Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché la tua dichiarazione di successione è stata considerata incompleta? In questi casi l’Ufficio può ricalcolare le imposte, applicare sanzioni e richiedere interessi di mora. Tuttavia, non sempre la contestazione è legittima: errori formali, omissioni non rilevanti o vizi dell’accertamento possono rendere l’atto annullabile.
Quando l’Agenzia contesta una dichiarazione di successione
– Se non sono stati dichiarati tutti i beni immobili o mobili del defunto
– Se mancano quote ereditarie, legittimari o eredi indicati correttamente
– Se sono state omesse passività deducibili o agevolazioni spettanti
– Se la documentazione allegata è incompleta o inesatta
– Se vi sono incongruenze con altre banche dati (Catasto, Conservatoria, Anagrafe Tributaria)
Conseguenze della contestazione
– Maggiori imposte ipotecarie, catastali e di successione da versare
– Applicazione di sanzioni amministrative proporzionali all’imposta evasa
– Interessi calcolati dalla data di scadenza originaria
– Rischio di avvio di procedure esecutive in caso di mancato pagamento
Come difendersi da una contestazione per dichiarazione di successione incompleta
– Dimostrare che l’omissione non era rilevante o che non ha comportato evasione d’imposta
– Integrare la dichiarazione con i dati mancanti e far valere il principio di buona fede
– Contestare errori dell’Agenzia delle Entrate nella valutazione dei beni o dei valori imponibili
– Evidenziare vizi di notifica, carenze motivazionali o decadenza dei termini nell’atto di accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la dichiarazione e le irregolarità contestate dall’Agenzia
– Verificare la correttezza dei calcoli e la legittimità dell’accertamento
– Redigere ricorso fondato su vizi formali, sostanziali e sulla normativa applicabile
– Difendere l’erede o gli eredi in giudizio contro richieste indebite
– Tutelare il patrimonio ereditato ed evitare aggravi economici non giustificati
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione o eliminazione di sanzioni e interessi
– La possibilità di integrare correttamente la dichiarazione senza penalizzazioni eccessive
– La sospensione di procedure esecutive già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto per legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non agisci in tempo, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile difendersi.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e successioni – spiega come difenderti in caso di contestazioni su dichiarazioni di successione incomplete e come proteggere il tuo patrimonio ereditario.
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Introduzione
La dichiarazione di successione è un adempimento fiscale obbligatorio in Italia, mediante il quale gli eredi comunicano all’Amministrazione finanziaria l’attivo ereditario del defunto e calcolano le relative imposte (imposta di successione, ipotecaria, catastale, bolli, ecc.) . Quando una successione viene dichiarata in modo incompleto o infedele – ad esempio omettendo beni, indicando valori errati o dimenticando documenti – il Fisco può contestare tali irregolarità ed emettere atti impositivi (avvisi di liquidazione o accertamento) per recuperare le imposte dovute e applicare sanzioni . Questa guida, aggiornata ad agosto 2025, offre un approfondimento avanzato sulle contestazioni di dichiarazioni di successione incomplete e sulle strategie di difesa dal punto di vista del contribuente (erede o debitore), integrando la normativa italiana vigente, prassi amministrativa, giurisprudenza nazionale ed europea più recente.
Normativa di riferimento: la materia è disciplinata principalmente dal Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (D.lgs. 346/1990), più volte modificato, e dalle norme generali sulle sanzioni tributarie (D.lgs. 472/1997) e sul processo tributario (D.lgs. 546/1992). Nel 2024 è stata emanata una riforma fiscale (D.lgs. 18 settembre 2024 n.139, in vigore dal 2025) che ha introdotto importanti novità: in particolare il passaggio al principio dell’autoliquidazione dell’imposta di successione da parte degli eredi, nonché una riduzione generalizzata delle sanzioni per violazioni dichiarative . Queste novità – insieme alle più recenti pronunce giurisprudenziali, incluse quelle europee – saranno affrontate nella guida per offrire un orientamento aggiornato.
Struttura della guida: Dopo un inquadramento degli obblighi dichiarativi in materia successoria e delle tipologie di violazioni (omissione o infedeltà della dichiarazione), verranno analizzati gli atti con cui il Fisco esercita la propria pretesa (avvisi di liquidazione, avvisi di accertamento, cartelle di pagamento) e le sanzioni previste. Si passerà quindi agli strumenti di difesa del contribuente: correzione volontaria (dichiarazioni integrative e ravvedimento), procedure deflative (istanza di autotutela, accertamento con adesione, reclamo-mediazione) e ricorso dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria (le ex Commissioni Tributarie ). Saranno esaminate anche alcune tutele in sede civile (ad es. rapporti tra coeredi, opposizione alla riscossione) e principi di rilevanza sovranazionale (come la non discriminazione europea in materia di imposte di successione ).
La guida adotta un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a privati cittadini o imprenditori coinvolti in vicende successorie. Sono incluse tabelle riepilogative (ad esempio su sanzioni e termini) e una sezione finale di domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni con esempi pratici. L’obiettivo è fornire al debitore (cioè all’erede-contribuente chiamato a pagare imposte e sanzioni) gli strumenti conoscitivi per difendere i propri diritti, valutare la legittimità delle contestazioni e impostare le migliori strategie difensive, sia in sede amministrativa sia contenziosa, alla luce delle ultime evoluzioni normative e giurisprudenziali.
Obbligo di dichiarazione di successione e casi di esonero
In Italia la dichiarazione di successione va presentata entro 12 mesi dall’apertura della successione (coincidente con la data del decesso) . Sono obbligati a presentarla tutti i soggetti chiamati all’eredità che non vi abbiano rinunciato, gli eredi istituiti (anche per testamento) e i legatari, nonché eventuali rappresentanti legali o curatori dell’eredità e gli esecutori testamentari . È sufficiente che uno solo degli obbligati presenti la dichiarazione per adempiere all’obbligo anche per conto degli altri coeredi . La dichiarazione va redatta su apposito modello (telematico dal 2018) indicando i dati degli eredi e del defunto, la composizione dell’asse ereditario (beni mobili, immobili, partecipazioni, crediti, debiti, etc.), le eventuali franchigie ed esenzioni spettanti, e va corredata dai documenti richiesti (atti di ultima volontà, stati di famiglia, certificati catastali, prospetti di calcolo, ecc.).
Esonero dall’obbligo – “piccola successione”: la legge prevede un’esenzione dall’obbligo di presentare la denuncia di successione quando ricorrono congiuntamente determinate condizioni di limitata rilevanza dell’asse ereditario . In particolare, NON è obbligatorio presentare la dichiarazione se: (a) l’eredità è devoluta esclusivamente al coniuge e ai parenti in linea retta (figli, genitori, nipoti diretti) del defunto; e (b) l’attivo ereditario ha un valore non superiore a €100.000; e (c) nell’attivo non sono inclusi immobili o diritti reali immobiliari . Ad esempio, se Tizio muore lasciando un saldo di €50.000 in banca ai due figli e nessun immobile, i figli (parenti in linea retta) non sono tenuti alla dichiarazione di successione. Attenzione: questa esenzione riguarda l’obbligo dichiarativo, ma non significa che le imposte di successione non siano dovute – semplicemente, in mancanza di dichiarazione il Fisco potrebbe liquidare d’ufficio eventuali imposte (ad esempio quelle ipotecarie e catastali per trasferire gli immobili, se ve ne fossero) . Inoltre, le condizioni vanno verificate al momento del decesso ma anche successivamente: sopravvenienze ereditarie (beni del defunto che emergono dopo) possono far venir meno l’esonero e rendere necessaria la dichiarazione .
Sanzioni se omessa dichiarazione obbligatoria: chi, pur essendo tenuto, non presenta la dichiarazione entro 12 mesi commette una violazione tributaria. In caso di omessa presentazione, l’art. 50 TUS (come modificato nel 2024) prevede una sanzione amministrativa pari al 120% dell’imposta di successione liquidata o riliquidata dall’ufficio (con un minimo di €250 se non è dovuta imposta) . Prima della riforma, la sanzione era dal 120% al 240%, ma ora è stata ridotta e fissata al solo 120% minimo . È inoltre prevista una sanzione attenuata se la dichiarazione viene presentata con ritardo non superiore a 30 giorni: in tal caso la sanzione è del 45% dell’imposta (era dal 60% al 120% prima della riforma) . Ad esempio, se Caio avrebbe dovuto presentare la successione entro il 30 giugno ma la presenta il 20 luglio (20 giorni di ritardo) e il Fisco liquida €5.000 di imposta, potrà applicare una sanzione del 45% di €5.000, ossia €2.250. Viceversa, per ritardi superiori ai 30 giorni (o mancata presentazione del tutto) la sanzione sale al 120% dell’imposta. Tutte queste sanzioni, come vedremo, possono essere ridotte con strumenti come il ravvedimento operoso o il pagamento entro termini specifici.
Va evidenziato che se non vi era obbligo di dichiarazione (perché la successione rientrava nei casi esonerati sopra detti), nessuna sanzione è dovuta. In sede difensiva, quindi, è fondamentale verificare se l’Amministrazione finanziaria abbia contestato l’omissione pur in presenza dei requisiti di esonero: in tal caso l’atto impositivo sarebbe infondato e da impugnare esibendo le prove che gli eredi erano solo il coniuge e figli, l’attivo sotto soglia e privo di immobili.
Dichiarazione infedele o incompleta: definizione e conseguenze
Quando la dichiarazione di successione viene presentata entro il termine, ma contiene errori, omissioni o indicazioni inesatte, si configura quella che comunemente chiamiamo dichiarazione di successione “incompleta” o infedele. Le infedeltà possono consistere, ad esempio, nel omettere dei beni appartenenti all’asse ereditario (conti bancari, immobili, titoli, ecc. non dichiarati), nel sottovalutare il valore di un immobile o di un’azienda ereditata, nel riportare passività inesistenti o maggiori del reale, oppure anche nel semplice errore materiale che incide sul calcolo dell’imposta. Da un punto di vista giuridico, l’art. 51 TUS punisce l’“infedeltà della dichiarazione” distinguendo tra: infedeltà rilevanti ai fini del tributo (dati non veritieri che causano minor imposta) e infedeltà irrilevanti ai fini del tributo (errori formali che non incidono sull’imposta dovuta) .
Sanzioni per dichiarazione infedele: in base alla disciplina riformata dal settembre 2024, se vengono omessi o falsati dati rilevanti per la determinazione dell’imposta (ad es. un bene occultato, un valore dichiarato dimezzato, ecc.), si applica una sanzione pari all’80% della differenza d’imposta risultante dal controllo . Questa sanzione era prima prevista in misura variabile dal 100% al 200%, ma è stata ridotta e resa proporzionale (80% fisso) . Se invece le omissioni o inesattezze non incidono sull’imposta (ad esempio si è sbagliato a indicare un codice fiscale, oppure non si è allegato un documento prescritto senza però evitare il pagamento di imposta), allora la sanzione è fissa da €250 a €1.000 . Anche in questo caso la riforma ha ridotto gli importi (in passato erano sanzioni espresse ancora in lire, da 500mila a 2 milioni di lire, oggi aggiornati a 250-1000 €) .
È importante sottolineare che l’infedeltà si verifica sia quando si dichiara il falso, sia quando si omette di dichiarare qualcosa di rilevante. Ad esempio, se gli eredi non indicano nella denuncia un conto corrente estero intestato al de cuius, la dichiarazione è infedele per omessa indicazione di un cespite imponibile. Allo stesso modo, dichiarare un immobile per un valore di molto inferiore a quello di mercato (qualora ciò comporti meno imposta rispetto al dovuto) costituisce infedele dichiarazione: l’art. 14 TUS infatti stabilisce che gli immobili vanno dichiarati al valore venale in comune commercio, e se il contribuente utilizza il solo valore catastale quando l’imposta di successione è dovuta, l’Ufficio può rettificare e tassare al maggior valore di mercato . Spesso l’Agenzia delle Entrate, soprattutto prima della reintroduzione dell’imposta nel 2006, chiudeva un occhio sul valore catastale per il calcolo dell’imposta principale (limitandosi a quello per le imposte ipotecarie e catastali); ma in linea di principio ha sempre avuto il potere di rettificare il valore degli immobili ai fini dell’imposta di successione. Pertanto, indicare volontariamente un valore molto basso con intento elusivo può portare a una contestazione per infedele dichiarazione.
Come interviene il Fisco in caso di dichiarazione infedele: Diversamente dal caso di omessa dichiarazione (in cui l’Ufficio procede d’ufficio a determinare l’intera successione), in presenza di una dichiarazione già presentata ma ritenuta infedele l’Amministrazione attiva la procedura di rettifica. Ai sensi dell’art. 27, comma 3, TUS, l’ufficio può notificare un avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta dovuta, entro un termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta principale risultante dalla dichiarazione . In pratica, dopo aver ricevuto la dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate controlla i dati: se ritiene che vi siano beni non dichiarati o valori non corretti, calcola una imposta complementare (sulla differenza) e la richiede con avviso di liquidazione motivato. L’atto di rettifica deve intervenire entro 2 anni da quando è stata pagata l’imposta principale dovuta in base alla dichiarazione presentata . Ad esempio, se gli eredi hanno dichiarato e pagato nel 2022 un’imposta di successione di €10.000, ma nel 2023 emerge un bene nascosto, l’ufficio può notificare entro il 2024 un avviso di liquidazione per la maggiore imposta su tale bene.
<small>Nota: La legge collegava il termine di decadenza al “pagamento dell’imposta principale” perché, nel regime ante-2024, l’imposta di successione era liquidata direttamente dall’ufficio che la notificava agli eredi (i quali poi pagavano entro 60 giorni). Oggi con l’autoliquidazione è l’erede stesso che calcola e versa spontaneamente l’imposta dovuta: in tal caso, il termine biennale decorre dalla presentazione della dichiarazione (che implica il pagamento, dovendo l’erede versare subito). La sostanza comunque è che l’Ufficio ha due anni di tempo per contestare una dichiarazione infedele.*</small>
Se l’ufficio non agisce entro i 2 anni, l’eventuale infedeltà resta “sanata” dal punto di vista fiscale, perché scatta la decadenza dal potere di accertamento sulla dichiarazione in questione . Ciò non significa che beni occultati oltre tale termine sfuggano sempre: in alcuni casi, se l’omissione è tale da configurare addirittura una dichiarazione omessa per quei beni, l’Amministrazione potrebbe sostenere che quei cespiti non dichiarati costituiscono una nuova base imponibile da accertare con termini più lunghi (5 anni, come per la dichiarazione omessa). Su questo aspetto c’è stata disputa, specie nei casi di beni esteri emersi dopo. Come vedremo, la Cassazione con una pronuncia del 2022 ha chiarito che una voluntary disclosure tardiva non equivale a nuova dichiarazione di successione tale da far ripartire i termini: se l’Ufficio ha lasciato decorrere i 2 anni, non può accertare oltre inventandosi una “omessa dichiarazione” ex novo . In sintesi, per i beni non dichiarati originariamente ma scoperti poi, il Fisco deve esercitare i propri poteri nei termini previsti per la rettifica dell’infedeltà originaria, salvo che non si tratti di intera dichiarazione mai presentata.
Sopravvenienze ereditarie e dichiarazioni integrative: Può accadere che gli eredi stessi scoprano dopo la presentazione della dichiarazione iniziale alcuni beni o valori non considerati (le cosiddette sopravvenienze ereditarie). In questi casi la legge consente di presentare una dichiarazione integrativa o modificativa per aggiungere quanto emerso (art. 28 comma 6 TUS) . Importante: l’integrativa va presentata prima che l’Ufficio notifichi un avviso di rettifica sui nuovi elementi e, comunque, entro i termini di decadenza dell’accertamento . Fino alla scadenza dei 12 mesi originari era pacifico che si potesse integrare liberamente (art. 31 co.3 TUS) . Ma la giurisprudenza, già con una storica sentenza delle Sezioni Unite del 2004 (Cass. SU n.14088/2004) e poi con sentenze del 2011 e 2018, ha stabilito un principio generale di emendabilità della dichiarazione fiscale anche oltre i termini, purché prima che intervenga un formale accertamento . In altre parole, “la dichiarazione di successione, come ogni dichiarazione fiscale, può essere ritrattata e modificata, anche dopo la scadenza del termine fissato nell’art.31 D.lgs. 346/1990… purché prima della notificazione dell’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta” . Ciò significa che se gli eredi si accorgono di un errore o di un’omissione, devono agire tempestivamente: presentare un’integrativa spontanea li mette in condizione di sanare la posizione pagando il dovuto (con sanzioni ridotte per ravvedimento). Se invece attendono l’iniziativa del Fisco, subiranno la sanzione piena per infedele dichiarazione (80% della differenza).
Un caso particolare è quello dei beni esteri non dichiarati inizialmente. Spesso emergono tramite procedure di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) o segnalazioni internazionali. La Cassazione ha chiarito che l’emersione postuma di attività finanziarie o patrimoniali detenute all’estero dal defunto configura una sopravvenienza ereditaria tassabile: gli eredi sono tenuti a presentare dichiarazione integrativa e pagare l’imposta di successione relativa a detti beni . In concreto, se in una VD (voluntary disclosure) l’erede dichiara, ad esempio, che il defunto possedeva un conto in Svizzera mai inserito in successione, ciò non costituisce una “nuova” dichiarazione di successione autonoma, ma semplicemente una comunicazione che impone all’AdE di esercitare i poteri accertativi secondo le regole ordinarie . L’Ufficio dovrà quindi (se nei termini) emettere un avviso di liquidazione per imposta complementare su quel conto estero. Se però i termini biennali erano già scaduti, non potrà farlo. Cassazione, ord. n. 20933/2022: in un caso del genere, la Suprema Corte ha annullato un avviso tardivo, ribadendo che un’istanza di voluntary disclosure relativa a beni ereditari esteri non integra una nuova dichiarazione di successione idonea a riaprire i termini; l’atto impositivo originariamente emesso per infedele dichiarazione era quindi decaduto perché notificato oltre il biennio . Inoltre, la Corte ha censurato il tentativo dell’Ufficio di mutare in corso di causa la motivazione dell’atto (da infedele a omessa dichiarazione) come espediente per aggirare la decadenza: ciò lede il diritto di difesa del contribuente ed è inammissibile .
Riassumendo, in caso di dichiarazione incompleta: – Il Fisco procede con rettifica (avviso di liquidazione per imposta complementare) entro 2 anni dal pagamento dell’imposta principale . – La sanzione applicata è proporzionata alla maggiore imposta: oggi 80% della differenza (prima della riforma, 100-200%). Se l’infedeltà non produce differenza d’imposta, sanzione fissa €250-1000 . – Gli eredi possono prevenire o limitare il contenzioso presentando spontaneamente una dichiarazione integrativa (finché non arriva un avviso) e versando il dovuto con ravvedimento operoso, ottenendo sanzioni ridotte (anche a 1/8 o 1/5 del minimo, a seconda dei tempi, secondo l’art.13 D.lgs. 472/97). – Decorso il termine biennale, l’accertamento di infedeltà non è più ammesso (salvo situazioni qualificabili come omessa dichiarazione su cui l’Ufficio non sia decaduto).
Nel dubbio su come qualificare una violazione (infedele o omissiva) prevale il fatto che se una dichiarazione, ancorché errata, esiste, la si contesta ex art. 51 TUS (infedele) e non ex art.50 (omessa). Ciò può essere oggetto di discussione tecnica, ma è cruciale perché i termini e le sanzioni differiscono. In sede difensiva, l’erede può far valere la decadenza biennale se l’atto è tardivo e contestare eventuali riqualificazioni improprie da parte del Fisco (come sostenere che un’integrativa nulla equivalga a omissione per avere 5 anni di tempo – tesi smentita dalla Cassazione ).
Tabella riepilogativa – Violazioni dichiarative successione e sanzioni (post-riforma 2024):
Violazione (dich. succ.) | Sanzione base (D.lgs. 346/1990, mod. 2024) | Note e riferimenti normativi |
---|---|---|
Omessa dichiarazione (oltre 12 mesi) | 120% dell’imposta dovuta (min €250) | Era 120-240% prima della riforma. Riduzione 1/3 se pagata entro 60gg dall’avviso (sanz. effettiva 40%) . Se nessuna imposta dovuta, sanzione fissa €250-€1.000 . Ritardo ≤30 gg: 45% imposta . |
Dichiarazione infedele (omissioni/dati falsi rilevanti) | 80% della maggiore imposta dovuta | Era 100-200% ante riforma. Riduzione 1/3 con pagamento entro 60gg avviso (sanz. effettiva ~26,7% diff.). Ravvedimento operoso possibile prima dell’avviso (riduzione variabile). |
Infedeltà formale (errori senza imposta evasa) | €250 – €1.000 | Era 500.000-2.000.000 lire ante riforma. Violazioni es.: mancata allegazione documenti, indicazione errata di dati non fiscali. |
Omesso/insufficiente versamento imposte (es. ipotecarie) | 30% dell’importo non versato (art.13 D.lgs.471/97) | Ridotta automaticamente a 10% se si paga entro 60 gg dalla notifica dell’avviso (un terzo del 30%). Se oltre 60gg, resta 30% + interessi moratori. |
(La tabella riassume le principali sanzioni in vigore dal 1° settembre 2024 per violazioni commesse da tale data; per violazioni precedenti ancora pendenti si applica il principio del favor rei se più favorevole. Ad esempio, una dichiarazione infedele del 2023 contestata nel 2025 beneficerà della sanzione ridotta all’80% in luogo del previgente minimo 100% .)
Avviso di liquidazione e avviso di accertamento: differenze e caratteristiche
Quando il Fisco riscontra irregolarità nella dichiarazione di successione, può emettere diversi tipi di atti impositivi. È fondamentale capire la differenza tra un avviso di liquidazione e un avviso di accertamento, poiché si tratta di strumenti con presupposti e contenuti differenti, pur avendo in comune la funzione di formalizzare una pretesa tributaria e potendo entrambi essere impugnati dal contribuente .
- Avviso di liquidazione: è l’atto con cui l’ufficio liquida (ossia calcola) un’imposta dovuta in base ad atti o dichiarazioni già presentati dal contribuente. Nel contesto successorio, l’avviso di liquidazione interviene tipicamente dopo la presentazione della dichiarazione di successione, per richiedere importi ulteriori risultanti da un controllo formale o da una rettifica. Ad esempio, per successioni fino al 2024, la prassi era che una volta presentata la dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate calcolava l’imposta dovuta sugli immobili e sul valore complessivo ereditato, tenendo conto di franchigie e aliquote, e quindi inviava agli eredi un avviso di liquidazione indicante l’ammontare da pagare (imposta principale di successione, imposte ipotecarie e catastali, bollo) entro 60 giorni . A partire dalle successioni aperte dal 2025, invece, vige il principio dell’autoliquidazione: sono gli eredi stessi a dover calcolare e versare spontaneamente l’imposta di successione contestualmente alla dichiarazione . L’Ufficio successivamente effettua un controllo; se emerge un maggior importo dovuto (per errori di calcolo, mancato pagamento di qualche tributo, perdita di agevolazioni), allora notifica un avviso di liquidazione entro 2 anni dalla presentazione della dichiarazione . In sostanza, con la nuova disciplina, l’avviso di liquidazione in materia successoria è mirato solo ai casi di liquidazione errata da parte del contribuente, mentre prima era la prassi anche per la liquidazione ordinaria.
Un avviso di liquidazione non “scopre” nuovi beni imponibili, ma si basa su elementi già noti o dichiarati, limitandosi a rettificare il calcolo dell’imposta dovuta . Ad esempio, se l’erede ha indicato un immobile di valore €100.000 ma l’ufficio lo ritiene invece €150.000, emetterà un avviso di rettifica e liquidazione per chiedere l’imposta sulla differenza di €50.000. Oppure se l’erede ha usufruito di un’agevolazione “prima casa” ma poi si accerta che non ne aveva diritto, l’ufficio liquiderà la maggiore imposta ipotecaria/catastale dovuta revocando l’agevolazione. Formalmente, nell’avviso di liquidazione devono essere indicati la base imponibile e l’imposta come ricalcolate dall’ufficio, le norme applicate, nonché l’eventuale sanzione e gli interessi . La motivazione deve mettere l’erede in grado di capire quali variazioni sono state apportate rispetto alla dichiarazione originaria (es: “valore immobile X rettificato da 100k a 150k secondo valori OMI”) . Un avviso che si limitasse a chiedere una somma senza spiegare da quale base imponibile deriva violerebbe l’obbligo di motivazione (art.7 L.212/2000 – Statuto del Contribuente) e sarebbe nullo .
L’avviso di liquidazione rientra tra gli atti impugnabili in sede tributaria (espressamente elencato nell’art.19 D.lgs.546/92) e va impugnato entro 60 giorni dalla notifica se lo si ritiene infondato. Entro lo stesso termine occorre pagarne l’importo (salvo che si decida di impugnarlo chiedendo eventualmente la sospensione). Il pagamento entro 60 giorni comporta, come detto, il beneficio della sanzione ridotta (di norma è già calcolata ridotta a 1/3 nell’atto) . Dopo 60 giorni, in mancanza di ricorso o pagamento, l’avviso diviene definitivo e le somme saranno iscritte a ruolo per la riscossione forzata (con aggiunta di interessi di mora e della sanzione intera) .
- Avviso di accertamento d’ufficio: è invece l’atto con cui l’Amministrazione accerta materia imponibile non dichiarata affatto dal contribuente . Nel campo delle successioni, l’avviso di accertamento si utilizza in caso di omessa dichiarazione di successione (art. 27, comma 4 TUS) o eventualmente quando si scopre una “nuova” eredità non denunciata. In pratica, se gli eredi non presentano la dichiarazione, l’Agenzia – avuta notizia del decesso e dei beni lasciati (per esempio tramite registri immobiliari, banche, uffici anagrafe) – può procedere a determinare essa stessa l’attivo ereditario e liquidare le imposte relative, notificando un avviso di accertamento. Questo atto conterrà l’elenco dei beni noti al Fisco appartenenti al defunto, il calcolo delle imposte dovute su tali beni (imposta di successione e imposte ipotecarie-catastali) e l’irrogazione della sanzione per omessa dichiarazione (120% dell’imposta) . Il termine di decadenza per notificare un accertamento d’ufficio è 5 anni dal termine di presentazione della dichiarazione . Dato che la dichiarazione andava presentata entro 12 mesi dal decesso, in sostanza l’Ufficio ha tempo fino a 6 anni dal decesso per accertare (es: decesso avvenuto il 10 marzo 2020, termine ordinario dichiarazione 10 marzo 2021, decadenza accertamento omessa dichiarazione 10 marzo 2026). Se entro tale termine gli eredi presentano comunque una dichiarazione tardiva prima di ricevere l’accertamento, l’Ufficio normalmente accetta la dichiarazione tardiva (ai sensi dell’art.33 TUS) liquidando le imposte dovute su di essa e applicando la sanzione per tardiva presentazione . Se invece notifica direttamente l’accertamento, la dichiarazione non è più possibile per quei beni (anche se nulla vieta di presentarla a posteriori a titolo “tombale”).
Differenze sostanziali: l’avviso di accertamento implica che il Fisco abbia svolto un’attività istruttoria sostanziale per individuare beni e valori non dichiarati (ad esempio ottenendo informazioni da banche, conservatorie, registri) – in questo senso è assimilabile agli accertamenti in materia di imposte dirette (es. redditi non dichiarati) . L’avviso di liquidazione, invece, spesso consegue ad attività di controllo formale o automatizzato sui dati forniti dallo stesso contribuente . Entrambi gli atti, tuttavia, sono impugnabili e devono essere motivati: nel caso dell’accertamento, la motivazione riguarderà l’iter con cui l’Ufficio ha ricostruito l’asse ereditario e la base imponibile non dichiarata (spiegando le fonti dei dati, ad es. “saldo conto corrente XXX comunicato dalla banca Y”) – anche qui la mancanza di motivazione rende nullo l’atto.
Riassumendo: per una dichiarazione di successione incompleta, nella generalità dei casi ci troveremo di fronte a un avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta su quanto omesso o sottostimato. Se invece la dichiarazione è stata del tutto omessa, arriverà un avviso di accertamento d’ufficio dell’intera successione. In alcuni casi “ibridi” – ad esempio un bene importante omesso che di fatto rappresenta buona parte dell’asse – l’Ufficio potrebbe qualificare la situazione come omessa dichiarazione limitata a quel bene: ma solitamente, se una dichiarazione esiste per il resto, si procede con rettifica (infedele) su quel bene. La differenza è rilevante perché, come visto, il termine per agire è diverso (2 anni vs 5 anni) e le sanzioni cambiano (infedele 80%, omessa 120%).
Esempio pratico: Il Sig. Verdi muore lasciando un appartamento e conti correnti. Gli eredi presentano dichiarazione indicando tutto tranne un conto in Svizzera che ignoravano. L’Agenzia scopre il conto estero tramite scambio di informazioni nel 2024: a quel punto può: – considerare l’intera dichiarazione originaria infedele e notificare un avviso di liquidazione per maggiore imposta sul saldo svizzero (entro 2 anni dal pagamento dell’imposta originaria, con sanzione 80% sulla nuova imposta); – oppure sostenere che, per quel conto estero, siamo in presenza di omessa dichiarazione (poiché il bene non era minimamente dichiarato) e notificare un accertamento per quel cespite entro 5 anni, con sanzione 120%.
La seconda strada è però discutibile: la Cassazione nel caso analogo della voluntary disclosure ha detto che se una dichiarazione comunque c’era, le violazioni si trattano come infedeltà . Quindi normalmente sarà un avviso di liquidazione. Sarà compito del legale del contribuente verificare la correttezza della qualificazione e, se del caso, eccepire la decadenza dell’atto (es. se l’Ufficio ha usato impropriamente 5 anni per un bene già conosciuto oltre i 2 anni).
Contenuto degli avvisi: sia negli avvisi di liquidazione che in quelli di accertamento, l’atto riporterà una sorta di conto con l’imposta principale o complementare dovuta, la sanzione e gli interessi calcolati fino alla data (interessi calcolati al tasso legale annuo dal giorno di scadenza del tributo) . Ad esempio, un avviso potrebbe recitare: “Imposta successione complementare €5.000; Sanzione art.51 TUS 80% = €4.000 (ridotta a €1.333 se pagato entro 60gg); Interessi legali €200; Totale €9.200”. Le modalità di pagamento sono solitamente indicate (oggi di norma tramite modello F24 con specifici codici tributo: ad esempio codice A139 per sanzione da avviso di liquidazione imposta successioni , codice A152 per interessi ). In calce all’atto vengono anche citate le norme a fondamento (ad es. “art.50 TUS” se omessa, “art.51 TUS” se infedele, “art.13 D.lgs.471/97” se omesso versamento, ecc.) .
Gli eredi (contribuenti) destinatari sono indicati nominativamente nell’atto; può esserne notificata una copia a ciascuno, ma spesso l’Ufficio invia l’atto anche a un solo coerede (magari quello che ha presentato la dichiarazione). Data la vigenza della responsabilità solidale degli eredi per l’imposta di successione (art.36 TUS) , l’atto unico è valido nei confronti di tutti: ciascun erede è infatti obbligato al pagamento dell’intera imposta dovuta complessivamente . Questo significa che il Fisco potrebbe richiedere a un singolo erede di versare anche la parte di imposta relativa agli altri coeredi (fermo restando il diritto di rivalersi internamente su di essi). Nella prassi comunque, se l’atto è notificato a tutti, ognuno pagherà la sua quota; se uno non paga, l’Agente della Riscossione potrebbe rivolgersi agli altri per il restante. La solidarietà si estende anche alle imposte ipotecarie e catastali e agli importi dovuti dai legatari . Il coerede con beneficio d’inventario è solidalmente obbligato solo nei limiti del valore della propria quota ereditaria .
Diritti del contribuente e strategie difensive (fase pre-contenziosa)
Ricevere un avviso di liquidazione o accertamento non significa che la pretesa dell’Erario sia definitiva o infallibile. L’ordinamento tributario offre vari strumenti con cui il contribuente può far valere le proprie ragioni e ottenere l’annullamento o la riduzione dell’atto, senza dover necessariamente arrivare a sentenza. In questa sezione esaminiamo le possibili strategie difensive nella fase pre-contenziosa, ovvero prima (o in alternativa) del ricorso al giudice. Tali strumenti “deflattivi” del contenzioso includono: l’istanza di autotutela, l’accertamento con adesione, il reclamo e mediazione e il ravvedimento operoso (quest’ultimo attuabile però solo prima che l’atto sia notificato).
Autotutela: correzione interna dell’atto da parte dell’Ufficio
L’autotutela consiste nel potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di correggere o annullare spontaneamente i propri atti quando riconosca che sono viziati o errati. Il contribuente che riceve un avviso di liquidazione o accertamento può presentare un’istanza in autotutela all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’atto, segnalando eventuali errori e chiedendone l’annullamento (totale o parziale). Ad esempio, è opportuno fare istanza di autotutela se ci si accorge che l’Ufficio ha commesso un evidente sbaglio di calcolo, oppure ha ignorato un documento che invece era stato prodotto e che dava diritto a un’agevolazione, o ancora se l’atto è stato notificato alla persona sbagliata (magari a un omonimo) o contiene altri errori macroscopici. In questi casi l’Agenzia può provvedere direttamente ad annullare o rettificare l’atto senza bisogno di tribunale.
Limiti dell’autotutela: va detto che l’autotutela è discrezionale per l’Amministrazione: il contribuente non ha un diritto soggettivo a ottenerla e il diniego (espresso o tacito) dell’ufficio non è impugnabile autonomamente . Pertanto, l’istanza di autotutela non sospende né i termini di pagamento né quelli per presentare ricorso . Se il termine di 60 giorni per impugnare sta per scadere e l’ufficio non ha ancora accolto l’istanza, occorre comunque depositare il ricorso per evitare decadenze, perché non si può impugnare in giudizio il mancato accoglimento dell’autotutela . In pratica, l’autotutela funziona bene in casi lampanti di errore: ad esempio, se l’avviso richiede un’imposta già pagata o calcolata due volte, l’ufficio probabilmente annullerà in tempi rapidi. Ma se si tratta di contestare valutazioni o interpretazioni normative, difficilmente l’Agenzia ammetterà l’errore in autotutela.
Come presentare l’istanza: va redatta in forma scritta, indirizzata all’ufficio territorialmente competente (indicato nell’intestazione dell’avviso stesso). Conviene indicare i riferimenti dell’atto (numero, protocollo, data notifica) e motivare in modo sintetico ma chiaro l’errore riscontrato, allegando eventuale documentazione probatoria. L’istanza può essere presentata a mano (facendone protocollare una copia) oppure inviata via PEC o raccomandata A/R. Talvolta, per questioni urgenti, può essere utile recarsi di persona presso l’ufficio per discuterne con il funzionario incaricato: se questi riconosce l’errore, potrà attivare la procedura di annullamento d’ufficio dell’atto. L’annullamento o la rettifica in autotutela viene formalizzato con un provvedimento dell’Agenzia (spesso una comunicazione scritta all’istante). Se l’ufficio accoglie parzialmente l’istanza (ad esempio riducendo l’imponibile ma non annullando tutto), il contribuente potrà comunque impugnare quanto residua di contestato.
In tema di successioni, esempi classici di autotutela riguardano: – Errori di calcolo o doppia imposizione: ad es. l’ufficio ha conteggiato due volte lo stesso immobile o non ha tenuto conto di un credito d’imposta spettante. – Agevolazioni prima casa: se l’avviso nega l’agevolazione ma l’erede in realtà possedeva i requisiti e ciò emerge da documenti non valutati, si può chiedere in autotutela l’annullamento rifacendo l’istruttoria (specie alla luce della Risoluzione 66/E 2024 che ha chiarito che la richiesta tardiva dell’agevolazione non preclude il beneficio) . – Soggetto errato: l’avviso intestato a un soggetto che aveva rinunciato all’eredità, o a un erede già deceduto: qui l’atto è nullo assoluto. – Vizi formali palesi: come l’assenza di motivazione o la mancanza della firma del capo ufficio: anche se in teoria tali vizi vanno fatti valere in giudizio, si può tentare l’autotutela (l’Agenzia a volte rimuove l’atto viziato per emetterne uno corretto).
In generale, è sempre consigliabile tentare l’autotutela se vi sono fondati motivi, ma senza fare affidamento esclusivo su di essa. La sicurezza la dà solo il ricorso tempestivo: si può presentare ricorso e contemporaneamente continuare a interloquire con l’ufficio sperando in una soluzione extragiudiziale (in caso positivo, si potrà sempre rinunciare al ricorso). L’importante è non lasciar scadere i termini confidando nell’esito dell’autotutela .
Accertamento con adesione: negoziare con l’Ufficio
Lo strumento dell’accertamento con adesione (D.lgs. 218/1997) consente al contribuente di evitare il giudizio trovando un accordo con l’Amministrazione sulla pretesa fiscale. Sebbene sia più noto in ambito di imposte sui redditi e IVA, è applicabile anche agli avvisi di liquidazione/accertamento in materia di imposta di successione . In pratica, una volta ricevuto l’atto (liquidazione o accertamento), il contribuente può presentare un’istanza di adesione all’ufficio entro il termine per ricorrere (60 giorni). La presentazione dell’istanza sospende il termine per fare ricorso per 90 giorni . Durante questo periodo, l’ufficio è tenuto a convocare il contribuente per instaurare un contraddittorio.
Nella sede dell’adesione si discute il merito delle contestazioni e si cerca un compromesso: ad esempio, su un immobile contestato come sotto-valutato, si può concordare un valore intermedio tra quello dichiarato e quello preteso dall’ufficio, magari supportato da una perizia di parte; oppure su sanzioni si può ottenere il minimo edittale. Se si raggiunge l’accordo, viene redatto un atto di adesione che va firmato dal contribuente e dal dirigente dell’ufficio e seguito dal pagamento (o prima rata) entro 20 giorni. Con la definizione per adesione, le sanzioni vengono automaticamente ridotte a 1/3 di quelle originariamente applicate (salvo quelle già ridotte per definizione agevolata) . Nel caso degli avvisi di liquidazione successione, spesso la sanzione indicata è già ridotta a un terzo se paghi entro 60gg, come visto. Dunque aderire non comporta un’ulteriore riduzione sanzionatoria oltre a quella, ma evita il contenzioso e cristallizza un importo concordato. Se non si trova l’accordo, il contribuente può comunque proporre ricorso entro 60 giorni dalla mancata definizione (tenendo conto che l’istanza ha sospeso i termini per 90 gg) .
Utilità dell’adesione nel contesto successione: questo strumento è utile soprattutto quando la contestazione verte su questioni di valore o di quantificazione dell’imposta. Ad esempio, l’ufficio pretende €50.000 di maggior imposta su un bene estero: mostrando documenti che ne provano un valore inferiore o altre passività, si potrebbe trattare per ridurre l’imponibile. Anche in casi di incertezza giuridica (es. sull’applicabilità di un’agevolazione) l’adesione può portare a una soluzione intermedia (tipo: pagamento dell’imposta ma sanzioni minime). Va detto che l’adesione richiede spesso un confronto serrato e la presenza di un professionista esperto può fare la differenza nel persuadere il funzionario sulle proprie tesi. Vantaggio non trascurabile: la presentazione dell’adesione congela la situazione e impedisce la formazione del ruolo (l’iscrizione a ruolo è sospesa) fintanto che la procedura di adesione è in corso, dando respiro al contribuente e tempo per eventualmente reperire le somme. Se l’adesione va a buon fine, non vi sarà contenzioso; se fallisce, si avrà comunque guadagnato 90 giorni di tempo in più per preparare il ricorso .
Reclamo e mediazione obbligatoria
Per le controversie di valore non elevato, il nostro ordinamento prevede un procedimento preliminare di reclamo/mediazione tributaria (art.17-bis D.lgs.546/92). Attualmente (2025) tale procedura è obbligatoria per le cause di valore fino a €50.000 – valore calcolato sommando importo dell’imposta e delle sanzioni richieste con l’atto, al netto degli interessi. Ciò significa che, ad esempio, se un avviso di liquidazione chiede €30.000 di imposte e €5.000 di sanzioni, siamo sotto soglia e il contribuente, prima di giungere davanti al giudice, deve esperire il reclamo. In pratica, il ricorso tributario che si deposita in Commissione (ora Corte di Giustizia Tributaria) vale anche come istanza di reclamo: viene inviato all’ufficio che ha emesso l’atto, il quale – entro 90 giorni – può decidere di accoglierlo parzialmente o integralmente, oppure di proporre una mediazione. Se entro 90 giorni non c’è accordo, il ricorso prosegue automaticamente in giudizio.
Nel campo delle successioni, spesso gli importi in gioco superano i 50.000 €, ma non di rado ci sono liti minori (es. una piccola sanzione fissa, o una differenza su imposte ipocatastali). Il vantaggio di raggiungere un accordo in sede di mediazione tributaria è che, oltre a evitare il processo, le sanzioni vengono ridotte al 35% (anziché 100%) delle somme contestate, per effetto dell’art.17-bis. Se l’ufficio capisce di avere la peggio in giudizio, potrebbe quindi essere incentivato a chiudere in mediazione abbattendo un po’ la pretesa. Per il contribuente, accettare una mediazione significa rinunciare a portare avanti il ricorso, ma in cambio ottenere un esito certo e immediato (ad esempio, sgravio del 30% dell’imposta e sanzioni ridotte al 35% del minimo). La valutazione va fatta caso per caso.
In sintesi, il panorama deflattivo pre-contenzioso offre varie vie di uscita che possono evitare un lungo processo: – Autotutela: per errori palesi; esito incerto ma tentare non nuoce (senza far decadere i termini di ricorso). – Ravvedimento operoso: prima dell’atto, se sei in tempo, approfittarne sempre per autodenunciarsi con sanzioni ridotte. – Adesione: per discutere nel merito col Fisco e magari transare su importi e sanzioni; utile per guadagnare tempo. – Mediazione: obbligatoria sotto 50k, può portare a sconti sulle sanzioni e a un accordo bonario se l’ufficio riconosce qualche ragione.
Il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie)
Se la fase amministrativa non risolve la controversia, l’ultimo baluardo a tutela del contribuente è il ricorso in sede giurisdizionale, avanti alle Corti di Giustizia Tributaria (nuova denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, come rinominate dalla riforma del 2022 ). Vediamo gli aspetti pratici principali del contenzioso tributario in materia di successioni.
Chi giudica e competenza
Le controversie su imposte di successione rientrano nella giurisdizione tributaria: quindi il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado competente per territorio. La competenza territoriale di regola è quella del luogo di domicilio fiscale del contribuente, oppure secondo la sede dell’ufficio che ha emesso l’atto (la normativa indica criteri precisi, ma in materia di successione spesso coincidono). Ad esempio, se l’Agenzia di Milano invia un avviso all’erede residente a Milano, competente è la CGT di Milano (primo grado). In secondo grado giudica la CGT di Secondo Grado (ex Commissione Regionale) competente per la Lombardia. Eventuale ricorso per Cassazione è ammesso solo per motivi di diritto, dopo la sentenza di secondo grado.
Il giudizio tributario è in genere documentale, cioè si basa sugli atti e documenti prodotti dalle parti; difficilmente c’è bisogno di testimonianze (che peraltro non sono ammesse in modo pieno nel processo tributario). Nelle cause relative a dichiarazioni di successione, spesso le questioni sono di diritto (es. interpretazione di norme agevolative) o di valutazione tecnica (valore di un bene): in quest’ultimo caso, le parti possono produrre perizie di parte, e il giudice volendo può nominare un CTU (consulente tecnico) se serve a stimare un immobile o un’azienda ereditata.
Tempistiche e sospensione
Il ricorso va notificato all’ente impositore (Agenzia Entrate) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato (90 giorni se ci si trova all’estero). Dopo la notifica, va depositato presso la segreteria della Corte Tributaria entro 30 giorni. Questi termini, come visto, sono sospesi se si attiva l’adesione (+90 gg) o in caso di reclamo (ma in tal caso il deposito coincide con l’istanza stessa). I tempi di definizione di un giudizio tributario di primo grado possono variare: mediamente 1-2 anni, anche se le recenti riforme puntano ad accelerare.
È cruciale sapere che la proposizione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione dell’atto impugnato. In altre parole, l’atto (specie se è un avviso di liquidazione) scaduto il termine di pagamento, potrebbe essere inviato a ruolo anche pendente causa. Per evitare effetti irreversibili (fermo amministrativo, ipoteche, ecc.), il contribuente può presentare istanza di sospensione al giudice tributario, chiedendo che la riscossione venga sospesa in via cautelare fino alla sentenza . La sospensione viene concessa se ricorrono gravi e fondati motivi: in pratica si deve dimostrare sia la fondatezza del ricorso (fumus boni iuris), sia il danno grave e irreparabile che deriverebbe dall’esecuzione immediata dell’atto (per esempio, importo elevato che manderebbe in rovina l’erede, o necessità di vendere la casa di famiglia, ecc.). Se concessa, la sospensione blocca la riscossione fino alla decisione di merito in primo grado.
Motivi di ricorso più frequenti
Nel contestare un avviso relativo alla successione, i motivi di ricorso possono riguardare sia vizi formali/procedurali dell’atto, sia questioni sostanziali di merito: – Vizi di notifica o di legittimazione: es. avviso notificato oltre i termini di decadenza (motivo fondamentale: decadenza del potere accertativo); avviso notificato a soggetto non legittimato (es. un erede rinunciatario, o notificato presso un indirizzo errato); difetto di sottoscrizione dell’atto (manca la firma del capo ufficio). – Vizi di motivazione: se l’avviso non espone chiaramente le ragioni della rettifica. Ad esempio, Cassazione ha annullato avvisi che non esplicitavano la base imponibile su cui era calcolata la maggiore imposta . La motivazione è essenziale per permettere al contribuente di difendersi. – Errori nei calcoli: contestare la quantificazione dell’imposta o delle sanzioni se risulta errata. A volte l’Ufficio sbaglia ad applicare le aliquote o le franchigie – va verificato ricalcolando tutto. – Contestazione dei presupposti di fatto: es. l’Ufficio include beni che non appartenevano al defunto, o ignora passività deducibili. Se viene tassato un bene non ereditario (magari cointestato con un terzo), l’erede dovrà provare che non andava incluso. – Questioni giuridiche/interpretative: qui rientrano le agevolazioni prima casa (es. se l’Ufficio le nega perché la dichiarazione era tardiva oltre 12 mesi – oggi, alla luce della Risoluzione 66/2024, si può sostenere che la norma non prevede decadenza e quindi l’agevolazione spetta comunque ); oppure le esenzioni per aziende e partecipazioni (art.3 co.4-ter TUS) se l’ufficio le disconosce; o la questione delle donazioni pregresse (coacervo) per il calcolo delle franchigie, ecc. – Valore dei beni: il contenzioso più classico in materia di successione è sulla valutazione degli immobili o aziende. L’erede può contestare il maggior valore accertato dall’Agenzia portando elementi (es. perizia giurata, valori OMI inferiori, stato di conservazione mediocre del bene, comparabili di mercato). Il giudice potrebbe ridurre il valore imponibile se reputa fondati i rilievi del contribuente. – Sanzioni: si possono contestare le sanzioni per sproporzione o indebito cumulo. Ad esempio, se l’erede prova di aver commesso una violazione in buona fede e di aver subito già altre conseguenze, può chiedere al giudice l’applicazione del principio di proporzionalità della sanzione (riconosciuto anche a livello europeo). Oppure far valere il favor rei se la sanzione è stata modificata in melius prima della decisione definitiva (come avvenuto nel 2024: i giudici applicheranno la sanzione ridotta se più favorevole, in virtù dell’art.3 D.lgs.472/97 e anche dell’art.7 CEDU sul divieto di pene più severe retroattive). Infine, far presente che le sanzioni del defunto non sono trasmissibili: se, ad esempio, l’avviso includesse per errore una multa relativa a un’omissione del de cuius, quella parte è illegittima perché gli eredi non ne rispondono .
In giudizio tributario, il contribuente può richiedere non solo l’annullamento dell’atto impugnato, ma anche la condanna alle spese di giudizio a carico dell’ufficio se soccombente. Non si possono chiedere danni in questa sede (andrebbero semmai azionati in separata sede civilistica, ma raramente conviene). Tuttavia, esiste la possibilità, in caso di tempi lunghi, di chiedere un indennizzo per l’irragionevole durata del processo (legge Pinto) se si superano certi anni – ma speriamo non sia necessario.
Giurisprudenza di legittimità e principi guida
In un processo tributario su imposta di successione, è spesso utile richiamare orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione che avvalorino la propria tesi. Riassumiamo alcune pronunce chiave (molte già citate) che costituiscono principi di diritto consolidati: – Cass. SS.UU. 14088/2004: la dichiarazione di successione è emendabile e ritrattabile anche oltre i termini, poiché il termine annuale è ordinatorio (non incide sull’efficacia della dichiarazione, ma solo sulle sanzioni) . – Cass. 24265/2011: conferma il principio di cui sopra, estendendolo a qualunque errore non meramente materiale – gli eredi possono correggere gli errori anche sostanziali prima dell’intervento dell’ufficio . – Cass. 31729/2018: l’emersione post mortem di capitali all’estero del de cuius comporta obbligo di dichiarazione integrativa (sopravvenienza ereditaria tassabile ex art.28 c.6 TUS) . – Cass. ord. 9890/2019 e 20132/2020: in materia di agevolazione prima casa, avevano ritenuto che dovesse essere richiesta entro 12 mesi (in dichiarazione, integrativa se del caso) pena decadenza . Tale indirizzo però è stato poi superato dalla prassi del 2024 che ha ammesso la fruizione oltre il termine annuale in presenza di requisiti sostanziali (assenza di un termine decadenziale espresso) . – Cass. ord. 20933/2022: (caso voluntary disclosure) l’istanza di VD non è equiparabile a nuova dichiarazione di successione; l’avviso di liquidazione emesso oltre il biennio sulla base della VD è tardivo e va annullato . Inoltre l’Agenzia non può in corso di causa mutare la motivazione dell’atto (infedele vs omessa) per sanare la decadenza . – Cass. ord. 8684/2025: ribadito il principio dell’intrasmissibilità delle sanzioni tributarie agli eredi. Le sanzioni hanno natura personale e afflittiva, dunque se riferite a violazioni commesse dal defunto si estinguono con la morte e non possono essere pretendere dai successori . Il fondamento è nell’art.8 D.lgs.472/97 e nell’art.27 Cost. sul carattere personale della responsabilità . Questo può rilevare se, ad esempio, l’ufficio tenta di addebitare agli eredi la sanzione per omessa dichiarazione di successione quando l’obbligo incombeva in capo a un curatore o al chiamato poi rinunciante: bisogna verificare chi ha commesso la violazione. – Cass. 592/2024 (Corte Giust. Trib. II grado Lombardia): ha ricordato che gli eredi sono coobbligati in solido per l’imposta di successione complessiva (con regresso interno proporzionale). Questo conferma quanto stabilito dall’art.36 TUS , utile ad esempio se un coerede pretende che “ognuno paghi solo la sua parte”: verso il Fisco non è così, possono escutere anche uno solo.
Naturalmente, ogni caso concreto può presentare peculiarità. Un buon atto di ricorso deve essere “su misura” del caso di specie, evidenziando i fatti e documenti utili e inquadrandoli nei giusti principi di legge.
Esito del giudizio e gradi successivi
All’esito del processo di primo grado, la Corte Tributaria emette una sentenza che può accogliere (annullare in tutto o parte l’atto impugnato) oppure respingere il ricorso (confermando la pretesa fiscale). In caso di soccombenza parziale, di solito le spese legali vengono compensate oppure ripartite. La sentenza è appellabile entro 60 giorni dalla notifica della medesima, presentando appello alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado competente. L’appello può riguardare sia questioni di merito che di diritto, ed è un riesame completo della causa. Dopo la sentenza di secondo grado, è eventualmente possibile il ricorso in Cassazione (entro 60 giorni) ma solo per motivi di legittimità (violazioni di legge, vizi di motivazione ormai in modo limitato). La Cassazione non rivede i fatti né i valori, ma solo se sono state applicate correttamente le norme.
Nel frattempo, la riscossione dell’imposta segue regole precise: se il contribuente vince in primo grado con sentenza favorevole, l’obbligo di pagamento viene sospeso e l’atto annullato; se invece aveva perso e fatto appello, per evitare l’esecuzione forzata deve pagare intanto un terzo delle imposte contestate (in caso di sole sanzioni, metà) in base all’art.68 D.lgs.546/92, e così via (in Cassazione deve versare comunque due terzi se ancora soccombente in appello). Fortunatamente, con le liti successorie raramente si arriva a questi tecnicismi, spesso le cause si definiscono prima o in appello.
Un ultimo spunto: il contribuente che abbia pagato somme non dovute (perché magari ha perso in primo grado ma poi vinto in appello) ha diritto al rimborso di quanto pagato e degli interessi. Quindi, anche se si fosse pagato l’avviso per prudenza e poi si ottiene l’annullamento in giudizio, l’importo va restituito dall’Erario.
Profili civilistici e ulteriori tutele del debitore
Dal punto di vista del debitore d’imposta (l’erede), oltre alle difese tecniche nel procedimento tributario vi sono alcuni aspetti civilistici e pratici da considerare, specialmente riguardo ai rapporti con gli altri coeredi e alla tutela del patrimonio personale.
Responsabilità patrimoniale e beneficio d’inventario: l’imposta di successione e gli oneri accessori gravano sugli eredi che abbiano accettato l’eredità. Chi avesse accettato con beneficio d’inventario risponde dei debiti ereditari (incluse imposte dovute dal defunto) solo entro il valore dell’attivo ereditario ricevuto. Tuttavia, va chiarito che l’imposta di successione in sé è un debito proprio degli eredi (nasce a loro carico per il fatto di ricevere beni) e non un debito del defunto. Dunque, anche l’erede beneficiato dovrà pagarla, ma l’art.36 co.2 TUS limita comunque la solidarietà al valore della sua quota . In pratica, se il chiamato teme che le imposte di successione possano eccedere l’attivo, dovrebbe valutare di non accettare o accettare beneficiatamente. Rinuncia all’eredità: chi rinuncia non è tenuto a nessuna dichiarazione né pagamento. Se tutti i chiamati rinunciano, la palla passa ai chiamati successivi (es. i figli dei rinuncianti) o allo Stato in ultima istanza.
Ripartizione interna tra coeredi: come visto, il Fisco può pretendere l’intero da uno solo, ma tra gli eredi vige il principio che l’onere tributario va ripartito in proporzione alle quote ereditarie o alla rispettiva imposta. L’art.36 TUS stesso prevede che “il coerede che ha pagato più della propria parte di imposta ha diritto di regresso verso gli altri per la quota da ciascuno dovuta” . Quindi, se Caio paga tutta l’imposta di successione anche per Tizio, potrà richiedere a Tizio la sua parte (eventualmente anche attivando un’azione civile di regresso se non gliela rifonde spontaneamente). Questa è una tutela importante: il contribuente debitore non deve rassegnarsi a pagare per tutti, potrà legalmente rivalersi. In pratica è opportuno tenere traccia di chi paga cosa, e magari regolare la partita fra coeredi con scrittura privata per evitare future liti di rivalsa.
Coerede inadempiente o irreperibile: se un coerede non collabora (es. si rifiuta di presentare la successione o di pagare la sua parte), gli altri possono procedere comunque. È sufficiente che uno presenti la dichiarazione ; l’eventuale pagamento di imposte potrà poi essere richiesto pro-quota a chi non ha contribuito. In caso di importi rilevanti, se un coerede sparisce, gli altri possono agire in giudizio civile per ottenere il rimborso pro quota di quanto pagato in eccesso.
Contestazioni tra privati sulle omissioni: un caso delicato è quando uno degli eredi occulta consapevolmente un bene ereditario per sottrarlo alla comunione e magari non farlo comparire in successione. Questa è una grave violazione dei doveri di lealtà tra coeredi e può configurare addirittura reato di sottrazione di beni ereditari in certi casi. Civilmente, gli altri coeredi possono, appena scoperto il bene occultato, agire con un’azione di divisione supplementare o di reintegrazione della legittima se l’occultamento lede le loro quote. Possono anche richiedere al giudice civile provvedimenti d’urgenza (se c’è rischio di dispersione del bene). Rispetto al Fisco, l’emersione tardiva del bene comporterà l’obbligo di integrativa e imposta complementare per tutti. Gli altri coeredi potrebbero poi chiedere all’erede che ha occultato di farsi carico delle sanzioni derivanti (in quanto la colpa è sua): se ad esempio per colpa di un suo occultamento arriva una sanzione per infedele dichiarazione, si potrebbe ipotizzare un’azione di risarcimento danni in sede civile contro di lui, quantomeno per la somma della sanzione pagata in più.
Cartella di pagamento e procedure esecutive: qualora l’avviso di liquidazione o accertamento non venga pagato né impugnato (oppure venga confermato con sentenza passata in giudicato), l’importo dovuto viene iscritto a ruolo e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) notificherà agli eredi una cartella di pagamento. La cartella è un atto esecutivo che intima il pagamento entro ~60 giorni; se non si paga, si attivano le procedure esecutive (fermi di veicoli, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti correnti, ecc.). Come difendersi dalle cartelle? Innanzitutto, va controllata la regolarità formale: la cartella deve indicare l’ente creditore (Agenzia Entrate, col n. dell’avviso), la cifra e gli aggi di riscossione. Se non è mai stato notificato l’atto presupposto (avviso), la cartella può essere impugnata eccependo la mancata notifica dell’atto impositivo originario – in tal caso la cartella stessa si considera primo ed unico atto e può essere contestata in Commissione tributaria entro 60 giorni dalla notifica . Attenzione: non è raro che un erede dichiarante riceva l’avviso mentre un altro coerede no, e quest’ultimo si veda arrivare direttamente la cartella anni dopo senza sapere della pendenza – scenario complesso, ma in genere il giudice tributario ammette l’impugnazione della cartella per difetto di notifica dell’avviso verso quell’erede.
Se invece la cartella è corretta e derivante da un atto definitivo, restano solo strumenti dilatori/gestionali: gli eredi possono chiedere all’ADER una rateizzazione del debito (fino a 72 rate mensili, o 120 rate in casi di grave difficoltà), per diluire l’impatto. Durante la rateazione, le misure esecutive sono sospese purché si paghino puntualmente le rate. Se il debito è molto elevato e non rateizzabile, un’erede persona fisica può valutare persino procedure come la composizione della crisi da sovraindebitamento (legge 3/2012 e Codice della Crisi) per ridurre i propri debiti complessivi, ma si tratta di ipotesi estreme.
Tutele del patrimonio personale: è importante ricordare che l’accettazione dell’eredità significa che i beni ereditati diventano parte del patrimonio dell’erede. Quindi, se non si paga l’imposta di successione, l’Agente della Riscossione potrebbe iscrivere ipoteca sugli immobili ereditati o anche su altri beni dell’erede. Per evitare sorprese, l’erede debitore può prendere alcune precauzioni: se intende vendere un immobile ereditato, dovrà ottenere il certificato di successione con il pagamento delle imposte altrimenti non potrà rogitare (a meno di accollo di imposte da parte dell’acquirente, poco probabile). Inoltre, un’erede in difficoltà economiche deve ponderare seriamente se accettare l’eredità: se l’attivo è modesto ma ci sono imposte pesanti (ad es. grandi immobili con franchigie superate), può valere la pena valutare la rinuncia all’eredità, specialmente se i debiti superano i beni.
Infine, un cenno sui creditori del defunto: questi possono aggredire i beni ereditari nelle mani degli eredi. Se un bene non è stato dichiarato e un creditore lo scopre, potrebbe cercare di attaccarlo. Ma ciò esula dal rapporto col Fisco; i creditori privati non hanno interesse alla dichiarazione di successione se non indirettamente. È però utile sapere che, se gli eredi hanno sottratto beni alla garanzia dei creditori del defunto (ad es. vendendo sottocosto un immobile ereditato per non farlo ipotecare), tali atti possono essere revocati su azione dei creditori entro 5 anni (azione revocatoria). Quindi, l’onestà nella denuncia dell’asse ereditaria tutela anche da conflitti successivi con creditori terzi.
Profili di diritto europeo e internazionale
La materia dell’imposta di successione, pur essendo di competenza dei singoli Stati, non è del tutto estranea al diritto sovranazionale. Negli anni, sia la Corte di Giustizia dell’UE sia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) hanno emanato principi che possono riflettersi sulle contestazioni tributarie successorie.
Libera circolazione dei capitali e non discriminazione: l’Unione Europea tutela la libera circolazione dei capitali tra Stati membri (art.63 TFUE, ex art.56 CE) e ciò comprende espressamente anche i movimenti di capitale a titolo successorio . Pertanto, le legislazioni nazionali sulle imposte di successione non possono discriminare in base alla residenza o nazionalità. Un importante caso è stato quello deciso dalla Corte di Giustizia con sentenza C-127/12 (Commissione c. Spagna) del 3/9/2014, dove la Spagna applicava trattamenti di favore (aliquote e franchigie) solo ai residenti, penalizzando eredi o donatari non residenti. La Corte ha ritenuto ciò una restrizione illecita ai movimenti di capitali perché produceva un trattamento deteriore per i non residenti, scoraggiando investimenti transfrontalieri. Dopo la condanna, la Spagna ha dovuto equiparare il regime tra residenti e non. L’Italia attualmente prevede franchigie e aliquote uguali indipendentemente dalla residenza degli eredi o del defunto: ad esempio, il coniuge ha €1.000.000 di franchigia sia che viva in Italia sia all’estero . Anche un bene estero ereditato da un residente è soggetto alla stessa aliquota che avrebbe un bene italiano (salvo crediti d’imposta per evitare doppie imposizioni, di cui sotto). Quindi, la normativa italiana appare conforme ai principi UE di non discriminazione. Se però emergesse in futuro qualche disparità (ad es. prassi che negano agevolazioni “prima casa” all’estero mentre le danno in Italia), il contribuente potrebbe invocare direttamente i principi UE di parità di trattamento .
Doppia imposizione internazionale: non esiste al momento una armonizzazione comunitaria dell’imposta di successione né un divieto di doppia imposizione per via legislativa UE. Tuttavia, vari Stati (Italia inclusa) hanno stipulato trattati bilaterali per evitare doppie tassazioni sulle successioni. L’Italia ha trattati in vigore con Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Grecia, Danimarca, Svezia e altri (alcuni molto datati). Se un bene estero è stato tassato anche dallo Stato dove si trova, l’erede italiano può in certi casi ottenere un credito d’imposta pari all’imposta pagata all’estero, nei limiti dell’imposta italiana sul medesimo bene (art.26 TUS). In mancanza di trattato, vale l’art.24 co.1 lett. g) TUIR che concede il credito per imposte di successione estere pagate su beni all’estero, purché esistano condizioni di reciprocità. In sede di contestazioni, se il Fisco italiano pretendesse imposta piena su un bene già tassato altrove, l’erede dovrebbe far valere il diritto al credito d’imposta onde evitare appunto la doppia imposizione economica.
Regolamento UE sulle successioni n.650/2012: questo regolamento – applicabile alle successioni mortis causa transfrontaliere aperte dal 17/8/2015 – ha introdotto regole unificate sulla legge applicabile alle successioni e il certificato successorio europeo. Occorre chiarire che non copre gli aspetti fiscali. Quindi, ai fini delle imposte di successione, il Regolamento non incide direttamente: ad esempio, anche se la legge civile applicabile alla successione fosse quella francese per un residente in Francia, l’imposizione fiscale sui beni in Italia segue comunque la legge italiana. Tuttavia, indirettamente il regolamento facilita l’identificazione degli eredi e delle quote, grazie al certificato successorio che è valido in tutti gli Stati membri aderenti. In un eventuale contenzioso tributario italiano, un certificato successorio europeo potrebbe essere utile per provare lo status di erede o la ripartizione tra coeredi, ma non incide su chi debba pagare quali imposte (che rimane questione interna).
CEDU e sanzioni tributarie: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pur riconoscendo che le imposte e relative sanzioni rientrano nel dominio statale, ha affermato alcuni principi rilevanti. In particolare, sanzioni tributarie molto elevate possono, per la CEDU, avere natura sostanzialmente “penale”, facendo scattare le garanzie dell’art.6 (equo processo penale) e art.7 (principio di legalità e proporzionalità delle pene) CEDU. Il principio di proporzionalità è spesso invocato per contestare sanzioni esorbitanti rispetto alla condotta. Nel caso delle successioni, con la riforma 2024 l’Italia ha ridotto le sanzioni massime (prima potevano arrivare al 240% dell’imposta, ora 120%) , segno di un adeguamento anche a criteri di equità. Se tuttavia si prospettasse una situazione eccezionale – ad es. sanzione formalmente “amministrativa” ma di importo sproporzionato e cumulo con processo penale per sottrazione fraudolenta – si potrebbe teorizzare una violazione convenzionale. Va detto che casi del genere nelle successioni sono rari: non c’è un reato di infedele dichiarazione di successione (a differenza dei reati tributari su IVA e imposte dirette). Al più potrebbe configurarsi un reato comune (es. false dichiarazioni se rese ad un pubblico ufficiale, ma non applicabile alle autodichiarazioni fiscali).
Giurisprudenza UE sulla solidarietà e le agevolazioni: un’altra decisione interessante della Corte di Giustizia è la causa C-181/12 Welte (sentenza 17/10/2013) che riguardava la Germania: il caso verteva su franchigie diverse se defunto/erede erano non residenti, e la Corte ha dichiarato che limitare a soli €2.000 la deduzione per non residenti a fronte di €500.000 per i residenti era una restrizione non giustificata . Questo conferma che ogni discriminazione nei regimi d’imposta di successione intra-UE è passibile di censura. L’Italia, come detto, non pare avere discriminazioni evidenti di quel tipo. Anzi, se mai c’è una discriminazione inversa: un cittadino italiano che riceve in Italia un immobile pagherà l’imposta ipotecaria e catastale (2%+1% salvo agevolazioni prima casa), mentre un francese che eredita lo stesso immobile pagherà uguale (non c’è differenza). Ci sono state questioni sul coacervo delle donazioni estere: l’art.8 co.4 TUS un tempo penalizzava donazioni fatte all’estero tra non residenti se poi c’erano beni in Italia – ma la giurisprudenza l’aveva già considerato implicito abrogato e comunque la riforma fiscale 2024 ha abrogato formalmente il coacervo successorio , quindi cadono anche quei possibili problemi.
Mutua assistenza per la riscossione internazionale: segnaliamo infine che esistono direttive UE (2010/24/UE) e convenzioni OCSE che permettono agli Stati di collaborare nella riscossione di crediti tributari transfrontalieri. Ciò significa che, ad esempio, un debito per imposta di successione verso l’Italia potrà essere riscosso in Francia dalle autorità francesi su richiesta italiana, e viceversa. Questo riduce la tentazione di “rifugiarsi” all’estero per sfuggire alle pretese fiscali.
In conclusione, pur non esistendo un diritto successorio tributario europeo unificato, i principi generali UE e CEDU assicurano: – Parità di trattamento tra cittadini UE, indipendentemente dalla residenza, in materia di imposte di successione . – Proporzionalità e legalità delle sanzioni, con divieto di retroattività sfavorevole (principio recepito anche dall’Italia, vedi favor rei nella riforma 2024). – Tutela giurisdizionale effettiva: il contribuente ha diritto a un ricorso equo e imparziale davanti a un giudice per contestare le pretese fiscali (art.6 CEDU). In Italia ciò è garantito dall’esistenza delle Corti Tributarie e, come visto, ora è possibile anche ottenere il risarcimento per eccessiva durata se il processo si protrae oltre ragionevoli limiti .
La giurisprudenza europea può entrare nei nostri ricorsi come supporto argomentativo (ad es. citare la sentenza UE che condanna le discriminazioni, se mai l’ufficio facesse disparità su base estera; oppure invocare la CEDU sulla personalità della sanzione, a rinforzo di quanto già stabilito dalla Cassazione italiana). Si tratta di un livello ulteriore di tutela, da usare strategicamente quando necessario.
Domande frequenti (FAQ) su successioni incomplete e difesa del contribuente
D: Cosa si intende esattamente per “dichiarazione di successione incompleta”?
R: Si tratta di una dichiarazione di successione presentata dagli eredi che non contiene tutte le informazioni dovute o le contiene in modo inesatto. È sinonimo di dichiarazione infedele. Può essere “incompleta” perché omette alcuni beni (es. non si dichiara un conto bancario, un titolo, un immobile), oppure perché riporta dati sbagliati (un valore inferiore al reale, un debito inesistente, ecc.). La differenza rispetto all’omessa dichiarazione è che in quest’ultimo caso la denuncia manca del tutto; nell’incompleta invece c’è, ma è infedele. Le conseguenze: nell’omessa dichiarazione il Fisco accerta d’ufficio l’intera successione con sanzioni più gravi (oggi 120% dell’imposta) ; nella dichiarazione incompleta il Fisco rettifica la dichiarazione esistente limitatamente alle parti non corrette, applicando sanzioni proporzionate (80% della differenza d’imposta) .
D: Se non presento proprio la dichiarazione di successione, cosa mi succede?
R: Trascorsi i 12 mesi dall’apertura della successione, gli eredi sono in violazione per omessa dichiarazione (salvo i casi di esonero che abbiamo visto). L’Agenzia Entrate potrà emettere un avviso di accertamento d’ufficio della successione entro 5 anni dal termine di legge , chiedendo l’imposta di successione, le imposte ipotecarie/catastali e applicando la sanzione per omessa dichiarazione (120% dell’imposta liquidata, con minimo €250) . Se nessuna imposta è dovuta (attivo modesto), la sanzione è fissa €250-1000 . In pratica, non fare la dichiarazione espone a multe salate e alla perdita di eventuali agevolazioni. Inoltre, senza dichiarazione non si possono volturare gli immobili agli eredi, né sbloccare conti correnti del defunto: quindi è un comportamento non sostenibile a lungo. È molto meglio presentare in ritardo la dichiarazione (prima che vi accertino): l’Ufficio la accetterà comunque (entro 5 anni) e vi addebiterà la sanzione per ritardo. Pagando spontaneamente con ravvedimento, la sanzione per tardiva presentazione può essere ridotta (ad esempio a 1/10 del minimo se ci si ravvede entro 1 anno dal termine).
D: Entro quanto tempo il Fisco può contestare qualcosa sulla mia dichiarazione di successione?
R: Dipende dal tipo di violazione. Ci sono due termini principali di decadenza: – 2 anni (dalla data di pagamento dell’imposta principale o dalla presentazione della dichiarazione) per notificare un avviso di rettifica su una dichiarazione infedele . Trascorsi i 2 anni, l’Ufficio decade dal poter richiedere ulteriori imposte su quella dichiarazione (salvo casi eccezionali come frodi gravi, ma in successione non è tipizzato nulla di simile alle frodi IVA).
– 5 anni (dal termine di presentazione) per notificare un avviso di accertamento in caso di dichiarazione omessa . Oltre i 5 anni, il Fisco non può più pretendere nulla se non avete presentato la dichiarazione in tempo. Ad esempio, se il decesso è del 2018 e non avete presentato nulla, il termine per l’accertamento scade a fine 2024/inizio 2025 (a seconda della data esatta).
Attenzione: se presentate una dichiarazione tardiva prima che l’Ufficio vi accerti d’ufficio, l’atto che eventualmente vi arriverà sarà un avviso di liquidazione basato su quella (entro 2 anni). Mentre se non presentate nulla, loro hanno 5 anni ma vi faranno l’atto con sanzione omessa dichiarazione. In ogni caso, quando ricevete un atto, controllate sempre la data del decesso e la data di notifica per vedere se il termine è stato rispettato: la decadenza è uno dei motivi di ricorso più efficaci (il giudice annulla l’atto perché tardivo). Esempio: dichiarazione presentata e imposta pagata a ottobre 2020, avviso di rettifica notificato a novembre 2023 – fuori termine biennale, da impugnare.
D: Ho ricevuto un avviso di liquidazione dall’Agenzia delle Entrate: devo pagare subito? Posso evitarlo?
R: Un avviso di liquidazione è una richiesta formale di pagamento di imposte (e sanzioni/interessi) su atti o dichiarazioni. In genere concede 60 giorni di tempo per pagare . Entro quegli stessi 60 giorni avete la facoltà di impugnarlo (fare ricorso) se ritenete che sia sbagliato. Dunque le opzioni sono: – Pagare entro 60 giorni: in tal caso eviterete qualsiasi sanzione aggiuntiva, anzi spesso nell’avviso la sanzione è già conteggiata ridotta (1/3 del massimo). Pagando entro i termini, chiudete la partita. Se in seguito vi accorgete che era infondato, potreste comunque provare a chiedere rimborso entro 3 anni, ma conviene decidere prima se contestarlo o no. – Non pagare e presentare ricorso entro 60 giorni: il ricorso sospende per legge la riscossione oltre il 60° giorno per un importo pari a 1/3 dell’imposta se attendete l’appello (v. art.68). In pratica, se fate ricorso, l’AdE Riscossione non può riscuotere finché non c’è sentenza di primo grado; dopo la sentenza di primo grado, può riscuotere 2/3 se avete perso. Per sicurezza, potete anche chiedere al giudice la sospensione totale, come detto. Importante: se scegliete di ricorrere, entro 60 giorni dovete depositare il ricorso (dopo averlo notificato all’ufficio). – Attivare adesione o mediazione: come spiegato, potete in alternativa presentare istanza di accertamento con adesione (che vi dà 90 gg extra e magari vi porterà a un accordo). Oppure, se sotto 50k, depositare direttamente il ricorso che varrà come reclamo e cercare la mediazione con l’ufficio.
Ignorare l’avviso senza fare nulla è la scelta peggiore: allo scadere dei 60 giorni diventerà definitivo, e l’importo verrà iscritto a ruolo. Vi arriverà poi una cartella esattoriale con l’aggiunta di interessi di mora e la sanzione piena (se non avevate pagato). Quindi, mai lasciar decorrere i 60 giorni inerti. O pagate o impugnate (o accordatevi).
Se ritenete che l’avviso sia errato, vale la pena contestarlo. Nel ricorso potete anche chiedere in via cautelare di sospendere la riscossione (così state tranquilli fino alla sentenza). Ad esempio, avviso per €20.000 su un bene che secondo voi era esente: fare ricorso, chiedere sospensiva (per evitare di dover pagare intanto), e portare le prove dell’esenzione. Se vincete, non dovrete pagare nulla; se perdete, pagherete allora (con interessi).
D: Qual è la differenza tra avviso di liquidazione e avviso di accertamento?
R: In sintesi, l’avviso di liquidazione riguarda il ricalcolo di un’imposta su presupposti in parte già dichiarati dal contribuente . È tipico delle imposte indirette (registro, successione, ecc.) quando c’è da rettificare valori o richiedere somme dovute in base ad atti registrati. L’avviso di accertamento, invece, è l’atto con cui si accerta una base imponibile non dichiarata (es. redditi non dichiarati, immobili non dichiarati, ecc.) . Nel nostro contesto: – Avviso di liquidazione = l’erede ha presentato la dichiarazione; l’ufficio ricalcola qualcosa (imposta di successione o ipocatastale) e liquida la differenza da pagare. Non contesta l’esistenza del fatto imponibile (che era la successione stessa, già denunciata), ma la quantificazione. Esempi: rettifica valore di un immobile, revoca di agevolazione, recupero di imposta ipotecaria non versata. – Avviso di accertamento = l’erede non ha presentato nulla (od omesso totalmente un bene rilevante); l’ufficio “accerta” l’imponibile come se fosse la dichiarazione mancante, e determina l’intera imposta dovuta. Esempio: successione mai dichiarata – avviso accertamento calcola tutto; oppure omesso un immobile che costituiva gran parte dell’asse – l’ufficio potrebbe fare un accertamento per quell’immobile come se fosse base non dichiarata.
Dal punto di vista pratico, per il contribuente ambedue gli atti sono impugnabili e vanno trattati con le stesse tempistiche. Cambia la motivazione: nell’avviso di liquidazione troverete spesso riferimenti alla vostra dichiarazione (es: “rispetto alla Sua denuncia presentata in data X, si liquida ulteriore imposta per…”) mentre nell’accertamento leggerete riferimenti a dati acquisiti d’ufficio (“visto che non risulta presentata denuncia, si accertano i seguenti beni…”). Anche le sanzioni differiscono: liquidazione -> sanzione infedele (80% diff.) ; accertamento -> sanzione omessa (120%) . Per il resto, entrambi chiedono un pagamento, motivano una pretesa e si possono portare davanti al giudice.
D: Posso correggere la dichiarazione di successione dopo averla inviata, se mi accorgo di errori?
R: Sì, è possibile presentare una dichiarazione integrativa o sostitutiva della precedente. Se sei ancora entro il termine di 12 mesi dall’apertura successione, basta presentare una nuova dichiarazione barrando la casella “integrativa” o “sostitutiva” (nel caso si voglia proprio rimpiazzare la precedente). Se invece l’errore viene scoperto dopo il termine di legge, la normativa – grazie all’interpretazione estensiva data dalla Cassazione – permette comunque di rimediare, purché lo si faccia prima che il Fisco notifichi un avviso di accertamento o liquidazione . In pratica, finché non avete ricevuto contestazioni e non sono scaduti i termini di accertamento (di solito 2 o 5 anni), potete sempre presentare una dichiarazione integrativa per aggiungere i beni o correggere i valori.
Ovviamente, se l’integrativa comporta più imposta, dovrete calcolare e versare la differenza con i relativi interessi, e pagare una sanzione ridotta per il ritardo (il famoso ravvedimento operoso). Ad esempio, vi accorgete 2 anni dopo che mancava un conto: presentate integrativa ora, calcolate l’imposta su quel conto e pagatela con F24, applicando la sanzione ridotta (oggi, essendo oltre 1 anno ma entro 2, la sanzione omessa dich. sarebbe 120% – col ravvedimento, pagherete 1/6 di 120% = 20% dell’imposta circa). Così evitando il 120% pieno e soprattutto evitando che sia l’AdE a scoprirlo.
D: Ho scoperto un bene del defunto che non avevo incluso in successione (es: un conto all’estero). Cosa devo fare per rimediare?
R: Dovresti presentare al più presto una dichiarazione integrativa di successione indicando quel bene come sopravvenienza ereditaria. L’obbligo è sancito dall’art.28 c.6 TUS e confermato dalla Cassazione : beni “scoperti” dopo vanno denunciati e assoggettati a imposta di successione come complemento. Contestualmente, pagherai la relativa imposta (aliquota in base al grado di parentela, eventualmente con franchigia se non l’avevi esaurita) e le sanzioni da ravvedimento per la tardività. Se il bene era all’estero, non ci sono differenze di aliquote, ma verifica se hai diritto a qualche credito d’imposta se hai pagato tasse di successione anche lì. L’importante è farlo prima che l’Agenzia delle Entrate ti notifichi un avviso su quel bene; in tal caso infatti le sanzioni sarebbero piene (80% della maggiore imposta) e non ridotte.
Nel caso specifico dei conti esteri o investimenti all’estero, c’è un doppio profilo: da un lato l’imposta di successione come detto, dall’altro gli obblighi di monitoraggio fiscale (il quadro RW in Unico per attività estere). Ma quest’ultimo tema è separato: l’erede che scopre un conto estero dimenticato dovrà forse sanare anche RW (col ravvedimento), ma per la successione basta l’integrativa. Se il bene emerso all’estero era frutto di evasione del defunto, c’è la voluntary disclosure come strumento (anche se le VD si sono chiuse nel 2017, potrebbero riaprirle). In ogni caso, integra la successione e paga il dovuto: questo ti mette relativamente al sicuro. Se l’AdE venisse a saperlo prima che tu integri, rischi un avviso di liquidazione con sanzione (a meno che siano passati oltre 5 anni e allora sei fortunato perché sarebbero decaduti dall’accertamento omessa – scenario raro).
D: Le sanzioni che erano state inflitte al defunto (per sue questioni fiscali pregresse) le dobbiamo pagare noi eredi?
R: No, assolutamente. Le sanzioni tributarie non si trasmettono agli eredi per legge (art.8 D.lgs.472/97) . Lo ha ribadito anche la Cassazione ordinanza 8684/2025 . Quindi, se il defunto aveva pendente un avviso di accertamento con delle sanzioni, oppure una cartella con imposte e sanzioni, gli eredi sono tenuti a pagare solo le imposte e gli interessi, ma non le sanzioni amministrative. In pratica, quando l’Agenzia Entrate Riscossione notifica agli eredi la cartella del de cuius, questa dovrebbe già riportare scorporate le sanzioni (spesso lo fa automaticamente). Se così non fosse, bisogna far presente l’intrasmissibilità e chiedere lo sgravio di quelle. Il principio discende dalla natura personale-punitiva della sanzione: punisce un comportamento illecito del contribuente, e solo lui ne risponde .
Questo però non significa che l’erede sia esente dalle sanzioni sulle proprie violazioni. Se voi eredi commettete un’infedeltà nella successione, quelle sanzioni sono a carico vostro. Ma tutte le multe per violazioni commesse dal defunto in vita (mancate dichiarazioni dei redditi sue, cartelle per IRPEF non pagata con sanzioni) – quelle no, gli eredi pagano solo il tributo evaso dal deceduto e gli interessi. Ad esempio: papà aveva una cartella di €10.000 di cui €4.000 di imposte e €2.000 interessi e €4.000 sanzioni; gli eredi dovranno saldare €6.000 (imposte+interessi) ma le sanzioni €4.000 verranno annullate d’ufficio in sede divisione fra eredi . Se per caso pagaste anche sanzioni indebitamente, avreste diritto a rimborso.
D: Se l’Agenzia delle Entrate sbaglia i calcoli nell’avviso (ad esempio sbaglia l’aliquota o non applica una franchigia), come posso far correggere?
R: In questi casi conviene prima di tutto presentare una istanza di autotutela all’ufficio che ha emesso l’avviso, segnalando l’errore e chiedendo la correzione (allegando magari i documenti: ad esempio, se non hanno considerato che sei figlio e quindi hai diritto a €1.000.000 di franchigia, produci certificato di stato di famiglia e copia della norma). L’autotutela spesso funziona per errori palesi: l’ufficio potrebbe annullare in tutto o parte l’atto e fartene avere comunicazione . Se però manca il riscontro e i 60 giorni stanno per scadere, dovrai fare ricorso al giudice tributario sostenendo il medesimo motivo (errore di calcolo). Il giudice, constatato l’errore, annullerà in toto l’atto impugnato oppure lo annullerà parzialmente riquantificando l’imposta corretta (c’è dibattito se i giudici possano rideterminare l’imposta; di solito annullano l’atto viziato e sta all’ufficio rifarlo correttamente, ma possono anche ridurre l’importo). La cosa positiva è che se l’errore è evidente, spesso lo stesso ufficio in sede di controdeduzioni al ricorso potrebbe riconoscerlo e arrendersi, o proporre mediazione. Quindi tu fai valere con forza il tuo diritto: “hanno applicato 6% su mio fratello mentre era figlio e dovevano 4% con franchigia 100k – atto errato”. L’aritmetica e le norme oggettive sono più facili da difendere rispetto a questioni interpretative.
D: Gli eredi devono tutti pagare in solido o ciascuno la sua parte?
R: Legalmente, gli eredi sono solidalmente obbligati per l’intera imposta di successione . Significa che il Fisco può richiedere a uno solo di voi il pagamento del totale (imposta dovuta da tutti eredi e legatari) . Questo non è ingiusto perché poi tra di voi vale la ripartizione pro-quota: chi ha pagato più del suo, ha diritto di rivalsa verso gli altri . In pratica, se siete 3 fratelli e la successione comporta €30k di imposta, idealmente ognuno dovrebbe pagarne €10k. Ma se due non pagano, il Fisco può andare dal terzo e chiedere €30k. Quel terzo poi potrà reclamare €10k ciascuno dagli altri due in sede civile.
Nella pratica, quando l’Agenzia manda l’avviso a ciascuno, ognuno tende a pagare la sua quota. L’agente della riscossione, se deve procedere, spesso fa ipoteche pro-quota sugli immobili (es. ipoteca su 1/2 immobile per la quota di quell’erede). Però a livello legale la solidarietà c’è. Eccezione: se hai accettato con beneficio d’inventario, sei comunque solidale ma entro il limite del valore della tua quota . Quindi non rischi di rimetterci del tuo oltre l’eredità.
Per le sanzioni tributarie proprie (di violazioni post mortem commesse da voi), anche quelle sono solidali? In teoria la sanzione per infedele dichiarazione dovrebbe applicarsi a chi ha presentato la dichiarazione (di solito uno lo fa per tutti, come dichiarante). Ma poiché tutti avete obbligo dichiarativo, ritengono responsabili tutti con un unico importo sanzione. Anche qui, interne rivalse possibili se uno causa l’errore.
D: Non ho liquidità per pagare l’imposta di successione richiesta: cosa posso fare?
R: Questa è una situazione comune quando l’eredità è in beni immobili ma pochi contanti. Alcune possibili soluzioni: – Rateizzazione: una volta arrivata la cartella esattoriale, potete chiedere all’Agente della Riscossione la dilazione del pagamento fino a 6 anni (72 rate) o anche 10 anni (120 rate) se dimostrate difficoltà. Ci sono soglie standard (fino a €120k basta domanda, oltre serve ISEE o prova stato difficoltà). Durante la rateazione non eseguono pignoramenti, a patto di pagare le rate. – Ipoteca legale sugli immobili ereditati: spesso per imposte di successione sopra €5k l’ufficio iscrive ipoteca sugli immobili a garanzia. Ciò non impedisce di tenerli, ma per venderli dovrete prima cancellare l’ipoteca (pagando il debito). In alcuni casi, per non vendere sottopressione, potete chiedere all’ADER una sospensione temporanea spiegando che venderete a breve e salderete (non sempre accordata). – Vendita di beni ereditati: se l’unico modo per pagare è vendere un immobile dell’asse, potete farlo (non ci sono restrizioni, l’importante è che l’acquirente pretenderà che le imposte ipotecarie/catastali siano state pagate, altrimenti non rogitano). Considerate però eventuali plusvalenze tassabili se rivendete subito (ma su case ricevute in eredità non c’è tassazione plusvalore di norma). – Prestito o mutuo: alcune banche offrono prodotti per pagare imposte di successione, garantiti magari dagli immobili stessi. Informatevi; a volte le imposte ipotecarie 2% e catastali 1% su grossi valori sono coperte da mutui liquidità a breve termine. – Aspettare definizioni agevolate: talvolta arrivano rottamazioni delle cartelle o condoni: per ora, le imposte di successione non sono state oggetto di condono (essendo imposte indirette), però mai dire mai. Se avete in corso un contenzioso e la legge offre una conciliazione agevolata, valutatela. – In extremis, composizione crisi o fallimento personale: se il debito fiscale vi sovrasta e non avete modo di farvi fronte, e magari avete altri debiti, esistono procedure di sovraindebitamento per persone fisiche. Sono soluzioni estreme e complesse, da valutare con un professionista specializzato, dove in alcuni casi anche i debiti fiscali vengono stralciati parzialmente. Ma l’ideale è non arrivarci.
Ricordatevi che non pagare e non reagire porta solo aggravamenti: appena scaduti i termini, partono interessi di mora (~2% annuo oggi) e aggi esattoriali (3%). Se poi iscrive ipoteca o fa pignoramenti, la situazione si complica. Meglio quindi affrontare subito il problema: o contestandolo se non dovuto, o trovando modalità di pagamento se dovuto. L’ADER spesso preferisce rateizzare che procedere a vendite forzate (che sono lunghe e dal ricavato incerto). Quindi comunicare con loro può aiutare.
D: Una sentenza della Corte di Giustizia Europea o un principio CEDU possono aiutarmi nel mio caso?
R: Dipende dal caso. Se la vostra controversia riguarda un profilo di possibile discriminazione o di incompatibilità europea, allora sì, citarlo può essere determinante. Ad esempio, se l’Agenzia vi nega una franchigia perché il defunto era residente all’estero, potreste appellarvi al principio UE di libera circolazione dei capitali e parità di trattamento, come sancito in casi come Welte . Oppure, se vi applicano una sanzione assurda e voi sostenete che ha natura penale e viola la proporzionalità (art.7 CEDU), potete farlo presente (la Cassazione italiana è sensibile a questi temi e spesso “adegua” la sanzione a favor rei anche su spinta di considerazioni CEDU). Tuttavia, nella maggior parte delle liti successorie standard, le questioni sono domestiche (valore immobili, applicazione franchigie, errori di calcolo). La normativa italiana è già generalmente in linea con l’Europa: ad esempio, non distingue tra eredi italiani o stranieri quanto a tasse . Un punto in cui l’Europa ha influito è stato il coacervo delle donazioni: il legislatore ha tolto il coacervo successorio anche per uniformarsi alla prassi (già la circ. AdE 29/2023 l’aveva ridimensionato) , evitando potenziali conflitti con la libera circolazione (si pensi a donazioni fatte nel periodo in cui la tassa era abolita in Italia ma poi successioni successive – ora risolto con l’esclusione di quel periodo dal computo ). In sintesi, se notate un trattamento che vi svantaggia solo perché c’è di mezzo un elemento estero, allora sì, il diritto UE può fornire un’arma di difesa. Ad esempio, ereditate un immobile all’estero e l’Italia non vi concede la stessa agevolazione prima casa che avreste per una casa in Italia: quello potrebbe essere un problema di libera circolazione, da far valere. È consigliabile, in casi del genere, farsi assistere da un legale esperto anche di diritto UE per eventualmente sollevare la questione davanti al giudice tributario (che può, in teoria, anche rinviare la questione alla Corte di Giustizia). Ma sono situazioni particolari.
D: Nel calcolo dell’imposta di successione devo considerare le donazioni fatte in vita dal defunto?
R: Sì, la normativa prevede il coacervo delle donazioni: in pratica, per determinare l’aliquota e l’eventuale superamento della franchigia, bisogna sommare al valore ereditato quello delle donazioni precedenti fatte a favore dello stesso beneficiario. Fino al 2024 c’erano molte incertezze interpretative sul coacervo (quali donazioni includere, ecc.). La riforma del 2024 ha semplificato: ora il coacervo vale solo ai fini della franchigia (non aumenta l’aliquota, che è fissa per scaglioni di parentela) . Inoltre è stato chiarito che non si conteggiano le donazioni effettuate tra il 25/10/2001 e il 28/11/2006 (periodo in cui la tassa successioni/donazioni in Italia era soppressa) . È stata anche abrogata formalmente la norma sul “coacervo successorio” (art.8 co.4-bis TUS) ormai inutile . Dunque, se in vita il papà ha donato €200k a un figlio e poi muore lasciandogli altri €900k, quel figlio, per la franchigia di €1M, cumulativamente supera (€1.1M totali) e pagherà 4% su €100k (eccedenza). Questo per far capire. In giudizio raramente il coacervo è contestato perché è legge chiara, salvo errori di calcolo dell’AdE.
D: Se un coerede non vuole proprio saperne di fare la successione o di pagare, come posso procedere?
R: Non può impedirtelo. La legge dice che se ci sono più obbligati basta uno che presenti la dichiarazione . Quindi tu puoi fare la dichiarazione anche senza la firma di lui (nei modelli telematici dal 2018 non servono le firme di tutti, basta il dichiarante). L’importante è indicare anche il coerede restio tra gli eredi, perché va menzionato. Se poi emergerà imposta da pagare, tu potrai pagare la tua parte. Se l’altro non paga la sua, come detto l’AdE potrà perseguire anche te, ma tu avrai diritto di regresso. Per evitare guai, se è possibile, puoi pagare tu e poi quando si farà la divisione dell’asse terrà conto (es. trattenendo a tuo favore maggior valore di beni per compensare). Se invece lui non vuole pagare volutamente per creare problemi, potresti considerare di chiedere al giudice civile la nomina di un curatore dell’eredità o l’apertura di una comunione ereditaria giudiziale per amministrare l’asse, ma è complicato. Dal punto di vista fiscale, tu fai il tuo dovere (denuncia, pagamento pro quota). Il Fisco se ne accorgerà, e in genere per quieto vivere accetta pagamenti anche parziali (ti metteranno a ruolo solo la quota mancante sull’altro). Se arriva cartella solidale a entrambi, tu paghi metà e poi farai opposizione per non pagare la sua metà mostrando che la deve lui. Insomma, non possono costringere un singolo coerede refrattario a fare la dichiarazione, ma non possono neanche punire gli altri per questo. Se la dichiarazione viene comunque presentata, il fatto che uno non abbia collaborato non è rilevante per l’AdE: l’importante è che sia stata presentata e firmata da almeno uno.
D: Cosa succede se ignoro completamente un avviso e non faccio ricorso entro 60 giorni?
R: L’atto diventa definitivo e incontestabile. Dopo il 60° giorno, l’Agenzia può iscrivere a ruolo le somme e passare la pratica all’Agenzia Entrate-Riscossione. Riceverai quindi prima o poi una cartella esattoriale che ti intima il pagamento (ora non più dilazionabile se non a rate). A quel punto, avendo perso il termine per impugnare, non potrai più contestare nel merito la pretesa (si forma una sorta di “giudicato” amministrativo). Potresti solo impugnare la cartella se emergono vizi procedurali (es. l’avviso non ti era mai stato notificato regolarmente: ma se tu l’hai proprio ignorato pur avendolo, non potrai dire “non lo sapevo”). Dopo la cartella, se ancora non paghi, arriveranno sanzioni e interessi ulteriori e atti coattivi (fermo auto, ipoteca, pignoramenti). Quindi ignorare un avviso ha conseguenze molto negative e nessun beneficio.
Molti pensano: “magari l’Agenzia dimentica la mia pratica”. In verità, passati 60 giorni, raramente dimenticano perché i sistemi informatici avviano automaticamente la riscossione coattiva. Anzi, a volte iscrive a ruolo anche prima della fine del contenzioso se non c’è sospensiva (possono iscrivere provvisoriamente 1/3 dopo la sentenza di primo grado se il contribuente perde, ad esempio). Quindi mai lasciar decadere i termini senza far nulla. Se sei indeciso, è meglio presentare ricorso (che puoi sempre ritirare se cambi idea pagando poi) piuttosto che restare inerti e perdere ogni chance di difesa.
D: Che cos’è esattamente la cartella di pagamento e come posso oppormi?
R: La cartella di pagamento è l’atto con cui l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) ti chiede ufficialmente di pagare somme iscritte a ruolo dall’ente creditore (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate per imposte di successione o sanzioni). È un foglio che contiene il dettaglio del debito (capitale, sanzioni, interessi, aggi, spese di notifica) e costituisce titolo esecutivo. Dalla notifica hai ~60 giorni per pagare o eventualmente impugnarla. Come contestarla? Nella sfera tributaria, la cartella si può impugnare davanti alla Corte Tributaria per vizi propri (es: notifica nulla, importi sbagliati, mancata indicazione dell’atto a monte) oppure per far valere qualcosa sull’atto presupposto, ma solo se: – l’atto precedente (avviso) non ti è stato notificato: in tal caso la cartella è il primo atto che hai in mano, quindi puoi contestare nel merito il tributo sottostante perché non hai avuto modo prima. Esempio: a te non è mai arrivato l’avviso di liquidazione (magari mandato a indirizzo sbagliato) e ti vedi recapitare cartella di €XX per imposta successione. Puoi fare ricorso sostenendo la nullità della cartella perché manca la notifica valida dell’avviso (in genere il giudice annulla la cartella). L’AdE a quel punto di solito provvede a notificare “ora per allora” l’avviso (se ancora in tempo) e riparte il processo.
– oppure la cartella richiede importi diversi da quelli del precedente atto: ad esempio, se l’avviso diceva €10.000 e la cartella €15.000 senza spiegazione, c’è un vizio.
Non si può invece impugnare la cartella solo sostenendo motivi sul merito già cristallizzati nell’atto precedente non impugnato (es: “la cartella è ingiusta perché l’immobile era sopravvalutato” – se quell’immobile era nell’avviso e non avete fatto ricorso, ormai è tardi).
Opposizioni civili all’esecuzione (ex art.615 CPC) in materia tributaria sono ammesse solo per questioni extratributarie (es: pignorano un bene non ereditato ma tuo personale per debiti del de cuius – potresti opporre che quel bene non c’entra). Ma di regola, restiamo nel solco tributario.
Quindi, per opporsi efficacemente alla cartella, conviene farsi assistere perché bisogna individuare un vizio: di notifica, di forma, di mancanza dell’atto precedente, di prescrizione (altro tema: le cartelle hanno termine di prescrizione ordinario – 10 anni se imposta indiretta, 5 anni se no, anche questo si può far valere se passati molti anni senza atti).
D: Esempio concreto: due fratelli ereditano dal padre. Uno non dichiara un conto, arriva avviso di liquidazione per imposta evasa 20k + sanzione infedele 16k. L’altro fratello era ignaro. Come si ripartisce e chi paga le sanzioni?
R: Fisco: vedrà due coeredi, imposta 20k (10k a testa idealmente sulle rispettive quote) e sanzione 16k (80% su 20k). Essendo obbligati in solido , l’avviso sarà inviato magari a chi ha presentato la dichiarazione. Dovreste pagare 10k+8k ciascuno? In teoria la sanzione dovrebbe colpire anche il fratello ignaro perché comunque responsabile come co-dichiarante (il fatto che non l’ha firmata non lo esonera). Nel mondo ideale, però, moralmente il fratello inadempiente dovrebbe accollarsi la sanzione. Voi tra di voi potete accordarvi: ad esempio, il colpevole paga i 16k di sanzione e la metà dell’imposta (10k) e l’altro paga solo 10k di imposta. Il Fisco formalmente può chiedere entrambi indistintamente, ma se uno paga di più può rivalersi. Quindi, in un caso simile, conviene fare fronte comune nel ricorso magari, cercando di far ridurre sanzione (ad esempio dimostrando che l’altro era in buona fede? Difficile, la sanzione è oggettiva).
Da notare: in casi di occultamento doloso tra eredi, la legge prevede anche sanzioni penali interne tra loro (ad esempio appropriazione indebita se uno nasconde soldi comuni). Ma sono aspetti oltre il tributario.
D: Dopo aver pagato l’imposta di successione, posso essere tranquillo che non arriveranno altre richieste?
R: Se hai dichiarato tutto correttamente e l’Agenzia ha liquidato e hai pagato, probabilmente sì. Ci sono però un paio di situazioni in cui potrebbero comunque arrivare atti: – Se l’Agenzia, entro 2 anni, ritiene di dover rettificare qualche valore (es: dichiari immobile €100k, loro pensano valga €150k), potresti ricevere un avviso di rettifica per la differenza . Dopo 2 anni dalla tua dichiarazione, se non ti arriva nulla, significa che l’ufficio l’ha accettata così com’è (silenzio-assenso). – Se emergono beni nuovi (sopravvenienze) come abbiamo detto, potresti essere chiamato a pagarci sopra. – Se non hai allegato documenti e li vogliono (es: prospetto di autoliquidazione ipocatastali), potrebbero chiederti integrazioni o sanzionare separatamente (di solito no, al massimo un sollecito). – Un caso particolare: imposte ipotecarie e catastali non addebitate. Talvolta quando registrano la successione al Catasto, se c’è qualche agevolazione prima casa decaduta successivamente (perché hai venduto entro 5 anni senza ricomprare, ad esempio) potrebbero inviarti un avviso di liquidazione per il recupero di quelle imposte con sanzione. Ma è raro e dipende da altri eventi.
In generale, se hai la quietanza di pagamento dell’avviso principale e non ci sono omissioni, puoi stare ragionevolmente sereno. Tieni però archiviata tutta la documentazione per almeno 6-7 anni, in caso di controlli futuri o richieste anomale. Ad esempio, a volte a distanza di tempo possono chiedere documenti in sede di verifiche antifrode (tipo se benefici di esenzioni per azienda ereditata e devi mantenere l’attività 5 anni, potrebbero controllare a posteriori se hai rispettato l’impegno). Finché sei in regola, nessun problema.
D: Quali sono i costi accessori oltre all’imposta di successione in sé?
R: Spesso quando parliamo di “imposte di successione” colloquialmente includiamo anche le imposte ipotecarie e catastali e i bolli. Facciamo chiarezza: – L’imposta di successione propriamente detta è quella sulle quote ereditarie, con aliquote 4%, 6%, 8% a seconda del grado di parentela, e franchigie (1mln per parenti stretti, 100k per fratelli, 1.5mln per disabili) . Questa in molti casi può essere zero (se l’asse a favore di ciascun figlio è sotto 1 mln, ad esempio, non si paga). – Le imposte ipotecaria e catastale: sono tasse fisse proporzionali dovute per la trascrizione nei registri immobiliari e la voltura catastale dei beni immobili ereditati. Salvo agevolazioni prima casa, ammontano al 2% (ipotecaria) e 1% (catastale) del valore catastale dell’immobile, con un minimo di €200 ciascuna . Se il beneficiario ha i requisiti prima casa e l’immobile non di lusso, queste imposte sono in misura fissa €200+€200 . L’agevolazione prima casa in successione non ha scadenze di richiesta stringenti (come chiarito nel 2024) purché sussistano i requisiti sostanziali . – L’imposta di bollo: c’è un bollo speciale per la registrazione delle successioni, di solito poche decine di euro (variabile se ci sono più fogli). – La tassa ipotecaria: importo fisso (attorno €90) per ogni formalità ipotecaria. – I diritti catastali: di solito €55 a immobile per volture.
In un avviso di liquidazione, troverete spesso voci separate per successione, imp. ipotecaria, catastale, bollo . Le sanzioni si applicano, in caso di omissioni, su ciascuna di queste se non pagate: ad esempio, se avete dimenticato di pagare l’imposta ipotecaria, vi faranno sanzione 30% su quella . Se avete omesso la dichiarazione, la sanzione 120% riguarda successione, mentre per ipotecarie/catastali viene messa di solito la stessa (anche se tecnicamente potrebbe essere distinta). Comunque, ricordatevi di considerare tutti questi costi. Quando presentate la dichiarazione oggi col software, esso calcola già ipotecaria/catastale e genererà un modello F24 con quelle da pagare subito: se non pagate, l’ufficio vi manderà un avviso di liquidazione con 30% di sanzione per omesso versamento di quelle . Quindi fate attenzione a pagare tutte le F24 con i codici tributo corretti in autoliquidazione.
D: Quali sono le cause più frequenti di contestazione in successione?
R: Riassumendo in ordine di frequenza: 1. Valore immobili: l’Agenzia spesso rettifica valori degli immobili quando c’è imposta successione da pagare, specialmente se il valore dichiarato era inferiore ai valori di mercato (parametri OMI). Liti su stime e perizie sono comuni. 2. Agevolazione prima casa: se l’erede non aveva requisito di residenza o possesso di altra casa, l’ufficio può aver negato l’aliquota fissa sui immobili; oppure se la dichiarazione tardiva era oltre 12 mesi (ma come detto, dal 2024 dovrebbero concederla lo stesso) . 3. Omessa/infedele dichiarazione: quando emergono beni non dichiarati (conti, titoli, polizze). In passato con la voluntary disclosure molti hanno dichiarato conti esteri tardivamente e l’Agenzia ha mandato avvisi (come nel caso Cass.20933/22). 4. Sottrazione donatum/legittima: non fiscale, ma di diritto ereditario – eventuali riduzioni per donazioni lesive (questo però va in Tribunale civile, non in Commissione tributaria). 5. Errori sul grado di parentela: es. l’ufficio applica 8% come “soggetto terzo” mentre in realtà il beneficiario rientrava tra i parenti (magari cugino = quarto grado, dovrebbe 6% senza franchigia, non 8%). Oppure considerare un nipote come estraneo se non è nipote in linea retta ma figlio di fratello (in quel caso è collaterale di 2° grado, 6%). 6. Detrazioni di debiti o spese funerarie: a volte l’AdE non ammette qualche passività (es. debiti verso banche) per mancanza documenti o requisiti, aumentando il valore netto tassabile. Se l’erede ha prova del pagamento di quei debiti, può contestare la non ammissione. 7. Solidarietà e contenzioso tra eredi: raramente trattata in Commissione, ma per esempio un coerede impugna l’avviso e un altro no – situazioni confuse. In genere l’impugnazione di uno giova anche all’altro se la posizione è unitaria (ma non sempre, dipende). 8. Applicazione di trattati internazionali: se avete beni in paesi con convenzioni, a volte l’ufficio ignora il trattato. Es: con la Francia, c’è spartizione di potestà impositiva (immobili tassati solo nel paese dove si trovano). Se erroneamente l’Italia tasta un immobile in Francia, dovrete far valere la convenzione per annullare quell’imposta. 9. Violazioni formali/documentali: come la mancata allegazione di un atto di notorietà o certificato. Di solito su queste cose l’AdE chiede integrazioni, non arriva a sanzionare, ma potrebbe in astratto (sanzione 250-1000€ per omissioni non incidenti ).
D: Come posso sapere se l’Agenzia delle Entrate ha in corso controlli sulla nostra successione?
R: Non c’è un modo diretto per saperlo. In genere, dopo aver presentato la dichiarazione, se tutto è ok e autoliquidato, non riceverai nulla (a parte eventuale quietanza telematica). Se c’è qualche problema, la prima cosa che arriva è l’avviso di liquidazione (di norma entro 2 anni). Dunque, passato quel periodo senza comunicazioni, è probabile che non ci siano accertamenti in arrivo. Tuttavia, se temi che qualcosa possa emergere (tipo sai di un conto non dichiarato che però l’AdE potrebbe scoprire da scambi info), la cosa migliore è giocare d’anticipo e presentare tu integrativa. Non esiste un “cassetto fiscale” dove vedi pratiche in corso per controlli successione (vedi solo se ci sono ruoli a tuo nome già iscritti tramite il cassetto fiscale personale). Puoi però rivolgerti all’ufficio territoriale e chiedere informalmente a che punto è la lavorazione della pratica di successione: a volte lo dicono (“registrata e definita” oppure “in attesa di controllo”). Ma non c’è obbligo di dar notizia di indagini in corso. In sostanza, nessuna nuova = buona nuova, nella maggioranza dei casi.
Conclusione: La gestione di contestazioni su dichiarazioni di successione incomplete richiede un approccio multidisciplinare, combinando conoscenza delle norme tributarie sostanziali, abilità nel far valere garanzie procedurali e – non ultimo – capacità negoziali con l’Amministrazione per trovare soluzioni deflattive. Dal punto di vista del debitore, è importante ricordare che egli ha diritti tutelati (diritto alla motivazione dell’atto , diritto al contraddittorio in adesione, diritto alla riscossione solo nei limiti di legge, diritto alla personalità delle sanzioni , etc.) e mezzi per farli valere. Le ultime riforme normative mostrano una tendenza a semplificare e ridurre il carico sanzionatorio, segno anche di un maggiore equilibrio nel rapporto Fisco-contribuente in questo ambito delicato dei trasferimenti mortis causa. Con una buona consulenza e una tempestiva attivazione degli strumenti di difesa, è possibile risolvere positivamente molte contestazioni, evitando sia esborsi indebiti sia lunghe diatribe giudiziarie. In ogni caso, l’obiettivo primario dev’essere prevenire le contestazioni: una dichiarazione di successione compilata correttamente e completa sin dall’inizio, magari con l’ausilio di un notaio o esperto, resta la miglior difesa. Ma se l’errore capita, questa guida potrà servire da bussola per navigare nelle acque spesso agitate del contenzioso tributario successorio, tutelando i diritti degli eredi-contribuenti in Italia (e oltre confine).
Fonti: Testo Unico Successioni (D.lgs.346/1990) aggiornato; D.lgs.472/1997 art.8; D.lgs.87/2024 (riforma fiscale); Circolare AdE 3/E-2025; Cass. SS.UU. 14088/2004; Cass. 24265/2011; Cass. 31729/2018; Cass. 20933/2022 ; Cass. 8684/2025 ; Corte Giustizia UE C-67/08 e C-127/12; Risoluzione AdE 66/E-2024 ; avvocaticartellesattoriali.com (guide su avvisi di liquidazione) ; idealista.it (successione non obbligatoria) ; AgenziaEntrate.gov (Guida successioni).
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 17 ottobre 2013, n. C-181/12 – Imposta sulle successioni
- Dichiarazione di successione presentata oltre il termine di dodici mesi di cui all’articolo 31, comma 1, del TUS – Richiesta agevolazione c.d. ”prima casa” – Risoluzione n. 66/E del 20 dicembre 2024 dell’Agenzia delle entrate
- Cassazione n. 20933/2022
- Art. 36 testo unico sulle successioni e donazioni
- Sentenza del 11/11/2024 n. 592
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La dichiarazione di successione deve contenere tutti i beni, diritti e rapporti del defunto. Omissioni o errori possono portare a maggiori imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre l’Agenzia ha ragione: molte contestazioni si basano su presunzioni o su vizi formali che puoi far valere.
👉 La prima regola: analizza bene l’atto di contestazione. Spesso l’Agenzia si fonda su dati catastali o bancari incompleti o non aggiornati.
⚖️ Quando scattano le contestazioni
- Omissione di immobili o terreni nella dichiarazione;
- Conti correnti, depositi, titoli non indicati;
- Donazioni o atti inter vivos considerati parte dell’asse ereditario;
- Errata valutazione dei beni (es. immobili sottostimati rispetto ai valori catastali o OMI);
- Quote societarie o beni mobili registrati non dichiarati;
- Errori formali nella compilazione della dichiarazione.
📌 Conseguenze fiscali
- Recupero delle imposte ipotecarie, catastali e di successione dovute;
- Applicazione di sanzioni pecuniarie per omissioni o dichiarazioni incomplete;
- Interessi di mora calcolati dalla data di scadenza originaria;
- Rischio di iscrizione a ruolo e successive azioni esecutive (cartelle, ipoteche, pignoramenti).
🔍 Cosa verificare per difendersi
- Completezza dell’atto di contestazione: l’Agenzia deve motivare l’omissione con prove concrete;
- Aggiornamento dei dati catastali e bancari: non sempre i registri sono corretti;
- Presenza di donazioni: valuta se rientrano davvero nell’asse ereditario tassabile;
- Valutazione dei beni: spesso l’Ufficio utilizza valori presuntivi non sempre fondati;
- Notifica regolare dell’atto nei termini di legge.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Certificati catastali e atti notarili (compravendite, donazioni, successioni pregresse);
- Estratti conto, attestazioni bancarie e inventari patrimoniali del defunto;
- Perizie di stima immobiliari o perizie giurate;
- Documentazione relativa a quote societarie, veicoli e beni registrati;
- Copia della dichiarazione di successione e ricevuta telematica di invio.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la completezza della dichiarazione con documenti e perizie;
- Contestare errori catastali o bancari che hanno generato la presunta omissione;
- Eccepire vizi formali: notifica irregolare, motivazione carente, decadenza dei termini;
- Richiedere autotutela se l’errore è evidente e riconoscibile dall’Ufficio;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni con richiesta di sospensione cautelare;
- Mediazione tributaria (nei casi obbligatori) per ridurre sanzioni e interessi.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la dichiarazione di successione e le contestazioni mosse dall’Ufficio;
📌 Verifica la legittimità delle prove su cui si fonda l’accertamento;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre le pretese fiscali;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce strategie preventive nella redazione delle successioni future per evitare contestazioni.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in dichiarazioni di successione e contenzioso tributario;
✔️ Specializzato in difesa di eredi e famiglie nelle verifiche fiscali successorie;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni su dichiarazioni di successione incomplete non sempre sono fondate: spesso derivano da errori formali o da dati non aggiornati.
Con una difesa mirata puoi dimostrare la correttezza della dichiarazione, ottenere l’annullamento delle pretese fiscali e proteggere il patrimonio ereditario.
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