Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che il contratto di locazione stipulato tra parenti sia simulato o non genuino? In questi casi, l’Ufficio presume che il contratto sia stato predisposto solo per ottenere vantaggi fiscali, come la deduzione dei canoni o l’applicazione della cedolare secca, e può emettere un accertamento con imposte, sanzioni e interessi. Tuttavia, non sempre la contestazione è fondata: ci sono strumenti di difesa per dimostrare la validità del rapporto di locazione.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una locazione tra parenti
– Se il canone indicato è molto basso rispetto ai valori di mercato
– Se manca il pagamento effettivo dei canoni (assenza di bonifici, ricevute o movimenti bancari)
– Se l’inquilino non utilizza realmente l’immobile (assenza di residenza, consumi di utenze irrisori)
– Se il contratto è registrato solo formalmente, senza reale esecuzione
– Se emergono incongruenze con altre banche dati (utenze, residenza, catasto)
Conseguenze della contestazione
– Rideterminazione del reddito imponibile con tassazione sui valori di mercato
– Decadenza da agevolazioni fiscali come la cedolare secca o le deduzioni per canoni di locazione
– Applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione di redditi
– Interessi di mora sul maggior imponibile accertato
– Avvio di procedure esecutive in caso di mancato pagamento
Come difendersi dalla contestazione
– Dimostrare la reale esistenza del contratto con prove di pagamento regolari (bonifici, ricevute, estratti conto)
– Provare l’effettivo utilizzo dell’immobile da parte del conduttore (residenza, consumi di utenze, contratti collegati)
– Contestare la valutazione dell’Agenzia se si basa solo su presunzioni o valori medi di mercato
– Evidenziare vizi formali o errori nell’atto di accertamento
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento della contestazione
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare il contratto di locazione e la documentazione fiscale collegata
– Verificare la legittimità della contestazione e i termini di decadenza dell’Agenzia
– Redigere un ricorso mirato fondato su prove documentali e vizi dell’accertamento
– Contestare le presunzioni dell’Ufficio e far valere la buona fede del contribuente
– Difendere il proprietario davanti ai giudici tributari per ridurre o annullare le pretese
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– Il mantenimento delle agevolazioni fiscali connesse alla locazione
– L’eliminazione di sanzioni e interessi non dovuti
– La sospensione di procedure esecutive già avviate
– La certezza di pagare solo quanto realmente previsto dalla legge
⚠️ Attenzione: il ricorso contro la contestazione deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Se non agisci nei termini, l’accertamento diventa definitivo e non sarà più possibile contestarlo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e immobiliare – spiega come difendersi in caso di contestazioni su locazioni simulate tra parenti e come tutelare i tuoi diritti.
👉 Hai ricevuto una contestazione su un contratto di locazione tra parenti? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo il contratto, verificheremo la legittimità della contestazione e costruiremo la strategia difensiva più efficace per proteggere i tuoi interessi.
Introduzione
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sulle locazioni tra familiari, per individuare possibili affitti “fittizi” o simulati. Per “locazione simulata tra parenti” si intende un contratto di affitto stipulato tra congiunti solo sulla carta, senza un’effettiva corresponsione di canoni o a condizioni palesemente antieconomiche e non realistiche. Tali contratti possono essere utilizzati con intenti elusivi o evasivi: ad esempio per abbassare artificiosamente il reddito imponibile, per trasferire utilità economiche a familiari con tassazione inferiore, o per proteggere un immobile da creditori (vincolandolo con un affitto ultradecennale a canone irrisorio). Il Fisco italiano considera queste fattispecie con forte sospetto e dispone di strumenti normativi e presunzioni per “guardare attraverso” l’apparenza formale ed accertare la realtà sostanziale. In questa guida approfondita – aggiornata ad agosto 2025 con riferimenti normativi e sentenze recenti – esamineremo come difendersi efficacemente se l’Agenzia delle Entrate contesta una locazione tra parenti come simulata, adottando il punto di vista del contribuente (debitore d’imposta). Il taglio è avanzato, rivolto sia ad avvocati e professionisti tributari, sia a privati e imprenditori coinvolti in verifiche fiscali. Il linguaggio sarà giuridico ma chiaro e divulgativo, con tabelle riepilogative, casi pratici ed una sezione finale di domande e risposte.
Locazioni simulate tra parenti: definizione e profili giuridici
Una locazione simulata è un contratto di affitto che non corrisponde alla reale volontà delle parti, le quali fingono un rapporto locatizio inesistente o diverso da quello dichiarato. In genere si ha simulazione assoluta quando le parti non vogliono alcun affitto reale (il contratto è pura apparenza, magari per giustificare il godimento gratuito di un immobile), mentre si parla di simulazione relativa se dietro il contratto di locazione fittizio si nasconde in realtà un diverso accordo (ad esempio una donazione indiretta o un comodato d’uso dissimulato). In entrambi i casi, il codice civile sancisce che il contratto simulato non produce effetti fra le parti (art. 1414 c.c.), salvo che esse abbiano voluto uno strumento dissimulato valido. Di conseguenza, un affitto simulato può essere dichiarato nullo su istanza di una parte o di un terzo interessato. Inoltre, ai sensi dell’art. 1417 c.c., i terzi pregiudicati dalla simulazione (creditori, Fisco, ecc.) possono provarla con ogni mezzo, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, senza i limiti probatori che varrebbero tra le parti.
Va evidenziato che la simulazione di un affitto tra congiunti spesso comporta anche una “interposizione fittizia” di persona: il proprietario e il parente interposto fanno figurare un rapporto di locazione (con il parente come finto inquilino o finto locatore) al solo scopo di alterare la realtà fiscale. In altre parole, ci si trova di fronte a una dissociazione tra titolarità formale e possesso effettivo dei redditi: il contratto di locazione appare intestato a certe persone, ma l’utilità economica reale (godimento dell’immobile o vantaggio fiscale) è di altri. Il nostro ordinamento tributario contrasta espressamente questi schemi simulatori: l’art. 37, comma 3, del DPR 600/1973 stabilisce che, in sede di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può imputare i redditi direttamente al contribuente che ne è il possesso effettivo per interposta persona, anche basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti. Si tratta di una norma-cardine che rende inopponibili al Fisco le interposizioni fittizie di soggetti: la sostanza economica prevale sulla forma giuridica.
In sintesi, un affitto simulato tra parenti è nullo dal punto di vista civilistico e inefficace verso il Fisco. Se l’Agenzia scopre la simulazione, può ignorare il contratto apparente e tassare la situazione reale, con tutte le relative conseguenze (recupero di imposte evase, sanzioni e possibili profili penali). Vediamo ora perché i controlli fiscali si concentrano su queste situazioni e quali sono gli indizi tipici che fanno scattare le contestazioni.
Perché il Fisco contesta gli affitti tra familiari?
Affittare un immobile a un parente è lecito e non esiste un divieto di legge in tal senso. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate presta particolare attenzione a questi contratti, in quanto presentano potenziali zone d’ombra fiscali. I motivi principali delle contestazioni del Fisco sono:
- Rischio di sotto-dichiarazione dei redditi fondiari. Un proprietario potrebbe dichiarare un canone simbolico o molto basso se affitta al figlio/genitore, pagando così meno IRPEF. Il Fisco sospetta che dietro un canone “troppo basso” vi sia in realtà un affitto gratuito (quindi redditi occultati dal proprietario) oppure un canone più alto pagato in nero. In entrambe le ipotesi c’è un’evasione d’imposta: o perché il proprietario non dichiara un reddito da locazione che dovrebbe dichiarare, oppure perché il conduttore sta versando somme non registrate. Perciò un canone fuori mercato è un campanello d’allarme: “se il canone d’affitto pattuito risulta troppo basso rispetto ai valori di mercato, l’Agenzia può sospettare una simulazione”. In tal caso, l’Ufficio può disconoscere il contratto e tassare in via forfetaria la rendita catastale rivalutata (come se l’immobile non fosse locato) oppure avviare un accertamento per recuperare maggior reddito imponibile non dichiarato.
- Uso di affitti tra parenti per dedurre costi fittizi o spostare redditi. In ambito imprenditoriale o professionale, concedere un immobile in locazione a condizioni di favore a soci o familiari può celare componenti negativi fittizi o utili distribuiti. Ad esempio, una società può affittare un proprio locale al socio o a un’impresa familiare del socio a un canone irrisorio: in tal modo il socio gode di un bene sociale quasi gratis, e la società dichiara meno ricavi (riducendo l’utile tassabile). Viceversa, si sono visti casi di piccoli imprenditori che deducono dal reddito d’impresa canoni di locazione passiva pagati a parenti, dove però il canone è artificiosamente alto (per spostare reddito imponibile verso il parente, magari tassato meno). L’Agenzia considera antieconomiche queste operazioni: un’impresa razionale non concederebbe a terzi estranei immobili di pregio a prezzi stracciati, né pagherebbe affitti sproporzionati senza valide ragioni. Dunque il Fisco presume che ci sia qualcos’altro sotto (vantaggi extra-fiscali o rapporti personali) e tende a rettificare la posizione fiscale: ad esempio, può riprendere a tassazione i maggiori ricavi non dichiarati da una società che ha applicato canoni inferiori al valore di mercato ai soci/familiari ; oppure può disconoscere in deduzione i canoni pagati a parenti ritenendoli non di mercato e non inerenti all’attività. In una recente ordinanza, la Cassazione ha confermato che è legittimo l’accertamento di maggiori ricavi verso una s.r.l. che affittava immobili di lusso ai propri soci e affini a prezzi notevolmente inferiori alle quotazioni OMI . In quel caso i giudici hanno ritenuto provata la natura antieconomica dei canoni applicati, specie confrontandoli con affitti pagati da terzi sullo stesso immobile, e hanno convalidato la ripresa a tassazione degli importi “in perdita”.
- Finalità extra-fiscali illecite (protezione di beni da creditori o Fisco). Talora la locazione simulata tra congiunti è utilizzata come escamotage per vincolare un immobile ed evitarne l’aggressione da parte di terzi. Un esempio tipico è il proprietario che, avendo debiti, “parcheggia” l’immobile facendolo risultare affittato al figlio o a un genitore con contratto molto lungo (es. 30-40 anni) e canone irrisorio. Così facendo, scoraggia eventuali creditori dal pignorare o ipotecare l’immobile, in quanto quest’ultimo risulterebbe occupato da un inquilino praticamente senza redditività. La Cassazione ha giudicato simulato e nullo un caso del genere: due coniugi (nudi proprietari) e i loro parenti usufruttuari avevano affittato un villino al figlio per 40 anni a un canone irrisorio, pagato anticipatamente; su istanza di una società creditrice, quel contratto è stato dichiarato inesistente perché puro schermo volto a sottrarre l’immobile alle pretese dei creditori. In situazioni simili, oltre alla nullità civile per simulazione, scatta il profilo fiscale: il Fisco può ravvisare la “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte” (art. 11 D.lgs. 74/2000) se l’operazione era tesa a evitare future riscossioni coattive. Quest’ultima è una fattispecie penale, punita fino a 6 anni di reclusione quando si compiono atti simulati su propri beni al fine di frustrare l’azione esattoriale (ad es. affittare fittiziamente un immobile altrimenti pignorabile).
In tutti i casi sopra descritti, il filo conduttore è la presenza di elementi anomali o incongrui nel contratto di locazione tra familiari, tali da far dubitare della sua autenticità. Vediamo ora quali sono questi indizi tipici di simulazione e come l’Agenzia delle Entrate li utilizza in sede di accertamento.
Indizi di locazione simulata e presunzioni del Fisco
L’Amministrazione finanziaria non può “leggere nel pensiero” dei contribuenti, ma può dedurre la simulazione di un affitto dai fatti concludenti e dalle circostanze. La giurisprudenza ha chiarito che, quando a denunciare la simulazione di un contratto è un terzo estraneo (come il Fisco), la prova può basarsi su indizi e presunzioni, valutati nel loro insieme. Quali sono, quindi, i segnali che fanno presumere un affitto fittizio tra parenti? Ecco i principali indicatori di simulazione:
- Canone irrisorio o palesemente fuori mercato. Questo è forse l’indizio più evidente. Se un immobile viene affittato a un parente per un importo simbolico (es. 50 euro al mese per una villa) o comunque molto inferiore ai valori di zona, il Fisco presume che quel prezzo non sia reale. Potrebbe trattarsi di un affitto solo cartolare, con l’immobile in realtà concesso in uso gratuito, oppure di un canone sotto-dichiarato mentre extra-contratto passano somme aggiuntive. La notevole incongruità del prezzo è stato uno degli elementi che ha portato la Cassazione a qualificare come simulato il contratto quarantennale di cui sopra. Allo stesso modo, nell’ordinanza 6198/2024, la Cassazione rileva che canoni notevolmente inferiori alle quotazioni OMI per immobili di lusso a soci costituiscono indizio grave di ricavi non dichiarati. Naturalmente, un lieve scostamento dai valori di mercato non basta da solo a provare la simulazione; ma se il canone pattuito è estremamente basso (o sproporzionato rispetto all’immobile), il sospetto di affitto fittizio è concreto.
- Mancata prova dei pagamenti del canone. In un rapporto genuino, il conduttore paga regolarmente l’affitto pattuito (spesso tramite bonifico o altri mezzi tracciabili) e il locatore può esibire evidenza di tali incassi. Se invece, a fronte di un contratto registrato, non risultano movimenti finanziari corrispondenti, ciò suggerisce che il canone non venga effettivamente versato. Magari il proprietario, trattandosi di un parente, rinuncia informalmente a esigere il pagamento, confermando che la locazione è solo di facciata. Oppure i pagamenti avvengono in contanti senza ricevute, il che solleva il dubbio di “nero”. Durante le verifiche, dunque, il Fisco controlla estratti conto e ricevute: l’assenza di riscontri ai canoni dichiarati è un indizio pesante di simulazione (canoni mai percepiti) o di sovrapprezzi in nero (canoni extra non dichiarati). Ad esempio, nella pronuncia sul caso di leasing immobiliare simulato, la Cassazione ha citato la “mancata prova del pagamento del prezzo” come uno degli indizi concordanti di simulazione. Nel contesto affitti, analogamente, l’assenza di prove sui pagamenti del canone dichiarato depone per la non veridicità dell’accordo.
- Durata anomala del contratto e condizioni contrattuali inconsuete. La legge sulle locazioni abitative (L. 431/1998) prevede durate tipiche (es. 4+4 anni nel libero, 3+2 nel concordato, max 18 mesi per transitori, ecc.), mentre per gli usi commerciali la L. 392/1978 fissa di regola 6+6 anni. Se si rinviene un contratto tra parenti con durata abnorme (es. decenni non giustificati) o clausole pesantemente squilibrate (es. canone tutto anticipato, oppure diritto del conduttore di subaffittare liberamente a terzi, ecc.), il Fisco potrebbe sospettare che lo schema sia escogitato ad hoc per scopi diversi dalla locazione reale. Nel caso Cass. 1141/2015, il contratto quarantennale con pagamento anticipato dell’intero importo (peraltro irrisorio) è stato considerato talmente inusuale da costituire un indizio di simulazione assoluta finalizzata a frodare i creditori. In altri termini, condizioni negoziali che nessun locatore di mercato accetterebbe (se non per fini estranei all’affitto) indicano che le parti, essendo parenti, hanno orchestrato un accordo artificioso.
- Contesto familiare e comportamenti di fatto. Gli accertatori esaminano anche il contesto in cui si svolge la locazione tra parenti. Ad esempio: l’immobile rimane a disposizione del proprietario nonostante sulla carta ci sia un inquilino? (Situazione tipica: genitore che continua ad utilizzare l’immobile “affittato” al figlio, segno che il figlio fa solo da prestanome formale). Oppure, l’inquilino-parente non aveva redditi sufficienti nemmeno per pagare l’esiguo canone dichiarato? (Segno che probabilmente non ha mai pagato davvero nulla, e stava solo beneficiando gratis di casa dei parenti). O ancora: prima dell’affitto simulato, tra le stesse parti c’era un comodato gratuito o una convivenza, quindi nulla è cambiato nella sostanza se non l’etichetta contrattuale. Tutti questi elementi di fatto – la presenza dominante di un soggetto che manovra la situazione, la continuità temporale sospetta con atti precedenti, l’antieconomicità sistemica dell’operazione – possono concorrere a formare la prova presuntiva della simulazione. Ad esempio, se un immobile di famiglia rimane occupato dallo stesso parente che vi abitava prima, e improvvisamente spunta un contratto di affitto registrato a cifra simbolica, è plausibile che si tratti di una finta locazione registrata solo per ragioni fiscali (ad es. tentare di ottenere detrazioni per canone di locazione, o ridurre l’IMU dichiarando l’immobile affittato). L’Agenzia incrocia anche i dati anagrafici e di residenza: se il figlio risultava già residente lì come familiare a carico, la successiva locazione a pagamento appare poco credibile nella realtà, a meno di cambi sostanziali.
- Canoni dichiarati inferiori ai minimi fiscali di legge. Un elemento spesso trascurato è che esistono valori di riferimento normativi per i canoni di locazione, al di sotto dei quali scatta automaticamente l’attenzione del Fisco. In particolare, in sede di registrazione del contratto è previsto un canone minimo “di sicurezza” ai fini dell’imposta di registro. La legge fiscale presume che un affitto abitativo debba avere un corrispettivo annuo almeno pari al 10% del valore catastale dell’immobile (calcolato ai sensi dell’art. 52, co.4, TUR – Testo Unico Registro) . Se si registra un contratto con importo inferiore, l’Ufficio può automaticamente liquidare una maggiore imposta di registro pretendendo l’importo minimo, con sanzioni e interessi . Ciò significa che affitti tra parenti con canoni simbolici sotto questa soglia “di legge” sono immediatamente visibili al Fisco. Ad esempio, supponiamo un appartamento con valore catastale €100.000: se padre e figlio stipulano un affitto a €50 al mese (600 €/anno, cioè lo 0,6% del valore), l’Agenzia, già in fase di registrazione, potrebbe ricalcolare l’imposta di registro su un canone figurativo di €10.000 annui (ossia il 10% di 100.000) e contestare l’evidente sottofatturazione. Va notato che questa soglia del 10% è specificamente prevista come limite di accertamento soprattutto per i contratti a canone concordato in comuni ad alta tensione abitativa , ma costituisce un utile indicatore generale: affittare a meno del 10% del valore catastale espone ad accertamento sicuro . Pertanto, la presenza di un canone così basso da violare i parametri fiscali minimi è un indizio formale di simulazione (o comunque di abuso) che mette immediatamente in allarme l’Agenzia.
Gli indizi sopra elencati, se considerati globalmente, possono fornire quella “pluralità di elementi presuntivi, precisi e concordanti” richiesta dalla legge per provare la simulazione. Ad esempio, nella vicenda del 2015 la Corte d’Appello e poi la Cassazione hanno dichiarato la simulazione assoluta rilevando più indizi convergenti: prezzo incongruo, pagamento anticipato atipico, legami di parentela stretti, tempistica sospetta (contratto stipulato poco dopo l’acquisto del compendio immobiliare da parte di un socio della società poi fallita). Anche nel caso degli affitti ai soci, i giudici di merito hanno ritenuto “adeguatamente provata” l’antieconomicità e quindi la non genuinità dei canoni applicati, dati i molteplici elementi raccolti (lusso degli immobili, confronto con canoni di mercato, ecc.). In generale, più elementi sospetti coesistono, più è facile per il Fisco (e poi per il giudice) dimostrare che l’affare non ha sostanza reale ma è simulato.
Dal punto di vista difensivo, ciò significa che il contribuente dovrà contrastare ognuno di questi indizi con prove contrarie solide, come vedremo più avanti. Prima, però, esaminiamo quali sono le conseguenze giuridiche e fiscali della contestazione di un affitto simulato tra parenti.
Conseguenze della simulazione: nullità del contratto, tasse e sanzioni
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta una locazione come simulata, gli effetti si producono su due piani: civilistico (invalidità/inopponibilità del contratto) e tributario (recupero imposte e sanzioni per le violazioni). Analizziamo separatamente questi aspetti, tenendo presente che spesso la vicenda civile e quella fiscale procedono in parallelo e si intrecciano.
➤ Nullità civile e inopponibilità ai terzi. Un contratto simulato è nullo tra le parti (ex art. 1418 c.c.), in quanto manca la causa reale o l’effettivo consenso su una locazione genuina. In caso di contenzioso, le parti stesse non possono far valere il contratto simulato, salvo che entrambe insieme chiedano di dar esecuzione all’eventuale accordo dissimulato. Nel contesto familiare, spesso non c’è un contratto dissimulato alternativo (se ad es. la realtà è un comodato gratuito, manca comunque il requisito di forma per un comodato immobiliare non registrato, quindi la simulazione travolge ogni effetto). Per i terzi pregiudicati, come visto, la simulazione è liberamente provabile e il contratto fittizio è inopponibile nei loro confronti. Ciò consente ad esempio a un creditore di far dichiarare inesistente l’affitto finto che ostacolava le sue ragioni: nella sentenza n. 1141/2015 la Cassazione ha confermato la nullità del 4+40 anni al figlio proprio su istanza del creditore procedente, con restituzione immediata dell’immobile sgomberato dall’occupante. Analogamente, il Fisco – considerandosi danneggiato da un contratto simulato che riduce la base imponibile – può ignorare il contratto nelle proprie pretese: in pratica “tirar via la maschera” fiscale della locazione, tassando come se il contratto non esistesse o avesse contenuto diverso. Questa inopponibilità del negozio simulato al Fisco discende sia dall’art. 37, co.3 DPR 600/73 già citato, sia dai princìpi generali (es. art. 1415 c.c. sulla tutela dei terzi di buona fede). Il locatore e il conduttore parenti, insomma, non possono trincerarsi dietro il contratto fittizio per evitare le conseguenze fiscali: l’Agenzia (e il giudice tributario in sede di processo) guarderà alla sostanza. Vale la pena notare che un contratto di locazione non registrato – spesso indizio di affitto in nero o simulazione – è esso stesso nullo per espressa previsione di legge (art. 1, co. 346 L. 311/2004, come interpretato dalla Cassazione). La Suprema Corte ha infatti stabilito che il contratto di locazione non registrato è radicalmente nullo e non produce effetti nemmeno dopo eventuale registrazione tardiva. Ciò comporta, tra l’altro, che l’inquilino potrebbe chiedere la restituzione dei canoni pagati per un contratto non registrato, o far valere che la sua occupazione era in realtà a titolo di comodato gratuito. In una pronuncia del 2016 (Cass. 25503/2016) si è ribadito che la nullità per mancata registrazione consente al conduttore di recuperare i canoni corrisposti o di ottenere il riconoscimento di un contratto diverso (es. comodato) in luogo di quello locatizio nullo. Questa parentesi evidenzia un rischio collaterale: chi fa affitti simulati evitando la registrazione per non pagare imposte, oltre alle sanzioni fiscali, non ha tutela giuridica sul contratto e non può sfrattare formalmente il parente occupante (dovrebbe agire per occupazione senza titolo, con iter più lungo). Insomma, civilisticamente la simulazione toglie ogni protezione al locatore: l’accordo illecito tra le parti non è azionabile e può anzi ritorcersi contro (si pensi al parente che, litigando, si “dimentica” del patto simulato e pretende di essere un vero inquilino con diritto a restare fino a fine contratto!).
➤ Conseguenze fiscali e tributarie. Sul piano tributario, la scoperta di una locazione simulata fa scattare diverse contestazioni, a seconda di come il contribuente aveva impostato la frode. Possiamo distinguere due grandi categorie di irregolarità fiscali: omessa dichiarazione di redditi imponibili (affitti non dichiarati o dichiarati in misura inferiore al reale) e indebite deduzioni/detrazioni (costi fittizi o benefici fiscali non spettanti). Vediamole in dettaglio:
- Recupero a tassazione dei redditi fondiari non dichiarati. Se il proprietario dell’immobile non ha dichiarato alcun reddito da affitto sostenendo formalmente di avere un comodato gratuito, ma l’Agenzia prova che in realtà esisteva un affitto (magari in nero), verrà contestato un reddito fondiario non dichiarato per i periodi d’imposta accertabili. Analogamente, se il proprietario ha dichiarato un canone inferiore al dovuto, ritenendolo magari legittimo perché concordato col figlio, il Fisco potrà imputargli un maggior reddito da fabbricati pari alla differenza tra canone di mercato (o almeno rendita catastale) e quanto dichiarato. Un punto fondamentale, chiarito di recente, è che il reddito da locazione va dichiarato solo dal possessore dell’immobile (proprietario o titolare di diritto reale) ai sensi dell’art. 26 TUIR: non rileva chi formalmente stipula o percepisce il canone. Dunque escamotage come far figurare un parente come locatore al posto del proprietario non evitano la tassazione: se la figlia proprietaria non dichiara nulla e il padre risulta locatore apparente, il Fisco comunque attribuirà il reddito alla figlia (possessore effettivo) in base al combinato disposto dell’art. 26 TUIR e art. 37, co.3 DPR 600/73. La Cassazione ha ribadito che i canoni di un immobile, se il contratto è concluso da un soggetto non proprietario né titolare di altri diritti reali, non possono essere tassati come redditi fondiari in capo a costui, dovendo invece fare capo al titolare effettivo del bene. In un caso, un contribuente (padre) aveva registrato a suo nome un affitto di un immobile intestato alla figlia, incassando anche i canoni: l’Agenzia gli contestò l’omessa dichiarazione di quei redditi, ma la Cassazione (ord. 36488/2023) gli ha dato ragione sul punto che non potevano considerarsi redditi da fabbricato suoi perché egli non era proprietario. Attenzione però: ciò non significa che quelle somme sfuggano al Fisco – anzi, la stessa Cassazione ha chiarito che in casi simili il reddito va imputato comunque al proprietario (figlia) anche se non materialmente percepito da lei, oppure al più va tassato come reddito diverso in capo all’interposto (es. il comodatario che affitta a terzi può dichiarare quel canone nella sua dichiarazione come reddito diverso, quadro RL). Insomma, il Fisco non perde il suo credito: la regola è far pagare le imposte a chi detiene realmente l’immobile e il relativo beneficio economico, ignorando completamente il “teatro” della simulazione. Pertanto, in caso di affitto simulato, ci si può aspettare un avviso di accertamento che ricalcola le imposte IRPEF dovute sui redditi fondiari effettivi (compresi interessi e sanzioni). Ad esempio, se negli anni 2020-2022 Tizio proprietario ha dichiarato canoni totali per €1.000 annui mentre secondo il Fisco il reddito effettivo era €6.000 (rendita catastale o canone normale), riceverà una rettifica per ogni anno con imposta dovuta sulla differenza €5.000, sanzione per infedele dichiarazione, e interessi.
- Tassazione di utili in natura o dividendi occulti. Quando la simulazione coinvolge società o imprese, le implicazioni tributarie si articolano. Prendiamo il caso della società che affitta sottocosto ai soci: l’Ufficio potrà rettificare i ricavi imponibili della società portandoli ai valori normali di mercato, come visto nella Cass. 6198/2024 . In parallelo, quell’aver fatto godere i soci di un bene sociale a prezzo di favore può essere riqualificato come utilità distribuita ai soci (un modo surrettizio di trasferire valore al socio). Fiscalmente, questo può comportare che la differenza di canone (tra valore normale e prezzo agevolato) venga trattata come dividendo o utilizzo di beni sociali da assoggettare a tassazione in capo al socio utilizzatore. Ad esempio, se una s.r.l. affitta la villa sociale al socio per 5.000 €/anno invece di 20.000 €, oltre a tassare i 15.000 € come ricavi societari non contabilizzati, l’Agenzia potrebbe considerare quei 15.000 € come utile extra percepito dal socio (nella misura in cui configura un vantaggio patrimoniale). Questo dipende dalle circostanze, ma è un rischio concreto. Allo stesso modo, se un’impresa familiare deduce tra i costi d’esercizio €10.000 di affitto pagato alla madre del titolare, e il Fisco ritiene che l’immobile fosse in realtà a titolo gratuito o che il prezzo di mercato doveva essere la metà, potrà escludere in deduzione la parte eccedente (riprendendola a tassazione come reddito d’impresa) e, se la situazione lo suggerisce, ricondurre quell’esborso in eccesso a un atto di liberalità verso la madre (non deducibile) oppure a una redistribuzione di utili. Insomma, l’aspetto comune è che i vantaggi economici trasferiti sotto mentite spoglie di affitto vengono riqualificati secondo la loro vera natura: reddito tassabile per chi li ottiene e niente deduzioni per chi li eroga.
- Sanzioni amministrative tributarie. Oltre al pagamento delle imposte evase (o dei maggiori redditi accertati), il contribuente coinvolto in una locazione simulata va incontro a pesanti sanzioni pecuniarie. In generale, la dichiarazione infedele (omesso o insufficiente reddito dichiarato) è punita con una sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Nel caso di affitti non dichiarati o canoni in nero, questa è la sanzione tipica applicabile. Ma vi sono anche sanzioni specifiche: ad esempio, la mancata registrazione di un contratto di locazione (obbligatoria per legge entro 30 giorni) comporta una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta di registro evasa. Ecco perché simulare un affitto come comodato per non pagare la registrazione è un falso risparmio: se scoperti, si paga da 1,2 a 2,4 volte l’imposta dovuta, oltre naturalmente al recupero delle imposte dirette sui canoni non dichiarati. Nel caso citato: proprietario e inquilino che fingono un comodato gratuito mentre c’è un affitto occulto sono puniti con il 120-240% dell’imposta di registro evasa, in solido tra loro (il conduttore ne risponde insieme al locatore). A ciò si aggiungono le sanzioni IRPEF per i redditi non dichiarati e relativi interessi di mora. Dunque entrambi i familiari coinvolti rischiano conseguenze economiche serie: il fisco può rivalersi su proprietario e inquilino per le imposte di registro evase e, sul proprietario (o sul reale percettore) per le imposte dirette evase.
- Decadenza da benefici fiscali e rettifiche di detrazioni. Un altro possibile risvolto riguarda eventuali agevolazioni fiscali legate all’affitto. Ad esempio, se un giovane inquilino familiare ha usufruito della detrazione IRPEF per canoni di locazione (prevista per under 31 con determinati requisiti) presentando un contratto fittizio, oppure se un proprietario ha applicato la cedolare secca al 10% per un contratto concordato con un parente che però era simulato solo per pagare meno tasse, l’Agenzia recupererà anche questi benefici indebitamente fruiti. Il contratto simulato, essendo nullo, non dà diritto a detrazioni né a cedolare: l’inquilino dovrà restituire le detrazioni ricevute in dichiarazione se il contratto viene disconosciuto, e il locatore decadrà dal regime cedolare con liquidazione dell’imposta ordinaria e sanzioni. Ancora, un caso frequente: l’IMU ridotta al 50% per comodato a figli/genitori – concessione possibile solo se c’è un comodato vero registrato e rispettante i requisiti di legge. Se si scopre che in realtà era un affitto mascherato, il Comune (su segnalazione del Fisco) può richiedere l’IMU piena con sanzioni, considerando inefficace l’agevolazione perché basata su una falsa dichiarazione (dichiarare il comodato quando in realtà c’era un rapporto oneroso non dichiarato). Viceversa, se era dichiarato affitto a canone concordato con aliquota IMU ridotta del 25%, ma l’affitto era finto, anche qui l’ente locale potrebbe rivalersi per differenze d’imposta. Insomma, ogni beneficio fiscale collegato al contratto viene meno se il contratto è simulato: dal bonus affitto giovani al regime fiscale della cedolare, fino alle agevolazioni IMU-TASI, tutto può essere revocato con effetti retroattivi.
- Conseguenze penali. La stipula di un contratto simulato di per sé non configura reato tributario, ma i comportamenti connessi (evasione d’imposta, frode, ecc.) possono integrare fattispecie penali fiscali. Abbiamo già accennato all’art. 11 D.lgs. 74/2000 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) che punisce chi compie atti simulati sui propri beni per evitare il pagamento di imposte dovute (tipico, mettere un bene a riparo da Equitalia simulando una locazione ultraventennale a un prestanome). Questo reato richiede l’elemento fraudolento (intento di ingannare i creditori erariali); secondo la Cassazione, ad esempio, la vendita fittizia di un immobile a un amico per nasconderlo configura art. 11, mentre una vendita reale sotto prezzo per far cassa no, perché manca l’inganno. Dunque, un affitto simulato a parente finalizzato a occultare il bene rientra sicuramente nell’ambito “fraudolento”. Oltre a ciò, se gli importi evasi superano certe soglie, possono delinearsi i reati di dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs. 74/2000, imposta evasa > €100.000) o omessa dichiarazione (art. 5, se imposta evasa > €50.000). Ad esempio, se un contribuente non ha dichiarato 5 anni di affitto simulato per 20.000 € annui, ha evaso magari ~€4.000 di IRPEF all’anno: in 5 anni €20.000 di imposta, rientrando nella soglia penale dell’omessa dichiarazione. Oppure se la società affittante ha dedotto indebitamente decine di migliaia di costi finti, generando un’imposta evasa rilevante. In tali casi, scatterebbe la denuncia penale. Va sottolineato che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante artifici (art. 3 D.lgs. 74/2000) potrebbe essere configurabile quando la simulazione sia parte di una manovra fraudolenta complessa: la Cassazione ha ritenuto che l’uso di un prestanome o di atti simulati possa costituire “artificio idoneo ad ostacolare l’accertamento” e quindi rientrare nell’art. 3. Per esempio, creare false locazioni per giustificare costi e abbattere l’utile, con tanto di contratti e registrazioni, è un’attività ingannevole che va oltre la mera omissione, sconfinando nella frode. Ciò comporta pene anche più elevate (reclusione fino a 8 anni per art. 3). Tuttavia, il confine tra infedele e fraudolenta dipende dalla valutazione concreta degli artifici usati. In ogni caso, il contribuente ha interesse a regolarizzare prima possibile se intravede profili penali: il D.lgs. 74/2000 prevede che il pagamento integrale dei debiti tributari (imposte, sanzioni, interessi) prima del dibattimento estingue i reati di dichiarazione infedele/omessa e persino quelli fraudolenti (grazie all’estensione dell’art. 13 operata nel 2019). Quindi, chi fosse incappato in una simile vicenda di affitti simulati farebbe bene, in ottica di difesa, a sanare il dovuto: eviterebbe così la punibilità penale, restando “solo” con la sanzione amministrativa.
In sintesi, la contestazione di una locazione simulata può avere effetti dirompenti: il contratto viene annullato, l’immobile perde la protezione contrattuale, le imposte evase vengono recuperate con sovrattasse, e nei casi gravi si rischiano procedimenti penali tributari. A fronte di ciò, è fondamentale che il contribuente predisponga una difesa accurata sia in fase pre-contenziosa (accertamento con adesione, istruttoria) sia in eventuale giudizio tributario, per cercare di neutralizzare le presunzioni dell’Ufficio o attenuare le conseguenze. Nel prossimo capitolo vedremo come l’Agenzia individua queste situazioni anche tramite il cosiddetto redditometro e accertamenti sintetici, e poi passeremo alle strategie difensive vere e proprie.
Accertamento sintetico e “redditometro”: il ruolo nelle locazioni tra familiari
Una locazione simulata tra parenti può emergere non solo da verifiche “mirate” sui contratti di affitto, ma anche nell’ambito di accertamenti sintetici del reddito (il c.d. redditometro e strumenti affini). L’accertamento sintetico (disciplinato dall’art. 38 DPR 600/1973) è una metodologia con cui il Fisco ricostruisce il reddito complessivo presunto di un contribuente basandosi sulle spese sostenute e sul tenore di vita. In pratica, se un soggetto manifesta un livello di spese incompatibile col reddito dichiarato, l’Agenzia può presumere un reddito maggiore (e sta poi al contribuente fornire prova contraria). Ebbene, in questo contesto, i rapporti di locazione tra familiari possono generare anomalie che fanno scattare l’accertamento sintetico.
Caso 1: Il proprietario con basso reddito che rinuncia ai canoni dal parente. Immaginiamo un contribuente che dichiara un reddito modesto, ma possiede più immobili. Uno di questi è occupato da un parente prossimo, e l’interessato dichiara di non percepire affitto (magari ha registrato un comodato d’uso gratuito al figlio, oppure semplicemente non dichiara reddito perché l’immobile risulta “a disposizione”). Nel redditometro, il possesso di immobili e il loro utilizzo sono elementi considerati: se quell’immobile è seconda casa non affittata, fino a qualche anno fa veniva comunque attribuito un reddito figurativo pari alla rendita catastale su cui calcolare l’IRPEF. Oggi, con le modifiche normative, l’IRPEF sulla seconda casa concessa in uso a figli o genitori può essere esclusa dalla tassazione in presenza dei requisiti (contratto registrato e parente che la utilizza come abitazione principale). Tuttavia, ai fini del redditometro in senso stretto, ciò che rileva è che il contribuente mantiene un immobile senza averne un reddito corrispondente. In termini di indici sintetici, possedere un immobile inutilizzato può indicare capacità di spesa (ci sono costi di mantenimento, IMU, etc.) non compatibile con un reddito troppo basso dichiarato. Il Fisco potrebbe obiettare: “Perché il signor X dichiara solo 10.000 € l’anno ma possiede 2 case, di cui una regalata all’uso del figlio? Come copre le spese di quella casa se davvero guadagna così poco?”. In mancanza di affitto percepito, quell’immobile “dato gratis” al figlio potrebbe far pensare che X abbia entrate non dichiarate sufficienti a permettersi il lusso di rinunciare a un reddito. Questa linea argomentativa è sottile, ma è stata a volte presente in accertamenti sintetici: il Fisco, considerando il quadro familiare, può ipotizzare che vi siano sussidi finanziari infragrupo non tassati (ad es. il padre coi propri fondi mantiene il figlio, però se il padre stesso dichiara poco reddito, da dove arrivano i soldi?). Per difendersi in questi casi occorre documentare accuratamente che le spese relative all’immobile e al figlio sono coperte da fonti lecite e non tassabili (risparmi pregressi, redditi esenti, aiuti da terzi). Ad esempio, se il padre pensionato usa il TFR o capitali accumulati in passato per pagare IMU e bollette della casa dove vive il figlio, dovrà dimostrarlo. In mancanza di tale prova, l’Ufficio potrebbe legittimamente presumere un reddito occulto. Non basta infatti la sola residenza anagrafica del figlio presso l’abitazione del genitore per smentire un redditometro: la Cassazione ha ritenuto insufficiente la mera convivenza o rapporto di parentela per giustificare spese senza reddito, se non si prova concretamente il contributo economico dei familiari conviventi . In altre parole, se Tizio dice “posso vivere con 5.000 € l’anno perché tanto sto a casa di papà”, deve mostrare che papà effettivamente copriva le spese (ad es. con movimentazioni di denaro, bollette intestate al padre, etc.), altrimenti il Fisco continuerà a imputargli un reddito presunto più alto.
Caso 2: Il figlio/inquilino con spese elevate rispetto al reddito. Al contrario, consideriamo un giovane che dichiara un reddito basso (es. studente lavoratore part-time) ma risulta pagare un affitto – magari ai genitori – di qualche migliaio di euro annui. Il redditometro originariamente attribuiva ad ogni contribuente una spesa annua minima per abitazione, a seconda della zona e composizione familiare. Se il soggetto afferma di pagare un canone, quella è una spesa certa agli occhi del Fisco. Dunque, se egli non ha redditi capienti per coprire quell’affitto, l’Ufficio sospetterà che la differenza sia colmata da entrate in nero o da risorse occulte. Nei controlli sintetici, una situazione classica era: contribuente con reddito dichiarato €0 che tuttavia abita da solo in un appartamento in affitto. Il redditometro calcolava un reddito presunto basato almeno sul costo d’affitto (e altre spese correlate). E se il contribuente replicava: “Pago l’affitto a mio padre ma mio padre poi mi restituisce i soldi”, praticamente confessava la simulazione (il che risolve il redditometro ma apre un’altra violazione!). Dunque è un’arma a doppio taglio. Come difendersi in questi casi? L’unica strada è dimostrare che quel canone non è realmente uscito dal patrimonio dell’inquilino, perché magari è stato pagato da un terzo o con risparmi pregressi. Ad esempio, se il figlio aveva un conto cointestato col padre da cui il padre preleva ogni mese l’importo dell’affitto, si può sostenere che in realtà era il padre a sostenere la spesa (rendendo fittizio il passaggio di denaro). In sede di contraddittorio, bisogna fornire tracce documentali: bonifici di copertura, ricevute di elargizioni, o anche un atto di donazione formale se c’è stato (importi rilevanti). In mancanza, la posizione è indifendibile: l’Ufficio calcolerà il reddito occulto pari almeno alle uscite per affitto. Per fare un esempio numerico: Caio dichiara €6.000 l’anno ma risulta un contratto di locazione con suo padre di €4.800/anno – verosimilmente il Fisco con metodo sintetico dirà che Caio dispone di almeno €4.800 per l’affitto più qualcos’altro per vivere, quindi dovrà avere un reddito ben superiore a €6.000. Se Caio prova che quei €4.800 glieli ha versati il padre come aiuto (denaro già tassato in capo al padre, o esente come donazione), potrà sottrarre quella spesa dal reddito presunto perché coperta da fonte non imponibile. Ma tale prova dev’essere ampia e convincente, non una semplice dichiarazione verbale.
Caso 3: Disallineamento di proprietà e spese. Un’altra situazione che ha dato luogo a contenzioso è quando il proprietario e il pagatore delle spese non coincidono. Ad esempio, immobile intestato al figlio ma il padre continua a pagare mutuo e bollette: l’Agenzia può scoprire un intreccio di flussi finanziari che porta a domandarsi chi goda effettivamente del bene e con che redditi. In un caso estremo, un immobile era stato intestato a un prestanome (parente) ma il vero utilizzatore pagava tutto: emerse la cosiddetta interposizione reale, e la Cassazione ha confermato che comunque vige l’art. 37 co.3 DPR 600/73: redditi e spese vanno imputati al soggetto effettivo. Nel nostro ambito, può essere meno frequente, ma se – poniamo – i genitori pensionati con reddito modesto risultano intestatari di un immobile, però è il figlio (con reddito occulto) a pagare le spese di casa, l’accertamento sintetico potrebbe colpire il figlio grazie a quei pagamenti. Anche qui, affitti simulati o comodati di facciata possono complicare la situazione: si pensi al caso (realmente accaduto) di genitori che davano in comodato la casa al figlio, e il figlio la subaffittava a terzi percependo canoni in proprio. Il Fisco ha dovuto chiarire chi dichiara quei redditi: la Cassazione n. 5588/2021 ha stabilito che il proprietario-comodante resta obbligato a dichiarare il reddito fondiario (rendita), mentre il comodatario che affitta a terzi dichiara il canone come reddito diverso. Ciò per dire che il redditometro deve valutare correttamente chi sostenga spese e chi percepisca redditi nel contesto familiare, altrimenti rischia errori grossolani. Non a caso molte verifiche sintetiche si risolvono a favore del contribuente quando si dimostra che alcune spese erano a carico di un familiare convivente (con reddito adeguato). Tuttavia, come ricordato, serve prova solida: la Cassazione con ord. n. 31568/2023 ha ribadito che la prova contraria del contribuente, nell’accertamento sintetico, deve riferirsi specificamente alla copertura delle spese oggetto di contestazione, non basta una spiegazione generica.
In sintesi, il redditometro può far emergere locazioni simulate in due modi: (a) evidenziando spese per canoni inspiegabili dato il reddito, o (b) rilevando assenza di entrate da immobili posseduti. In entrambi i casi, la difesa richiede di ricostruire puntualmente i flussi finanziari reali: se l’affitto era fittizio e non veniva pagato, occorre dimostrare che non c’è stata spesa effettiva (ad es. mostrando che il conto del finto locatario non ha addebiti); se invece c’è stata spesa ma coperta da terzi, bisogna documentare il supporto finanziario (es. bonifico “per pagamento affitto di mio figlio”). Va anche sottolineato che, qualora per assurdo la simulazione fosse confermata dallo stesso contribuente (es. “Sì, ho finto di pagare 500€ al mese ma in realtà mio padre me li restituiva in contanti”), questo risolve l’aspetto redditometro ma apre al recupero fiscale: il Fisco non tasserebbe il figlio per reddito non dichiarato, ma probabilmente contesterebbe al padre il possesso di reddito non dichiarato (dato che di fatto ha regalato l’alloggio) o altre violazioni (mancata registrazione di comodato, ecc.).
Infine, c’è un punto di garanzia del contribuente da ricordare: gli accertamenti sintetici moderni prevedono l’obbligo del contraddittorio preventivo e di tenere conto della complessiva situazione familiare. Ad esempio, se un figlio senza reddito vive coi genitori, l’Agenzia deve considerare anche i redditi dei genitori come possibile fonte di sostentamento prima di attribuire a quel figlio un reddito presunto autonomo . In passato sono avvenuti accertamenti annullati proprio perché il Fisco aveva ignorato che il giovane viveva a carico dei familiari. Oggi questo è recepito: la Circolare 16/E 2016 dell’Agenzia (sul nuovo redditometro) prevede di considerare la famiglia fiscale. Quindi, nel difendersi, è utile evidenziare il ruolo economico del nucleo familiare: ad esempio, se un padre pensionato mantiene davvero il figlio offrendogli casa gratis, ciò dev’essere adeguatamente fatto presente già in sede di confronto con l’Ufficio, chiedendo che non si imputi reddito al figlio se il padre aveva reddito sufficiente e ha sostenuto le spese. Presentare pezze giustificative (utenze intestate al padre, estratti bancari da cui risultano versamenti periodici al figlio, ecc.) aiuterà a convincere l’Agenzia o in seguito i giudici che non vi era capacità contributiva occultata, ma semplice mutuo aiuto familiare lecito.
Passiamo ora ad esaminare come il contribuente può impostare la difesa di fronte a una contestazione di locazione simulata, nelle diverse fasi: controllo fiscale, accertamento e contenzioso.
Strategie di difesa del contribuente: prevenzione e contenzioso
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un affitto tra parenti come simulato, il contribuente (sia esso il proprietario, l’inquilino o entrambi) deve attivarsi tempestivamente per difendere la propria posizione. Le strategie di difesa si possono articolare su due livelli: preventivo (ovvero predisporre sin dall’inizio rapporti contrattuali “a prova di accertamento”, per evitare contestazioni) e successivo, ossia le mosse da compiere durante il contraddittorio e l’eventuale contenzioso per smentire le presunzioni del Fisco. Di seguito analizziamo i principali strumenti e accorgimenti difensivi, distinguendo tra la fase stragiudiziale (verifiche e accertamento in senso lato) e la fase giurisdizionale (ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria, ex Commissione Tributaria).
Buone pratiche e prevenzione: come evitare sospetti di simulazione
Il primo consiglio è impostare correttamente i contratti tra familiari, in modo da non dare adito a dubbi di fittizietà. Se si desidera legittimamente affittare un immobile a un proprio congiunto (figlio, genitore, fratello, ecc.), conviene adottare queste buone pratiche:
- Registrare sempre il contratto entro 30 giorni. La registrazione è obbligatoria per legge e costituisce il primo indice di serietà e trasparenza di una locazione. Un contratto non registrato è nullo e vi espone a sanzioni per evasione. Inoltre, la registrazione tutela giuridicamente entrambe le parti (ad esempio, consente di agire per sfratto in caso di necessità). Dunque mai saltare la registrazione, nemmeno se il canone è simbolico: il Fisco vuole che tutti i contratti, anche tra parenti, siano denunciati ufficialmente.
- Stabilire un canone realistico, allineato ai valori di mercato o comunque non eccessivamente basso. Se la volontà è di favorire il parente con uno sconto, è consigliabile non scendere sotto le soglie prudenziali: ad esempio, mantenersi almeno pari (o non molto inferiore) alla rendita catastale annua rivalutata. In particolare, come visto, per i contratti concordati in città grandi il limite è circa 10% del valore catastale: rispettatelo per non incorrere in accertamenti automatici . In generale, documentatevi sui canoni medi di zona (anche tramite l’OMI dell’Agenzia Entrate) e fissate un importo giustificabile. Evitate cifre simboliche (1 euro, 50 euro…) a meno che non ricorriate alla forma del comodato gratuito (che però è altro contratto, v. infra). Un canone congruo non attira sospetti: l’Agenzia avrà poca leva per presumere simulazioni se il prezzo è in linea col mercato, anche se le parti sono parenti.
- Utilizzare metodi di pagamento tracciabili e conservare le prove. Anche tra familiari, è buona norma pagare l’affitto con bonifico bancario, assegno non trasferibile o altri strumenti tracciabili (come previsto peraltro per contanti oltre €2.000, soglia anti-cash). Ciò vi consente di esibire estratti conto, ricevute e quietanze che dimostrano i reali flussi di denaro. In particolare, il locatore deve poter provare di aver incassato i canoni (ad es. con cadenza mensile) e il conduttore di averli corrisposti. Evitate i pagamenti cash senza ricevuta: tra parenti c’è fiducia, ma in un accertamento questa consuetudine viene interpretata negativamente. Se proprio usate il contante (entro i limiti legali), fate firmare una ricevuta mensile al locatore e conservatela. L’ideale è allegare al contratto un’apposita clausola con l’IBAN per il bonifico mensile del canone: questo indica la volontà di entrambe le parti di operare in modo tracciato e serio.
- Motivare eventuali condizioni particolari con accordi scritti. Se per esigenze familiari fissate condizioni fuori standard (come un canone molto ridotto perché l’inquilino farà dei lavori, o un pagamento anticipato perché il parente dispone di liquidità al momento), mettete tutto per iscritto. Ad esempio, potete stipulare una scrittura integrativa al contratto in cui il conduttore si impegna a svolgere specifici lavori di ristrutturazione a sue spese, e per questo il locatore concede un canone inferiore. Oppure, nel contratto stesso, inserite una clausola chiara sul perché c’è un anticipo canoni (es: “il conduttore versa anticipatamente il canone di 2 anni quale garanzia, trattandosi di figlio convivente che all’inizio non ha redditi propri”). Questi documenti potranno essere mostrati al Fisco a giustificazione dell’apparente antieconomicità. Ovviamente devono corrispondere al vero: se dichiarate che il figlio farà lavori, assicuratevi che poi li faccia davvero (con fatture a suo nome). Un canone modale (ossia collegato a un modus come lavori, custodia, ecc.) è lecito e configura in realtà un comodato oneroso più che una locazione, ma se ben calibrato può reggere (purché l’onere a carico del conduttore non trasformi di fatto il contratto in un affitto simulato). In alternativa, valutate se il comodato d’uso gratuito semplice è più adatto (v. infra).
- Considerare il comodato d’uso gratuito come alternativa all’affitto. Spesso tra familiari la soluzione più naturale è il comodato (prestito gratuito dell’immobile). Se l’intento è davvero di far usare la casa al parente senza lucro, meglio formalizzare un contratto di comodato anziché simulare un affitto. Il comodato va redatto in forma scritta e registrato (imposta fissa €200), ma offre alcuni vantaggi: non genera reddito imponibile IRPEF per il locatore (che pagherà al più la rendita catastale, spesso esente se prima casa del comodatario) e dà diritto all’agevolazione IMU (base dimezzata) se il comodatario è un figlio/genitore che vi risiede con ISEE entro 15.000 €. In comodato non essendoci canone non si corrono i rischi di presunzioni di canone in nero – però attenzione a non usarlo in modo abusivo: se in realtà vi fate pagare in nero pur avendo registrato un comodato, la sanzione per comodato simulato e in realtà locazione la abbiamo vista (120-240% registro evaso). Quindi comodato sì, ma solo se davvero gratuito. In caso di controllo, dovrete poter mostrare che il comodatario paga solo le spese vive (utenze, condominio) ma nessun corrispettivo periodico. Il comodato può essere “oneroso” limitatamente – ad esempio potete pattuire che il comodatario si fa carico di oneri specifici (piccole manutenzioni, custodia, pagamento utenze), ma non di un corrispettivo vero e proprio, altrimenti si qualifica come affitto. Un comodato ben fatto (contratto scritto con oggetto chiaro, durata eventualmente determinata, registrato) è la miglior prevenzione da contestazioni: l’Agenzia solitamente non contesta un comodato tra parenti salvo che sospetti fortemente un affitto occulto. Certamente, col comodato il proprietario non percepisce reddito, ma se era comunque intenzionato a non lucrare sul parente è coerente. In più, come detto, dal 2016 la normativa lo premia: niente IRPEF aggiuntiva (il legislatore ha equiparato quasi all’abitazione principale la casa data in comodato registrato a figli/genitori, abolendo l’obbligo di inserirla come seconda casa a disposizione) e IMU ridotta del 50% . Insomma, conviene dichiarare apertamente il comodato piuttosto che inventare affitti a 100 € mensili con finta tassazione minima.
- Non abusare delle agevolazioni fiscali legate ai familiari se non spettanti. Un altro aspetto preventivo: evitate di creare contratti “di comodo” solo per ottenere benefici fiscali come le detrazioni per affitto. Ad esempio, alcuni genitori facevano un contratto di locazione fittizio al figlio universitario per permettergli di detrarre il canone o ottenere il contributo affitto regionale, quando in realtà il figlio viveva gratis. Queste condotte, oltre ad essere indebite, lasciano tracce (dichiarazioni, domande) che possono essere controllate. Meglio non rischiare: le agevolazioni per affitti vanno usate per situazioni reali. Lo stesso dicasi per la cedolare secca al 10% su contratti concordati: se fate un contratto concordato con vostro figlio solo per pagare il 10% su un canone simbolico, in sede di controllo l’Agenzia potrebbe non contestare formalmente la cedolare (che è dovuta sul canone dichiarato) ma andare a cercare quell’eventuale canone in nero fuori contratto, o come detto riclassificare la situazione come comodato. Inoltre, i contratti concordati richiedono attestazione di rispondenza ai parametri: se il canone è eccessivamente basso, potreste non ottenere neppure l’attestazione dalle organizzazioni competenti. In sostanza, usate i regimi fiscali agevolati in buona fede, non come copertura di affitti fasulli – altrimenti, in caso di accertamento, oltre a perdere il beneficio sarete sanzionati per dichiarazione infedele.
Riassumendo, la prevenzione è la miglior difesa: un contratto chiaro, registrato, con canone normale e pagato regolarmente non sarà facilmente attaccabile. Se invece già sapete che la situazione è ambigua (es. volete far pagare solo metà affitto a vostro fratello), la cosa più sicura è formalizzare il vero accordo (comodato o simili) e non mentire al Fisco. In ogni caso, mantenete sempre documentazione accurata di tutti i rapporti economici intrafamiliari: in caso di accertamento, poter esibire ricevute, bonifici, scritture aggiuntive può fare la differenza tra convincere o meno l’Ufficio delle vostre ragioni.
Difendersi durante l’accertamento: contraddittorio e prove contrarie
Nonostante tutte le cautele, può accadere di ricevere un avviso di accertamento o una contestazione dell’Agenzia delle Entrate riguardante una locazione tra parenti. È il momento di mettere in atto una strategia difensiva strutturata. La difesa inizia già nella fase amministrativa, ossia appena il contribuente viene a conoscenza delle osservazioni del Fisco (tramite PVC – processo verbale di constatazione, invito al contraddittorio, questionario, ecc.). Vediamo i passi fondamentali:
- Analizzare a fondo la contestazione e gli elementi presuntivi usati. Per impostare la difesa bisogna capire su cosa si fonda l’accusa di simulazione. L’avviso di accertamento (o il PVC) dovrebbe esplicitare gli elementi riscontrati: ad es. “canone inferiore del 80% ai valori OMI”, oppure “assenza di transazioni finanziarie a fronte del canone dichiarato”, o ancora “contratto non registrato, rinvenuto solo in bozza, in presenza di movimenti bancari verso il proprietario”. Bisogna individuare ciascun rilievo e valutarne la fondatezza. A volte l’Agenzia compie errori o forzature: ad esempio, cita valori OMI inesatti o relativi a immobili di diversa tipologia; oppure presume mancanza di pagamento perché non ha visto bonifici, mentre c’erano assegni (mai richiesti). Occorre quindi raccogliere tutta la documentazione contraria per smentire punto per punto. Questa fase di studio è essenziale anche per decidere la linea di condotta: se ci si rende conto che la simulazione c’è stata davvero e le prove del Fisco sono schiaccianti, forse conviene puntare a limitare i danni (adesione, ravvedimento operoso) piuttosto che a negare l’evidenza in giudizio. Se invece la contestazione si basa su presunzioni fragili o su un’errata interpretazione di fatti reali, allora si potrà impostare una difesa decisa fornendo controprove.
- Partecipare attivamente al contraddittorio endoprocedimentale. Nei casi di accertamento sintetico e in genere in ogni accertamento, il contribuente ha diritto a essere interpellato prima dell’emissione dell’atto (specie per contestazioni da presunzioni). È fondamentale sfruttare questa sede per presentare le proprie ragioni. Si potranno inviare memorie difensive scritte e/o chiedere un’audizione. In tali memorie, bisogna fornire spiegazioni e prove alternative che rendano implausibile la tesi di simulazione. Ad esempio, se l’Ufficio dice “canone troppo basso rispetto al mercato, quindi affitto finto”, voi potrete allegare una perizia o stima che dimostra come l’immobile avesse problemi (es. necessità di ristrutturazione, quindi il canone concordato – basso – era comunque congruo rispetto allo stato di fatto). Se contestano “mancati pagamenti, quindi comodato travestito”, voi producete copie di assegni incassati dal locatore o dichiarazioni bancarie di prelievi regolari in contanti consegnati a mano. Ogni presunzione del Fisco va indebolita con un elemento oggettivo contrario. Ad esempio, la CTR nel caso 6198/2024 aveva basato molto sull’OMI; la difesa della società evidenziò (poi invano) che l’Ufficio non aveva indicato puntualmente gli immobili di paragone e aveva usato parametri non resi noti. Voi, in contraddittorio, potrete rimarcare eventuali lacune probatorie dell’Ufficio: se mancano riferimenti specifici o se si basa su “valori di mercato” senza allegare fonti concrete, contestate la genericità delle accuse e la violazione dell’onere probatorio. Ricordate: in sede di contraddittorio, far emergere un ragionevole dubbio può indurre l’Ufficio a non procedere con un accertamento debole (per timore di perderlo in contenzioso). Anche se l’accertamento verrà emesso lo stesso, le memorie depositate faranno parte del fascicolo e il giudice le valuterà. Quindi vanno scritte con cura tecnico-giuridica, citando eventualmente precedenti di Cassazione favorevoli. Ad esempio, se il vostro caso è un affitto tra comproprietari contestato, potreste citare la giurisprudenza che esclude obblighi dichiarativi per i comproprietari non locatori se provano che solo uno percepiva il canone (Cass. 23508/2022). Nel contraddittorio va tenuto un tono collaborativo ma fermo: ammettete eventuali errori formali (es: “È vero, il contratto fu registrato in ritardo di 15 giorni: ho pagato già la sanzione ridotta”), ma contestate energicamente le deduzioni infondate (“Il canone è inferiore a OMI perché l’immobile è privo di impianto di riscaldamento e il conduttore ha speso 10.000€ di tasca sua per adeguarlo, come da fatture allegate. Applicare OMI di immobili a norma è fuorviante”). Ogni affermazione va supportata da documenti: non limitatevi a dichiarazioni generiche.
- Valutare eventuali procedure di definizione agevolata. Se dalle risultanze del contraddittorio capite che la posizione è compromessa (ad esempio, emergono elementi che voi stessi non potete negare: bonifici con causale “affitto” molto più alti di quanto dichiarato, etc.), considerate gli strumenti deflattivi per chiudere la vertenza con il minimo danno. L’accertamento con adesione (ex D.Lgs. 218/1997) consente di raggiungere un accordo con l’Ufficio prima che l’accertamento sia definitivo, ottenendo una riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo. Nelle locazioni simulate, spesso il Fisco è disponibile a trattare su alcune componenti (magari riconoscendo parziali ragioni). Ad esempio, potreste concordare che il canone da tassare venga rialzato ma non al livello ipotizzato: se l’Ufficio voleva imputarvi €10.000 annui e voi €5.000, ci si può accordare per €7.500, chiudendo tutto. L’adesione evita il processo e congela la pretesa (attenti però che se c’è interposizione fittizia rilevante, non scampa eventuali indagini penali: ma se poi pagate, scatta causa di non punibilità). Altra opzione, se l’avviso è già emesso: il ravvedimento operoso (pagando spontaneamente prima della notifica dell’avviso, ma questo ormai se siete in contraddittorio è tardivo) oppure la conciliazione giudiziale (se fate ricorso, potete conciliare in udienza con sanzioni ridotte al 40% o 50%). In generale, soppesate i pro e i contro del contenzioso: se il recupero d’imposta è modesto e la prova del Fisco robusta, potrebbe essere più conveniente aderire pagando sanzioni ridotte, che affrontare spese legali e rischio di condanna alle spese per poi dover pagare tutto con sanzioni piene. Se invece in coscienza ritenete di avere ragione e le prove contrarie sono dalla vostra, allora preparatevi a far valere le vostre ragioni in giudizio.
- Impostare il ricorso tributario in maniera efficace. Nel caso l’accertamento diventi definitivo (adesione fallita, o non convenienza ad aderire) occorre presentare ricorso alla competente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Provinciale) entro 60 giorni. Qui è preferibile farsi assistere da un avvocato tributarista o esperto, data la complessità delle tematiche (soprattutto se in ballo c’è anche la nullità civilistica del contratto, potrebbero sorgere questioni di diritto non banali). Il ricorso dovrà evidenziare errori di fatto e di diritto commessi dall’Ufficio: ad esempio, violazione di legge se l’Agenzia ha applicato l’art. 37 co.3 DPR 600/73 senza presunzioni gravi (contestando magari solo “sono parenti, quindi finto” – che non è di per sé prova grave, mancando altri indizi); oppure carenza di motivazione se l’avviso non spiega sufficientemente come è stato determinato il maggior reddito (ad es. “adeguato a valori di mercato” senza dettaglio). Nel merito, il ricorso deve ricostruire i fatti reali, dimostrando – con i documenti allegati come prove – la genuinità del rapporto o comunque confutando la tesi erariale. Una possibile linea difensiva, ove applicabile, è sostenere che non vi era alcuna simulazione bensì un rapporto atipico ma reale: per esempio, puntare sul fatto che ciò che il Fisco chiama “affitto fittizio” era in realtà un comodato vero (se effettivamente non c’erano pagamenti e lo si può far riconoscere). In alternativa, se il Fisco sostiene che c’era un affitto in nero, dimostrare che l’immobile era semplicemente tenuto a disposizione del figlio senza corrispettivo (quindi semmai andava tassata la rendita, già assoggettata). Un caso interessante: una sentenza della C.T. Reg. Emilia-Romagna n. 1007/2022 ha annullato un accertamento dell’Agenzia che pretendeva redditi da locazione non dichiarati basandosi solo su recensioni online di un B&B gestito da un figlio in casa dei genitori – i giudici hanno ritenuto che non fosse prova sufficiente di un affitto, potendo il figlio usare gratis casa dei genitori per l’attività (in tal caso, semmai si trattava di redditi d’impresa del figlio, non redditi fondiari dei genitori). Questo per dire che i giudici tributari spesso scrutano se la prova del Fisco è davvero robusta o solo congetturale. In udienza, la difesa potrà far leva sul principio che il contribuente non può essere soggetto a tassazione maggiore sulla base di mere ipotesi non dimostrate. Ad esempio, Cass. n. 15344/2019 ha ricordato che anche negli studi di settore e redditometro servono elementi concreti per procedere. Se l’Agenzia ha trascurato aspetti come la reale situazione familiare, il ricorso deve evidenziarlo (es: “l’Ufficio ha erroneamente ignorato che il contribuente convive con i genitori che gli hanno fornito abitazione e mezzi, come provato in atti, rendendo la presunzione di reddito non sostenibile”). Portate all’attenzione del giudice eventuali precedenti giurisprudenziali analoghi dove i contribuenti hanno vinto. Ad esempio, vi sono decisioni (Cass. 21621/2015) che affermano: “in tema di locazioni commerciali, i locatori sono soggetti a imposizione sul reddito fondiario secondo il sistema catastale e non in base al canone contrattuale se questo non è percepito”. Se il vostro caso rientra (tipo: contratto simulato mai eseguito, quindi proprietario non ha percepito nulla – allora può invocare di dover pagare semmai l’IRPEF sulla rendita e non oltre). In sede processuale, è cruciale far emergere un eventuale difetto di prova dell’Agenzia: ricordiamo che le presunzioni semplici devono essere gravi, precise e concordanti. Se a vostro avviso manca la gravità o la concordanza, sottolineatelo: ad esempio, canone basso da solo non prova simulazione assoluta, specie se avete provato l’esistenza di causa giustificativa (lavori, ecc.). Alcune Commissioni hanno annullato accertamenti redditometrici perché l’Ufficio non aveva tenuto conto delle spiegazioni del contribuente (ad es. non aveva considerato che viveva coi genitori): evidenziate se vi è stata omissione di valutazione delle prove contrarie fornite.
- Chiamare testimoni e avvalersi di perizie tecniche (nei limiti ammessi). Nel processo tributario vige un divieto di prova testimoniale diretta, ma sono ammessi giuramenti e “documenti attestanti dichiarazioni di terzi”. Se qualche vicino di casa o conoscente potrebbe confermare che l’inquilino non ha mai pagato nulla perché era ospite, potete farvi rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio e depositarla. Non ha lo stesso peso di una testimonianza resa in aula, ma è sempre un indizio a vostro favore. Così come potete depositare eventuali corrispondenze (mail, SMS) tra le parti da cui emergano gli accordi reali: es. se il figlio scrive “papà, ho pagato l’ultima bolletta, a posto così per questo mese” e nulla sul canone, può suggerire che c’era un comodato. Anche le perizie tecniche sono ammesse: se un perito estimatore certifica che il giusto canone per quell’immobile semidistrutto era proprio 200 €/mese, e quell’importo avete applicato, la presunzione di antieconomicità vacilla. Naturalmente, il giudice valuterà il tutto secondo prudente apprezzamento.
- Evidenziare la buona fede e l’assenza di intento fraudolento. Se dalle prove risulta che magari qualche irregolarità formale c’è stata (es. contratto tardivamente registrato, o parenti non si sono scambiati denaro perché non ne avevano, ecc.), insistete sulla buona fede delle parti e sulla natura prettamente familiare e solidale del rapporto. La Corte di Cassazione in alcuni casi ha mostrato comprensione per le situazioni in cui la famiglia di fatto aiuta i membri senza scopo di lucro. Far capire che “non c’era alcun disegno evasivo o di occultamento, ma solo l’intenzione di agevolare un parente in difficoltà” può non farvi vincere in diritto (se c’è evasione, c’è evasione anche se motivata da bontà d’animo), ma potrebbe indurre il giudice a contenere le sanzioni o a vedere con occhio critico l’accusa di simulazione assoluta (magari qualificando il fatto come mera liberalità e non come frode fiscale). In definitiva, umanizzare la vicenda – senza pretendere impunità, ma chiedendo equità – può giovare.
Tabelle riepilogative delle possibili difese e outcome
Per maggiore chiarezza, riportiamo due tabelle sintetiche: la prima riassume le principali situazioni contestate e le possibili linee difensive; la seconda elenca alcune sentenze recenti rilevanti in materia di locazioni tra parenti, con l’esito.
Tabella 1 – Contestazioni tipiche e difese possibili
Contestazione Fiscale (scenario) | Difesa del Contribuente (argomenti e prove) |
---|---|
Canone “fuori mercato” (troppo basso) tra familiari.<br>Agenzia presuppone affitto simulato (donazione occulta) o canoni in nero. | – Dimostrare che il canone, pur inferiore alla media, ha ragioni oggettive: es. immobile in cattive condizioni, conduttore ha eseguito lavori a compensazione (allegare fatture lavori, contratto con clausola manutenzioni).<br>– Produrre stime immobiliari o riferimenti a contratti simili nella zona per provare che il prezzo non è irrisorio come sembra.<br>– Evidenziare che il canone copre quantomeno tutte le spese (IMU, manutenzioni ordinarie) e quindi non è simbolico puro (non c’è perdita per il locatore).<br>– Sostenere, in subordine, che se anche il canone è basso volutamente per aiutare il parente, ciò non implica simulazione ma semmai una scelta negoziale libera (assenza di ulteriori pagamenti occulti). |
Mancata percezione di canoni registrati.<br>Il contratto c’è ma l’inquilino (parente) di fatto non paga; Fisco: “allora è comodato mascherato, reddito tassabile su base catastale”. | – Mostrare che la morosità del conduttore è reale e che il locatore sta agendo per recuperare (lettere di sollecito, eventuale causa di sfratto avviata). La morosità non trasforma automaticamente in comodato se c’è volontà di riscuotere.<br>– Se invece c’era accordo tacito che non pagasse: regolarizzare presentando ora un contratto di comodato retroattivo (rischioso, ma a volte fatto) e offrire pagamento imposta registro fissa, chiedendo di tassare solo rendita e non sanzionare oltre.<br>– Insistere che, in base a art. 26 TUIR, senza incasso non c’è reddito fondiario percepito: se il locatore prova che non ha incassato nulla, l’imposizione deve limitarsi alla rendita (anche se per morosità colpevole sarebbe reddito tassabile lo stesso, ma si prova a far leva su equità). |
Affitto a socio o familiare nell’impresa a canone di favore (sotto costo).<br>Contestazione: ricavi sottratti a tassazione, utili in natura al socio. | – Dimostrare che il canone ridotto aveva una logica commerciale: es. l’immobile non locato avrebbe generato costi o deperimento, meglio un affitto seppur basso a qualcuno di fiducia che lo custodisse. Se documentabile, provare che si è tentato di affittare a terzi senza successo (annunci, etc.), quindi l’unico conduttore reperibile fu il socio a quel prezzo.<br>– Evidenziare eventuali sinergie: es. il socio in quell’immobile svolge attività che indirettamente favoriscono la società (magari showroom di prodotti societari), quindi il minor canone ha una causa economica (pubblicità, networking).<br>– Sul piano giuridico, contestare un eventuale utilizzo improprio di valori OMI: questi sono elementi indiziari ma non prove assolute. Se l’Ufficio non ha considerato caratteristiche specifiche dell’immobile (lusso, superficie, frazionamenti), eccepire difetto di prova specifica (es. l’OMI è un range ampio, serviva perizia).<br>– Se comunque emerge antieconomicità, proporre in via subordinata la riqualificazione come “utilizzo gratuito da parte del socio” e dunque, in base a norme sui fringe benefit, tassare eventualmente in capo al socio tale beneficio ma non sanzionare come evasione (strategia transattiva). |
Affitto fittizio per proteggere l’immobile da creditori.<br>Locazione ultradurata a parente con canone infimo, contestata come simulazione assoluta (atto fraudolento ex art.11 D.lgs.74/2000). | – Questa situazione è la più difficile da difendere se la sequenza temporale evidenzia intento fraudolento (contratto fatto poco prima di cartelle esattoriali, ecc.).<br>– Possibile linea: sostenere che non era un affitto simulato ma un vero negozio oneroso atipico: es. usufrutto venduto al parente (se c’è atto notarile di usufrutto, meglio del solo contratto). In assenza, puntare su vizi formali dell’accertamento penale (non competenza del giudice tributario, ma può sospendere in attesa del penale).<br>– Dal lato tributario, argomentare che l’affitto lungo non aumenta o diminuisce le imposte (anzi riduce reddito fondiario perché canone basso = tassazione su rendita rimane), quindi mancanza di dolo fiscale: il fine era civilistico (non pagare i creditori) ma non evasione d’imposta. Questo per evitare le sanzioni tributarie maggiorate o accuse penali tributarie, facendo semmai ricadere il fatto nella sfera civile (revocatoria fallimentare, ecc.). |
Tabella 2 – Giurisprudenza recente in materia di locazioni tra parenti
Riferimento (Numero e Data) | Oggetto del caso e principio affermato | Fonte |
---|---|---|
Cass. civ. Sez. III n. 1141/2015 (dep. 22/01/2015) | Contratto 40ennale a canone irrisorio tra parenti dichiarato nullo per simulazione assoluta. <br>– Vicenda: Nudi proprietari e usufruttuari (due coppie di coniugi) locano un villino al figlio per 40 anni a un canone simbolico, interamente pagato in anticipo. Una società creditrice chiede la nullità per simulazione. <br>– Principio: Sussiste simulazione assoluta se vi sono presunzioni gravi, precise e concordanti che il contratto sia stato posto in essere solo per apparenza, senza volontà di realizzare una vera locazione. Nel caso concreto la natura simulata è stata desunta da molteplici indizi (canone irrisorio, pagamento anticipato anomalo, parentela stretta, ecc.). Il contratto di locazione fittizio è quindi nullo e inopponibile al creditore, con obbligo di rilascio immediato dell’immobile da parte del conduttore. | |
Cass. civ. Sez. V ord. 22801/2014 (dep. 27/10/2014) | Prova della simulazione assoluta da parte di terzi con presunzioni. <br>– Vicenda: (Generica, citata come massima di principio) Un terzo estraneo al contratto lamenta la simulazione assoluta di esso. <br>– Principio: Quando la domanda di simulazione è proposta da terzi, il giudice può fondare la decisione anche solo su elementi presuntivi, valutati globalmente secondo l’id quod plerumque accidit. Il relativo apprezzamento di merito è insindacabile in Cassazione se logico. In parole povere, il terzo (es. Agenzia Entrate) può provare la simulazione con indizi coerenti, senza bisogno di documento scritto o confessione (requisiti invece previsti tra le parti ex art. 1417 c.c.). Questo legittima l’uso di presunzioni da parte del Fisco per smascherare affitti finti. | |
Cass. civ. Sez. V ord. 36488/2023 (dep. 29/12/2023) | Reddito da locazione stipulata da comodatario – imputazione al proprietario ex art.26 TUIR. <br>– Vicenda: Contribuente (padre) registrò a proprio nome un contratto di locazione di un immobile intestato alla figlia, percependo i canoni che però non dichiarò come reddito. L’Agenzia lo tassò per redditi fondiari non dichiarati. <br>– Principio: I canoni derivanti dalla locazione di un immobile possono qualificarsi reddito fondiario solo in capo al titolare di un diritto reale sull’immobile (proprietario, usufruttuario, ecc.). Chi locatore non è proprietario né titolare reale, non può essere tassato ai sensi dell’art. 26 TUIR sui relativi canoni. La norma è inequivoca e non ammette interpretazioni estensive. Pertanto il reddito da locazione stipulata dal comodatario non va imputato a lui come reddito fondiario, ma al proprietario (possessore) oppure come diverso reddito se del caso. <br>– Esito: La Cassazione ha annullato l’accertamento IRPEF a carico del padre, riconoscendo che formalmente egli, non essendo possessore, non poteva aver redditi fondiari; semmai l’Ufficio doveva tassare la figlia (anche se non incassò) o qualificare diversamente la fattispecie. | |
Cass. civ. Sez. V ord. 6198/2024 (dep. 4/03/2024) | Affitto di immobili sociali a soci/parenti a canone inferiore al mercato – accertamento legittimo di maggiori ricavi (antieconomicità). <br>– Vicenda: Una s.r.l. nel 2006 affitta alcuni appartamenti di pregio ai propri soci o loro affini applicando canoni notevolmente inferiori a quelli di mercato (anche confrontati a affitti pagati da terzi su immobili analoghi). L’Agenzia, dopo contraddittorio, emette avviso accertando maggiori ricavi non dichiarati. La CTR conferma ritenendo adeguatamente provata la fondatezza dell’accertamento, visto lo scostamento enorme dai valori OMI e l’assenza di giustificazioni valide. <br>– Principio: La Cassazione ha rigettato il ricorso della società, ribadendo che in tema di redditi d’impresa è consentito l’accertamento analitico-induttivo ex art. 39 c.1 lett.d DPR 600/73 anche con contabilità regolare, se vi sono presunzioni gravi di inattendibilità (quale l’antieconomicità macroscopica). Un comportamento antieconomico – come affittare beni di lusso a canoni irrisori ai propri soci – legittima l’Ufficio a ricostruire i ricavi basandosi su presunzioni di maggior valore normale, senza violare il principio di libertà d’iniziativa. <br>– Esito: Confermata la ripresa a tassazione: la notevole discrepanza tra canoni applicati e valore locativo atteso, unita ad altri elementi, costituisce prova di ricavi sottratti a imposizione . La società deve quindi pagare le imposte sui maggiori ricavi “figurativi” come se avesse incassato affitti di mercato dai soci. | |
Cass. civ. Sez. V n. 5588/2021 (dep. 2/03/2021) | Immobile in comodato dato in locazione breve dal comodatario – imputazione del reddito al comodante (proprietario). <br>– Vicenda: Proprietario concede in comodato gratuito un immobile a un parente; quest’ultimo (comodatario) lo affitta per brevi periodi ricavandone canoni. Il Fisco accerta che il reddito da locazione va tassato in capo al proprietario. <br>– Principio: Il contratto di comodato produce effetti obbligatori, non reali, quindi il comodatario ha solo un diritto personale di godimento, non un diritto reale. Ciò comporta che il reddito fondiario derivante dalla locazione spetta comunque al proprietario-comodante, anche se non percepisce materialmente i canoni. Il comodatario, dal canto suo, dichiarerà eventualmente tali somme come redditi diversi (locazioni brevi) ma fiscalmente resta obbligato il titolare del diritto reale sull’immobile. <br>– Conseguenza: La Cassazione afferma l’imponibilità in capo al comodante dei redditi prodotti dall’immobile dato in comodato, smascherando di fatto eventuali interposizioni fittizie (caso tipico: si intesta un immobile al figlio nullatenente sperando di tassare a lui i redditi al posto del padre ricco – ma così non è: paga sempre il padre proprietario). |
Nota: Oltre alle pronunce sopra elencate, meritano cenno Cass. SS.UU. 26617/2022 (sulla nullità del contratto di locazione non registrato nei termini, confermata anche ai fini civilistici) e Cass. 8812/2021 (che ribadisce la liceità dell’accertamento analitico-induttivo in presenza di grave antieconomicità, anche per singole componenti di reddito). Tali principi si allineano a quelli già discussi: l’ordinamento mette a disposizione del Fisco strumenti flessibili per contrastare operazioni incoerenti e simulazioni.
Ulteriori esempi pratici di difesa
Per calare ancor più nel concreto quanto esposto, consideriamo alcune situazioni-tipo e come il contribuente può difendersi o rimediare:
- Esempio 1: “Affitto a mio figlio studente a 100 € al mese”. – Scenario: Un padre proprietario ha registrato un contratto di locazione con il figlio per €100 mensili (anziché un valore di mercato di circa €500). Il figlio ha anche portato in detrazione €300 di canone nel suo 730 (detrazione affitto studenti). Arriva un questionario dell’Agenzia che chiede spiegazioni sul basso canone. – Difesa: Il padre dovrebbe motivare la scelta spiegando che l’immobile necessitava di manutenzione e che il figlio ha eseguito lavori per circa €5.000 in cambio della riduzione del canone (allegare ricevute acquisto materiali intestate al figlio, foto del prima/dopo, ecc.). In parallelo, potrebbe considerare di trasformare l’accordo in comodato: recandosi all’Agenzia, registrare un contratto di comodato datato oggi (non retroattivo, ma per il futuro) e risolvere anticipatamente la locazione fittizia. Pagherà €200 di registro, ma da quel punto in poi non dichiara più affitto (solo rendita). Quanto al passato, se l’Agenzia insiste, eventualmente proporre adesione: dichiarare per il 2023 un reddito fondiario pari alla rendita catastale (es. €3000) invece di zero, rinunciando formalmente alla detrazione del figlio (da restituire). Così sanano la situazione con sanzioni ridotte, potendo sostenere che in effetti era un comodato sin dall’inizio e riconoscendo la tassazione minima (rendita) dovuta per legge.
- Esempio 2: “Società familiare con immobile affittato al socio a canone simbolico”. – Scenario: SNC composta da padre e figlio, proprietaria del capannone A e B. Il capannone A viene affittato al figlio personalmente per 1.000 €/anno (mentre a terzi simili locali vanno a 5.000 €). L’Agenzia contesta 4.000 € annui di ricavi in meno per 5 anni = 20.000 € sottratti a IRPEF/IRES. – Difesa: In contraddittorio, far valere che il capannone A era inutilizzato e in parte inagibile (allegare perizia) e che l’unico interessato era il figlio che l’ha adibito a deposito a bassa utilità. Mostrare che nessun terzo avrebbe pagato di più (magari presentando le offerte di affitto andate deserte). Se il figlio ha investito soldi per migliorare il capannone (documentare spese), evidenziare che grazie a lui l’immobile verrà rivalutato (quindi affitto basso giustificato). Chiedere eventualmente di limitare la ripresa agli anni successivi ai lavori. Se l’Ufficio si mostra rigido, considerare di transigere offrendo di incrementare forfettariamente il reddito di 2.000 €/anno invece di 4.000 €, quindi 10.000 € totali tassati, e pagare sanzione su quelli. Questo magari tramite accertamento con adesione, evitando il processo. In ogni caso, per il futuro si consiglia di: o alzare il canone a valori normali col socio, oppure cessare quel contratto e lasciare l’immobile a disposizione (tassando la rendita in capo alla società, che su un capannone è comunque bassa). Così non si ripeterà la situazione contestabile.
- Esempio 3: “Finta locazione per evitare pignoramento”. – Scenario: Un contribuente ha ricevuto cartelle esattoriali per 100.000 €. Possiede una seconda casa; temendo il pignoramento, nel 2024 l’ha data “in affitto” al cugino fino al 2034 a canone €50/mese registrando il contratto. Nel 2025 arriva verifica della Guardia di Finanza che fiuta l’operazione. – Difesa: Situazione molto rischiosa. Strategicamente, prima che sfoci in denuncia, il contribuente potrebbe pagare il debito tributario o accordarsi per rateazione, così da sminare l’accusa di sottrazione fraudolenta (se il debito è estinto, viene meno l’elemento di “impedire la riscossione”). In parallelo, può risolvere anticipatamente il contratto col cugino (se consenziente) e convertire eventualmente in comodato. Nel procedimento penale, sostenere che l’intento era “salvaguardare la casa di famiglia” ma senza volontà di frodare il Fisco, dato che si aveva intenzione di pagare il debito (magari effettivamente pagato). In sede tributaria, eventualmente accettare la riqualificazione come comodato: pagare la differenza d’imposta di registro tra 2% canoni e 200€ fissi (poca cosa) e riconoscere la tassazione sulla rendita. In casi così estremi, la difesa puntuale sul merito (canone congruo, ecc.) è quasi impossibile, meglio puntare a limitare le conseguenze mostrando ravvedimento e collaborazione.
Come si evince dagli esempi, ogni caso ha peculiarità proprie. La difesa va “personalizzata” adattandosi alle circostanze fattuali e alle prove disponibili. Importante è non mentire ulteriormente: se si cerca di coprire una bugia (affitto finto) con un’altra bugia, il rischio di aggravare la posizione è alto. Meglio adottare una linea trasparente, riconoscere magari errori formali ma contestare solo ciò che si può realmente smentire.
Domande frequenti (FAQ) su affitti tra parenti e accertamenti fiscali
D: Posso affittare un immobile a un mio familiare senza violare la legge?
R: Sì, è perfettamente legale affittare a un parente, a patto di rispettare le norme generali (forma scritta libera, registrazione obbligatoria entro 30 giorni, importo canone libero). Non esiste un divieto a locare tra congiunti. Tuttavia, il Fisco monitora con attenzione questi contratti quando presentano anomalie, ad esempio canoni troppo bassi, mancata registrazione o rapporti poco chiari. In pratica, affittare a figli, genitori, fratelli è lecito, ma occorre essere trasparenti: registrare il contratto, dichiarare il reddito percepito e possibilmente definire un canone non irrisorio. In alternativa, se l’intento è soltanto far usare la casa al parente, conviene formalizzare un comodato d’uso gratuito anziché un finto affitto.
D: L’Agenzia delle Entrate può contestarmi che il canone pattuito con mio figlio è troppo basso?
R: Sì. Se il canone è molto inferiore ai valori di mercato, l’Agenzia potrebbe sospettare una simulazione e ha facoltà di attivare un accertamento. Non esiste un “prezzo minimo legale” per gli affitti tra privati, ma la prassi fiscale considera antieconomici i canoni simbolici. In casi eclatanti, il Fisco può rettificare la situazione in due modi: (1) ignorare il contratto e tassare il proprietario sulla base della rendita catastale rivalutata (come se l’immobile fosse a disposizione), oppure (2) ipotizzare che esistano maggiori canoni in nero e pretendere le imposte sulla differenza. Esempio: lei affitta a €200 ma secondo l’OMI varrebbe €500; il Fisco può o tassarla come se prendesse €500, o quantomeno esigere IRPEF sulla rendita. In sede di verifica, spetta a lei provare che il canone basso era giustificato (immobile inagibile, conduttore che fa lavori, ecc.). Se ha valide ragioni e le documenta, può evitare la rettifica; altrimenti l’Ufficio ha buon gioco a considerare non veritiero il canone dichiarato. Un modo per prevenire problemi è adeguarsi alle soglie di tolleranza: ad esempio assicurarsi che il canone annuo sia almeno pari al 10% del valore catastale dell’immobile (specie per contratti concordati) , sotto il quale scatta l’accertamento automatico ai fini registro.
D: Meglio fare un comodato d’uso gratuito a mio figlio o un affitto a basso canone?
R: Se l’obiettivo è non fargli pagare nulla o poco, decisamente è preferibile il comodato gratuito. Il comodato (prestito senza affitto) tra genitori e figli, se registrato, consente vantaggi fiscali: IMU dimezzata per il proprietario (a certe condizioni) e niente reddito fondiario da dichiarare (salvo che l’immobile resti comunque soggetto a IRPEF sulla rendita, ma dal 2016 è stata eliminata l’imposizione IRPEF per l’unico immobile dato in comodato a un parente di 1° grado, in molti casi). Invece un affitto, ancorché basso, comporta obbligo di dichiarare un (pur minimo) reddito e far pagare un canone al figlio. Inoltre, un affitto a canone irrisorio può far perdere agevolazioni: ad esempio, se è molto basso, l’Agenzia potrebbe disconoscere la natura di vera locazione e negare al proprietario la riduzione IMU per immobile locato o al figlio eventuali detrazioni affitto, ritenendolo simulato. Il comodato è la soluzione naturale quando c’è fiducia familiare e volontà di liberalità: formalizzandolo per iscritto e registrandolo, siete in regola (costo una tantum €200). Attenzione però: il comodato è gratuito, quindi nessun passaggio di denaro deve avvenire, altrimenti si cade nella simulazione di comodato ma in realtà affitto (il che è sanzionato severamente). In sintesi, se davvero non volete un corrispettivo, fate comodato; se invece volete un affitto, applicatene uno realistico e riscuotetelo davvero.
D: Ho dato in affitto il mio negozio a mio fratello, che però non mi ha mai pagato l’affitto per aiutare la sua attività. Il contratto però l’abbiamo registrato con un canone. Posso avere problemi col Fisco?
R: Sì, è possibile. Se avete registrato un contratto di locazione commerciale con un certo canone ma non avete mai riscosso nulla, dal punto di vista fiscale c’è un’anomalia: formalmente lei avrebbe dovuto dichiarare quei canoni come reddito d’impresa (o fondiario se persona fisica) anche se non incassati, a meno che abbia emesso decreto ingiuntivo per morosità (nel qual caso, per i contratti uso diverso non abitativo, il reddito non dichiarato perché non incassato può essere dedotto in perdita una volta conclusa la procedura). La situazione ideale sarebbe stata fare un comodato d’uso gratuito anche per l’immobile commerciale, ma spesso non lo si fa per poter magari dedurre le spese come affitto nell’altra attività. Ora, l’Agenzia potrebbe contestare in capo a suo fratello che ha dedotto un costo affitto mai pagato (se lo ha dedotto) – il che verrebbe ripreso a tassazione come costo indeducibile. A lei proprietario potrebbe contestare l’omessa dichiarazione di redditi fondiari (se persona fisica) pari alla rendita catastale, dato che di fatto l’immobile era concesso in uso gratuito. Oppure, se era reddito d’impresa, la mancata percezione deve essere giustificata. In generale, vi conviene regolarizzare: risolvere il contratto d’affitto per inadempimento (così da evitare di dover dichiarare affitti non percepiti in futuro) e formalizzare un comodato d’uso al fratello. Fiscalmente, potreste sanare dichiarando “per errore” i redditi non percepiti e chiedendo eventualmente la non tassazione per mancato incasso (ma è complicato in questo contesto perché tra parenti la morosità appare voluta). Il rischio concreto è che il Fisco consideri quella locazione come simulata (comodato travestito) e vi chieda le imposte sulla rendita più sanzioni, oltre a disconoscere l’eventuale beneficio fiscale al fratello. Meglio prevenire chiudendo quell’affitto fittizio. Se l’Agenzia già vi ha rilevato la cosa, spiegate che il fratello era in difficoltà economiche e quindi avete di fatto convertito la locazione in comodato gratuito (se riuscite, registrate ora per salvare capra e cavoli). Si tratta di un caso spinoso perché mette in luce la contraddizione: contratto locazione registrato ma niente pagamenti – tipico indice di simulazione. Prepari eventuali documenti che provino la difficoltà del fratello, così da giustificare (sul piano umano, non giuridico) la mancata pretesa dei canoni.
D: Ho un appartamento che risultava sfitto ma in realtà ci viveva gratis mio figlio. Non abbiamo fatto contratto né nulla. L’Agenzia adesso mi contesta con il redditometro che avrei dovuto avere più reddito per mantenerlo. Come posso difendermi?
R: Questa è un’ipotesi legata al redditometro (accertamento sintetico). Il Fisco vede che lei dichiara, poniamo, €15.000 l’anno, però possiede due case (una la sua e una dove risiede suo figlio). Secondo i calcoli standard, mantenere due case implica spese che mal si conciliano con 15k di reddito, a meno che qualcun altro contribuisca. La sua difesa dovrà essere: “È vero, mio figlio vive nella mia seconda casa, ma tutte le spese le ho sostenute io con il mio reddito e con i miei risparmi accumulati”. Se il redditometro non tiene conto dei risparmi, li documenti (es. saldo conto elevato usato per spese straordinarie). E soprattutto evidenzi che non c’era alcun affitto: quindi suo figlio non ha spese di abitazione (se l’accertamento gliele aveva imputate, vanno tolte). In pratica deve far capire che il suo tenore di vita includeva il mantenimento del figlio, ma tutto entro la soglia del suo reddito e patrimonio. Se però 15k è effettivamente poco per due persone e due case, potrebbe dover dimostrare che suo figlio stesso contribuiva magari con un lavoretto o la sua compagna pagava bollette ecc. Ogni evidenza che riduce la spesa attribuita o aggiunge fonti esenti aiuterà a sgonfiare l’accertamento sintetico. Giuridicamente, ricordi al Fisco (e al giudice) che la Cassazione ha stabilito che la presenza di figli conviventi con redditi propri va considerata: non si può presumere tutto a carico suo se il figlio magari lavoricchiava . In definitiva: produca estratti conto che mostrano pagamenti di bollette, IMU, etc. dal suo conto (a conferma che le sue spese sono congrue col reddito dichiarato, se lo sono) e affermi chiaramente che suo figlio era comodatario gratuito senza costi. Se poi emergesse mai che il figlio ha percepito redditi (es. affittando stanze su Airbnb) allora la questione cambia e bisogna convogliare quei redditi su chi di dovere (figlio o lei a seconda). Ma dal quesito pare di no. Quindi la parola d’ordine è: documentare la tracciabilità delle spese e la mutualità familiare.
D: L’Agenzia delle Entrate mi ha contestato un affitto simulato e inviato un accertamento con imposte e sanzioni altissime. Devo per forza andare in causa?
R: Non necessariamente. Lei ha alcune opzioni deflattive prima di arrivare in giudizio: anzitutto può chiedere un appuntamento per l’accertamento con adesione (sospende i termini ricorso) dove negoziare con l’Ufficio una riduzione di quanto dovuto. Se ci sono margini (ad esempio il Fisco potrebbe rinunciare alle sanzioni maggiori riconoscendo magari l’errore formale ma non l’intento fraudolento, applicando il minimo edittale 90% invece di 180%), con l’adesione paga solo 1/3 della sanzione applicata. Inoltre, attualmente sono in vigore misure di definizione agevolata (in passato rottamazioni, conciliazioni agevolate) che potrebbe valutare: a volte conviene accettare la pretesa e pagare in forma ridotta le sanzioni o gli interessi grazie a norme ad hoc. Bisogna verificare se il suo accertamento rientra in qualche provvedimento di pace fiscale. Se invece preferisce sostenere le sue ragioni, può presentare ricorso in Commissione (ora Corte Giustizia Trib.) e, se crede, tentare una conciliazione giudiziale: spesso l’Agenzia in giudizio (specie se vede che ha argomenti validi) offre una soluzione transattiva con sanzioni al 50% o 40%. Valuti anche i costi del contenzioso: un commercialista o avvocato tributarista chiede onorari, e se l’importo in gioco non è altissimo, magari aderire conviene economicamente. Al contrario, se la cifra contestata è enorme e la ritiene ingiusta, investire in una difesa tecnica è opportuno. Tenga presente che in contenzioso potrebbe anche perdere e allora pagherebbe tutto più spese di soccombenza: questo va messo sul piatto. Una via per non pagare subito è chiedere la sospensiva al giudice tributario, ma serve dimostrare sia il fumus (motivi fondati di vittoria) sia il periculum (pagamento immediato la danneggerebbe irreparabilmente). Non facile, ma fattibile se ad esempio la pretesa è palesemente sballata. In sintesi, non è obbligatorio andare in causa: se ammette almeno in parte l’errore, può chiudere con adesione e dormire tranquillo. Se invece è convinto che il Fisco stia esagerando, presenti ricorso ben motivato e parallelamente consideri la conciliazione: spesso l’accordo si trova, con reciproche concessioni.
D: In un accertamento, il Fisco può usare contro di me il fatto che siamo parenti? Non è discriminatorio?
R: Non è una discriminazione, ma un dato di fatto: la legge tributaria consente espressamente di disconoscere operazioni tra parenti se prive di reale corrispettivo. L’art. 37, comma 3, DPR 600/73 parla di imputare i redditi al vero possessore anche basandosi su presunzioni. Ovviamente la parentela di per sé non prova nulla, ma è un campanello d’allarme. In ambito civile, i contratti tra congiunti spesso ricevono un’attenzione maggiore perché c’è più probabilità di collusione o intenti simulatori (lo diceva già la Cassazione in ambito di lavoro, familiare = possibile fittizio). In campo tributario, la Cassazione ha affermato che la norma anti-interposizione “colpisce qualsiasi dissociazione tra titolarità formale e possesso effettivo, sia essa attuata tra estranei che tramite familiari” . Quindi non è che tra parenti valga una presunzione legale di simulazione, ma è più facile che il Fisco trovi gli indizi per provarla: es. se affitto a un estraneo a 1 euro, difficilmente succede, se affitto a mio figlio a 1 euro è più credibile come evento – ma rimane anomalo e quindi segnalato. In concreto, i funzionari non contestano “perché siete parenti” (non potrebbero), contestano perché vedono canoni antieconomici o assenza di pagamenti tra parenti. La parentela è un elemento contestuale: suggerisce che forse c’era un accordo privato extra-fiscale, cosa che con un estraneo sarebbe improbabile. Quindi non è discriminazione, è analisi del rischio. Lei però ha diritto a trattare il suo caso come ogni altro: se dimostra che, nonostante la parentela, quell’affitto è vero e pagato, l’accertamento deve cadere. Se il Fisco basasse tutto solo sul vincolo di parentela senza altri indizi, avrebbe torto e in sede di ricorso vincerebbe lei (come difetto di motivazione o presunzione non grave). Dunque, il fatto parentale è un pezzo del puzzle, ma da solo non basta a emettere pretese.
D: Quali documenti devo preparare per difendermi da un accertamento su affitti simulati?
R: Ecco un elenco non esaustivo di documenti utili in questi casi:
- Il contratto di locazione registrato (o comodato) e ricevuta di registrazione.
- Quietanze di pagamento dei canoni: estratti conto evidenziando bonifici mensili; copie di assegni incassati; eventuali ricevute firmate dal locatore per contanti.
- Documenti giustificativi di canone ridotto: preventivi e fatture di lavori a carico dell’inquilino; perizia sullo stato dell’immobile; qualsiasi scritto tra le parti che faccia capire gli accordi (email, sms).
- Dichiarazioni sostitutive di eventuali terzi a conoscenza (es. un vicino che attesti “so che Tizio abita lì gratis per gentilezza dello zio”).
- Prospetto comparativo di mercato: annunci immobiliari simili con prezzi, o attestazione da agenzie della zona sui canoni usuali, per dimostrare che la differenza non è enorme o è giustificata.
- Eventuale corrispondenza con l’Agenzia: se in passato avete chiesto pareri o interpelli sul trattamento fiscale (raro, ma a volte succede).
- Dichiarazioni dei redditi sue e del parente: per mostrare, ad esempio, che il figlio era a carico e senza redditi, così da spiegare la situazione.
- Estratti di legge o prassi: es. circolari che confermano la vostra tesi su qualche aspetto (p. es. il fatto che l’IMU comodato 50% vale solo se registrato: se contestano manca registro, citate la norma che lo chiede, ecc.).
- Eventuali scritture private integrative (anche non registrate) dove vi siete accordati diversamente: se esiste, portatela (anche se ha data incerta, magari aiuta a capire la volontà reale).
In aggiunta, preparate una memoria riepilogativa in cui spiegate cronologicamente la vicenda e allegate i documenti numerandoli. Questo sarà utile per convincere sia l’Ufficio in adesione sia il giudice eventualmente. È importante evidenziare tutto ciò che concorda con la vostra versione e sminuire ciò che vi è contrario. Ad esempio, se manca il bonifico di un mese, scrivete che fu pagato in contanti causa malfunzionamento bonifico e allegate una dichiarazione firmata dall’inquilino che lo conferma. Insomma, colmate le lacune prima che le sfrutti la controparte.
D: Quali sono le sanzioni fiscali se scopro di aver simulato un affitto e voglio regolarizzare spontaneamente?
R: Se non c’è ancora un accertamento in corso, potete ricorrere al ravvedimento operoso per sistemare la situazione. Ad esempio, se negli ultimi 2 anni avete dichiarato canoni fittizi bassissimi o zero, potete presentare dichiarazioni integrative includendo i redditi fondiari reali (o la rendita catastale se opportuno). Pagherete le imposte dovute con interessi e sanzioni ridotte a 1/5 del minimo (se ravvedimento oltre 90 giorni ma entro l’anno) o 1/6 (oltre l’anno ma entro i termini accertamento). La sanzione minima per infedele dichiarazione è 90%, quindi ravvedendovi paghereste 90%/5 = 18% circa dell’imposta evasa per ciascun anno. Se regolarizzate un contratto non registrato, dovete registrarlo tardivamente: la sanzione per omessa registrazione è dal 120% al 240% dell’imposta di registro evasa, ma col ravvedimento anch’essa si riduce (ad es. se sono passati 2 anni, 1/6 del minimo, quindi 20% circa). Inoltre c’è l’imposta di registro da versare (2% annuo del canone moltiplicato gli anni arretrati). Può essere salata, ma sempre meglio che aspettare accertamento: se vi scoprono loro, applicano il massimo delle sanzioni. Quindi, volendo regolarizzare: presentate il contratto a registrazione (pagando 2% annuo canone + sanzione ridotta + interessi dal 30° giorno di ritardo) e integrate le dichiarazioni dei redditi per includere quei canoni, versando IRPEF + sanzioni ridotte + interessi. Così avrete messo a posto sia l’aspetto registro che imposte dirette. Un’alternativa se ormai l’affitto finto non serve più: risolvetelo (anche tardivamente, pagando €67 di tassa fissa) e registrate un comodato. Ma questo non vi esonera dal sanare il passato. Il ravvedimento è complesso da calcolare, conviene farsi assistere da un commercialista per quantificare bene imposte e sanzioni ridotte. Dopo la vostra autodenuncia, difficilmente il Fisco vi punterà ulteriormente (a meno di profili penali gravi, ma se li eliminate pagando tutto prima, siete al sicuro per l’art. 13 DLgs 74/2000).
D: Una locazione simulata può avere conseguenze penali anche se pago tutte le imposte poi?
R: Potrebbe averle se l’intento era, ad esempio, frodare creditori tributari (art. 11 D.lgs. 74/2000) o se l’imposta evasa supera soglie di rilevanza penale. Tuttavia, la miglior difesa penale è pagare integralmente il dovuto prima che inizino le fasi avanzate del procedimento. Infatti, come ricordato, la legge prevede la non punibilità per i reati di dichiarazione infedele, omessa, e dal 2019 anche per quelli di dichiarazione fraudolenta, se il contribuente versa tutto (imposte, interessi, sanzioni) prima del dibattimento. Quindi, se avete simulato un affitto e questo configura, poniamo, una dichiarazione infedele per €120k di imposte evase (oltre soglia), dovete assolutamente correre a saldare il Fisco: una volta pagato, il reato è estinto e non verrete puniti. Resta invece punibile il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento (se avevate simulato affitto per evitare esecuzioni): lì pagare il debito tributario aiuta moltissimo (perché se non c’è più debito non c’è più danno), ma tecnicamente l’art. 11 non è incluso nelle cause di non punibilità. Ci si dovrà difendere dimostrando magari che non c’era “fraudolenza” (arduo). In sintesi: pagate il dovuto, eventualmente anche aderendo all’accertamento con sanzioni ridotte – il che vi tutela praticamente da sanzioni penali nella grande maggioranza dei casi di affitti simulati (che tipicamente ricadono nell’infedele dichiarazione). E ovviamente, non reiterate la condotta: sistemato il passato, per il futuro adottate comportamenti lineari (affitti veri o comodati veri) così da non incorrere in recidive che complicherebbero la posizione.
D: Quali sono i riferimenti normativi principali in questo ambito?
R: Riassumiamo i più importanti:
– Art. 1414-1417 c.c.: disciplina della simulazione dei contratti (effetti tra le parti e verso terzi, prova della simulazione). Stabilisce che il contratto simulato è inefficace tra le parti e i terzi pregiudicati possono provarlo senza limiti.
– Art. 1, comma 346 L. 311/2004 (Finanziaria 2005): sancisce la nullità dei contratti di locazione non registrati entro 30 giorni. Norma confermata poi dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2017.
– DPR 131/1986 (Testo Unico Registro), art. 52 comma 4 e art. 41: prevede la determinazione valore minimo ai fini registro per gli immobili (il famoso 10% del valore catastale come canone minimo annuo per affitti concordati in comuni ad alta tensione abitativa) .
– DPR 917/1986 (TUIR), art. 26: regola l’imputazione dei redditi fondiari: vanno dichiarati dal possessore del diritto reale indipendentemente dalla percezione; se l’immobile è locato, il reddito è dato dal canone (comunque dovuto) anziché dalla rendita. Da questa norma discende che un non-proprietario non può avere reddito fondiario da quell’immobile.
– DPR 600/1973, art. 37 comma 3: inopponibilità delle interposizioni fittizie: consente all’Amministrazione di imputare al contribuente i redditi di cui altri appaiono titolari, quando sia dimostrato che ne è l’effettivo possessore per interposta persona. È la base per scoprire prestanome e simulazioni soggettive nel Fisco.
– D.Lgs. 74/2000, art. 2-11: reati tributari rilevanti (dich. fraudolenta artifizi o uso fatture, infedele, omessa, e art.11 sottrazione fraudolenta). In ambito affitti simulati, i più pertinenti sono art. 4 (infedele, se evaso > 100k) e art. 11 (atto fraudolento per evitare pagamento).
– L. 212/2000, art. 10-bis: disciplina l’abuso del diritto. Stabilisce che operazioni prive di sostanza economica e con vantaggi fiscali indebiti possono essere disconosciute dal Fisco, ma senza sanzioni amministrative né penali (quindi “neutralizzate” e basta). Però l’abuso non copre gli atti simulatori: se c’è simulazione, si va direttamente sulle norme antifrode con sanzioni. L’abuso servirebbe nel caso di una costruzione legale lecita ma elusiva (che non è il nostro caso, dove c’è falsità).
– Circolari e prassi: utile ad esempio la Risoluzione AdE n. 14/E/2001 che ricorda la registrazione obbligatoria dei comodati immobiliari (imposta fissa); la Circolare 16/E 2016 sul redditometro; e altre circolari sulle locazioni (es. C.M. 12/E 2016 sulla cedolare e nullità contratti). Queste spiegano come l’Agenzia interpreta certe situazioni (es. comodato vs affitto).
Conoscere questi riferimenti aiuta a inquadrare legalmente la propria difesa.
Conclusione: In definitiva, “come difendersi” da una contestazione di locazione simulata richiede un approccio multidisciplinare: bisogna padroneggiare i concetti civilistici (simulazione/nullità), le regole tributarie (imputazione redditi, onere della prova, accertamento sintetico) e saper documentare i fatti. Spesso, in questo campo, la partita si gioca sulle presunzioni: chi riesce a far prevalere le proprie (il Fisco con gli indizi di frode, oppure il contribuente con le prove di genuinità) vince. Per i contribuenti onesti che affittano a familiari, il consiglio è di operare in trasparenza, mantenendo tracce di ogni cosa e non abusando della flessibilità che la famiglia consente (“tanto è mio figlio, chi ci controlla”): proprio perché è suo figlio, potrebbero controllare. Per chi invece ha eventualmente simulato un affitto, la via migliore è ravvedersi presto e mettersi in regola, perché le conseguenze di una scoperta tardiva possono essere ben più costose. Con la preparazione adeguata e l’assistenza di professionisti, è possibile comunque far valere le proprie ragioni e, nei casi meritevoli, ottenere l’annullamento o la riduzione delle pretese fiscali. L’importante è affrontare la questione in modo proattivo e documentato, senza attendere passivamente gli eventi.
Fonti normative e giurisprudenziali citate: Art. 1414-1417 c.c.; Art. 37, co.3 DPR 600/73; Art. 26 TUIR (DPR 917/86); Cass. 22/01/2015 n.1141; Cass. ord. 22/10/2014 n.22801; Cass. ord. 29/12/2023 n.36488; Cass. ord. 05/03/2024 n.6198 ; Cass. 02/03/2021 n.5588; Il Sole 24 Ore, “Affitto simulato…”; Edotto, “Nullo contratto 40 anni a prezzo irrisorio”; Informazione Fiscale, “Affitto a canoni pieni a soci e parenti” ; Ohga.it, “Affitto a un parente: rischi nascosti”; EffettoCasa, “Comodato – finta locazione”. (Vedi riferimenti dettagliati nelle note).
- Esenzione: Legge di Stabilità 2016
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ritiene che il contratto di locazione stipulato con un tuo parente sia simulato e quindi finalizzato solo a ottenere vantaggi fiscali? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ritiene che il contratto di locazione stipulato con un tuo parente sia simulato e quindi finalizzato solo a ottenere vantaggi fiscali?
Vuoi sapere quali rischi corri e come puoi difenderti da queste contestazioni?
L’Amministrazione finanziaria spesso guarda con sospetto i contratti di locazione tra parenti, ritenendoli fittizi quando non emergono prove di un reale pagamento del canone o di un’effettiva destinazione dell’immobile. Ma non tutte le contestazioni sono fondate: con la giusta strategia difensiva puoi dimostrare la genuinità del rapporto contrattuale.
👉 Prima regola: documenta sempre la reale esistenza del rapporto locatizio, soprattutto nei rapporti tra familiari.
⚖️ Quando l’Agenzia può contestare la simulazione
- Contratti registrati ma canone mai pagato o senza prove di versamento;
- Canone manifestamente irrisorio rispetto ai valori di mercato o agli accordi pattuiti;
- Assenza di utenze attive (luce, gas, acqua) che dimostrino la reale abitabilità dell’immobile;
- Contratto stipulato solo per ottenere agevolazioni fiscali (es. detrazioni, cedolare secca, ISEE più favorevole);
- Mancanza di documenti bancari che attestino i pagamenti periodici.
📌 Conseguenze della contestazione
- Recupero delle imposte non versate (IRPEF, cedolare secca, imposta di registro);
- Applicazione di sanzioni fiscali per dichiarazioni infedeli;
- Interessi di mora;
- Rischio di ulteriori accertamenti patrimoniali e fiscali.
🔍 Cosa controllare per difendersi
- Tracciabilità dei canoni: i pagamenti devono risultare da bonifici, assegni o ricevute firmate;
- Coerenza del canone: verifica se è congruo rispetto al mercato o se giustificato da particolari circostanze (immobile in cattivo stato, affitto a studente/parente in difficoltà, ecc.);
- Utilizzo effettivo dell’immobile: utenze attive, consumi regolari, residenza anagrafica dell’inquilino;
- Validità della registrazione del contratto: data certa e adempimenti corretti;
- Motivazione dell’accertamento: l’Agenzia deve dimostrare la fittizietà, non basta il sospetto.
🧾 Documenti utili alla difesa
- Copia del contratto registrato;
- Estratti conto con i bonifici dei canoni di locazione;
- Ricevute di pagamento sottoscritte dal locatore;
- Bollette e consumi delle utenze intestate all’inquilino;
- Certificato di residenza o iscrizione universitaria/lavorativa dell’inquilino;
- Eventuali comunicazioni condominiali o spese a carico dell’affittuario.
🛠️ Strategie di difesa
- Dimostrare la reale esistenza del rapporto locatizio tramite prove documentali e testimoniali;
- Giustificare l’ammontare del canone in caso di importi inferiori al mercato;
- Eccepire vizi formali dell’accertamento: carenza di motivazione, decadenza dei termini, notifica irregolare;
- Richiedere autotutela se l’Ufficio ha commesso errori evidenti;
- Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni con richiesta di sospensione cautelare della riscossione;
- Mediazione tributaria (quando obbligatoria) per ridurre sanzioni e interessi.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza il contratto e la documentazione dei pagamenti;
📌 Valuta la legittimità della contestazione dell’Agenzia delle Entrate;
✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per dimostrare la genuinità del contratto;
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nei giudizi tributari;
🔁 Suggerisce accorgimenti per prevenire future contestazioni su locazioni tra parenti.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali e contratti di locazione;
✔️ Specializzato in difesa dei contribuenti contro contestazioni su rapporti familiari e immobiliari;
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Una locazione tra parenti non è automaticamente simulata.
Se l’Agenzia delle Entrate contesta il contratto, puoi difenderti dimostrando con prove concrete la reale esistenza del rapporto e l’effettività dei pagamenti.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sulle locazioni simulate inizia qui.