Lavoro All’Estero E Doppia Imposizione: Come Chiedere Rimborso Ritenute In Italia

Hai lavorato all’estero e ti sei visto applicare una doppia imposizione fiscale sui redditi? In molti casi il reddito da lavoro dipendente prodotto fuori dall’Italia viene tassato sia nello Stato estero sia in Italia, con il rischio di pagare due volte per lo stesso reddito. La normativa e le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni ti consentono però di chiedere il rimborso o il credito d’imposta delle ritenute applicate in Italia.

Quando si verifica la doppia imposizione
– Se sei fiscalmente residente in Italia ma hai lavorato per un periodo all’estero
– Se il datore di lavoro italiano ha applicato ritenute IRPEF anche su redditi già tassati nello Stato estero
– Se l’Italia e lo Stato estero hanno entrambi preteso di tassare il medesimo reddito da lavoro
– Se non sono stati correttamente applicati gli articoli delle convenzioni contro le doppie imposizioni

Quali strumenti hai per difenderti
Credito d’imposta estero: puoi detrarre dall’IRPEF italiana le imposte già pagate nello Stato estero, entro i limiti previsti
Rimborso delle ritenute IRPEF: se il datore di lavoro italiano ha applicato ritenute non dovute, puoi chiederne il rimborso all’Agenzia delle Entrate
Applicazione della convenzione bilaterale: ogni convenzione stabilisce quale Stato ha il diritto di tassare e come evitare la doppia imposizione

Come presentare la domanda di rimborso
– Presentare un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate entro i termini previsti (generalmente 48 mesi dal versamento)
– Allegare la certificazione rilasciata dal datore di lavoro con le ritenute operate
– Allegare la documentazione rilasciata dall’autorità estera che attesti le imposte pagate all’estero
– Richiamare la convenzione applicabile tra Italia e lo Stato estero di riferimento
– Eventualmente presentare dichiarazione integrativa per correggere la tassazione e chiedere la restituzione delle somme

Cosa rischi se non agisci
– Pagare due volte le tasse sullo stesso reddito da lavoro
– Perdere il diritto al rimborso se decorrono i termini di legge
– Subire ulteriori contestazioni fiscali per omessa o errata dichiarazione dei redditi esteri

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la tua posizione fiscale e verificare la corretta applicazione delle convenzioni
– Predisporre l’istanza di rimborso o il ricorso in caso di diniego da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Contestare il cumulo indebito di tassazioni richiamando la normativa e la giurisprudenza
– Difenderti davanti alla Corte di Giustizia Tributaria in caso di contenzioso
– Assisterti nella pianificazione fiscale per evitare future doppie imposizioni

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– Il rimborso delle ritenute IRPEF indebitamente pagate in Italia
– Il riconoscimento del credito d’imposta per le imposte estere già versate
– La riduzione del carico fiscale complessivo sui redditi esteri
– La tutela del patrimonio personale da indebite pretese fiscali
– La certezza di rispettare la normativa senza subire doppie imposizioni

⚠️ Attenzione: le richieste di rimborso vanno presentate entro termini precisi e con documentazione completa. Un errore procedurale può far perdere definitivamente il diritto al recupero delle somme.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa tributaria – ti spiega come funziona il rimborso delle ritenute italiane in caso di lavoro all’estero e come evitare la doppia imposizione.

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Introduzione

La doppia imposizione si verifica quando un medesimo reddito viene tassato da due Stati differenti a favore dello stesso soggetto passivo. Un esempio tipico è quello di un cittadino italiano che svolge un’attività lavorativa all’estero: il reddito prodotto potrebbe scontare imposte sia nel Paese estero (dove il lavoro è svolto) sia in Italia (se il contribuente è considerato fiscalmente residente in Italia). In altri casi, la doppia tassazione deriva dall’applicazione di ritenute alla fonte in Italia su redditi corrisposti a soggetti che pagano imposte anche all’estero, come accade per pensioni pagate dall’Italia a residenti esteridividendi italiani percepiti da non residentiinteressi e royalties corrisposti a soggetti esteri, ecc. In tutti questi scenari, senza correttivi, il contribuente subirebbe un carico fiscale duplicato.

Fortunatamente, il sistema tributario internazionale offre strumenti per eliminare o attenuare la doppia imposizione giuridica. L’Italia, in particolare, ha stipulato numerose Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (di norma basate sul Modello OCSE) e prevede misure interne come il credito per le imposte estere (art. 165 TUIR) e procedure di rimborso delle ritenute indebitamente applicate. Queste convenzioni e norme interne mirano a ripartire la potestà impositiva tra Stati ed evitare che il contribuente paghi due volte sullo stesso reddito .

In questa guida avanzata (aggiornata ad agosto 2025), rivolta a professionisti legali, privati e imprenditori, affronteremo in dettaglio:

  • La normativa italiana rilevante in materia di residenza fiscale e tassazione dei redditi esteri, con un linguaggio giuridico ma divulgativo.
  • Il funzionamento delle convenzioni internazionali (Modello OCSE), incluse le definizioni di “residenza” e i criteri di ripartizione della potestà impositiva.
  • Le procedure pratiche per richiedere in Italia il rimborso delle ritenute subite in casi di doppia imposizione, dal punto di vista del contribuente (debitore d’imposta).
  • L’analisi approfondita, categoria per categoria, dei redditi maggiormente interessati (lavoro dipendente, lavoro autonomo, pensioni, dividendi, interessi, royalties), con riferimento alla normativa, alle convenzioni bilaterali applicabili e alle più recenti sentenze della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia UE.
  • Esempi pratici, tabelle riepilogative, e una sezione di Domande e Risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni.

Prospettiva del debitore d’imposta: La trattazione privilegerà il punto di vista del contribuente che ha subìto una tassazione in Italia e/o all’estero e intende far valere i propri diritti per evitare la doppia imposizione. In particolare, ci concentreremo su come ottenere dall’Italia l’eventuale rimborso delle ritenute indebitamente operate in Italia, qualora – in base alla normativa interna o a una convenzione internazionale applicabile – tale tassazione italiana non fosse dovuta o fosse dovuta in misura inferiore.

Quadro normativo italiano: residenza fiscale e tassazione dei redditi esteri

Per comprendere come opera la doppia imposizione e i relativi rimedi, occorre partire dalle regole interne italiane sulla residenza fiscale e sulla tassazione dei redditi di fonte estera.

  • Residenza fiscale (art. 2 TUIR): In base all’art. 2 del DPR 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di seguito TUIR), sono considerati fiscalmente residenti in Italia i soggetti che, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni l’anno, 184 nei bisestili), sono alternativamente: iscritti nelle anagrafi comunali della popolazione residente; domiciliati in Italia ai sensi del codice civile; oppure abitualmente residenti (dimora abituale) in Italia. I cittadini italiani cancellati dall’anagrafe e trasferiti in Stati a fiscalità privilegiata (black list) si presumono residenti in Italia salvo prova contraria (art. 2 co.2-bis TUIR) . La residenza fiscale è fondamentale perché: i residenti sono tassati in Italia su tutti i redditi ovunque prodotti (principio del worldwide income), mentre i non residenti sono tassati in Italia solo sui redditi prodotti nel territorio italiano (principio della fonte, art. 3 TUIR).
  • Redditi prodotti in Italia (art. 23 TUIR): L’art. 23 TUIR elenca tassativamente i redditi considerati prodotti nel territorio dello Stato e quindi imponibili in Italia per i non residenti. Tra questi rientrano, a titolo di esempio: i redditi di lavoro dipendente prestato in Italia; i redditi di lavoro autonomo o d’impresa derivanti da attività esercitate in Italia; le pensioni erogate dallo Stato o da enti residenti; i dividendi distribuiti da società italiane; gli interessi e le royalties pagati da soggetti residenti o con stabile organizzazione in Italia, ecc. In pratica, se un soggetto non residente percepisce un reddito che la norma qualifica come “prodotto in Italia”, tale reddito è imponibile in Italia (di regola mediante una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta). Diversamente, un reddito che non rientra nei criteri di territorialità dell’art. 23 non può essere tassato in Italia a un non residente. Ad esempio, gli interessi su depositi bancari italiani percepiti da non residenti sono esenti per mancanza del presupposto territoriale (art. 23 co.1 lett. b TUIR) . In sintesi, il TUIR circoscrive l’imposizione dei non residenti ai soli redditi di fonte italiana, evitando in astratto doppie tassazioni economiche (stessa ricchezza tassata in capo a soggetti diversi) ma non eliminando le doppie tassazioni giuridiche (stesso soggetto tassato due volte su uno stesso reddito in due Stati diversi).
  • Ritenute alla fonte su pagamenti a non residenti: Il DPR 600/1973 – normativa procedurale tributaria – prevede specifiche ritenute sulle somme corrisposte a soggetti non residenti. Ad esempio, l’art. 25, comma 4, DPR 600/1973 dispone (salvo convenzioni) una ritenuta a titolo d’imposta del 30% sui compensi corrisposti a non residenti per l’uso di opere dell’ingegno, brevetti, marchi e know-how (royalties), ritenuta applicata sul 100% dell’importo salvo alcuni casi particolari in cui si applica sul 75% . L’art. 26 DPR 600/1973 prevede che banche e Poste Italiane applichino una ritenuta del 26% sugli interessi corrisposti a titolari di depositi e conti correnti (con obbligo di rivalsa) , nonché – in generale – sugli interessi e altri proventi da mutui, obbligazioni e titoli similari pagati a soggetti non residenti (salvo esenzioni per interessi su titoli di Stato white list, finanziamenti a medio-lungo termine, ecc.). L’art. 27 DPR 600/1973 disciplina le ritenute sui dividendi: se il percettore è non residente, la società italiana applica una ritenuta del 26% sull’ammontare distribuito (aliquota unificata dal 2017) . Queste ritenute “in uscita” sono imposte italiane definitive (withholding taxes) che colpiscono il reddito lordo e spesso esauriscono l’obbligazione tributaria in Italia per il non residente (non vi è ulteriore tassazione in capo al percettore estero). Tuttavia, se parallelamente il Paese di residenza del percettore tassa (o potrebbe tassare) lo stesso reddito, si genera una doppia imposizione.
  • Prevalenza del diritto convenzionale: Le norme interne sopra richiamate (sulla tassazione dei non residenti e relative ritenute) devono coordinarsi con gli accordi internazionali vigenti. L’Italia ha sancito espressamente il principio di prevalenza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni sul diritto interno: l’art. 169 del TUIR e l’art. 75 del DPR 600/1973 stabiliscono che le disposizioni delle convenzioni internazionali prevalgono sulle norme interne incompatibili . Ciò significa che, se una convenzione stipulata dall’Italia con un altro Stato limita o vieta la tassazione in Italia di un certo reddito, tale previsione convenzionale ha forza di legge e deve essere applicata anche in deroga alla norma domestica. Ad esempio, se una Convenzione stabilisce che una pensione è imponibile soltanto nello Stato estero di residenza del beneficiario, l’Italia rinuncia ex lege alla propria pretesa impositiva su quel reddito, anche se in base al TUIR o ad altre norme interne quella pensione sarebbe imponibile in Italia. È quindi cruciale considerare sempre eventuali accordi internazionali applicabili, in quanto integrano il quadro normativo nazionale con regole speciali volte ad evitare la doppia imposizione.

Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (Modello OCSE)

Le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sono trattati bilaterali con cui due Stati concordano criteri di ripartizione della potestà impositiva sui redditi (e talvolta sul patrimonio) dei rispettivi residenti. L’Italia è parte di oltre 90 Convenzioni basate in larga misura sul Modello di Convenzione OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Tali accordi costituiscono diritto vigente (dopo ratifica parlamentare) e, come detto, prevalgono sulle norme interne difformi . Esaminiamo i principi generali comuni alle Convenzioni e il loro utilizzo pratico:

1) Definizione di “residente” ai fini convenzionali: Il Modello OCSE (art. 4) definisce residente di uno Stato contraente ogni persona tassata in detto Stato in base alle leggi interne per domicilio, residenza, sede di direzione ecc., includendo anche chi è esente da imposta ma potenzialmente soggetto ad essa . Ciò significa che per godere dei benefici convenzionali è sufficiente il potenziale assoggettamento ad imposizione illimitata nello Stato di residenza, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta . Ad esempio, un pensionato italiano residente in un Paese che esenta le pensioni (o un ente pensionistico estero esente da tasse) è comunque “liable to tax” (soggetto passivo potenziale) in quel Paese, quindi considerato residente ai fini della Convenzione . La Cassazione ha chiarito che il solo potere impositivo astratto dell’altro Stato basta a configurare la residenza convenzionale, irrilevante essendo se quell’altro Stato eserciti o meno tale potere prelevando effettivamente imposte . In caso di doppia residenza (ad esempio, criteri interni che rendono il contribuente residente in entrambi gli Stati), la Convenzione prevede appositi criteri di tie-break (dimora abituale, centro degli interessi vitali, cittadinanza, procedure amichevoli) per attribuire una residenza unica ai fini del trattato.

2) Ripartizione della potestà impositiva – categorie di reddito: Le Convenzioni seguono uno schema per cui ciascuna categoria di reddito (redditi di lavoro dipendente, di impresa, di capitale, pensioni, ecc.) è disciplinata da un articolo specifico. In generale:
– Alcuni redditi sono tassabili esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario (lo Stato della residenza ha potestà impositiva esclusiva, lo Stato della fonte deve astenersi dal tassare). Ciò è spesso previsto, ad esempio, per le pensioni private (art. 18 Modello OCSE) , per i compensi da lavoro autonomo (nelle convenzioni che seguono l’Art. 14 del Modello previgente, salvo base fissa), e per determinati redditi considerati “esenti” nello Stato della fonte se ricorrono condizioni (es. compensi di breve durata, borse di studio, ecc.). Un caso particolare: alcune convenzioni possono prevedere la tassazione esclusiva nel Paese di residenza anche per i redditi di lavoro dipendente (si vedano alcuni trattati con Paesi a fiscalità privilegiata). Ad esempio, la Convenzione Italia-Emirati Arabi Uniti dispone che gli stipendi percepiti da un residente emiratino per attività svolta negli EAU siano imponibili soltanto in tale Stato .

  • Altri redditi sono imponibili in entrambi gli Stati (sia fonte che residenza), ma con limitazione della tassazione nello Stato della fonte e obbligo per lo Stato di residenza di evitare la doppia imposizione. Questo schema “imposizione concorrente limitata” si applica tipicamente ai redditi di capitaledividendi, interessi, canoni (royalties). Il trattato autorizza lo Stato della fonte ad applicare una ritenuta fino a un’aliquota massima convenuta (spesso 15% sui dividendi pagati a persone fisiche, 5% tra società consociate; 10% sugli interessi; 5%-10% sulle royalties) . L’eventuale eccedenza rispetto all’aliquota convenzionale deve essere rimborsata dallo Stato della fonte. Lo Stato di residenza del percettore conserva il diritto di tassare il reddito (secondo le proprie aliquote), ma deve eliminare la doppia imposizione, in genere mediante la detrazione dell’imposta pagata all’estero (foreign tax credit). Un esempio: se un dividendo di €100 pagato da Italia a un residente francese sconta €15 di ritenuta italiana (aliquota convenzionale) , la Francia potrà tassare quel dividendo secondo le sue regole, ma dovrà concedere al percettore francese un credito d’imposta di €15 per l’imposta già pagata in Italia.
  • Alcuni redditi sono tassabili soltanto nello Stato della fonte e non in quello di residenza. Ciò avviene di solito per i redditi immobiliari (art. 6 Modello OCSE: tassabili dove si trova l’immobile), per i profitti di impresa se l’impresa estera ha una stabile organizzazione nello Stato della fonte (art. 7), per i redditi di lavoro dipendente se l’attività è svolta nell’altro Stato (art. 15) ma senza soddisfare le condizioni di esenzione ivi previste, e per le pensioni pubbliche (art. 19: di regola tassate solo dallo Stato che eroga la pensione, salvo eccezioni). In questi casi l’eliminazione della doppia imposizione è assicurata dall’esenzione concessa dallo Stato di residenza (che non ritassa il reddito estero) oppure, in alcuni trattati, tramite un credito d’imposta figurativo.

3) Metodi per eliminare la doppia imposizione: L’articolo tipicamente intitolato “Eliminazione della doppia imposizione” (art. 23 o 24 del Modello, a seconda delle convenzioni) disciplina come lo Stato di residenza deve evitare la doppia tassazione dei propri residenti. I metodi standard sono: (a) la detrazione (credito) per le imposte pagate all’estero, o (b) l’esenzione del reddito estero (con o senza progressione). L’Italia adotta prevalentemente il metodo del credito d’imposta, salvo alcuni casi particolari di esenzione. Ad esempio, la Convenzione Italia-Francia prevede il credito d’imposta ordinario per la maggior parte dei redditi esteri di un residente italiano (art. 24), mentre alcune convenzioni con Paesi che non applicano imposte (es. Emirati Arabi) possono contenere clausole specifiche di esenzione. Da notare che in presenza di Convenzione, l’eliminazione della doppia imposizione è un obbligo internazionale: se il trattato prevede il credito, l’Italia lo concederà ai propri residenti per le imposte estere; se prevede l’esenzione, l’Italia dovrà esentare quel reddito dalla base imponibile domestica.

4) Interpretazione conforme e ruolo del Modello OCSE: Le convenzioni vanno interpretate tenendo conto dei Commentari OCSE e dei principi del diritto internazionale (es. pacta sunt servanda, art. 31 Conv. Vienna) . La Cassazione ha più volte affermato che il Modello OCSE funge da “chiave ermeneutica” delle Convenzioni bilaterali, essendo spesso alla base delle stesse . Inoltre, l’interpretazione delle disposizioni convenzionali deve avvenire in modo armonizzato col diritto dell’Unione Europea, specie per evitare discriminazioni o restrizioni alle libertà fondamentali . Un esempio di influenza UE è la sentenza Corte di Giustizia UE, 19/11/2009, causa C-540/07 (Commissione c. Italia), la quale ha stabilito che l’Italia non può giustificare un trattamento fiscale discriminatorio invocando la compensazione tramite convenzione: nel caso dei dividendi verso società estere, l’UE ha affermato che l’aliquota ridotta prevista dal trattato (es. Italia-Svizzera 27%->15%) deve applicarsi per il solo fatto che il dividendo è soggetto alla potestà impositiva principale dell’altro Stato, a prescindere dall’effettivo pagamento di imposte in detto Stato . In altre parole, lo Stato della fonte non può negare i benefici convenzionali chiedendo al contribuente di provare che il reddito è stato tassato anche dall’altro Stato – è sufficiente che l’altro Stato abbia il diritto di tassarlo.

In sintesi: Le Convenzioni contro le doppie imposizioni sono lo strumento principale per evitare doppie tassazioni: esse prevalgono sul diritto interno, definiscono chi può tassare cosa (Stato della fonte vs Stato di residenza) e prevedono obblighi di esenzione o credito d’imposta. Dal punto di vista del contribuente, far valere una Convenzione significa generalmente ottenere uno sgravio fiscale in uno dei due Stati: o sotto forma di minore ritenuta alla fonte nello Stato della fonte, o come detrazione dell’imposta estera nello Stato di residenza. Nei paragrafi successivi vedremo come tutto questo si traduce in pratica, in particolare per ottenere dall’Italia il rimborso delle ritenute qualora l’imposizione italiana risulti non dovuta o eccedente secondo la Convenzione.

Strumenti per evitare la doppia imposizione: credito d’imposta e rimborso

Dal punto di vista di un contribuente italiano (o comunque soggetto passivo in Italia), esistono due principali strumenti per evitare o attenuare la doppia imposizione su redditi esteri: il credito d’imposta per imposte estere e il rimborso delle imposte nello Stato della fonte in base a convenzione. Vediamoli separatamente:

Credito per le imposte pagate all’estero (art. 165 TUIR)

Il credito d’imposta è il metodo con cui l’Italia generalmente elimina la doppia imposizione internazionale quando il contribuente è fiscalmente residente in Italia e possiede redditi esteri tassati anche all’estero. La disciplina è contenuta nell’art. 165 del TUIR, che recepisce i principi convenzionali di detrazione delle imposte straniere. In sintesi:

  • Principio generale: se un reddito prodotto all’estero e incluso nel reddito complessivo in Italia ha scontato imposte a titolo definitivo nello Stato estero, il contribuente ha diritto a detrarre tali imposte estere dall’IRPEF (o IRES) dovuta in Italia su quel reddito . Questo evita che sul medesimo reddito si paghino imposte piene in entrambi i Paesi.
  • Limite del credito: il credito spettante è limitato alla quota di imposta italiana relativa al reddito estero. In pratica, non si può detrarre più di quanto l’Italia applicherebbe su quello stesso reddito. Il calcolo si fa pro-rata: (Reddito estero / Reddito complessivo) * Imposta italiana lorda = massimo credito utilizzabile. Se l’imposta estera pagata eccede tale importo, l’eccedenza non è utilizzabile (salvo rimedi convenzionali particolari, come il carry-forward del credito nei successivi periodi se previsto, ma l’art. 165 non lo contempla).
  • Imposta estera pagata a titolo definitivo: condizione essenziale è che l’imposta nello Stato estero sia divenuta definitiva, ossia effettivamente pagata e non più recuperabile. Il credito si calcola nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il reddito estero è tassato in Italia, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga entro la presentazione della dichiarazione stessa . Se, ad esempio, un reddito estero del 2024 è stato dichiarato in Italia nel 2025, il credito per l’imposta estera su quel reddito è ammesso solo se l’imposta estera è stata pagata entro il termine di presentazione del Modello Redditi 2025 (indicativamente entro novembre 2025). Se il pagamento all’estero avviene dopo, il meccanismo prevede un recupero a posteriori: l’art. 165 co.7 TUIR consente, quando l’imposta estera viene pagata in un momento successivo, di riliquidare la dichiarazione italiana per riconoscere il credito, operando la detrazione sull’IRPEF dovuta per l’anno in cui il credito è richiesto (in pratica un credito retroattivo) . Ad esempio, se un professionista italiano dichiara nel 2024 un reddito estero X ma l’imposta estera relativa sarà versata solo nel 2025, inizialmente non potrà scomputarla; una volta pagata, potrà chiedere la riapertura del calcolo IRPEF 2024 detraendo quell’importo (ottenendo così un rimborso o una compensazione).
  • Ambito soggettivo e oggettivo: Il credito d’imposta spetta solo per le imposte sui redditi pagate all’estero in via definitiva. Sono escluse, ad esempio, le imposte patrimoniali estere, le tasse locali non assimilabili a imposte sul reddito, o pagamenti non definitivi (acconti). Inoltre, il credito opera unicamente nell’ambito dell’imposizione ordinaria IRPEF/IRES. Non spetta alcun credito d’imposta qualora il reddito estero in Italia sia soggetto a tassazione sostitutiva o ad imposta cedolare. La norma parla infatti di detrazione dall’IRPEF/IRES. Ciò significa che regimi come la cedolare secca sugli affitti, la flat tax del 7% per pensionati esteri in Sud Italia, il regime forfetario per autonomi al 15% (o 5%), ecc., essendo imposte sostitutive dell’IRPEF, non consentono lo scomputo di imposte estere . Ad esempio, un contribuente italiano in regime forfettario che fattura servizi in Francia e vi paga delle imposte non potrà detrarle dall’imposta forfettaria dovuta in Italia (il forfettario è un’imposta sostitutiva fuori dall’ambito IRPEF e fuori dall’ambito convenzionale, in quanto le Convenzioni generalmente non menzionano le imposte sostitutive – cfr. art. 2 Modello OCSE, “Imposte considerate”). In tali casi, per evitare la doppia imposizione, il contribuente dovrebbe valutare di optare per la tassazione ordinaria o negoziare l’esenzione alla fonte.
  • Meccanismo di applicazione pratica: Il credito per imposte estere si calcola nel quadro CE (Credito per Imposte Estere) della dichiarazione dei redditi italiana. Vanno indicati, per ogni Stato estero e per ogni categoria di reddito, l’ammontare del reddito lordo, l’imposta estera definitiva pagata e il credito spettante nei limiti di legge. È fondamentale conservare ed esibire, in caso di controlli, la documentazione che provi il pagamento dell’imposta all’estero (ricevute, modelli F24 esteri, certificazioni delle Autorità fiscali estere).

Esempio pratico (Credito d’imposta): Un avvocato residente in Italia presta consulenza in Francia nel 2024, ottenendo un reddito di 10.000 € tassato in Francia con 3.000 € di impôt sur le revenu. In Italia, tale reddito – se imponibile IRPEF – genererebbe ad esempio un’IRPEF di 3.430 € (ipotizzando aliquota marginale 43%). Grazie all’art. 165 TUIR, l’avvocato potrà detrarre i 3.000 € pagati in Francia dall’IRPEF italiana: pagherà in Italia solo 430 € di differenza, evitando di subire l’intero doppio carico . Se però l’avvocato operasse in regime forfettario (imposta sostitutiva 15%), non avrebbe potuto scomputare nulla e avrebbe pagato 1.500 € in Italia oltre ai 3.000 € francesi, di fatto subendo una doppia tassazione – caso che evidenzia l’importanza di coordinare la scelta del regime fiscale con l’eventuale imposizione estera.

Nota: Il credito d’imposta agisce unilateralmente nello Stato di residenza (Italia). Esso non comporta la restituzione di imposte ma solo la detrazione di quelle estere dall’imposta italiana. Viceversa, se il contribuente ha pagato più imposte in Italia del dovuto secondo una Convenzione, occorrerà agire attraverso il rimborso nello Stato della fonte (Italia), come vedremo a breve.

Rimborso delle imposte nello Stato della fonte (Italia) in base a convenzione

Quando l’Italia, in qualità di Stato della fonte del reddito, ha applicato un’imposta (tipicamente tramite ritenuta alla fonte) in misura eccedente quanto stabilito da una Convenzione, oppure in violazione della stessa (cioè tassando un reddito che spettava solo all’altro Stato), il contribuente ha diritto a chiedere il rimborso totale o parziale di tale imposta italiana. In altre parole, se il Fisco italiano ha incassato somme non dovute (o dovute in misura inferiore) in base a un accordo internazionale, il contribuente (debitore d’imposta) può presentare un’istanza di rimborso.

Base giuridica: L’obbligo di rimborso discende direttamente dalla Convenzione e dai principi generali. Spesso le convenzioni includono un articolo procedurale (es. art. 27 o 28) che prescrive che le richieste di rimborso allo Stato della fonte siano corredate da un’attestazione ufficiale dello Stato di residenza che certifichi il diritto ai benefici convenzionali . Nel nostro ordinamento, l’art. 38 DPR 602/1973 prevede in via generale il diritto al rimborso delle imposte indebitamente pagate entro 48 mesi. In ambito internazionale, l’Agenzia delle Entrate – Centro Operativo di Pescara – è competente per le istanze di rimborso da convenzione, e modelli specifici sono stati approvati per semplificare tali richieste (Provvedimento Agenzia Entrate n. 2013/84404).

Procedura pratica:

  • Soggetti che possono chiedere il rimborso: Tipicamente, i soggetti non residenti che hanno subìto una ritenuta in Italia superiore a quella convenzionale, o un prelievo non dovuto. Ad esempio, un lavoratore straniero che ha lavorato in Italia meno di 183 giorni ma ha avuto ritenute IRPEF sul suo stipendio, oppure un pensionato residente all’estero al quale il sostituto d’imposta italiano ha trattenuto IRPEF nonostante la pensione fosse esente in Italia per convenzione, o un investitore estero che ha ricevuto dividendi con ritenuta 26% anziché 15%. Anche soggetti residenti in Italia, in talune ipotesi, possono presentare istanze di rimborso all’Italia – ma ciò avviene soprattutto nell’ambito del rimborso parziale dei dividendi (ex art. 27 co.3 DPR 600/73) per i quali abbiano già scontato all’estero un certo livello di imposizione (caso particolare di rimborso “unilaterale” che tratteremo più avanti). La grande maggioranza dei rimborsi convenzionali concerne comunque non residenti che richiedono indietro imposte italiane.
  • Termini per l’istanza: La domanda di rimborso va presentata entro 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata effettuata . Questo termine di decadenza quadriennale è stabilito sia dalle convenzioni (spesso richiamato nell’articolo finale del trattato) sia dalla normativa interna (art. 38 DPR 602/73). Oltre tale termine, il diritto al rimborso si prescrive. È consigliabile non attendere l’ultimo momento e inoltrare la richiesta il prima possibile dopo il prelievo indebito.
  • Modulistica e presentazione: L’Agenzia delle Entrate ha predisposto modulistica ad hoc (denominata Modello A, B, C, D) per le istanze di rimborso o esonero da ritenuta su dividendi, interessi e royalties, approvata con Provv. 10/7/2013 . Ad esempio, il Modello A è utilizzato per i dividendi di fonte italiana destinati a non residenti . Questi moduli richiedono di indicare i dati del percettore non residente, l’ammontare e natura del reddito, l’imposta italiana prelevata e quella convenzionalmente dovuta, nonché di allegare la documentazione giustificativa. In assenza di un modello specifico (ad es. per redditi di lavoro dipendente o pensioni), l’istanza può essere formulata in carta libera, contenendo tutte le informazioni rilevanti e i riferimenti alla convenzione applicabile . In entrambi i casi, la richiesta va indirizzata e inviata al Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate, ufficio deputato a gestire i rimborsi a non residenti . L’invio può avvenire per posta raccomandata A/R oppure per via telematica se previsto (alcune Ambasciate/Consolati offrono assistenza in tal senso).
  • Documenti da allegare: Fondamentale è produrre l’attestazione di residenza fiscale estera del beneficiario per l’anno d’imposta in questione, rilasciata dall’Autorità fiscale competente dell’altro Stato . Tale certificato ufficiale comprova che il richiedente è residente in quello Stato e quindi ha diritto ai benefici del trattato (senza di esso, l’Agenzia in genere non procede). Inoltre, va fornita la prova del prelievo subìto in Italia (ad esempio, la certificazione del sostituto d’imposta italiano o la documentazione del pagamento). Se si richiede il rimborso ordinario previsto da norme interne (es. il rimborso forfetario 11/26 sui dividendi non trattati in convenzione), occorre anche la certificazione dell’Autorità estera che attesti l’avvenuto pagamento delle imposte all’estero sugli stessi redditi . Importante: In base all’orientamento giurisprudenziale attuale, per ottenere il rimborso convenzionale non è necessario provare di aver pagato l’imposta all’estero, essendo sufficiente la dimostrazione della residenza e dunque della potenziale imponibilità in quello Stato . Tuttavia, l’Agenzia potrebbe inizialmente richiedere documenti sul trattamento fiscale estero: ad esempio, per i dividendi spesso veniva chiesto di provare che essi fossero stati dichiarati e tassati nel Paese di residenza. Tale prassi oggi non può precludere il rimborso se la Convenzione non lo richiede espressamente, alla luce delle pronunce Cassazione e CGUE citate.
  • Esonero a priori o rimborso a posteriori: Il contribuente non residente ha due vie per beneficiare della minore tassazione convenzionale: (a) a priori, chiedendo al sostituto italiano di applicare direttamente l’aliquota ridotta convenzionale (presentando prima del pagamento un’attestazione di residenza estera e dichiarazione di spettanza dei benefici); oppure (b) a posteriori, subendo la ritenuta piena e poi chiedendo il rimborso dell’eccedenza al COP di Pescara . La via a priori è possibile solo se il sostituto d’imposta italiano è collaborativo e se la posizione è chiara prima del pagamento. Ad esempio, per i dividendi, il non residente può inviare il Modello A compilato direttamente alla società italiana (o intermediario) prima della distribuzione: la società tratterrà così solo il 15% (invece del 26%) sul dividendo se il trattato lo prevede . In mancanza, applicherà il 26% e il percettore farà richiesta di rimborso per il 11% in più. Per i pensionati esteri, spesso si può agire preventivamente con l’ente erogatore (es. INPS): il pensionato residente all’estero può chiedere all’INPS l’applicazione diretta della Convenzione, allegando il certificato di residenza estera, in modo che l’INPS applichi eventualmente la ritenuta convenzionale ridotta o non applichi affatto ritenuta (se la pensione è esente in Italia) . Se l’ente italiano ha già operato le ritenute IRPEF per mancanza di documentazione tempestiva, il pensionato potrà comunque chiedere a Pescara il rimborso di quanto trattenuto in eccedenza. Lo stesso vale per un lavoratore estero che ha cessato il lavoro in Italia: può chiedere al datore di non applicare ritenute presentando prova di residenza estera e applicabilità dell’esenzione 183 giorni, altrimenti recupererà in seguito.
  • Erogazione del rimborso: Una volta ricevuta l’istanza completa, l’Agenzia delle Entrate verifica la documentazione e, se tutto regolare, emette il provvedimento di rimborso pagando le somme dovute al contribuente (generalmente tramite bonifico internazionale). I tempi non sono immediati: possono volerci diversi mesi, talora qualche anno, in base alla complessità e al carico di lavoro. Se l’Agenzia rigetta (rifiuta) l’istanza, emette un provvedimento motivato contro cui il contribuente può presentare ricorso avanti la Corte di Giustizia Tributaria competente (ex Commissione Tributaria). In caso di silenzio dell’Amministrazione oltre i termini, si può ricorrere per silenzio-rifiuto.

Riassumendo la procedura in Italia: Il contribuente non residente presenta entro 4 anni un’istanza (su modello o libera) a Pescara, allega certificato di residenza estero e altre prove, chiede il rimborso delle ritenute italiane non dovute in virtù della Convenzione, e attende l’esito. È un diritto sancito dai trattati internazionali: se le condizioni convenzionali sono soddisfatte, il rimborso deve essere riconosciuto. Le sezioni seguenti analizzeranno, categoria per categoria, quando si può ottenere rimborso e quali sono le condizioni secondo normativa e giurisprudenza.

Analisi per tipologia di reddito: casistica e rimedi pratici

Passiamo ora in rassegna le principali tipologie di reddito cui si applicano le convenzioni contro le doppie imposizioni, evidenziando per ognuna il regime fiscale italiano, la regola convenzionale standard e le modalità per evitare la doppia tassazione (con particolare riguardo al rimborso delle ritenute italiane quando dovuto). Le categorie esaminate sono: redditi di lavoro dipendenteredditi di lavoro autonomo (professionali)pensionidividendiinteressi e royalties. Per ciascuna, forniremo anche cenni alla giurisprudenza recente che ha affrontato casi emblematici.

Redditi di lavoro dipendente (lavoro subordinato)

Regime interno italiano: I redditi da lavoro dipendente sono tassati in Italia con le aliquote progressive IRPEF se percepiti da un soggetto fiscalmente residente (ovunque svolga l’attività, salvo alcune esenzioni o detrazioni per lavoro estero), oppure – se percepiti da un non residente – solo se derivanti da attività lavorativa svolta nel territorio italiano (art. 23 co.1 lett. c TUIR). In pratica, un lavoratore straniero che presta attività in Italia per un datore italiano verrà tassato con ritenute mensili IRPEF (operated by the employer as sostituto d’imposta) sugli stipendi relativi al lavoro svolto in Italia. Viceversa, un residente italiano che presta lavoro all’estero può essere tassato anche nello Stato estero di lavoro secondo le leggi locali, creando un potenziale conflitto di potestà impositiva.

Regola convenzionale (Art. 15 Modello OCSE): La maggior parte delle convenzioni segue la regola dei “183 giorni”. Il reddito di lavoro dipendente è di norma imponibile nel Paese in cui l’attività è svoltaEccezione: lo stipendio è tassabile solo nello Stato di residenza del lavoratore (esentando lo Stato della prestazione) se tutte le seguenti condizioni sono soddisfatte: (a) il lavoratore non permane oltre 183 giorni nell’altro Stato nell’arco di 12 mesi; (b) la retribuzione è pagata da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nell’altro Stato; (c) l’onere della retribuzione non è sostenuto da una stabile organizzazione o base fissa che il datore ha nell’altro Stato. Questa regola mira a esentare dalla tassazione locale i lavoratori “distaccati” di breve durata. Ad esempio, un dipendente italiano inviato 4 mesi in Germania e pagato da azienda italiana rimane tassato solo in Italia (Germania esente). Al contrario, se anche una sola condizione manca (es: superati 183 giorni, o c’è un datore locale), lo Stato della prestazione può tassare.

Alcune Convenzioni possono prevedere clausole diverse. Ad esempio, come accennato, il trattato Italia-Emirati Arabi del 1995 non contiene la regola dei 183 giorni standard: dispone semplicemente che gli stipendi percepiti da un residente di uno Stato contraente per attività dipendente svolta in quello Stato sono tassabili soltanto in tale Stato . Ciò implica che un italiano trasferito a Dubai, una volta provata la residenza negli EAU, ha diritto all’esclusiva potestà impositiva emiratina (che peraltro non prevede imposta sul reddito personale).

Evitare la doppia imposizione – casi pratici:

  • Lavoratore italiano residente in Italia e temporaneamente all’estero: Se il lavoratore mantiene residenza fiscale in Italia, l’Italia tassa comunque il suo reddito mondiale, includendo lo stipendio estero. Il Paese estero di lavoro potrà tassare in base all’art. 15 se non ricorrono le condizioni di esenzione (ad esempio, per periodi lunghi o datore locale). Si genera doppia imposizione, risolta con credito d’imposta in Italia per le imposte pagate all’estero. Esempio: un ingegnere italiano lavora 8 mesi in Canada per la sede locale della sua azienda: il Canada trattiene imposte sul salario; in Italia l’ingegnere dichiara l’intero salario (essendo residente) ma detrae dal proprio IRPEF quanto pagato in Canada, nei limiti dell’art. 165 TUIR. Inoltre, va ricordato che l’Italia in simili casi prevede l’agevolazione delle retribuzioni convenzionali (art. 51 co.8-bis TUIR) per lavoro all’estero: se un dipendente residente è inviato all’estero per >183 giorni da datore italiano, ai fini IRPEF viene tassato non sul salario effettivo ma su importi forfettari ridotti stabiliti annualmente per settore e Paese (DM retribuzioni convenzionali). Ciò non elimina la doppia imposizione ma ne attenua l’impatto riducendo la base imponibile italiana, riconoscendo implicitamente che parte del reddito è tassato all’estero.
  • Lavoratore che diventa residente all’estero (espatriazione): Se il lavoratore trasferisce all’estero la propria residenza fiscale (iscrizione AIRE, cessazione residenza in Italia) e lavora fuori d’Italia, il suo reddito di lavoro dipendente non dovrebbe più essere tassato in Italia, in base sia al TUIR (non è prodotto in Italia) sia in genere alla Convenzione (che lo attribuisce allo Stato estero di lavoro). Può sorgere però il caso di tassazione indebita in Italia, ad esempio se il datore di lavoro italiano ha continuato ad applicare ritenute IRPEF sul cedolino nonostante il dipendente fosse diventato non residente. Ciò è comune quando il cambiamento di residenza avviene a metà anno o non è riconosciuto prontamente. In tale situazione, il lavoratore non residente potrà chiedere il rimborso delle ritenute IRPEF indebitamente subite in Italia, invocando la Convenzione che attribuisce la tassazione esclusivamente allo Stato estero (di nuova residenza). Una recente pronuncia della Cassazione (Ord. n. 35284/2024) ha riguardato proprio un italiano trasferito a Dubai nel 2011 a cui il datore in Italia aveva trattenuto IRPEF sullo stipendio: la Convenzione Italia-EAU prevedeva tassazione esclusiva negli Emirati, e la Cassazione ha confermato che il contribuente ha diritto al rimborso delle ritenute versate in Italia per il periodo di residenza estera . Importante: in questi casi l’onere per il contribuente è provare la residenza fiscale estera per il periodo interessato. Nel caso di Dubai, l’Agenzia negava il rimborso perché il lavoratore non aveva prodotto il certificato ufficiale emiratino di residenza fiscale (richiesto dall’art. 28 della Convenzione) . La Cassazione tuttavia ha ritenuto che il contribuente avesse comunque fornito prova sufficiente (iscrizione AIRE, trasferimento famiglia, documenti vari) per superare la presunzione di residenza in Italia (Emirati allora “black list”) , e che l’assenza di un certificato formale non potesse precludere i benefici convenzionali se la residenza estera era in fatto dimostrata . Ciò coerentemente con l’orientamento che privilegia la sostanza: quando la convenzione attribuisce in modo incondizionato l’esclusiva potestà all’altro Stato, l’Italia deve astenersi, anche se l’altro Stato non esercita imposizione (Emirati senza imposta IRPEF) . Dunque, il lavoratore espatriato e tassato per errore in Italia ha ottime chance di recuperare le imposte: dovrà presentare istanza di rimborso, allegando idonea documentazione (certificato di residenza estera se disponibile, iscrizione AIRE, contratto estero, buste paga, ecc.) e richiamando l’articolo convenzionale pertinente (es. art. 15).
  • Lavoratore estero in Italia per breve periodo: Se un lavoratore residente all’estero viene a lavorare in Italia sotto le condizioni di esenzione (meno di 183 giorni, retribuzione pagata da datore estero, costo non riaddebitato a stabile organizzazione italiana), la Convenzione impedisce all’Italia di tassare quel reddito. Ciò significa che, qualora un datore italiano o estero avesse erroneamente effettuato ritenute in Italia sul compenso, il lavoratore potrà chiederne il rimborso integrale. Ad esempio, due attori di teatro stranieri scritturati da una fondazione italiana per una tournée di pochi giorni all’estero: l’Agenzia, con Risoluzione n. 54/E del 16.09.2020, ha chiarito che non andava operata la ritenuta del 30% in Italia sui compensi, poiché la prestazione era sostanzialmente eseguita interamente all’estero (le prove in Italia erano marginali e non retribuite separatamente) . Previa presentazione della domanda con certificato di residenza estera e documentazione, la Fondazione fu autorizzata a non applicare la ritenuta IRPEF in Italia . Se invece la ritenuta fosse già stata fatta, gli artisti avrebbero diritto a rimborso, dal momento che l’art. 17 del Modello OCSE (artisti e sportivi) e la clausola dei 183 giorni in quel contesto non giustificavano imposizione italiana. In sede contenziosa, varie Commissioni Tributarie (oggi CGT) hanno confermato l’annullamento di pretese fiscali italiane su redditi di lavoro dipendente già tassati all’estero quando le convenzioni ne attribuivano l’imponibilità esclusiva allo Stato estero .

Giurisprudenza di rilievo: Oltre al citato caso Dubai (Cass. 35284/2024), si segnalano Cass. 13159/2019 e Cass. 5927/2021, invocate dall’Agenzia nel caso Dubai a sostegno della necessità formale del certificato estero . Tuttavia, la giurisprudenza più recente tende ad adottare un approccio sostanziale, come visto. Un principio affermato: “l’Italia, con la disposizione convenzionale che prevede ‘imponibili soltanto in detto Stato’, ha rinunciato ab origine alla pretesa impositiva su quei redditi” . Dunque in presenza di clausole di esclusiva, l’Italia non può tassare (o deve restituire se ha tassato). Anche la Corte di Giustizia UE si è occupata indirettamente di redditi di lavoro nel contesto della libera circolazione dei lavoratori e dei frontalieri, sottolineando la necessità che i trattati bilaterali siano applicati in buona fede per non creare doppie imposizioni occulte o discriminazioni.

Riepilogo pratico – lavoro dipendente: Se un contribuente ritiene di aver pagato doppie imposte sul proprio stipendio estero, o di aver subito in Italia ritenute non dovute su stipendi che dovevano essere tassati solo all’estero, deve: verificare la Convenzione applicabile (art. 15) e la propria residenza fiscale; ottenere certificazioni di residenza e di imponibilità estera; quindi presentare istanza di rimborso in Italia o chiedere credito d’imposta in Italia a seconda dei casi. Il tutto dal punto di vista italiano, fermo restando che anche lo Stato estero dovrebbe applicare correttamente il trattato (in caso di conflitti persistenti, esiste la procedura MAP – mutual agreement procedure – di accordo amichevole tra Stati, prevista dai trattati, ma è misura straordinaria).

Redditi di lavoro autonomo e d’impresa individuale (professionisti)

Questa categoria include compensi percepiti da professionisti, consulenti e lavoratori autonomi in genere, nonché da imprenditori individuali, per attività svolte in regime non dipendente.

Regime interno italiano: I compensi da lavoro autonomo sono imponibili in Italia se il prestatore è residente (ovunque svolga l’attività) oppure, se il prestatore è non residente, limitatamente alle attività esercitate in Italia (art. 23 co.1 lett. d) TUIR). Il committente italiano che paga compensi a un non residente per prestazioni di lavoro autonomo deve operare una ritenuta del 30% a titolo d’imposta sul compenso lordo (art. 25 DPR 600/1973, comma 2) salvo diversa previsione convenzionale. Tale ritenuta estingue l’obbligazione fiscale del non residente in Italia. Se però il compenso era per attività non svolte in Italia o comunque non tassabili per convenzione, quella ritenuta diviene indebita → rimborsabile. Per i redditi d’impresa commerciale prodotti da non residenti, la tassazione in Italia avviene solo se c’è una stabile organizzazione nel territorio (principio ribadito dall’art. 152 TUIR e art. 23 co.1 lett. e) TUIR): in mancanza, i redditi d’impresa di un non residente non sono imponibili in Italia ma soltanto nel suo Stato.

Regola convenzionale: Il Modello OCSE 2017 ha eliminato l’articolo specifico sul lavoro autonomo (precedente art. 14), includendo questi redditi nell’ambito dell’art. 7 (profitti di impresa) se derivanti da attività indipendenti. Tuttavia, molte convenzioni italiane più datate contengono ancora l’art. 14 – Professionisti indipendenti: esso prevede che i redditi derivanti da servizi professionali o altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto nello Stato di residenza del prestatore, a meno che egli disponga abitualmente di una base fissa nell’altro Stato per svolgervi l’attività (in tal caso, l’altro Stato tassa i redditi attribuibili a detta base fissa). In sostanza, l’art. 14 funziona come l’art. 7 sulle imprese/stabile organizzazione, ma riferito ai liberi professionisti con base fissa (concetto simile a stabile organizzazione personale). Alcuni trattati possono invece assimilare direttamente i compensi professionali agli utili d’impresa, tassabili nello Stato della fonte solo se c’è una stabile organizzazione.

In pratica: un professionista non residente senza base fissa in Italia che presta qui un servizio non dovrebbe essere tassato in Italia secondo la convenzione. E viceversa, un professionista italiano senza base fissa all’estero, pur lavorando temporaneamente in uno Stato estero, rimane tassabile solo in Italia (salvo che lo Stato estero applichi altre regole, in cui caso varrà il metodo del credito).

Evitare doppia imposizione / rimborso:

  • Professionista italiano con attività all’estero: Se il professionista rimane fiscalmente residente in Italia, dichiara in Italia i compensi ovunque prodotti. Se il Paese estero dove svolge l’attività lo tassa (ad es. applica una ritenuta alla fonte sul compenso fatturato), in convenzione di solito quel Paese può tassare solo se c’è una base fissa o stabile organizzazione lì. Quindi, se il professionista opera senza base fissa (es. consulenza saltuaria), non dovrebbe subire imposte estere in base al trattato; se invece viene tassato, occorre valutare se legittimamente (es. aveva presenza significativa). In ogni caso, l’Italia concederà credito d’imposta per l’estero pagato, entro i limiti. Da notare il punto evidenziato prima: se il professionista italiano adotta un regime come il forfettario (imposta sostitutiva), non ha diritto a credito per imposte estere , per cui eventuali ritenute estere restano un costo salvo riuscire a farsi rimborsare dallo Stato estero in applicazione del trattato (non sempre semplice).
  • Professionista estero che opera in Italia: Se un consulente straniero, senza alcuna struttura stabile in Italia, presta qui un servizio (ad esempio, un avvocato francese che segue una causa in Italia per un cliente italiano, senza studio in Italia), la Convenzione (art. 14 se presente, altrimenti art. 7 se trattato moderno) di regola riserva la tassazione al suo Stato di residenza, dato che non ha base fissa/stabile in Italia. Il compenso, però, potrebbe essere soggetto a ritenuta 30% in uscita in base alla legge italiana. Come evitare? Prima opzione: il professionista straniero può dichiarare al cliente italiano che, ai sensi della Convenzione X, lui non ha base fissa in Italia e il compenso è esente da imposizione italiana, allegando certificato di residenza estera e chiedendo di non subire la ritenuta. Molti sostituti, però, per prudenza applicano comunque la ritenuta (potenzialmente temendo sanzioni). Seconda opzione: subire la ritenuta e poi presentare istanza di rimborso al COP di Pescara. Il rimborso sarà concesso se si dimostra l’assenza di base fissa e la residenza estera. Prova fondamentale: certificato di residenza e una dichiarazione che attesti la natura temporanea dell’attività in Italia e l’assenza di sedi fisse. Anche qui, la Cassazione ha statuito che l’Italia non può pretendere che il professionista abbia pagato tasse nel suo Paese per rimborsargli quelle italiane: basta che fosse soggetto potenziale a tassazione lì . Dunque, anche se, ad esempio, la Francia non tassa quel reddito (magari per regime forfettario locale), l’Italia comunque deve rimborsare la ritenuta se il trattato dice che spettava solo alla Francia tassare.
  • Attività mista tra paesi: Caso più complesso: professionista che lavora un po’ in Italia e un po’ all’estero sullo stesso incarico. La convenzione non offre criteri di suddivisione quantitativa se non in termini di presenza di base fissa. In linea di principio, se parte sostanziale dell’attività è svolta in Italia e c’è una base fissa qui per quella parte, l’Italia tasserebbe i redditi riferibili a detta base; la quota restante resterebbe tassabile solo all’estero. In pratica, situazioni del genere raramente vengono frammentate: si tende a individuare un unico criterio (o STabile ORganizzazione c’è o non c’è). È comunque buona norma, per evitare contestazioni, che i contratti specificino dove verrà svolta l’attività e che il professionista straniero non residente, se non vuole incorrere in tassazione italiana, svolga le prestazioni principalmente dal suo Paese, venendo in Italia solo episodicamente e senza mezzi stabili.

Esempio pratico (rimborso lavoro autonomo): Una società italiana paga €10.000 a un consulente fiscale tedesco, non residente, per una due diligence svolta da remoto (Germania) con un breve viaggio in Italia di 2 giorni. Il consulente non ha uffici né rappresentanti in Italia. La convenzione Italia-Germania (art. 14) dice che l’Italia non tassa se non c’è base fissa. Però la società italiana, ignorando i dettagli, applica ritenuta 30% (€3.000) sul compenso. Il consulente tedesco potrà chiedere a Pescara il rimborso dei €3.000, allegando certificato di residenza tedesco e dichiarando di non avere base fissa in Italia. L’Italia dovrà rimborsare, poiché quel reddito era imponibile soltanto in Germania (che peraltro lo tasserà secondo le sue aliquote sull’importo lordo) .

Giurisprudenza e prassi: Un caso di interesse è la citata Ris. 54/E/2020 sugli artisti: pur riguardando attori (categoria in teoria regolata dall’art. 17 del Modello, che consente sempre una tassazione nello Stato della performance), l’Agenzia ha interpretato a favore dell’esenzione Italia considerando che la prestazione fosse di fatto all’estero . Ciò indica un approccio sostanziale nell’individuare il luogo di tassazione. La Cassazione ha toccato il tema del lavoro autonomo transnazionale soprattutto in relazione al concetto di beneficiario effettivo dei pagamenti e abusi (ad es. nel caso di royalties e compensi infragruppo, v. oltre), più che per i singoli professionisti, dove le questioni di solito si risolvono sui fatti (esistenza di base fissa o stabile organizzazione). In generale, le Corti di Giustizia Tributaria hanno cura di verificare che non si realizzi doppia imposizione: ad esempio, una CGT di primo grado (Pordenone, sent. 25/2/2025) ha annullato un accertamento italiano su redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero, ribadendo che l’Italia deve adeguarsi alla convenzione anche se l’estero non tassa quel reddito – principio analogo per i redditi autonomi.

Nota anti-abuso: Se un professionista italiano cerca di sfruttare trattati creando finte basi all’estero per non pagare in Italia (o viceversa), l’Amministrazione può contestare l’abuso di diritto. Ad esempio, interporre una società estera di comodo per fatturare servizi in Italia e poi evitare ritenute potrebbe essere considerato treaty shopping se l’entità estera non ha sostanza (v. oltre il caso royalties). Sulle prestazioni autonome ciò è meno frequente, ma va tenuto presente che la clausola anti-abuso generale (Principal Purpose Test) inserita da molti trattati dopo il 2017 (MLI) permette di negare benefici se uno dei principali scopi di un’operazione era ottenere indebitamente tali benefici.

Pensioni

Le pensioni rappresentano una categoria a sé stante di redditi, disciplinata normalmente dall’art. 18 (pensioni private) e art. 19 (remunerazioni pubbliche e pensioni pubbliche) delle Convenzioni. La tassazione delle pensioni per chi vive all’estero è un tema molto rilevante per i pensionati e vede spesso applicazioni controverse, in parte mitigate da interventi della giurisprudenza di legittimità.

Regime interno italiano: Le pensioni erogate da enti italiani a soggetti residenti all’estero sono considerate redditi prodotti in Italia (art. 23 co.2 lett. a) TUIR) e, in assenza di convenzione, sarebbero tassate in Italia con una ritenuta a titolo d’imposta del 30% sull’importo percepito (art. 24 co.3 TUIR prevede un’imposta sostitutiva 30% per pensioni estere a non residenti, salvo casi di esonero). In pratica, l’INPS e gli altri enti previdenziali applicano la tassazione ordinaria IRPEF anche sui pensionati non residenti, salvo che questi attestino di aver diritto all’esenzione o aliquota ridotta per convenzione . La normativa interna consente quindi al non residente di chiedere di essere tassato con aliquota fissa 30% (più favorevole se la pensione è alta e le aliquote progressive supererebbero 30%); ma se esiste convenzione che dà esclusiva all’estero, l’intera tassazione italiana va rimossa.

Regola convenzionale: Per le pensioni del settore privato, la quasi totalità delle Convenzioni di cui l’Italia è parte prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza del beneficiario. L’art. 18 del Modello OCSE stabilisce: “Le pensioni e altre remunerazioni analoghe pagate a un residente di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato” (fatte salve pensioni pubbliche, che vanno all’art. 19) . Ciò significa che, ad esempio, un pensionato italiano trasferito in Portogallo (trattato Italia-Portogallo) o in Tunisia o in qualsiasi Paese con convenzione standard, dovrebbe pagare le tasse solo nel Paese di residenza sulla propria pensione, e l’Italia non deve tassare nulla. Eccezioni: Alcune convenzioni più vecchie o particolari prevedono una tassazione concorrente o un diverso criterio, ma sono rare. Ad esempio, il trattato Italia-Francia prevedeva in passato una sorta di credito d’imposta figurativo per la Francia su pensioni italiane (oggi modificato); il trattato Italia-Canada prevede imponibilità primaria in Italia seguita da esenzione in Canada entro certe soglie (un caso anomalo); ma come regola generale, oggi i trattati recenti scelgono la tassazione nel Paese di residenza del pensionato per le pensioni private. Le pensioni pubbliche (ex dipendenti statali, ex INPDAP, pensioni pagate da Stato o suddivisione politica) seguono invece l’art. 19: tipicamente sono imponibili solo nello Stato erogante, eccetto che il beneficiario sia residente nell’altro Stato ed abbia anche la cittadinanza di quest’ultimo (in tal caso si torna alla tassazione solo nel Paese di residenza). Quindi una pensione ex pubblico impiego italiano pagata a residente estero di solito resta tassata in Italia salvo eccezioni di cittadinanza. Questo aspetto è da considerare separatamente perché le pensioni pubbliche non danno diritto al rimborso integrale se la convenzione consente comunque all’Italia di tassare. Bisogna distinguere bene il tipo di pensione. Qui tratteremo per lo più le pensioni private (fondo previdenza, INPS, ecc.) perché quelle pubbliche spesso non rientrano nel rimborso convenzionale (si pagano in Italia per trattato).

Doppia imposizione pensioni e rimborso:

Un pensionato residente all’estero con pensione italiana può incorrere in due situazioni: o la convenzione dice che deve pagare solo all’estero (residenza) – in tal caso le imposte trattenute in Italia sono indebite e interamente rimborsabili; oppure la convenzione lascia tassare Italia (pensioni pubbliche, o tassazione concorrente) – in tal caso non c’è doppia imposizione giuridica perché l’estero spesso esenta o dà credito. La maggior parte dei casi di rimborso riguardano quindi pensioni private con convenzione di tassazione esclusiva allo Stato estero. Purtroppo, in passato c’è stata incertezza: l’Agenzia delle Entrate richiedeva al pensionato, per rimborsare l’IRPEF italiana, di provare di aver effettivamente pagato imposte nel Paese di residenza, sostenendo che occorresse dimostrare la doppia imposizione subìta. Molti pensionati in Paesi a fiscalità bassa o nulla (es. Tunisia, Portogallo con regimi agevolati, ecc.) si sono visti negare il rimborso perché “non hanno pagato tasse all’estero”. Questo approccio è stato sconfessato dalla Cassazione: nella sentenza n. 10308/2024, riguardante la Convenzione Italia-Turchia, la Corte ha affermato che “ai fini del rimborso delle ritenute sulla pensione estera non è necessario dimostrare l’effettivo assoggettamento ad imposizione fiscale nell’altro Paese, essendo sufficiente l’astratta imponibilità in quel Paese” . In quel caso un cittadino italiano residente in Turchia aveva chiesto il rimborso delle ritenute IRPEF subite sulla pensione INPS, invocando l’art. 18 della convenzione Italia-Turchia che attribuisce tassazione esclusiva allo Stato di residenza. L’Agenzia si era opposta sostenendo che il contribuente doveva provare la doppia imposizione (cioè di aver pagato imposta in Turchia), ma la Cassazione ha respinto tale tesi, ribadendo che conta solo il dato convenzionale: “imponibili soltanto in detto Stato” significa potestà esclusiva dello Stato estero, quindi l’Italia è fuori gioco . Non importa se la Turchia ha poi effettivamente prelevato o se magari la pensione è lì esente: quell’aspetto è irrilevante per il diritto al rimborso in Italia . La Corte ha citato precedenti di analogo tenore in materia di dividendi (Cass. 26656/2017, Cass. 26377/2018) per rafforzare il principio .

Pertanto, oggi possiamo dire con certezza: se una convenzione attribuisce la tassazione di una pensione allo Stato estero di residenza, il pensionato ha diritto al rimborso integrale delle ritenute subite in Italia, senza dover provare di aver pagato altrove . Dovrà naturalmente provare la sua residenza estera e il fatto che la pensione rientra nell’art. 18 e non, ad esempio, nell’art. 19 (pubblica). A tal fine, di solito l’INPS stessa certifica la natura della pensione e il pensionato produce certificato di residenza fiscale estera.

Procedura e accorgimenti: Il pensionato residente all’estero dovrebbe, idealmente, prevenire la ritenuta italiana facendo istanza all’INPS di applicazione della convenzione (tramite modulo AP1 o modulo specifico disponibile presso consolati/INPS). L’INPS, ottenuta la certificazione di residenza estera e verifica convenzione, può erogare la pensione al netto dell’imposta estera (cioè senza IRPEF italiana). Se ciò non è stato fatto per tempo e l’INPS ha già tassato alla fonte, il pensionato può: (a) chiedere all’INPS la sospensione delle ritenute per il futuro, e (b) per il passato (fino a 4 anni) fare domanda di rimborso all’Agenzia Entrate – COP Pescara, allegando certificato di residenza e documenti. Questo iter è spesso assistito dai Patronati o dai Consolati italiani all’estero. Esempi di casi noti: pensionati italiani in Portogallo (regime NHR, no tasse 10 anni) hanno ottenuto rimborso IRPEF Italia perché convenzione dice tassazione solo in Portogallo; pensionati in Tunisia (tasse ridotte al 20% di metà pensione) hanno pure diritto a esclusiva tunisina e rimborso Italia (Cass. 32255/2018, su convenzione Italia-Tunisia). Attenzione: se la pensione è pubblica (ex-INPDAP), la convenzione spesso consente all’Italia di tassare comunque, per cui niente rimborso. Esempio: un ex dipendente pubblico italiano residente in Spagna pagherà IRPEF Italia sulla pensione (art. 19 convenzione ITA-ESP) e la Spagna lo esenterà (o darà credito fittizio). Non c’è doppia imposizione perché la convenzione l’ha prevenuta attribuendo esclusiva all’Italia. In tali casi, le ritenute italiane non sono “indebite” secondo il trattato, quindi nessun rimborso è dovuto.

Giurisprudenza ulteriore: Oltre a Cass. 10308/2024 citata (Italia-Turchia) , si menziona Cass. 21697/2023 che, in materia di convenzione Italia-Bulgaria, ha confermato l’interpretazione secondo cui una pensione privata pagata a residente bulgaro non è imponibile in Italia indipendentemente dal prelievo in Bulgaria (richiamando espressamente il principio “potestà impositiva esclusiva, irrilevante l’effettivo prelievo”) . Anche Cass. 12533/2022 (Italia-Germania) e altre si allineano. Quindi la linea è consolidata: no doppia tassazione pensioni private, Italia restituisce se trattenuto. È interessante notare che a volte le CGT hanno accolto ricorsi anche in casi di convenzioni non ancora efficaci: v. CTR Lombardia 2019 caso pensionato ex-INPS in Portogallo per anni in cui la convenzione vecchia ancora prevedeva tassazione Italia – qui però la decisione fu di natura diversa (disapplicazione parziale per contrasto con libera circolazione in UE, un tema di nicchia).

Riepilogo pratico – pensioni: Un pensionato italiano all’estero deve sempre: verificare la convenzione (art. 18/19), distinguere se pensione pubblica o privata, ottenere certificato fiscale estero e coordinarsi con INPS/Agenzia. Se ha subìto ritenute non dovute in Italia, ha diritto al rimborso entro 48 mesi. L’onere è provare la residenza estera e la spettanza dell’esenzione convenzionale; non serve provare il pagamento dell’imposta all’estero . L’Italia, dal canto suo, a seguito delle pronunce, non può più opporre resistenza su questo punto.

Dividendi

dividendi distribuiti da società italiane a soggetti non residenti costituiscono una fonte classica di doppia imposizione internazionale, mitigata sia da convenzioni che da normative UE. Vediamo la disciplina e come operano i rimborsi.

Regime interno italiano: Quando una società italiana distribuisce utili (dividendi) a un socio: – Se il socio è persona fisica non residente, la società applica una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sull’importo distribuito . Tale 26% è l’imposta “definitiva” italiana sul dividendo estero. – Se il socio estero è una società, sempre 26% in assenza di esenzioni. Eccezione: se è una società residente UE/SEE che possiede almeno il 10% da almeno un anno, può applicarsi la direttiva madre-figlia (Parent-Subsidiary Directive) recepita in art. 27-bis DPR 600/73, che esenta la ritenuta (0%) purché la società madre non sia controllata da soggetti extra-UE e altri requisiti antiabuso. In mancanza dei requisiti, comunque l’art. 27 co.3 DPR 600/73 offre un rimborso parziale: i non residenti possono chiedere la restituzione di una quota dei dividendi pari a 11/26 dell’imposta, a condizione di aver pagato imposte definitive sui medesimi utili nel proprio Stato di residenza . Questo rimborso ordinario riduce la tassazione italiana effettiva dal 26% al 15% (restituendo 11%). È una misura unilaterale che di fatto allinea il prelievo italiano a quello di un’ipotetica convenzione standard (15%). Tuttavia, se esiste una Convenzione che prevede magari un’aliquota inferiore al 15% o altre condizioni, il contribuente estero può scegliere il regime più favorevole (trattato vs rimborso 11/26) . L’Agenzia con CM 165/E/1998 ha chiarito che il contribuente non residente può optare per il rimborso convenzionale in alternativa a quello 11/26 . Ad esempio, se la convenzione prevede 10%, allora conviene chiedere applicazione convenzione invece che il rimborso fisso a 15%.

Riassumendo: default 26% WHT; possibilità di riduzione a 15% via rimborso interno; ulteriori riduzioni o esenzioni se treaty o direttiva UE.

Regola convenzionale (Art. 10 Modello OCSE): Il Modello OCSE consente tassazione concorrente limitata sui dividendi: lo Stato della fonte (Italia) può tassare mediante ritenuta, ma non eccedente il 15% dell’importo lordo, salvo che il percettore sia una società che controlla almeno il X% della società erogante, in tal caso aliquota ridotta al 5% (il Modello prevede 5% se partecipazione almeno 25%). Molti trattati italiani seguono queste percentuali (15/5). Alcuni accordi più favorevoli stabiliscono aliquote minori (es. 10% per società USA che investono in Italia, in certe convenzioni con Paesi a fiscalità privilegiata magari 5% flat, etc.). Altri (pochi) trattati, in particolare con paradisi, possono prevedere anche zero, ma non comune. Quindi generalmente il non residente ha diritto a farsi ridurre la ritenuta italiana al 15% (o 5%) in base al trattato . Se la ritenuta subita è stata del 26%, l’eccedenza è rimborsabile (11% o 21% se spettava 5%). Lo Stato di residenza del percettore poi tass(a/erà) il dividendo secondo le proprie leggi, concedendo credito per l’eventuale imposta italiana pagata (nei limiti). Se il Paese estero non tassa affatto i dividendi (es. perché il percettore è un fondo pensione esente, o il Paese non ha imposta su quel reddito), il trattato comunque impone all’Italia di limitarsi all’aliquota convenzionale e – in base alla giurisprudenza – di accordarla indipendentemente dal fatto che il percettore sia effettivamente tassato altrove .

Evitare doppia imposizione / rimborso:

  • Applicazione diretta aliquota convenzionale: Un investitore estero può comunicare alla società italiana (generalmente tramite moduli predisposti dagli intermediari finanziari, come banca depositaria) la propria residenza fiscale convenzionale prima della distribuzione, chiedendo l’applicazione alla fonte dell’aliquota ridotta. Il Modello A dell’Agenzia Entrate serve proprio a questo . Spesso però, specialmente per piccoli investitori privati, l’aliquota standard del 26% viene applicata e poi ci si muove a posteriori.
  • Rimborso posteriore: Se è già stata applicata la ritenuta 26%, il percettore estero presenta al COP Pescara il Modello A o un’istanza libera, entro 48 mesi, con certificato di residenza estero, e chiede il rimborso della differenza tra 26% e l’aliquota convenzionale (es. 11% se convenzione 15%). Esempio: un cittadino tedesco ha ricevuto €1.000 di dividendi da azioni italiane nel 2022, subendo €260 di ritenuta italiana. Il trattato Italia-Germania prevede max 15% su dividendi a persone fisiche. Egli può chiedere indietro €110 (ossia 11% di 1000) dall’Italia, restando così col 15% finale. La Cassazione ha sancito più volte che il rimborso non può essere negato adducendo che quel dividendo magari in Germania non è stato ulteriormente tassato: “non è corretto subordinare il rimborso della ritenuta al fatto che il percettore estero abbia effettivamente pagato l’imposta nel suo Paese; è sufficiente che il dividendo concorra al reddito complessivo (in teoria tassabile) ancorché non vi sia effettivo prelievo fiscale” . Questo pronunciamento (Cass. 26377/2018) si basava anche sulla citata sentenza CGUE 2009 e ribadito in Cass. 10706/2019 . In pratica, se ad esempio la Germania avesse esentato i dividendi esteri per un particolare regime, l’Italia comunque deve ridare l’11%, perché il trattato impone max 15%. Il ragionamento sottostante è che la convenzione elimina la sovrapposizione di potestà impositiva, non permettendo all’Italia di approfittare del fatto che l’altro Stato magari esenti per tenersi un’imposta più alta.
  • Beneficiario effettivo e antiabuso: Un elemento cruciale per i dividendi (come per interessi e royalties) è la clausola del “beneficial owner” prevista nei trattati: l’aliquota ridotta spetta solo se il percettore estero è il beneficiario effettivo dei dividendi. Ciò serve a evitare il treaty shopping, ovvero che soggetti non aventi diritto di per sé ai benefici usino società interposte in paesi terzi per incassare i dividendi e chiederne il rimborso. Ad esempio, se una società italiana distribuisce dividendi a una controllante residente in un paradiso fiscale con trattato favorevole, ma questa società è solo uno schermo che immediatamente ritrasferisce gli utili altrove, l’Italia può negare il rimborso invocando la mancanza di beneficial ownership. La Cassazione, Sent. n. 10792/2016, ha fatto scuola in materia: il caso riguardava una società olandese (poi UK) che chiedeva credito d’imposta sui dividendi italiani ricevuti, in base alla convenzione UK (all’epoca c’era un meccanismo di credito rimborso del 50% imposta italiana). La Corte negò il rimborso ravvisando un abuso: la società estera non era la beneficiaria effettiva, ma fungeva da collettore di dividendi per la casa madre americana . Ha affermato che essere residente estero e soggetto ad imposta lì è condizione necessaria ma non sufficiente: serve anche il quid pluris di avere la disponibilità giuridica ed economica effettiva dei dividendi . In mancanza, il rimborso può essere negato per abuso di convenzione. Questo principio è oggi supportato da clausole anti-abuso introdotte nelle convenzioni (limitation on benefits, principal purpose test) e dalle direttive comunitarie. Perciò, un investitore genuino non avrà problemi col rimborso (basta sia il vero beneficiario e residente convenzionale); al contrario, costruzioni fittizie verranno contestate.
  • Credito d’imposta per i residenti in Italia su dividendi esteri: Qui invertiamo prospettiva un attimo: se un residente italiano riceve dividendi da estero, subendo una ritenuta alla fonte straniera (es. 15% di withholding USA), l’Italia come li tratta? Per le persone fisiche, i dividendi esteri da partecipazioni non qualificate sono assoggettati a imposta sostitutiva 26% in Italia, senza possibilità di credito per l’estero perché non rientrano in IRPEF (lo stesso vale per qualificati dal 2018). Questo crea un problema: il 15% USA diventa un costo aggiuntivo, non recuperabile come credito. Il trattato con gli USA prevede comunque 15%, quindi il 15% era dovuto agli USA; idealmente, per evitare doppia imposizione, l’investitore dovrebbe ottenere che l’Italia non tassasse di nuovo integralmente. Ma l’Italia applica 26% sul netto percepito (alcuni meccanismi bancari detti netto frontiera fanno sì che si applichi 26% sull’importo al netto del 15% estero, di fatto evitando di tassare due volte lo stesso ammontare, ma legalmente il credito non è previsto). Se invece l’investitore opta per il regime dichiarativo (inserendo i dividendi in dichiarazione IRPEF), potrebbe teoricamente chiedere il credito ex art. 165, ma la normativa interna non lo consente per dividendi soggetti a imposta sostitutiva. Dunque, il suggerimento per un residente italiano con dividendi esteri è di cercare di ottenere la riduzione o esenzione alla fonte estera (presentando attestati di residenza ecc.) in modo da non vedersi sottrarre imposte non recuperabili. Questo comunque esula dal rimborso in Italia, perché riguarda rimborsi all’estero: per completezza, i residenti italiani possono chiedere ai paesi esteri il rimborso delle ritenute che eccedono i trattati, similmente a come i non residenti fanno con l’Italia. Ad esempio, un italiano che ha subìto 30% di ritenuta su dividendi francesi (trattato prevede 15%) chiederà alla Francia la differenza.

Giurisprudenza e prassi su dividendi: Abbiamo citato i capisaldi giurisprudenziali: Cass. 26377/2018, Cass. 10706/2019, Cass. 21697/2023, Cass. 10792/2016, etc., tutte delineanti l’obbligo di rimborso indipendentemente dal pagamento estero e il contrasto all’abuso via beneficial owner . La CGUE 2009 (causa C-540/07) fu un procedimento contro l’Italia proprio perché il meccanismo di credito d’imposta sui dividendi esteri (allora in vigore con alcuni paesi) discriminava i non residenti; la Corte stabilì che l’Italia doveva garantire ai soggetti UE la stessa aliquota effettiva sui dividendi, senza far differenze basate sul fatto che l’altro Stato tassi o meno . Questo ha rafforzato l’orientamento pro-contribuente. In linea di principio, oggi l’Agenzia applica queste direttive: ha predisposto modulistica chiara, e le Circolari recepiscono che l’attestazione di residenza e lo status di beneficiario effettivo sono i driver principali. Permane ovviamente la necessità di vigilare su possibili abusi, ma per un investitore onesto il rimborso convenzionale è un diritto.

Nota: La tassazione residua “bloccata” al 15% – a volte detta withholding tax trapped – può succedere per particolari combinazioni di regole: ad esempio, con la Svizzera la convenzione vecchia prevedeva 15% Italia e credito parziale in Svizzera, creando di fatto un 15% non recuperato. Questo è un problema di coordinamento che esula dalla richiesta pratica di rimborso in Italia (che comunque ridà la differenza oltre 15% se c’è).

In definitiva: per i dividendi la soluzione standard è la convenzione; il contribuente estero ha il diritto di ridurre l’imposta italiana al livello convenuto, chiedendo rimborso se necessario.

Interessi

Regime interno: Gli interessi pagati da debitori italiani a creditori non residenti sono soggetti, salvo eccezioni, a ritenuta a titolo d’imposta del 26% (art. 26 co.1 DPR 600/73) . Ciò vale per interessi su depositi bancari, conti correnti, prestiti, e in generale per i redditi di capitale da fonte italiana corrisposti all’estero. Eccezioni interne: interessi su titoli di Stato italiani e assimilati (BOT, BTP) godono di esenzione se pagati a non residenti di paesi white list (per favorire investimenti esteri); interessi su finanziamenti a medio-lungo termine a imprese italiane da parte di banche estere white list sono esenti per legge (art. 26 co.5-bis DPR 600/73) per agevolare credito internazionale; interessi verso società UE consociate possono essere esenti per direttiva Interessi-Royalties (Dir. 2003/49/CE, recepita in art. 26-quater DPR 600/73) . Al di fuori di questi casi, la ritenuta 26% si applica.

Regola convenzionale (Art. 11 Modello): Spesso le convenzioni prevedono aliquote massime di tassazione alla fonte sugli interessi, generalmente il 10%. Alcuni trattati prevedono 0% (es. interessi pagati a o da enti pubblici, istituti di credito, ecc., a volte esclusi da tassazione fonte). Comunque, se l’Italia ha prelevato il 26% e il trattato con quel paese limita al 10%, il percettore può chiedere rimborso di 16%. Se il trattato dice 0% (capita con partner strategici per interessi su prestiti governativi, ecc.), può chiedere tutto indietro. Lo Stato di residenza del percipiente di solito tassa pienamente l’interesse con credito per l’eventuale ritenuta subita.

Rimborso in pratica: Molto simile ai dividendi: il creditore estero (beneficiario effettivo dell’interesse) produce certificato di residenza e chiede rimborso della quota eccedente l’aliquota convenzionale. Ad esempio, società USA incassa interesse da società italiana con ritenuta 26%, ma trattato US-IT prevede 10%: la società USA può reclamare il 16%. Qualora la società USA fosse esente da tassazione negli States (poniamo fosse un ente pensionistico esente), comunque l’Italia deve ridare i soldi perché il trattato non condiziona al pagamento effettivo all’estero. Stessi principi subject-to-tax e beneficial owner visti per i dividendi valgono: bisogna essere i beneficiari reali (se c’è un intermediario che girerà altrove, niente benefici) e non serve provare effettiva tassazione estera.

Esempio: Banca svizzera percepisce interessi su un deposito presso banca italiana, subendo 26%. Convenzione Italia-Svizzera prevede 12.5% (supponiamo; in realtà credo 12.5% era la vecchia aliquota su interessi obbligazionari). La banca svizzera chiede rimborso di 13.5%. L’Italia rimborsa se la banca è beneficiaria effettiva (non agisce per conto terzi non residenti in CH, etc.). Nota: Con partner UE societari, spesso si applica la direttiva Interessi (0% se partecipazioni >25% tra società consociate). In tal caso già a monte non si dovrebbe applicare ritenuta (previa attestazione di consociate). Se erroneamente trattenuto, la società UE può ottenere rimborso integrale citando anche la direttiva oltre alla convenzione (l’iter comunque passa dal COP Pescara).

Giurisprudenza: Meno controversie note su interessi rispetto a dividendi, perché spesso i grandi flussi di interessi internazionali usufruiscono di esenzioni (titoli di stato, finanziamenti) e i piccoli investitori seguono trafile simili ai dividendi. Comunque, Cassazione e CGUE hanno applicato i medesimi principi: benefici convenzionali spettano per il solo assoggettamento alla potestà estera indipendentemente da tassazione effettiva. Un riflesso in ambito UE: la CGUE in varie cause (es. BurdaBrisal) ha vietato discriminazioni, ad esempio un caso interessante è Brisal c. Portogallo (C-18/15) dove la CGUE ha detto che trattenere un 20% fisso sugli interessi pagati a banche non residenti UE, senza permettere deduzioni di costi, era discriminatorio. L’Italia comunque con la direttiva interessi-royalties ha rimosso molte possibili discriminazioni intra-UE.

Conclusione su interessi: Se avete subìto una ritenuta italiana più alta di quanto previsto dalla Convenzione, potete recuperare l’eccedenza presentando istanza con attestato di residenza. Ad es. interessi su conto bancario italiano a favore di persona UK: se UK treaty dice 10%, può recuperare 16%. Se il trattato esenta certi interessi (es. pagamenti governativi), recupera il 26%. Tutto con procedura Pescara come visto.

Royalties

Le royalties sono i compensi per l’uso o la concessione in uso di diritti d’autore, brevetti, marchi, know-how e altri beni immateriali. Fiscalmente, spesso sono inquadrate come redditi di capitale o redditi diversi a seconda dei casi.

Regime interno: L’Italia impone di norma una ritenuta a titolo d’imposta del 30% sui canoni pagati a non residenti per l’uso di opere dell’ingegno, brevetti, marchi, processi, formule, informazioni industriali o scientifiche, e per l’uso di attrezzature industriali/commerciali/scientifiche in Italia (art. 25 co.4 DPR 600/1973) . In alcuni casi il 30% si applica solo sul 75% del canone (deduzione forfettaria 25%) – questo avviene se la royalty è qualificabile come reddito di lavoro autonomo del percettore estero e quindi si riconosce l’abbattimento ex art. 54 co.8 TUIR . Ad esempio, compensi per diritto d’autore percepiti da autori non residenti godono spesso di un’esclusione forfettaria (25% se over 35 anni) anche per i non residenti per simmetria, tassando così il 75%. In altri casi (royalty industriale) si tassa l’intero importo . Comunque, la ritenuta si attesta sul 22.5% effettivo in quei casi. Eccezioni interne: come per gli interessi, la direttiva UE interessi-royalties esenta taluni pagamenti infragruppo UE (royalty tra consociate UE, partecipazione >25% per almeno 1 anno, beneficiario effettivo, ecc., art. 26-quater DPR 600/73) . Ad esempio, royalty da società italiana a consociata tedesca può essere esente se rispettate condizioni. Inoltre, alcuni trattamenti speciali: royalty su noleggio internazionale navi/aeromobili spesso esenti per convenzione o 50% (ma non entriamo qui).

Regola convenzionale (Art. 12): Molte convenzioni prevedono un’aliquota massima del 5% o 10% alla fonte sulle royalties, oppure addirittura esenzione totale allo Stato della fonte, tassazione solo nel Paese di residenza del percettore. Il Modello OCSE attuale in realtà prevede esenzione totale nello Stato della fonte per royalties (dopo la modifica del 2017 il modello elimina tassazione fonte su royalty e interessi, ma tanti trattati italiani pre-2017 mantengono aliquote). Comunque, numerosi trattati italiani (specie con Paesi in via di sviluppo o Asia) prevedono aliquote come 5%, 7%, 10% su royalties. Quindi, se l’Italia ha trattenuto 30% e il trattato dice 5%, il soggetto estero recupera 25%. Se il trattato dice esente, recupera tutto. Esempio: convenzione Italia-Regno Unito prevede 8% su royalties industriali e 0% su diritti d’autore (valori ipotetici) ; quindi un artista UK che prende royalty da Italia subisce no tax (o ridotta) e se erroneamente applicata 30% chiede rimborso 30%.

Beneficiario effettivo e convenzioni: Come per dividendi e interessi, l’art. 12 richiede che l’aliquota ridotta spetti al “beneficiario effettivo” della royalty residente all’estero. Molti schemi di treaty shopping in passato riguardavano royalties: es. una società in un paradiso con trattato favorevole che percepisce royalties dall’Italia e le gira a casa madre in altro Paese senza trattato – qui l’Italia può dire: la società interposta non è beneficial owner, niente aliquota ridotta. Cass. 10792/2016 (citata sopra) era proprio su uno schema con brevetti e dividendi. Inoltre, la CGT Lombardia (sent. 68/1/2025) di recente ha affrontato un caso di royalties Italia-Svizzera-USA, affermando che la ritenuta convenzionale (8% in quel caso) era legittimamente negata dall’Agenzia se il beneficiario svizzero non aveva sostanza economica ed era mera conduit per trasferire fondi alla società USA che altrimenti avrebbe subito 30% . La corte ha ribadito i criteri di beneficial ownership e buonafede interpretativa: la convenzione va applicata senza consentire doppi non imponibili (no double non-taxation) . Insomma, è abuso usare entità fittizie per evitare il 30%. L’Agenzia delle Entrate è piuttosto vigile su royalty infragruppo, esaminando se la società estera licenziante ha funzione vera o ritrasferisce la maggior parte a qualcun altro.

Rimborso pratico: Un soggetto estero che ha subìto 30% su royalties chiede rimborso fino all’aliquota convenzionale. Documenti: certificato residenza estero, contratto di licenza, prova che la società è beneficiaria (es. bilanci mostrando che incassa e non gira interamente a terzi). Se l’Agenzia sospetta un beneficial owner diverso, potrebbe negare rimborso. In caso di rigetto, si può fare ricorso dimostrando la sostanza economica del percettore. Ad es., se Beta Ltd a Malta incassa royalty 100 da Alfa Italy e ne gira 98 a Gamma in Cayman, Beta non è beneficial owner -> niente benefici convenzionali (sarebbe treaty abuse). Ma se Beta trattiene la maggior parte, ha uffici e personale, giustifica il diritto.

Esempio: Società italiana paga €50k annui a società olandese per uso di un marchio. Convenzione ITA-NL prevede 5% WHT su royalties. La società italiana per errore trattiene 30% (€15k) e versa netto. La società olandese (beneficial owner, attiva) chiede rimborso €12.5k (che porterebbe la tassazione al 5% di 50k, cioè €2.5k tenuti e €12.5k restituiti). Allegati: residenza NL, copia licenza marchio, prova che la società NL è la proprietaria del marchio e ne dichiara i redditi. L’Italia rimborsa e rimane col 5%. Se invece la società NL era una letterbox e i 50k finivano subito a un trust alle Bahamas, l’Agenzia negherà dicendo che la società NL non ha diritto al trattato (non beneficial).

Giurisprudenza: Oltre ai cenni sopra, degno di nota: Cass. 27112/2019 ha affrontato un caso di royalty infragruppo con entità in UE ma controllante USA, confermando il diniego di rimborso per abuso (praticamente come 10792/2016 ma sulle royalties, sebbene quell’ordinanza non sia celebre come altre). Le CGT in varie regioni hanno in anni recenti emesso decisioni su casi analoghi, talora dando ragione al Fisco (quando c’era evidente conduit), talora al contribuente (quando la sostanza c’era). Questo riflette l’enfasi attuale sul concetto di substance over form.

Riepilogo royalties: Italia preleva 30%, trattati spesso limitano a 0-10%. Il non residente ha diritto di pagar solo quell’aliquota e recuperare il resto, a patto di essere genuinamente il destinatario ultimo di quei canoni. Necessario presentare i soliti moduli a Pescara con certificazioni. I tempi e modi sono uguali ai casi precedenti.

Principi giurisprudenziali recenti e orientamenti di Cassazione/CGUE

La trattazione per categorie ha già incluso i contributi della giurisprudenza. Giova tuttavia ricapitolare i principi di diritto di portata generale emersi dalle sentenze più autorevoli in materia di doppia imposizione e rimborsi, per consolidare il quadro interpretativo:

  • Prevalenza del potere impositivo astratto (soggezione all’imposta) sull’effettivo pagamento: La Cassazione ha ormai consolidato il principio che “ai fini della doppia imposizione rileva la sola esistenza del potere impositivo principale dell’altro Stato, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta” . Ciò significa che se la convenzione attribuisce allo Stato estero il diritto di tassare un reddito, l’Italia deve rinunciare alla sua imposta, anche se poi l’estero applica un’aliquota zero o esenzione. Vengono in rilievo Cass. 27600/2011, Cass. 10706/2019, Cass. 26377/2018, Cass. 10308/2024, tutte convergenti su questo punto, nonché la CGUE 2009 C-540/07 . Ad esempio, Cass. 10308/2024 (pensione in Turchia) ha affermato che non occorre la doppia imposizione effettiva per ottenere il rimborso: basta l’astratta imponibilità nello Stato estero . Questo orientamento tutela il contribuente da situazioni di “doppia non imposizione convenzionale” non volute: se un reddito è tassabile solo all’estero ma l’estero non tassa, pazienza – il trattato è volto a evitare doppia imposizione, non a garantire che almeno una tassazione avvenga (le convenzioni non mirano a imporre un livello minimo di tassazione, ma a evitare sovrapposizioni).
  • Certificazione di residenza fiscale estera e onere della prova: È pacifico che per accedere ai benefici convenzionali il contribuente deve provare di rientrare nel campo soggettivo della convenzione (essere residente nell’altro Stato contraente). La via maestra è l’attestazione ufficiale della sua Autorità fiscale . Cassazione (es. sent. 5927/2021) ha sostenuto che la produzione del certificato è condicio sine qua non quando la convenzione lo richiede espressamente per i rimborsi (come in molti trattati è previsto) . Tuttavia, come visto nel caso Dubai, la Cassazione 2024 ha ritenuto che se il contribuente fornisce per altre vie la prova certa della residenza estera e delle condizioni convenzionali, la mancanza di un modulo non può vanificare il diritto . Ciò non toglie che in sede amministrativa presentare il certificato sia fondamentale: senza, l’Agenzia rigetterà quasi sicuramente (e poi spetterebbe fare causa). Dunque, il consiglio pratico è: allegare sempre il certificato di residenza fiscale estero all’istanza di rimborso. Tale documento attesta anche implicitamente che il soggetto è “liable to tax” in quell’altro Stato, soddisfacendo la definizione di residente convenzionale .
  • Beneficiario effettivo e contrasto al treaty shopping: Le corti hanno mostrato tolleranza zero verso gli abusi convenzionali. Cass. 10792/2016 è stata pioniera nel leggere la nozione di “beneficiario” non in modo formalistico, bensì sostanziale: risiede all’estero ed è soggetto passivo lì non basta, deve anche essere colui che ha l’effettiva disponibilità economica dei redditi . Questo principio è ora integrato da norme (vedasi ad es. l’art. 31, co. 1, lett. c) L. 29/10/2021 n. 147 che ha ratificato il MLI introducendo clausole anti-abuso nelle convenzioni italiane). L’effetto sul rimborso: l’Agenzia può chiedere prove aggiuntive per assicurarsi che non ci sia uno schema abusivo. Se emergono indizi di conduit (es. immediato rigiro dei dividendi o royalties a entità non convenzionate), potrà negare il rimborso. Il contribuente dovrà dimostrare eventualmente in giudizio che la struttura rispetta il treaty (magari perché l’intermediario estero ha scopi economici validi e non è mera “cassaforte”). Negli ultimi anni sia Cassazione (v. ad es. Cass. 7555/2021 su dividendi a holding olandese di gruppo USA, conferma diniego) sia le CGT hanno dato ragione al fisco in varie cause di treaty shopping. Quindi l’orientamento è: convenzioni da applicare in buona fede, non per creare doppie non imposizioni o elusioni .
  • Conformità al diritto UE: La giurisprudenza italiana richiama spesso la necessità di lettura convenzionale conforme al diritto UE . Questo ha due risvolti: 1) Non discriminare tra situazioni domestiche ed estere oltre quanto previsto dal trattato (es. non far pesare la mancanza di tassazione estera solo ai non residenti); 2) Tenere conto delle libertà UE – ad esempio, la CGUE ha condannato regimi che rimborsavano imposte solo se pagate all’estero (caso Commissione c. Italia 2009) . La Cassazione ne fa tesoro nei propri giudizi: Cass. 26377/2018 cita proprio la CGUE 2009 per supportare che l’imputazione dell’imposta estera non sana la disparità . Dunque, regole nazionali che condizionassero rimborsi o crediti all’avvenuto prelievo estero sono state cassate. Altro esempio: Cass. 32255/2018 evocava i principi UE sulla libera circolazione per interpretare la convenzione Tunisia in senso pro-contribuente (pensione esente in Italia). Quindi, un contesto dove, grazie all’UE, il contribuente ha ulteriori tutele.
  • Convenzioni come legge dello Stato: Da ultimo, si ribadisce che una convenzione, una volta in vigore, ha rango di legge ordinaria ma speciale, e gode anche del favore dell’art. 75 DPR 600 e 169 TUIR che ne sanciscono la prevalenza . La Corte Costituzionale ha detto che le convenzioni, pur non potendo derogare alla Costituzione, devono essere interpretate sistematicamente e in coerenza col sistema internazionale pattizio (sent. 10/2012). Per il pratico significa: in caso di contrasto tra norma interna e trattato, prevale il trattato; i giudici tributari devono disapplicare la norma interna difforme. Un esempio notissimo: prima del 2018, l’art. 2 TUIR presumeva residenti in Italia i cittadini iscritti all’AIRE in paesi black list; alcuni erano convenzionati (es. Montecarlo). Cassazione e CTR hanno chiarito che prevale l’art. 4 della convenzione: se il tie-breaker dice che Tizio è residente estero, l’Italia non può trattarlo da residente ai fini fiscali nonostante la presunzione interna (Cass. 6501/2014). Anche nel caso Dubai sopra, la CTR e Cass hanno dovuto valutare la presunzione black list (Dubai lo era fino al 2015) alla luce della prova contraria offerta dal contribuente , in ambito convenzionale.

In sintesi, le linee guida della Cassazione sulla materia potrebbero riassumersi così : i benefici dei trattati spettano al solo fatto della soggezione illimitata all’imposta nell’altro Stato, a nulla rilevando se quivi si paga effettivamente; il Modello OCSE è chiave interpretativa; PA e giudici devono adeguarsi anche al diritto UE; il rimborso allo Stato della fonte non può essere subordinato all’avvenuta doppia imposizione effettiva ; e i benefici sono negati in caso di abuso (beneficiario non effettivo).

Tabelle riepilogative

Di seguito, alcune tabelle sintetiche che riepilogano i regimi fiscale e convenzionali per le varie categorie di reddito, nonché i riferimenti ai rimedi contro la doppia imposizione dal lato italiano.

Tabella 1 – Tassazione in uscita dall’Italia e aliquote convenzionali tipiche (situazione del percettore non residente che riceve redditi dall’Italia, con indicazione della ritenuta italiana e del trattamento convenzionale usuale):

Tipo di reddito (fonte italiana)Ritenuta Italiana (senza convenzione)Trattamento standard con Convenzione (Modello OCSE)Note
Lavoro dipendente – Eseguito in Italia da non residenteTassazione ordinaria IRPEF mediante ritenute mensili (aliquote progressive fino a ~43%). Non residenti: niente detrazioni, no imponibile famigliare, ecc.Esente in Italia se condizioni art. 15 Mod. OCSE soddisfatte (presenza <183 giorni, datore non italiano, costo non a carico di stabile organizzazione italiana). Altrimenti tassabile in Italia (con limite di non tassare oltre remunerazione per lavoro ivi svolto).Se la Convenzione prevede esclusiva tassazione residenza (es. alcuni casi speciali), l’Italia non tassa affatto. Rimborso: possibile se ritenute applicate nonostante esenzione convenzionale .
Lavoro dipendente – Eseguito all’estero da soggetto italiano (residente Italia)– (Non vi è ritenuta italiana sui redditi per lavoro fuori Italia, se il soggetto diviene non residente. Se resta residente, il datore può continuare a operare ritenute IRPEF normalmente)Tassazione esclusiva nello Stato dove si lavora (se residente anche lì per trattato, es. art. 15 It.-EAU) oppure tassazione concorrente (residenza italiana tassa ma deve dare credito per imposte pagate all’estero) .Caso espatriato: se erroneamente tassato in Italia ma convenzione assegna esclusiva all’estero, rimborso integrale IRPEF italiano . Caso residente IT con lavoro estero: credito d’imposta art. 165 su IRPEF italiana per evitare doppia imposizione.
Lavoro autonomo/professionale – Prestazione in Italia di non residenteRitenuta 30% a titolo d’imposta sul compenso lordo (talora su 75% se deduzione forfetaria 25% ex art. 54 co.8 TUIR, applicabile a non residenti in alcuni casi di diritto d’autore) .Esente da tassazione in Italia se il professionista non residente non ha base fissa (o stabile organizzazione) in Italia (art. 14 Modello previgente, art. 7 nuovo). L’Italia tassa solo se c’è base fissa/stabile e limitatamente ai redditi ivi attribuibili.Rimborso: il non residente senza base fissa può chiedere rimborso dell’intera ritenuta 30% subita . Necessario attestare residenza estera e assenza di base fissa (dichiarazione attività svolta fuori ITA).
Pensione privata pagata da ente italiano a residente esteroRitenuta 30% a titolo d’imposta (facoltativa in luogo di tassazione ordinaria) . Spesso l’ente paga con aliquote IRPEF ordinarie se non richiesto diversamente.Tassazione esclusiva nello Stato di residenza del pensionato (art. 18 Modello) . Italia non tass(a) nulla.Rimborso: il pensionato residente estero ottiene integrale rimborso IRPEF trattenuta dall’Italia . Non serve provare doppia tassazione, basta certificato di residenza estera . (Eccezione: pensioni pubbliche art. 19 spesso tassate solo Italia – niente rimborso in tal caso).
Dividendi distribuiti da società italiana a non residente (persona fisica o società)Ritenuta 26% a titolo d’imposta sul dividendo lordo . (Società UE qualificate: esenzione direttiva madre-figlia; in tal caso 0%)Tassazione concorrente: Italia può prelevare max 15% (persone fisiche) o 5% (società controllanti) ; Stato di residenza tassa il dividendo (concede credito per imposta italiana).Rimborso: non residente può ottenere restituzione di quanto eccede l’aliquota convenzionale (es. 11% se spettava 15%) . È sufficiente la soggezione a tassazione estera, non occorre prova del pagamento . Attenzione al requisito di beneficiario effettivo : se il percettore estero è solo interposto, rimborso negato per abuso.
Interessi pagati da soggetto italiano a non residente (es. interessi su prestiti, conti)Ritenuta 26% a titolo d’imposta . (Eccezioni: titoli Stato white list esenti; finanziamenti LT esenti; interessi infragruppo UE esenti per direttiva)Tassazione concorrente limitata: Italia può tassare di regola fino 10% (aliquota tipica convenzioni) oppure 0% in alcuni trattati per interessi pagati a enti pubblici o particolari istituzioni. Stato di residenza tass(a) e dà credito.Rimborso: non residente chiede rimborso del prelievo italiano oltre l’aliquota convenzionale (es. recupera 16% se trattato 10%) . Vale clausola beneficiario effettivo (no conduit).
Royalties (canoni per uso di opere dell’ingegno, brevetti, know-how, ecc.) pagate da italiano a non residenteRitenuta 30% a titolo d’imposta sul compenso (talora su 75% base se deduzione forfetaria 25% applicabile) . (Royalties infragruppo UE: possibile esenzione direttiva se requisiti)Tassazione concorrente o esclusiva a seconda dei trattati: molti prevedono aliquota max 5-10% allo Stato fonte, altri 0% (esenzione). Stato di residenza tassa (con credito).Rimborso: percettore estero recupera la differenza oltre l’aliquota convenzionale (o tutto se esente) . Necessario certificare residenza e comprovare di essere beneficiario effettivo (no treaty shopping). L’Italia può richiedere prova che la società estera non retrocede i pagamenti a terzi extra-trattato, in caso di dubbi di abuso .

(Legenda: “imponibili soltanto in detto Stato” = tassazione esclusiva; “concorrente” = tassazione in entrambi gli Stati con credito in residenza; aliquote convenzionali indicate possono variare trattato per trattato, qui si riportano quelle comuni.)

Tabella 2 – Procedura di rimborso di ritenute italiane non dovute (per non residenti)

AspettoDescrizione / Regola
Ufficio competenteAgenzia delle Entrate – Centro Operativo di Pescara (COP). È l’ufficio centralizzato per i rimborsi a non residenti in base a convenzioni. L’istanza va indirizzata e inviata a questo Centro .
Termine per la domanda48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata applicata . Decorso questo termine (4 anni), il diritto al rimborso si prescrive (art. 38 DPR 602/73).
ModulisticaUtilizzare i modelli ufficiali se esistenti: ad es. Modello A (dividendi) , Modello B (interessi), Modello C (royalties), Modello D (altri redditi) – approvati con Provv. 10/07/2013 . I modelli sono bilingue (IT/EN) e richiedono certificazioni allegate. In assenza di modello specifico (es. per lavoro dipendente, pensioni), redigere istanza libera contenente: dati richiedente, importo e natura reddito, imposta italiana pagata, imposta convenzionale dovuta, trattato applicato, IBAN per eventuale accredito, firma.
Documenti da allegare– Certificato di residenza fiscale estera rilasciato dall’Autorità fiscale dello Stato estero, attestante che il beneficiario è ivi residente ai sensi convenzionali per l’anno d’imposta considerato . <br>– Documentazione sul reddito e sulla ritenuta subita: es. certificazione del sostituto d’imposta italiano (C.U. non residente) o ricevute di pagamento F24, contratto da cui si evince la natura del reddito, cedolino pensione, ecc. <br>– Eventuale attestazione di avvenuta tassazione estera sul medesimo reddito (solo se richiesta): per i rimborsi in base a convenzione non è più necessaria di regola , ma per il rimborso unilaterale 11/26 sui dividendi è richiesta (certificato dell’ufficio estero che attesti l’imposta pagata su quegli utili) . <br>– Dichiarazione beneficiario effettivo (se pertinente): ad esempio, nel Modello A il richiedente dichiara di essere il beneficial owner dei dividendi . Per royalties, spesso serve una lettera dichiarativa che i pagamenti non sono girati a terzi e che il richiedente possiede il diritto ceduto. <br>– Documenti anti abuso (se applicabile): se struttura complessa, possibili organigrammi societari, bilanci, ecc. per provare sostanza economica.
Spedizione e presentazione– Invio cartaceo: spedire l’istanza e allegati in originale (o copie conformi) via raccomandata A/R internazionale al Centro Operativo di Pescara – Settore Rimborsi non residenti, via Rio Sparto 21, 65100 Pescara, ITALIA. <br>– Canali telematici: alcuni Paesi hanno convenuto procedure semplificate: ad es. per residenti USA con modello 6166 in certi casi la banca italiana può applicare direttamente riduzione. In generale però il canale è cartaceo. Tramite intermediari italiani abilitati (es. commercialisti) è possibile presentare via PEC con firma digitale. <br>– Conservare prova d’invio (ricevuta A/R) e copia dell’istanza. Non è previsto modulo di ricevuta automatica dall’Agenzia, se non quando arrivano comunicazioni di esito.
Tempi di lavorazioneVariabili. In media i rimborsi convenzionali possono richiedere diversi mesi (12-24 mesi non sono insoliti, specie se l’importo è rilevante e necessita di istruttoria approfondita). L’interessato può sollecitare informazioni via PEC al COP. Decorsi inutilmente 48 mesi dalla richiesta senza esito, si può intendere rigettata (silenzio-rifiuto) e ricorrere in Commissione.
Esito e pagamentoIn caso di accoglimento, l’Agenzia liquida il rimborso dovuto maggiorato degli interessi al tasso legale dal giorno dell’istanza (art. 44 DPR 602/73). Il pagamento avviene tramite bonifico bancario internazionale o assegno estero. <br>In caso di diniego espresso, verrà notificato un provvedimento motivato (es. “mancanza requisiti convenzionali”, “beneficiario non residente”, “istanza oltre termini”…). Contro il diniego (o contro il silenzio-rifiuto oltre 90 gg dalla domanda) il contribuente può presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di I grado (ex Comm. Trib.) entro 60 giorni, indicando l’eventuale domiciliatario in Italia.

Domande frequenti (FAQ) su doppia imposizione e rimborso ritenute

D: Se lavoro temporaneamente all’estero, devo pagare le tasse in Italia sullo stipendio estero?
R: Dipende dalla tua residenza fiscale e dalla durata/condizioni del lavoro all’estero. Se rimani residente fiscale in Italia, in linea di principio l’Italia tassa il tuo reddito mondiale, incluso lo stipendio estero, ma eviterà la doppia imposizione concedendoti un credito d’imposta per le imposte eventualmente pagate all’estero . Inoltre, se esiste una convenzione, potrebbe prevedere l’esenzione del reddito estero nello Stato della fonte (se, ad esempio, hai lavorato lì meno di 183 giorni e le altre condizioni dell’art. 15 sono soddisfatte). In tal caso solo l’Italia lo tasserebbe, evitando comunque la doppia tassazione. Al contrario, se ti sei trasferito all’estero ed hai lì la residenza fiscale (es. iscritto AIRE e criteri soddisfatti), generalmente la convenzione attribuisce la tassazione esclusiva al nuovo Stato di residenza: lo stipendio estero non va tassato in Italia. Eventuali ritenute IRPEF trattenute in Italia per errore (ad es. dal datore italiano che non sapeva del trasferimento) possono essere recuperate tramite rimborso . In sintesi: verifica la tua residenza fiscale per l’anno in questione e controlla la convenzione tra Italia e Stato estero; se resti residente ITA dovrai dichiarare il reddito estero in Italia (con credito per l’estero), se diventi residente fuori, di regola non paghi più IRPEF Italia su quel reddito (ed eventualmente recuperi quanto trattenuto).

D: Che cos’è il credito per imposte estere e come funziona?
R: Il credito d’imposta per imposte estere (art. 165 TUIR) è il meccanismo con cui l’Italia elimina la doppia imposizione quando un residente italiano ha redditi prodotti e tassati anche all’estero. In pratica, l’IRPEF italiana dovuta su quel reddito viene ridotta (“scontata”) delle imposte pagate all’estero su di esso . Il credito spettante è pari all’imposta estera pagata, ma con un limite: non può superare la quota di IRPEF italiana che proporzionalmente grava su quel reddito estero. Se l’estero ha tassato di più dell’Italia, l’eccedenza non è utilizzabile (rimane un costo); se ha tassato di meno, l’Italia preleverà la differenza. Esempio: reddito estero 10.000 €, tassato all’estero 2.000; IRPEF italiana su 10.000 sarebbe 2.500; il credito spetta per 2.000 (pagati fuori), e pagherai 500 in Italia. Il credito si calcola nella dichiarazione dei redditi italiana e richiede che l’imposta estera sia stata definitivamente pagata (non solo trattenuta come acconto) entro la presentazione della dichiarazione . Se viene pagata dopo, si può recuperare con riliquidazione (art. 165 co.7) . Importante: il credito vale solo per imposte sul reddito (IRPEF/IRES) e non per imposte sostitutive italiane . Quindi su redditi soggetti a cedolare, forfait ecc., non si può scontare l’estero. In tali casi bisognerebbe evitare la doppia tassazione agendo sul lato estero (chiedendo rimborso lì o esenzione via convenzione).

D: Sono un pensionato italiano residente all’estero con convenzione: perché l’Italia mi trattiene ancora le imposte sulla pensione e come posso evitarlo?
R: Può succedere se non hai ancora fatto valere la convenzione. Molti enti pagatori (come l’INPS) tassano alla fonte le pensioni finché non ricevono dal pensionato la richiesta di esenzione convenzionale con relativa documentazione. La soluzione è: presentare all’ente pensionistico il certificato di residenza fiscale estera e l’istanza di applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni. Di solito c’è un modulo specifico (ad esempio il modulo EP-I/EP-II per l’INPS, via il portale Citizen) . Una volta accettata, l’INPS sospenderà o ridurrà le ritenute IRPEF in base al trattato. Per le imposte che ti sono già state trattenute negli anni precedenti (non oltre 4), devi invece presentare un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate – Centro Operativo di Pescara, allegando il certificato di residenza estero e indicando che, secondo la Convenzione (art. 18), la tua pensione è tassabile solo nel Paese di residenza. La Cassazione ha confermato che hai diritto al rimborso completo di quanto trattenuto dall’Italia , anche se magari nel tuo nuovo Paese la pensione gode di agevolazioni (non devi aver paura: non possono negarti il rimborso perché paghi poche tasse all’estero ). Quindi: per il futuro fai applicare la convenzione direttamente, per il passato chiedi rimborso a Pescara.

D: Ho percepito dividendi da azioni italiane come non residente, subendo il 26% di ritenuta. Posso recuperare qualcosa?
R: Sì, quasi certamente. L’Italia ha stipulato convenzioni che in genere riducono la tassazione sui dividendi transfrontalieri al 15% (o meno se sei una società con ampia partecipazione). Dunque, se hai pagato il 26%, puoi chiedere un rimborso dell’eccedenza (11% per arrivare al 15%). Devi: essere residente in un Paese che ha un trattato fiscale con l’Italia; ottenere un certificato dall’autorità fiscale del tuo Paese attestante la tua residenza fiscale lì; compilare il Modello A dell’Agenzia Entrate (o fare istanza scritta) indicando i dividendi, l’imposta subita (26%) e citando la Convenzione che limita l’aliquota al 15% . Allegare il certificato e la documentazione (ad esempio un attestato dalla banca italiana del pagamento del dividendo e ritenuta). Inviare tutto al Centro Operativo di Pescara entro 4 anni dal pagamento del dividendo. Dopo verifica, l’Agenzia ti rimborserà la differenza. Importante: devi anche dichiarare di essere il beneficiario effettivo dei dividendi (non una fiduciaria per altri) . Se per caso il tuo Paese di residenza non preleva ulteriori tasse su quei dividendi, non temere: hai comunque diritto al rimborso . Questo è stato chiarito dalle corti: basta che il dividendo fosse potenzialmente tassabile nel tuo Paese. Esempio: un investitore UK incassa dividendi italiani netti al 74% (dopo 26% WHT). Può recuperare 11% e portare la tassazione italiana al 15%, come da trattato; non importa se nel frattempo il Regno Unito su quei dividendi non chiederà altre imposte (perché magari l’investitore è in fascia esente o altro) – l’Italia deve comunque ridare l’eccedenza per onorare il trattato.

D: Quali documenti devo presentare per ottenere il rimborso delle ritenute italiane?
R: I documenti chiave sono: attestazione di residenza fiscale estera (rilasciata dal tuo fisco, spesso esiste un formato predefinito o bollato), senza la quale l’Italia non riconosce che hai diritto ai benefici convenzionali; poi la prova del prelievo subito in Italia (certificazione del sostituto d’imposta italiano, o quietanze, o contratto da cui ricavare l’ammontare). Inoltre, nelle richieste c’è una sezione dove dichiari la base giuridica (convenzione X, articolo Y) e, se richiesto, di essere il beneficiario effettivo del reddito. Se la normativa interna lo prevede (solo per alcuni casi come il rimborso 11/26 dividendi, non in convenzione), va allegata anche la certificazione delle imposte pagate all’estero sullo stesso reddito . Ma attenzione: per i rimborsi su base di convenzione, dopo le evoluzioni giurisprudenziali, non ti possono più chiedere la prova che hai pagato all’estero. Semmai, allega spontaneamente una copia della tua dichiarazione estera o quietanza estera se hai pagato, ma non è un requisito legale. Altra cosa: se richiedi importi significativi, preparati eventualmente a fornire chiarimenti su chi è la tua società, la natura del reddito, ecc., specie per dividendi e royalties (la questione del beneficiario effettivo). Quindi, riassumendo, check-list: modulo/istanza compilatocertificato di residenza fiscale estera originaledocumento del sostituto italiano che evidenzia l’imposta pagatacontratto/fattura/ricevuta del reddito. Invia il tutto firmato e possibilmente con traduzioni in italiano se i documenti esteri sono in altra lingua (talvolta richieste).

D: Quanto tempo ci vuole per avere il rimborso?
R: Non c’è un termine perentorio fissato per legge per l’erogazione, quindi i tempi possono variare. Dalla ricezione, il COP Pescara effettua controlli – se tutto è chiaro e importi modesti, potrebbe liquidare in alcuni mesi (6-12 mesi). Se l’importo è rilevante o la pratica complessa, potrebbe prendere più tempo, talvolta 1-2 anni. Casi segnalati aneddoticamente: alcuni hanno atteso anche 3 anni. L’Agenzia deve anche pagare gli interessi legali sul ritardo, quindi è incentivata a non tardare troppo. Se passa molto tempo (oltre 24 mesi) senza riscontro, conviene farsi assistere da un professionista che possa sollecitare formalmente o valutare un ricorso per silenzio-rifiuto (dopo 90 giorni dalla domanda si potrebbe teoricamente ricorrere, ma molti preferiscono attendere una risposta esplicita). Tieni presente che su migliaia di richieste l’anno, la maggior parte viene evasa senza bisogno di contenzioso. Dunque armati di pazienza; se la documentazione è corretta, il rimborso arriva, accreditato sul conto estero che hai indicato o tramite l’intermediario eventualmente nominato.

D: Cosa succede se nel frattempo ho cambiato idea e preferisco utilizzare il rimborso “ordinario” invece del trattato (o viceversa) per i dividendi esteri?
R: In linea di massima, come chiarito dall’Agenzia, puoi scegliere l’opzione più favorevole, ma una volta fatta l’istanza di rimborso indicando un certo titolo (convenzione o art. 27(3) DPR 600), quella sarà valutata. Se ti rendi conto di aver sbagliato opzione (esempio: il tuo Paese non ha convenzione e chiedi convenzione inesistente, mentre potevi chiedere l’11/26 per rimborso ordinario), l’istanza verrà respinta per mancanza di base giuridica – potrai però presentarne un’altra, se nei termini, con l’altro regime. Se invece esistono due regimi alternativi applicabili (convenzione vs 11/26) e tu ne hai già sfruttato uno (es. hai ottenuto rimborso parziale 11/26) difficilmente potrai poi chiedere anche il rimborso convenzionale sulla stessa ritenuta – c’è infatti il divieto di doppia compensazione. Quindi valuta bene a monte: se la convenzione ti dà un’aliquota minore del 15%, conviene usare la convenzione; se la convenzione non c’è o è meno favorevole (caso raro), c’è l’opzione domestica 11/26 . Ricorda: l’art. 27(3) rimborso 11/26 richiede prova tasse pagate estero, la convenzione no.

D: Posso evitare direttamente la ritenuta italiana, anziché pagarla e poi chiedere rimborso?
R: Sì, in molti casi è possibile ottenere l’esonero o l’applicazione diretta dell’aliquota convenzionale alla fonte, presentando in anticipo al sostituto d’imposta italiano i documenti. Ad esempio, se sei un investitore estero in titoli italiani, puoi fornire alla tua banca/intermediario fiscale italiano il certificato di residenza estero e il Modello attestazione (spesso usano modelli simili al Modello A) chiedendo la ritenuta ridotta subito . Molte banche lo fanno su richiesta, soprattutto per importi grossi. Per le pensioni, come detto, si può chiedere all’INPS la detassazione alla fonte. Per compensi professionali e altri redditi, il committente italiano può a sua volta astenersi dall’applicare la ritenuta se l’Agenzia delle Entrate lo autorizza: come nella risoluzione sugli attori stranieri, la Fondazione italiana non ha trattenuto il 30% avendo ricevuto domanda e documenti dell’artista estero . Di solito, il sostituto vuole una “pezza d’appoggio” ufficiale (interpello o autorizzazione AdE) per non applicare la ritenuta, altrimenti è responsabile in solido. In mancanza di tempo o di sicurezza, preferiscono operare la ritenuta e lasciare a te il compito di reclamare. Quindi, per evitarti la trafila del rimborso: cerca di comunicare per tempo il tuo status estero e la convenzione applicabile al pagatore italiano, presentando la certificazione di residenza e una richiesta formale di applicazione trattato. Non c’è garanzia che lo faccia (specie per dividendi le società seguono procedure standard), ma tentare conviene. Alcuni redditi (es. interessi obbligazionari) magari li incassi tramite un intermediario qualificato che conosce già il tuo status estero – in tal caso viene applicata l’esenzione ab origine (come per i titoli di Stato). Insomma, meglio prevenire con la documentazione in anticipo, quando possibile, così eviti di anticipare tu le imposte per poi doverle recuperare.

D: Cosa significa “beneficiario effettivo” e perché è importante per i rimborsi?
R: “Beneficiario effettivo” (beneficial owner) è un concetto chiave nelle convenzioni per dividendi, interessi e royalties. Serve a identificare chi ha realmente diritto al reddito e impedire che soggetti di comodo, pur residenti in Paesi convenzionati, ottengano benefici fiscali per conto di altri. In pratica, quando chiedi un rimborso, l’Agenzia può verificare se sei proprio tu il beneficiario economico finale di quel reddito. Lo sei se, ad esempio, percepisci il dividendo per conto tuo e lo includi nel tuo reddito, oppure se la tua società estera che riceve la royalty la trattiene come proprio ricavo. Non sei beneficiario effettivo se fai solo da intermediario passivo, girando la quasi totalità del reddito a qualcun altro con residenza in un Paese terzo (magari senza trattato). In quel caso, l’idea è che stai facendo treaty shopping – sfrutti il trattato del tuo Paese per far risparmiare tasse a un soggetto che non ne avrebbe diritto. Se l’Agenzia riscontra ciò (e deve provarlo con indizi solidi), respingerà il rimborso sostenendo che le convenzioni non si applicano a situazioni abusive. E la Cassazione le dà ragione in simili circostanze . Dunque, per la maggior parte delle persone fisiche e delle società operative genuine, essere beneficiario effettivo non è in dubbio. Lo diventa per holding/società intermediarie: se sei una holding estera e chiedi rimborso su dividendi da controllata italiana, aspettati che ti chiedano prova che sei tu la destinazione finale (ad es. mostrando che i dividendi finiscono nei tuoi utili e non vengono immediatamente rigirati a un’altra holding ancora). Se sei una società di gestione royalties, dovrai mostrare che hai sostanza economica e non sei uno schermo vuoto. In conclusione, beneficiario effettivo significa che hai controllo, diritto e beneficio economico su quel reddito, e non sei obbligato legalmente o contrattualmente a trasmetterlo ad altri. Se rispetti ciò, hai titolo pieno al rimborso convenzionale; se no, il Fisco può negarlo per evitare abusi .

D: Le convenzioni contro le doppie imposizioni prevalgono sempre sulla legge italiana?
R: Sì, le convenzioni internazionali, una volta ratificate, hanno forza di legge e prevalgono sulle norme interne difformi in materia tributaria . Ciò è sancito espressamente nell’ordinamento italiano, come dicevamo (art. 169 TUIR e art. 75 DPR 600/73), ed è confermato dalla giurisprudenza. Significa che se una legge italiana ti imponesse una tassa, ma la convenzione dice che l’Italia non può tassare quel reddito, quest’ultima regola vince. Ad esempio, se il TUIR considera imponibile in Italia un reddito di un non residente, ma la convenzione lo attribuisce solo all’estero, l’amministrazione non deve applicare il TUIR in quel caso specifico. Anche in sede di dichiarazione dei redditi, c’è un apposito campo per indicare i redditi esenti in Italia per convenzione (così non vengono tassati). Un caso comune: cittadini italiani che risiedono in Paesi a fiscalità privilegiata – la legge italiana li presume residenti in Italia (se non provano il contrario), ma se c’è una convenzione in mezzo, la loro residenza fiscale ai fini convenzionali verrà decisa coi criteri del trattato e l’Italia deve adeguarsi. Questo a volte porta l’Agenzia a insistere lo stesso con accertamenti, ma in giudizio i contribuenti spesso prevalgono mostrando il trattato. Insomma, la convenzione è il tuo scudo: è legge dello Stato e, in caso di contrasto con una norma interna, quest’ultima deve cedere nella misura del contrasto. Ovviamente parliamo di norme riguardanti le imposte oggetto del trattato; per aspetti non coperti (es. sanzioni, adempimenti, ecc.) si applica la legge italiana.

D: Cosa posso fare se l’Agenzia delle Entrate respinge (o non risponde a) la mia richiesta di rimborso?
R: Se l’Agenzia emette un provvedimento di diniego del rimborso, hai diritto a presentare ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) entro 60 giorni dalla notifica. Nel ricorso contesterai le ragioni del diniego, allegando nuovamente la documentazione e invocando gli articoli di convenzione e le sentenze pertinenti. Spesso, quando il diniego è basato su motivi formali (es. “mancanza certificato estero”), se in giudizio produci il certificato, la Commissione può darti ragione. Se invece il diniego è per questione di merito (es. “beneficiario non effettivo, schema abusivo”), allora la controversia può essere più complessa e richiederà di provare che non c’è abuso. Tieni presente che le corti tributarie italiane negli ultimi anni in materia di doppia imposizione sono state spesso favorevoli ai contribuenti quando avevano buone argomentazioni (anche citando giurisprudenza di Cassazione e CGUE). Nel ricorso, è utile richiamare, se pertinenti, pronunce come Cass. 10308/2024, Cass. 26377/2018, CGUE C-540/07, ecc. . Se l’Agenzia invece non risponde affatto (silenzio), dopo 90 giorni dalla presentazione dell’istanza di rimborso il silenzio vale come rifiuto tacito e puoi già impugnarlo in Commissione (non serve aspettare 48 mesi, quello è per la prescrizione del diritto, ma il silenzio-rifiuto sorge dopo 90 giorni). In pratica però molti aspettano un po’ di più, magari sollecitando l’ufficio: se la pratica è in corso può arrivare la risposta anche dopo 1-2 anni. Il ricorso contro silenzio-rifiuto ha lo stesso obiettivo: far dichiarare dal giudice che hai diritto al rimborso. È sempre consigliabile farsi assistere da un tributarista esperto in convenzioni, perché sono cause dove si discute di diritto internazionale e prova della residenza, non comuni a tutti gli avvocati. Da segnalare: esiste anche la possibilità di attivare la Mutual Agreement Procedure (MAP) prevista da molti trattati (Articolo “Procedura amichevole”), in caso di imposizione non conforme al trattato. È uno strumento diplomatico: presenti istanza alle Autorità competenti (in Italia, MEF – Dip. Finanze) perché si mettano d’accordo con l’altro Stato e risolvano il caso di doppia tassazione. Però per semplici rimborsi generalmente non serve; la MAP è più per questioni tipo residenza contestata, doppia imposizione economica non risolta, ecc. Quindi, per il rimborso, la via maestra resta il ricorso tributario interno. Fortunatamente, con gli ultimi orientamenti, hai molte chance di successo se la tua posizione rientra chiaramente nel trattato.

D: Lavoro frontaliero, come funziona la doppia imposizione?
R: I lavoratori frontalieri (che risiedono in Italia ma ogni giorno attraversano il confine per lavorare, ad es. in Svizzera, San Marino, Francia, Monaco, Slovenia, ecc.) hanno regole speciali in alcune convenzioni. Per esempio, con la Svizzera c’è un accordo separato: il frontaliero paga la maggior parte delle imposte in Svizzera e solo una quota forfettaria in Italia (attualmente 80% CH, 20% all’Italia con credito limitato) . Con San Marino, se sei residente in Italia e lavori lì, San Marino tassa e Italia esenta il reddito (credo); con la Francia c’è un regime di compensazione per alcune zone. Insomma, sono casistiche particolari oltre lo scopo generale di questa guida. Di norma, se rientri nella definizione di “frontaliero” secondo la convenzione, l’Italia esenta (o detassa fortemente) il tuo reddito estero, spesso prevedendo che tu non possa superare un certo numero di giorni di lavoro fuori dall’area frontiera. Ad esempio, nel vecchio trattato con la Svizzera i frontalieri pagavano solo in Svizzera; oggi c’è un nuovo accordo (non ancora ratificato) che prevede una tassazione concorrente. In ogni caso, le regole convenzionali stabiliscono come evitare la doppia imposizione: generalmente il Paese del lavoro tassa per primo e l’altro esenta o dà credito parziale. Se pensi di avere diritto a trattamento da frontaliero ma hai subìto doppia tassazione, informati sull’accordo specifico: potresti aver diritto a rimborso in Italia per le imposte italiane prelevate su quel reddito frontaliero che per convenzione doveva essere esente (o parzialmente esente). Ad es., ci sono stati ricorsi di frontalieri in Campione d’Italia che hanno ottenuto esenzioni. È un tema molto specialistico e variabile per paese, quindi va approfondito caso per caso.

D: I redditi esteri vanno dichiarati in Italia anche se tassati solo fuori per convenzione?
R: Se sei residente fiscale in Italia, , devi indicarli comunque nella dichiarazione (salvo alcune eccezioni). Ad esempio, un residente italiano percepisce una pensione dalla Turchia tassabile solo in Turchia per convenzione: in dichiarazione dei redditi italiana quel reddito andrà indicato ma come esente (rigo dedicato in quadro CE o RL con codice esenzione da convenzione). Questo ai fini informativi e anche del calcolo per eventuali aliquote progressive (alcune convenzioni prevedono esenzione con progressività: l’Italia non tassa il reddito estero ma lo considera per determinare l’aliquota sulle restanti basi). Molte convenzioni moderne però prevedono direttamente il credito e non l’esenzione. Dunque, regola generale: i redditi esteri di un residente italiano vanno dichiarati, poi si applica il metodo convenzionale (credito o esenzione) per non tassarli due volte. Se non li dichiari affatto, l’Agenzia potrebbe rilevare l’omissione (anche se non dovuti a tassazione, andavano segnalati). Per i non residenti, invece, i redditi esenti per convenzione in Italia ovviamente non si dichiarano in Italia.

D: Una società estera ha ottenuto il rimborso delle ritenute italiane sugli utili distribuiti, può anche chiedere la detrazione delle imposte italiane nel suo paese?
R: No, sarebbe un indebito doppio beneficio. Se hai chiesto rimborso delle imposte nello Stato della fonte, significa che di fatto quelle imposte le hai recuperate, quindi non hai più diritto a un credito d’imposta nel tuo Stato di residenza (perché non hai sostenuto alcun costo fiscale all’estero). Ad esempio, società tedesca riceve dividendo italiano 100 con 26 di ritenuta: chiede e ottiene rimborso 11 (per arrivare a 15%). Nel dichiarare in Germania, potrà al massimo accreditarsi 15 come imposta estera (non 26, e neppure 26-11=15 se gliel’hanno già ridato? – in realtà aspetterà l’esito). Insomma, c’è un coordinamento implicito: o chiedi rimborso allo Stato fonte o chiedi credito nello Stato di residenza, l’importante è non ottenere entrambi su stessa imposta. Le amministrazioni scambiano anche informazioni su questi rimborsi, quindi eventuali abusi verrebbero rilevati. Scegli la via più efficiente: di solito meglio rimborso alla fonte se l’aliquota convenzionale è più bassa dell’imposta che avresti altrimenti pagato a casa. D’altra parte, se il tuo Paese di residenza concede esenzioni totali (es. holding participation exemption), allora sicuramente devi puntare al rimborso in Italia perché in patria non hai nulla da detrarre.

D: Cos’è la “doppia non imposizione” e perché viene citata?
R: La “doppia non imposizione” è l’opposto della doppia imposizione: significa che un reddito, a causa di lacune o interazioni tra sistemi fiscali, finisce per non essere tassato da nessuno dei due Stati (o tassato in misura simbolica in uno e niente nell’altro). Le convenzioni non hanno l’obiettivo diretto di evitare la doppia non imposizione, ma può accadere come effetto collaterale (esempio classico: Paese A cede tassazione a Paese B, Paese B esenta quel reddito per sua politica interna – risultato: nessuno tassa). Gli Stati negli ultimi anni sono sempre più attenti a questo fenomeno, considerandolo indesiderato. Non tassare un reddito in nessuno dei due Paesi può dare un vantaggio non voluto al contribuente e “bucare” il sistema. Tuttavia, dal punto di vista legale, se una convenzione è formulata in termini di esclusiva tassazione in uno Stato, l’altro Stato deve rinunciare, anche se ciò produce doppia non imposizione (come nel caso Emirati Arabi: reddito tassabile solo negli EAU, ma lì non c’è IRPEF – pazienza, l’Italia ha rinunciato comunque ). Per contrastare la doppia non imposizione frutto di stratagemmi, si inseriscono clausole anti-abuso e si interpretano le convenzioni in buona fede: ad es. la Corte di Giustizia UE ha detto che un Paese non può giustificare discriminazioni affermando che tanto l’altro Stato non tassa (C-540/07) . E la Cassazione (10792/2016) ha parlato di interpretazione secondo buona fede che non consenta una doppia non imposizione in caso di treaty shopping . Quindi il concetto appare in negativo: non usare i trattati per ottenere zero tasse in entrambi i paesi con costruzioni artificiose (questo è considerato abuso). Ma se la doppia non imposizione deriva semplicemente dal mismatch di sistemi (es. pensionato italiano in Portogallo con esenzione decennale NHR – per 10 anni nessuno tassa la pensione), questo è un effetto voluto dal Portogallo e accettato dall’Italia per trattato, e il contribuente legittimamente ne beneficia. In breve, non devi preoccuparti se non paghi nulla all’estero perché sei in regime agevolato: hai comunque diritto al rimborso delle tasse italiane se la convenzione lo prevede . La doppia non imposizione è un problema per i legislatori, non per il singolo che segue le regole. L’importante è non creare tu artificiosamente le condizioni, ad esempio spostando la residenza fittiziamente solo per non pagare in nessuno dei due (quello sì sarebbe contestabile come abuso se la residenza è finta).

D: La convenzione modello OCSE si applica anche alle imposte locali (es. addizionali regionali/comunali) o ad altre tasse?
R: In genere, le convenzioni elencano le imposte cui si applicano, di solito le imposte sul reddito nazionali (IRPEF, IRES per l’Italia). Non coprono strettamente, ad esempio, l’IVA o altre imposte indirette, né contributi previdenziali. Le addizionali regionali/comunali IRPEF in Italia sono imposte sul reddito, ma specifiche locali. Le convenzioni si riferiscono all’IRPEF nazionale; tuttavia, per coerenza, l’Italia in caso di esenzione convenzionale su un reddito non applica neppure le addizionali su quel reddito (perché le addizionali sono calcolate sull’imposta IRPEF base). In pratica, se un reddito non entra proprio in dichiarazione IRPEF perché esente da convenzione, non genera neanche addizionali. Se invece entra con credito d’imposta, pagherai addizionali sull’imposta netta risultante dopo il credito? Tecnicamente l’addizionale si calcola sul reddito imponibile al netto delle esenzioni, quindi se hai credito può capitare di pagare addizionale su un reddito su cui hai neutralizzato l’IRPEF con credito: è un cavillo, ma in generale il sistema credito potrebbe farti pagare addizionale regionale. Questo è un aspetto complesso e ancora dibattuto (alcuni sostengono che il credito vada considerato solo sull’imposta statale e le addizionali andrebbero versate, altri no – è tecnico). Per i non residenti che chiedono rimborso, la questione non si pone: le addizionali non si applicano ai non residenti (pagano una imposta sostitutiva 30% se mai, che le include). Comunque, per stare sul sicuro: le convenzioni evitano la doppia imposizione sulle imposte elencate (che di solito sono statali sul reddito). Su eventuali tributi fuori elenco, bisogna vedere caso per caso nella convenzione se c’è clausola che le estende a imposte analoghe future. Di solito sì, c’è scritto “anche alle imposte identiche o sostanzialmente simili istituite dopo”. Quindi un’addizionale sull’IRPEF potrebbe rientrare in “imposte sostanzialmente simili”. In pratica l’Amministrazione considera i redditi esenti per convenzione del tutto fuori imposizione, addizionali incluse (fa così con le pensioni: se esente da IRPEF, non trattiene neanche addizionale). Quindi non preoccuparti, non è che tolgono IRPEF ma ti lasciano pagare l’addizionale su reddito estero – sarebbe assurdo e non avviene.

D: Lavoro in due Stati, come evito di essere tassato due volte su uno stesso reddito?
R: Se parli di stesso reddito (es. un lavoro dipendente svolto metà in Italia e metà all’estero per lo stesso datore, oppure un compenso per progetto svolto in parte qui e in parte fuori), la chiave è segmentarlo: in base alle regole interne e convenzionali, dovresti dichiarare in ciascuno Stato la parte di reddito ivi prodotto e pagare lì relative imposte, evitando che entrambi tassino l’intero. Le convenzioni aiutano a stabilire competenza. Ad esempio, se sei residente in Italia ma hai un reddito d’impresa con stabile organizzazione all’estero, l’estero tassa gli utili della stabile, l’Italia esenta quegli utili (se convenzione con metodo esenzione) o dà credito. In generale, evita di presentare la stessa base imponibile in due paesi senza alcun correttivo. Usa la convenzione: di solito risolve attributo su base territoriale. In situazioni più complicate, c’è la MAP (come ultima risorsa). Dal lato pratico, se hai già pagato due volte, usa il meccanismo del credito d’imposta in uno dei due paesi, o richiedi rimborso in quello dove non era dovuto. Un buon commercialista internazionale può calcolare dove conviene chiedere sollievo, rispettando la legalità. E se due Stati litigano su chi può tassare (succede per residenza contestata o interpretazioni diverse del trattato), la MAP serve a negoziare una soluzione ed evitare doppia tassazione.

D: In conclusione, qual è il “punto di vista del debitore” di cui si parlava all’inizio?
R: Il debitore d’imposta è il contribuente tenuto al pagamento dell’imposta (in contrapposizione al Fisco, creditore). Dal punto di vista del contribuente, la doppia imposizione è un problema serio perché significa pagare due volte su stessi redditi. Fortunatamente, gli strumenti giuridici esistono e – se ben utilizzati – permettono di farsi tassare correttamente una volta sola. Questa guida ha voluto illustrare tali strumenti dal lato pratico di chi li aziona: come ottenere un rimborso dall’Italia se hai pagato troppo, come utilizzare i crediti d’imposta, quali documenti procurarti, quali ostacoli potresti incontrare (richieste di prova, tempi lunghi, eccezioni antiabuso) e come superarli. Il tutto in un linguaggio comprensibile ma aderente alla normativa avanzata, cosicché tu possa dialogare efficacemente con consulenti fiscali o uffici finanziari. Ricorda, infine, che prevenire è meglio che curare: informarsi prima sulle regole, presentare attestazioni di residenza ai datori o alle banche, scegliere il regime più adatto, sono passi che possono risparmiarti lungaggini. Ma se ormai la doppia imposizione è avvenuta, non disperare: con un po’ di pazienza e documenti in regola, il rimborso delle imposte italiane indebitamente pagate è un tuo diritto tutelato dalla legge e dalle convenzioni internazionali. Buona pianificazione fiscale internazionale!

Fonti: Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (Modello OCSE e trattati bilaterali italiani) – Normativa italiana (DPR 917/1986, DPR 600/1973) – Circolari e risoluzioni Agenzia Entrate – Giurisprudenza di Cassazione (sentt. n. 10706/2019, n. 26377/2018, n. 10308/2024, ord. n. 35284/2024 etc.) – Giurisprudenza Corte di Giustizia UE (C-540/07) – Materiale di dottrina e prassi (es. Agenzia Entrate – “Soggetti non residenti: rimborso imposte da convenzione”, Dip. Finanze – “Come ottenere esenzioni e rimborsi” ). Le sentenze citate confermano i principi esposti e le istruzioni ufficiali supportano le procedure descritte. In particolare, Cassazione 2024 (n. 10308) e 2018 (n. 26377) evidenziano l’irrilevanza dell’effettivo pagamento estero ai fini del rimborso in Italia , mentre la Cass. 2016 n. 10792 sottolinea la necessità della figura del beneficiario effettivo per fruire dei benefici convenzionali . Questi orientamenti giurisprudenziali, uniti alle disposizioni pattizie, costituiscono la base giuridica solida per ogni richiesta di evitare la doppia imposizione e ottenere giustizia fiscale

  • Cassazione civile Sez. Trib. sentenza n. 21697 del 20 luglio 2023.

Hai lavorato all’estero e ti sei visto applicare ritenute fiscali in Italia oltre alle imposte pagate nel Paese dove hai svolto l’attività? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai lavorato all’estero e ti sei visto applicare ritenute fiscali in Italia oltre alle imposte pagate nel Paese dove hai svolto l’attività?
Vuoi sapere come funziona il meccanismo per evitare la doppia imposizione e come puoi chiedere il rimborso delle ritenute indebitamente trattenute?

Quando un contribuente è fiscalmente residente in Italia, deve dichiarare i redditi ovunque prodotti. Tuttavia, se lo stesso reddito è stato tassato anche all’estero, si genera un caso di doppia imposizione.
Per evitare questo problema, si applicano le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con numerosi Stati, che regolano dove il reddito deve essere tassato e prevedono il riconoscimento di un credito d’imposta o, in alternativa, la possibilità di chiedere il rimborso delle ritenute.

👉 Spesso le contestazioni nascono da una mancata corretta applicazione della convenzione internazionale, che però può essere fatta valere in sede difensiva.


⚖️ Quando si verifica la doppia imposizione

  • Redditi di lavoro dipendente prestato all’estero tassati sia dallo Stato estero sia dall’Italia;
  • Redditi da pensione o trattamenti assimilati percepiti all’estero;
  • Redditi professionali o di collaborazione svolti in altro Paese;
  • Errata applicazione delle regole sulle trasferte internazionali o distacchi.

📌 Come chiedere il rimborso delle ritenute in Italia

  1. Verifica la convenzione internazionale applicabile: stabilisce in quale Stato il reddito va tassato.
  2. Raccogli la documentazione: buste paga estere, certificazioni fiscali, dichiarazioni dei redditi, attestazioni di imposta pagata all’estero.
  3. Compila la dichiarazione dei redditi in Italia indicando i redditi esteri e applicando il credito d’imposta per le imposte già pagate all’estero.
  4. In caso di ritenute non dovute in Italia, presenta un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate entro i termini di legge.
  5. In caso di diniego o silenzio dell’Amministrazione, valuta il ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la tua posizione fiscale e individua se esistono casi di doppia imposizione;
  • 📌 Verifica l’applicabilità della convenzione internazionale tra Italia e il Paese in cui hai lavorato;
  • ✍️ Predispone istanze di rimborso delle ritenute trattenute in Italia;
  • ⚖️ Ti rappresenta nei ricorsi contro l’Agenzia delle Entrate in caso di diniego;
  • 🔁 Elabora strategie preventive per gestire correttamente la tassazione dei redditi da lavoro estero negli anni successivi.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità internazionale e redditi da lavoro estero;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e doppia imposizione fiscale;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

La doppia imposizione sui redditi da lavoro estero è un problema frequente, ma la legge e le convenzioni internazionali offrono strumenti per recuperare le ritenute indebitamente applicate in Italia.
Con una difesa legale mirata puoi ottenere il rimborso, evitare una tassazione duplicata e proteggere i tuoi diritti di contribuente.

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