Agenzia Delle Entrate Contesta Redditi Da Locazioni Estere Non Dichiarati

Hai ricevuto un accertamento dall’Agenzia delle Entrate perché ti vengono contestati redditi da locazioni di immobili all’estero non dichiarati? Grazie allo scambio automatico di informazioni fiscali tra Stati, il Fisco italiano riceve i dati sugli immobili detenuti all’estero e sui relativi canoni di locazione. Se questi redditi non sono riportati nella dichiarazione italiana, scatta la contestazione con imposte, sanzioni e interessi.

Quando scattano le contestazioni sui redditi da locazioni estere
– Se non hai compilato il quadro RW per il monitoraggio degli immobili detenuti all’estero
– Se non hai dichiarato i canoni percepiti da affitti in Paesi esteri
– Se i movimenti bancari da e verso l’estero non sono coerenti con i redditi dichiarati in Italia
– Se i dati trasmessi dalle autorità fiscali estere non coincidono con la tua dichiarazione
– Se il Fisco presume che l’immobile sia stato locato anche senza prove di contratto formale

Cosa rischi in caso di omissione
– Recupero delle imposte sui redditi da locazione non dichiarati
– Sanzioni dal 90% al 180% delle imposte evase
– Sanzioni aggiuntive dal 3% al 15% (fino al 30% se l’immobile è in Paesi non collaborativi) per mancato monitoraggio
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Possibile contestazione di reati tributari in caso di importi elevati

Come difendersi da una contestazione su locazioni estere
– Dimostrare che i redditi percepiti sono già stati tassati all’estero e che spetta il credito d’imposta in Italia
– Richiamare la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e il Paese estero per evitare doppia tassazione
– Presentare contratti di locazione, ricevute di pagamento e certificazioni fiscali estere
– Contestare errori o presunzioni arbitrarie dell’Agenzia delle Entrate
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ridurre o annullare la pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la contestazione e verificare la normativa fiscale internazionale applicabile
– Raccogliere la documentazione utile a dimostrare la correttezza della dichiarazione
– Contestare la sproporzione delle sanzioni applicate, invocando il principio di proporzionalità
– Difendere il contribuente in sede di contraddittorio e in giudizio
– Negoziare con l’Agenzia delle Entrate per ridurre imposte e interessi tramite adesione

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– Il riconoscimento del credito d’imposta per le imposte già pagate all’estero
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi richiesti
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio familiare e personale

⚠️ Attenzione: i redditi da locazioni estere devono essere sempre dichiarati in Italia, anche se tassati all’estero. Ma non sempre le contestazioni del Fisco sono corrette: spesso si basano su dati incompleti che possono essere ribaltati con prove concrete.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate per redditi da locazioni estere non dichiarati.

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Introduzione

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per redditi da locazioni estere non dichiarati? Significa che il Fisco italiano ti accusa di non aver riportato in dichiarazione i canoni di affitto percepiti da immobili che possiedi all’estero. In questi casi viene generalmente notificato un avviso di accertamento, l’atto formale con cui l’Agenzia ridetermina le imposte dovute su quei redditi esteri non dichiarati e applica le relative sanzioni. Dal punto di vista del contribuente (il debitore d’imposta), trovarsi in questa situazione richiede di conoscere a fondo i propri obblighi fiscali e i propri diritti di difesa: quali norme disciplinano la tassazione degli affitti esteri, quali sanzioni si rischiano per l’omessa dichiarazione, come funzionano le imposte come l’IVIE (l’imposta sul valore degli immobili esteri) e il monitoraggio nel Quadro RW, entro quali termini l’accertamento è possibile e quali strumenti esistono per sanare o contestare la pretesa fiscale.

In questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – affronteremo in modo approfondito la disciplina italiana relativa agli immobili esteri concessi in locazione e ai redditi derivanti, con un taglio avanzato adatto a professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti), ma anche a privati cittadini e imprenditori esperti in materia fiscale. Il linguaggio sarà rigoroso dal punto di vista giuridico ma con finalità divulgative, per chiarire concetti complessi in modo comprensibile. Faremo riferimento a fonti normative aggiornate, alla giurisprudenza più recente (sentenze della Corte di Cassazione e prassi amministrativa), e useremo tabelle riepilogative e casi pratici per facilitare la comprensione. Il tutto adottando il punto di vista del contribuente/debitore che subisce la contestazione: forniremo indicazioni sulle strategie difensive possibili, sui percorsi di regolarizzazione (come il ravvedimento operoso), sulle tutele disponibili e sugli strumenti per evitare il doppio prelievo fiscale in presenza di redditi già tassati all’estero.

Inoltre, è inclusa una sezione di Domande e Risposte frequenti, per chiarire i dubbi comuni sulla tassazione degli affitti esteri non dichiarati e sulle conseguenze di un accertamento in materia. L’obiettivo è offrire una guida completa e aggiornata per capire cosa fare se l’Agenzia delle Entrate contesta redditi esteri da locazione non dichiarati e come difendersi efficacemente.

Obblighi di monitoraggio fiscale e dichiarazione degli immobili esteri

Per comprendere la contestazione, occorre partire dagli obblighi dichiarativi vigenti in Italia per chi detiene immobili all’estero. La normativa sul cosiddetto monitoraggio fiscale (D.L. 167/1990 e successive modifiche) impone ai contribuenti fiscalmente residenti in Italia di dichiarare annualmente le attività patrimoniali detenute all’estero, inclusi gli immobili. In pratica, chiunque risieda in Italia e possieda un immobile all’estero (a titolo di proprietà o altro diritto reale, ad esempio usufrutto) deve indicarlo nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi. Questo adempimento prescinde dall’eventuale produzione di reddito: anche un immobile estero non affittato e improduttivo di reddito va dichiarato, non essendoci soglie minime di esenzione per gli immobili (a differenza di alcuni conti correnti di modesta giacenza). L’obbligo riguarda sia le persone fisiche sia enti e società “trasparenti” (es. società semplici) residenti in Italia – dal 2020, infatti, anche trust ed enti non commerciali residenti sono tenuti al monitoraggio e all’IVIE sugli immobili esteri.

Nel Quadro RW vanno riportati i dati identificativi di ciascun immobile estero e il relativo valore di riferimento. Il valore da indicare di regola è il costo di acquisto risultante dall’atto, oppure – in mancanza di tale dato – il valore di mercato al termine dell’anno di riferimento. Tuttavia, se l’immobile è situato in un Paese dell’Unione Europea (o dello Spazio Economico Europeo cooperante in materia fiscale), è ammesso l’utilizzo del valore catastale locale, determinato secondo le regole fiscali di quel Paese. Ciò allo scopo di avvicinare il più possibile il trattamento degli immobili esteri a quello degli immobili italiani (che fiscalmente fanno riferimento alla rendita catastale). In ogni caso, il valore va espresso in euro: se originariamente in valuta estera, deve essere convertito al cambio medio dell’anno di imposta considerato. Inoltre, in RW occorre indicare la quota di possesso dell’immobile (es. 100% proprietà, oppure 50% se in comunione) e i mesi di detenzione nell’anno, informazioni utili sia ai fini del monitoraggio sia per calcolare correttamente l’IVIE dovuta pro rata.

Titolare effettivo e casi particolari

Un aspetto cruciale del monitoraggio fiscale è che l’obbligo dichiarativo non riguarda solo i proprietari formali dell’immobile estero, ma anche i soggetti che ne hanno la disponibilità di fatto o il controllo (titolari effettivi). Non è possibile eludere il Quadro RW attraverso schermi giuridici: la norma impone di “guardare attraverso” società, trust o entità interposte per individuare la persona fisica che effettivamente beneficia o controlla il bene estero. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di dichiarazione sussiste in capo al contribuente residente che, pur non intestatario diretto, dispone sostanzialmente dell’immobile estero. Ad esempio, se l’immobile è formalmente intestato a una società estera ma il contribuente italiano controlla tale società, dovrà indicare l’immobile (o quantomeno la partecipazione estera) in RW in qualità di titolare effettivo. Analogamente, se l’immobile è conferito in un trust estero o intestato a un fiduciario, il beneficiario effettivo italiano è tenuto al monitoraggio. Su questo punto, la Cassazione ordinanza n. 9445/2025 ha ribadito che conta la situazione di fatto: se un trust estero è solo fittiziamente autonomo ma il disponente/beneficiario italiano mantiene controllo sui beni, il trust è interposto e l’obbligo RW resta a carico del disponente. Di converso, è escluso l’obbligo RW per chi abbia solo deleghe o poteri di firma senza reale disponibilità economica: ad esempio l’amministratore di una società estera con potere di firma sui conti sociali, non agendo nel proprio interesse, non deve dichiarare quei conti in RW.

In sintesi, deve compilare il Quadro RW chiunque abbia una relazione effettiva con il bene estero, sia come proprietario diretto, sia come titolare indiretto o beneficiario sostanziale. Il mancato adempimento di questo obbligo di monitoraggio configura l’omessa dichiarazione di asset esteri e comporta pesanti sanzioni, come vedremo in dettaglio.

L’IVIE: imposta sul valore degli immobili esteri

Oltre all’obbligo di monitoraggio, i possessori di immobili esteri soggetti a tassazione in Italia devono considerare il pagamento dell’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero). L’IVIE è un’imposta patrimoniale annuale introdotta dal decreto “Salva-Italia” del 2011 (D.L. 201/2011 convertito in L. 214/2011), con lo scopo di equiparare il carico fiscale tra chi investe in immobili in Italia e chi detiene immobili all’estero. In pratica, l’IVIE affianca l’IMU (imposta patrimoniale municipale dovuta sugli immobili in Italia) e si applica agli immobili detenuti all’estero da soggetti residenti in Italia.

Aliquota, base imponibile e franchigia

L’aliquota ordinaria IVIE è pari allo 0,76% annuo del valore dell’immobile estero, la stessa percentuale prevista per l’IMU sulle seconde case in Italia. Tale aliquota si applica pro rata in base alla percentuale di possesso e ai mesi di possesso nell’anno: ad esempio, se si possiede il 50% di un immobile, si calcola l’IVIE sul 50% del valore; se l’immobile è stato detenuto solo per 6 mesi (perché acquistato a metà anno), si paga IVIE per metà anno. È inoltre prevista una franchigia di €200: dall’imposta calcolata si detrae un importo fino a 200 euro, che in pratica annulla l’IVIE dovuta qualora il calcolo porti a un importo pari o inferiore a €200. Questa franchigia richiama l’agevolazione un tempo prevista sull’IMU per l’abitazione principale.

Valore imponibile: il valore dell’immobile su cui applicare lo 0,76% è definito secondo criteri analoghi a quelli discussi per il Quadro RW. In generale si utilizza il costo di acquisto o il valore di mercato a fine anno. Tuttavia, per immobili ubicati in Paesi UE/SEE, è ammesso l’uso del valore catastale locale (se ufficialmente determinato a fini fiscali in quel Paese). Questo consente, ad esempio, di usare la valeur cadastrale francese o il council tax value nel Regno Unito, quando disponibili, come base per l’IVIE italiana, rendendo il sistema più equo.

Esenzioni per abitazione principale: dal 2016 l’IVIE prevede un’esenzione per l’immobile estero adibito ad abitazione principale del contribuente residente (purché non di lusso). Ciò significa che se un soggetto residente in Italia ha la propria casa di abitazione all’estero (e mantiene comunque la residenza fiscale in Italia), tale immobile non sconta IVIE, analogamente a quanto l’abitazione principale in Italia è esente da IMU. L’esenzione non si applica però agli immobili di lusso (categorie equivalenti A/1, A/8, A/9), per i quali è prevista solo un’aliquota ridotta (0,4%) e la detrazione di €200.

Credito per imposte patrimoniali estere

Nel caso in cui il Paese estero in cui si trova l’immobile prelevi anch’esso un’imposta patrimoniale immobiliare (ad esempio la Francia applica l’IFI – impôt sur la fortune immobilière sulle proprietà immobiliari), la normativa italiana prevede un meccanismo per evitare la doppia imposizione patrimoniale. In particolare, dall’IVIE dovuta in Italia si può detrarre un credito d’imposta pari all’eventuale imposta patrimoniale pagata all’estero, fino a concorrenza dell’IVIE stessa. In altre parole, se sull’immobile si è già pagata una tassa patrimoniale annuale allo Stato estero, tale importo può essere sottratto dall’IVIE italiana, evitando un doppio prelievo sul medesimo presupposto.

Attenzione però: il credito spetta solo per imposte di natura patrimoniale sul valore dell’immobile versate all’estero. Non sono accreditabili tasse estere di altra natura, come ad esempio un’eventuale imposta sul reddito da locazione o imposte di registro pagate per l’acquisto. Inoltre, se l’imposta patrimoniale estera eccede l’IVIE italiana calcolata, l’eccedenza non è rimborsabile né utilizzabile in altro modo: il credito è limitato a compensare al massimo l’IVIE dovuta. Va notato che molti Paesi non prevedono affatto una patrimoniale immobiliare annuale paragonabile all’IVIE, limitandosi spesso a imposte locali (ad es. tasse municipali sugli immobili) che potrebbero non rientrare tra quelle accreditabili. Ad esempio, la classica council tax inglese o l’imposta immobiliare locale statunitense sono tributi di carattere locale sul possesso, la cui natura va valutata caso per caso ai fini del credito (generalmente, se colpiscono il valore dell’immobile dovrebbero essere accreditabili come patrimoniali).

Versamento e dichiarazione: l’IVIE va liquidata annualmente nella dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF, quadro RW – sezione XVIII) relativa all’anno d’imposta di riferimento, e versata con le stesse scadenze dell’IRPEF (saldo entro il 30 giugno dell’anno successivo, salvo proroghe). Il mancato versamento dell’IVIE e la mancata indicazione dell’immobile in RW costituiscono due violazioni distinte: una violazione formale di monitoraggio (sanzionata in percentuale sul valore non dichiarato) e una violazione sostanziale d’imposta (sanzionata sul tributo non versato), come vedremo in dettaglio parlando delle sanzioni.

Prima di affrontare il tema sanzionatorio, è utile chiarire come funziona la tassazione dei redditi da locazione esteri in Italia, cioè come vengono dichiarati e tassati gli affitti percepiti fuori dai confini nazionali da un residente italiano. Questo aspetto è cruciale sia per capire cosa l’Agenzia contesta (i redditi non dichiarati) sia per valutare i rimedi come l’eventuale credito per le imposte estere già pagate.

Tassazione dei redditi da locazione di immobili esteri (normativa italiana)

In base al principio della worldwide taxation, un contribuente residente in Italia è tassato sui redditi ovunque prodotti, inclusi quindi i redditi derivanti da immobili situati all’estero. Nel nostro ordinamento, i redditi fondiari prodotti da immobili esteri detenuti da persone fisiche al di fuori di attività d’impresa sono inquadrati tra i redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. f) del TUIR , poiché non rientrano nel catasto italiano. La loro tassazione segue regole particolari dettate dall’art. 70, comma 2 del TUIR, che distingue due ipotesi fondamentali:

  • Immobile estero locato tassato anche all’estero: in questo caso, la base imponibile in Italia è pari al reddito netto già dichiarato nello Stato estero in cui l’immobile è situato. In altre parole, l’Italia assume come reddito imponibile l’importo determinato secondo le leggi fiscali estere. Tipicamente ciò significa il canone di affitto al netto delle spese deducibili riconosciute all’estero (manutenzioni, imposte locali, ammortamenti, ecc.), ovvero l’ammontare effettivamente soggetto a imposizione nel Paese estero. Su tale importo il contribuente italiano pagherà l’IRPEF, ma avrà anche diritto al credito d’imposta per le imposte sul reddito pagate all’estero, come spiegato più avanti. È importante avere documentazione ufficiale di supporto (dichiarazione dei redditi estera o certificazioni) da cui risulti la base imponibile estera e l’imposta pagata, per poter correttamente indicare gli importi in dichiarazione italiana.
  • Immobile estero locato non tassato all’estero: se invece lo Stato estero non prevede alcuna imposizione sui canoni di locazione (ipotesi possibile ad esempio in Paesi a fiscalità privilegiata, oppure in casi particolari di esenzione locale), la normativa italiana stabilisce che il reddito da dichiarare in Italia è pari ai canoni lordi percepiti, ridotti forfettariamente del 15% a titolo di deduzione spese. In pratica, si tassa l’85% del canone annuo. Questa deduzione forfettaria è più ampia di quella prevista per gli affitti di immobili in Italia (5% forfettario, tassando il 95% del canone, salvo opzione per cedolare secca), e riflette la presumibile presenza di costi di gestione dell’immobile (anche perché in assenza di tassazione estera non vi è una documentazione fiscale di spese dedotte altrove). In questo scenario non spetta alcun credito per imposte estere, non essendo state pagate imposte sul reddito nel Paese di fonte.

Queste due casistiche, previste dall’art. 70 co. 2 TUIR, possono essere così riassunte:

Situazione fiscale esteraBase imponibile IRPEF in ItaliaCredito d’imposta estero
Canoni locazione tassati all’esteroReddito netto come dichiarato nello Stato estero (canone – spese deducibili estere).Sì, detrazione delle imposte estere pagate (art. 165 TUIR).
Canoni locazione non tassati all’esteroReddito lordo ridotto del 15% forfettario (si tassa l’85% del canone percepito).No, nessuna imposta estera da accreditare.

Esempio pratico: un contribuente residente in Italia possiede un appartamento a Parigi che affitta per €10.000 annui. In Francia, tali redditi sono tassati: il contribuente applica il regime micro-foncier (forfettario 30% costi) e dichiara €7.000 di reddito imponibile, pagando un’imposta francese di €1.500. In Italia, dichiarerà €7.000 come reddito da locazione estera; supponendo un’aliquota IRPEF media del 30%, l’imposta lorda italiana sarebbe €2.100, da cui detrarre fino a €1.500 pagati in Francia. Pagherà quindi €600 di IRPEF italiana netta. Se invece l’immobile fosse in un Paese che non tassa gli affitti (es. ipoteticamente Montecarlo), in Italia dichiarerebbe €8.500 (85% di 10.000) con imposta di circa €2.550 (aliquota 30%), senza alcun credito d’imposta a riduzione.

Va sottolineato che, se il reddito estero come calcolato secondo le norme locali risulta inferiore al canone lordo (per effetto di spese elevate deducibili all’estero), l’Italia prende per buona tale misura anche se il reddito netto estero è zero. Ad esempio, la Cassazione con l’ordinanza n. 30006/2021 ha confermato che nel caso di un immobile locato in Germania con canone annuo €41.552 e oneri deducibili pari a €44.380 dichiarati in Germania (dunque eccedenti i ricavi), la base imponibile italiana deve considerarsi zero, non potendo l’Agenzia delle Entrate pretendere di tassare un importo minimo teorico. In tal caso ovviamente non spetta alcun credito per imposte estere, poiché in Germania nessuna imposta sul reddito è dovuta (reddito imponibile nullo).

Niente cedolare secca per gli affitti esteri

Una differenza importante rispetto alle locazioni di immobili siti in Italia è che non è possibile optare per il regime della cedolare secca sugli affitti esteri. La cedolare secca (tassazione fissa 21% o 10% sui canoni) si applica solo ai contratti di locazione di immobili situati in Italia e concessi a uso abitativo a conduttori privati, come previsto dal D.Lgs. 23/2011. Gli immobili che si trovano fuori dal territorio italiano non rientrano in questo regime sostitutivo . L’Agenzia delle Entrate ha chiarito in più documenti (ad es. circolare n. 26/E del 2011) che i redditi da locazione di immobili esteri non sono classificati come redditi fondiari, ma come redditi diversi ex art. 67 TUIR, e vanno quindi tassati con l’IRPEF ordinaria e relative addizionali . Pertanto un contribuente italiano che affitta la propria casa all’estero dovrà dichiarare i canoni nel quadro RL del Modello Redditi (rigo RL12) e assoggettarli a tassazione progressiva, secondo le regole sopra descritte, senza poter beneficiare dell’aliquota fissa agevolata.

Questa distinzione ha anche riflessi pratici: l’assenza della cedolare secca implica che sulle locazioni estere non si applica l’esenzione dalle imposte di registro e bollo sui contratti (esenzione che la cedolare comporta per i contratti in Italia). Naturalmente, i contratti di affitto di immobili siti all’estero saranno soggetti alle formalità e imposte previste dal Paese in cui l’immobile si trova.

Credito per le imposte estere sul reddito (detrazione art. 165 TUIR)

Come accennato, quando un reddito prodotto all’estero (nel nostro caso il canone di locazione) è tassato anche in Italia, occorre evitare la doppia imposizione internazionale. A tal fine intervengono sia le norme interne (art. 165 del TUIR) sia le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con altri Stati. In generale, l’Italia adotta il metodo del credito d’imposta: il contribuente residente ha diritto a detrarre dall’IRPEF dovuta in Italia le imposte sul reddito pagate all’estero a titolo definitivo, proporzionalmente al rapporto tra il reddito estero e il reddito complessivo.

In termini pratici, il credito d’imposta per imposte estere (foreign tax credit) è calcolato secondo quanto dispone l’art. 165 TUIR: esso spetta fino a concorrenza della quota di IRPEF italiana relativa a quel reddito estero. La formula prevede di moltiplicare l’IRPEF italiana totale per il rapporto reddito estero / reddito complessivo, ottenendo l’imposta italiana teoricamente afferente al reddito estero; il credito spettante è pari alle imposte pagate all’estero su quel reddito, ma non può superare tale imposta italiana teorica. Se nel Paese estero la tassazione è stata più gravosa che in Italia (aliquota effettiva estera superiore a quella media italiana), l’eccedenza di imposta estera non è recuperabile; viceversa, se all’estero si è pagato meno, in Italia si pagherà la differenza integrando fino all’aliquota italiana.

Esempio semplificato: reddito da affitto estero €10.000, imposta pagata all’estero €1.700; reddito complessivo del contribuente €50.000, IRPEF lorda italiana €15.399. La quota d’imposta italiana riferibile ai €10.000 esteri è (15.399 × 10.000 / 50.000) = €3.079. Il credito spetta per l’imposta estera (€1.700) entro il limite di €3.079: dunque tutto l’importo pagato all’estero è detraibile integralmente dall’IRPEF dovuta in Italia. Se invece l’imposta estera fosse stata poniamo €4.000 (quindi oltre il limite), il credito si fermerebbe a €3.079, lasciando una parte non utilizzabile.

Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (basate sul Modello OCSE) confermano questo meccanismo: di regola, i redditi immobiliari sono tassabili sia nello Stato in cui l’immobile è situato (Stato della fonte) sia nello Stato di residenza del proprietario, ma quest’ultimo deve eliminare la doppia tassazione mediante il riconoscimento di un credito d’imposta o esenzione (a seconda della convenzione). La maggior parte delle convenzioni stipulate dall’Italia adotta il metodo del credito ordinario (tax credit) per i redditi immobiliari: ad esempio, la Convenzione Italia-Francia, Italia-Regno Unito, Italia-Svizzera etc., prevedono che l’Italia conceda al residente un credito pari all’imposta pagata in Francia/UK/Svizzera su quell’affitto. Alcune convenzioni (soprattutto con Paesi a fiscalità privilegiata) possono prevedere tecniche diverse, ma il principio generale rimane che il contribuente non paga due volte sullo stesso reddito. Va però evidenziato che le convenzioni non esonerano il contribuente dagli obblighi dichiarativi verso l’Italia: anche se l’affitto è stato tassato all’estero, va comunque dichiarato in Italia per potere beneficiare del credito ed eventualmente pagare la differenza.

Mancata dichiarazione e decadenza dal credito d’imposta: un punto delicato riguarda il caso in cui il contribuente non abbia dichiarato in Italia il reddito estero nei termini di legge e si veda contestare l’omissione. L’art. 165, comma 8 TUIR attualmente in vigore stabilisce (in sintesi) che il credito per le imposte estere non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi esteri in dichiarazione. Ciò ha portato in passato l’Amministrazione a negare il credito d’imposta quando i redditi esteri non erano stati dichiarati originariamente. In pratica, se un contribuente viene accertato per affitti esteri non dichiarati, l’Ufficio tende a non riconoscere in sede di accertamento lo scomputo dell’imposta estera pagata, a meno che il contribuente non provi di aver attivato strumenti di collaborazione volontaria (come una voluntary disclosure sanante).

Tuttavia, la giurisprudenza più recente è più favorevole al contribuente su questo tema. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10642 del 5 maggio 2025, ha affermato un principio innovativo: il diritto di scomputare le imposte pagate all’estero non decade se non esercitato nella dichiarazione dell’anno in cui il reddito è stato prodotto. In quel caso, un contribuente aveva prodotto redditi esteri negli anni 2009-2011 senza chiedere i crediti corrispondenti, e li aveva poi detratti nel 2014; l’Agenzia contestava la tardività. La Cassazione ha dato ragione al contribuente su più basi: anzitutto ha osservato che l’art. 165 TUIR richiede sì di riferire il calcolo del credito all’anno di produzione, ma non prevede una decadenza automatica se il credito non è indicato in quella dichiarazione. Il diritto alla detrazione delle imposte estere, ha aggiunto la Corte, può essere fatto valere entro il termine ordinario di prescrizione civilistica di 10 anni. Inoltre, la Corte ha notato che la formulazione vigente dell’art. 165 (a differenza di vecchie norme previgenti) non contiene una decadenza espressa, e che la mancata indicazione del reddito estero in dichiarazione “non può di per sé precludere il diritto al credito”. Infine, la pronuncia richiama il principio di diritto internazionale secondo cui lo Stato italiano è obbligato ad eliminare la doppia imposizione in presenza di convenzioni bilaterali. Pur non articolato a fondo nell’ordinanza, questo riferimento rafforza l’idea che il credito d’imposta abbia natura sostanziale incondizionata nei rapporti convenzionali: se un reddito estero va tassato in Italia ma per convenzione va evitata la doppia imposizione, il contribuente mantiene il diritto al credito anche se lo reclama tardivamente.

In sintesi, sebbene la legge interna sembri negare il credito in caso di omessa dichiarazione, le più autorevoli sentenze (Cass. n. 9725/2021, Cass. n. 10642/2025) indicano che il contribuente può far valere il credito entro i termini di prescrizione, anche successivamente attraverso dichiarazioni integrative o in sede contenziosa. Resta comunque fondamentale documentare le imposte estere pagate (certificati fiscali esteri, ricevute) perché l’onere della prova della spettanza del credito ricade sul contribuente.

Sanzioni per omessa dichiarazione di immobili e redditi esteri

La contestazione dell’Agenzia delle Entrate per redditi da locazione esteri non dichiarati porta con sé un duplice ordine di sanzioni amministrative: sanzioni legate al monitoraggio fiscale (Quadro RW/IVIE) e sanzioni legate all’imposta sul reddito evasa. Inoltre, in casi gravi, possono profilarsi conseguenze penali tributarie. Esaminiamo separatamente i vari tipi di violazione e le relative sanzioni.

Sanzioni per omesso monitoraggio (Quadro RW e IVIE)

  • Omessa indicazione dell’immobile in Quadro RW: è la sanzione per non aver dichiarato il possesso dell’immobile estero. La legge prevede una sanzione proporzionale al valore non dichiarato per ogni anno di omissione. Se l’immobile si trova in un Paese “collaborativo” (white list OCSE) la sanzione va dal 3% al 15% del valore dell’immobile per anno. Se invece l’immobile è in un Paese a fiscalità privilegiata (black list), le aliquote sono raddoppiate: dal 6% al 30% del valore per anno. L’Ufficio in genere applica il minimo edittale in assenza di circostanze aggravanti, ossia il 3% annuo (o 6% annuo in black list). Questo significa, ad esempio, che un immobile estero valuto €200.000 non dichiarato per 3 anni in un Paese white list comporta una sanzione di circa €6.000 × 3 = €18.000 (al 3% annuo); se fosse stato in black list, €12.000 × 3 = €36.000 (al 6% annuo). Tali importi possono lievitare sensibilmente con il prolungarsi degli anni omessi . Va evidenziato che la sanzione RW si applica anche se l’immobile non produce redditi imponibili (ad esempio casa tenuta a disposizione) o se i redditi eventualmente prodotti sono già tassati all’estero: è una sanzione “formale” per la mancata comunicazione, a prescindere dal prelievo sul reddito.
  • Indicazione infedele del valore in RW: se l’immobile estero è stato dichiarato ma per un valore inferiore a quello reale, si applica una sanzione ridotta alla metà (in quanto violazione “infedele” anziché omessa). Quindi, invece del 3-15% annuo si va dall’1,5% al 7,5% (raddoppiato in black list: 3-15%). In pratica, sottostimare il valore dell’immobile all’estero comporta sanzioni comunque proporzionali ma dimezzate. La prassi dell’Agenzia peraltro considera infedele anche la tardiva indicazione entro certi limiti: ad esempio, se un contribuente compila il RW ma omette qualche anno, l’indicazione tardiva può essere vista come infedele per gli anni precedenti (anche se spesso si contesta direttamente l’omissione per quegli anni). È importante notare che secondo la prassi ufficiale l’indicazione in RW di un valore significativamente inferiore al reale è equiparata all’omissione ai fini sanzionatori, se l’errore eccede il 10% del valore.
  • Omesso o insufficiente versamento dell’IVIE: il mancato pagamento dell’imposta patrimoniale sugli immobili esteri costituisce una violazione tributaria sostanziale. Se l’immobile doveva scontare IVIE e questa non è stata versata, si configura un’omissione d’imposta assimilata alla “dichiarazione infedele” (dato che l’IVIE si dichiara nel quadro RW). La sanzione prevista è il 90% dell’imposta IVIE evasa (minimo 90%, massimo 180% se ci sono aggravanti), ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. 471/1997. In caso di omessa dichiarazione totale (contribuente che non presenta affatto la dichiarazione dei redditi includendo l’IVIE), la sanzione salirebbe al 120% – 240% con minimo €250, ma nella maggior parte dei casi di immobili esteri si tratta di dichiarazioni presentate ma incomplete (quindi infedele 90-180%). Alla sanzione sul tributo si aggiunge poi la sanzione per omesso versamento (30% dell’importo non versato) eventualmente, ma in genere questa rimane assorbita dall’infedele più grave. Importante: spesso l’omessa IVIE si accompagna all’omessa indicazione RW; in tali casi si sommano sia la sanzione patrimoniale (3-15% annuo del valore) sia la sanzione sul tributo (90% dell’IVIE evasa), col risultato di un carico sanzionatorio assai pesante.

Da notare che le sanzioni amministrative tributarie estere eventualmente subite per la violazione di norme locali (es. multe nel Paese estero per mancata dichiarazione là) non evitano né riducono le sanzioni italiane: non vi è un principio di “ne bis in idem” internazionale in materia amministrativa. Solo in ambito penale esistono, a certe condizioni, divieti di doppia persecuzione, ma per le sanzioni fiscali amministrative ogni Stato procede autonomamente.

Confronto con il “Modelo 720” spagnolo: È interessante richiamare il precedente della Spagna, dove un regime simile di monitoraggio di attività estere (il Modelo 720) prevedeva sanzioni ancora più dure (multe fisse elevate e addirittura una sanzione del 150% dell’imposta evasa, con termini di accertamento imprescrittibili). La Corte di Giustizia UE con sentenza del 27/01/2022 (causa C-788/19, Commissione vs Spagna) ha dichiarato quel regime incompatibile col diritto UE per violazione dei principi di proporzionalità e libera circolazione. L’Italia, pur avendo sanzioni severe (come visto, potenzialmente fino al 60% del valore cumulando più anni), non raggiunge i livelli spagnoli e prevede termini di decadenza. Tuttavia, il principio di proporzionalità va tenuto presente: in sede di contenzioso, in casi eccezionali di importi abnormi, si potrebbe invocare l’applicazione analogica di quel principio per ottenere una riduzione, sebbene ad oggi la normativa italiana RW sia formalmente valida. Nel 2022 alcuni commentatori hanno suggerito un allineamento dell’Italia, ma finora non risultano interventi normativi di mitigazione; rimane quindi fondamentale prevenire tali sanzioni regolarizzando spontaneamente.

Sanzioni per redditi esteri non dichiarati (IRPEF evasa)

L’altro profilo sanzionatorio riguarda la mancata dichiarazione dei redditi da locazione esteri, ossia l’IRPEF non pagata sui canoni. Questa è considerata una violazione di dichiarazione infedele (se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi omettendo quel reddito) oppure di omessa dichiarazione (se addirittura non ha presentato la dichiarazione annuale). Le sanzioni amministrative sono stabilite dal D.Lgs. 471/1997:

  • Dichiarazione infedele (redditi omessi): la sanzione è dal 90% al 180% dell’imposta evasa relativa al reddito non dichiarato, con minimo 90%. Il minimo edittale del 90% si applica in assenza di aggravanti; può salire fino a 180% se il reddito estero non dichiarato supera il 10% del reddito dichiarato oppure €2 milioni (circostanze che aggravano la violazione). Ad esempio, omettere €20.000 di affitti esteri che portano €8.000 di IRPEF evasa comporta una sanzione base di €7.200 (90% di 8.000). Se però il reddito non dichiarato era molto elevato rispetto al resto, la sanzione potrebbe aumentare. Questa sanzione si somma, come detto, a quelle RW e IVIE se anche queste risultano violate.
  • Omessa dichiarazione (dichiarazione annuale non presentata): se il contribuente, pur dovendolo, non presenta affatto la dichiarazione dei redditi includendo quei redditi (magari perché riteneva di non essere residente o per altro), si applica la sanzione più grave: dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. La soglia minima di punibilità (imposta evasa minima) non rileva per la sanzione amministrativa, ma per definire se è reato penale (si veda oltre). Nei casi in esame, di solito il contribuente presentava una dichiarazione (magari omettendo il quadro RW e i redditi esteri), per cui la fattispecie è più spesso la dichiarazione infedele limitata ai redditi esteri, non un’omissione totale.

Riassumendo le principali sanzioni amministrative in gioco in tabella:

Violazione fiscaleSanzione amministrativa ordinaria
Omessa dichiarazione in Quadro RW (white list)3% – 15% del valore dell’immobile non dichiarato per ciascun anno.
Omessa dichiarazione in Quadro RW (black list)6% – 30% del valore per anno (Paese a fiscalità privilegiata).
Valore infedele indicato in RW (white list)1,5% – 7,5% del valore per anno (sanzione RW dimezzata).
Valore infedele in RW (black list)3% – 15% del valore per anno (dimezzata su base black list).
IVIE omessa/evasa90% dell’imposta IVIE dovuta (minimo), fino a 180%.
Omesso versamento IVIE30% dell’importo non versato (generalmente assorbito dall’infedele).
Reddito estero omesso (dich. infedele)90% dell’IRPEF evasa (minimo), aumentabile fino a 180%.
Dichiarazione omessa (no Mod. Redditi)120% – 240% dell’imposta evasa, min €250.
Riduzioni per adesione o acquiescenza–33% sulla sanzione in caso di acquiescenza (pagamento entro 60gg); riduzioni pattuite in accertamento con adesione (es. sanzioni al minimo).

(Nota: le percentuali RW si applicano sul maggiore tra costo di acquisto e valore di mercato annuale dell’immobile. In caso di più anni omessi, si applicano per ciascun anno.)

Profili penali tributari

L’omessa dichiarazione di redditi esteri può sfociare, se i numeri sono rilevanti, anche in un procedimento penale tributario a carico del contribuente, ai sensi del D.Lgs. 74/2000. In sé, il semplice possesso non dichiarato di un immobile estero non è reato – è una violazione amministrativa. Tuttavia, se da tale omissione derivano imposte evase oltre soglie di rilevanza penale, scattano i reati di dichiarazione infedele o omessa dichiarazione, a seconda dei casi, oltre ad altri reati eventualmente connessi (es. sottrazione fraudolenta se si occultano beni per non pagare le imposte, o reati di riciclaggio se i fondi provengono da attività illecite – profili che però esulano dall’ambito fiscale stretto).

In particolare, le fattispecie penalmente rilevanti possono essere:

  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): si configura quando il contribuente indica nella dichiarazione annuale elementi attivi inferiori al reale (o elementi passivi fittizi) con dolo di evasione, e l’imposta evasa supera €100.000 (nonché gli elementi non dichiarati superano il 10% del reddito o €2 milioni). Nel caso di immobili esteri non dichiarati, tipicamente il reato può riguardare l’omesso inserimento dei canoni di affitto o della plusvalenza da vendita, oppure la mancata indicazione dell’IVIE dovuta. Se l’imposta evasa su questi elementi oltrepassa €100.000, il contribuente rischia l’incriminazione. La pena prevista è la reclusione da 2 a 4 anni (nel regime attuale, dopo la riforma 2015 che ha aumentato le pene).
  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): scatta se il contribuente omette di presentare la dichiarazione annuale quando obbligato, con imposta evasa superiore a €50.000 . Ad esempio, chi trasferisce la residenza all’estero solo formalmente ma resta residente di fatto e non presenta dichiarazione in Italia, potrebbe essere accusato di omessa dichiarazione se supera tale soglia. La pena è la reclusione da 2 a 5 anni .

È importante sottolineare che il ravvedimento operoso non estingue il reato di dichiarazione infedele/omessa, contrariamente a quanto avveniva con la procedura di voluntary disclosure (vd infra). Dunque, se un contribuente si accorge di aver evaso somme oltre soglia negli anni passati, sanare tardivamente la posizione fiscale non lo mette automaticamente al riparo da eventuali procedimenti penali per quei periodi. Tuttavia, ravvedersi può costituire un importante elemento a suo favore (sia perché riduce l’evasione accertabile, sia perché denota pentimento), potenzialmente influente sulle scelte sanzionatorie o giudiziarie. Inoltre, se il ravvedimento avviene prima che l’illecito sia constatato, spesso l’amministrazione finanziaria non procede a segnalazione penale (anche se non c’è una garanzia formale in tal senso).

Da ultimo, altre ipotesi di reato meno direttamente connesse: se l’immobile estero era intestato a società o trust di comodo e generava proventi non dichiarati in contabilità, potrebbero configurarsi reati di dichiarazione fraudolenta o omessa fatturazione (in ambito IVA) qualora si tratti di redditi d’impresa, ma queste situazioni esulano dal caso tipico del privato proprietario di immobili esteri.

Termini di accertamento e raddoppio per attività estere

Un aspetto peculiare delle violazioni fiscali relative ad attività detenute all’estero (come gli immobili) riguarda i tempi entro cui il Fisco può procedere all’accertamento. Normalmente, per i redditi nazionali, l’Amministrazione finanziaria ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per notificare un avviso di accertamento (termine che sale a 7 anni in caso di dichiarazione omessa). Ad esempio, un reddito non dichiarato nel 2020 (dichiarazione presentata nel 2021) sarebbe accertabile fino al 31/12/2026.

Tuttavia, per gli investimenti esteri non dichiarati il legislatore ha introdotto un’estensione dei termini, il cosiddetto raddoppio dei termini di accertamento. In base all’art. 12, commi 2-bis e 2-ter, D.L. 78/2009, se l’omissione riguarda attività finanziarie o immobiliari detenute in Paesi black list (quindi Stati senza adeguato scambio di informazioni), i termini raddoppiano: da 5 a 10 anni (o da 7 a 12 anni in caso di omessa dichiarazione). Ciò concede al Fisco un periodo molto più lungo per accertare violazioni connesse a patrimoni esteri occulti.

Ad esempio, un immobile estero non dichiarato nel 2014 in un paese black list potrebbe essere accertato fino al 31/12/2025, grazie al raddoppio, mentre senza raddoppio sarebbe decaduto a fine 2019. Se il paese non era black list (white list), il raddoppio non si applica e restano i termini ordinari.

La Cassazione (sent. n. 8653/2022) ha chiarito che questo raddoppio ha natura procedurale e si applica anche retroattivamente per annualità precedenti al 2009 (non essendo una sanzione sostanziale, può applicarsi a situazioni pregresse). Diversamente, un’altra norma collegata – la presunzione di evasione di cui diremo tra poco – è considerata sostanziale e non retroattiva.

Oltre al raddoppio dei termini, l’art. 12 citato introduce infatti una presunzione legale di evasione per i casi più gravi: stabilisce che gli investimenti esteri in Paesi black list si presumono costituiti con redditi sottratti a tassazione in Italia, salvo prova contraria del contribuente. Questo significa che se il Fisco scopre, ad esempio, un immobile in un paradiso fiscale non dichiarato, è legittimato a presumere che i soldi utilizzati per acquistarlo derivino da redditi non dichiarati in Italia, per un importo pari al valore dell’immobile. Di conseguenza, l’accertamento potrà non solo richiedere IVIE e sanzioni RW, ma anche imputare un reddito imponibile fittizio pari a quel valore (oltre agli eventuali affitti non dichiarati), a meno che il contribuente provi che i fondi erano leciti e già tassati altrove. Questa presunzione è estremamente insidiosa e può portare a contestazioni molto onerose: di fatto può trasformare il possesso di un bene estero in un’accusa di evasione su capitale.

Tuttavia, la presunzione di evasione si applica solo per investimenti effettuati dal 2009 in poi (anno di entrata in vigore della norma). La Cassazione ha escluso effetti retroattivi su tale presunzione sostanziale: non può colpire annualità precedenti il 2009. Inoltre la giurisprudenza, pur riconoscendo la legittimità dello strumento, ha invitato a un uso rigoroso rispettoso dei principi di proporzionalità e difesa, per evitare automatismi eccessivi. Dal punto di vista difensivo, il contribuente che si vede applicare questa presunzione può vincerla fornendo in modo convincente la prova contraria sulla provenienza dei fondi: ad esempio esibendo documenti che attestano che l’acquisto dell’immobile fu finanziato con redditi regolarmente dichiarati, risparmi leciti, vendite di beni già tassati, eredità, donazioni registrate, ecc.. Tale prova, se ben documentata, può annullare la presunzione e quindi evitare la tassazione fittizia.

In sintesi, il Fisco italiano può recuperare redditi esteri non dichiarati per molti anni addietro, specialmente se erano in paesi non collaborativi. È quindi sconsigliabile pensare che il tempo da solo risolva la violazione: con 10 anni a disposizione (o 12 per omessi), e con gli attuali strumenti di scambio informazioni, la scoperta può arrivare anche a distanza di molto tempo dall’illecito.

Regolarizzazione spontanea: ravvedimento operoso e “voluntary disclosure”

Viste le conseguenze severe, un contribuente che realizza di aver dimenticato di dichiarare in passato immobili esteri o i relativi redditi ha tutto l’interesse a regolarizzare spontaneamente la propria posizione, prima che intervenga un accertamento. Gli strumenti principali a disposizione sono:

  • il ravvedimento operoso ordinario (sempre utilizzabile ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 472/1997), e
  • eventuali procedure straordinarie di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) se previste da normative speciali (in passato ce ne sono state un paio, attualmente non attive, ma il legislatore potrebbe introdurne di nuove).

Vediamo come funzionano.

Ravvedimento operoso

Il ravvedimento operoso consente al contribuente di sanare spontaneamente omissioni o irregolarità commesse, beneficiando di sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività con cui si attiva. La regola base è: prima ci si ravvede, maggiore è lo “sconto” sulla sanzione. Nel caso specifico di omessa dichiarazione di immobili esteri e redditi:

  • Se il ravvedimento avviene entro 90 giorni dalla scadenza della dichiarazione, la violazione RW può essere sanata con una sanzione fissa minima invece della sanzione proporzionale. In particolare, entro 90 giorni la mancata compilazione del quadro RW è trattata come dichiarazione tardiva: si applica solo la sanzione fissa da €250 a €500, ridotta a 1/9 (€27 circa). Questo è un enorme vantaggio: significa che se l’errore è riconosciuto subito, entro i primi mesi, si paga una somma simbolica invece del 3% del valore.
  • Decorso il 90° giorno, si passa alle riduzioni frazionate della sanzione proporzionale. Le riduzioni standard del ravvedimento prevedono: 1/8 del minimo se si regolarizza entro un anno; 1/7 del minimo entro due anni; 1/6 del minimo oltre due anni (e fino a che non intervenga accertamento). Nel nostro caso, il minimo edittale RW è 3% annuo (o 6%), quindi:
  • Ravvedimento entro 1 anno: sanzione ≈ 0,375% annuo (3% × 1/8) per i paesi white list.
  • Entro 2 anni: ≈ 0,429% annuo (3% × 1/7).
  • Oltre 2 anni: ≈ 0,5% annuo (3% × 1/6).

Analogamente per i paesi black list i valori doppi (es. 6% × 1/6 = 1% annuo oltre 2 anni, invece di 6%). Come si vede, anche ravvedendosi tardivamente dopo anni, la sanzione scende drasticamente (0,5% vs 3% per ogni anno omesso). Allo stesso modo la sanzione sul tributo (IRPEF evasa e IVIE evasa) scende a frazioni: 1/8 o 1/6 del 90%, ecc. Dunque l’ammontare sanzionatorio col ravvedimento è molto più mite rispetto a un accertamento pieno .

  • Il ravvedimento è possibile fintanto che la violazione non sia già stata constatata (cioè prima che arrivi un formale atto di accertamento o anche una semplice notifica di avvio di verifica). In pratica, finché il contribuente non è sotto controllo, può ravvedersi anche per annualità lontane. Ad esempio, nel 2025 si può ancora ravvedere l’anno d’imposta 2019 (dichiarazione 2020) perché non ancora accertato, pagando 1/6 del minimo. Man mano che passa il tempo, si riduce lo “sconto” ma resta comunque conveniente rispetto all’accertamento. Inoltre, regolarizzando si evita il raddoppio dei termini: l’anno sanato non è più un’omissione, quindi il Fisco non può applicare l’estensione decennale per quell’anno. Ciò pone al riparo da future contestazioni su quell’annualità.

Come ravvedersi in concreto: bisogna presentare una dichiarazione integrativa per gli anni in questione, compilando il quadro RW omesso e dichiarando gli eventuali redditi (affitti) non dichiarati. Contestualmente occorre versare: – l’IVIE dovuta per quegli anni (0,76% annuo sul valore, al netto franchigia, pro quota), – l’IRPEF dovuta sui redditi esteri (affitti) di quegli anni, al netto di eventuali crediti d’imposta esteri spettanti, – gli interessi di mora calcolati giorno per giorno (tasso di interesse legale vigente per ciascun anno), – le sanzioni ridotte calcolate come sopra (sanzione RW ridotta + sanzione IVIE/IRPEF ridotta).

Ad esempio, se un contribuente si accorge nel 2025 di non aver dichiarato nel 2022 un appartamento in Austria acquistato in quell’anno, con valore €100.000 e affitto percepito €5.000 (tassato in Austria per €4.000 netti con €800 di imposte estere): – presentando integrativa per il 2022 dichiarerà l’immobile in RW (valore €100k) e l’affitto (€4.000 netto), – verserà IVIE 2022 = €760, – verserà IRPEF 2022 sul reddito €4.000 (supponiamo €1.200) meno credito €800 = €400, – interessi sui vari importi (poco più del 1% annuo sul dovuto, calcolato dal 2023 al 2025), – sanzione RW 2022: 3% di 100k = €3.000 ridotto a 1/8 (entro un anno) = €375, – sanzione IRPEF evasa: 90% di €400 = €360 ridotto a 1/8 = €45, – sanzione IVIE evasa: 90% di €760 = €684 ridotto 1/8 = €85 circa.

Con circa €760+400+ (piccoli interessi) + €375+45+85 ≈ €1.700 totali il contribuente mette in regola un anno, evitando in radice sanzioni ben maggiori e soprattutto azzera il rischio penale per quel fatto. Questo mostra come “costoso” sia non ravvedersi.

Infine, il ravvedimento è un atto unilaterale del contribuente: non richiede accordi con il Fisco. Basta presentare l’integrativa e pagare. L’Agenzia potrà controllare l’esattezza, ma di norma accetta il ravvedimento purché completo e tempestivo. Va ricordato che il ravvedimento non è ammesso se è già stato notificato al contribuente un atto di liquidazione o di accertamento o una comunicazione di controllo formale per quella violazione (in pratica, quando “ti hanno preso”).

In ogni caso, anticipare l’Agenzia conviene sempre: meglio un ravvedimento tardivo che un accertamento con mega-sanzioni. Se si teme di essere a rischio (ad es. perché si sa di rientrare in scambi di informazioni imminenti), è opportuno autodenunciarsi e pagare il dovuto con le riduzioni prima di ricevere qualunque notifica. Se invece hai già ricevuto un questionario o segnali di indagine in corso, il ravvedimento potrebbe non essere più esperibile (perché l’irregolarità è ormai nota all’ufficio).

Voluntary disclosure e altre sanatorie

Negli anni passati (2015 e 2017) l’Italia ha attivato delle procedure straordinarie di regolarizzazione dei capitali esteri, note come Voluntary Disclosure (VD). Queste consentivano ai contribuenti di autodenunciarsi pagando per intero le imposte evase ma con uno sconto sulle sanzioni e, soprattutto, con un beneficio penale: l’adesione alla VD comportava la non punibilità per alcuni reati tributari connessi (dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, ecc.). Attualmente (2025) non è in corso una voluntary disclosure generalizzata per le attività estere non dichiarate. Alcune misure di pace fiscale introdotte con le recenti Leggi di Bilancio hanno riguardato regolarizzazioni di alcune attività estere (es. cripto-attività nel 2023) ma nulla di paragonabile alla VD globale.

Pertanto, chi oggi vuole regolarizzare immobili esteri non dichiarati deve usare il ravvedimento operoso ordinario. La voluntary, se anche fosse riaperta in futuro, di solito offre vantaggi sul piano penale più che su quello amministrativo. Infatti, con il ravvedimento odierno si ottengono già sanzioni molto ridotte (come visto). La differenza è che il ravvedimento non estingue i reati eventualmente commessi, mentre la VD in passato aveva efficacia causa di non punibilità penale. Dunque, per chi teme di aver superato soglie penalmente rilevanti, una futura VD potrebbe essere interessante; tuttavia non c’è certezza che venga riproposta, e attendere sperando in una sanatoria penale potrebbe essere rischioso. Nella stragrande maggioranza dei casi (dove i redditi evasi non toccano i 50-100 mila euro di imposta annua) il ravvedimento è più che sufficiente e conveniente, e anzi procrastinare potrebbe portare a un accertamento.

In conclusione, se hai immobili esteri non dichiarati e non sei ancora sotto controllo, ravvederti spontaneamente è la mossa più saggia: consente di mettersi in regola pagando il dovuto con penalità ridotte e di chiudere definitivamente le annualità pregresse, evitando l’incubo di un futuro accertamento aggravato. Come si suol dire, prevenire è meglio che curare.

Accertamento e contenzioso: come affrontare la contestazione

Se, invece, l’avviso di accertamento è già arrivato – l’Agenzia quindi ha scoperto l’immobile estero non dichiarato e i relativi redditi – occorre valutare attentamente la strategia da adottare per ridurre i danni e, se possibile, contestare le pretese infondate. Dal momento della notifica dell’avviso, infatti, scattano precisi termini per reagire.

Verificare l’accertamento e le contestazioni

Anzitutto, occorre leggere bene cosa contesta l’atto. Un avviso di accertamento per immobili esteri non dichiarati in genere contiene: – Identificazione dell’immobile non dichiarato (indirizzo, località estera, dati catastali esteri se disponibili, ecc.) e il suo valore accertato ai fini IVIE. – Calcolo delle imposte evase: l’IVIE non pagata per ciascun anno, l’IRPEF sui canoni di locazione non dichiarati, con indicazione dei periodi d’imposta interessati, e il conteggio dei relativi interessi. – Elenco delle violazioni: omessa compilazione Quadro RW, omesso versamento IVIE, omessa dichiarazione redditi esteri, ecc., con indicazione delle sanzioni applicate per ciascuna. – Base giuridica dell’accertamento: riferimenti a norme (art. 4 e 5 D.Lgs.74/2000 se del caso, art. 1 D.Lgs.471/97, art. 12 DL 78/09 per raddoppio, ecc.), eventuali Convenzioni internazionali citate se pertinenti, e motivazioni (es. “da scambio informazioni CRS è emerso conto bancario estero… da cui si deduce possesso immobile…” oppure “immobile emerso da rogatoria internazionale / da registri esteri” etc.). – Istruzioni sul pagamento o impugnazione: l’indicazione che entro 60 giorni si può pagare beneficiando della riduzione 1/3 sanzioni (acquiescenza), oppure presentare ricorso con mediazione se previsto.

Alla ricezione, occorre subito verificare alcuni punti chiave: – Eri effettivamente obbligato a dichiarare? (Ad esempio, valuta se in quegli anni eri residente fiscale in Italia o magari iscritto AIRE all’estero in buona fede. Se non eri residente, potresti non essere tenuto alle imposte italiane per quell’immobile). – I dati contestati sono corretti? (Controlla se magari l’immobile era stato dichiarato in parte, o se il valore indicato dall’AdE è gonfiato. Se l’immobile era già in RW in altri anni, o se c’è un errore sul periodo di possesso, sono elementi da evidenziare). – Esistenza di imposte estere pagate: se hai pagato tasse all’estero su quell’immobile (es. imposta patrimoniale locale, o tasse sul reddito da affitto), raccogli le prove. Anche se l’Agenzia inizialmente non ha riconosciuto crediti, puoi farli valere. – Modalità di scoperta: capire come il Fisco ha scoperto l’immobile (scambio di informazioni automatico CRS? segnalazione anonima? controllo incrociato AIRE?). Questo non cambierà la sostanza, ma potrebbe dare spunti (ad es. se la segnalazione è lacunosa, potresti far leva su incertezze del dato).

Strade possibili: adesione o ricorso

Dal momento della notifica, hai 60 giorni per decidere. Le opzioni principali: – Accertamento con adesione: puoi presentare un’istanza di adesione all’Ufficio entro 60 giorni. Ciò sospende i termini per impugnare e ti invita a un contraddittorio con l’Agenzia. In sede di adesione, si può discutere e negoziare l’ammontare dovuto. Spesso l’Ufficio, pur avendo poco margine sulla quota imposte, può concedere sconti sulle sanzioni. Ad esempio, potrebbe ridurre le sanzioni RW al minimo edittale o anche sotto, eliminare aggravanti, riconoscere parzialmente crediti d’imposta esteri, ecc. L’adesione può portare a un accordo in cui il contribuente paga una somma concordata e chiude la controversia senza ricorso. Il vantaggio è anche una ulteriore riduzione: sulle sanzioni concordate si applica poi la riduzione di 1/3 per definizione agevolata. Nel nostro esempio prima, l’Agenzia in adesione potrebbe ridurre i €63.000 di sanzioni RW a diciamo €30.000 e poi con la riduzione a 1/3 verrebbero €10.000; e ridurre la sanzione IVIE da 90% a 45% (da €10.260 a €5.130). In generale, l’adesione è consigliabile se le violazioni sono chiare e difficilmente contestabili, ma si vuole ottenere uno sconto sanzioni e magari rateizzare (nell’atto di adesione si può chiedere pagamento rateale).

  • Acquiescenza (pagamento entro 60 giorni): se il contribuente riconosce pienamente la fondatezza dell’accertamento e vuole solo chiudere subito sfruttando lo sconto sanzioni, può pagare interamente quanto richiesto entro 60 giorni. Ciò dà diritto alla riduzione delle sanzioni a 2/3 del loro importo. Ad esempio, una sanzione di €9.000 diventerebbe €6.000. Questo è definito acquiescenza e preclude il ricorso. Può convenire in casi di importi modesti o di evidente colpa, quando non vale la pena iniziare un contenzioso.
  • Ricorso al giudice tributario: se si ritiene l’accertamento infondato in tutto o in parte, è possibile presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni (o 150 se si è fatta istanza di adesione che non ha portato accordo). Nel ricorso si possono far valere tutte le eccezioni: ad esempio:
  • Insussistenza dell’obbligo dichiarativo: sostenere che il contribuente non era residente fiscale in Italia in quegli anni (se ci sono elementi, es. iscrizione AIRE, famiglia e interessi all’estero, ecc.) e quindi non doveva dichiarare nulla qui.
  • Doppia imposizione non eliminata: eccepire che non è stato riconosciuto il credito per le imposte estere già pagate. Si dovrà provare l’avvenuto pagamento all’estero (esibendo ricevute d’imposta, modelli fiscali esteri) e chiedere al giudice di sottrarre tali importi dall’IRPEF accertata, in virtù dell’art. 165 TUIR e della convenzione applicabile.
  • Errata quantificazione del reddito: contestare il calcolo dell’imponibile: ad esempio, se l’Agenzia ha tassato il 100% del canone mentre per convenzione andava tassato il netto, o se non ha applicato la deduzione 15% in un caso in cui lo Stato estero non tassava l’affitto.
  • Errata applicazione delle sanzioni: verificare se l’ufficio ha applicato il giusto numero di annualità, la giusta percentuale (white/black list aggiornato: es. Svizzera era black list fino al 2018 ma white list poi; se l’Agenzia non avesse tenuto conto del cambiamento, le sanzioni per anni dal 2019 in poi andrebbero ricalcolate al 3% non al 6%). Oppure controllare se hanno duplicato sanzioni non cumulabili.
  • Proporzionalità ed eccesso di potere: in casi estremi di sanzioni enormi rispetto all’imposta, si può invocare il principio di proporzionalità (richiamando magari la sentenza UE sul modello 720 spagnolo) per chiedere al giudice un ridimensionamento. Non c’è garanzia di successo, ma è argomento di equità.
  • Prescrizione/decadenza: controllare se per caso l’accertamento è arrivato fuori tempo (ad es. un anno white list oltre 5 anni). Attenzione però che se c’è omesso RW in black list, hanno 10 anni. Verificare anche la correttezza della notifica.
  • Presunzione evasione sproporzionata: se è stato applicato l’art. 12 DL 78/09 imputando un reddito pari al valore dell’immobile, e tu hai prove che i fondi di acquisto erano leciti, produci tali prove per vincere la presunzione. Il giudice, davanti a prova contraria convincente, può annullare quella parte di accertamento.

Prima del ricorso, se l’importo in contestazione è sotto €50.000, è obbligatoria la presentazione di un reclamo/mediazione: in pratica si deposita il ricorso come reclamo e l’Agenzia ha 90 giorni per eventualmente accoglierlo in mediazione (con riduzione sanzioni a 1/3 come in adesione). Spesso su queste materie l’Agenzia difficilmente annulla in autotutela, ma può offrire una riduzione per chiudere.

Durante il contenzioso, il contribuente può chiedere la sospensione dell’atto se deve pagare e ciò gli causerebbe danno grave. Dato che per andare in giudizio comunque occorre versare il ricorso 1/3 (un terzo delle imposte accertate, escluse sanzioni) salvo sospensione, valutare i costi. Per importi alti, la difesa va ben ponderata con professionisti esperti.

Difendersi con successo: strategie difensive

Dal punto di vista del debitore/contribuente, le strategie difensive possono includere: – Dimostrare la non residenza fiscale per gli anni contestati, se applicabile, producendo iscrizione AIRE, contratti di lavoro estero, centro interessi all’estero, per sostenere che non eri soggetto al fisco italiano (questa è una difesa dirompente perché eliminerebbe tutto in radice, ma richiede requisiti stringenti). – Documentare i pagamenti esteri: portare ricevute di pagamento delle imposte estere (IRPEF locale o patrimoniali) per chiedere lo scomputo dei crediti d’imposta dovuti. Se l’Agenzia li ha negati in fase amministrativa, il giudice può riconoscerli e ridurre sensibilmente l’importo dovuto. – Evidenziare eventuali errori dell’Ufficio: ad esempio se ha considerato l’immobile di tua proprietà al 100% ma magari era al 50% con il coniuge – in tal caso rettificare in diminuzione. O se ha incluso anni ormai prescritti. – Chiedere il riconoscimento delle spese deducibili estere per abbattere il reddito: se il paese estero tassava il netto e tu hai prova delle spese (es. spese straordinarie documentate), rafforza la tesi che l’Italia deve tassare il netto come da art. 70 TUIR e convenzione. AdE tende a tassare almeno il canone ridotto 15% se non vede imposte estere, ma se provi che un’annualità hai avuto una perdita dall’immobile (spese > affitto) e perciò all’estero non era tassabile, puoi sostenere che in Italia non c’è reddito da tassare quell’anno (come da Cassazione 2021 citata). – Contestar la gravità per sanzioni e reati: se c’è margine, evidenziare buona fede, complessità normativa, mancanza di dolo. Questo più che per annullare serve per convincere l’ufficio a transare o il giudice a stare sul minimo edittale. Ad esempio, si può argomentare che la normativa era poco chiara, specialmente anni fa (in passato c’erano dubbi su obbligo RW per immobili tramite trust fino alle circolari 2013 e 2022). L’“obiettiva incertezza” normativa può escludere le sanzioni in alcuni casi. – Accordi in extremis: anche dopo l’avvio del ricorso, è possibile concludere concilii giudiziali con l’Agenzia, con riduzione sanzioni a 1/2 o 1/3 secondo stadio del processo. Quindi mantenere aperto dialogo per eventuale chiusura agevolata.

In ogni caso, è consigliabile farsi assistere da un professionista esperto in diritto tributario internazionale per impostare la difesa. In questa materia, come abbiamo visto, si intersecano norme interne, convenzioni internazionali e circolari, e le cifre in ballo (tra imposte e sanzioni) possono essere molto alte, giustificando l’investimento in una consulenza qualificata.

Domande frequenti (FAQ)

Domanda: Cos’è esattamente un “avviso di accertamento per redditi da locazioni estere non dichiarati”?
Risposta: È l’atto formale con cui il Fisco contesta a un contribuente di aver omesso di dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi i proventi derivanti da immobili posseduti all’estero. Tipicamente include anche la contestazione dell’omessa compilazione del Quadro RW e del mancato pagamento dell’IVIE correlata. In pratica, l’Agenzia ricalcola le imposte dovute su quegli affitti esteri non dichiarati (IRPEF e IVIE), applica sanzioni e chiede il pagamento della differenza.

Domanda: Quali obblighi ho se possiedo un immobile all’estero?
Risposta: Se sei fiscalmente residente in Italia, devi dichiarare ogni anno il tuo immobile estero nel Quadro RW del Modello Redditi, indicando i dati identificativi e il valore dell’immobile. Inoltre, devi calcolare e versare l’IVIE dovuta, pari allo 0,76% annuo del valore (salvo franchigia €200 e casi di esenzione per abitazione principale) . Se l’immobile produce redditi (es. affitto), devi anche dichiarare tali redditi esteri nella dichiarazione annuale e pagarci l’IRPEF, eventualmente detraendo le imposte pagate all’estero su quegli stessi redditi.

Domanda: Cos’è l’IVIE e come si calcola per un immobile estero?
Risposta: L’IVIE è un’imposta patrimoniale annuale sul valore degli immobili detenuti all’estero da residenti in Italia, simile all’IMU per gli immobili in Italia. Si calcola applicando l’aliquota dello 0,76% al valore imponibile dell’immobile (tipicamente il costo di acquisto o valore di mercato, o valore catastale estero se ammesso) . Si paga in proporzione ai mesi e alla quota di possesso nell’anno, con una detrazione fissa di €200 che azzera l’imposta se l’importo dovuto è basso. Ad esempio, per una casa estera valore €50.000, l’IVIE annua sarebbe €380, ma grazie alla franchigia di €200 si pagherebbero solo €180. Se l’immobile è la tua abitazione principale all’estero (non di lusso) e sei residente in Italia, dal 2016 c’è esenzione IVIE per quell’immobile.

Domanda: Ho già pagato le tasse sull’affitto nel Paese dove si trova l’immobile. Devo pagarle anche in Italia?
Risposta: Sì, se sei residente in Italia devi comunque dichiarare in Italia quei redditi esteri, ma non subirai una doppia tassazione effettiva: potrai detrarre dall’IRPEF italiana l’imposta pagata all’estero su quegli affitti, fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa a quel reddito. In pratica, l’Italia calcola quanto dovuto secondo le sue aliquote, poi sottrae l’imposta estera (nei limiti previsti). Se l’imposta estera è uguale o superiore a quella italiana, non pagherai nulla in più (ma devi comunque dichiarare). Se l’Italia tassa di più, pagherai solo la differenza. Ad esempio, se su €5.000 di affitto hai pagato €500 all’estero e in Italia ne risulterebbero dovuti €800, in Italia verserai solo €300.

Domanda: Cosa rischio se non dichiaro un immobile estero e i relativi affitti?
Risposta: Rischi sanzioni molto elevate e, in casi gravi, anche conseguenze penali. In particolare, per l’omessa dichiarazione in Quadro RW l’ordinamento prevede una sanzione dal 3% al 15% annuo del valore dell’immobile (che sale al 6-30% se l’immobile è in un Paese black list). Inoltre, dovrai versare l’IVIE arretrata con la sanzione del 90% sull’imposta evasa. Per i redditi da affitto non dichiarati, c’è una sanzione del 90% dell’IRPEF evasa. Queste sanzioni si cumulano e possono portare a decine di migliaia di euro. Se l’imposta evasa in un anno supera le soglie penali (oltre €100.000 evasi), la condotta diventa un reato tributario di dichiarazione infedele, punibile con la reclusione. Anche omettere del tutto la dichiarazione è reato se sopra €50.000 di imposte evase . Quindi le conseguenze vanno dalla multa al carcere nei casi estremi. Vale assolutamente la pena di dichiarare spontaneamente per evitare questo scenario.

Domanda: L’omessa dichiarazione di un immobile estero è un reato?
Risposta: Di per sé no. La mancata compilazione del quadro RW e il mancato pagamento dell’IVIE sono violazioni amministrative punite con sanzioni pecuniarie, ma non costituiscono automaticamente reato. Diventa reato (dichiarazione infedele od omessa) solo se l’imposta evasa a causa di quelle omissioni supera le soglie previste dalla legge (vedi sopra: >100k euro annui per infedele, >50k per omessa dichiarazione) e ci sia dolo di evasione. In assenza di superamento soglie, rimane una questione amministrativa (sebbene molto costosa in termini di multe). Comunque, se hai dubbi su possibile rilevanza penale, consulta subito un esperto: meglio prevenire.

Domanda: Il Fisco come può scoprire che ho un immobile all’estero?
Risposta: Oggi gli strumenti di controllo sono numerosi. Grazie allo scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS), molti Paesi comunicano all’Italia dati sui beni dei residenti italiani. In primo luogo, gli istituti finanziari esteri comunicano conti correnti, depositi titoli ecc., e da lì l’Agenzia può risalire a entrate da affitti esteri o pagamenti correlati a immobili. Inoltre ci sono scambi di informazioni catastali: ad esempio alcuni Paesi condividono registri immobiliari o rogiti di acquisto di cittadini esteri. Accordi bilaterali (come quello con la Svizzera attivo dal 2018) permettono all’Italia di ottenere dati prima inaccessibili. L’Agenzia utilizza anche fonti open source: siti web di annunci, Airbnb (in passato sono stati chiesti dati sugli host), collegamenti con bollette estere intestate a residenti, ecc. In più, se paghi dall’Italia spese relative a un immobile estero (bonifici per mutuo, utenze estere, imposte locali), questi movimenti finanziari possono emergere. Infine c’è la cooperazione tra amministrazioni: se compri casa in Francia, il notaio francese potrebbe segnalare il cittadino italiano alle autorità fiscali. Insomma, l’era del segreto bancario e immobiliare è finita; e una volta individuato un immobile non dichiarato, l’Agenzia può incrociare i dati con dichiarazioni passate e notare l’assenza del quadro RW.

Domanda: Se possiedo l’immobile tramite una società estera o un trust, devo dichiararlo comunque?
Risposta: Nella maggior parte dei casi, sì, indirettamente. Se possiedi una società estera che a sua volta ha un immobile, devi dichiarare in Quadro RW le tue quote di partecipazione in quella società (in quanto attività finanziaria estera). Inoltre, se la società è sostanzialmente una tua emanazione (società esterovestita o di comodo) finalizzata a schermare il bene, il Fisco potrebbe considerarti titolare effettivo dell’immobile e pretendere che tu lo dichiari direttamente. Lo stesso vale per un trust: il beneficiario/diponente italiano deve dichiarare il trust e i relativi beni se ne ha disponibilità di fatto. Quindi non illuderti che interporre una società off-shore ti esoneri: o dichiari la partecipazione, o rischi sanzioni sia sul valore dell’asset che sui redditi prodotti, come se fosse detenuto direttamente.

Domanda: Ho ricevuto un avviso di accertamento per un immobile estero non dichiarato. Cosa posso fare ora?
Risposta: Hai essenzialmente due strade: aderire/pagare oppure contestare. Entro 60 giorni puoi: – presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio, avviando un dialogo per provare a ottenere uno sconto su sanzioni o una ridefinizione dell’importo; in adesione l’Agenzia spesso riduce le sanzioni e potresti chiudere la vertenza con una somma concordata; – oppure proporre ricorso alla Commissione Tributaria, se ritieni l’accertamento errato (in tutto o in parte). In tal caso è consigliabile farsi assistere da un tributarista. Valuta la fondatezza: se l’errore è palese (es. non eri residente, o l’immobile era stato dichiarato), il ricorso ha senso. Se invece sai di aver effettivamente omesso, può convenire negoziare una definizione.

In ogni caso, entro 60 giorni devi agire in qualche modo: se non fai nulla, l’avviso diventa definitivo e l’importo dovuto verrà iscritto a ruolo per la riscossione coattiva.

Domanda: Posso ancora regolarizzare ora che non mi hanno contestato nulla (o ho solo ricevuto un avviso bonario)?
Risposta: Sì, finché non ti viene contestato formalmente nulla, puoi fare un ravvedimento operoso. Ciò comporta la presentazione di dichiarazioni integrative per gli anni omessi, l’indicazione dell’immobile in RW, il pagamento delle imposte dovute (IVIE e IRPEF sui redditi eventualmente prodotti) con sanzioni ridotte. Le riduzioni dipendono da quanto ritardo accumuli, ma restano molto vantaggiose rispetto alle sanzioni piene. Importante: se hai già ricevuto un questionario dall’Agenzia o sai di un’indagine in corso, il ravvedimento potrebbe non essere più ammesso (perché la violazione non è più spontanea). Ma in assenza di ciò, è fortemente consigliato ravvedersi. Pagherai una frazione di quel che pagheresti con un accertamento, e soprattutto dormirai sonni tranquilli in futuro.

Domanda: Le convenzioni contro le doppie imposizioni mi tutelano da questi accertamenti?
Risposta: Le convenzioni servono ad evitare la doppia imposizione internazionale sui redditi, ma non ti esonerano dagli obblighi dichiarativi verso l’Italia né dal pagare l’IVIE. In pratica, se l’immobile produce redditi tassati anche all’estero, l’Italia tramite la convenzione ti eviterà di pagare due volte lo stesso reddito (riconoscerà un credito per l’imposta estera). Tuttavia, devi comunque dichiarare quel reddito in Italia e, se l’imposizione estera è inferiore a quella italiana, pagare la differenza. Inoltre le convenzioni di solito non coprono le imposte patrimoniali come l’IVIE, quindi su quell’aspetto l’Italia può sempre applicare la sua imposta. In sintesi: la convenzione evita il doppio pagamento del reddito, ma non ti protegge se non hai dichiarato nulla in Italia. Anzi, l’Italia, avendo diritto di tassare come Stato di residenza, pretenderà la sua dichiarazione (con credito) indipendentemente dal fatto che tu abbia già pagato altrove.

Domanda: Fino a quanti anni indietro possono farmi un accertamento per un immobile estero non dichiarato?
Risposta: Fino a 10 anni indietro, nella peggiore delle ipotesi. Normalmente, per violazioni “interne”, il termine è 5 anni (dopo l’anno di dichiarazione) o 7 anni se non hai proprio presentato la dichiarazione. Ma per attività estere non dichiarate in paesi che non avevano accordi informativi (black list), la legge prevede il raddoppio dei termini: quindi 10 anni (o 12 in caso di omessa dichiarazione). Ad esempio, un’omissione del 2015 potrebbe essere contestata fino al 31/12/2025 se l’immobile era in un paese black list. Se era in un paese white list, vale il termine ordinario di 5 anni (quindi il 2015 sarebbe decaduto a fine 2021). Attenzione: dal 2019 in poi molti paesi (es. Svizzera) sono usciti dalla black list grazie allo scambio automatico. Nel tuo caso, verifica lo status del Paese e l’anno. Ma come regola prudenziale considera che potrebbero recuperare fino a 10 anni addietro. Questo ampio lasso è uno dei motivi per cui conviene sanare prima possibile, perché il tempo di “pericolo” è lungo.

Domanda: Se pago subito quanto richiesto dall’accertamento, ho diritto a qualche sconto?
Risposta: Sì. Se decidi di non fare ricorso e paghi integralmente l’avviso entro 60 giorni, hai diritto alla riduzione delle sanzioni amministrative a 2/3 (ossia uno sconto del 33%). Questo beneficio si chiama acquiescenza ed è indicato nell’atto. Ad esempio, invece di una sanzione di €9.000 ne pagherai €6.000. Tieni presente che l’acquiescenza comporta che accetti tutti i rilievi: pagando chiudi la questione ma rinunci a contestare. È dunque opportuna solo se l’accertamento è corretto e non ci sono margini di difesa, e vuoi solo chiudere risparmiando sulle sanzioni.

Domanda: Potete fare un esempio concreto di contestazione e calcoli per un immobile estero non dichiarato?
Risposta: Certo. Esempio: contribuente residente possiede dal 2018 una casa in Svizzera (ricorda: Svizzera era black list fino al 2018 e diventa white list dal 2020 in poi, grazie allo scambio automatico). Valore di acquisto €300.000. Non ha mai dichiarato l’immobile in RW né pagato IVIE. Supponiamo inoltre che non l’abbia affittata (niente reddito da dichiarare, solo patrimonio). Nel 2025 il Fisco lo scopre e contesta le annualità 2018-2019 (quando la Svizzera era considerata black list) e 2020-2021-2022 (white list). Ecco il calcolo: – IVIE dovuta: 0,76% di €300.000 = €2.280 annui. Per 5 anni = €11.400 di imposta evasa. – Interessi: circa €1.000 totali (interessi legali composti dal 2019 in poi). – Sanzione IVIE infedele: 90% dell’imposta evasa = ~€10.260. – Sanzioni RW: – 2018-2019 (black list): minimo 6% annuo. 6% di €300.000 = €18.000 per anno. Totale €36.000. – 2020-2021-2022 (white list): minimo 3% annuo. 3% di €300.000 = €9.000 annui. Totale €27.000. – Totale sanzioni RW = €63.000. – Totale avviso: IVIE €11.400 + interessi €1.000 + sanz. IVIE €10.260 + sanz. RW €63.000 = circa €85.660.

Questa è la pretesa iniziale. Se il contribuente aderisce e tratta con l’ufficio: – L’Agenzia potrebbe ridurre le sanzioni RW almeno alla metà del minimo edittale (es. invece di 63k portarle a 31.5k) e poi applicare la riduzione 1/3 per adesione, scendendo a ~€21k. Magari potrebbe anche ridurre la sanzione IVIE al 45% (metà del 90%), cioè ~€5k. – Così, pagando in adesione, potrebbe chiudere intorno a €12.400 di imposte+interessi e €26k di sanzioni, quindi circa €38.400 totali.

Se invece avesse fatto ravvedimento volontario prima di essere scoperto (diciamo nel 2023): – Avrebbe pagato IVIE €11.400, interessi modesti, – Sanzione RW ridotta (oltre 2 anni, 1/6 di 3-6%): per 2018-19 al 1% annuo = €6k, per 2020-22 allo 0,5% = €4.5k, totale ~€10.5k, – Sanzione IVIE ridotta (1/6 di 90%) = 15% di €11.400 = €1.710, – Totale circa €11.400 + €1.710 + €10.5k = €23.610 (più interessi) e niente ansie penali.

Questo esempio mostra la differenza enorme tra intervenire dopo un accertamento e prima. Prevenire conviene di gran lunga.

Conclusione

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli sui redditi esteri non dichiarati, inclusi i canoni di locazione derivanti da immobili all’estero. Il contribuente italiano fiscalmente residente è tenuto a dichiarare tali redditi e gli immobili posseduti fuori confine, e l’omissione può portare a sanzioni elevate e lunga perseguibilità. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale agire tempestivamente: regolarizzare spontaneamente quando si è in difetto, oppure approntare una valida strategia difensiva se si subisce un accertamento.

Abbiamo visto che esistono strumenti per ridurre il carico (ravvedimento, adesione, credito per le imposte estere, convenzioni) e che la normativa si è evoluta includendo importanti pronunce giurisprudenziali a tutela del contribuente (ad es. in tema di credito d’imposta non decaduto). È importante non farsi prendere dal panico ma nemmeno sottovalutare la questione: ignorarla peggiora solo le cose. Con la giusta assistenza professionale si può spesso rimediare con costi sostenibili oppure difendersi in modo efficace, facendo valere i propri diritti.

L’augurio è che questa guida avanzata abbia chiarito i principali aspetti normativi e pratici del caso in esame – “Agenzia delle Entrate contesta redditi da locazioni estere non dichiarati” – fornendo ai contribuenti interessati (e ai loro consulenti) gli strumenti conoscitivi per muoversi al meglio, prevenire errori futuri e affrontare quelli passati. In un sistema fiscale complesso come il nostro, la conoscenza è la prima forma di difesa.

Fonti:

  • Agenzia delle Entrate – Circolare 38/E del 2013, sul concetto di “detenzione” estera e obblighi di monitoraggio per titolari effettivi, delegati ecc..
  • Agenzia delle Entrate – Circolare 34/E del 20/10/2022, aggiornamenti sulla fiscalità dei trust: conferma obbligo RW per beneficiari italiani e coordinamento dichiarativo per evitare duplicazioni.
  • Corte di Cassazione – Sez. V civ. – Sent. n. 9445/2025, sul trust interposto: titolarità effettiva in capo al disponente italiano ai fini RW.
  • Corte di Cassazione – Sez. V civ. – Sent. n. 9096/2025, caso di interposizione tramite trust estero: conferma tassazione in capo al disponente.
  • Corte di Cassazione – Ord. n. 10642/2025, diritto al credito per imposte estere non decaduto malgrado mancata indicazione in dichiarazione entro l’anno di produzione.
  • Corte di Cassazione – Ord. n. 30006/2021, redditi da locazione esteri: base imponibile italiana pari a zero se in Stato estero oneri deducibili eccedono i canoni (conferma tassazione sul netto effettivo).
  • Corte di Cassazione – Sent. n. 8653/2022, retroattività del raddoppio dei termini di accertamento per omesso RW (norma procedurale); non retroattività della presunzione di evasione (norma sostanziale).
  • Corte di Giustizia UE – Sentenza 27/01/2022, C-788/19 (Commissione vs Spagna), che ha dichiarato illegittimo il regime spagnolo di monitoraggio estero (Modelo 720) per sproporzione delle sanzioni e termini illimitati, stabilendo un importante principio di proporzionalità rilevante per casi analoghi.
  • Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) – Art. 2 (residenza fiscale), Art. 3 (worldwide principle), Art. 67 c.1 lett. f) (redditi diversi per immobili esteri), Art. 70 c.2 (criteri tassazione immobili esteri: reddito imponibile determinato in base alle regole estere o 85% canone se non tassato estero), Art. 165 (credito per imposte estere).
  • D.L. 167/1990 (monitoraggio fiscale) e succ. mod., D.L. 78/2009 art.12 (raddoppio termini e presunzione evasione per attività estere).
  • D.Lgs. 471/1997 (sanzioni tributarie) art. 1 (sanzioni dichiarazione infedele/omessa), art. 5 (omesso versamento); D.Lgs. 472/1997 art.13 (ravvedimento operoso).
  • D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) art. 4 (dichiarazione infedele), art. 5 (omessa dichiarazione)

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver dichiarato i redditi da locazioni estere? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver dichiarato i redditi da locazioni estere?
Vuoi capire quali sono i rischi e come puoi difenderti?

I contribuenti fiscalmente residenti in Italia devono dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti, compresi quelli derivanti da immobili dati in locazione all’estero. Questi vanno indicati in dichiarazione, anche se le imposte sono già state pagate nel Paese in cui si trova l’immobile.
L’Agenzia delle Entrate rileva le omissioni grazie allo scambio automatico di informazioni internazionali (CRS, OCSE, FATCA) e ai controlli sui flussi bancari.

👉 Non sempre però la contestazione è corretta: spesso il reddito è già stato tassato all’estero e può essere applicato il credito d’imposta per evitare la doppia imposizione.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • Mancata indicazione in dichiarazione dei canoni percepiti da immobili esteri;
  • Omessa compilazione del quadro RW per il monitoraggio fiscale;
  • Mancata applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni;
  • Differenze tra i redditi dichiarati in Italia e quelli comunicati dalle autorità fiscali estere;
  • Presunzioni basate su accrediti bancari derivanti da locazioni estere.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero delle imposte sui canoni percepiti;
  • Sanzioni fiscali dal 90% al 180% delle imposte evase;
  • Sanzioni per monitoraggio fiscale dal 3% al 15% (fino al 30% se l’immobile è in Paesi black list);
  • Interessi di mora;
  • Nei casi più gravi, rischio di accertamenti retroattivi fino a 7 anni e contestazioni penali tributarie.

🔍 Come difendersi

  1. Verifica la contestazione ricevuta: individua quali immobili e quali annualità sono oggetto di accertamento.
  2. Raccogli la documentazione: contratti di locazione, ricevute dei pagamenti, attestazioni delle imposte già versate all’estero.
  3. Applica la convenzione contro le doppie imposizioni: dimostra che le imposte sono già state pagate e chiedi il credito d’imposta.
  4. Contesta gli errori del Fisco: non tutti i redditi esteri sono imponibili in Italia nella stessa misura.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’accertamento e i redditi esteri contestati;
  • 📌 Verifica l’applicazione delle convenzioni fiscali internazionali;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare le pretese;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Valuta strategie di regolarizzazione volontaria o definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in redditi immobiliari esteri e fiscalità internazionale;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e monitoraggio fiscale (quadro RW);
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le contestazioni sui redditi da locazioni estere non dichiarati possono comportare imposte e sanzioni molto pesanti, ma non sempre le pretese del Fisco sono fondate.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare l’avvenuta tassazione all’estero, applicare le convenzioni internazionali ed evitare la doppia imposizione.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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