CIVIS online, comunica all’Agenzia di essersi ravveduta, allegando ricevuta della dichiarazione integrativa e del pagamento. Così facendo, evita l’accertamento e chiude la questione pagando in totale circa la metà di quanto avrebbe pagato se avesse atteso l’atto (€1.200 vs €2.300) . Inoltre, ha potuto beneficiare della cedolare secca al 21%, poiché l’ha indicata nell’integrativa (l’ufficio in sede di controllo formale la accetterà, trattandosi di ravvedimento e opzione espressa con remissione in bonis) . Se invece Maria avesse aspettato l’avviso, quasi certamente l’ufficio avrebbe tassato quei €5.000 con IRPEF ordinaria (23%/27%): poi in sede di adesione avrebbe potuto chiedere di applicare la cedolare, ma non è garantito che l’ufficio conceda l’aliquota ridotta (è discrezionale) . Ad ogni modo, anche se fosse arrivato l’accertamento, Maria avrebbe ancora potuto difendersi: per prima cosa, avrebbe presentato adesione chiedendo sanzioni ridotte a 1/3. Mettiamo che l’avviso richiedesse €1.150 imposta + €1.035 sanzione: in adesione la sanzione scenderebbe a ~€345 (1/3 del minimo) . Inoltre, con documentazione opportuna (ad esempio copia del contratto Airbnb che attesta la finalità abitativa turistica), avrebbe potuto insistere perché fosse riconosciuta la cedolare anche in sede di accordo (talora gli uffici, per chiudere, accettano di ricalcolare il dovuto col 21%) . Così Maria avrebbe pagato circa: €1.050 imposta cedolare + €345 sanzione ridotta + €40 interessi = ~€1.435 . Un importo comunque più alto rispetto al ravvedimento (perché la sanzione in adesione è 1/3 del 90%, quindi ~30%, mentre col ravvedimento era ~11%). Inoltre, se Maria avesse voluto fare ricorso sostenendo di aver diritto alla cedolare secca (21% vs IRPEF 23-27%), probabilmente avrebbe avuto buone possibilità – dato l’orientamento giurisprudenziale favorevole al locatore in questi casi – ma avrebbe dovuto valutare se valesse la pena fare causa per pochi centinaia di euro di differenza . Viceversa, se il Fisco avesse stimato un reddito più alto (non in questo caso, dato che aveva i dati esatti da Airbnb), fare ricorso per contestare l’ammontare sarebbe stato certamente opportuno.
(Nota: questo caso mostra l’importanza del ravvedimento operoso tempestivo di fronte a una segnalazione. Maria dal canto suo era in buona fede – credeva erroneamente che importi così piccoli non fossero tassabili – ma purtroppo la legge italiana non prevede alcuna soglia di esenzione specifica per i canoni di locazione: qualsiasi importo percepito va dichiarato , a meno che il reddito complessivo annuo non sia sotto ~€8.000 e si rientri comunque nella no-tax area personale.)
Caso 2: Multi-proprietario non dichiarato
– Scenario: Luca e Marco sono due fratelli che nel 2021 hanno ereditato 6 piccoli appartamenti, destinandoli tutti ad affitti brevi turistici tramite Booking e Airbnb. I proventi (incassi lordi) vengono divisi al 50% tra loro. Non aprono partita IVA né altre posizioni, ritenendo (erroneamente) che trattandosi di eredità comune possano restare in ambito “privato”. Nel 2021 incassano in totale €60.000 (€30k a testa) e nel 2022 €80.000 (€40k a testa). Non presentano alcuna dichiarazione dei redditi in quanto entrambi studenti senza altri redditi e ritengono di non dover nulla. Nel 2023, l’Agenzia Entrate – incrociando i dati delle piattaforme e informazioni catastali – individua i 6 immobili affittati a breve a loro riconducibili, e rileva che nessuno dei due ha presentato dichiarazioni per 2021-22 . Scatta quindi un accertamento per entrambi gli anni, con presumibile qualificazione dell’attività come impresa non dichiarata (dato che superano 4 immobili).
- Accertamento: L’Agenzia notifica a entrambi (Luca e Marco) avvisi di accertamento per omessa dichiarazione 2021-2022 . Per ciascuno fratello ricostruisce i redditi: €30k nel 2021 e €40k nel 2022 a testa (ipotizzando che abbiano evidenze dei pagamenti ricevuti su conti correnti cointestati, ecc.). Tassazione: non essendoci opzioni cedolare espresse e trattandosi di oltre 4 immobili, l’Ufficio qualifica i redditi come d’impresa ma – non avendo i fratelli formalizzato nulla – verosimilmente applica l’IRPEF progressiva sul totale redditi di ciascuno. Se per ipotesi fossero nel primo scaglione per buona parte (23% sui primi ~€15k, 25% sul resto), l’imposta dovuta risulterebbe circa €7.000 a testa sommando i due anni (ad es. ~€3k sul 2021 e €4k sul 2022) . Vengono poi applicate le sanzioni per omessa dichiarazione: essendo importi non giganteschi ma pur sempre rilevanti, l’ufficio applica il minimo edittale 120% dell’imposta. 120% di €7.000 = €8.400 di multa a testa (minimo €250 superato ampiamente) . Il totale a testa è quindi ~€15.400 (imposte + sanzioni + interessi) . Totale per entrambi ~€30.800. Inoltre – vista la dimensione dell’evasione – l’ufficio segnala il caso alla Guardia di Finanza per valutare eventuali profili penali, ipotizzando forse il reato di omessa dichiarazione per entrambi. Tuttavia, calcolando, l’imposta evasa per ciascuno è ~€7k, quindi sotto la soglia di €50k: non scatta alcun reato (si tratta di violazioni amministrative gravi ma non oltre la soglia penale) . Neanche sommando i due si arriva a 50k, e penalmente conta l’evasione del singolo soggetto. Quindi niente denuncia (ma un “richiamo” al rispetto della normativa imprenditoriale e tributaria per il futuro, probabilmente).
- Difesa: I fratelli si rendono conto di aver sottovalutato la questione. Per il futuro, si attivano subito: aprono la partita IVA, costituiscono una società semplice di gestione immobiliare o si dividono gli immobili e ciascuno adotta un regime forfettario, presentano la SCIA in Comune e insomma regolarizzano l’attività come impresa per il 2023 in poi (sanno di rientrare pacificamente nella presunzione d’impresa) . Per gli avvisi 2021-22 già ricevuti, incaricano un avvocato tributarista. In sede di adesione, puntano a ottenere uno sconto significativo. Sanno di essere oltre i limiti per la cedolare, però provano a mediare argomentando che, di fatto, i due fratelli gestivano separatamente 3 immobili ciascuno (anche se in comproprietà) e che quindi la soglia non andava considerata superata – ipotesi piuttosto debole, ma la giocano come carta negoziale . Concretamente, l’obiettivo è fare in modo che almeno una parte dei redditi possa beneficiare di tassazione agevolata. Diverse soluzioni vengono discusse con il funzionario:
- Tentano di ottenere la cedolare secca per 4 immobili su 6 (massimo concedibile teoricamente a soggetti privati) , accettando IRPEF sugli altri 2. L’ufficio con ogni probabilità rifiuta di applicare la cedolare oltre il 4° immobile, in quanto contrario alla legge .
- In subordine, i fratelli chiedono di mantenere la qualificazione come reddito d’impresa, ma di potersi avvalere del regime forfettario 15% sui ricavi, come se avessero avuto la partita IVA in quegli anni. Questa richiesta è formalmente fuori dallo schema dell’adesione (non esiste base normativa per applicare retroattivamente un regime opzionale non esercitato), ma puntano sul fatto che l’ufficio, pur di chiudere, possa accettare di rideterminare in via equitativa la base imponibile considerando un coefficiente di redditività del 40% (cioè tassando solo il 40% dei ricavi, che equivale a forfettizzare costi al 60%) . In sostanza, arrivare a un esito simile al regime forfettario: su €140k di ricavi totali in due anni, tassarne ad esempio €56k totali (40%) invece che €140k.
- Dopo trattative, una possibile intesa è la seguente: l’Agenzia mantiene l’IRPEF (per evitare di “legittimare” l’omessa IVA), ma riconosce una riduzione forfettaria del 50-60% dell’imponibile per tener conto delle spese sostenute dai fratelli (manutenzioni, utenze, provvigioni Booking, etc.) . Così l’imposta totale per ciascuno viene ricalcolata su imponibile €14k (2021) + €18k (2022) anziché 30+40k, producendo un’imposta netta a testa più bassa, diciamo ~€4.000 invece di 7.000.
- A quel punto si applicano le sanzioni ridotte a 1/3: dalla sanzione base 120% (~€4.800 a testa) si passa a 40% dell’imposta evasa (~€1.600 a testa). Quindi ciascuno pagherebbe: imposte ~€4k + sanzioni ~€1.6k + interessi ~qualche centinaio = circa €6.000. Totale per entrambi ~€12.000 .
Va detto che, non presentando nulla, la posizione dei fratelli è grave e l’ufficio potrebbe anche mantenere un atteggiamento rigido. Realisticamente, punteranno soprattutto a ridurre le sanzioni (dall’iniziale 120% al 40% con adesione) e a ottenere la rateazione più lunga possibile. Nel nostro scenario, riescono a contenere il danno economico a ~€10-12k a testa (da pagare magari in 8 rate trimestrali) . Resta comunque un esborso notevole – un vero salasso – che avrebbero potuto quasi totalmente evitare agendo diversamente sin dall’inizio. Infatti, se i fratelli avessero aperto la P.IVA e aderito al regime forfettario dal 2021, avrebbero pagato il 15% su €140k di ricavi in due anni, ossia €21.000 in totale (10.5k a testa) e basta, senza sanzioni . Invece ora pagano quasi il doppio (circa 20k in due) e con un piano di rientro, oltre a trovarsi segnalati d’ora in poi. Morale: non conviene frazionare artificiosamente gli immobili tra parenti per eludere la soglia (in questo caso erano comproprietari fratelli, ma l’attività di fatto era un’unica gestione su 6 immobili, quindi la presunzione d’impresa era palese) . E conviene ravvedersi subito: già dopo il 2021, vedendo i risultati, i due fratelli avrebbero dovuto regolarizzarsi e magari pagare la cedolare sul 2021 (21% su 60k=12,6k) evitando tutte queste sanzioni e problemi . L’adesione in questo caso serve a limitare i danni, ma non li annulla.
(Nota: questo scenario riflette i casi reali di soggetti che gestiscono interi patrimoni immobiliari senza dichiararli. Le soglie penali non vengono superate se i beni sono suddivisi tra familiari, ma ciò non li salva dalle maxi-sanzioni e dall’obbligo poi di emergere come imprese. Una pronuncia interessante è CTR Lombardia n. 4451/2019, la quale ha escluso che la mera riscossione di affitti brevi da porzione della propria abitazione configuri attività d’impresa ai fini previdenziali , ma in casi come il nostro – sei appartamenti dedicati sistematicamente agli affitti brevi – la qualifica imprenditoriale è difficilmente contestabile.)
Caso 3: Differenze interpretative – cedolare con società
– Scenario: Alfa Srl affitta nel 2023 un appartamento di proprietà di Tizio per alloggiare un suo manager trasferito a Milano. Si stipula un contratto di 1 anno uso foresteria (quindi abitativo per il dipendente). Tizio, fidandosi di quanto gli dice l’agenzia, inserisce la clausola di cedolare secca 21% nel contratto e la comunica alla società conduttrice. Al momento di dichiarare i redditi nel 2024, però, il suo commercialista lo sconsiglia: “il conduttore è persona giuridica, la cedolare non è applicabile, meglio fare IRPEF ordinaria così eviti problemi”. Tizio si lascia convincere e dichiara quel canone (€20.000 annui) nel quadro RB senza cedolare, pagando IRPEF (~€6.000) . Nel 2025 viene a sapere delle sentenze di Cassazione che nel 2022-2024 stanno affermando la cedolare secca applicabile anche se il conduttore è un’impresa . Si pente di aver pagato più tasse del dovuto e vorrebbe rettificare retroattivamente il trattamento fiscale di quel contratto, assoggettando i €20.000 al 21% invece che all’aliquota IRPEF massima.
- Azioni possibili (nessuna evasione, anzi imposta pagata in eccesso): Qui non c’è evasione, anzi Tizio ha pagato più imposta di quella che – a posteriori – risulta dovuta. Difatti, su €20k avrebbe dovuto pagare €4.200 di cedolare, invece ha pagato €6.000 di IRPEF. L’Agenzia delle Entrate difficilmente farà mai un “accertamento a favore” restituendo soldi. Tocca a Tizio attivarsi. Su consiglio del suo legale, presenta un’istanza di rimborso per la differenza di imposta (€1.800) allegando copia del contratto e citando le nuove sentenze . L’Agenzia molto probabilmente respinge l’istanza, sostenendo che la legge (D.Lgs. 23/2011) richiede espressamente conduttore persona fisica per la cedolare e che la Cassazione ha espresso un orientamento non vincolante per il Fisco . A questo punto Tizio propone ricorso in Commissione Tributaria contro il diniego di rimborso, sostenendo che la norma non vieta affatto la cedolare in caso di conduttore con P.IVA: richiede solo che l’immobile sia ad uso abitativo. Porta all’attenzione del giudice la sentenza n. 12395/2024 della Cassazione (e altre due successive del 2025) che hanno affermato esattamente questo principio, sconfessando l’interpretazione restrittiva dell’Agenzia . Con ogni probabilità, vedendo la Cassazione consolidata su questo e il contratto che effettivamente aveva finalità abitativa, l’Ufficio eviterà il contenzioso in udienza e accoglierà il rimborso o transigerà concedendo la cedolare per quell’anno . Questo esempio mostra come le evoluzioni giurisprudenziali possano essere usate a vantaggio del contribuente. Tizio, inizialmente penalizzato da un’interpretazione sfavorevole, grazie alle pronunce della Corte riesce a recuperare il surplus di imposta versato.
- Lezione: Se hai pagato più del dovuto per eccesso di prudenza (o per via di interpretazioni incerte), puoi tentare di recuperare presentando istanza di rimborso entro il termine di 48 mesi dal pagamento (termine ordinario per i rimborsi IRPEF). Non sempre il Fisco è “amichevole” in questi frangenti, ma se il diritto è chiaramente dalla tua parte conviene insistere – anche in sede di ricorso – presentando la giurisprudenza a supporto . In questo caso, ad esempio, le Entrate in un’interrogazione parlamentare del 2025 hanno dichiarato di non allinearsi alla Cassazione, considerandola una pronuncia isolata . Ciò nonostante, molti proprietari nella situazione di Tizio stanno ottenendo ragione in giudizio citando le varie Cass. 2022-25: ormai l’orientamento è solido e i giudici di merito tendono a seguirlo . Questo caso evidenzia dunque l’importanza di tenersi aggiornati sulle novità (non solo normative, ma anche giurisprudenziali) e di farsi valere quando si è pagato più del dovuto.
Caso 4: Affitti brevi e prova del numero di giorni
– Scenario: Giovanna affitta il suo casale in Toscana come casa vacanze per brevi periodi estivi. Nel 2021 ha avuto ospiti per un totale di 80 giorni, incassando €30.000, che ha regolarmente dichiarato nel 2022 optando per la cedolare secca (21%). Nel 2022 non ha affittato affatto l’immobile (ha deciso di tenerlo chiuso quell’anno). Nel 2023 lo ha riaffittato per 60 giorni incassando €25.000 (che dichiara nel 2024). A sorpresa, nel 2024 riceve però un avviso di accertamento relativo all’anno 2022: l’Agenzia le contesta redditi non dichiarati, presumendo che anche nel 2022 abbia affittato l’immobile, basandosi sul fatto che sul suo annuncio Airbnb compaiono recensioni anche nel 2022 . In realtà quelle recensioni di gennaio 2022 si riferiscono a soggiorni di fine 2021 (pubblicate a inizio ’22). Giovanna capisce che il Fisco ha fatto una presunzione errata: ha visto recensioni datate 2022 e ha concluso che ci fossero affitti non dichiarati in quell’anno.
- Difesa: Giovanna è certa di non aver affittato nel 2022 nemmeno un giorno. Decide di impugnare l’avviso davanti alla Commissione Tributaria, evidenziando che l’Agenzia ha compiuto una presunzione infondata: le recensioni di gennaio ’22 si riferivano a soggiorni di dicembre ’21 (già tassati e dichiarati) . A supporto, produce il calendario delle prenotazioni Airbnb 2022 dal quale risulta che l’annuncio non ha avuto date occupate in quell’anno . Allegati anche le bollette di luce/gas del 2022, che mostrano consumi molto ridotti (compatibili con casa rimasta chiusa) . Volendo esagerare, potrebbe aggiungere una dichiarazione dei vicini che confermano che nel 2022 non hanno notato movimenti di turisti nella casa . In un accertamento induttivo basato su presunzioni, l’onere della prova in giudizio è a carico del Fisco: spetta all’Agenzia dimostrare che vi furono redditi non dichiarati . Se Giovanna porta solide evidenze contrarie, la Commissione non potrà che annullare l’atto per mancanza di prova . Ed è quello che verosimilmente accade: l’avvocato di Giovanna sottolinea l’errore metodologico e il collegio annulla l’accertamento 2022 perché il fatto imponibile non è dimostrato.
Questo esempio mostra come i dati vadano sempre verificati: può capitare che il Fisco commetta errori, ad esempio confondendo gli anni o sovrastimando i giorni affittati in base a elementi male interpretati . Un contribuente ordinato, che conserva la documentazione, può vincere il ricorso e persino ottenere il rimborso delle spese di giudizio dal Fisco viste le palesi ragioni (nel caso di Giovanna, l’accertamento era chiaramente infondato, dunque ricadendo nella soccombenza dell’Agenzia, il giudice potrebbe condannare quest’ultima a rifondere le spese legali) . Inoltre, questa vicenda insegna che mantenere traccia scritta di tutto (calendari digitali, ecc.) è essenziale per difendersi contro le presunzioni erronee.
Domande frequenti (FAQ)
Q: I redditi da affitti brevi sono sempre imponibili?
A: Sì. In Italia qualsiasi importo percepito per l’affitto di un immobile (o di parte di esso) costituisce un reddito tassabile . Non esiste alcuna soglia di esenzione specifica per i canoni di locazione – a parte le esenzioni generali come il caso in cui il reddito complessivo annuo sia sotto circa €8.000 (no tax area), ma anche in tal caso i canoni andrebbero comunque dichiarati se si presenta la dichiarazione . Anche se si affitta occasionalmente o per pochi giorni all’anno, quei proventi vanno inclusi nella dichiarazione dei redditi. La leggenda secondo cui “se affitto meno di 30 giorni non pago tasse” è falsa: il limite dei 30 giorni rileva solo ai fini dell’obbligo di registrazione del contratto, non ai fini della tassazione .
Q: Come faccio a dichiarare i redditi da Airbnb/Booking? Ho una CU (Certificazione Unica) o devo arrangiarmi da solo?
A: Dipende dalla situazione. Dal 2021 in poi, se hai affittato tramite un portale che ha applicato la ritenuta del 21%, dovresti ricevere una Certificazione Unica (CU) dall’intermediario entro marzo dell’anno seguente . Ad esempio, se nel 2024 Airbnb (o un’agenzia) ti ha trattenuto il 21% sui canoni, entro marzo 2025 ti manderà una CU attestante i compensi lordi e le ritenute subite. In tal caso, potrai riportare facilmente i dati in dichiarazione: i redditi vanno nel quadro RB (redditi fondiari da fabbricati, se sei proprietario) oppure RL (redditi diversi, se sei sublocatore/comodatario) e dovrai indicare l’opzione per cedolare se vuoi tassarli al 21% (o 26%) . Le ritenute subite vanno inserite nel quadro di liquidazione per essere scomputate dall’imposta .
Se invece il portale non ha applicato ritenute (ad esempio Airbnb non le ha applicate fino al 2023 su molti pagamenti), non avrai alcuna CU: devi comunque calcolare autonomamente i redditi percepiti e includerli in dichiarazione . Puoi utilizzare i riepiloghi delle prenotazioni forniti dalla piattaforma: Airbnb, ad esempio, mette a disposizione un prospetto annuale degli incassi lordi e delle commissioni pagate .
Attenzione: il reddito da dichiarare è il canone lordo pagato dall’ospite, non l’importo netto accreditato a te . Ad esempio, se l’ospite paga €100 a notte, Airbnb trattiene €3 di commissione e te ne versa €97: tu devi comunque dichiarare €100 di reddito. La commissione del portale infatti, se operi come privato, non è deducibile (è un tuo costo, ma non puoi sottrarlo dal reddito dichiarato) . In pratica, se opti per cedolare, paghi il 21% sull’intero lordo di 100; se vai in IRPEF, dichiari 100 e la commissione rimane un costo non deducibile a tuo carico . Solo se fossi in regime d’impresa potresti dedurre quel costo (ma allora avresti partita IVA e diversa dichiarazione). Quindi riassumendo: se hai percepito redditi da affitto breve, devi inserirli in dichiarazione (730 o Modello Redditi) nell’apposito quadro, con o senza CU. Se hai CU (perché hai subito ritenute), ti facilita il compito; altrimenti userai i dati dei pagamenti e prenotazioni.
Q: Ho affittato la casa vacanze di mia proprietà per 2 mesi totali l’anno scorso, devo aprire partita IVA?
A: No, con soli 2 mesi (anche fosse così ogni anno) e un unico immobile non è richiesta l’apertura della partita IVA. La partita IVA diventa obbligatoria solo se l’attività assume i connotati di impresa; la normativa vigente presume l’imprenditorialità quando si affittano più di 4 immobili nello stesso anno . Se tu hai una sola casa vacanze che affitti per periodi brevi, sei nei limiti dell’attività privata. Ciò indipendentemente dal numero di giorni o dall’importo totale: potresti anche affittarla 365 giorni l’anno a rotazione di ospiti, ma formalmente – finché è un solo immobile – resti un locatore privato (naturalmente deve sempre trattarsi di contratti brevi non continuativi con lo stesso soggetto, altrimenti sarebbe un affitto residenziale lungo) . (Nota: se affitti continuativamente per l’intero anno la stessa casa a rotazione di ospiti, l’Agenzia potrebbe comunque argomentare l’abitualità di fatto e tentare di farla rientrare in ambito d’impresa, ma normalmente ci si attiene al criterio numerico dei 4 immobili) . Quindi nel tuo caso niente partita IVA, niente iscrizione al registro imprese: dovrai solo dichiarare i redditi percepiti e assolvere gli obblighi fiscali come privato (cedolare o IRPEF) . Tieni però presente gli obblighi locali: molti Comuni richiedono anche ai locatori privati di comunicare l’inizio dell’attività di locazione turistica (spesso con moduli semplificati, non la SCIA commerciale) e di dotarsi degli eventuali codici identificativi regionali o nazionali (CIR/CIN) per l’alloggio .
Q: Cedolare secca o tassazione ordinaria: cosa mi conviene per gli affitti brevi?
A: Nella maggior parte dei casi conviene la cedolare secca, perché l’aliquota del 21% (o 26% dal secondo immobile) risulta inferiore alle aliquote IRPEF progressive medie, e inoltre evita le addizionali locali . In più, con la cedolare non paghi l’imposta di registro sul contratto (anche se per i brevi <30gg di base non sarebbe dovuta comunque) e i redditi da cedolare non vanno conteggiati nel calcolo dell’ISEE . La tassazione IRPEF ordinaria su un affitto breve raramente è vantaggiosa, a meno che tu abbia aliquote IRPEF molto basse (es. reddito complessivo sotto €15.000) e magari spese deducibili altrove che ti riducono l’imponibile . Ricorda che in regime ordinario puoi tassare solo il 95% del canone (deduzione forfetaria 5% per i giorni di disponibilità non affittati oltre 30 gg), mentre con cedolare paghi sul 100% del canone. Facciamo un esempio numerico: su €1.000 di affitto, con IRPEF dichiari €950 e con cedolare €1.000. Se sei al 23% IRPEF, tasse ordinarie ≈ €218; con cedolare 21% = €210 – la cedolare vince di poco . Se sei al 43% IRPEF, tasse ordinarie ≈ €408; cedolare sempre €210 – la cedolare stravince . Quindi solo se sei proprio nelle fasce IRPEF più basse la differenza è sottile. Un caso in cui potresti considerare l’ordinario: se quell’immobile ti dà molte spese deducibili o periodi di vacanza che generano “perdite” compensabili con altri redditi fondiari. Ad esempio, negli affitti lunghi se una casa resta sfitta paghi comunque IRPEF sulla rendita catastale, che è deducibile se hai più immobili. Però per gli affitti brevi la rendita non locata incide solo per i giorni non affittati eccedenti i 30 gg totali annui (una formula un po’ farraginosa), quindi raramente riesci a creare una perdita deducibile significativa da affitti brevi . In sintesi: cedolare secca quasi in tutti i casi per i privati, salvo rarissime eccezioni che vanno valutate con un fiscalista in base alla situazione personale .
Q: Se non ho dichiarato i redditi Airbnb degli anni passati, posso rimediare ora?
A: Sì, tramite il ravvedimento operoso. Come spiegato in dettaglio prima, se non hai ancora ricevuto un avviso formale, puoi presentare dichiarazioni integrative per gli anni non dichiarati (di norma fino a 5 anni indietro) e pagare imposte e sanzioni ridotte . Ad esempio, se nel 2022 hai percepito affitti non dichiarati, hai tempo fino al 31/12/2025 per ravvederti prima che l’anno cada in decadenza (il Fisco ha tempo fino al 2027 per accertarlo, in caso di omessa dichiarazione, quindi conviene farlo il prima possibile) . Il ravvedimento entro 2 anni dall’omissione riduce la multa a circa 1/7 del 90% = ~12,8% . Sul 2022 saresti quindi ancora in tempo per cavartela con ~15% di sanzione invece del 90%. Se invece aspetti di essere scoperto, pagheresti il 90% pieno, più interessi, e perderesti anche l’eventuale cedolare secca (che in accertamento l’AdE non concede) . Quindi conviene eccome autodenunciarsi prima. Tieni presente anche che già dal 2020 l’Agenzia ha cominciato a inviare lettere di compliance agli host: molti nel 2020 hanno ricevuto avvisi bonari segnalanti i redditi 2017-2018 non visti in dichiarazione, con invito a ravvedersi . Non ignorare questi avvisi: se li hai avuti e non hai reagito, l’accertamento è solo questione di tempo e sarà molto più costoso.
Q: Airbnb e Booking comunicano i miei dati al Fisco?
A: Assolutamente sì (oramai). Dal 2017 la legge prevede che i portali trasmettano ogni anno all’Agenzia delle Entrate i dati dei contratti conclusi tramite la loro piattaforma . Alcuni operatori, come Airbnb, hanno fatto resistenza in passato, ma dopo sentenze sfavorevoli e un accordo, dal 2024 Airbnb trattiene l’imposta e segnala gli importi al Fisco . Booking.com già da prima comunicava i dati (anche se non fungeva da sostituto d’imposta perché spesso il pagamento è diretto tra ospite e host) . Inoltre, con la normativa UE DAC7, dal 2023 tutte le piattaforme digitali (anche estere) comunicano i ricavi degli utenti alle autorità fiscali . Pertanto l’Agenzia delle Entrate ha, o avrà a breve, il pieno quadro di quanto hai guadagnato tramite questi siti . Anche i flussi finanziari verso il tuo conto corrente sono tracciati, grazie all’Anagrafe dei rapporti finanziari. Insomma, non dare per scontato che quei redditi passino inosservati. Già molti controlli sono partiti nel 2018-2019 incrociando i dati delle questure (registrazione ospiti) con le dichiarazioni dei redditi, e oggi gli strumenti informativi sono ancora più precisi ed efficaci .
Q: Ho affittato a un’azienda (o a un professionista con P.IVA) che usava l’appartamento per i suoi dipendenti. Posso fare cedolare secca?
A: Questo è stato a lungo dibattuto. La legge istitutiva della cedolare (D.Lgs. 23/2011) richiede che l’immobile sia “ad uso abitativo” e la locazione “effettuata per finalità abitative”; per anni l’Agenzia delle Entrate ha interpretato che ciò implicasse che sia il locatore che l’inquilino fossero persone fisiche private . Pertanto negava la cedolare se il conduttore era una persona giuridica (società) o un professionista con P.IVA, sostenendo che in tal caso la finalità non fosse “abitativa” in senso stretto (bensì strumentale all’attività di impresa o di lavoro) . La Corte di Cassazione però ha smentito questa interpretazione, con varie pronunce tra il 2022 e il 2025. Ad esempio, la sentenza n. 12395 del 7/5/2024 ha stabilito che anche se l’inquilino è un’impresa o un professionista, la cedolare secca si applica ugualmente purché l’immobile sia destinato ad uso abitativo (es. foresteria per dipendenti, casa data in locazione a un socio per abitarci) . Quindi sì, è possibile applicare la cedolare secca pure se il tuo affittuario è una società o una persona con P.IVA, a condizione che il contratto specifichi l’uso abitativo (non deve essere un ufficio) e che di fatto l’immobile sia utilizzato come casa di persone (non subaffittato a terzi o usato come sede operativa) . Questa apertura giurisprudenziale è molto rilevante: in caso di contestazione, puoi richiamare la giurisprudenza favorevole (Cass. 21726/2021; Cass. 12395/2024; Cass. 24403/2025, etc.) . Va detto però che riguarda maggiormente contratti tradizionali lunghi (4+4) o transitori; negli affitti brevi è raro avere aziende come conduttori, ma può capitare con esigenze di business travel (es. società che affitta un appartamento per alloggiare un manager in trasferta per 3 mesi). In tal caso, secondo Cassazione, il locatore può optare per cedolare secca . (Nota pratica: l’Agenzia delle Entrate per ora non si è “allineata” ufficialmente a Cassazione su questo, quindi potresti dover difendere la tua scelta in contenzioso, ma i segnali sono positivi per i contribuenti .)
Q: Quanto indietro nel tempo può andare l’Agenzia a cercare affitti non dichiarati?
A: L’Agenzia può controllare e accertare fino a 5 anni indietro rispetto all’anno di imposta in questione, oppure 7 anni se non hai proprio presentato la dichiarazione . Più precisamente, il termine di decadenza per l’accertamento IRPEF è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o, in caso di omessa, quinto anno successivo a quello in cui avresti dovuto presentarla) . Ad esempio, per i redditi 2020 (che andavano dichiarati nel 2021): fino al 31/12/2026 se la dichiarazione fu presentata, oppure 31/12/2027 se omessa . In presenza di reato tributario, un tempo i termini raddoppiavano automaticamente; oggi il “raddoppio” opera solo se la denuncia penale è presentata entro i termini ordinari (in pratica estende di due anni: quindi 7 anni dichiarato, 8 omesso) . Dunque, nel 2025 l’Agenzia può accertare redditi a partire dal 2019 (se non hai presentato dichiarazione per quell’anno) o dal 2020 (se hai presentato ma omesso quei redditi) . Per il 2018 e anni precedenti ormai è tardi (decaduti), salvo appunto casi di reato con denuncia presentata entro fine 2023 (improbabile per affitti brevi, a meno di importi evasi enormi) . Attenzione però: se hai presentato la dichiarazione ma “dimenticato” i redditi da affitto breve, quella è dichiarazione infedele – termine 5 anni. Se non l’hai presentata proprio – termine 7 anni. Quindi non contare troppo sulla prescrizione: l’Agenzia ha abbastanza tempo e di solito si muove prima se ha i dati (es. molte lettere per il 2017-2018 sono arrivate già nel 2020) .
Q: Cosa rischio in concreto se ho affittato in nero? Il Fisco mi può pignorare casa o mettermi in galera?
A: In concreto rischi principalmente una pesante sanzione pecuniaria e il recupero delle imposte non pagate, come abbiamo illustrato. Il Fisco potrebbe notificarti una cartella esattoriale dopo l’accertamento e, se non la paghi, può procedere con gli strumenti coattivi di riscossione: fermo dell’auto, pignoramento dei conti correnti, ipoteca sull’immobile, ecc. . Però attenzione: non c’è confisca dell’immobile in senso punitivo (lo Stato non “ti toglie la casa” perché hai evaso). Può esserci al massimo l’ipoteca a garanzia del credito (se il debito supera €20.000) e, solo se persisti nel non pagare, dopo vari atti, la messa all’asta dell’immobile ipotecato per soddisfare il credito . Ma si tratta di extrema ratio dopo anni di mancato pagamento delle cartelle. Quanto al carcere, come visto la sfera penale scatta solo per evasioni molto elevate (oltre €50k di imposta evasa per l’omessa dichiarazione) . Un singolo proprietario con 1-2 case che non dichiara affitti di solito non raggiunge tali soglie, a meno che non siano immobili di lusso con redditi enormi. Diverso il caso di chi ha 10 case e per anni non dichiara nulla: lì sì, potrebbe accumularsi oltre soglia e partire una denuncia per omessa dichiarazione (o addirittura per dichiarazione fraudolenta se ha messo in atto espedienti per nascondere i redditi) . Ma in genere, l’Agenzia prima ti accerta fiscalmente; il penale segue il suo corso a parte e richiede la prova del dolo di evasione. Dunque, per l’host medio, la galera è uno scenario remoto. Il vero deterrente sono le multe e gli interessi che possono azzerare i guadagni fatti e prosciugare risparmi . Ciò detto, ignorare ripetutamente il Fisco può portare a guai: se ti contestano più anni di evasione e tu non paghi né ti attivi, accumuli cartelle e potresti trovarti con il conto bancario bloccato o l’immobile ipotecato e poi all’asta dopo vari anni di inazione . È importante quindi affrontare subito la situazione, anche per evitare escalation spiacevoli.
Q: Ho letto di casi in cui l’inquilino ha testimoniato contro il proprietario che affittava in nero. Possono usare le testimonianze contro di me?
A: Sì, in un eventuale contenzioso tributario vale anche la prova testimoniale (dal 2015 è ammessa nel processo tributario, sebbene con qualche limitazione) . Inoltre la Guardia di Finanza, in fase di indagine, può raccogliere dichiarazioni dagli inquilini/ospiti. In alcuni casi, come la Cass. 16223/2014 citata in questa guida, la testimonianza dell’inquilino fu decisiva per confermare l’evasione (aveva dichiarato di aver pagato in contanti un affitto non registrato) . Detto questo, è poco probabile che il Fisco vada a disturbare i tuoi ospiti Airbnb uno ad uno per farli testimoniare: di solito ha altre prove più immediate (pagamenti tracciati, dati del portale) . Ma se, ad esempio, tu negassi di aver percepito una certa somma e l’unica prova fosse la parola dell’ospite, l’Agenzia potrebbe chiamarlo a confermare quanto ha realmente pagato . Quindi sì, la testimonianza è utilizzabile e può essere un elemento probatorio. In sede penale, poi, la testimonianza è la prova regina: se si arrivasse a un processo penale, la Procura potrebbe convocare ex-ospiti o vicini di casa per dimostrare l’abitualità delle locazioni o i pagamenti in contanti non dichiarati . Dunque, non contare sul silenzio degli inquilini: spesso, se interrogati, confermano la verità (anche perché loro non hanno nulla da perdere o autoincriminarsi, avendo pagato un affitto in nero non commettono reato). Un proprietario smascherato dall’inquilino può subire sia l’accertamento fiscale sia, in casi gravi, denunce (ci sono stati per esempio casi di inquilini che per rivalersi hanno segnalato il proprietario all’Agenzia delle Entrate).
Q: Dopo quanti giorni un affitto non è più “breve”?
A: Per legge, “breve” è fino a 30 giorni. Quindi se stipuli un contratto di durata 31 giorni o più, quello non rientra nella disciplina delle locazioni brevi (va registrato e, se vuoi applicare la cedolare, devi seguire le regole delle locazioni lunghe) . Ad esempio, un contratto transitorio di 3 mesi non è “breve” tecnicamente: va registrato entro 30 giorni e, se il locatore vuole la cedolare, deve rispettare i requisiti (inviare raccomandata di rinuncia aumenti ISTAT, etc. – obblighi previsti per contratti oltre 30 gg, che nelle locazioni brevi invece non ci sono) . Attenzione: la definizione “breve” riguarda il singolo contratto. Non c’è un limite al numero di contratti brevi stipulabili nello stesso immobile nell’anno (a parte, come detto, il limite dei 4 immobili per presumere l’impresa) . Quindi puoi fare anche 10 contratti da 1 settimana ciascuno: sono tutti brevi. Il limite dei 30 giorni vale anche per eventuali proroghe: se il contratto originario era di 20 giorni ma poi l’ospite resta altri 15 con accordo verbale, di fatto hai un unico rapporto di 35 giorni – formalmente due contratti, ma il Fisco potrebbe riqualificarli come uno solo >30gg se ravvisa un abuso (non è comune, però in teoria possibile se vede lo stesso ospite senza interruzione) . In sintesi: 30 giorni per singolo contratto è la soglia da tenere presente.
Q: Devo pagare IVA o emettere fattura per gli affitti brevi?
A: No, se operi come privato. La locazione di immobili abitativi da parte di privati è fuori dal campo IVA (operazione esente ex art. 10 DPR 633/72) . Non devi fatturare né addebitare IVA all’ospite. Se però sei un’impresa (es. hai costituito una società immobiliare, oppure hai aperto P.IVA come ditta individuale per affitti brevi oltre 4 immobili), allora la cosa dipende: se concedi in locazione pura un immobile ammobiliato senza servizi accessori tipici, puoi continuare a trattarla come esente IVA (molte case vacanze gestite da imprese optano per l’esenzione art. 10) . Se però fornisci servizi tipici dell’attività alberghiera (colazione, pulizia giornaliera, reception, cambio biancheria durante il soggiorno), l’operazione potrebbe configurarsi come prestazione di alloggio soggetta a IVA 10% . In pratica, molte case vacanze imprenditoriali offrono solo alloggio e pulizia iniziale, restando in esenzione IVA; mentre i B&B/affittacamere imprenditoriali che offrono colazione e pulizie giornaliere rientrano nel regime delle strutture ricettive e applicano IVA 10%. Questo è un punto tecnico, ma per il privato è irrilevante: il privato non deve applicare IVA (e non può detrarre l’IVA sulle spese). Il privato non emette fattura ma può rilasciare una ricevuta non fiscale all’ospite se questi la chiede, indicando che trattasi di locazione esente IVA art. 10 . Se l’ospite è un’azienda che vuole fattura, si può spiegare che il locatore è privato e rilascia ricevuta semplice di locazione (la quale per quell’azienda non sarà detraibile IVA né deducibile oltre la quota ammessa delle spese per trasferte). Insomma, da privato niente obbligo di fatturazione. Ricorda però di riscuotere l’imposta di soggiorno (se prevista) e versarla al Comune: alcuni grandi portali (es. Airbnb in molte città) la riscuotono direttamente dall’ospite e la riversano al Comune , facilitando la vita ai locatori; se però tocca a te, dovrai presentare le dichiarazioni trimestrali/annuali al Comune e pagare l’importo dovuto per notte/persona secondo il regolamento locale .
Q: L’Agenzia delle Entrate può controllare anche se ho versato la tassa di soggiorno?
A: Sì, benché la tassa di soggiorno sia un tributo comunale, negli ultimi anni c’è collaborazione tra molti Comuni e l’Agenzia delle Entrate. Alcuni Comuni trasmettono all’Agenzia gli elenchi di chi ha versato la tassa di soggiorno e quanto, per incrociarli con i redditi dichiarati (l’idea: se hai tot presenze per cui hai pagato la tassa, ci si aspetta tot euro di incassi da affitti) . Inoltre, se non versi la tassa, il Comune stesso può inviarti un avviso di accertamento locale con sanzione e interessi. Dal 2020 in poi, non c’è più il penale (peculato) ma resta l’obbligo di pagare . La Guardia di Finanza durante le verifiche controlla anche questo aspetto: se risultano imposte di soggiorno non versate, le contesterà e segnalerà al Comune competente . Quindi conviene mettersi in regola anche col Comune. Alcuni grandi portali (es. Airbnb in molte città) riscuotono direttamente la tassa di soggiorno dall’ospite e la riversano al Comune, facilitando la vita ai locatori . Se il tuo Comune ha questa convenzione, verifica che Airbnb abbia effettivamente versato (di solito sì, e appare nelle transazioni come voce separata, non inclusa nei ricavi) . Se invece devi arrangiarti tu, ricordati di presentare le dichiarazioni trimestrali/annuali al Comune e di pagare l’importo dovuto per notte per persona, secondo il regolamento locale . Il mancato pagamento verrà sanzionato dal Comune (in genere 30% dell’importo non versato, come per i tributi locali); se hai dubbi, contatta l’ufficio tributi comunale. Ma non trascurare la tassa di soggiorno: ora che non è più reato, molti potrebbero sottovalutarla, ma i Comuni stanno intensificando i controlli, anche grazie ai dati delle piattaforme.
Q: Cosa contiene la “Guida Locazioni brevi” dell’Agenzia Entrate?
A: L’Agenzia delle Entrate pubblica periodicamente una brochure informativa intitolata “Locazioni brevi: la disciplina fiscale e le regole per gli intermediari”. L’ultima edizione aggiornata ad agosto 2024 recepisce proprio le novità di cui abbiamo parlato (aliquota 26% per multi-immobili, obblighi DAC7, ecc.) . La guida illustra in modo chiaro le definizioni, come si dichiarano i redditi (con esempi pratici), e dedica molto spazio agli obblighi dei portali (ritenuta e comunicazione) . Se operi nel settore, vale la pena leggerla: la trovi sul sito dell’Agenzia, sezione “L’Agenzia Informa” (solitamente in formato PDF scaricabile) . Ricorda che spesso le guide semplificano alcuni aspetti; per dubbi specifici meglio consultare anche le circolari ufficiali di riferimento – ad esempio la Circolare 24/E del 12/10/2017 (prima esplicativa sugli affitti brevi) e la Circolare 10/E del 10/05/2024 (che aggiorna alcuni punti dopo la Manovra 2024) . Quelle contengono i chiarimenti tecnici principali e rispondono a molti quesiti particolari.
Q: Gli affitti brevi possono essere vietati dal condominio o dal Comune?
A: Domanda non fiscale ma importante in pratica. Il Comune: la giurisprudenza recente dice che un Comune non può vietare in modo assoluto gli affitti brevi se svolti in forma non imprenditoriale . Il Consiglio di Stato n. 6227/2022, ad esempio, ha annullato un regolamento del Comune di Bologna che limitava il numero di giorni affittabili, ritenendolo lesivo della libera iniziativa privata . Il Comune può però regolamentare con obblighi di comunicazione, codice identificativo, ecc., come in effetti avviene ora col CIN . Il condominio: un regolamento condominiale contrattuale (cioè approvato all’unanimità o predisposto dall’originario unico proprietario e accettato nei rogiti) può prevedere un divieto di destinare gli appartamenti a attività ricettiva o locazioni turistiche brevi . La Cassazione (es. sent. 26641/2022) ha confermato che se tale divieto è scritto nel regolamento contrattuale, è valido e vincolante per i condomini . Invece un regolamento approvato a maggioranza (assembleare) non basta a vietare gli affitti brevi di per sé – potrà al più regolare l’uso delle parti comuni, gli orari di check-in, la sicurezza, ecc., ma non può impedire ad un condomino di affittare la propria unità . Quindi verifica il regolamento condominiale: se c’è una clausola esplicita di divieto ad affittare a fini turistici, potrebbe costituire un ostacolo (fatti consigliare da un legale in tal caso, perché a volte la distinzione tra “uso abitativo” e “uso turistico” è sottile e quella clausola potrebbe essere impugnabile) . In assenza di divieti espliciti, gli altri condomini non possono impedirti le locazioni brevi, purché chi affitta rispetti le regole di buon vicinato e il regolamento condominiale (inclusi eventuali limiti sugli “usi diversi dal civile abitativo”: ma la giurisprudenza tende a considerare la locazione breve come uso abitativo, quindi non vietato salvo patto contrario specifico) .
Conclusione: L’affermazione delle locazioni brevi ha portato nuove opportunità di guadagno per molti proprietari, ma anche nuovi doveri e potenziali rischi. Oggi l’Amministrazione finanziaria dispone di strumenti avanzati per individuare gli affitti brevi non dichiarati, e il quadro normativo impone specifiche regole sia ai locatori sia agli intermediari . Per difendersi efficacemente, è necessario da un lato conoscere a fondo la normativa (dalle opzioni fiscali alle recenti modifiche su aliquote e obblighi) e, dall’altro, agire per tempo: la compliance spontanea (ravvedimento) è sempre preferibile all’accertamento subito passivamente . In caso di contestazione, il contribuente deve valutare con lucidità le proprie ragioni e utilizzare gli strumenti deflattivi (adesione, acquiescenza) per ridurre il carico, oppure il contenzioso quando vi siano margini di successo . Questa guida – attraverso fonti normative e giurisprudenziali aggiornate – ha evidenziato i punti chiave per muoversi nel labirinto fiscale degli affitti brevi. In ogni situazione concreta, il consiglio finale è di farsi assistere da un professionista qualificato, poiché – specialmente in presenza di importi rilevanti o multiproprietà – le implicazioni fiscali e legali possono essere complesse . Con consapevolezza e preparazione, tuttavia, è possibile gestire gli affitti brevi in modo redditizio e regolare, evitando di incorrere in sanzioni che vanificherebbero i guadagni ottenuti .
Fonti normative principali: Art. 4 D.L. 50/2017 conv. L. 96/2017 (definizione e regime fiscale delle locazioni brevi, obblighi comunicativi e di ritenuta degli intermediari); Circolare AdE 24/E/2017 e 10/E/2024 (chiarimenti applicativi); Guida AdE “Locazioni brevi” ed. 2024 . D.Lgs. 23/2011 art. 3 (cedolare secca), L. 178/2020 art.1 co.595 (presunzione impresa oltre 4 immobili), L. 197/2023 art.1 co.62-63 (cedolare 26% dal secondo immobile) ; Sentenze Cass. nn. 21726/2021 e 12395/2024 (cedolare secca ammessa per contratti con conduttore P.IVA) . DL 34/2020 art. 180 e DM Turismo 29/9/2022 (istituzione Codice Identificativo Nazionale – CIN); DL 73/2022 conv. L. 122/2022 (sanzioni amministrative: art. 7-quater c.4-sexiesdecies ss.: €2k-10k mancata SCIA; €800-8k mancato CIN; €500-5k mancata indicazione codice) ; Direttiva UE 2021/514 DAC7 (obbligo comunicazione ricavi da piattaforme dal 2023). D.Lgs. 471/1997 (sanzioni tributarie: art.1 c.2 infedele 90-180%; c.1-bis omessa 120-240% imposta evasa; art.13 omesso versamento 30%) ; D.Lgs. 74/2000 (reati tributari: art.4 soglie €100k/10%/€2mln infedele; art.5 soglia €50k omessa; art.13 non punibilità per pagamento integrale) ; Cass. SS.UU. pen. n. 24782/2022 (depenalizzazione omesso versamento imp. soggiorno – abolitio criminis art. 180 DL 34/2020) . Giurisprudenza varia: Cass. n. 16223/2014 (prova testimoniale in accertamento affitti in nero) ; Cass. n. 29913/2021 (locazioni brevi e iscrizione gestione commercianti INPS – riscossione canoni non per sé attività d’impresa ai fini previdenziali) ; Consiglio di Stato n. 6227/2022 (illegittimità regolamenti comunali che vietano affitti brevi non imprenditoriali) ; Cass. n. 26641/2022 (regolamento condominiale contrattuale può vietare B&B in condominio) ; Risposta interpello AdE n. 278/2019 (remissione in bonis cedolare per mancata comunicazione proroga); Circolare AdE 26/E/2011 (cedolare secca requisiti soggettivi – interpretazione restrittiva su conduttore società, ora superata dalla Cassazione) .
Fonti istituzionali e aggiornamenti: Comunicato AdE 17/11/2022 – Accordo transattivo Airbnb: versamento €576 mln per ritenute 2017-21 ; Corte Giustizia UE sent. C-83/21 (22/12/2022) e Cons. Stato 9188/2023 – confermati obblighi per piattaforme digitali (caso Airbnb) ; “Operazione case fantasma” GdF e articoli stampa su incrocio dati consumi e guest review ; Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) – definizione agevolata liti pendenti, conciliazione agevolata 2023 ; D.Lgs. 24/2023 e D.Lgs. 87/2024 – Riforma sanzioni tributarie (riduzione sanzioni infedele 70%, omessa 120%, ecc. dall’1/9/2024) .
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la gestione di affitti turistici non registrati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso dall’Agenzia delle Entrate perché ti viene contestata la gestione di affitti turistici non registrati?
Vuoi sapere quali rischi corri e come puoi difenderti da queste contestazioni?
Gli affitti brevi e turistici (anche tramite piattaforme online come Airbnb, Booking, ecc.) sono sempre più controllati dal Fisco. L’Agenzia incrocia i dati delle piattaforme con le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, contestando i casi in cui i redditi non risultano dichiarati o i contratti non sono stati registrati. Tuttavia, non tutte le contestazioni sono fondate: spesso derivano da errori di tracciamento o da una errata qualificazione giuridica del rapporto locatizio.
👉 Prima regola: controlla se i redditi erano già stati dichiarati e se i contratti rientravano nei casi di registrazione obbligatoria.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Omissione di redditi da locazione nella dichiarazione dei redditi;
- Contratti superiori a 30 giorni non registrati all’Agenzia delle Entrate;
- Mancata applicazione della cedolare secca o tassazione ordinaria IRPEF;
- Dati comunicati dalle piattaforme (es. provvigioni, prenotazioni) non coerenti con quanto dichiarato;
- Presunta attività di locazione imprenditoriale non dichiarata come tale.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero IRPEF o cedolare secca non versata;
- Sanzioni per omessa o infedele dichiarazione dei redditi;
- Sanzioni aggiuntive per mancata registrazione dei contratti;
- Interessi di mora;
- Rischio di iscrizione a ruolo e avvio di procedure di riscossione (cartelle, pignoramenti, fermi).
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Effettiva percezione dei redditi: sono stati incassati o solo prenotati?
- Durata dei contratti: se inferiori a 30 giorni, non era obbligatoria la registrazione;
- Regime fiscale applicato: cedolare secca o IRPEF ordinaria;
- Dati delle piattaforme: verifica se sono corretti e coerenti con le tue ricevute;
- Motivazione dell’atto: l’Agenzia deve spiegare chiaramente le ragioni della contestazione;
- Regolarità della notifica e rispetto dei termini di decadenza.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Dichiarazioni dei redditi già presentate;
- Ricevute di pagamento o estratti conto bancari;
- Copia dei contratti di locazione turistica;
- Comunicazioni con le piattaforme (Airbnb, Booking, ecc.);
- Registrazioni telematiche effettuate o ricevute dall’Agenzia delle Entrate.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare l’avvenuta dichiarazione dei redditi contestati;
- Provare che i contratti non erano soggetti a registrazione (durata < 30 giorni);
- Eccepire vizi dell’accertamento: notifica irregolare, motivazione insufficiente, decadenza dei termini;
- Richiedere autotutela in caso di errori evidenti o duplicazioni;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni con possibilità di sospensione cautelare;
- Mediazione tributaria (nei casi previsti) per ridurre sanzioni e interessi.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza le contestazioni e i dati incrociati dall’Agenzia delle Entrate;
📌 Verifica la corretta qualificazione dei redditi da locazione;
✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre le pretese fiscali;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire in sicurezza gli affitti turistici futuri.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in locazioni brevi e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa dei contribuenti contro accertamenti su affitti turistici;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni del Fisco sugli affitti turistici non registrati non sempre sono corrette: in molti casi si basano su dati incompleti o interpretazioni restrittive.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la regolarità della tua posizione fiscale, evitare la doppia tassazione e limitare il peso delle sanzioni.
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