Sei stato amministratore di diritto di una Srl poi cancellata dal Registro delle Imprese e ora l’Agenzia delle Entrate ti contesta debiti fiscali della società? Quando l’amministratore è un prestanome, i rischi non cessano con la cancellazione della società: il Fisco può comunque rivalersi sugli amministratori se ritiene che abbiano avuto un ruolo, anche solo formale, nella gestione.
Cosa succede alla cancellazione della Srl
– La cancellazione estingue la società come soggetto giuridico
– I rapporti pendenti (debiti e crediti) si trasferiscono ai soci, nei limiti di quanto riscosso in liquidazione
– Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere se hanno violato i doveri di gestione o hanno concorso in illeciti fiscali
– Se l’amministratore era solo un prestanome, il rischio è che venga coinvolto comunque per il semplice fatto di risultare formalmente responsabile
Rischi fiscali per l’amministratore prestanome
– Responsabilità solidale per i debiti tributari se il Fisco dimostra che non sono stati versati imposte e contributi
– Azioni di responsabilità personale in caso di omesso versamento IVA, ritenute o indebite compensazioni
– Possibile contestazione di reati tributari (dichiarazione fraudolenta, omessa dichiarazione, sottrazione fraudolenta al pagamento)
– Sequestro e pignoramento di beni personali in caso di responsabilità accertata
– Danni reputazionali e impossibilità di difendersi efficacemente se non viene dimostrata la reale estraneità alla gestione
Quando il prestanome può difendersi
– Se dimostra di non aver avuto alcun ruolo concreto nella gestione
– Se produce prove che il vero dominus era un altro soggetto (amministratore di fatto)
– Se evidenzia che la cancellazione della Srl ha trasferito la responsabilità patrimoniale solo ai soci
– Se riesce a provare che non vi è stato dolo o colpa grave nel suo comportamento formale
– Contestando la sproporzione di eventuali sanzioni, invocando il principio di proporzionalità
Come difendersi da contestazioni post-cancellazione
– Analizzare gli atti notificati dall’Agenzia delle Entrate per verificare la legittimità delle pretese
– Dimostrare con documenti e testimonianze la natura meramente formale della carica di amministratore
– Contestare l’automatismo della responsabilità personale senza prove concrete di condotta attiva
– Impugnare gli avvisi di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
– Difendersi parallelamente in sede penale, se vi sono contestazioni di reato
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Verificare la correttezza della procedura di accertamento dopo la cancellazione della Srl
– Individuare la strategia più efficace per dimostrare l’estraneità del prestanome alla gestione
– Contestare la legittimità delle pretese fiscali e delle sanzioni personali
– Difendere l’amministratore in sede tributaria e penale
– Tutelare il patrimonio familiare da eventuali misure cautelari
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’esclusione della responsabilità personale per i debiti della società cancellata
– L’annullamento totale o parziale delle contestazioni fiscali
– La riduzione delle sanzioni e la sospensione delle azioni esecutive
– La protezione del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di dimostrare la reale posizione di prestanome senza poteri gestori
⚠️ Attenzione: essere amministratore di diritto prestanome non ti esonera automaticamente dai rischi fiscali. Dopo la cancellazione di una Srl, il Fisco può comunque rivalersi, salvo che tu dimostri con prove concrete la tua estraneità alla gestione.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e diritto societario – ti spiega quali rischi corri come amministratore prestanome dopo la cancellazione di una Srl e come difenderti.
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Introduzione
La figura dell’amministratore di diritto prestanome – ossia il soggetto formalmente investito della carica di amministratore di una società, ma privo di poteri gestionali effettivi perché “schermo” di altri – pone delicati problemi di responsabilità legale. In particolare, quando una S.r.l. viene cancellata dal Registro delle Imprese lasciando debiti fiscali irrisolti, l’ex amministratore (anche se mero prestanome) rischia di essere chiamato a risponderne in prima persona. Questo tema è di stringente attualità in Italia e richiede un’analisi approfondita della normativa tributaria e societaria, nonché della giurisprudenza più recente (aggiornata ad agosto 2025) per delineare i confini dei rischi fiscali e le possibili strategie difensive dal punto di vista di chi si trova esposto a tali pretese (il debitore ex amministratore).
Nel presente approfondimento, rivolto a professionisti del diritto ma scritto con linguaggio chiaro e divulgativo, esamineremo:
- I principi generali sull’autonomia patrimoniale delle S.r.l. e la regola della responsabilità limitata, con le eccezioni previste in caso di liquidazione o condotte illecite degli amministratori.
- La normativa italiana rilevante: l’art. 2495 c.c. (effetti della cancellazione della società) e la disciplina speciale ex art. 36 D.P.R. 602/1973 che individua le condizioni in cui liquidatori, soci e amministratori di una società estinta possono essere chiamati a pagare i debiti tributari sociali. Verranno citate le modifiche introdotte dal D.Lgs. 175/2014 (cd. “Decreto Semplificazioni Fiscali”) che hanno innovato la materia .
- La distinzione tra amministratore di diritto (anche se prestanome) e amministratore di fatto, evidenziando come la legge attribuisca comunque al primo precisi obblighi e potenziali responsabilità, sia civili/tributarie che penali.
- I più recenti orientamenti giurisprudenziali (Corte di Cassazione, incluse Sezioni Unite 2025) sulle responsabilità di ex amministratori e soci per i debiti fiscali di società cancellate, con riferimento alle sentenze chiave dal 2021 al 2025. Queste pronunce delineano principi fondamentali: ad esempio, la Cassazione ha escluso ogni automatismo nella trasmissione dei debiti tributari ai soci o agli amministratori dopo l’estinzione della società .
- Un focus specifico sulle strategie difensive e i rimedi a disposizione di un ex amministratore debitore che riceva un avviso di accertamento tributario o una cartella di pagamento per debiti della società estinta: come contestare la pretesa, su quali vizi fare leva, quali prove sono utili, i passi procedurali (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, istanze di sospensione, ecc.) e gli strumenti per definire o ridurre l’esposizione (adesione, rateazione, definizioni agevolate, ecc.).
- Verranno infine proposti alcuni casi pratici simulati (esclusivamente nel contesto italiano) per illustrare l’applicazione concreta di norme e principi, accompagnati da tabelle riepilogative che sintetizzano concetti chiave, e una sezione di Domande & Risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni. Il tutto dal punto di vista dell’ex amministratore debitore, al fine di metterlo in condizione di capire come tutelarsi o prevenire situazioni di responsabilità.
Nota: Tutte le affermazioni saranno corredate da riferimenti a fonti normative (articoli di legge) e sentenze aggiornate della giurisprudenza (soprattutto di legittimità) . In particolare, citeremo pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione e di sezioni semplici dal 2021 in poi, oltre a richiamare documenti ufficiali, così da assicurare autorevolezza e attualità alle informazioni fornite.
Autonomia patrimoniale perfetta e limiti di responsabilità nelle S.r.l.
Per inquadrare il tema, occorre partire dal principio generale delle società di capitali: l’autonomia patrimoniale perfetta. Ai sensi degli artt. 2462 c.c. (per le S.r.l.) e 2325 c.c. (per le S.p.A.), la società è un soggetto giuridico distinto che risponde soltanto con il proprio patrimonio delle obbligazioni contratte. In termini pratici, ciò significa che soci e amministratori non sono personalmente responsabili dei debiti sociali, se non nei casi eccezionali previsti dalla legge . La Cassazione ha ribadito che, grazie all’autonomia patrimoniale, l’attività svolta in nome della società e i relativi debiti fanno esclusivo capo all’ente stesso, senza propagarsi automaticamente sui patrimoni personali di chi la gestisce .
Esempio: se una S.r.l. accumula debiti tributari o commerciali e dispone di un patrimonio insufficiente a soddisfarli, i creditori sociali subiranno (salvo eccezioni) le perdite eccedenti l’attivo recuperabile. Gli amministratori o i soci non sono tenuti a ripianare con risorse proprie il debito residuo. Questo “scudo” patrimoniale è un elemento fondante del rischio legato all’attività d’impresa in forma societaria .
Tuttavia, l’autonomia patrimoniale non è assoluta. L’ordinamento prevede deroghe mirate per evitare abusi e tutelare i creditori in determinate situazioni. In altre parole, il “velo” della persona giuridica può essere perforato o integrato da responsabilità personali quando ricorrono specifiche condizioni di legge . Le principali eccezioni in cui soci o amministratori possono dover rispondere con il proprio patrimonio includono:
- Fase di scioglimento e liquidazione: se, al momento della cancellazione della società, vi sono debiti insoddisfatti, i creditori sociali possono agire contro ex soci (e in taluni casi contro i liquidatori) per recuperare quanto dai soci eventualmente percepito in sede di liquidazione . Questo principio, previsto dall’art. 2495, comma 2 c.c., implica una responsabilità post-estintiva dei soci entro certi limiti (si veda oltre).
- Condotte illecite o gestioni irregolari degli amministratori: se l’amministratore viola i doveri legali (diligenza, correttezza, conservazione dell’integrità patrimoniale sociale, adempimento degli obblighi fiscali, ecc.) causando danni ai creditori o alla società, può essergli addebitata una responsabilità risarcitoria personale. Ad esempio, ex art. 2476, comma 7 c.c., gli amministratori di S.r.l. rispondono verso i creditori sociali quando il patrimonio risulta insufficiente per colpa del mancato adempimento dei loro doveri (si pensi a pagamenti preferenziali, atti distrattivi, omesso versamento di imposte dovute, ecc.). In tali casi, il veleno della società viene meno e l’amministratore può essere citato per il risarcimento del danno.
- Violazioni tributarie con sanzioni personali o reati: la normativa fiscale e penale prevede ipotesi in cui l’amministratore (anche se prestanome) subisce conseguenze personali. Sul piano amministrativo-tributario, certe sanzioni (es. sanzioni pecuniarie per omesso versamento di ritenute, qualora qualificabili come obbligazioni solidali) possono colpire direttamente gli amministratori; sul piano penale, come vedremo, l’amministratore di diritto risponde dei reati tributari commessi nell’attività sociale (dichiarazioni fraudolente, emissione di false fatture, omessi versamenti con dolo, bancarotta fraudolenta in caso di fallimento, ecc.), anche se egli era solo una figura di facciata.
In questa guida ci concentriamo in particolare sul primo aspetto – la responsabilità per debiti tributari insoluti dopo la cancellazione di una S.r.l. – con riguardo al ruolo dell’amministratore prestanome. È in tale frangente che più spesso si materializza il rischio per l’ex amministratore di vedersi recapitare richieste di pagamento dal Fisco o da altri creditori, nonostante la regola generale dell’assenza di responsabilità personale. Vediamo dunque come opera la normativa speciale in materia e cosa hanno stabilito le sentenze più recenti in casi simili.
Creditori insoddisfatti dopo la cancellazione: art. 2495 c.c. e responsabilità di soci e liquidatori
Quando una società viene cancellata dal Registro delle Imprese, essa si estingue come soggetto giuridico. Questo principio, sancito dall’art. 2495 c.c., comporta che la società cancellata non possa più essere destinataria di atti o parte in giudizio (non avendo più esistenza legale). Tuttavia, la legge tutela i creditori insoddisfatti prevedendo specifiche azioni contro coloro che hanno beneficiato della liquidazione o l’hanno gestita. In particolare, l’art. 2495, comma 2 c.c. stabilisce che dopo la cancellazione:
- I liquidatori rispondono verso i creditori sociali se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da colpa loro (ad esempio, per non aver adeguatamente soddisfatto i creditori nel corso della liquidazione) .
- I soci rispondono verso i creditori sociali entro il limite di quanto hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione . In altri termini, ciascun ex socio può essere obbligato a restituire le somme o i beni ricevuti in sede di riparto finale, fino a concorrenza del debito sociale rimasto impagato. Se nulla ha ricevuto, nulla dovrà (salvo eccezioni per responsabilità diverse).
Questa disciplina codicistica crea dunque un meccanismo di tutela: il creditore insoddisfatto non perde automaticamente il suo diritto per il solo fatto che la società è estinta, ma può “trasferire” la pretesa su soci e liquidatori entro determinati confini. Importante sottolineare che tale responsabilità dei soci non è una successione universale nei debiti sociali, bensì una responsabilità limitata all’attivo di liquidazione da essi eventualmente incassato (assetto pro-quota e pro attivo ricevuto). La Cassazione ha infatti chiarito che l’ex socio non è erede del debito sociale: se non ha percepito nulla, non può essere chiamato a pagare nulla – essere stati soci di per sé “non basta” per giustificare un accertamento a loro carico . Ogni pretesa fiscale post-chiusura richiede la prova di un concreto beneficio economico ricevuto dal singolo socio (somme, beni, vantaggi patrimoniali) .
Va menzionato che negli anni scorsi vi è stato un contrasto giurisprudenziale proprio sul punto della sorte dei debiti sociali residui: alcune decisioni (es. Cass. civ. sez. III n. 4141/2024) avevano affermato che, per effetto della cancellazione, i debiti della società “si trasferiscono in capo ai singoli soci” quasi come fosse un fenomeno successorio automatico. Questo orientamento però è stato superato dall’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite nel 2025, che hanno escluso qualsiasi automatismo e ribadito la necessità di un titolo autonomo e specifico per poter imputare detti debiti agli ex soci . Ne riparleremo diffusamente più avanti.
Oltre ai soci e ai liquidatori, un ruolo cruciale è riservato agli amministratori in carica al momento dello scioglimento, specie se non è stata attuata una formale liquidazione. Infatti, l’art. 2495 c.c. menziona espressamente solo soci e liquidatori, ma la legislazione tributaria contiene una norma ad hoc – l’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) – che estende la responsabilità anche agli amministratori in determinate circostanze, con riguardo ai debiti tributari. Questa disposizione è centrale per comprendere i rischi fiscali post-cancellazione di un amministratore (di diritto, ancorché prestanome) e va quindi esaminata attentamente.
Responsabilità per debiti tributari ex art. 36 D.P.R. 602/1973: liquidatori, amministratori e soci
L’art. 36 del D.P.R. 602/1973 delinea un regime speciale di responsabilità patrimoniale per il pagamento delle imposte dovute da società di capitali in alcuni casi di scioglimento/liquidazione. La versione vigente (aggiornata al 2025, dopo le modifiche del 2014) dispone testualmente che :
- I liquidatori di società soggette all’IRES, che non adempiono all’obbligo di pagare con le attività della liquidazione le imposte dovute per il periodo di liquidazione e per quelli anteriori, rispondono in proprio del pagamento di tali imposte se:
- soddisfano crediti di grado inferiore rispetto ai crediti tributari, oppure
- assegnano beni ai soci senza prima aver soddisfatto i crediti tributari.
La responsabilità personale del liquidatore è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza sugli attivi liquidatori se si fosse rispettato l’ordine di privilegio . In altre parole, il liquidatore non diviene responsabile di tutte le imposte non pagate dalla società, ma solo di quelle che avrebbe potuto pagare se avesse correttamente destinato le risorse disponibili al Fisco anziché ad altri creditori di rango inferiore o ai soci. Si tratta quindi di una responsabilità civilistica ex lege per inadempimento dei doveri di corretta graduazione dei crediti.
- La disposizione di cui sopra (prima comma) si applica anche agli amministratori* *in carica al momento dello scioglimento della società se non si è provveduto alla nomina dei liquidatori . Ciò significa che, qualora una società venga cancellata senza una formale fase di liquidazione (eventualità possibile, ad esempio, nelle cancellazioni d’ufficio o in alcuni scioglimenti semplificati), gli amministratori cessati assumono essi stessi gli obblighi di pagamento delle imposte in luogo del liquidatore. Di conseguenza, se tali amministratori hanno pagato altri creditori prima del Fisco o distribuito beni ai soci, scatta in capo a loro la responsabilità personale per le imposte rimaste insoddisfatte (alle stesse condizioni viste per i liquidatori). In pratica l’ordinamento impedisce che, eludendo la nomina di un liquidatore, l’amministratore possa liberamente chiudere la società trascurando i debiti tributari: egli sarà responsabile come se fosse il liquidatore.
- I soci o associati che hanno ricevuto denaro o beni sociali in assegnazione:
- dagli amministratori nei due esercizi antecedenti la liquidazione, oppure
- dal liquidatore durante la liquidazione,
sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società nei limiti del valore dei beni ricevuti . Questa previsione in sostanza riprende e rafforza quanto già previsto dal 2495 c.c., estendendolo specificamente alle imposte e includendo anche le assegnazioni avvenute prima della formale liquidazione (non solo quelle risultanti dal bilancio finale). Dunque un socio che abbia ottenuto attivi societari (es. dividendi extra bilancio, restituzioni di finanziamenti, beni in natura, ecc.) poco prima dello scioglimento può essere chiamato a rispondere verso il Fisco fino a concorrenza di quanto ricevuto. È fatto salvo comunque ogni profilo di maggiore responsabilità stabilito da altre norme (ad esempio se quella assegnazione configuri violazioni ulteriori, come atti distrattivi rilevanti in sede fallimentare o profili di responsabilità verso creditori ex art. 2495 c.c. già menzionati) .
- Le responsabilità sopra descritte (liquidatori, amministratori, soci) sono estese anche agli amministratori che, nei due esercizi antecedenti la liquidazione, hanno compiuto operazioni di liquidazione (cioè atti di realizzo o di riparto dell’attivo in prospettiva dello scioglimento) ovvero hanno occultato attività sociali, anche mediante omissioni nelle scritture contabili . Questa clausola mira a colpire quegli amministratori che, prevedendo lo scioglimento, pongono in essere manovre per far sparire o disperdere il patrimonio (ad esempio vendite sottocosto, prelevamenti ingiustificati di cassa, falsificazione dei libri contabili per far risultare meno attivo, ecc.) nei due anni precedenti. Tali condotte, se accertate, fanno scattare la responsabilità personale dell’amministratore per le imposte non pagate, come misura sanzionatoria e di tutela erariale.
- Procedura di accertamento: la legge prevede espressamente che la responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio con atto motivato, da notificare ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. 600/1973 . Contro tale *avviso di accertamento il soggetto interessato (liquidatore, amministratore o socio che sia) può presentare ricorso secondo le norme del contenzioso tributario . Questa disposizione è fondamentale: significa che l’Amministrazione finanziaria non può limitarsi a esigere coattivamente il pagamento dal liquidatore/amministratore/socio senza prima aver emesso un atto impositivo autonomo e specificamente motivato circa la responsabilità personale di costoro. Deve quindi svolgere un’istruttoria e contestare formalmente le condotte (ad es. l’aver pagato altri creditori prima del Fisco, l’aver distribuito attivo ai soci, ecc.), mettendo il destinatario in condizione di difendersi impugnando l’atto.
Di fatto, l’art. 36 crea un’obbligazione civile propria a carico di questi soggetti (liquidatori, amministratori, soci), distinta dal debito tributario originario della società. Non si tratta di “garanti in solido” nel senso tradizionale, ma di obbligati principali ex lege per un importo commisurato al pregiudizio arrecato all’Erario con le loro scelte di riparto dell’attivo . La Cassazione ha più volte evidenziato che tale responsabilità ha titolo autonomo, fondato sulla violazione di doveri civilistici (diligenza ex art. 1176 c.c., obblighi contrattuali ex art. 1218 c.c.), e non configura affatto una forma di successione nel debito tributario altrui . Non c’è, in altri termini, alcun automatismo di legge che “trasli” il debito fiscale della società in capo all’amministratore o al socio dopo l’estinzione della persona giuridica. Vi è piuttosto una nuova obbligazione a carico di questi ultimi, che nasce solo al ricorrere delle condotte specifiche previste e deve essere accertata con apposito provvedimento.
Riassumiamo in una tabella i principali casi di responsabilità fiscale post-liquidazione e i rispettivi presupposti normativi (art. 36 D.P.R. 602/73):
Soggetto coinvolto | Condotta che genera responsabilità | Fonte normativa (art. 36) | Limiti della responsabilità |
---|---|---|---|
Liquidatore | – Pagamento di creditori di rango inferiore prima di saldare le imposte dovute.<br>– Assegnazione di beni/somme ai soci senza aver soddisfatto i debiti tributari. | Comma 1 | Importo delle imposte che avrebbero trovato capienza se il liquidatore avesse rispettato la prelazione tributaria . |
Amministratore (in carica allo scioglimento, senza liquidazione formale) | – Mancata nomina del liquidatore in presenza di causa di scioglimento (l’amministratore resta gestore della liquidazione di fatto).<br>– Comportamenti come sopra (pagamenti preferenziali, distribuzioni ai soci) durante la cessazione. | Comma 2 | Come sopra: l’amministratore è trattato alla stregua di un liquidatore ai fini del calcolo dell’importo dovuto. |
Amministratore (ultimi 2 esercizi prima della liquidazione) | – Operazioni di “liquidazione occulta” prima dello scioglimento (vendite o assegnazioni di attivo ai soci, riduzione del patrimonio destinato ai creditori).<br>– Occultamento di attivo sociale, anche tramite irregolarità contabili, nel biennio precedente la liquidazione. | Comma 4 | Importo delle imposte non pagate a causa dell’attivo mancante o distratto. (Di fatto analogo al caso del liquidatore: le imposte corrispondenti ai beni sottratti all’esecuzione tributaria). |
Soci (di società poi estinta) | – Percezione di denaro o beni sociali in assegnazione negli ultimi 2 esercizi pre-liquidazione (da parte degli amministratori) oppure durante la liquidazione (dal liquidatore), prima che i debiti tributari fossero soddisfatti. | Comma 3 | Fino a concorrenza del valore dei beni/somme ricevuti . (Resta salvo il caso di ulteriori responsabilità civili per importi maggiori, ad es. se concorrono altre norme). |
Come si evince dalla tabella, l’amministratore di diritto può essere coinvolto in due modi nella rete di responsabilità delineata dall’art. 36: (A) in quanto equiparato al liquidatore se la società è stata sciolta senza nomina di quest’ultimo, e/o (B) per condotte distrattive od occultative compiute nei due anni precedenti lo scioglimento. In entrambi i casi, però, è necessaria una contestazione specifica da parte del Fisco che provi tali circostanze. Non basta affatto la mera esistenza di debiti tributari rimasti non pagati per rendere l’amministratore personalmente obbligato: occorre dimostrare che l’amministratore abbia violato i suoi doveri nella gestione liquidatoria o pre-liquidatoria, causando il danno all’Erario .
La riforma del 2014: “sopravvivenza” fiscale della società per 5 anni e inversione dell’onere della prova
Un aspetto peculiare da considerare, introdotto dal D.Lgs. 175/2014, è che per i rapporti con il Fisco la cessazione della società non è immediata. L’art. 28 di tale decreto ha infatti stabilito che l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla cancellazione, limitatamente agli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione di tributi, contributi, sanzioni e interessi . In pratica, ai soli fini fiscali, una società chiusa viene “tenuta in vita” fino a cinque anni dopo la cancellazione: durante questo periodo l’Amministrazione finanziaria può continuare a notificare avvisi di accertamento, cartelle e altri atti intestati alla società estinta, e tali atti sono considerati validi ed efficaci . Ciò consente al Fisco di perfezionare gli accertamenti nei confronti della società (ad es. a seguito di verifiche su periodi d’imposta pregressi) senza dover immediatamente coinvolgere soci o altri soggetti.
Correlativamente, il decreto del 2014 ha inverso l’onere della prova nella chiamata in causa di liquidatori e soci. In particolare, una volta accertato e divenuto definitivo il debito tributario della società, l’Ufficio finanziario può emettere l’atto di accertamento ex art. 36 nei confronti di liquidatori, amministratori o soci indicando semplicemente gli estremi del debito tributario non soddisfatto, e sarà poi onere del destinatario dell’atto (liquidatore/amministratore/socio) dimostrare l’insussistenza della propria responsabilità . Ad esempio, il liquidatore potrà cercare di provare di non aver assegnato nulla ai soci prima di pagare le imposte, oppure l’amministratore potrà dimostrare che nessuna distribuzione occultata di attivo vi è stata negli ultimi due anni, e così via. Questa inversione probatoria emerge dal testo riformato dell’art. 36, comma 5, che come visto prevede un accertamento “semplificato” da parte del Fisco (si limita a indicare il debito tributario rimasto) e lascia al contribuente l’onere di provare di aver agito correttamente .
Attenzione: nonostante l’alleggerimento formale per il Fisco sul piano probatorio, la giurisprudenza successiva ha comunque imposto all’Amministrazione l’obbligo di una “motivazione rafforzata” degli atti rivolti a ex amministratori o soci. In altre parole, pur potendosi basare sul debito definitivo della società, l’atto deve contenere elementi specifici circa il comportamento del destinatario che giustificano la pretesa . Notifiche “automatiche” e non personalizzate sono state ripetutamente giudicate nulle per difetto assoluto di istruttoria e carenza di motivazione . L’onere finale della prova in giudizio rimane in capo al contribuente, ma intanto l’atto impositivo deve superare un vaglio minimo di legittimità formale e sostanziale. Le sentenze più recenti, che vedremo a breve, hanno proprio stigmatizzato quelle prassi dell’Agenzia Entrate consistenti nel notificare agli ex amministratori mere copie di avvisi intestati alla società (magari cambiando solo l’intestazione), senza un vero lavoro di individuazione e addebito delle loro specifiche responsabilità.
In sintesi, l’art. 36 D.P.R. 602/1973 (come innovato) è la base legale su cui il Fisco può costruire una pretesa personale nei confronti dell’ex amministratore (anche prestanome) per debiti tributari non pagati dalla S.r.l. Ma tale pretesa non sorge automaticamente: richiede condotte ben precise e un atto motivato. Esaminiamo ora come questi principi sono stati applicati nei casi concreti, secondo la giurisprudenza più rilevante in materia.
Amministratore di diritto prestanome: ruolo formale vs. responsabilità effettiva
Prima di passare alle sentenze, è utile chiarire cosa intendiamo per “amministratore di diritto prestanome” e quali peculiarità presenta questa figura.
- L’amministratore di diritto è colui che risulta legalmente investito della carica di amministratore della società (sia esso amministratore unico, membro del CdA o altro), con i relativi poteri di rappresentanza. Normalmente, l’amministratore di diritto coincide con la persona che gestisce effettivamente la società.
- Si parla però di prestanome quando l’amministratore di diritto non esercita una gestione reale, limitandosi a fungere da facciata per conto di un amministratore di fatto. L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur senza cariche ufficiali, di fatto dirige e decide le operazioni sociali, servendosi del prestanome per apparire estraneo e spesso per schermare la propria responsabilità.
Tale situazione può verificarsi per diverse ragioni, spesso poco lecite: ad esempio, un soggetto già colpito da interdizioni o condanne (o non gradito a fornitori o banche) mette come amministratore un terzo (magari un parente, un dipendente, o un soggetto nullatenente) che firma documenti e figura come rappresentante, mentre lui prende tutte le decisioni. Oppure si utilizzano prestanome per costituire società fittizie destinate a evadere il Fisco o accumulare debiti per poi sparire, lasciando al prestanome il cerino acceso.
Dal punto di vista legale, è fondamentale comprendere che l’ordinamento imputa all’amministratore di diritto tutti i doveri e le responsabilità proprie della carica, indipendentemente dal fatto che egli fosse un semplice prestanome. La presenza di un amministratore di fatto non esonera l’amministratore ufficiale dai suoi obblighi verso la società, i soci, i creditori e il Fisco. In altre parole, assumere (anche solo nominalmente) la carica di amministratore significa comunque accettare i rischi legali connessi.
Questo principio è particolarmente netto in ambito penale tributario: la Corte di Cassazione penale ha più volte affermato che l’amministratore di diritto risponde dei reati tributari commessi nell’amministrazione sociale, anche se era privo di poteri gestionali effettivi e fungeva solo da prestanome. Fa eccezione solo il caso in cui egli dimostri di aver adottato ogni diligente accorgimento per monitorare l’operato altrui e verificare la regolarità fiscale, eventualmente venendo tratto in inganno da artifizi non rilevabili . Si tratta, però, di un’onere della prova estremamente gravoso per il prestanome. Nella prassi, il prestanome che si difende dicendo “non sapevo nulla, ero solo una testa di legno” non viene sollevato da responsabilità, perché il suo stesso ruolo di amministratore lo obbligava ad agire con diligenza e a non accettare passivamente la gestione occulta altrui.
Emblematica è la recente Cass. pen. sez. III sent. n. 17283 dell’8 maggio 2025, che ha riguardato proprio la condanna di un amministratore formale (e di un amministratore di fatto separatamente giudicato) per dichiarazione fraudolenta. L’imputato sosteneva di essere un prestanome, estraneo alle decisioni e persino assente dal territorio italiano durante la gestione incriminata. Ma la Cassazione ha confermato la condanna ribadendo un principio consolidato: il rappresentante legale che firma le dichiarazioni fiscali infedeli è il principale responsabile del reato, a nulla rilevando che la gestione effettiva fosse di altri, a meno che egli provi di essersi attivato diligentemente per informarsi e controllare le scritture contabili . Nel caso di specie, l’imputato non aveva fornito alcuna prova di aver vigilato sull’operato del socio occulto né sulla veridicità delle fatture (molte delle quali false), limitandosi a rivendicare la propria estraneità . La Corte ha quindi affermato che rivestire formalmente un incarico societario comporta oneri specifici e non consente di sottrarsi alle conseguenze penali invocando un ruolo di pura facciata .
Questo significa che un amministratore prestanome può subire:
- Condanne penali per reati tributari (dichiarativi e non) commessi dalla società durante il suo mandato, se ad esempio ha apposto firme su dichiarazioni fraudolente o consentito omessi versamenti rilevanti. Le sanzioni penali possono includere reclusione, multe e interdizioni (si pensi alla dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. 74/2000, all’omesso versamento IVA oltre soglia, ecc.). Anche in materia di reati fallimentari (come la bancarotta fraudolenta), il prestanome rischia grosso: se la società fallisce e risultano distrazioni o scritture false, verrà chiamato a rispondere come amministratore legale, salvo provi che l’autore materiale è stato l’amministratore di fatto (il quale comunque non lo esonera del tutto, ma ne condividerà semmai la responsabilità).
- Sanzioni amministrative tributarie in solido con la società, in alcuni casi specifici (ad esempio, sanzioni per violazioni IVA se dimostrabile il suo coinvolgimento). Va però detto che la Cassazione civile ha escluso la trasferibilità agli ex soci delle sanzioni tributarie dovute dalla società estinta , trattandosi di obbligazioni di carattere personale dell’ente. Analogamente, anche per l’amministratore, eventuali sanzioni amministrative non pagate dalla società non possono automaticamente essergli richieste salvo vi sia una norma espressa (di solito non c’è, a differenza delle imposte). L’art. 36 citato infatti parla di “imposte” e non menziona le sanzioni; per queste ultime l’ordinamento segue la regola della intrasmissibilità (anche perché sono afflittive e presuppongono un autore determinato). Quindi, il prestanome può dover pagare le imposte evase dalla società (se scattano le responsabilità ex art.36), ma non le sanzioni tributarie comminate alla società per illeciti amministrativi (che decadono con l’estinzione dell’ente, salvo fossero già state contestate a lui personalmente in quanto coautore).
In sede civile/tributaria, inoltre, il prestanome, come visto, può subire azioni di recupero patrimoniale: tipicamente, l’Agente della riscossione potrebbe notificargli una cartella di pagamento chiedendo il versamento di imposte non pagate dalla S.r.l. fallita o estinta. Oppure un creditore sociale potrebbe citarlo per responsabilità extracontrattuale (mala gestio) se ritiene che con il suo comportamento negligente abbia concorso a danneggiarlo (quest’ultima ipotesi però richiede prova rigorosa della colpa grave dell’amministratore e del nesso col danno, ai sensi dell’art. 2476 c.c., ed è tipica delle azioni di responsabilità promosse dal curatore fallimentare o dal singolo creditore in casi di gestione fraudolenta).
Riassumendo: l’amministratore prestanome, pur essendo una figura “di comodo”, assume su di sé rischi concreti. Egli è il primo bersaglio sia delle autorità fiscali (in quanto formalmente responsabile degli adempimenti tributari della società) sia, in caso di dissesto, delle autorità penali e dei creditori. Non è una posizione “sicura”: anzi, di solito viene scelto come prestanome proprio perché è nullatenente o inconsapevole, cosicché quando il Fisco o i creditori aggrediranno lui, non troveranno beni da escutere. Ma ciò non toglie che il prestanome possa subire le pressioni legali, le condanne e le iscrizioni a ruolo a suo nome, con tutte le conseguenze (pignoramenti, iscrizioni pregiudizievoli, etc.), ritrovandosi travolto da debiti e guai giudiziari per colpa altrui. È fondamentale quindi che chi viene coinvolto in simili operazioni sia consapevole di queste implicazioni.
Dopo questa panoramica, torniamo al tema centrale: quando e come l’ex amministratore (prestanome) di una S.r.l. estinta può essere chiamato dal Fisco a pagare i debiti tributari non assolti dalla società, e quali difese può opporre. Analizziamo le sentenze più recenti che hanno affrontato questo scenario dal punto di vista tributario.
Giurisprudenza recente (2021–2025) sulla responsabilità tributaria di ex amministratori e soci
Negli ultimi anni, la Corte di Cassazione è intervenuta più volte per precisare i limiti e le condizioni della responsabilità di ex amministratori, liquidatori e soci per i debiti fiscali di società estinte. In particolare, alcune pronunce chiave – culminate in una decisione a Sezioni Unite nel 2025 – hanno rafforzato la tutela del contribuente contro pretese automatiche e non motivate da parte del Fisco. Esaminiamo i principali principi emersi.
- Cass. civ. Sez. V, ord. n. 25530/2021 (depositata il 21.11.2021) – “Dopo l’estinzione della società l’ex amministratore non risponde dei debiti fiscali”. Questa ordinanza (sezione tributaria) ha escluso la responsabilità di un ex amministratore per le obbligazioni tributarie di una S.r.l. liquidata, in assenza di un atto impositivo specifico a suo carico . La Cassazione ha ribadito che dalla separazione patrimoniale tipica della S.r.l. discende che i debiti sociali restano imputati solo alla persona giuridica, senza eccezioni neppure per i debiti tributari . In particolare, la Corte ha affermato che non si può applicare in via analogica all’amministratore l’art. 36 D.P.R. 602/73: detta norma prevede sì la responsabilità dei liquidatori (e degli amministratori in carica allo scioglimento se manca il liquidatore) per le imposte non pagate, ma trattasi di una responsabilità civilistica per obbligazione propria ex lege, che non implica alcuna coobbligazione automatica di amministratori o soci per i debiti tributari sociali, nemmeno se la società è cancellata . Ciò comporta – sottolinea la Corte – che la pretesa verso l’ex amministratore necessita di uno specifico atto di accertamento, analiticamente motivato sugli elementi costitutivi della sua responsabilità (es. violazione dell’ordine dei crediti, assegnazione di beni ai soci senza pagamento delle imposte, occultamento di attivo) . Non basta notificargli una cartella di pagamento intestata alla società (magari divenuta definitiva per mancata impugnazione da parte dell’ente) pretendendo che egli paghi in qualità di ex legale rappresentante. Un simile escamotage è illegittimo: la responsabilità dell’amministratore non discende automaticamente dall’atto impositivo emesso verso la società, e non c’è alcuna “successione” nel debito per il solo fatto dell’estinzione della persona giuridica . Da questa pronuncia deriva un principio importante: notificare all’ex amministratore una cartella relativa a un accertamento fiscale definito solo a carico della società non può valere come atto impositivo su di lui . In caso contrario, l’amministratore può far valere la nullità della cartella per difetto di motivazione e violazione di legge.
- Cass. civ. Sez. V, ord. n. 15580/2024 (depositata il 4.06.2024) – In questa decisione, la Corte ha esaminato il caso di un socio-liquidatore di una società di capitali che era stato destinatario di avvisi di accertamento quali “coobbligato in solido” per imposte e accessori dovuti dalla società, senza però adeguata motivazione specifica della sua responsabilità . La Commissione Tributaria Regionale (CTR Sicilia) aveva annullato un’iscrizione ipotecaria a suo carico, ritenendo che gli avvisi mancassero di motivare la responsabilità personale ex art. 36 DPR 602/73 . La Cassazione ha confermato tale impostazione: ha richiamato la natura “civilistica e autonoma” della responsabilità del liquidatore (e soggetti assimilati), che presuppone un atto impositivo dettagliatamente motivato, “senza il quale la responsabilità non si può estendere automaticamente ai debiti tributari della società” . Anche in questo caso, dunque, viene affermato che un avviso privo di specifiche contestazioni ex art. 36 è inidoneo a fondare pretese verso il liquidatore (o amministratore); se l’Ufficio notifica un atto al liquidatore semplicemente definendolo “responsabile in solido” del debito sociale ma senza spiegare perché (quale condotta gli si addebita), tale atto è viziato e le conseguenti cartelle/prese di garanzia vanno annullate . La Cassazione esprime anche un principio di diritto molto chiaro: “Il liquidatore, amministratore o socio, pur già destinatario, con la società, della notifica di un atto impositivo, qualora quest’ultimo difetti di specifica contestazione e motivazione ex art. 36 DPR 602/1973, è legittimato a contestare il fondamento della responsabilità attribuitagli […] in sede di impugnazione di un atto successivo che lo abbia attinto come personalmente obbligato al pagamento delle somme dovute dalla società” . Ciò legittima, appunto, l’ex amministratore a far valere la mancanza di motivazione sulla propria responsabilità anche in occasione di atti della riscossione (come l’iscrizione di ipoteca, in quel caso) derivanti da un precedente accertamento carente.
- Cass. civ. Sez. Unite, sent. n. 3625/2025 (depositata il 12.02.2025) – Questa è la pronuncia più importante, con cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto i dubbi residui in materia di responsabilità fiscale degli ex soci di società estinte, con principi applicabili per analogia anche agli amministratori. Le SU hanno stabilito che non è possibile estendere automaticamente agli ex soci le responsabilità fiscali di una S.r.l. cancellata . In particolare, l’Agenzia delle Entrate non può fare affidamento solo sulla cancellazione della società o sui dati anagrafici dei soci per emettere accertamenti a loro carico . Essere stati soci non basta. Occorre un nuovo atto autonomo, debitamente motivato, che tenga conto di somme o beni effettivamente ricevuti dal socio in sede di liquidazione o nei periodi precedenti . La visura camerale (che indica i soci) non è di per sé un titolo di responsabilità. Ogni pretesa deve fondarsi su elementi specifici e dimostrabili: importi incassati, beni sociali non dichiarati, omissioni documentate, benefici economici concreti goduti dal socio . In assenza di questi elementi, l’atto è viziato per carenza istruttoria assoluta . Le SU sottolineano che la posizione di ex socio è quella di un soggetto distinto dalla società, non un erede del debito: se non ha percepito alcun vantaggio dalla liquidazione, non può rispondere del debito fiscale . E l’onere è sull’Amministrazione finanziaria di provare un beneficio economico concreto (diretto o indiretto) a favore del socio . In mancanza, qualsiasi notifica di accertamento è arbitraria e illegittima . Le SU quindi costruiscono una vera e propria “barriera”: l’ex socio non è responsabile per presunzione; serve un titolo nuovo (l’accertamento mirato) conforme all’art. 2495 c.c. o all’art. 36, comma 3 DPR 602/73, altrimenti il Fisco perde la possibilità di agire .
- Implicazioni pratiche: questa sentenza ha un duplice effetto. Da un lato, limita le azioni arbitrarie dell’Amministrazione finanziaria, costringendola a un rigoroso rispetto della procedura (istruire e motivare l’accertamento personalizzato) . Dall’altro, impone rigore nella chiusura delle società: avverte infatti che, se la fase di liquidazione non è stata adeguatamente “tracciata” con documenti che attestino l’assenza di riparti, l’ex socio potrebbe trovarsi in difficoltà a provare di non aver ricevuto nulla, e quindi resta esposto al rischio di pretese tardive . In particolare, chi ha chiuso una S.r.l. senza predisporre un “piano di difesa” documentale (verbali di non distribuzione, bilanci finali chiari, quietanze dei creditori, ecc.) potrà anni dopo ricevere atti del Fisco e faticare a dimostrare la propria estraneità. Le SU, pur tutelando i soci contro gli automatismi, implicitamente esortano imprenditori e professionisti a “blindare” la chiusura, documentando puntualmente che nulla è stato assegnato ai soci se c’erano debiti pendenti .
- In definitiva, dalle SU 3625/2025 discende che ogni riutilizzo “a tappeto” di un avviso emesso verso la società estinta per colpire i soci è improprio: non basta cambiare il nome del destinatario e richiamare l’art. 2495 . Serve un atto nuovo, con istruttoria completa e prova concreta del collegamento patrimoniale (soldi o beni passati al socio). Senza ciò, l’atto è illegittimo e può essere annullato in autotutela o dai giudici tributari . Questo principio si applica a fortiori anche per gli amministratori: se neanche i soci possono essere automaticamente gravati del debito sociale, lo stesso vale per amministratori e liquidatori, la cui responsabilità va accertata in modo individualizzato.
- Cass. civ. Sez. V, ord. n. 30011/2022 – Questa ordinanza ha affrontato un tema specifico: la trasmissibilità ai soci delle sanzioni amministrative tributarie della società estinta. La Corte ha stabilito che, data la natura personale delle sanzioni amministrative, esse non si trasferiscono ai soci dopo l’estinzione della società . Ciò conferma che mentre le imposte possono, in presenza dei presupposti di legge, essere richieste a soci/gestori, le sanzioni pecuniarie (ad esempio, una multa per infedele dichiarazione a carico della società) muoiono con la società, salvo fossero state contestate personalmente a chi ha commesso la violazione. Questo si riflette anche per gli amministratori: non possono essere obbligati a pagare le sanzioni tributarie dovute dalla società estinta, a meno che non fossero sanzioni proprie a loro comminate (cosa che può accadere, ad esempio, se erano coobbligati per legge su certe sanzioni, ma è raro). La netta separazione tra imposte (trasmissibili in certi limiti) e sanzioni amministrative (non trasmissibili) è un ulteriore elemento a favore del contribuente-debitore da tenere presente nella difesa.
In sintesi dalla giurisprudenza: oggi possiamo affermare con certezza che né l’ex amministratore né l’ex socio rispondono automaticamente dei debiti tributari della società cancellata . È invece necessario che l’Amministrazione provi specifiche condotte (per l’amministratore: distrazione di attivo, pagamento preferenziale, ecc.; per il socio: ricezione di beni) che giustifichino una pretesa nei loro confronti . Inoltre, tale pretesa deve essere formalizzata in un atto ad hoc motivato, altrimenti qualsiasi iscrizione a ruolo o atto esecutivo contro l’ex amministratore/socio è illegittimo . Questi orientamenti giurisprudenziali costituiscono un’importante tutela del diritto di difesa del contribuente e del principio di legalità impositiva: la responsabilità personale non si presume, ma va accertata individualmente caso per caso .
Per un ex amministratore prestanome, ciò significa che esistono margini solidi per difendersi da richieste ingiustificate del Fisco. Molti atti emessi in passato erano fondati su automatismi (es. “società estinta = soci solidalmente responsabili”) o su semplici richiami di legge generici, e come tali possono essere annullati perché viziati da errori giuridici . Naturalmente, ogni caso va valutato in concreto: se ad esempio l’amministratore ha realmente prelevato e occultato asset sociali prima di chiudere la società, la pretesa fiscale troverà facile fondamento. Ma se l’amministratore è stato un prestanome che non ha tratto alcun beneficio e la liquidazione è avvenuta senza attivo residuo, allora pretendere da lui il pagamento dei debiti sociali significherebbe introdurre una responsabilità oggettiva non prevista dall’ordinamento, contro cui le sentenze sopra citate offrono validi argomenti di difesa.
Esaminiamo ora, dal punto di vista operativo, quali strategie difensive può adottare l’ex amministratore prestanome che si veda recapitare un avviso o una cartella per debiti fiscali della società cancellata.
Strategie difensive e rimedi dopo un accertamento fiscale all’ex amministratore
Poniamoci nei panni di un ex amministratore (di diritto) che, magari a distanza di tempo dalla cancellazione della S.r.l., riceve un atto dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agente della Riscossione in cui gli si intima il pagamento di imposte riferite alla società che amministrava. Può trattarsi di un avviso di accertamento intestato direttamente a lui (come coobbligato ex art.36 DPR 602/73) oppure, più subdolamente, di una cartella esattoriale relativa ad un debito della società (ad esempio IVA non versata, divenuta definitiva a carico della società) notificata però all’ex amministratore in base all’art. 2495 c.c. o art.36. Cosa fare in questi casi per difendersi e tutelare il proprio patrimonio?
Ecco una serie di passi e strategie da seguire, frutto dell’esperienza pratica e confortati dai principi giuridici sopra illustrati:
1. Analizzare la natura dell’atto ricevuto e i suoi presupposti legali. La prima cosa è capire esattamente che tipo di atto si ha in mano, perché da ciò dipende la strategia. Se è un avviso di accertamento tributario intestato a te personalmente, vuol dire che l’Agenzia delle Entrate ha avviato la procedura prevista dall’art. 36 DPR 602/73: l’atto dovrebbe specificare perché ti ritiene responsabile (ad es. “in qualità di liquidatore che ha distratto beni ai soci” oppure “in qualità di amministratore che ha occultato attivi” ecc.). Se invece è una cartella di pagamento (o un avviso di addebito dell’Agente Riscossione) che cita solo la società come debitore e magari fa il tuo nome come “erede” o coobbligato senza ulteriori spiegazioni, allora con ogni probabilità l’atto è viziato. Spesso infatti gli enti riscossori procedono inviando la cartella destinata alla società direttamente al domicilio dell’ex amministratore, nella (errata) convinzione che costui ne risponda ipso iure. È importante leggere attentamente la motivazione: c’è un riferimento esplicito all’art. 36 DPR 602/73 o all’art. 2495 c.c.? Si menziona qualche assegnazione di beni o condotta a te imputata? Oppure è una semplice intimazione di pagare in quanto “ex legale rappresentante” senza altre spiegazioni?
2. Verificare i termini e predisporre il ricorso nei tempi previsti. I provvedimenti fiscali hanno tempi di impugnazione stringenti. In generale, un avviso di accertamento va impugnato entro 60 giorni dalla notifica, proponendo ricorso innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (il nuovo nome dal 2023 delle ex Commissioni Tributarie Provinciali). Una cartella di pagamento relativa a tributi, se si ritiene viziata in origine (ad es. perché mai notificato un atto presupposto valido al soggetto giusto), può essere impugnata in sede tributaria entro 60 giorni per far valere i vizi propri o derivati. È fondamentale dunque non lasciar decorrere i termini, anche perché l’inerzia potrebbe essere interpretata come acquiescenza. Appena ricevuto l’atto, calendario alla mano, segna la scadenza per il ricorso e attivati immediatamente contattando un avvocato tributarista o un difensore abilitato. Agire subito è cruciale: molti atti altrimenti contestabili diventano definitivi se non impugnati tempestivamente, rendendo poi molto più difficile eliminare il debito .
3. Valutare un’eventuale istanza di sospensione o tutela d’urgenza. Se dall’atto deriva un rischio immediato di esecuzione (ad esempio, ti intimano pagamento entro 30 giorni e temi iscrizioni di ipoteche o pignoramenti), è possibile contestualmente al ricorso chiedere alla Corte di Giustizia Tributaria una sospensione cautelare dell’atto impugnato. Ai sensi dell’art. 52 D.lgs. 546/1992, infatti, il contribuente può richiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se ne ricorrono gravi e fondati motivi (pericolo di danno grave e irreparabile e fumus boni iuris, ossia probabilità di vittoria). Nel caso di un ex amministratore che si vede chiedere decine o centinaia di migliaia di euro per debiti altrui, evidenziare al giudice che: (a) l’atto è illegittimo per difetto di motivazione (fumus), e (b) l’esecuzione immediata gli causerebbe un danno grave (es. paralisi della propria attività, perdita della casa per ipoteca, ecc. – periculum), può portare ad ottenere la sospensione temporanea della riscossione. Questo dà respiro fino alla decisione sul merito.
4. Raccogliere le prove e la documentazione a tuo favore. La preparazione del ricorso deve essere sorretta da elementi fattuali che dimostrino l’insussistenza della tua responsabilità. In qualità di ex amministratore, potresti non avere più a disposizione i documenti sociali (bilanci, libri) se la società è estinta, ma puoi cercare di procurarteli: ad esempio, il bilancio finale di liquidazione depositato, se c’è stato, o l’ultimo bilancio d’esercizio noto, i verbali assembleari di scioglimento, eventuali attestazioni del liquidatore sul pagamento dei creditori, o la certificazione che nulla è stato ripartito ai soci (verba non riparto). Se esistono sentenze di fallimento o altri atti pubblici sulla società, recuperali (possono contenere accertamenti utili, es. “nessun attivo da ripartire”). Se nel tuo caso sei stato puramente prestanome, potrebbe esserti utile provare: – che non hai ricevuto beni o somme dalla società; – che non hai commesso atti dispositivi negli ultimi anni; – che magari eri all’oscuro di certe operazioni (quest’ultimo aspetto è più rilevante in sede penale che fiscale, dove conta più l’oggettività delle condotte). In ogni caso, più elementi concreti porti, meglio è.
5. Impostare le eccezioni giuridiche nel ricorso. Sul piano del diritto, le principali argomentazioni difensive saranno: – Carenza di motivazione specifica: se l’accertamento non dettaglia la condotta contestata (es. non spiega quali beni avrei assegnato ai soci, o quali crediti di ordine inferiore avrei pagato preferenzialmente), allora è nullo . Citare Cass. 15580/2024, Cass. 25530/2021 e SU 3625/2025 a supporto di questa tesi è efficace, perché mostrano che la Suprema Corte richiede una motivazione ad personam. Ad esempio, Cass. 15580/24 ha annullato perché l’avviso al liquidatore “mancava di motivazione esplicita della responsabilità personale” . Cass. 25530/21 ha detto che serve “prova degli elementi costitutivi” nell’atto . SU 3625/25 ribadisce “serve atto autonomo, motivato, con istruttoria completa e prova concreta” . Dunque, un atto generico va censurato. – Inesistenza di un atto presupposto a tuo carico: se ti hanno notificato solo una cartella senza un accertamento a tuo nome, evidenzia che manca proprio il presupposto legittimante. Non vale dire che c’è l’accertamento della società: quello riguarda un diverso soggetto (la società estinta) e non può essere automaticamente traslato su di te . È violato l’art. 36 DPR 602/73 (comma 5) che impone l’atto motivato personale . Quindi, la cartella è nulla perché priva di titolo valido verso di te. – Insussistenza dei presupposti sostanziali (assenza di condotta illecita): nel merito, afferma e dimostra che nessuna delle condizioni di responsabilità previste dalla legge ricorre nel tuo caso. Ad esempio: la società è stata liquidata pagando in proporzione tutti i creditori (Fisco incluso per quanto possibile); tu non hai distribuito nulla ai soci (anzi, magari c’è un verbale di mancata distribuzione); non hai occultato beni (magari la società non aveva proprio attivi, era decotta); non hai commesso violazioni gestionali negli ultimi due anni. In mancanza di tali condotte, l’art. 36 non è applicabile e la pretesa è infondata nel merito . Se sei stato nominato liquidatore, sottolinea di aver operato correttamente; se non sei stato liquidatore (la società si è cancellata d’ufficio ad esempio), evidenzia che tu come amministratore hai cessato dalla carica e non hai compiuto tu la liquidazione, né potevi farlo. – Limite quantitativo della responsabilità: in subordine, qualora risultasse qualche assegnazione o attivo, invoca il limite dell’importo. Ad esempio, se ai soci era stato distribuito un importo X, al più quella è la misura entro cui eventualmente imputare il debito ai soci, non oltre. Questo per evitare che ti chiedano importi maggiori di qualsiasi attivo disponibile all’epoca (ricordiamo che la responsabilità del liquidatore è commisurata all’attivo della liquidazione) . Analogamente per te: se l’imposta evasa era 100 ma l’attivo liquido era 50, non puoi rispondere per 100 (questo è un argomento di equità che alcuni giudici considerano, benché l’AdE spesso chieda tutto e lasci a te l’onere di dimostrare la capienza). – Non debenza di sanzioni e interessi se indebitamente calcolati: qualora l’atto diretto a te includa sanzioni amministrative o interessi moratori ecc., valuta di eccepire che tu rispondi solo dell’imposta base (in molti casi la giurisprudenza, come visto per le sanzioni ai soci , esclude che queste seguano). Gli interessi invece, essendo accessori del tributo, di solito sono dovuti in solido se l’imposta è dovuta; ma qualora il periodo di liquidazione si sia chiuso anni prima, potresti contestare il computo di interessi successivi all’estinzione (questione tecnica però di dettaglio).
6. Considerare strumenti deflativi o soluzioni transattive (se opportuno). Contestare è giusto se ritieni l’atto infondato; tuttavia, se dalle analisi emerge che qualche addebito è fondato (ad es. effettivamente in liquidazione hai pagato altri prima delle tasse per necessità, oppure hai fatto versamenti a soci inconsapevolmente), può essere saggio valutare anche vie di definizione agevolata o accordo con il Fisco. Ad esempio, è possibile presentare istanza di accertamento con adesione (sospendendo così per 90 giorni i termini per il ricorso) per cercare un accordo con l’ufficio riducendo sanzioni. Oppure, se il debito è già definito e siamo in fase di cartella, valutare la possibilità di una definizione agevolata (come le cosiddette rottamazioni delle cartelle previste periodicamente dal legislatore) in cui magari paghi solo l’imposta senza sanzioni né interessi di mora. C’è anche l’istituto della transazione fiscale in ambito di crisi d’impresa o personale, se stai percorrendo una procedura da sovraindebitato o concordato. Insomma, non trascurare l’aspetto pragmatico: l’obiettivo è proteggere il tuo patrimonio , quindi ogni strumento che riduca l’esborso merita considerazione, specie se la tua posizione difensiva non è granitica.
7. Tutelare il patrimonio personale durante la pendenza della controversia. Se il debito richiesto è ingente e temi aggressioni (pignoramenti immobiliari, su conti, su stipendio, ecc.), metti in sicurezza il minimo vitale. Ad esempio, se hai un conto cointestato con la coniuge, valuta di separarlo onde evitare blocchi totali; se hai un solo conto dove percepisci lo stipendio, sappi che Equitalia (Agenzia Riscossione) può pignorarlo fino a un certo limite: potresti aprire un conto dedicato per stipendio per avere liquidità. Non fare però l’errore di compiere atti dispositivi simulati (tipo donare casa ai figli all’ultimo): sarebbero facilmente revocabili o peggio configurare concorso in sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (reato previsto dall’art. 11 D.Lgs. 74/2000 se fatto dopo che c’è un debito esigibile). Agisci in modo trasparente ma avveduto: ad esempio, se hai beni inutilizzati che non servono da garanzia, puoi venderli a valori di mercato prima che arrivino ipoteche, così da monetizzare (ma poi quei fondi tienili tracciabili, magari servono per transare). Lo scopo è evitare la paralisi finanziaria personale in attesa che la giustizia faccia il suo corso .
8. Valutare l’azione di rivalsa verso i veri responsabili. Dal punto di vista del debitore ex amministratore, una considerazione finale: se tu sei stato un prestanome e stai subendo le conseguenze al posto dell’amministratore di fatto o dei soci che hanno beneficiato, ricorda che dopo aver risolto (o mentre risolvi) il contenzioso con il Fisco, potresti agire civilmente contro chi ti ha causato il danno. Ciò può avvenire in diverse forme: una causa di regresso (se hai pagato debiti sociali di altri e c’era un accordo interno), una richiesta risarcitoria per abuso della tua fiducia, ecc. Queste azioni però hanno senso pratico solo se i responsabili occulti sono individuabili e solvibili. Spesso i prestanome vengono scelti proprio perché i veri autori sono irreperibili o insolvibili, il che rende poco fruttuoso rincorrerli. Tuttavia, non dimenticare questo aspetto: la legge (art. 1299 c.c. sul regresso tra coobbligati, analogia con mandato, ecc.) in teoria ti darebbe strumenti per rifarti su di loro. Anche la denuncia penale (se non è già emersa) verso l’amministratore di fatto può essere un modo per ottenere giustizia. Sono valutazioni da fare con il tuo legale a bocce ferme, una volta messa in sicurezza la tua posizione.
In definitiva, la giusta strategia difensiva può portare a:
- Annullamento totale dell’atto impugnato, se riesci a far riconoscere che manca la prova della tua responsabilità personale (vizio di motivazione o errore di destinatario) .
- Sospensione di eventuali misure esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche) durante la causa, presentando opposizione e ottenendo provvedimenti cautelari .
- Riduzione delle somme dovute, tramite vittoria parziale (ad esempio, pagamento limitato a quanto hai eventualmente percepito) oppure accordi di adesione/transazione .
- Rateizzazione o definizione agevolata del debito, se alla fine sei tenuto a pagare qualcosa: potrai diluire il pagamento ed evitare impatti devastanti immediati .
- Protezione del tuo patrimonio personale e chiusura definitiva dell’esposizione, una volta affrontata correttamente la questione .
Molti atti rivolti agli ex amministratori possono essere contestati con successo, poiché – come abbiamo visto – spesso l’Amministrazione finanziaria in passato ha agito in modo sbrigativo, basandosi su automatismi o errori giuridici . Il messaggio della giurisprudenza recente è chiaro: se non c’è una colpa provata, l’ex amministratore non deve pagare di tasca propria i debiti della società. Pertanto, un debitore avveduto e ben assistito può far valere i propri diritti e uscire vittorioso dal contenzioso o comunque negoziare una soluzione equa.
Nei prossimi paragrafi proponiamo alcuni casi pratici simulati, che aiutano a comprendere come applicare questi principi a situazioni reali, e una sezione di Domande & Risposte frequenti per chiarire i dubbi residui.
Esempi pratici (casi simulati)
Di seguito presentiamo alcune simulazioni di casi tipici riguardanti ex amministratori (anche prestanome) di S.r.l. cancellate con debiti fiscali, per vedere in concreto quali rischi emergono e con quali soluzioni.
Caso 1: S.r.l. cancellata senza attivo e con debiti tributari – nessuna distribuzione ai soci.
Scenario: La Alpha S.r.l. si scioglie e viene cancellata nel 2023. Aveva un debito IVA di €50.000. Il bilancio finale di liquidazione mostra che l’intero attivo (€5.000) è stato utilizzato per pagare spese di procedura e, in parte, l’Agenzia delle Entrate (che ha ricevuto quei €5.000 in acconto sull’IVA). Nulla è stato distribuito ai soci, che anzi hanno perso i conferimenti. L’amministratore unico, sig. Tizio, era un prestanome del socio di maggioranza. Dopo un anno, l’Agenzia delle Entrate notifica a Tizio un avviso chiedendogli i restanti €45.000 di IVA non pagata dalla società, sostenendo che “in qualità di amministratore all’atto dello scioglimento” ne è responsabile.
Analisi: In questo caso, nessuna condotta illecita può essere imputata a Tizio: non c’era attivo sufficiente per pagare tutti, ma Tizio/liquidatore ha pagato in parte il Fisco e nulla ha dato ai soci. Non ha occultato beni (il bilancio è trasparente) né pagato creditori posposti (ha pagato il Fisco pro quota). Dunque l’art. 36 DPR 602/73 non trova applicazione: Tizio non rientra in alcuna ipotesi di responsabilità (ha agito diligentemente). L’avviso è erroneo nel merito. Inoltre, se l’atto si basa sul solo fatto che era amministratore alla cancellazione, è carente di motivazione (non individua una violazione specifica). Tizio, proponendo ricorso, avrà ottime chance di far annullare l’atto, citando Cass. 25530/2021 e Cass. SU 3625/2025 sull’assenza di automatismi . Probabilmente l’Agenzia desisterà già in primo grado o perderà la causa. Esito atteso: annullamento dell’accertamento; Tizio non paga nulla oltre a quanto già versato in liquidazione.
Caso 2: S.r.l. cancellata con attivo distribuito ai soci – responsabilità pro quota del socio e del liquidatore.
Scenario: Beta S.r.l. chiude nel 2022 con un debito verso l’erario di €30.000. Il liquidatore, sig.ra Caia, utilizza l’attivo (di €20.000) per pagare alcuni fornitori ritenuti “più pressanti” e poi distribuisce i restanti €5.000 ai due soci (2.500 € ciascuno). Nulla viene corrisposto al Fisco, che rimane creditore di €30.000. Nel 2024 l’Agenzia Entrate emette avvisi di accertamento ex art.36: uno verso Caia (liquidatore) e uno verso ciascun socio, contestando loro la responsabilità. Agli atti risulta infatti che Caia ha pagato crediti chirografari (fornitori) prima di un credito privilegiato erariale, e che i soci hanno ricevuto €2.500 a testa in violazione della prelazione tributaria.
Analisi: Qui la responsabilità ex art. 36 c’è tutta: Caia risponde quale liquidatrice inadempiente per aver preferito altri creditori e distribuito utili ai soci senza pagare imposte . I soci rispondono nei limiti di €2.500 ciascuno (valore assegnato) . Tuttavia, occorre verificare se l’Agenzia ha rispettato la procedura: gli avvisi a Caia e ai soci sono adeguatamente motivati? Se ad esempio l’avviso ai soci fosse generico, potrebbero impugnarlo dicendo che non prova la percezione di somme (ma qui ci sono le evidenze dei bilanci). Caia potrebbe sostenere che pagare i fornitori era necessario per evitare cause, ma giuridicamente non la esonera. In giudizio Caia forse potrebbe ottenere di ridurre la sua responsabilità a €20.000 (l’importo di attivo che aveva in mano) e non €30.000, ma la legge dice che risponde fino all’importo delle imposte che avrebbero trovato capienza: se aveva 20k di attivo, di quei 20k avrebbe dovuto darli al Fisco, quindi risponde di 20k (non dell’intero debito). Ogni socio risponde di 2.5k. Quindi il Fisco recupererà €20k da Caia e €5k totali dai soci, restando a mani vuote per €5k (che sarebbero rimasti comunque non coperti dall’attivo mancante). Esito atteso: in sede di contenzioso, probabile soccombenza parziale dei convenuti: verranno confermate le loro responsabilità ma quantificate correttamente (evitando duplicazioni). Se l’Agenzia avesse preteso 30k da Caia e 5+5k dai soci (sforando il debito totale), il giudice rettificherà evitando che l’erario incassi più del dovuto. Resta la possibilità di accordi: Caia e soci potrebbero proporre un pagamento transattivo complessivo di €25k subito per chiudere.
Caso 3: Amministratore prestanome con occultamento di attivo prima della chiusura – responsabilità aggravata.
Scenario: Gamma S.r.l. opera per pochi anni, accumula debiti IVA per €100.000, poi cessa l’attività nel 2021. L’amministratore, Sempronio, è un prestanome; il dominus (amministratore di fatto) negli ultimi due anni ha trasferito su conti esteri e sui propri conti personali gran parte degli incassi, senza annotarli in contabilità (di fatto occultando ricavi). Al momento della chiusura formale, la società risulta senza beni né soldi. Nel 2023 la Guardia di Finanza scopre l’ammanco durante una verifica fiscale post-chiusura. L’Agenzia delle Entrate notifica a Sempronio un accertamento ex art.36 comma 4, contestandogli di aver occultato attivo nei due anni precedenti lo scioglimento (circa €80.000 sottratti alla massa) e chiedendogli il pagamento di imposte evase per €80.000. Sempronio si difende dicendo che il responsabile era l’amministratore di fatto e che lui non sapeva.
Analisi: L’art.36 estende la responsabilità agli amministratori che hanno occultato attività sociali negli ultimi due periodi d’imposta . Formalmente Sempronio era l’amministratore di diritto in quegli anni, quindi per la legge è lui che “ha occultato” (anche se materialmente lo ha fatto il dominus). Salvo che Sempronio possa provare di non aver avuto alcun ruolo attivo (ma come amministratore è difficile, perché anche l’omissione di vigilanza è colpa), egli verrà ritenuto responsabile. La sua posizione penale è pessima (probabile una denuncia per sottrazione fraudolenta e dichiarazione infedele), ma qui guardiamo al tributario: l’accertamento su di lui è correttamente motivato, perché individua l’attivo occultato. Sempronio ben difficilmente potrà vincere in contenzioso: l’Agenzia ha prove (movimenti bancari) e la norma è chiara. Potrebbe forse chiamare il dominus in causa, ma nel processo tributario non è previsto un litisconsorzio necessario col terzo. Potrà, dopo aver pagato (o parallelamente, in sede civile), agire contro il dominus. Nel frattempo, però, l’erario può escutere Sempronio per €80k, eventualmente con pignoramenti. Esito atteso: Sempronio viene ritenuto personalmente obbligato a pagare le imposte evase e non potrà sottrarsi, a meno di ottenere dilazioni o definire penalmente la questione patteggiando (talvolta accordi penali includono il pagamento del dovuto per attenuanti). Il suo patrimonio sarà aggredibile. Questo caso mostra il lato più rischioso dell’essere prestanome: quando c’è una frode sostanziale, la legge considera te responsabile, e l’ignoranza non è scusa sufficiente.
Caso 4: Società con debiti contributivi ed erariali, nessuna procedura di liquidazione – omessa vigilanza.
Scenario: Omega S.r.l. (2 soci) non presenta bilanci né opera più dal 2019, con debiti verso INPS e Agenzia Entrate. Viene cancellata d’ufficio dal Registro Imprese nel 2022 per mancato deposito dei bilanci. L’ultimo amministratore noto, Mevia, era anche socio al 50%. Mevia non nomina liquidatori né svolge alcuna liquidazione formale; di fatto la società sparisce lasciando debiti. Nel 2025 l’INPS e l’Agenzia Entrate iniziano azioni: l’INPS notifica avvisi di addebito a Mevia per contributi non versati (basandosi sull’art. 2495 c.c., come creditore sociale); l’Agenzia Entrate notifica un accertamento a Mevia ex art.36 DPR 602/73 sostenendo che, in quanto amministratrice in carica allo scioglimento senza liquidazione, è responsabile del pagamento delle imposte non versate (circa €20.000). Mevia obietta di non aver svolto alcuna liquidazione e di non aver commesso atti distrattivi: semplicemente l’attività cessò per mancanza di lavoro.
Analisi: La cancellazione senza liquidazione formale fa scattare l’applicazione dell’art.36 comma 2: Mevia è considerata amministratore-liquidatore . Ciò la obbligava a pagare i debiti con eventuali asset prima di cessare. Se però non c’erano asset e lei non ha pagato nessuno, tecnicamente non ha favorito nessuno, ma resta il fatto che le imposte non sono state pagate. L’Agenzia potrebbe imputarle una colpa generica per non aver attivato la liquidazione. Tuttavia, giuridicamente, se non vi sono state assegnazioni a soci né pagamenti preferenziali, non c’è violazione specifica: Mevia non può creare denaro dal nulla. Questo caso potrebbe essere controverso: alcune commissioni in passato tendevano a far pagare comunque l’amministratore in virtù di una supposta “responsabilità da cessazione” (teoria per cui se chiudi senza pagare, la colpa è tua di default). Ma dopo le SU 2025, quell’automatismo è caduto: devono provare una condotta. Se Mevia riesce a dimostrare che la società non aveva attivi e che lei non ha ricavato nulla, potrebbe vincere facendo leva sulla mancanza del presupposto (nessun attivo da distribuire, quindi art.36 non attivabile) e sulla necessità dell’atto motivato (che qui dovrebbe specificare quale colpa le si imputa). L’INPS (non coperto da art.36, ma dal 2495 c.c.) può tentare anch’esso: qui i soci rispondono pro-quota di quanto preso; se non presero nulla, c’è un orientamento per cui il creditore può agire lo stesso per accertare che non hanno preso (vedi Cass. 37932/2022 sull’interesse ad agire anche senza riparti ), ma poi la domanda viene respinta nel merito. Esito atteso: per le imposte, se Mevia fa ricorso, un giudice coerente con i principi attuali dovrebbe annullare l’accertamento a suo carico in assenza di asset distratti. Potrebbe però emergere che Mevia o altri soci in passato hanno goduto di utili non formalizzati; se spunta qualche prova di prelievi, allora il Fisco può ricalibrare l’accusa. In assenza di ciò, Mevia dovrebbe essere liberata. Questo scenario consiglia agli amministratori in situazioni simili di predisporre un piano di chiusura pulito: se la società è vuota, documentarlo e preferibilmente liquidarla formalmente, per evitare contenziosi futuri.
Questi esempi dimostrano che tutto ruota attorno ai fatti concreti: la situazione patrimoniale finale della società, le azioni compiute (o omesse) dall’amministratore, e la capacità di provare l’una o l’altra versione. Il filo conduttore è che il prestanome diligente, che non ha approfittato e non ha commesso irregolarità, possiede validi argomenti per opporsi a richieste indebite; viceversa, se il prestanome ha di fatto agevolato o permesso condotte lesive per i creditori, difendersi diventa arduo, perché la legge (giustamente) reprime tali abusi.
Passiamo ora a una serie di Domande Frequenti, utili per ricapitolare i punti salienti in forma di Q&A.
Domande frequenti (FAQ)
- D: Un amministratore di una S.r.l. cancellata risponde personalmente dei debiti fiscali della società?
R: In linea generale, no. Il principio di autonomia patrimoniale perfetta fa sì che i debiti fiscali restino a carico esclusivo della società, anche dopo la cancellazione . Solo in casi particolari, espressamente previsti dalla legge, l’ex amministratore può divenire obbligato al pagamento. Tali casi sono disciplinati principalmente dall’art. 36 DPR 602/1973: ad esempio, se l’amministratore (o liquidatore) ha pagato altri creditori o distribuito beni ai soci senza pagare prima il Fisco, oppure se ha occultato attivi sociali prima dello scioglimento . Fuori da queste ipotesi, l’ex amministratore non risponde delle imposte non versate dalla società . Inoltre, anche quando ricorrono le condizioni, serve un atto di accertamento motivato nei suoi confronti: non basta un semplice sollecito di pagamento o la notifica della cartella intestata alla società . In sintesi: nessuna responsabilità automatica, ma solo se c’è colpa specifica provata e contestata. Molti atti del Fisco che pretendevano da amministratori somme sociali sono stati annullati proprio perché basati su un automatismo illegittimo . - D: Cosa rischia esattamente un amministratore prestanome dal punto di vista fiscale?
R: Rischia innanzitutto di ricevere accertamenti tributari o cartelle esattoriali che lo rendano debitore verso l’Erario. Se, ad esempio, la società ha evaso IVA o altri tributi, l’Agenzia Entrate potrebbe cercare di recuperare l’importo dall’amministratore, qualora ravvisi le situazioni di cui sopra. In particolare, il prestanome rischia di essere considerato responsabile in proprio del pagamento delle imposte evase se durante la sua amministrazione sono accadute cose come: pagamenti preferenziali di altri debiti invece del fisco, trasferimenti di fondi ai soci (o a se stesso) prima di estinguere le imposte, oppure condotte fraudolente nella contabilità. Inoltre, sul piano amministrativo può subire l’iscrizione a ruolo di questi importi e quindi tutte le azioni di riscossione coattiva (pignoramenti di conti, stipendio, ipoteche su immobili, fermi auto) connesse al mancato pagamento. Va detto però che, come spiegato, il prestanome ha anche molti argomenti per neutralizzare pretese infondate: la Cassazione ha chiarito che essere stato amministratore di per sé non basta per esigere i debiti sociali . In conclusione, il rischio concreto è di essere coinvolto in un contenzioso tributario e potenzialmente di dover pagare di tasca propria i debiti fiscali societari in determinate circostanze. Se il prestanome non ha commesso irregolarità e non vi sono attivi dispersi, potrà far valere la propria estraneità; viceversa, se vi sono state manovre sui beni sociali, potrebbe doverne rispondere patrimonialmente. - D: Il Fisco può notificarmi una cartella di pagamento per un debito della mia ex S.r.l. senza un nuovo accertamento?
R: No, non legittimamente. Se l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ti invia una cartella intestata alla società ma consegnata a te, oppure intestata a te come coobbligato, senza che tu abbia mai ricevuto prima un avviso di accertamento a tuo nome, allora la cartella è quasi certamente impugnabile e destinata ad essere annullata . La legge infatti richiede un titolo specifico contro di te (ex amministratore) – tipicamente un avviso ex art.36 DPR 602/73 – prima di poterti chiedere quei soldi . Notificare direttamente la cartella configurerebbe un automatismo contrario ai principi sanciti dalla giurisprudenza . In pratica, l’Agente della Riscossione in questi casi prova a saltare un passaggio, ma tu puoi far valere il vizio. Dovrai presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, eccependo che manca un accertamento nei tuoi confronti e che quindi la cartella è nulla per difetto di motivazione e violazione dell’art.36 DPR 602/73 . Giudici e Cassazione concordano su questo: senza atto impositivo ad hoc, l’ex amministratore non deve pagare . - D: Quali sono le principali difese da opporre se ricevo un accertamento fiscale come ex amministratore?
R: Le linee di difesa sono essenzialmente due: difese procedurali/formali e difese di merito sostanziali. Sul piano procedurale, verifica sempre se l’atto è motivato adeguatamente: cioè deve spiegare il perché ti stanno chiedendo di pagare (quale condotta ti addebitano: ad es. “hai assegnato X euro ai soci senza pagare le imposte”). Se questa spiegazione manca o è vaga, hai una forte difesa: “atto carente di motivazione specifica” . Inoltre, controlla che l’atto sia stato notificato nei tempi giusti (di solito entro il quinto anno dalla cancellazione, grazie alla “sopravvivenza fiscale” prevista). Sul piano sostanziale, la difesa cardine è dimostrare che non ricorrono le condizioni di legge per la tua responsabilità. Quindi potrai argomentare, ad esempio, che non hai effettuato alcun pagamento preferenziale (anzi, magari non c’era attivo), che non hai mai distribuito nulla ai soci, che la società è stata chiusa in bonis (o al contrario era insolvente e tu non potevi farci nulla), che non hai nascosto asset (se ne avessero prova, la dovrebbero esibire). In breve: negare decisamente di aver tenuto le condotte contestate, supportando con documenti o almeno con un chiaro racconto logico. Un’altra difesa può essere contestare l’importo: ad esempio, se ti imputano l’intero debito di €100k ma l’attivo residuo era €10k, puoi sostenere che al più la tua responsabilità si limiterebbe a quei €10k (cosa riconosciuta dalla legge sulla commisurazione). Infine, non scordare eventuali eccezioni parallele: prescrizione (se son passati anni troppi dalla scadenza, anche se con la cancellazione di mezzo di solito si contano da lì), inopponibilità se l’atto era intestato alla società e mai volturato a te, ecc. Ogni dettaglio procedurale (notifica errata, intestazione sbagliata) può aggiungersi come difesa ulteriore. In sintesi, di fronte a un accertamento: - Attacco formale: manca motivazione puntuale = atto nullo.
- Attacco di merito: io non ho fatto nulla di ciò che dite = niente responsabilità ex lege.
Se queste due linee reggono, con buona probabilità l’accertamento verrà annullato dal giudice. - D: E se invece effettivamente da liquidatore ho pagato altri debiti prima delle imposte? Posso evitare la responsabilità?
R: Se è provato (magari dai bilanci o da ammissione) che in fase di liquidazione hai pagato creditori di grado inferiore all’Erario o hai distribuito somme ai soci senza pagare le imposte, la legge ti considera responsabile . In tal caso è difficile sfuggire del tutto: l’obiettivo realistico diventa semmai limitare i danni. Ad esempio, potresti sostenere che lo hai fatto in buona fede perché ritenevi quei creditori privilegiati (ma con il Fisco c’è poco spazio: il credito erariale, per imposte come IVA e ritenute, ha privilegio generale). Oppure che hai pagato fornitori per salvare la continuità, ma se poi hai comunque chiuso, non regge. Piuttosto, conviene focalizzarsi su: - Quantificare correttamente il dovuto: assicurati che l’importo che ti chiedono sia commisurato agli attivi impiegati. Non dovresti rispondere oltre quanto effettivamente hai “distratto” al Fisco. Se ad esempio avevi 50 e hai pagato 50 a terzi ignorando il debito fiscale di 100, la tua responsabilità dovrebbe limitarsi a quei 50 (cioè la parte di tasse che con 50 avresti potuto pagare). Se il Fisco tentasse di farti pagare tutti i 100, puoi opporre che stai pagando più di quanto la legge prevede (questo basandosi sul concetto di “capienza” del credito erariale sugli attivi disponibili).
- Eventuali cause di forza maggiore: se esistono circostanze attenuanti (es. credevi erroneamente che il tributo non fosse dovuto, oppure il credito tributario non era certo all’epoca – magari era in contenzioso e poi è divenuto definitivo dopo la liquidazione), evidenziale. La Cassazione 20014/2024, ad esempio, tratta proprio di un caso in cui il debito fiscale non era definitivo alla data di cancellazione : lì il liquidatore non poteva soddisfarlo perché contestato, e la CTR aveva escluso la sua responsabilità.
- Negoziare con il Fisco: potresti considerare di chiedere adesione all’accertamento per ridurre le sanzioni (in questi casi però spesso sanzioni non ce ne sono, essendo obbligazione civilistica) oppure proporre un pagamento rateale o transattivo. Se mostri collaborazione, talvolta l’Agenzia si accontenta di recuperare una parte ed evita il contenzioso. Questo soprattutto se il tuo patrimonio è limitato: potresti presentare un’istanza dimostrando che più di tanto non otterranno e offrire quel tanto subito.
In sostanza, se hai oggettivamente violato i doveri di liquidazione, la difesa di pura negazione non funzionerà (i documenti parlano). Conviene allora puntare a ridurre l’impatto: contestare eventuali errori di calcolo e cercare soluzioni che chiudano la partita nel modo meno oneroso.
- D: Gli ex soci di una S.r.l. cancellata sono sempre tenuti a pagare i debiti tributari rimasti?
R: No, assolutamente. Gli ex soci, per la legge, rispondono solo entro i limiti di quanto ricevuto in sede di liquidazione (o in precedenza dagli amministratori, negli ultimi due esercizi ). Se non hanno ricevuto nulla, in teoria non devono nulla. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2025 ha proprio detto che l’essere socio di per sé non basta a creare obbligo di pagamento e che senza un atto autonomo il Fisco non può agire . Purtroppo, in passato l’Amministrazione ha talvolta notificato avvisi anche a soci che non avevano preso un euro, sperando di trovare beni da aggredire. Ora quel filone è stato fermato: occorre provare che il socio ha beneficiato di attivi (o che magari era complice di occultamenti) . Quindi, un ex socio che non ha partecipato ad alcuna spartizione può far valere la propria estraneità. Attenzione però: la SU 3625/2025 avverte che se la liquidazione non è stata ben formalizzata e i soci non possono provare di non aver avuto nulla, rimane un rischio: il Fisco potrebbe presumere che qualcosa si siano preso (soprattutto se c’erano utili di bilancio non distribuiti formalmente). Pertanto, un ex socio farebbe bene, all’atto della chiusura, a farsi rilasciare dal liquidatore un verbale di non distribuzione o altra attestazione. In mancanza, se anni dopo arriva un accertamento, dovrà lui dimostrare di non aver ricevuto utilità, il che non è semplicissimo (prova di un fatto negativo). In giudizio però l’onere iniziale spetta al Fisco: deve indicare elementi che facciano ragionevolmente presumere che il socio abbia avuto un ritorno. Se questi elementi mancano, l’avviso è nullo . Riassumendo: i soci possono essere chiamati a rispondere, ma solo se hanno incassato attivo (fino a quell’importo) e solo con atto motivato. Niente incasso, niente responsabilità (e l’atto che ignorasse questo è annullabile). - D: In caso di fallimento della società, l’ex amministratore prestanome cosa rischia sul piano fiscale?
R: Se la società è fallita, tecnicamente la procedura concorsuale sostituisce la liquidazione. I debiti tributari devono essere insinuati nel passivo e saranno pagati in percentuale se c’è attivo. In genere, dopo il fallimento, la società viene cancellata. La responsabilità ex art.36 DPR 602/73 in caso di fallimento non è automaticamente esclusa, ma spesso diventa sovrapposta all’azione del curatore. Ad esempio, se il liquidatore (o amministratore) ha pagato qualcuno prima del fallimento violando l’ordine, il curatore potrebbe averlo già citato per responsabilità e il Fisco potrebbe comunque agire ex art.36. In pratica, può esserci sia il piano fallimentare (azione di massa per responsabilità) sia il piano fiscale. Il prestanome, in fallimento, rischia di essere coinvolto soprattutto per reati fallimentari (es. bancarotta) e per azioni di responsabilità del curatore (art. 146 L.F., che cumula 2394 e 2393 c.c.). Dal punto di vista strettamente fiscale, l’Agenzia Entrate di solito aspetta l’esito del fallimento: se dal fallimento non recupera nulla, potrebbe valutare di colpire soci e amministratori ex art.36. Ma spesso, in presenza di fallimento, viene meno la “sopravvivenza quinquennale” perché l’atto va indirizzato alla procedura. Diciamo che per il Fisco il fallimento complica l’uso dell’art.36, tanto che molte contestazioni vengono lasciate al curatore (che può far causa agli amministratori per mala gestio). Dunque il prestanome in caso di fallimento ha più da temere dal penale (bancarotta fraudolenta se c’erano irregolarità) e dal civile (azione del curatore), che non dal fisco in via diretta. Beninteso, se la banca ha escusso fideiussioni o il fisco stesso ha elementi, possono sempre provare un accertamento post fallimento, ma con gli stessi limiti visti: niente automatismi, serve dimostrare condotte di distrazione. - D: Quali accorgimenti può adottare un amministratore per prevenire questi rischi in fase di chiusura della società?
R: Una buona pianificazione della liquidazione può minimizzare l’esposizione personale. Ecco alcuni accorgimenti utili: - Pagare i debiti tributari prima di distribuire utili: sembra ovvio, ma è la regola d’oro. Se ci sono imposte dovute e c’è cassa, saldare quelle (o accantonare le somme necessarie) prima di pensare a soci o creditori chirografari. Così eviti a monte la violazione dell’art.36 comma 1.
- Non assegnare nulla ai soci se ci sono debiti: finché non sei sicuro che tutte le imposte (e i debiti verso creditori privilegiati) sono soddisfatti, evita di dare acconti ai soci o restituire conferimenti. Meglio tenere le somme in società, eventualmente lasciarle al creditore. Se proprio devi distribuire perché i soci fremono, assicurati con documenti che restano comunque patrimoni per pagare il fisco (operazione delicata: meglio evitare).
- Verbalizzare la situazione finale: redigi un bilancio finale di liquidazione chiaro. Se non c’è liquidazione formale, almeno redigi un verbale dove come amministratore dichiari che non esistono attivi da distribuire e che nulla è stato assegnato ai soci. Far firmare ai soci un “atto di non riparto” può essere utile come prova futura .
- Conservare la documentazione: tieni copia di bilanci, dichiarazioni dei redditi, prospetti di liquidazione, quietanze dei pagamenti fatti (compreso al Fisco se parziale). Spesso anni dopo emergono contestazioni e avere i documenti facilita dimostrare cosa accadde.
- Comunicare al Fisco un domicilio per atti: il D.Lgs. 175/2014 prevede che, essendo la società “in vita” 5 anni per atti fiscali, andrebbe comunicato un domicilio per notifiche (tipicamente quello del liquidatore o di un socio) . Fare questa comunicazione (ad esempio all’Agenzia Entrate via PEC) può prevenire notifiche presso sedi errate o irreperibilità. Inoltre, dimostra trasparenza.
- Assicurazione D&O: se siete in fase di pianificazione e avete tempo, valutate una Directors & Officers Liability Insurance, che copra i costi di difesa e magari alcune pretese di terzi verso gli amministratori. Alcune polizze potrebbero coprire (con esclusioni) anche richieste del Fisco verso l’amministratore, specie se legate a violazioni non dolose.
- Consulenza professionale: fatevi seguire da un commercialista/avvocato durante la liquidazione. Un errore comune è fare da sé e magari omettere di considerare un debito fiscale latente. Un professionista può suggerire mosse (ad es. transazioni fiscali in sede di liquidazione, rateazioni) per chiudere la società riducendo i rischi per gli amministratori.
In breve: trasparenza, prudenza e documentazione. Se chiudi la società in modo ordinato, pagando quel che devi nell’ordine corretto e certificando ciò che fai (o non fai), poi nessuno potrà imputarti scorrettezze. All’opposto, chi fa il “furbo” – cioè chiudere in fretta sperando che i debiti evaporino – rischia di innescare a posteriori proprio quelle responsabilità personali che altrimenti non avrebbe avuto.
Conclusioni
La figura dell’amministratore prestanome rappresenta una situazione di confine tra la forma e la sostanza nelle responsabilità d’impresa. Dal punto di vista formale e giuridico, l’amministratore di diritto, anche se privo di poteri effettivi, è investito di doveri precisi e può subire conseguenze tanto sul piano tributario quanto su quello civile e penale. La cancellazione di una S.r.l. con debiti fiscali non equivale alla cancellazione di quei debiti: essi possono “riapparire” come pretese verso chi ha gestito o beneficiato, ma solo entro i confini tracciati dalla legge.
L’evoluzione normativa (D.Lgs. 175/2014) e la giurisprudenza recente (in particolare le pronunce di Cassazione dal 2021 al 2025) hanno tuttavia arginato gli abusi e chiarito che nessun automatismo può sacrificare i diritti dell’ex amministratore o socio senza un rigoroso accertamento individuale . Questo rappresenta un fondamentale bilanciamento tra l’interesse erariale alla riscossione e le garanzie del contribuente. Oggi un ex amministratore debitore ha a disposizione un solido arsenale di argomenti per difendersi da richieste infondate: l’assenza di colpa, la mancanza di beneficio personale, il difetto di motivazione dell’atto, etc. Come abbiamo visto, molte contestazioni possono essere vinte o ridimensionate facendo valere tali punti, supportati dalle massime della Cassazione .
D’altro canto, l’ordinamento non esita a colpire duramente quelle condotte degli amministratori (di fatto o di diritto) che ledono volutamente il Fisco e i creditori: i prestanome coinvolti in frodi fiscali o distrazioni di beni difficilmente sfuggiranno alle loro responsabilità. In tali circostanze, la legge – sia tributaria che penale – dispone sanzioni severe, dalla responsabilità patrimoniale integrale per le imposte evase fino alla reclusione per reati tributari o fallimentari. Il “mestiere” del prestanome, quando usato per eludere gli obblighi, comporta rischi altissimi e, sempre più spesso, conseguenze concrete.
Il punto di vista del debitore qui adottato ci porta a raccomandare fortemente di non sottovalutare mai un atto ricevuto dall’erario: va analizzato e contestato nei termini, perché il silenzio può pregiudicare diritti importanti. In caso di dubbi, rivolgersi subito a un legale esperto è fondamentale per evitare errori procedurali e costruire una difesa efficace. Come abbiamo ribadito, tempestività e strategia possono fare la differenza tra vedersi annullare un debito o ritrovarsi con un pignoramento.
In conclusione, l’amministratore di diritto prestanome può certamente trovarsi esposto a rischi fiscali dopo la cancellazione di una S.r.l., ma ha dalla sua parte una normativa e una giurisprudenza che – se ben invocate – lo proteggono da richieste ingiuste o eccessive. Chi agisce in buona fede e con diligenza, nella fase di liquidazione e oltre, ha ottime possibilità di tutelarsi con successo. Diversamente, chi ha consentito irregolarità o ne ha tratto vantaggio sarà chiamato a rispondere, giustamente, delle proprie azioni.
Fonti e riferimenti principali:
- Codice Civile, artt. 2462, 2476, 2495 c.c. (responsabilità limitata delle S.r.l. e responsabilità verso creditori dopo estinzione) .
- D.P.R. 29/09/1973 n. 602, art. 36 (responsabilità di liquidatori, amministratori e soci per pagamento imposte) .
- D.Lgs. 21/11/2014 n. 175, art. 28 (estinzione società ai fini fiscali dopo 5 anni, inversione onere della prova) .
- Cassazione Civile Sez. Unite n. 6070/2013 e n. 6071/2013 (sull’efficacia estintiva immediata della cancellazione delle società) – principi richiamati in successive pronunce.
- Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 25530/2021 (esclusione di responsabilità automatica dell’amministratore per debiti tributari di S.r.l. liquidata).
- Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 30011/2022 (intrasmissibilità ai soci delle sanzioni tributarie della società estinta).
- Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 15580/2024 (necessità di motivazione specifica negli avvisi ex art.36 DPR 602/73 – liquidatore).
- Cass. Civ. Sez. Unite, sent. n. 3625/2025 (no automatismi, responsabilità ex soci solo con atto autonomo motivato e prova di benefici percepiti).
- Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 17283 dell’8/5/2025 (responsabilità penale dell’amministratore di diritto prestanome per reati tributari – dichiarazione fraudolenta).
- Commissione Tributaria di secondo grado Lombardia, sent. n. 752/2025.
- Cass., n. 20014/2024.
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Hai ricevuto comunicazioni dall’Agenzia delle Entrate e vuoi capire quali sono i rischi fiscali che puoi correre anche dopo la cancellazione della Srl?
L’amministratore di diritto “prestanome” è colui che compare formalmente come legale rappresentante, pur non avendo svolto la reale gestione. Dopo la cancellazione della Srl, il Fisco può continuare a contestare debiti tributari e responsabilità proprio a chi ha ricoperto quel ruolo.
👉 La cancellazione della società non elimina automaticamente i rischi per l’amministratore, soprattutto se sono state riscontrate irregolarità fiscali o gestioni elusive.
⚖️ Perché scattano le contestazioni dopo la cancellazione
- Debiti fiscali non estinti: la cancellazione non cancella i debiti tributari, che possono essere riversati su soci e amministratori.
- Ruolo di amministratore di diritto: anche se “di facciata”, l’amministratore resta formalmente responsabile.
- Utilizzo della società come schermo: sospetti di frodi IVA, false fatturazioni, distrazioni patrimoniali.
- Responsabilità solidale per imposte non versate (IVA, ritenute, contributi).
- Accertamenti penali tributari se emergono condotte illecite.
📌 Rischi fiscali e patrimoniali
- Cartelle esattoriali intestate personalmente all’ex amministratore;
- Azioni di responsabilità patrimoniale per mala gestio;
- Sanzioni amministrative tributarie;
- Pignoramenti e sequestri sui beni personali;
- Procedimenti penali in caso di reati tributari.
🔍 Come difendersi
- Analizza la tua posizione formale: dimostra l’assenza di un ruolo gestionale effettivo.
- Raccogli prove documentali: verbali, e-mail, deleghe, che dimostrino chi gestiva realmente la società.
- Contesta la responsabilità oggettiva: non basta la carica formale, occorre dimostrare dolo o colpa grave.
- Verifica la prescrizione dei debiti fiscali e delle eventuali azioni esecutive.
- Predisponi memorie difensive o ricorso contro gli atti notificati dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agente della Riscossione.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Esamina gli atti notificati dopo la cancellazione della Srl;
- 📌 Verifica la legittimità delle contestazioni fiscali e penali;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per limitare la responsabilità dell’amministratore di diritto;
- ⚖️ Ti rappresenta davanti alle Corti Tributarie e penali, dimostrando la tua estraneità alla gestione;
- 🔁 Elabora strategie di protezione patrimoniale per ridurre i rischi su beni personali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in responsabilità degli amministratori e cancellazione di società;
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa da accertamenti fiscali su Srl;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Anche dopo la cancellazione della Srl, l’amministratore di diritto prestanome può essere chiamato a rispondere dei debiti fiscali della società.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la tua estraneità alla gestione, contestare le presunzioni del Fisco e proteggere il tuo patrimonio personale.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni fiscali dopo la cancellazione di una Srl inizia qui.