Hai ricevuto un accertamento dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati redditi da partita IVA mai dichiarati? Può accadere se hai svolto attività professionale o imprenditoriale senza aprire la partita IVA, oppure se, pur avendola, non hai mai presentato dichiarazioni fiscali. In questi casi il Fisco presume l’occultamento totale dei ricavi e applica imposte, sanzioni e interessi molto pesanti.
Quando scattano le contestazioni per redditi mai dichiarati
– Se hai svolto attività professionale o commerciale senza aprire la partita IVA
– Se hai emesso fatture senza presentare dichiarazioni dei redditi e IVA
– Se i tuoi movimenti bancari o accrediti su conto corrente non sono coerenti con i redditi dichiarati
– Se l’Agenzia delle Entrate riceve segnalazioni da clienti, fornitori o piattaforme online sui compensi pagati
– Se hai svolto attività continuative presentandole come prestazioni occasionali
Cosa rischi in caso di mancata dichiarazione
– Recupero delle imposte su tutti i redditi non dichiarati (IRPEF, IVA, addizionali, contributi previdenziali)
– Sanzioni dal 120% al 240% dell’imposta evasa
– Interessi di mora che accrescono il debito fiscale
– Contestazione di omessa dichiarazione, con rischio di procedimento penale se superi determinate soglie
– Azioni esecutive come pignoramenti, ipoteche e sequestri
Come difendersi da una contestazione per redditi mai dichiarati
– Dimostrare che le somme contestate non costituiscono redditi ma altre entrate (prestiti, donazioni, rimborsi spese)
– Contestare i calcoli dell’Agenzia delle Entrate se basati solo su presunzioni bancarie
– Dimostrare che l’attività svolta era realmente occasionale e non professionale continuativa
– Presentare dichiarazioni integrative o tardive per ridurre le sanzioni con ravvedimento operoso
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se la pretesa è sproporzionata
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento e verificare i presupposti giuridici e contabili
– Contestare la presunzione di occultamento totale dei redditi con prove documentali
– Predisporre memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare la pretesa
– Difendere il contribuente anche in sede penale-tributaria in caso di contestazione di reato
– Negoziare con l’Agenzia delle Entrate un accertamento con adesione per ridurre imposte e sanzioni
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione significativa delle sanzioni e degli interessi richiesti
– La sospensione delle procedure esecutive già avviate
– La possibilità di regolarizzare la tua posizione fiscale evitando conseguenze penali
– La tutela del patrimonio personale e familiare
⚠️ Attenzione: l’omessa dichiarazione di redditi da partita IVA è tra le violazioni più gravi agli occhi del Fisco, ma non sempre le contestazioni si basano su prove concrete. Con documenti e difesa tecnica è possibile ridurre drasticamente l’importo accertato.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e penale-tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate per redditi mai dichiarati da partita IVA e come difenderti.
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Introduzione
Il contribuente titolare di partita IVA ha l’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali (Redditi, IVA, IRAP, ecc.) anche in assenza di ricavi o imponibile. Infatti, la mancata presentazione per tre annualità consecutive delle dichiarazioni d’impresa o di lavoro autonomo (redditi o IVA) consente all’Agenzia delle Entrate di chiudere d’ufficio la partita IVA . Se invece un soggetto con partita IVA non ha prodotto fatturato ma ha omesso di dichiararlo, l’Agenzia può attivare controlli (lettere di compliance, avvisi bonari, avvisi di accertamento) ritenendo che si tratti di evasione. In questa guida esamineremo il quadro normativo (DPR 600/1973, DPR 633/1972, Statuto del contribuente L.212/2000, D.Lgs. 546/1992, D.Lgs. 218/1997, ecc.) e la casistica pratica di professionisti, ditte individuali e società di persone che vedono contestati redditi mai dichiarati. L’approccio è dal punto di vista del debitore fiscale: come individuare le difese possibili e gli strumenti deflattivi del contenzioso (ravvedimento, accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, autotutela, ecc.) per evitare o ridurre il contenzioso tributario.
Obblighi dichiarativi del titolare di partita IVA
Chi esercita un’attività di impresa o di lavoro autonomo in Italia deve presentare ogni anno le dichiarazioni fiscali relative ai redditi prodotti (modello Redditi PF o SP per società di persone) e la dichiarazione IVA, anche se nel periodo d’imposta non ha effettuato operazioni imponibili. La legge considera omessa la dichiarazione non presentata entro i termini (art. 2 DPR 600/1973). In particolare, la mancata presentazione delle dichiarazioni IVA, redditi di lavoro autonomo o impresa per tre anni consecutivi comporta la chiusura d’ufficio della partita IVA . Prima della chiusura d’ufficio, l’Agenzia deve inviare una comunicazione con 60 giorni di tempo per fornire chiarimenti o documentazione, dopodiché potrà procedere con la cessazione centralizzata della partita IVA . Questo profilo illustrativo evidenzia che anche l’assenza di fatturato non esonera l’obbligo dichiarativo: se mancano dichiarazioni in sequenza triennale, la partita IVA viene chiusa e il contribuente sarà comunque considerato inattivo. In ogni caso il contribuente può sanare la propria posizione presentando dichiarazioni integrative (anche tardive), restando però soggetto a eventuali sanzioni ridotte (ravvedimento operoso).
Dal punto di vista sanzionatorio, l’omessa dichiarazione fiscale è considerata una violazione grave. Se non vi sono redditi da dichiarare, l’Amministrazione può comunque considerare l’omissione come tentativo di evasione. La legge prevede sanzioni severe: ad esempio, se un contribuente omette la dichiarazione dei redditi, la sanzione minima è il 120% dell’imposta omessa (in mancanza di acconti, per le dichiarazioni redditi non presentate) . Se invece la dichiarazione è presentata ma risulta infedele, la sanzione minima è del 90% dell’imposta evasa . In aggiunta possono colpire anche l’IVA (art. 54 DPR 633/1972) e gli adempimenti di monitoraggio fiscale (Quadro RW) con sanzioni specifiche (es. 15%/30% per attività estere non dichiarate ). Gli interessi legali e gli aggio di riscossione si aggiungono in caso di ritardo di pagamento.
Tabella 1 – Principali obblighi del contribuente con partita IVA
| Obbligo | Norma di riferimento | Effetto in caso di inadempimento | Sanzioni base (minimo legge) |
| :— | :—: | :—: | :—: |
| Presentare dichiarazione redditi (PF/IRPEF, SP/IRPEF/IRES, IRAP) anche se zero | DPR 600/1973 art.2 (OMESSA DIC.) | Se omessa per 3 anni → chiusura d’ufficio della P.IVA . Altrimenti, accertamento tributario | Omessa dichiarazione: sanz. 120% imposta (minimo) |
| Presentare dichiarazione IVA anche se zerofatture | DPR 633/1972 art.35(15‑quinquies) | Come sopra: ammessa solo se presentata ogni anno se dovuta; mancata per 3 anni → chiusura . | Omessa dichiarazione IVA: sanz. 120% imposta (minimo) |
| Consistenza contributiva (se società di persone, ecc.) | Regole specifiche contabili | Se contabilità inattendibile → accertamento induttivo (art.39 DPR 600/73) | – |
| Versamenti imposte ed IVA | DPR 600/73 e DPR 633/72 | Ritardi o errori → sanzioni automatiche (vedi avvisi bonari art. 36‑bis) | – |
Questa tabella riassuntiva sottolinea che l’adempimento dichiarativo è obbligatorio e il contribuente deve provare l’assenza di reddito per legittimare il proprio comportamento. In molti casi, infatti, la Guardia di Finanza o i sistemi di incrocio dati rilevano incoerenze (ad es. spese elevate senza redditi, dati dall’estero, bonifici ricevuti, ecc.) e comunicano all’Agenzia delle Entrate potenziali redditi non dichiarati. In presenza di tali anomalie può scattare inizialmente una lettera di compliance o una comunicazione di irregolarità (art. 36‑bis DPR 600/1973) e poi, senza riscontro, un vero e proprio avviso di accertamento con richiesta di pagamento.
Lettera di compliance e comunicazione di irregolarità (art. 36-bis)
Prima di giungere all’avviso di accertamento esecutivo, l’Agenzia delle Entrate spesso invia al contribuente una comunicazione preventiva. Nel caso di interessi da partite IVA non dichiarati (es. fatture da fornitori, bonifici ricevuti da clienti), può trattarsi di una lettera di compliance o di una comunicazione ex art. 36-bis. La lettera di compliance descrive le irregolarità riscontrate (per esempio “dai controlli risulta un maggior reddito di €X non dichiarato”), indica i dati su cui si basa (fatture elettroniche, dati esteri, ecc.) e allega istruzioni per regolarizzarsi (accesso al Cassetto Fiscale, servizio CIVIS per assistenza o invio documenti, compilazione di dichiarazione integrativa) . In pratica, la lettera di compliance non contiene ancora una pretesa formale da pagare: è un invito a chiarire o correggere errori. Invece, la comunicazione ex art. 36-bis (avviso bonario) è già l’esito di un controllo formale sulle dichiarazioni presentate e indica i tributi dovuti con sanzione ridotta al 10% se si paga entro 30 giorni. Come sottolineato dalla prassi, la lettera di compliance non reca somme da pagare ed è non impugnabile come atto impositivo, mentre la comunicazione 36-bis include un importo preciso e può essere impugnata se diventata esattoriale .
In sede di lettera di compliance, il contribuente ha due possibilità:
- Riconoscere l’errore e correggere: può presentare una dichiarazione integrativa o effettuare i versamenti dovuti con ravvedimento operoso (art. 13 DLgs. 472/97) entro i termini (solitamente 90 giorni dalla ricezione della lettera o comunque prima che venga emesso un accertamento). In tal modo si applicano sanzioni ridotte (ad es. 1/6 o 1/15 del minimo, secondo il tempo trascorso) invece della sanzione piena .
- Contestare l’anomalia: se si è certi che i redditi contestati non sono dovuti, si invia entro il termine indicato (es. 30 giorni) una risposta scritta (via PEC, CIVIS o raccomandata) spiegando le ragioni con documenti probatori. L’Amministrazione valutata la risposta può archiviare il caso. Se però l’accertamento viene notificato ugualmente, tali spiegazioni potranno costituire parte del ricorso difensivo.
Le istruzioni al contribuente sono spesso riportate anche nella lettera stessa. Come evidenzia un recente commento, “in allegato l’Agenzia fornisce istruzioni pratiche: come usare il Cassetto Fiscale per i dettagli, il servizio CIVIS per l’assistenza e come presentare una dichiarazione integrativa” . In sostanza, la lettera di compliance suggerisce già come regolarizzarsi (con minori costi) oppure come opporsi (spiegando l’inesistenza di altri redditi). Va comunque precisato che rispondere non comporta alcun aggravio automatico: secondo recenti pronunce, l’autotutela in peius (cioè sostituire l’atto con un nuovo atto peggiorativo) è legittima solo se emergono effettivamente nuovi elementi di maggior reddito . In altre parole, spiegare all’Ufficio il proprio caso non peggiora la posizione di per sé, a meno che non si scopra davvero qualcosa di aggiuntivo. Quindi, in ogni caso, è consigliabile rispondere con documenti chiari se si è in buona fede.
Domanda (lettera ricevuta): “Ho ricevuto un avviso di irregolarità per redditi non dichiarati. Devo pagare subito?”
Risposta: Se si tratta di lettera di compliance (privi di somme da pagare), si può o meno regolarizzare. Se si è in errore, conviene presentare integrativa o correggere subito (ravvedimento operoso), pagando imposte, interessi e sanzioni ridotte (ad es. 1/6 del minimo) . Se invece si è sicuri dell’inesistenza dei redditi contestati, si può inviare entro i termini una risposta scritta all’Agenzia (pec o via CIVIS) con le proprie giustificazioni, conservando traccia dell’invio . In questo modo spesso l’ufficio archivia il caso. Se però non risulta alcuna risposta utile, la mancata reazione apre la strada all’avviso di accertamento vero e proprio.
Avviso di accertamento: termini e contenuto
Se la lettera di compliance viene ignorata o non produce effetto, l’Agenzia delle Entrate procederà all’emissione di un vero e proprio avviso di accertamento (art. 42 DPR 600/1973 per le imposte dirette; art. 56 DPR 633/1972 per l’IVA). L’atto è notificato di regola entro i termini di decadenza dall’imposta: normalmente il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (4 anni più il 31/12 dell’anno di decadenza), oppure il 7° anno se la dichiarazione era del tutto omessa. Ad esempio, per redditi 2021 non dichiarati la decadenza è in pratica il 31/12/2026 (omessa dichiarazione) o al più tardi il 31/12/2028 (omessa completa) . In concreto, come segnalato nella prassi, spesso il fisco non attende i 5 anni: dopo pochi mesi o 1-2 anni dalla lettera viene già emesso l’avviso.
L’avviso di accertamento contiene (tra l’altro) la ricostruzione dei fatti (“risulta un reddito €X non dichiarato”), la determinazione delle maggiori imposte dovute (IRPEF, IRES, IVA, IRAP, addizionali, contributi) e il calcolo delle sanzioni amministrative e degli interessi. Le sanzioni in accertamento sono di norma quelle massime previste dalla legge (al minimo di legge) . In particolare, come visto, la sanzione base è del 90% dell’imposta evasa in caso di dichiarazione infedele, e del 120% in caso di omessa dichiarazione . L’atto può inoltre applicare più sanzioni cumulabili: ad esempio, se nell’avviso si contestano anche redditi esteri, vi si aggiungerà la sanzione per omessa dichiarazione nel quadro RW (minimo 15% dell’importo non monitorato, fino al 30% per paesi black list) . Alla notifica dell’avviso inizia a decorrere il termine di 60 giorni per adempiere (pagare provvisoriamente) o per impugnare. Dal giorno successivo al termine di 60 giorni maturano poi gli interessi di mora (intorno al 3,5-4% annuo) e l’aggio di riscossione (circa 6% sull’importo iscritto a ruolo) se si procede al recupero coattivo.
Tabella 2 – Contenuto e conseguenze dell’avviso di accertamento
Contenuto / Fase | Descrizione | Effetti per il contribuente |
---|---|---|
Descrizione dei fatti | L’atto riporta i dati e le anomalie accertate (es. fatture incrociate, spese sostenute, dati esteri, ISA, ecc.). | Consente di verificare su cosa si basa la pretesa fiscale; in sede di difesa occorrerà contestare o giustificare queste anomalie. |
Quantificazione imposte | Ricalcolo delle imposte dovute sui redditi/rimborsi non dichiarati (IRPEF/IVA/IRES/IRAP, ecc.). | Indica quanto si ritiene dovuto; serve al calcolo complessivo della pretesa; può essere oggetto di negoziazione o contestazione (in adesione/conciliazione). |
Sanzioni applicate | Viene indicata la sanzione amministrativa (es. 90% o 120% dell’imposta non versata), con eventuali aggravanti accessorie. | Il contribuente deve valutare se vi siano circostanze attenuanti (assenza di dolo, mancanza di recidiva, ecc.) e può cercare di ridurre l’importo tramite adesione/conciliazione. |
Interessi | Calcolo degli interessi legali fino alla data dell’atto. | Il contribuente deve considerare anche questa voce in caso di pagamento. |
Termine per difesa | L’avviso riporta il termine di 60 giorni per impugnare o pagare. | Scaduti i 60 gg senza ricorso né versamento, l’atto diventa titolo esecutivo (iscritto a ruolo) . |
Nota | Se dopo 60 gg non si paga né ricorre, si iscrive direttamente a ruolo (la semplice notificazione rende l’avviso esecutivo) . | L’Agente della Riscossione procede al recupero coattivo (pignoramenti, fermo auto, ipoteca, ecc.) con aggio, e la sanzione aumenta del 10%. |
Questa tabella aiuta a comprendere la portata dell’avviso di accertamento. L’atto non è una “proposta”: è una richiesta formale e definitiva che deve essere impugnata entro 60 giorni, se ritenuta illegittima. All’avviso bisogna rispondere con cautela: oltre ai mezzi deflattivi che vedremo a seguire, il contribuente può anche impugnare l’atto in Commissione tributaria, sostenendo la propria difesa (con eventuali mezzi istruttori) fino alla Cassazione. Tuttavia, dato il costo e l’incertezza di una causa, spesso conviene prima esplorare le alternative “amichevoli” offerte dall’ordinamento.
Strumenti di regolarizzazione e di definizione del contenzioso
1. Ravvedimento operoso
Come anticipato, se il contribuente riconosce la fondatezza dell’infrazione (ad es. scopre di avere dimenticato di dichiarare un certo reddito o fattura), può sanare la violazione spontaneamente tramite il ravvedimento operoso (art. 13 DLgs. 472/1997). Ciò implica presentare la dichiarazione integrativa tardiva (o versare l’imposta omessa) e pagare sanzioni e interessi minimi ridotti. In sintesi, più si interviene presto, maggiore è lo sconto sulla sanzione (che va dal 30% ridotto fino allo 0% in caso di errore irreperibile entro 90 gg). Il ravvedimento si può applicare fino alla decadenza dell’accertamento (5 o 7 anni). Questo strumento permette di chiudere la vertenza con costi contenuti, evitando il contenzioso. Ad esempio, la legge prevede che per l’omessa dichiarazione si applichi la sanzione del 7,5% (anziché 120%) se ci si ravvede entro 15 giorni dalla scadenza, dello 1,5% entro 90 giorni, del 3% entro un anno, e così via . In pratica, se l’errore non è grave, il contribuente può sanare pagamenti con sanzione contenuta e addirittura senza sanzioni (se entro 90 giorni e reati di IRPEF non oltre soglie). Il ravvedimento è dunque un’autentica difesa preventiva: una volta versate le somme “regolarizzanti”, l’atto di accertamento non verrà più emesso.
2. Accertamento con adesione
L’accertamento con adesione (o definizione concordata) è lo strumento deflattivo per eccellenza introdotto dal D.Lgs. 546/1992 (attualmente disciplinato dal D.Lgs. 218/1997) per evitare il contenzioso tributario. Si tratta di un vero e proprio “accordo” tra contribuente e Amministrazione finanziaria, volto a determinare d’intesa il quantum dovuto, anticipando o evitando il giudizio. In pratica, il contribuente può negoziare direttamente con l’ufficio le imposte, sanzioni e interessi; in cambio ottiene vantaggi concreti.
Come spiega la prassi, l’adesione ha questi elementi chiave :
- Iniziativa: Può scaturire o dall’ufficio (che prima di emettere l’avviso notifica un invito a comparire, ex art.5 D.Lgs.218/1997) o dal contribuente (che, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, presenta istanza di adesione, art. 6 D.Lgs.218/1997). In entrambi i casi si dà luogo a un contraddittorio formale. Un recente editoriale conferma che «l’istituto prevede due vie per dare inizio al procedimento di adesione: iniziativa dell’Ufficio (art.5) o del contribuente (art.6)» .
- Risultato: Tramite il contraddittorio, le parti concordano un nuovo importo di imposte da pagare. In sede di adesione l’Agenzia può decidere di ridurre la pretesa iniziale, riconoscendo, ad esempio, parte delle giustificazioni fornite dal contribuente (costi dedotti, quota di incassi da attività estere, ecc.).
- Sanzioni ridotte: Il maggiore vantaggio per il contribuente è la significativa riduzione delle sanzioni: una definizione in adesione comporta che le sanzioni amministrative siano applicate in misura pari a 1/3 del minimo di legge previsto per la violazione (cfr. art.8 comma 1 L.212/2000 e art. 17 D.Lgs.472/1997). In pratica, all’atto di adesione il contribuente paga imposte e interessi dovuti, più una sanzione ultra-leggera (solo un terzo di quella normale), a condizione di firmare l’atto concordato e saldare entro 20 giorni . Questo vale similmente all’acquiescenza (art.15-bis L.212/2000).
- Sospensione termini: Presentando istanza di adesione (dopo l’avviso) si sospende il termine per impugnare l’avviso in Commissione Tributaria e il termine per il pagamento provvisorio, per 90 giorni . Ciò concede tempo al contribuente per trattare con l’ufficio senza l’urgenza della scadenza dei 60 giorni.
- Negoziabilità totale: L’adesione può riguardare qualsiasi imposta e tributo. Qualora l’ufficio non fosse disposto ad accogliere richieste di riduzione, il contribuente mantiene il diritto di ricorrere nei termini residui (al termine dei 90 gg la sospensione cessa e riprende a decorrere il termine). Se invece si raggiunge l’accordo, esso diventa efficace solo con il pagamento delle somme dovute entro 20 giorni . In mancanza di pagamento, l’atto di adesione decade e l’avviso originario resta valido.
Secondo una definizione ufficiale riportata dalla dottrina, “l’accertamento con adesione consente al contribuente di definire le imposte dovute ed evitare, in tal modo, l’insorgere di una lite tributaria; si tratta di un ‘accordo’ tra contribuente e ufficio” . Da notare che si può aderire anche prima che l’avviso sia emesso: se i punteggi ISA o altri indicatori segnalano anomalie, l’Agenzia può inviare un invito al contraddittorio prima ancora dell’avviso, per proporre l’adesione in via bonaria. In tale caso, oltre al vantaggio delle sanzioni ridotte (1/3 del minimo), si evita del tutto l’emissione dell’atto impositivo. Se l’accordo non si trova, l’ufficio procede all’accertamento “normale” che potrà essere poi impugnato.
Domanda: “L’accertamento con adesione è vantaggioso?”
Risposta: Generalmente sì, se è possibile raggiungere un accordo ragionevole. I vantaggi principali sono la riduzione delle sanzioni (all’1/3 del minimo) e la conclusione senza contenzioso. Tuttavia, firmare un accordo vincola il contribuente al pagamento concordato. Se si temono contestazioni future (per esempio, si suppone che altri redditi possano emergere), si può preferire ricorrere. In pratica, l’adesione è ottima se si vuole evitare la causa e si accetta la maggior parte del contenzioso (forse con qualche riduzione). Se la differenza tra la posizione dell’Agenzia e le proprie pretese è ampia, si può comunque tentare la trattativa in adesione, poiché l’ufficio ha interesse a chiudere velocemente e incassare almeno una parte.
3. Conciliazione giudiziale
La conciliazione giudiziale (o definizione endoprocesso) è uno strumento deflattivo che può concludere amichevolmente una controversia già pendente in sede tributaria (Commissione Tributaria Provinciale). È disciplinata dal D.Lgs. 546/1992 (artt. 48-48-ter) e prevede che, durante il processo, contribuente e Amministrazione possano accordarsi su un compromesso che definisca il contenzioso. In tal caso le sanzioni si riducono drasticamente (40% del minimo se la definizione avviene in primo grado, 50% in appello, 60% in Cassazione per ricorsi notificati dopo il 5 gen 2024 ). Anche in conciliazione le parti determinano per iscritto l’accordo e lo depositano in Corte.
La prassi evidenzia che la conciliazione può essere proposta sia dal contribuente sia dal giudice o dall’Agenzia stessa. Essa «consiste nella definizione di un accordo… di una controversia davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado, dopo che le parti del processo si sono accordate. Ha come principale effetto la riduzione delle sanzioni al 40% del minimo in primo grado; 50% in secondo grado; 60% in Cassazione» . Possono essere concordate definizioni che riguardano solo le sanzioni o anche la rideterminazione del tributo. L’accordo si formalizza con verbale di conciliazione in udienza e vincola le parti una volta omologato dal giudice. Anche la conciliazione è vantaggiosa quando il contenzioso è in corso e il contribuente vuole evitare la sentenza. Ciononostante va valutata attentamente perché implica comunque l’accettazione di parte del contenzioso (si rinuncia alla totalità della causa) in cambio di sanzioni più basse.
4. Acquiescenza
Un’ulteriore via (meno usata ma prevista dalla legge) è l’acquiescenza (art. 15-bis L.212/2000): consiste nell’accettare integralmente l’avviso di accertamento entro 30 giorni dal pagamento, pagando il 2/3 dell’imposta e delle sanzioni dovute. Questo strumento si applicava, in particolari ipotesi processuali, per chi non impugnava l’atto o ritirava il ricorso. Con la riforma del processo tributario (ultima riforma fiscale), molte norme sull’acquiescenza sono state modificate o abrogate; tuttavia l’art.15-bis statuto rimane in vigore per i casi residui. Si tratta comunque di definizione completa dell’imposta (il contribuente “campa” definitivamente per non ricorrere).
5. Autotutela dell’Amministrazione
L’autotutela è lo strumento con cui la stessa Amministrazione finanziaria può annullare o modificare d’ufficio un proprio atto impositivo viziato. In generale l’art. 10 dello Statuto del contribuente (L.212/2000) prevede che l’Amministrazione possa annullare gli atti illegittimi “in qualsiasi tempo” salvo casi particolari. Dal 2024 sono state introdotte distinzioni tra autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa (artt. 10-quater e 10-quinquies L.212/2000, introdotti dal D.Lgs.219/2023) . In sintesi:
- L’autotutela obbligatoria (art.10-quater) impone all’Agenzia di annullare o rinunciare all’imposizione, anche d’ufficio e senza istanza di parte, “in presenza di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione” fra i casi espressamente previsti . Ciò vale pure se l’atto è divenuto definitivo (salvo i limiti di giudicato).
- L’autotutela facoltativa (art.10-quinquies) consente all’Amministrazione di intervenire liberamente su vizi non coperti dall’obbligo.
Nella pratica, se a seguito delle spiegazioni del contribuente l’ufficio riconosce un errore formale o materiale nell’avviso di accertamento, può procedere all’annullamento (o alla correzione) in autotutela, senza necessità di ricorso. Fino al 2024 l’autotutela era esercitata con ampia discrezionalità, ma la nuova disciplina introduce criteri più rigidi. Ad esempio, le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. SS.UU. n. 30051/2024) hanno affermato che è legittima un’autotutela sostitutiva in peius (cioè annullare un avviso e sostituirlo con un altro di maggior imponibile) purché entro i termini di decadenza . Ciò significa che, se dall’esame dei documenti emerge un maggior reddito non considerato, l’Ufficio può correggere l’atto anche in senso peggiorativo (se non è trascorso il termine per l’accertamento) .
Per il contribuente, l’autotutela può essere un’arma a doppio taglio: se da un lato può essere a proprio favore (annullamento/archiviazione dell’atto illegittimo), dall’altro l’Amministrazione può rifare l’atto corretto (entro i termini). Comunque sia, le novità normative hanno precisato che in caso di diniego di autotutela (espresso o tacito) il contribuente può proporre ricorso entro i termini ordinari (art. 21 cod. proc. trib., v. [52†L88-L96]) o subito dopo 90 giorni se silenzio nel caso di istanza obbligatoria.
Domanda: “Quando conviene chiedere l’autotutela?”
Risposta: In genere, solo se si ritiene che l’atto impugnato sia palesemente viziato (ad esempio errore matematico, illegittimità procedurale, ecc.). Con la riforma 2023, se rientra nei casi di ‘manifesta illegittimità’ (art.10-quater), l’amministrazione è obbligata ad annullare. In pratica, l’autotutela è più spesso uno strumento che l’Agenzia utilizza per correggere propri errori piuttosto che un rimedio del contribuente (ad eccezione delle istanze di autotutela facoltativa). Se il contribuente decide di richiederla, deve formulare un’istanza all’ufficio competente, allegando documenti che dimostrino il vizio dell’atto. Se il Fisco accoglie, l’accertamento viene annullato o modificato senza processo, ma attenzione: in caso di sostituzione in peius, potrebbe essere emesso un nuovo atto più gravoso se permangono decadenze (Cass. SS.UU. 30051/2024 ).
6. Ricorso tributario
Si segnala che, se tutti gli strumenti “bonari” falliscono, resta sempre la possibilità di impugnare l’avviso in Commissione Tributaria Provinciale (di regola entro 60 giorni dalla notifica). Il contribuente può agire attraverso un giudice tributario, chiedendo l’annullamento dell’atto. In sede giurisdizionale si può acquisire documentazione e far valere difese procedurali o di merito (es. l’uso di presunzioni non gravi, carenza di prova, violazioni di termini e procedure, violazione dello Statuto del contribuente art.10 e ss., ecc.). Se vinta, l’annullamento dell’avviso comporterà spesso il diritto al risarcimento spese legali, depositate nei modelli ministeriali. Tuttavia, il ricorso è oneroso in termini di tempo e denaro, e può essere evitato se si raggiunge una definizione amichevole. Per completezza, citiamo che il valore della controversia è l’importo contestato al netto di interessi e sanzioni, come ricorda l’Agenzia .
Domande e risposte frequenti
- D: “È un reato non presentare dichiarazioni?”
R: L’omessa dichiarazione di per sé è una violazione amministrativa sanzionata con l’atto impositivo, non necessariamente un reato penale. Tuttavia, se gli introiti occultati superano certe soglie (art. 2 DLgs.74/2000), l’ipotesi può configurare il reato di dichiarazione infedele o evasione aggravata. Il contribuente si difende comunque prima in via amministrativa; semmai, il perfezionamento dell’adesione o il ravvedimento prima dell’apertura di un procedimento penale possono influire positivamente (circostanze attenuanti) sul profilo penale . - D: “Cos’è il contraddittorio preventivo?”
R: Per alcune categorie di contribuenti o per certi soggetti (ad es. grandi imprese, professionisti con fatturato rilevante), prima di emettere l’avviso di accertamento obbligatoriamente l’Ufficio deve invitare il contribuente al contraddittorio (art.5 DLgs.218/1997, rafforzato dal 2019). Se l’invito omette di essere notificato, l’avviso è nullo a meno che non vi siano casi particolari di urgenza. Chi subisce un invito a comparire può avvalersi di un professionista e spiegare le ragioni prima ancora dell’avviso: in pratica, è una forma d’adesione di prevenzione. - D: “Ho partita IVA in regime forfettario, devo comunque dichiarare anche se fatture nulle?”
R: Sì. Anche chi è nel regime forfettario deve ogni anno presentare il modello Redditi PF (o SP) e la dichiarazione IVA (in questo caso vuota se non applica IVA) se è tenuto alla presentazione. L’assenza totale di reddito non esonera dalla dichiarazione. Se per errori di regime o di compilazione il Fisco rileva incongruenze (ad es. IVA non versata, ecc.), potrà comunque procedere come descritto sopra. - D: “Qual è la differenza tra comunicazione 36-bis e avviso di accertamento?”
R: La comunicazione ex art.36-bis DPR 600/1973 è un semplice avviso bonario: indica le imposte mancanti e le sanzioni ridotte (10%), e contiene già un importo da pagare entro 30 giorni. Se non pagata, diventa titolo esecutivo (cartella). È comunque impugnabile come atto definitivo. L’avviso di accertamento è invece l’atto formale di accertamento fiscale: contiene la pretesa effettiva, con sanzioni piene (90-120%) e decorre il termine 60 giorni per contestarlo. - D: “Cosa rischio se non faccio nulla?”
R: Se dopo la lettera di compliance non si regolarizza né si risponde, scatterà l’avviso di accertamento . Se poi nemmeno l’avviso viene impugnato o pagato nei 60 giorni, esso diventa esecutivo e può essere iscritto a ruolo senza ulteriore preavviso . A quel punto l’Agenzia delle Entrate – Riscossione potrà riscuotere le somme coattivamente, con interessi, aggio e spese, e la sanzione subirà un ulteriore aumento del 10%. In sostanza, la mancata reazione espone il contribuente a gravose conseguenze patrimoniali e al contenzioso forzoso. È quindi fortemente consigliato agire (anche solo rispondendo) prima possibile. - D: “Cosa dice la Cassazione sul contraddittorio in adesione?”
R: La giurisprudenza riconosce il carattere volontario del contraddittorio (occorre l’invito ex art.5) e che il contribuente non è sanzionabile per non essersi presentato. Inoltre, recenti decisioni ribadiscono che il mancato invito obbligatorio a comparire rende nullo l’avviso di accertamento emesso in carenza (salvo casi di urgenza motivata) . In generale, la Cassazione sottolinea il diritto-dovere di trasparenza (art.10 L.212/2000) e che l’Agenzia può procedere in contraddittorio anche ripetutamente, valutando oneri pubblici e interesse del contribuente .
Conclusioni
In sintesi, di fronte a contestazioni di redditi non dichiarati da partita IVA, il contribuente deve innanzitutto valutare la fondatezza delle pretese dell’Agenzia e decidere strategia: regolarizzare subito (ravvedimento) se l’errore sussiste, oppure rispondere con documenti se ritiene infondati i rilievi. Dopo la notifica di un accertamento, occorre considerare gli strumenti deflattivi disponibili: l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale consentono di chiudere accordando un compromesso con vantaggio sulle sanzioni; l’autotutela può far annullare l’atto in presenza di evidenti vizi; il ricorso tributario rimane il rimedio giurisdizionale ultimo. Ogni caso concreto (professionista individuale, società di persone, ecc.) ha specificità, ma i principi generali qui illustrati offrono un quadro di riferimento per difendersi efficacemente.
Fonti: Agenzia delle Entrate (siti istituzionali e circolari) , dottrina tributaria e riviste aggiornate (Finanza & Fisco 2024) , prassi e commentari legali recenti , nonché disposizioni normative rilevanti (DPR 600/73, DPR 633/72, L.212/2000, D.Lgs. 546/92, D.Lgs. 218/97).
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 30051 depositata il 21 novembre 2024 – In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità.
Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta di aver percepito redditi da Partita IVA mai dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi sapere quali sono i rischi e come puoi difenderti da questa situazione?
Quando un contribuente svolge attività professionale o commerciale senza presentare la dichiarazione dei redditi o senza aprire la Partita IVA, il Fisco può contestare i compensi percepiti come redditi occultati. I controlli avvengono tramite incroci di dati bancari, fatture elettroniche, segnalazioni di clienti o fornitori, certificazioni uniche (CU).
👉 Non sempre però l’accertamento è corretto: in alcuni casi si tratta di collaborazioni occasionali, di importi già tassati alla fonte o di errori nell’attribuzione dei redditi.
⚖️ Perché scatta la contestazione
- Omissione totale della dichiarazione dei redditi nonostante attività svolta con Partita IVA;
- Fatture elettroniche emesse e trasmesse allo SDI ma non riportate in dichiarazione;
- Accrediti bancari considerati compensi professionali;
- Certificazioni uniche trasmesse da clienti non incluse nei redditi dichiarati;
- Errata distinzione tra lavoro autonomo occasionale e attività professionale abituale.
📌 Conseguenze possibili
- Recupero delle imposte non versate (IRPEF, addizionali, IVA se dovuta, IRAP nei casi previsti);
- Sanzioni fiscali dal 90% al 180% delle somme evase;
- Interessi di mora;
- Accertamenti retroattivi fino a 5 o 7 anni;
- Nei casi più gravi, rischio di procedimenti penali tributari per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione.
🔍 Come difendersi
- Verifica l’accertamento: individua la fonte dei redditi contestati (SDI, CU, bonifici, segnalazioni).
- Raccogli la documentazione: fatture, ricevute, contratti, estratti conto, prove dell’occasionalità delle prestazioni.
- Dimostra l’assenza di obbligo di apertura Partita IVA: se l’attività è stata sporadica e occasionale.
- Contesta errori del Fisco: spesso i compensi sono già stati tassati come redditi da lavoro dipendente o assimilati.
- Predisponi memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ridurre o annullare la pretesa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’accertamento e i redditi contestati dall’Agenzia delle Entrate;
- 📌 Ricostruisce la posizione fiscale distinguendo redditi imponibili da somme non tassabili;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare le sanzioni;
- ⚖️ Ti assiste nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta strategie alternative, come adesione o definizione agevolata, per ridurre gli effetti economici.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in accertamenti su redditi da lavoro autonomo e Partite IVA;
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa da accertamenti bancari e presuntivi;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni sui redditi da Partite IVA mai dichiarati possono avere conseguenze molto gravi, ma non sempre le pretese del Fisco sono corrette.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la reale natura delle somme, correggere gli errori e ridurre l’impatto fiscale e sanzionatorio.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sui redditi da Partite IVA inizia qui.