Iva Su E-commerce Non Dichiarata: Rischi E Sanzioni: Strategie Di Difesa

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per IVA non dichiarata derivante da attività di e-commerce? Le vendite online, sia tramite piattaforme internazionali che siti personali, sono sotto la lente del Fisco: grazie agli scambi di dati tra Stati e marketplace, l’Agenzia può risalire facilmente ai volumi d’affari reali. Se l’IVA non è stata correttamente dichiarata, rischi un accertamento fiscale pesante, ma esistono strategie di difesa efficaci.

Quando scattano le contestazioni sull’e-commerce
– Se i ricavi da vendite online non sono stati dichiarati interamente
– Se la partita IVA non è stata aperta nonostante l’attività sia continuativa e non occasionale
– Se non è stata applicata l’IVA alle vendite verso clienti italiani o UE quando dovuta
– Se non sono stati rispettati gli obblighi OSS (One Stop Shop) o i limiti per le vendite intracomunitarie
– Se vi sono incongruenze tra i dati comunicati dalle piattaforme e quelli dichiarati al Fisco

Cosa rischi in caso di IVA non dichiarata
– Recupero dell’IVA dovuta sulle vendite online
– Applicazione di sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta accertata
– Interessi di mora che accrescono il debito fiscale
– Contestazione di esercizio abusivo di attività d’impresa in caso di mancata apertura della partita IVA
– Possibile contestazione penale per omessa dichiarazione in caso di importi rilevanti

Strategie di difesa contro le contestazioni
– Dimostrare la natura occasionale delle vendite online, quando non sussistono i requisiti di abitualità
– Presentare documentazione che provi la corretta applicazione dell’IVA o l’esenzione in base alla normativa UE
– Contestare errori o duplicazioni dei dati trasmessi dalle piattaforme al Fisco
– Dimostrare la buona fede e l’incertezza normativa, soprattutto nei primi anni di applicazione delle nuove regole sull’e-commerce
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere la riduzione o l’annullamento della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento e verificare i presupposti della contestazione
– Raccogliere estratti delle piattaforme, report di vendita e documenti fiscali a supporto
– Contestare le presunzioni eccessive del Fisco con prove concrete
– Difendere il contribuente nel contraddittorio e in giudizio
– Valutare soluzioni conciliative o definizioni agevolate per ridurre sanzioni e interessi

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione fiscale
– La riduzione delle imposte e delle sanzioni richieste
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di regolarizzare la posizione fiscale senza rischi futuri

⚠️ Attenzione: l’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli sull’e-commerce. Molte contestazioni nascono da dati trasmessi automaticamente dai marketplace, che non sempre riflettono correttamente la realtà fiscale del contribuente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e fiscalità internazionale – ti spiega quali sono i rischi e le sanzioni per IVA non dichiarata su e-commerce e quali strategie di difesa puoi adottare.

👉 Hai ricevuto una contestazione per IVA non dichiarata da vendite online? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo i dati contestati, raccoglieremo la documentazione utile e predisporremo la strategia difensiva più efficace per proteggere la tua attività digitale.

Introduzione

La crescita esponenziale del commercio elettronico ha portato molti privati e piccoli imprenditori ad avviare attività di vendita online. Tuttavia, la normativa fiscale italiana non prevede un regime speciale di favore per l’e-commerce: le vendite online sono soggette alle stesse imposte e obblighi delle attività tradizionali, in primis all’IVA e alle imposte sui redditi, non appena l’attività assume carattere abituale . Negli ultimi anni (soprattutto dal 2023-2024) il Fisco italiano ha intensificato i controlli sul commercio digitale, utilizzando nuovi strumenti di monitoraggio dei pagamenti elettronici e delle piattaforme online per individuare ricavi non dichiarati . Ciò significa che chi vende online in modo non dichiarato rischia oggi sanzioni amministrative severe, eventuali conseguenze penali per evasione fiscale oltre soglie rilevanti, nonché l’emissione di cartelle esattoriali per il recupero dell’IVA evasa e delle relative sanzioni.

Dal punto di vista del contribuente (debitore), è fondamentale conoscere sia i rischi e sanzioni legati all’IVA non dichiarata sull’e-commerce, sia le strategie di difesa e di regolarizzazione disponibili. Questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – offre un quadro completo della normativa italiana in materia, con un taglio tecnico-giuridico ma dal linguaggio comprensibile, adatto a professionisti legali, imprenditori e privati interessati. Verranno esaminati gli obblighi fiscali per chi vende online, le modalità con cui il Fisco effettua gli accertamenti (anche alla luce delle ultime direttive UE), e soprattutto cosa fare dal punto di vista del contribuente in caso di verifica o contestazione, illustrando le strategie difensive per ridurre le sanzioni o evitare conseguenze peggiori.

La guida è strutturata in sezioni tematiche, con tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) e alcune simulazioni pratiche basate su casi tipici in Italia, per facilitare la comprensione. Il focus sarà sulle persone fisiche e giuridiche che operano nel settore e-commerce (incluse attività come dropshipping, vendite tramite marketplace e vendite dirette B2C), evidenziando le particolarità di ciascuna e le possibili differenze sanzionatorie. Saranno citati i più recenti orientamenti giurisprudenziali (sentenze di Cassazione fino al 2025) e le fonti normative/prassi ufficiali, per fornire informazioni aggiornate e autorevoli.

Quadro normativo e obblighi fiscali per l’e-commerce

E-commerce e obblighi IVA: In Italia, la vendita di beni o servizi online da parte di un soggetto abitualmente operante è considerata a tutti gli effetti un’attività d’impresa ai fini fiscali. Ciò implica l’obbligo di aprire la partita IVA (se non già attiva) e di rispettare gli adempimenti IVA e contabili ordinari (fatturazione, registrazione, liquidazioni periodiche, dichiarazione annuale) al pari di qualsiasi altra attività commerciale . La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che le vendite online con carattere di abitualità configurano reddito d’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica adottata o dalla mancanza di una struttura organizzativa formale . In particolare, la recente Cass. civ. Sez. Trib. 21 marzo 2025 n. 7552 ha confermato che un elevato numero di transazioni online protratto per più anni è indice di attività abituale d’impresa (dunque imponibile ai fini IVA e imposte dirette), a nulla rilevando che il soggetto si presentasse come “privato” . Allo stesso modo, Cassazione e giurisprudenza tributaria considerano rilevanti anche attività apparentemente non professionali: la ripetitività di atti di vendita con scopo di lucro, pure se svolti senza una vera organizzazione imprenditoriale, può far scattare il presupposto d’imposta come reddito diverso o d’impresa, a seconda del grado di abitualità . In sintesi, chi vende online in modo continuativo con finalità di guadagno deve adempiere agli obblighi fiscali (apertura IVA, fatturazione e dichiarazioni), pena le conseguenze sanzionatorie esaminate più avanti.

Vendite occasionali e regime fiscale: Una questione cruciale è distinguere le vendite occasionali (episodiche) dalle vendite abituali/professionali. La normativa non fissa un parametro quantitativo rigido, ma la distinzione si basa sulla natura e finalità dell’attività: se la vendita è episodica, senza organizzazione e senza intento speculativo, i proventi possono non configurare attività d’impresa. Ad esempio, la Cassazione n. 10117/2023 ha chiarito che la vendita di beni appartenenti al proprio patrimonio personale (nel caso specifico, mobili e arredi di casa usati) non costituisce attività commerciale né lavoro autonomo occasionale, mancando un intento di lucro e una vera organizzazione . In tal caso, i relativi importi non sono soggetti a IVA per carenza del requisito soggettivo (il venditore non agisce come operatore economico), né a tassazione come reddito d’impresa. La massima estrapolata recita: “la vendita di oggetti facenti parte dell’arredo della propria abitazione, appartenenti al patrimonio personale, non rientra tra le attività commerciali ex art. 2195 c.c., non potendosi considerare intermediazione nella circolazione dei beni” . Tuttavia, la stessa giurisprudenza avverte che anche vendite inizialmente dichiarate “occasionali” possono divenire imponibili se si riscontra abitualità o finalità speculative. La Cassazione ha adottato una linea rigorosa: se una persona acquista beni apposta per rivenderli con profitto, anche se sostiene di farlo poche volte, dimostra un intento commerciale e i guadagni diventano imponibili . In altri termini:

  • Vendita di beni personali senza scopo di lucro (es. oggetti usati propri venduti una tantum): non è attività d’impresa né lavoro occasionale tassabile; i proventi non sono imponibili (né IVA né redditi) .
  • Vendite occasionali a scopo di lucro, non organizzate in impresa ma ripetute nel tempo (es. vendita sporadica di beni comprati e rivenduti con guadagno): generano redditi diversi imponibili ai fini IRPEF (art. 67 comma 1 TUIR) e sono escluse da IVA solo finché rimane assente il requisito dell’abitualità (il cedente non è “soggetto passivo IVA”). In pratica, queste situazioni borderline vedono comunque tassati i profitti in dichiarazione dei redditi (se individuati), mentre l’IVA non si applica sino a che non si configura un’attività professionale abituale.
  • Vendite abituali con organizzazione anche minima (es. gestione continuativa di un negozio online, stock di prodotti acquistati per rivenderli, numerose transazioni): configurano attività d’impresa a tutti gli effetti, con obbligo di partita IVA e tassazione sia ai fini IVA che ai fini dei redditi di impresa.

Di fronte a questi criteri, l’Agenzia delle Entrate tende a riqualificare come reddito d’impresa i proventi di vendite online non dichiarate non appena emergano elementi di abitualità, anche contro la tesi del contribuente che si dichiari “venditore occasionale” . Va notato che per importi modesti e vendite sporadiche di beni propri, la prassi fiscale tollera l’assenza di partita IVA; tuttavia, l’entrata in vigore della direttiva DAC7 (di cui diremo oltre) ha spinto a definire alcune soglie indicative per distinguere l’attività hobbistica da quella economicamente significativa. In particolare, a livello europeo si è stabilito che le piattaforme digitali dovranno segnalare i venditori che superano 30 transazioni annue o 2.000 € di ricavi annui, e ciò comporta che chi supera tali limiti non possa più essere considerato un semplice privato . Inoltre, in Italia viene generalmente indicato l’importo di 5.000 € annui di ricavi come soglia oltre la quale il venditore online deve aprire partita IVA e dichiarare i relativi guadagni . Tale soglia dei 5.000 € non è espressamente prevista da una legge IVA, ma emerge dalla prassi e dalla combinazione di normative (si pensi, ad esempio, che oltre 5.000 € annui di prestazioni occasionali scatta l’obbligo contributivo INPS): superata questa cifra, difficilmente il Fisco considererà l’attività “meramente occasionale”. In sintesi, vendite online ripetute per importi superiori a poche migliaia di euro annui dovrebbero essere inquadrate in una posizione IVA attiva e dichiarate come redditi d’impresa, per evitare contestazioni di evasione .

Regime forfettario e piccole attività: Chi intende avviare un piccolo e-commerce e prevede ricavi limitati può valutare il regime forfettario, attualmente accessibile per ricavi annui fino a 85.000 € (soglia elevata dalla Legge di Bilancio 2023). Nel regime forfettario, pur essendo obbligatoria l’apertura della partita IVA, non si applica l’IVA sulle fatture emesse (operazioni in esenzione ex art. 1 comma 58 L. 190/2014 e successive mod.) – in pratica il forfettario non addebita IVA ai clienti e non esercita la detrazione IVA sugli acquisti. Questo regime semplificato esonera quindi dagli obblighi di liquidazione periodica e versamento IVA, ma resta l’obbligo di dichiarazione dei redditi e il pagamento di un’imposta sostitutiva (15% o 5% per startup). Molti piccoli venditori potrebbero beneficiare del forfettario per essere in regola: ad esempio un artigiano che vende le proprie creazioni online con ricavi modesti può aderirvi ed evitare complicazioni IVA, purché comunque dichiari i redditi. Ciò che non è ammesso è vendere abitualmente senza aprire partita IVA: come visto, questa condotta configura evasione. Attenzione: il regime forfettario non legittima vendite sopra soglia senza IVA se il venditore non ha aperto posizione fiscale; occorre comunque la partita IVA, altrimenti si ricade nel caso dell’IVA dovuta ma non dichiarata.

Obblighi IVA nelle vendite online: Per operatori in possesso di partita IVA, le vendite online soggiacciono alle regole generali dell’IVA (DPR 633/1972). In pratica, per ogni operazione verso privati consumatori italiani va emessa fattura (salvo esonero per commercio al dettaglio/documenti alternativi come scontrini o ricevute fiscali, benché con l’introduzione dello scontrino elettronico dal 2019 anche le vendite B2C online spesso vengono documentate con fattura semplificata o ricevuta elettronica). L’IVA va applicata in fattura con l’aliquota propria del bene/servizio venduto (22% ordinaria, o aliquote ridotte se beni agevolati). L’operatore deve poi registrare i corrispettivi, effettuare le liquidazioni periodiche (mensili o trimestrali in base al volume d’affari) versando l’IVA a debito al netto di quella sugli acquisti, presentare la dichiarazione IVA annuale riepilogativa e conservare le scritture contabili e i documenti emessi/ricevuti. La mancata emissione di fatture o ricevute costituisce violazione sanzionabile (vedremo dettagli sanzioni), così come la omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA o il mancato versamento dell’imposta dovuta.

Va sottolineato che non esistono più soglie di esenzione IVA per le vendite online intra-UE a distanza: fino al 30 giugno 2021, le vendite a distanza verso consumatori in altri Stati UE godevano di una soglia per Stato (35.000 € annui, o 100.000 € in alcuni Paesi) sotto la quale si poteva applicare l’IVA del proprio Paese senza doversi identificare nell’altro Stato. Dal 1° luglio 2021 la normativa UE è cambiata: il regime delle vendite a distanza tradizionali è stato sostituito dall’OSS (One Stop Shop) europeo. Ora il venditore UE che supera 10.000 € annui di vendite intra-UE B2C complessive deve applicare l’IVA del Paese di destinazione sin dalla prima vendita (10.000 € è una soglia minima unica UE, molto bassa) e può scegliere di registrarsi al regime OSS per dichiarare trimestralmente in via centralizzata le IVA dovute ai vari Paesi . In alternativa, deve identificarsi IVA in ogni Paese di destinazione (opzione chiaramente onerosa). Dunque, un e-commerce italiano che vende abitualmente a privati in Francia, Germania ecc. in genere aderisce all’OSS: tramite un portale online dell’Agenzia Entrate presenta una dichiarazione OSS trimestrale e versa l’IVA estera dovuta, evitando di aprire posizioni IVA multiple . Se il venditore non aderisce all’OSS nonostante ne ricorrano i presupposti, rischia sanzioni sia in Italia sia negli altri Stati per omessa identificazione e versamento dell’IVA locale. Lo stesso principio vale per vendite di servizi digitali B2C (es. download software, corsi online): anche qui esiste un regime OSS (ex MOSS) per accentrarne la dichiarazione. In breve, a partire dal 2021 la UE ha eliminato la gran parte delle zone franche IVA sul commercio elettronico, rendendo più difficile “nascondersi” vendendo oltreconfine senza pagare l’imposta.

Categorie specifiche di e-commerce: Analizziamo ora alcuni modelli tipici di business online – dropshipping, vendite tramite marketplace, e vendite dirette B2C tramite proprio sito – evidenziando le particolarità ai fini IVA e i rischi di mancato adempimento.

  • Dropshipping: nel modello dropshipping l’intermediario (venditore online) vende un bene che non ha in magazzino proprio, inoltrando poi l’ordine al fornitore terzo (spesso extra-UE, es. Cina) che spedisce direttamente al cliente finale. Dal punto di vista IVA, il dropshipper effettua comunque una cessione di beni verso il cliente e dunque, se opera abitualmente, deve avere partita IVA e emettere fattura al cliente (o scontrino elettronico) con IVA. La presenza di un fornitore estero implica anche una importazione del bene in UE: spesso, infatti, il pacco inviato dalla Cina al consumatore in Italia sarà sdoganato con pagamento dell’IVA all’importazione. Chi deve assolverla? In base alle regole 2021, se il venditore utilizza il regime IOSS (Import One Stop Shop) per beni di valore fino a 150 €, potrà riscuotere l’IVA dal cliente al momento della vendita e assolverla tramite dichiarazione IOSS, evitando al cliente oneri doganali in arrivo. Se invece non si avvale dell’IOSS, l’IVA e dazi vengono (in teoria) richiesti al destinatario al momento dello sdoganamento in Italia. Molti dropshipper illeciti puntano sul fatto che spedizioni di basso valore o dichiarate falsamente come “gift” passino la dogana senza controlli, evitando sia il pagamento dell’IVA import che l’addebito al cliente. Questa pratica però configura evasione d’imposta: l’Agenzia delle Entrate, in collaborazione con la Dogana e la Guardia di Finanza, può contestare al dropshipper italiano l’omessa dichiarazione sia dell’IVA sulle vendite (se non ha emesso fattura né versato nulla) sia l’IVA all’importazione evasa sui beni introdotti in Italia. Inoltre, se i beni arrivano al cliente senza fattura italiana, la mancata fatturazione è un’ulteriore violazione. Nota: se il dropshipper è estero e vende in Italia, dal 2021 il regime IOSS impone che per beni <150€ spediti da fuori UE l’IVA sia versata in UE; se il venditore non aderisce a IOSS, il compito di riscuotere l’IVA ricade sullo spedizioniere o sul destinatario in dogana. Molti Paesi (inclusa l’Italia) stanno intensificando i controlli sui pacchi provenienti extra-UE, per recuperare l’IVA su questi flussi. In definitiva, per il dropshipper italiano la via regolare consiste nel: aprire P.IVA, emettere fattura al cliente con IVA (22% se aliquota ordinaria) e contemporaneamente occuparsi dell’importazione (se i beni arrivano direttamente al cliente, idealmente usare IOSS, altrimenti informare il cliente che pagherà l’IVA in dogana). L’IVA pagata in dogana può essere detratta come IVA sugli acquisti se la bolletta doganale è intestata al dropshipper con P.IVA italiana. In mancanza di regolarizzazione, il Fisco potrebbe contestare omessa dichiarazione di ricavi e omesso versamento IVA sia sulle vendite (dalla somma dei prezzi incassati, considerati IVA inclusa se non fatturati ) sia sulle importazioni (con sanzioni doganali).
  • Marketplace (Amazon, eBay, Etsy, ecc.): molti venditori si appoggiano a piattaforme online per raggiungere i clienti. Attenzione: vendere tramite un marketplace non solleva il venditore dagli obblighi IVA! Alcuni hanno la falsa credenza che “sarà la piattaforma a occuparsi dell’IVA”. In realtà, la piattaforma agisce come intermediario (fornendo il sito, i pagamenti e talvolta logistica), ma il soggetto che effettua la vendita rimane il venditore terzo, responsabile di emettere fattura/ricevuta fiscale al cliente e di dichiarare il ricavo. Ci sono eccezioni limitate: dal 2021, l’UE ha introdotto la figura del marketplace come soggetto forfettariamente responsabile dell’IVA in specifici casi, ad esempio quando un soggetto extra-UE vende beni di valore ≤150 € a consumatori UE tramite marketplace, il marketplace è considerato “rivenditore presunto” e deve riscuotere e versare l’IVA . Oppure, se un venditore extra-UE già stocca merci nell’UE (magari in un magazzino Amazon) e vende a consumatori tramite marketplace, la piattaforma assume l’onere dell’IVA. Queste disposizioni mirano a evitare che venditori fuori UE evadano impunemente l’IVA sfruttando i marketplace. Ma per i venditori italiani o UE su marketplace, nulla cambia: essi devono avere P.IVA se l’attività non è occasionale, emettere fattura (o utilizzare le funzioni fiscali del marketplace se previste) e conteggiare il dovuto. Ad esempio, Amazon FBA richiede ai venditori di fornire una partita IVA e spesso di utilizzare fatturazione automatica ai clienti. Anche eBay con l’entrata in vigore di DAC7 chiede il codice fiscale/P.IVA ai venditori che raggiungono le soglie, per poter comunicare i dati al Fisco . Rischio tipico nei marketplace: l’Agenzia delle Entrate ottiene dalle piattaforme i dati delle vendite dei singoli account (come vedremo, dal 2024 queste informazioni verranno trasmesse in automatico). Se un venditore ha incassato importi significativi su eBay/Amazon senza dichiararli, verrà facilmente individuato e si vedrà recapitare un accertamento per omessa dichiarazione dei ricavi e IVA non versata. Spesso questi accertamenti sono induttivi: il Fisco presume che l’incasso lordo sia imponibile (IVA inclusa) e procede a calcolare imposta e sanzioni, a meno che il contribuente provi che si trattava di vendite di beni personali non tassabili o altre giustificazioni (onere della prova a carico del contribuente in caso di conti non giustificati) .
  • Vendita diretta tramite sito proprio (B2C): chi vende con un proprio e-commerce indipendente ha piena autonomia ma anche responsabilità su tutti gli adempimenti. Deve emettere fattura o ricevuta al cliente (in formato elettronico o cartaceo se esonerato), registrare i corrispettivi, gestire la fatturazione elettronica se obbligato (ad oggi le vendite B2C verso clienti privati italiani richiedono l’emissione della fattura elettronica via SDI solo se il cliente la chiede o se la vendita non è certificata da scontrino elettronico – molti e-commerce risolvono emettendo comunque fattura elettronica per ogni transazione). Inoltre, deve curare gli aspetti di iva sulle spedizioni internazionali se vende oltreconfine (applicazione OSS per UE, eventuale identificazione in UK o altri Paesi extra-UE se lì supera soglie locali, etc.). Il rischio principale per il titolare di sito proprio è la tracciabilità dei pagamenti: incassando tramite circuiti elettronici (carte, PayPal, bonifici), lascia tracce che il Fisco può incrociare con le sue dichiarazioni. Se i conti correnti o gli account PayPal mostrano movimenti non coerenti coi ricavi dichiarati, scattano segnalazioni . Un venditore che gestisce un sito indipendente senza dichiarare IVA né redditi potrebbe sottrarsi per un po’ all’attenzione del Fisco, ma non appena i flussi finanziari assumono dimensioni rilevanti verrà molto probabilmente intercettato (specialmente con i nuovi strumenti europei, v. oltre). Anche l’assenza di indicazione di P.IVA sul sito web è di per sé un campanello d’allarme: la legge italiana (D.Lgs. 70/2003) obbliga i siti commerciali a esporre la partita IVA del titolare, e la Guardia di Finanza talora svolge attività di web scouting per individuare siti di vendita privi di riferimenti fiscali. In sostanza, aprire un proprio e-commerce e non dichiarare nulla espone a rischi elevati: oltre alle sanzioni, l’oscuramento del sito e provvedimenti cautelari (sequestri, blocco dei conti) in caso di accertata evasione grave.

Soggetti esteri che vendono in Italia: Un ulteriore profilo normativo riguarda i venditori stranieri (UE o extra-UE) che effettuano vendite online a clienti italiani senza adempiere all’IVA in Italia. Per i soggetti UE, come accennato, esiste l’obbligo di applicare l’IVA italiana sulle vendite B2C spedite in Italia (a meno di non superare i 10.000 € complessivi UE che danno diritto a tenere l’IVA di origine, ma è una soglia esigua). Tali soggetti dovrebbero iscriversi all’OSS (regime OSS “UE”) o nominare un rappresentante fiscale/identificarsi in Italia per versare la nostra IVA. Se non lo fanno, l’Agenzia delle Entrate può attivare le procedure di cooperazione amministrativa UE per recuperare l’imposta evasa. Infatti, i dati OSS sono scambiati tra Stati: ad esempio, se un’azienda tedesca non aderisce all’OSS ma vende per 50.000 € a privati italiani, l’Italia può venirne a conoscenza attraverso controlli incrociati (DAC7, Eurofisc, segnalazioni) e pretendere il versamento dell’IVA italiana dovuta su quelle vendite, oltre a sanzioni. Per i soggetti extra-UE, la principale leva di enforcement è sul piano doganale e delle piattaforme: dal 2021 sono stati eliminati i de minimis (prima le merci sotto 22 € erano esenti IVA import, oggi non più) e se il venditore extra-UE non usa lo IOSS, l’IVA va incassata al momento dello sdoganamento. L’Italia inoltre, in sede UE, ha promosso la responsabilizzazione dei marketplace: come visto, se un cinese vende tramite Amazon a italiani, Amazon stessa riscuote l’IVA e la versa (deemed supplier) nei casi previsti. Resta però il fenomeno dei venditori extra-UE che spediscono direttamente (es. tramite propri siti o social) senza alcun versamento. In tali casi, il recupero dell’IVA è difficoltoso: le autorità possono sequestrare i beni in dogana, ma spesso si tratta di flussi frammentati. Un’arma di contrasto è la cooperazione internazionale e il tracciamento dei pagamenti: ad esempio, PayPal e altre PSP dal 2024 trasmettono i dati dei pagamenti verso l’estero (vedi CESOP infra). Inoltre, se un soggetto extra-UE costituisce di fatto una presenza stabile in Italia (es. un magazzino, personale o una società di comodo italiana), l’Amministrazione può contestare la “esterovestizione” o stabile organizzazione occulta, assoggettando qui i redditi e l’IVA. Un caso tipico: un cittadino cinese apre una società in un paradiso fiscale ma gestisce tutto da Milano spedendo merce importata; il Fisco potrà considerare la società come residente in Italia e recuperare le imposte.

In sintesi, il quadro normativo italiano equipara l’e-commerce all’attività tradizionale quanto a obblighi fiscali: non dichiarare l’IVA dovuta sulle vendite online costituisce evasione. Le normative UE recenti (OSS/IOSS, DAC7) mirano a stringere le maglie, rendendo più difficile sfuggire. Nel prossimo paragrafo vedremo come il Fisco individua le violazioni tramite controlli incrociati e banche dati.

Controlli del Fisco su vendite online: strumenti e segnali d’allarme

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno potenziato gli strumenti di monitoraggio specifici per il commercio elettronico, in parte recependo direttive UE e in parte attraverso iniziative nazionali. Lo scopo è intercettare i ricavi da vendite online non dichiarati e recuperare le imposte evase. Ecco i principali strumenti e indicatori utilizzati:

1. DAC7 – Comunicazione dei dati delle piattaforme digitali: la Direttiva UE 2021/514 (DAC7), recepita in Italia col D.Lgs. 32/2023, ha introdotto dall’1 gennaio 2023 l’obbligo per i gestori di piattaforme digitali (marketplace, portali di intermediazione) di raccogliere e comunicare alle autorità fiscali i dati sui venditori attivi sulle loro piattaforme . In pratica, colossi come Amazon, eBay, Etsy, AirBnb, Subito, Vinted, Uber, OnlyFans ecc. devono verificare l’identità fiscale dei venditori (codice fiscale/partita IVA) e, a fine anno, trasmettere all’Agenzia delle Entrate un resoconto delle vendite effettuate da ciascun utente che supera determinati limiti . Le soglie previste dalla DAC7 per l’obbligo di comunicazione sono: oltre 30 operazioni annue oppure oltre 2.000 € di corrispettivi annui per venditore . Superata anche solo una delle due condizioni, la piattaforma deve comunicare una serie di informazioni: generalità e codice fiscale/P.IVA del venditore, totale dei ricavi, numero di operazioni, eventuali commissioni trattenute, ecc. . Il primo invio di dati doveva riguardare l’anno 2023, ma è stato prorogato al 15 febbraio 2024 per consentire alle piattaforme di adeguarsi . Da quel momento in poi, l’Agenzia delle Entrate disporrà annualmente di un enorme patrimonio di dati su chi vende online. Questo le consentirà di verificare la veridicità del volume d’affari dichiarato dai contribuenti e di avviare accertamenti mirati in caso di incoerenze . Esempio: se un utente di Vinted nel 2024 ha effettuato 50 vendite per un totale di 5.500 €, la piattaforma segnalerà i suoi dati fiscali all’Agenzia. Se quell’utente non ha partita IVA e non dichiara nulla, il Fisco potrà facilmente aprire un controllo. DAC7 mira in particolare a distinguere i “venditori occasionali di beni usati” da chi invece utilizza le piattaforme come canale di vendita continuativo e professionale . Anche i venditori occasionali devono prestare attenzione: pur non dovendo aprire P.IVA sotto certe soglie, dovranno comunque poter giustificare la natura delle vendite (es. beni di proprietà personale). Le piattaforme, dal canto loro, sono incentivate a collaborare perché rischiano sanzioni severe se non raccolgono o trasmettono correttamente i dati . In sostanza, DAC7 crea un flusso strutturato di informazioni dal mondo digitale al Fisco: un’importante novità operativa entrata a regime nel 2024, che supporta l’attività accertativa.

2. CESOP – Monitoraggio dei pagamenti digitali transfrontalieri: un’altra arma è il nuovo sistema CESOP (Central Electronic System of Payment information) istituito a livello UE dal 2024. Dal 1° gennaio 2024, i fornitori di servizi di pagamento (Payment Service Providers, PSP – es. banche, PayPal, Stripe, circuiti carta) sono obbligati a monitorare le transazioni e registrare i destinatari di pagamenti transfrontalieri . In particolare, devono identificare qualsiasi beneficiario (merchant) che in un trimestre solare riceva più di 25 pagamenti transfrontalieri da pagatori ubicati nella UE . Superata questa soglia (25 pagamenti trimestrali da altri Paesi), il PSP deve trasmettere le informazioni alle autorità fiscali nazionali (in Italia, all’Agenzia delle Entrate) . I dati comprendono identificativi del PSP e del venditore (nome, eventuale P.IVA o TIN, IBAN o altri estremi), l’importo totale dei pagamenti ricevuti e il Paese d’origine . Queste segnalazioni confluiscono nel database centrale CESOP a Bruxelles, accessibile tramite la rete Eurofisc agli esperti anti-frode di tutti i Paesi UE . Lo scopo è individuare possibili frodi IVA nell’e-commerce perpetrate da venditori stabiliti in altri Stati o fuori UE . Ad esempio, un’impresa con sede fittizia extra-UE che incassa migliaia di pagamenti da clienti UE su PayPal senza aver dichiarato nulla potrà essere intercettata grazie a CESOP. È importante notare che vengono monitorati sia i pagamenti intra-UE (pagatore in un Paese UE, beneficiario in un altro) sia quelli dal UE verso extra-UE . Informazioni su pagamenti puramente domestici o sul pagatore consumatore finale (nome, causale del pagamento) non sono trasmesse, per rispettare la privacy . Ma i dati raccolti (beneficiario X ha ricevuto Y pagamenti per Z euro da altri Paesi) sono più che sufficienti a far emergere vendite occulte. CESOP, insomma, permette di far emergere chi vende online oltreconfine senza dichiarare, complementando i dati DAC7. Dal 1 aprile 2024 è iniziata la trasmissione effettiva dei dati raccolti nel primo trimestre, e progressivamente il sistema entrerà a pieno regime . Per gli operatori italiani, CESOP è utile soprattutto a individuare chi dall’estero vende in Italia, ma può anche segnalare un italiano che vende molto all’estero e potrebbe aver omesso di dichiarare (anche se in tal caso probabilmente DAC7 già copre gran parte).

3. Anagrafe dei rapporti finanziari e controlli sui flussi di pagamento interni: Al di là delle novità europee, l’Italia dispone da tempo dell’Anagrafe dei conti correnti e di poteri di indagine finanziaria. L’Agenzia delle Entrate può incrociare i dati bancari e altri indici di capacità contributiva. Ad esempio, se un contribuente persona fisica riceve sul proprio conto bancario bonifici e accrediti PayPal per decine di migliaia di euro, a fronte di redditi dichiarati modesti o nulli, scatterà un approfondimento (es. lettera di compliance o accertamento). In sede di verifica fiscale, i funzionari possono analizzare gli estratti conto e applicare la presunzione legale per cui i versamenti non giustificati sui conti del contribuente sono considerati ricavi occulti (salvo prova contraria) . Questa presunzione (art. 32 DPR 600/73) è stata più volte confermata dalla Cassazione anche per i conti online: versamenti o accrediti su PayPal non dichiarati sono redditi tassabili a meno che il contribuente dimostri una diversa provenienza non imponibile (es. donazione familiare già tassata in altro modo, vendita di bene personale non imponibile, ecc.). Perciò nascondersi dietro un conto PayPal anonimo non è più efficace: i dati possono essere rintracciati e utilizzati dal Fisco . Inoltre, con l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica in Italia, l’Agenzia dispone già di tutti i dati delle vendite fatturate attraverso lo SDI (Sistema di Interscambio); incrociandoli con altre informazioni può individuare incoerenze. Sono attivi anche strumenti di controllo automatizzato: ad esempio le LIPE (Comunicazioni trimestrali delle liquidazioni IVA) e l’esterometro permettono al Fisco di sapere quanto IVA viene versata periodicamente e quali operazioni estere sono dichiarate. Se un soggetto ha incassi noti (magari perché ha emesso ricevute) ma non li riporta poi in dichiarazione annuale, scattano segnalazioni interne. Nel caso dell’e-commerce, l’Agenzia utilizza pure tecniche di data mining: può sfruttare dati delle spedizioni (corrieri espressi), delle piattaforme di pagamento (POS virtuali, gateway di carte di credito) e persino analisi open-source su social e siti (c’è una task force nota come “Nucleo frodi tecnologiche” della GdF che monitora i social commerce e le vendite non tracciate online).

4. Segnalazioni e cooperazione internazionale: Oltre ai macro-strumenti sopra, esistono programmi di cooperazione antifrode come Eurofisc (a livello UE) e accordi bilaterali. Eurofisc consente lo scambio rapido di informazioni su possibili frodi IVA tra Stati membri . Ad esempio, se la Francia scopre un soggetto italiano che vende in Francia senza OSS, può segnalarlo all’Italia. Viceversa, l’Italia potrà segnalare alle autorità di un Paese extra-UE eventuali soggetti che da lì vendono in evasione in Italia (se esistono trattati). Anche le piattaforme online stesse collaborano: eBay, Amazon, Google, ecc., hanno interesse a non essere viste come paradisi fiscali e spesso forniscono dati su richiesta delle autorità (in alcuni casi, su ordine della magistratura). Un esempio di cooperazione è l’accordo tra l’Agenzia Entrate e Airbnb per l’imposta sugli affitti turistici: allo stesso modo, in futuro potrebbero esservi accordi per semplificare la raccolta dell’IVA su marketplace (già avviene come detto per i venditori extra-UE). Inoltre, quando un accertamento IVA e-commerce assume profili penali (es. grande evasione), scattano indagini penali in cui la GdF può utilizzare strumenti investigativi più ampi (intercettazioni, pedinamenti, perquisizioni) per smascherare eventuali organizzazioni fraudolente dietro vendite online.

5. Indicatori di rischio utilizzati dal Fisco: In base all’esperienza finora maturata, possiamo elencare alcuni “red flags” che tipicamente portano l’Agenzia a concentrare l’attenzione su un venditore online:

  • Volumi di incasso inconsueti rispetto ai redditi noti: ad esempio, un disoccupato che sul conto riceve 100.000 € l’anno via PayPal; un forfettario che incassa molto più del limite del suo regime; un soggetto senza partita IVA con flussi significativi da marketplace .
  • Numerosità delle transazioni: decine o centinaia di vendite mensili, su base continuativa, indicano un’attività economica abituale. La soglia DAC7 di 30 vendite annue è un riferimento: chi la supera verrà profilato.
  • Utilizzo di società estere o prestanome: se un soggetto opera tramite una società aperta all’estero ma gestita dall’Italia (esterovestizione), o fa transitare gli incassi su conti di terzi (es. un familiare, o conti all’estero) tentando di schermarli, il Fisco può attivare controlli incrociati e presumere l’operatività in Italia . Tali situazioni sono considerate aggravanti (intento elusivo/fraudolento).
  • Discordanza tra piattaforme e dichiarato: l’Agenzia confronta i dati ricevuti da e-commerce e banche. Se Amazon comunica che il venditore X ha fatto 500.000 € di vendite e X ha dichiarato zero, l’accertamento è quasi automatico. Anche differenze più piccole (es. vendite 50k, dichiarato 5k) possono originare controlli.
  • Mancata registrazione fiscale dell’attività online: se da banali verifiche (anche navigando sul web) risulta che un soggetto pubblicizza e vende prodotti su un sito o su social senza indicare partita IVA, questo potrebbe innescare un controllo. Spesso il fisco invia lettere invitando a mettersi in regola (o effettua accessi brevi per reperire prove).

In conclusione, chi vende online non dichiarando l’IVA ha oggi molte probabilità di essere individuato. Come affermato dall’Agenzia Entrate, “anche chi ha iniziato da autodidatta, o senza struttura formale, può essere scoperto e deve regolarizzare la propria posizione” . I prossimi paragrafi illustreranno i rischi e le sanzioni in cui può incorrere chi si trova in tale situazione, e successivamente le strategie di difesa e regolarizzazione da adottare per mitigare le conseguenze.

Rischi e sanzioni per IVA non dichiarata nelle vendite online

Quando il Fisco accerta che un soggetto ha effettuato vendite e-commerce senza dichiarare l’IVA dovuta, scattano una serie di conseguenze sanzionatorie. Possiamo dividerle in due categorie: sanzioni amministrative tributarie (multe pecuniarie, sovraimposte, interessi) e, nei casi più gravi, sanzioni penali (processo per reato tributario, con possibili pene detentive). Inoltre vi sono effetti sul piano della riscossione coattiva (cartelle esattoriali, fermi, pignoramenti) se il contribuente non paga quanto dovuto spontaneamente. Analizziamo ciascun profilo in dettaglio dal punto di vista del debitore, ossia colui che si vede contestare l’IVA non versata.

Sanzioni amministrative tributarie

Le sanzioni amministrative in materia IVA sono disciplinate principalmente dal D.Lgs. 471/1997 (riformato dal D.Lgs. 158/2015 e, di recente, dal D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 per alcune riduzioni). Nel caso di e-commerce non dichiarato, tipicamente vengono contestate diverse violazioni cumulativamente: la mancata fatturazione delle operazioni, l’omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale, l’omesso versamento dell’imposta e l’eventuale omessa istituzione delle scritture contabili e della posizione IVA. Ognuna di queste ha una sanzione specifica. Di seguito le principali:

  • Omessa fatturazione o certificazione di operazioni imponibili: chi vende beni o servizi senza emettere fattura (o scontrino/ricevuta fiscale dove previsto) è punito con una sanzione proporzionale. Fino al 2024 la misura era dal 90% al 180% dell’IVA relativa a ciascuna operazione non documentata (con minimo 500 €) . Dal 1° settembre 2024, per effetto della riforma introdotta dal D.Lgs. 87/2024, la sanzione è stata ridotta ad un importo pari al 70% dell’IVA sull’operazione (con minimo 300 €) . In entrambi i casi, se la violazione non ha inciso sulla determinazione dell’imposta (ad es. fattura emessa ma registrata con importo inferiore, però la liquidazione periodica è comunque corretta) si applica una sanzione fissa ridotta, generalmente da 250 a 2.000 € . Nell’ambito dell’e-commerce occulto, però, l’omessa fatturazione coincide con mancato versamento, quindi la sanzione del 90-180% (ora 70%) dell’imposta non fatturata è la regola. Esempio: se Tizio ha venduto prodotti per 10.000 € + IVA non fatturando nulla, l’IVA evasa è ~2.200 € e la sanzione per omessa fatturazione può andare da 1.980 € a 3.960 € (90-180% di 2.200) per ciascuna operazione, ma generalmente il Fisco cumula il periodo d’imposta intero applicando l’istituto del cumulo giuridico (una sanzione unica per più violazioni della stessa indole in anni d’imposta diversi, art. 12 D.Lgs. 472/97). Con la regola dal 2024, sarebbe il 70% di 2.200, cioè 1.540 € (più minimi per eventuali operazioni con IVA trascurabile).
  • Mancata istituzione della partita IVA (omessa dichiarazione di inizio attività): esercitare un’impresa senza aver aperto la partita IVA è di per sé un illecito amministrativo. L’art. 5, comma 1, del DPR 633/72 impone la dichiarazione di inizio attività all’Agenzia Entrate (modello AA7/AA9). La sanzione per la sua omissione è prevista dall’art. 9, comma 2, D.Lgs. 471/97: da 500 € a 2.000 € . Se la comunicazione viene presentata con ritardo non superiore a 30 giorni, la sanzione è ridotta a 1/5 del minimo (quindi 100 €) . Questo è un aspetto spesso contestato negli accertamenti e-commerce: chi iniziò a vendere online senza aprire P.IVA riceve, oltre alle sanzioni sull’IVA evasa, anche questa sanzione “formale” per l’omissione iniziale. È una sanzione una tantum (non per ogni anno), quindi meno impattante rispetto alle altre, ma presente.
  • Omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale: è forse la violazione più grave e viene quasi sempre contestata in caso di e-commerce sommerso, poiché chi non ha dichiarato l’attività di norma non presenta la dichiarazione IVA. L’art. 5, comma 1, D.Lgs. 471/97 prevede una sanzione dal 120% al 240% dell’IVA dovuta per l’anno (minimo 250 €) . Se dall’omessa dichiarazione non risulta IVA a debito (ad esempio perché il venditore era in perdita o con IVA a credito), si applica una sanzione fissa da 250 € a 1.000 € . Questa sanzione si cumula con quella per omessa fatturazione ma spesso l’Agenzia tende ad applicare solo la più grave tra le due grazie al principio del cumulo giuridico (violazioni relative alla stessa imposta). Importante: se il contribuente presenta comunque la dichiarazione IVA seppur dopo la scadenza di 90 giorni (quindi formalmente dichiarazione omessa, ma presentata tardivamente), l’Agenzia considera il contenuto ai fini della liquidazione dell’imposta dovuta. In tal caso, se l’invio avviene prima che l’Ufficio contesti la violazione, è possibile fruire di riduzioni sanzionatorie tramite ravvedimento operoso (vedi oltre) – ma attenzione, presentare oltre 90 giorni non elimina la violazione di omessa dichiarazione . In pratica rimane dovuta la sanzione (ridotta se ravveduta) e i termini di accertamento si allungano. Esempio di sanzione: se Caio omette la dichiarazione IVA 2022 e aveva IVA dovuta per 15.000 €, la sanzione base va da 18.000 € a 36.000 € . Anche qui c’è la possibilità di riduzioni per adesione o acquiescenza (riduzione 1/3) se concorda con l’Agenzia, o ravvedimento (riduzione variabile) se fatto in tempo.
  • Dichiarazione IVA infedele (dati incompleti/non veritieri): qualora il venditore avesse presentato la dichiarazione ma sotto-dichiarando i ricavi (evento raro per chi opera del tutto in nero, ma possibile in casi di parziale occultamento), si applicherebbe la sanzione ex art. 4 D.Lgs. 471/97: dal 90% al 180% della maggiore IVA dovuta (rispetto a quanto dichiarato) . L’infedeltà dich. è aggravata se c’è uso di artifici/frodi. Nell’e-commerce può capitare per chi ha partita IVA ma omette di dichiarare una porzione delle vendite (es. dichiara solo vendite Italia e non quelle via marketplace estero). La soglia del 90-180% verrebbe in tal caso calcolata sull’imposta non dichiarata.
  • Omesso versamento dell’IVA dichiarata: va distinto il caso in cui il soggetto ha presentato la dichiarazione IVA evidenziando un debito ma non lo ha pagato. In scenario e-commerce occulto ciò non avviene quasi mai (perché se uno dichiara il debito significa che sta dichiarando l’attività). Ma ipotizziamo un contribuente che presenti la dichiarazione annuale IVA mostrando un debito (ad esempio aderendo tardivamente e dichiarando l’imposta dovuta) e poi non versi quanto dovuto entro le scadenze. L’omesso versamento a scadenza è sanzionato dall’art. 13 D.Lgs. 471/97 con il 30% di ogni importo non versato . Tale sanzione è ridotta alla metà (15%) se il ritardo nel pagamento non supera 90 giorni , e ulteriormente ridotta giornalmente (1/15 per giorno) se il ritardo è entro 15 giorni . Tuttavia, in presenza di dichiarazione omessa, gli importi non versati ricadono già nella sanzione del 120-240%. In altre parole, la sanzione per omesso versamento si assorbe in quella più grave di omessa dichiarazione (principio del ne bis in idem amministrativo). Infatti, l’Agenzia in genere contesta l’omessa dichiarazione e non quella di omesso versamento per lo stesso periodo, oppure applica l’art. 13 solo sulle somme eventualmente dichiarate tardivamente ma non versate. Ad ogni modo, se un soggetto regolarizza dichiarando i debiti ma non li paga subito, avrà questa sanzione del 30% sugli importi rimasti insoluti, che può essere ridotta con ravvedimento se paga in ritardo breve.
  • Omessa tenuta delle scritture contabili IVA: chi svolge attività d’impresa deve istituire e tenere i registri IVA (corrispettivi, acquisti, fatture emesse) e conservarli. L’art. 9, comma 1, D.Lgs. 471/97 punisce l’omessa tenuta o conservazione della contabilità con sanzione da 1.000 a 8.000 € . Questa si applica se, ad esempio, il soggetto non ha proprio istituito i registri o non li esibisce in controllo. Nel caso di vendite online totalmente sommerse, è comune contestare che non esistono registri né libri: scatta quindi tale sanzione. È considerata unica per periodo d’imposta (non per singola scrittura), ma può ripetersi per ogni anno in cui la contabilità è assente . La regolarizzazione di questa violazione è possibile dotandosi ex post dei registri e pagando la sanzione ridotta (1.000 € ridotto in base al ravvedimento) . In sintesi: se Tizio ha venduto 2019-2022 senza registri, potrebbe avere 4 sanzioni da 1.000-8.000 € (magari applicate nel minimo se collabora). Non tra le più onerose in termini assoluti, ma comunque da considerare.

Tabella riepilogativa – Principali sanzioni amministrative IVA per e-commerce non dichiarato:

ViolazioneNormaSanzione prevista (aggiornata 2025)
Omessa fatturazione/certificazione operazioni (imponibili)Art. 6, co.1 D.Lgs. 471/97 <br>(vendite non fatturate)90% – 180% dell’IVA non documentata, min €500 (operazioni fino al 31/8/2024) <br>70% dell’IVA, min €300 (operazioni dal 1/9/2024) . Se violazione che non incide su liquidazione IVA: da €250 a €2.000.
Omessa dichiarazione annuale IVAArt. 5, co.1 D.Lgs. 471/97120% – 240% dell’imposta dovuta, min €250 . Se nessuna imposta dovuta: €250 – €1.000 fissi . (Riducibile se dichiarazione tardiva entro anno successivo con ravvedimento).
Dichiarazione IVA infedele (parziale)Art. 5, co.4 D.Lgs. 471/9790% – 180% della maggiore IVA dovuta (aumenti se elementi artificiosi) .
Omessa comunicazione di inizio attività (P.IVA)Art. 9, co.2 D.Lgs. 471/97€500 – €2.000 . (Ridotto a 1/5 min se presentata entro 30 gg ritardo).
Omessa tenuta/conservazione registri IVAArt. 9, co.1 D.Lgs. 471/97€1.000 – €8.000 per periodo d’imposta . (Non si cumula con art. 6 se stessi fatti).
Omesso versamento IVA periodica/annuale dichiarataArt. 13 D.Lgs. 471/9730% dell’importo non versato . Se ritardo ≤90 gg: ridotto a 15% ; se ≤15 gg: 0,1% per giorno di ritardo . (Sanzione assorbita da omessa dichiarazione se concomitante).
Altre violazioni formali (es. omissioni comunicative)Varie (es. Lipe, esterometro)Generalmente sanzioni fisse (es. omessa LIPE €500, rid. metà se tardiva entro 15 gg). Non di rilievo primario rispetto alle maggiori sopra in contesto e-commerce.

Nota: Le sanzioni indicate possono essere ridotte tramite ravvedimento operoso (se il contribuente si autodenuncia e paga prima di constatazione) o tramite definizioni agevolate/accordi (adesione, acquiescenza, conciliazione) come vedremo, spesso fino a 1/3 o meno dell’importo minimo. Inoltre, in presenza di più violazioni riferite alla stessa imposta e periodo, si applica la disciplina del cumulo giuridico (art. 12 D.Lgs. 472/97) che di solito comporta una sanzione unica pari a quella più grave aumentabile fino al doppio. Ad esempio, omessa fatturazione e omessa dichiarazione per lo stesso anno portano in genere all’applicazione della sola sanzione dell’omessa dichiarazione (più grave) aumentata, anziché sommare 180%+240%. In caso di più anni, però, le sanzioni si sommano per annualità diverse.

Oltre alle sanzioni, l’Amministrazione esigerà naturalmente il pagamento dell’IVA evasa e dei relativi interessi moratori. Gli interessi, calcolati al tasso legale annuo (attualmente intorno al 5% in ragione d’anno dopo gli aggiornamenti del 2023-2024), decorrono dal giorno in cui l’IVA sarebbe stata dovuta (es. dalla scadenza di versamento periodico/annuale) fino al pagamento effettivo. Anche gli interessi vanno pagati per intero (non sono oggetto di definizione agevolata se non in rari casi di condono).

Infine, vale la pena menzionare misure accessorie amministrative: in ipotesi di violazioni IVA gravi e ripetute, l’Agenzia può proporre la sospensione o revoca della licenza/certificazioni dell’attività (ad esempio, se un esercente non emette scontrini reiteratamente, dopo 3 violazioni può scattare la chiusura temporanea dell’esercizio ex art. 12 D.Lgs. 471/97 – applicabile anche a e-commerce se c’è un punto di vendita fisico). Per vendite online pure, non c’è una “licenza” da sospendere, ma in teoria potrebbero essere disposti sequestri dell’infrastruttura (es. oscuramento del sito web) in caso di provvedimenti giudiziari collegati all’evasione.

Conseguenze penali e reati tributari

Oltre alle sanzioni amministrative, l’evasione dell’IVA su e-commerce può innescare la responsabilità penale tributaria del venditore, qualora siano superate le soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000 (“Nuova disciplina dei reati tributari”). I possibili reati configurabili in simili contesti sono principalmente:

  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000), riferita all’omissione della dichiarazione annuale IVA.
  • Dichiarazione infedele (art. 4), se vi è presentazione di dichiarazione ma con importi falsi/incompleti.
  • Omesso versamento IVA (art. 10-ter), se l’IVA dovuta da dichiarazione annuale non viene versata oltre una certa soglia.
  • Eventualmente, ipotesi più gravi come frode fiscale (es. dichiarazione fraudolenta con uso di fatture false, art. 2) se il soggetto ha posto in essere artifici documentali – evenienza meno comune nel caso di vendite non dichiarate, poiché spesso si tratta di semplice omessa contabilizzazione, non di creazione di falsi documenti.

Concentrandoci sui primi tre, ecco le loro caratteristiche:

Reato di omessa dichiarazione (art. 5): si concretizza quando il contribuente omette di presentare la dichiarazione annuale dovuta (IVA, redditi, ecc.) entro il termine di legge, al fine di evadere le imposte, e l’imposta evasa supera la soglia di punibilità. La soglia è fissata in €50.000 di imposta evasa per singola imposta e periodo . Nel nostro caso, occorre che l’IVA non dichiarata in un anno superi €50.000. Se la soglia è superata, la condotta diventa reato, punito (nella formulazione attuale) con la reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 4 anni . In passato la pena prevista era 2-5 anni, ma un intervento normativo ha abbassato leggermente l’entità (oggi 18 mesi minimo). Esempio: un venditore online che nel 2022 non dichiara vendite con IVA evasa pari a €60.000 (quindi vendite per circa €272.000 + IVA 22%) commette reato di omessa dichiarazione. Se invece l’IVA evasa è €40.000, resta un illecito amministrativo ma non penale (la soglia non è raggiunta). Attenzione: il calcolo dell’“imposta evasa” ai fini penali deve considerare eventuali componenti a favore del contribuente che avrebbero potuto ridurre l’imposta, se provate. Ad esempio, la Cassazione penale ha stabilito che nella quantificazione dell’IVA evasa si devono sottrarre le imposte detraibili sugli acquisti relative alle vendite non dichiarate, se il contribuente ne dà prova, altrimenti si punisce un’evasione maggiore del reale . In un caso del 2016, un soggetto condannato per vendite online non dichiarate eccepì che, se fossero stati considerati i costi d’acquisto della merce venduta (quindi l’IVA a credito sugli acquisti), l’evasione effettiva sarebbe stata sotto soglia penale; la Cassazione gli diede ragione, riconoscendo che i costi vanno dedotti per calcolare l’imposta evasa . Ciò può salvare qualcuno dal penale (se l’IVA netta scende sotto 50k), ma ovviamente non lo esime dal pagare in sede tributaria quanto dovuto. In sintesi, per superare la soglia di 50.000 € spesso occorrono vendite ingenti e margini elevati; chi vende beni con bassi ricarichi potrebbe evadere grosse cifre di ricavi ma con IVA netta più contenuta. Comunque, l’omessa dichiarazione resta il reato principe in questi casi gravi.

Reato di dichiarazione infedele (art. 4): si configura se il contribuente presenta una dichiarazione annuale indicando elementi attivi inferiori al reale o elementi passivi fittizi, quando ciò determina un’evasione d’imposta oltre soglia. La soglia per l’IVA (e imposte dirette) è attualmente €100.000 di imposta evasa e occorre anche che l’ammontare degli elementi sottratti all’imposizione superi 2 milioni di euro . Nel contesto e-commerce, questo reato sarebbe contestato se, ad esempio, l’operatore presenta la dichiarazione IVA ma “dimentica” di inserirvi una grossa parte delle vendite, mantenendosi sotto soglia penale per l’omessa, ma comunque evadendo >100k di IVA. È scenario poco comune, perché di solito chi vuole evadere l’IVA del tutto non presenta affatto la dichiarazione (ricadendo semmai nell’art. 5). Tuttavia, a livello teorico: poniamo un venditore che dichiara 100k di vendite quando in realtà erano 500k; se l’IVA evasa è sopra 100k e i ricavi occultati sopra 2 mln (non in questo esempio), allora scatta l’infedele. La pena è la reclusione da 2 anni a 4 anni e 6 mesi circa (il massimo è stato aumentato nel 2015 a 4 anni e sei mesi, minimo credo 2 anni). Non approfondiamo troppo, dato che nei casi di e-commerce sommerso l’ipotesi tipica è omessa dichiarazione.

Reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter): punisce chi, avendo presentato la dichiarazione annuale IVA, omette di versare l’IVA dovuta entro il termine per il versamento dell’acconto dell’anno successivo (tipicamente 27 dicembre), per un importo superiore a una soglia. La soglia era €250.000 di IVA non versata, elevata da 50.000 a 250.000 nel 2015 . Recentemente (giugno 2024) sono intervenute ulteriori modifiche: la soglia è rimasta 250k ma con la condizione che il debito non sia in corso di rateazione “avviso bonario” e altre specifiche . La pena è la reclusione da 6 mesi a 2 anni . Questo reato in pratica riguarda chi dichiara l’IVA e poi non paga importi ingenti. Nel caso di vendite totalmente nascoste, il soggetto non presenta proprio la dichiarazione, quindi risponde semmai di omessa dichiarazione, non di omesso versamento (che richiede la dichiarazione presentata ma insoluto il pagamento). Può però accadere dopo la scoperta: se il contribuente, messo di fronte all’evasione, presentasse tardivamente la dichiarazione mostrando un debito enorme e poi non lo pagasse, potrebbe incorrere in art. 10-ter. Di solito comunque chi viene scoperto per quell’importo avrà già integrato l’art.5. L’art. 10-ter assume rilievo in vicende diverse (società in crisi che non paga l’IVA dichiarata). Per completezza diciamo che con la riforma D.Lgs. 87/2024 è stato stabilito che se il contribuente ha attivato una rateazione del debito IVA a seguito di avviso bonario, finché la rispetta il reato non scatta; se decade dalla rateazione e ancora non paga, il reato scatta con soglia ridotta a 75.000 € residui . Questa modifica incentiva i debitori a rateizzare subito l’IVA non versata per evitare guai penali. Ma tale scenario riguarda chi ha dichiarato ufficialmente il debito (es. a seguito di controllo automatico). Nel nostro contesto, immaginiamo un soggetto che, dopo un controllo, faccia emergere la sua posizione e ottenga una rateazione: se la rispetta niente penale, se poi non paga oltre 75k residui potrà essere punito.

Sanzioni accessorie penali: In caso di condanna per reati tributari, oltre alla reclusione possono essere applicate pene accessorie (art. 12 D.Lgs. 74/2000): interdizione dai pubblici uffici, incapacità a contrattare con la PA, interdizione da attività imprenditoriali o professionali, sospensione di licenze o concessioni, ecc., di norma per 1 a 3 anni . Inoltre è obbligatoria la confisca del profitto del reato (art. 12-bis D.Lgs. 74/2000): ciò significa che l’ammontare dell’IVA evasa dev’essere confiscato dallo Stato. Se il denaro non è più rintracciabile, si confisca per equivalente su beni del condannato di valore corrispondente (ad es. immobili, auto, conti) . La Cassazione ha chiarito che anche per il reato di omessa dichiarazione si applica la confisca obbligatoria per equivalente, non serve provare un nesso specifico tra beni e reato . Questo può avere effetti molto pesanti sul patrimonio del condannato.

Cause di non punibilità e attenuanti: Esiste però una via d’uscita legale dal penale: l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se il contribuente paga integralmente il debito tributario prima che la situazione degeneri in processo. In particolare: per il reato di omessa dichiarazione (e infedele) è prevista la non punibilità se “i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono estinti mediante pagamento integrale […] prima dell’apertura del dibattimento di primo grado” . In pratica, se prima del processo penale il contribuente paga tutto l’IVA dovuta, le sanzioni amministrative e gli interessi (anche tramite speciali procedure di definizione agevolata), il reato viene estinto e non si procede penalmente . Questa è una norma di clemenza introdotta per incentivare il ravvedimento operoso in extremis. Attenzione: la non punibilità non si applica se quando si paga ormai si è a dibattimento avanzato, oppure se il contribuente è stato già formalmente attinto da atti che indicano la scoperta del reato (nota: c’è dibattito sulla “formale conoscenza” da parte del contribuente dell’inizio di una verifica: se uno paga dopo aver ricevuto un PVC dalla GdF, ad esempio, alcuni sostengono che la non punibilità non operi perché il ravvedimento non è più spontaneo – ma la giurisprudenza è oscillante su cosa sia “inizio verifica” rilevante ai fini art.13 ). In ogni caso, è bene sapere che pagare il dovuto prima possibile aiuta enormemente sul piano penale: non solo evita la confisca come visto , ma può proprio evitare la condanna. Per il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter), esiste una causa di non punibilità parziale: se entro la scadenza del termine per presentare la dichiarazione dell’anno successivo (tipicamente entro il 30 aprile dell’anno dopo) il contribuente versa tutto il dovuto, non è punibile. Ad esempio, se un’azienda non versa l’IVA 2023 entro il 27/12/2024 (acconto), ma poi paga tutto entro il 30/4/2025, il reato non è configurabile. O ancora, per omesso versamento ritenute c’è simile disposizione. Però questi scenari esulano dall’e-commerce occulto classico (riguardano di più chi dichiara ma ritarda). Per i nostri casi, la chiave è: se finisci sotto indagine penale per l’IVA evasa online, pagando integralmente il debito fiscale prima del dibattimento puoi evitare la condanna. E se non riesci a pagare tutto, la giurisprudenza talvolta riconosce la circostanza attenuante del ravvedimento parziale, che può ridurre la pena. In ogni caso, è fondamentale farsi seguire da un avvocato penalista esperto di tributario.

Processo penale e esiti: Qualora la vicenda arrivi in tribunale, il contribuente imputato ha i normali diritti difensivi (presunzione innocenza, contraddittorio). Spesso, però, i processi per reati fiscali si basano sull’accertamento tributario come prova. La Cassazione Penale ha affermato che il giudice penale può utilizzare in tutto o in parte le risultanze dell’accertamento tributario, ma deve comunque verificare gli elementi oggettivi e soggettivi del reato . Ad esempio, nel reato di omessa dichiarazione occorre dimostrare il dolo specifico di evasione: l’imputato deve aver omesso di dichiarare “al fine di evadere”. Se l’imputato sostenesse di ignorare l’obbligo o di aver creduto in buona fede che non fosse dovuta imposta (difficile, ma ad esempio nel caso di vendite di beni usati personali, potrebbe dire “pensavo non fosse tassabile”), il giudice valuta la credibilità. In generale, l’omessa dichiarazione è reato omissivo proprio, quindi basta la volontà di non presentare la dichiarazione pur sapendo dell’obbligo. L’ignoranza totale della legge difficilmente scusa (non sapere di dover aprire P.IVA non è scusante se l’attività era evidente). Comunque, de facto, se le prove (flussi finanziari, vendite) dimostrano l’evasione sopra soglia, per difendersi nel penale è spesso più produttivo puntare sulle circostanze attenuanti (collaborazione, pagamento, incensuratezza) che sulla negazione del fatto. Molti procedimenti si concludono con patteggiamenti a pene sospese, se il danno erariale viene sanato.

In sintesi, rischi penali: Chi vende online omettendo completamente IVA e ricavi difficilmente incorrerà in un procedimento penale se i volumi sono piccoli (sotto soglie). Ma se l’attività genera evasioni IVA importanti (>50.000 € annui), vi è il serio rischio di denuncia e processo per omessa dichiarazione. Le conseguenze possono essere pesanti (reclusione potenziale, anche se spesso in concreto con condizionale se paga e se incensurato) e soprattutto misure come la confisca dei guadagni. Dal punto di vista del debitore, dunque, è fondamentale, una volta scoperti, attivarsi per pagare il dovuto o almeno ridurre il debito: ciò non solo riduce le sanzioni amministrative, ma può letteralmente fare la differenza tra la vita da incensurato e una condanna penale. Nei prossimi paragrafi vedremo quali strategie di difesa e regolarizzazione si possono adottare per minimizzare questi impatti.

Accertamento, riscossione e termini

Un breve cenno ai tempi: il Fisco ha un certo limite di tempo per contestare le violazioni (termine di accertamento) e successivamente per riscuotere le somme (termine di prescrizione della cartella). Per l’IVA, il termine di accertamento standard è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (art. 57 DPR 633/72 modificato). Se la dichiarazione non è stata presentata (come nei casi di omessa dichiarazione IVA), il termine si allunga al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata . Ad esempio, per operazioni del 2020 (dichiarazione IVA 2021 omessa), l’Agenzia Entrate ha tempo fino al 31/12/2027 per notificare un avviso di accertamento. Ciò non significa che si possa stare tranquilli dopo che sono trascorsi solo 5 anni: in caso di omessa dichiarazione l’Erario può spingersi due anni oltre. (Nota: in passato vigeva un raddoppio termini in caso di reato, che portava addirittura a 8 e 10 anni, ma attualmente il regime generale è 5 e 7; l’unico raddoppio residuo riguarda attività in paradisi fiscali non collaborativi, non pertinente qui). Una volta notificato l’accertamento e divenuto definitivo (perché non impugnato nei 60 gg, o dopo sentenza passata in giudicato), l’importo accertato viene iscritto a ruolo per la riscossione. Da quel momento, la prescrizione della cartella esattoriale è di norma 10 anni (per tributi erariali) se non interrotta . Quindi il Fisco ha tempi molto lunghi per esigere il dovuto. Anche l’eventuale pena penale cade in prescrizione in 6 anni (omessa dichiarazione) o 8 anni (infedele) dall’ultimo atto interruttivo, ma con possibili sospensioni durante processi.

Dal punto di vista del contribuente, è utile sapere che se sono passati oltre 7 anni dal fatto senza aver ricevuto nulla, il periodo più remoto potrebbe essere salvo per decadenza (ma attenzione a notifiche difficili, se uno cambiava residenza etc., l’atto può essere stato depositato e perfezionato lo stesso). Inoltre, dopo l’emissione di cartella, se passano 10 anni senza azioni di recupero, il debito si prescrive.

Strategie di difesa e regolarizzazione

Trovarsi di fronte a un accertamento fiscale per IVA non dichiarata sull’e-commerce può sembrare schiacciante, ma il contribuente dispone di strumenti di difesa e opportunità di definizione agevolata che possono ridurre sensibilmente l’impatto. È cruciale agire tempestivamente e con cognizione di causa. Analizziamo le possibili strategie, distinguendo tra:

  • Ravvedimento operoso: regolarizzazione spontanea prima che il Fisco contesti formalmente la violazione.
  • Procedure di accertamento con adesione e accordi transattivi: una volta iniziato il controllo o ricevuto un avviso, metodi per definire concordemente la pretesa riducendo sanzioni.
  • Definizioni agevolate straordinarie: misure emanate dal legislatore (condoni, rottamazioni, sanatorie) a cui eventualmente aderire.
  • Difesa in contenzioso: se si ritiene la pretesa infondata o eccessiva, la via del ricorso con supporto di prove e giurisprudenza.
  • Gestione del debito in fase di riscossione: rateizzazioni, sospensioni, transazione fiscale se l’impresa è insolvente, ecc.
  • Prevenzione e rimedi per i soggetti esteri: come mettersi in regola (es. registrazione OSS/IOSS, nomina rappresentante) per evitare contestazioni in Italia.

Vediamoli in dettaglio dal punto di vista del contribuente (debitore) che vuole mitigare i danni.

Ravvedimento operoso

Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) consente al contribuente di sanare spontaneamente le violazioni commesse, beneficiando di una significativa riduzione delle sanzioni. La condizione fondamentale è che il ravvedimento avvenga prima di essere scoperti: più precisamente, prima che il contribuente abbia ricevuto formale notifica di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento (“constatazione della violazione”). Nel caso delle vendite online non dichiarate, ciò significa ravvedersi prima che arrivi una comunicazione dell’Agenzia (es. lettera di compliance, invito, PVC, avviso). Con DAC7 e CESOP all’orizzonte, aspettare troppo è rischioso: se i dati stanno per essere trasmessi al Fisco, c’è comunque un margine prima che parta l’azione (es. i dati 2023 arrivano a AE nel 2024, i controlli specifici forse nel 2025). Ravvedersi tempestivamente è la scelta consigliata per ridurre sanzioni ed evitare il penale.

Come fare ravvedimento: il contribuente deve presentare le dichiarazioni omesse (IVA e redditi se necessario), emettere le fatture mancanti (spesso con data odierna ma riferite al periodo passato, specificando che sono emesse in regime di ravvedimento per operazioni pregresse) e versare: 1) l’IVA dovuta non versata, 2) gli interessi legali calcolati dal giorno in cui avrebbe dovuto versarla, 3) le sanzioni amministrative in misura ridotta secondo quando si ravvede. La riduzione standard è 1/10 del minimo se il ravvedimento avviene oltre 90 giorni dalla violazione ma comunque prima che inizino controlli (in caso di omessa dichiarazione il minimo è 120%, 1/10 è 12%, ma attenzione: c’è una particolarità, la sanzione fissa minima €250 per dichiarazione omessa può scendere a €25) . Vediamo caso per caso:

  • Omessa dichiarazione IVA: presentandola entro 90 giorni dal termine (quindi dichiarazione tardiva, non omessa) la sanzione fissa è €250 riducibile a €25 con ravvedimento . Se sono passati più di 90 giorni, la dichiarazione è omessa, ma può essere comunque presentata (ultra-tardiva) per quantificare il debito. La sanzione del 120-240% diventa ravvedibile a 1/7 del minimo se si ravvede dopo 90 gg ma entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo, oppure 1/6 se entro il termine di quella del secondo anno successivo (queste frazioni derivano dalle modifiche introdotte nel 2015). Ad esempio, omessa IVA 2022 ravveduta entro fine 2023: sanzione 120% ridotta a 1/7 = ~17.14%; se entro fine 2024, ridotta a 1/6 ≈ 20%. Queste percentuali vanno applicate all’imposta dovuta. Se oltre ancora, 1/5 se entro accertamento ecc. (Il ravvedimento è possibile anche tardivamente, finché non vi è notifica di accertamento, con riduzioni via via minori: 1/5 del minimo se dopo 2 anni, 1/4 se dopo contestazione formale forse, ma entriamo in dettagli complessi. Diciamo che prima agisce, meglio è). In pratica, ravvedersi spontaneamente anche dopo un paio d’anni dall’omissione comporta pagare il 15-20% di sanzione invece del 120-240%! Questo fa un’enorme differenza.
  • Omessa fatturazione: la sanzione 90-180% (70% dal 2024) può essere ravveduta con riduzione a 1/9 del minimo (se ravvedimento entro 90gg) o 1/8,1/7 etc. Ad esempio, se Tizio non ha fatturato vendite per 10.000 € + IVA=2.200 € e ravvede dopo diversi mesi, la sanzione 90% (=1.980 €) ridotta a 1/8 diviene 247.50 € circa. Spesso però, regolarizzando la dichiarazione, la sanzione di omessa fatturazione è assorbita; conviene pagare almeno la sanzione per una delle due cose, tipicamente quella per dichiarazione.
  • Omessi versamenti periodici: se uno aveva liquidazioni periodiche risultanti e non pagate, ravvedendo entro breve le sanzioni 30% scendono a 1.5% (ritardo <15gg) o 3% (entro 30gg) o 3.75% (entro 90gg) o 4.29% circa (entro 1 anno). Ma se era tutto occulto, qui non c’è nulla da ravvedere in termini di versamento periodico isolato, si ravvede in blocco.
  • Violazioni contabili e formali: anche quelle sanzioni fisse (500-2.000 etc.) scendono a 1/8 del minimo in genere col ravvedimento: es. 500 ridotto a 62.50 €.

Per attuare il ravvedimento è consigliabile farsi assistere da un commercialista o fiscalista esperto, perché bisogna ricostruire tutte le operazioni effettuate, emettere eventuali fatture di regolarizzazione (ad esempio autofatture per sanare il mancato incasso dell’IVA da clienti ormai passati – la prassi vuole che in mancanza di fatturazione al cliente finale consumatore, il contribuente versi comunque l’IVA dovuta come se i corrispettivi fossero comprensivi di IVA ). Un riferimento utile è la sentenza della Corte di Giustizia UE C-521/19 del 2021, che ha affermato: se non è stata emessa fattura, gli importi percepiti dal venditore si intendono prezzo già comprensivo di IVA dovuta . Quindi, per regolarizzare, bisogna scorporare l’IVA dai corrispettivi lordi incassati. Ad esempio, se incassati 1.000 € “senza IVA”, in realtà sono 819,67 € imponibile + 180,33 € IVA (aliquota 22%). Questo principio va seguito in ravvedimento: si determinano imponibili e IVA dovuta retroattivamente.

Conviene anche predisporre una istanza di autotutela da inviare all’Agenzia Entrate contestualmente ai versamenti, spiegando che si è proceduto a ravvedere le seguenti violazioni relative ai periodi X, allegando le ricevute di pagamento F24 (codici tributo: 6491 sanzione IVA, 600x IVA periodo, 1991 interessi, ecc.). In tal modo l’ufficio registra la regolarizzazione e – di norma – non applica ulteriori azioni punitive. Importante: il ravvedimento operoso integra la causa di non punibilità penale dell’art.13, se completato prima dell’inizio di accessi/verifiche . Dunque pagando tutto spontaneamente si evita anche il penale (oltre alle sanzioni ridotte, non si viene denunciati affatto). Se invece il ravvedimento avviene dopo un primo contatto formale del Fisco (es. dopo un PVC), non vale come esimente penale completa (potrebbe valere come attenuante). Comunque resta utilissimo per ridurre le sanzioni amministrative.

Quando il ravvedimento non è più ammesso: se il contribuente ha già ricevuto un processo verbale di constatazione (PVC) dalla Guardia di Finanza, o un avviso di accertamento, o altra contestazione formale riferita a quella violazione, non può ravvedersi su quella specifica violazione. In pratica, se arriva la “lettera di compliance” che dice “abbiamo dati eBay su di te, presentati”, quello potrebbe già precludere il ravvedimento se la lettera contiene una contestazione specifica di violazione. Ma se è un mero invito, si potrebbe ancora ravvedere prima che emettano atto ufficiale. Bisogna valutare caso per caso.

In conclusione, il ravvedimento operoso è la via maestra per mettere in regola spontaneamente un e-commerce non dichiarato, con costi notevolmente inferiori rispetto a farsi scoprire. Certo, richiede liquidità per pagare l’arretrato, ma spesso esistono opzioni di rateazione anche per il ravvedimento (non formalizzate, ma uno può ravvedere a pezzi: prima un anno, poi un altro). Il ravvedimento “speciale” introdotto con la tregua fiscale 2023 (per dichiarazioni 2021 e precedenti pagando 1/18 delle sanzioni) è scaduto a marzo 2023; chi l’ha sfruttato ha regolarizzato a condizioni ancor più favorevoli. Oggi (2025) si applica il ravvedimento ordinario con le riduzioni standard dette sopra.

Accertamento con adesione e acquiescenza

Se il Fisco ha già avviato il controllo e notificato un avviso di accertamento (o sta per farlo), il ravvedimento non è più possibile. Tuttavia, il contribuente ha ancora strumenti per ridurre le sanzioni e trovare un accordo: sono gli istituti deflativi del contenzioso previsti dal D.Lgs. 218/1997. I principali: accertamento con adesioneacquiescenza agevolata e conciliazione giudiziale.

  • Accertamento con adesione (“adesione”): dopo aver ricevuto un verbale di constatazione (PVC) o un avviso di accertamento non definitivo, il contribuente può presentare istanza di adesione per iniziare un contraddittorio con l’ufficio (Agenzia Entrate) volto a raggiungere un accordo sulla pretesa tributaria. Nel caso di vendite online non dichiarate, spesso l’Agenzia nelle prime fasi calcola per difetto (non avendo tutti i dettagli dei costi). Il contribuente, se ha documentazione di acquisti, costi, resi, può portarli in sede di adesione per abbassare l’imponibile accertato. Inoltre, l’adesione prevede di diritto la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo previsto . Ad esempio, se l’accertamento chiede IVA 50.000 € con sanzione 120% = 60.000 €, aderendo si pagheranno 50.000 € + 20.000 € di sanzione (1/3 di 60.000). L’adesione blocca i termini per ricorrere, e se si trova un accordo viene formalizzato in un atto che va poi pagato (o rateizzato fino a 8 rate). Se non si trova accordo, l’ufficio emette eventualmente un accertamento definitivo (contro cui si può ricorrere). Vantaggi dell’adesione: oltre alla riduzione sanzioni, evita il contenzioso prolungato e consente di personalizzare la soluzione (magari riconoscendo deduzioni di costi). Svantaggi: bisogna comunque accettare di pagare (non c’è ulteriore sconto sull’imposta, solo su sanzioni) ed è vincolante; inoltre non è ammesso se l’atto è già impugnato.
  • Acquiescenza agevolata: se si riceve un avviso di accertamento e non si intende fare ricorso, si può prestare “acquiescenza” in maniera agevolata entro 60 giorni, che dà diritto a riduzione delle sanzioni a 1/3 (simile all’adesione) . In pratica basta non impugnare e pagare entro 30 giorni dall’avviso le somme dovute con sanzioni ridotte 1/3 (o prima rata). Questa opzione è utile se l’ufficio ha già applicato il minimo sanzioni e non c’è margine di discussione. Nel contesto e-commerce, di solito conviene prima tentare l’adesione, perché magari si riesce a ridurre l’imponibile contestato stesso. L’acquiescenza è invece una resa totale sull’imponibile in cambio di sconto sanzioni.
  • Conciliazione giudiziale: se invece si propone ricorso in Commissione Tributaria (cioè si decide di impugnare l’atto), è possibile in sede di giudizio di primo grado (o anche appello) conciliarsi con l’ufficio. La conciliazione giudiziale può essere fuori udienza (accordo pre-udienza) o in udienza; comporta la chiusura della lite con un accordo sul dovuto e anche qui sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo, come nell’adesione . Se avviene in appello, sanzioni a 1/2. Per la verità, nell’ultimo biennio il legislatore ha introdotto (con la “tregua fiscale” 2023) una conciliazione agevolata speciale per le liti pendenti 2023, con sanzioni ridotte al 1/18, ma quella era una misura eccezionale e una tantum. Nel 2025 non risulta prorogata. Comunque, la conciliazione ordinaria 1/3 rimane disponibile.
  • Definizione agevolata delle liti pendenti: altra misura straordinaria 2023 consentiva di chiudere le cause tributarie pendenti pagando una percentuale del valore (100% se perso in primo grado, 40% se vinto in primo grado, etc.). Queste misure vanno e vengono con le finanziarie; attualmente (2025) non ce n’è di nuove attive. Ma il contribuente informato terrà d’occhio eventuali nuovi provvedimenti di condono.

Come scegliere tra adesione/ricorso: Bisogna valutare la forza delle proprie ragioni. Se l’accertamento contiene errori (es. ha considerato come vendite anche accrediti non di vendita, oppure non ha tenuto conto di costi documentati), conviene presentarsi con questi elementi all’ufficio, magari in adesione, per sistemare. Se l’ufficio si mostra intransigente, fare ricorso può portare a una riduzione in giudizio (le Commissioni spesso moderano le pretese se il contribuente mostra buona fede o carenze istruttorie del Fisco). La giurisprudenza in materia di e-commerce stabilisce alcuni punti fermi utili alla difesa: ad esempio, la Cassazione ha detto che “se il Fisco contesta ricavi non dichiarati, devono essere considerati anche i relativi costi deducibili che il contribuente dimostri di aver sostenuto, altrimenti si tassa un profitto inesistente” . Questo principio aiuta a far ammettere in deduzione i costi della merce venduta anche se non contabilizzati, sia per ridurre l’IVA evasa (come credito) sia per ridurre l’imponibile reddituale. Inoltre, come detto, vendere propri beni usati non genera reddito tassabile: se il contribuente riesce a provare che gli oggetti venduti provenivano dal suo patrimonio personale e non da acquisti per rivendita, può ottenere l’annullamento della pretesa. Proprio la Cass. n. 10117/2023 sul caso dei mobili di casa venduti ha stabilito che tali proventi non erano tassabili . Quindi in sede di difesa è lecito sollevare l’argomento della natura personale dei beni, quando credibile. Anche Cass. n. 26554/2020 (caso venditore di orologi su eBay) insegna che spetta al contribuente provare che vendeva pezzi della propria collezione e non un’attività d’impresa: in quel caso il contribuente non convinse i giudici e perse , ma la ratio è che se c’è prova contraria, l’accertamento può cadere. In definitiva, se la posizione è chiaramente di evasione sistematica, meglio puntare a ridurre danni; se c’è margine per dimostrare che le vendite erano sporadiche o non tutte imponibili, si può combattere in giudizio (consapevoli però dei costi e tempi del contenzioso).

Definizioni agevolate e “tregua fiscale”

Il legislatore italiano negli ultimi anni ha varato diverse misure di definizione agevolata, spesso note come “pace fiscale” o “tregua fiscale”. Queste misure permettono, in finestre temporali limitate, di sanare il pregresso pagando importi ridotti. Anche nel 2023-2024 ve ne sono state alcune, utili per chi aveva pendenze da e-commerce non dichiarato:

  • Rottamazione delle cartelle (cd. Rottamazione-quater 2023): ha consentito di estinguere i debiti a ruolo 2000-2017 versando solo l’imposta e i soli interessi legali, con abbattimento totale delle sanzioni e interessi di mora. Molti debiti IVA di anni passati sono stati chiusi così, con notevole sconto (pagando di fatto il netto imposta). La scadenza per aderire era il 30/6/2023 (poi prorogata al 30/9/2023). Se un e-commerce evaso era finito a cartella in quegli anni, il debitore avrà potuto approfittarne. Ad oggi (2025) non c’è una nuova rottamazione, ma non è escluso che futuri governi ne propongano altre (è la quarta volta che succede dal 2016).
  • Stralcio mini-debiti: sempre la L. 197/2022 ha disposto lo stralcio automatico dei debiti a ruolo fino a €1.000 riferiti agli anni fino al 2015. Quindi piccole cartelle per IVA entro 1.000 € sono state annullate d’ufficio.
  • Ravvedimento speciale 2023: misura unica nel suo genere, ha permesso di ravvedere violazioni di dichiarazione relative al 2021 e precedenti versando l’imposta + interessi + sanzioni ridotte a 1/18 del minimo (anziché 1/8-1/7 soliti) in otto rate. Molti l’hanno usata per regolarizzare situazioni di evasione a costi sanzionatori molto bassi (circa 5.56%). La finestra era fino al 30/9/2023. Oggi non è più disponibile.
  • Definizione agevolata avvisi bonari: per le comunicazioni di irregolarità (36-bis) derivanti da dichiarazioni 2019-2020, nel 2023 si poteva pagare con sanzioni al 3% (invece di 10%). Non tanto pertinente al caso non dichiarato (dove non c’è avviso bonario se non hai dichiarato).
  • Definizione agevolata liti pendenti: chi aveva cause tributarie pendenti al 1/1/2023 poteva chiuderle pagando un importo percentuale a seconda degli esiti (vedi sopra).

Tutte queste misure straordinarie hanno scadenze precise e, a oggi, risultano in larga parte esaurite. Il contribuente coinvolto in accertamento nel 2025 deve guardare se magari nel Decreto “Milleproroghe” o Legge di Bilancio vi siano proroghe o nuove edizioni. Ad esempio, c’è dibattito su un possibile saldo e stralcio dei debiti per contribuenti in difficoltà, ma nulla di certo. Consiglio pratico: se si è in ritardo con i pagamenti di cartelle per IVA evasa e appare all’orizzonte una nuova rottamazione, potrebbe convenire attendere quella (sospendendo eventuali azioni con ricorso o accordi temporanei) per sfruttarla. Tuttavia, basare la strategia solo su speranze di condono è pericoloso; meglio agire con le regole ordinarie e considerare l’agevolazione come un bonus se arriva.

Rateizzazione e tutela patrimoniale

Una preoccupazione tipica di chi subisce un accertamento è: “come pagherò cifre così alte?”. Fortunatamente, il sistema prevede la possibilità di rateizzare quasi tutte le somme dovute.

  • In fase di adesione o acquiescenza, l’importo può essere dilazionato fino a 8 rate trimestrali (o 16 rate se supera 50.000 €). Quindi c’è modo di spalmare su 2-4 anni il pagamento.
  • In fase di cartella esattoriale, Agenzia Entrate-Riscossione concede piani ordinari fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a 120.000 €, e piani straordinari fino a 120 rate mensili (10 anni) per importi superiori o in casi di comprovata difficoltà . Basta presentare domanda prima che la cartella scada o comunque prima di eventuali atti esecutivi, allegando ISEE o bilanci.
  • Sospensione/annullamento in autotutela: se si è proposto ricorso contro l’accertamento, si può chiedere la sospensione dell’esecutività al giudice tributario, evitando che l’iscrizione a ruolo avvenga subito. Se ci sono errori palesi dell’ufficio, si può anche chiedere l’annullamento in autotutela (raramente l’Agenzia ammette di aver sbagliato in autotutela su questi casi, ma tentare non nuoce).
  • Transazione fiscale: qualora il debitore sia un’impresa in crisi e acceda a procedure concorsuali (concordato preventivo, ristrutturazione del debito), è possibile proporre una transazione fiscale che includa anche il debito IVA (anche se per IVA di norma bisogna proporre pagamento almeno del capitale, stante privilegio erariale). Questo è estremo, ma utile se l’ammontare è insostenibile e si cerca di salvare l’azienda.

Un aspetto fondamentale dal punto di vista patrimoniale: una volta emessa la cartella o divenuto definitivo l’accertamento, l’Agenzia Entrate-Riscossione può attivare procedure come fermo amministrativo di auto, ipoteca su immobili, pignoramenti di conti, stipendi, case, ecc. Il contribuente che sa di avere un potenziale grosso debito in arrivo farebbe bene a tutelare i propri beni in anticipo (lecitamente, s’intende: ad esempio, evitare di mantenere liquidi cospicui sul conto personale, dotarsi di un trust o fondo patrimoniale per proteggere la prima casa se opportuno, ecc., sempre con assistenza legale per non incorrere in atti revocabili). Va però detto che se c’è di mezzo reato tributario, alienare beni per sottrarli alla riscossione può configurare reati come sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art.11 D.Lgs.74/2000). Quindi bisogna agire in modo trasparente e con anticipo, non “all’ultimo” dopo la notifica di cartella, sennò si aggravano i guai. Idealmente, concordare un piano di pagamento e rispettarlo evita misure esecutive.

Profili peculiari per venditori esteri

Dal punto di vista di un soggetto estero che vende in Italia e non ha adempiuto all’IVA, quali strategie ci sono? Se l’esterovestizione è accertata (cioè se in realtà la gestione è italiana), il soggetto sarà trattato come italiano a tutti gli effetti, con tutto quanto sopra. Se invece è genuinamente estero, la difficoltà principale per il Fisco italiano è far valere le proprie pretese: ci sono accordi di mutua assistenza nel recupero crediti intra-UE (Regolamento UE 2010/24) per cui, ad esempio, un debito IVA accertato dall’Italia nei confronti di una società francese può essere inviato all’omologa Agenzia francese per la riscossione forzata in Francia. Con paesi extra-UE, dipende dai trattati bilaterali (con alcuni c’è cooperazione, con altri no). In ogni caso, un venditore estero scoperto farebbe bene a mettersi in regola volontariamente: può ancora farlo aderendo al regime OSS (se UE) per il futuro, e per il passato contattando un professionista locale per dichiarazioni integrative. L’Italia, tramite DAC7 e CESOP, potrà segnalare e coordinarsi, ma se l’operatore estero intende continuare a vendere in UE, rischia sanzioni, interdizioni (ad esempio, le piattaforme potrebbero bloccarlo su richiesta delle autorità). Dunque, la strategia di difesa per un soggetto estero è in realtà una strategia di compliance: nominare un rappresentante fiscale in Italia o identificarsi qui, dichiarare l’IVA dovuta (magari chiedendo il ravvedimento con sanzioni ridotte se possibile) e regolarizzare le importazioni pregresse (se non coperte da IOSS). In alcuni casi si può beneficiare di rinunce a sanzioni reciproche: ad esempio, se un soggetto UE corregge la propria posizione entro l’anno successivo tramite OSS integrativo, le sanzioni potrebbero essere moderate in ragione della collaborazione (dipende dalle prassi). Altrimenti, se il soggetto extra-UE ignora le richieste, può subire conseguenze come il sequestro di merci in transito, l’impossibilità di consegnare ai clienti (perché i pacchi vengono bloccati) e comunque l’accumulo di un debito erariale che, se un giorno acquisisce asset in UE, verrà riscosso.

In conclusione, dal lato difensivo il debitore ha diversi strumenti: ravvedimento se in tempo, accordi e definizioni se già in fase di accertamento, ed eventualmente giocarsi la carta del contenzioso per far valere i propri diritti. La miglior strategia dipende dalla specifica situazione, ma un filo conduttore c’è: collaborare col Fisco in modo intelligente conviene, perché permette di abbattere sanzioni e, se si agisce per tempo, di evitare il penale. Ignorare o sfuggire raramente paga, anzi può peggiorare le cose (interessi che maturano, aggravio di spese legali, provvedimenti coercitivi).

Nel seguito, proponiamo una serie di Domande & Risposte frequenti e alcune simulazioni pratiche, che aiuteranno a chiarire ulteriormente l’applicazione di questi principi ai casi reali.

Domande frequenti (FAQ)

D1: Vendere occasionalmente oggetti usati su eBay o Subito è reato o evasione? Devo aprire partita IVA?
R: Se le vendite sono effettivamente occasionali e riguardano oggetti di tua proprietà personale (es. usato domestico, collezioni personali) non c’è obbligo di partita IVA né tassazione: tali cessioni non configurano attività d’impresa né lavoro autonomo occasionale, e i proventi non sono imponibili . Ad esempio, se vendi la tua bici usata o qualche mobile di casa, non stai svolgendo commercio abituale. Tuttavia, attenzione a frequenza e scopo di lucro: se cominci a comprare oggetti apposta per rivenderli online, anche poche volte l’anno, mostri un intento speculativo e quei guadagni diventano imponibili (quantomeno come redditi diversi IRPEF) . Inoltre, piattaforme come eBay/Vinted segnalano al Fisco chi supera 30 vendite annue o 2.000 € . Dunque, sotto tali soglie di volume sei tendenzialmente al sicuro; sopra, l’Agenzia Entrate ti terrà d’occhio e potrebbe chiederti conto. Come regola pratica, oltre 5.000 € annui di incassi e/o decine di transazioni conviene valutare l’apertura di partita IVA , magari in regime forfettario se hai i requisiti, così da stare tranquillo. Ricorda che l’evasione scatta solo se ometti di dichiarare redditi dovuti o IVA dovuta: se vendi poche cose usate senza scopo di impresa, non c’è imposta dovuta quindi non c’è evasione. Ma se stai di fatto gestendo un piccolo business mascherato da “occasionale”, rischi la contestazione di evasione fiscale (con sanzioni e, oltre certe soglie, possibili risvolti penali).

D2: Ho iniziato un’attività di e-commerce in dropshipping senza sapere di dover aprire la partita IVA. Ora l’Agenzia Entrate mi contesta l’omessa fatturazione e l’IVA evasa: cosa posso fare?
R: Purtroppo il dropshipping (così come qualsiasi attività continuativa di vendita) richiede l’apertura di partita IVA sin dall’inizio: l’ignoranza di questo obbligo non ti esenta. Ora hai due fronti: uno amministrativo (pagare imposte e sanzioni) e uno potenzialmente penale (se l’IVA evasa supera 50.000 € annui). Le mosse consigliate sono: 1) Regolarizzare subito aprendo la partita IVA e iniziando a fatturare le vendite attuali, così da bloccare il perpetuarsi dell’illecito. 2) Per il passato, valutare il ravvedimento operoso se non è ancora arrivato un atto formale: presentare le dichiarazioni IVA retroattive, versare l’IVA dovuta con sanzioni ridotte (che nel ravvedimento possono essere molto inferiori alle sanzioni piene) . Se invece hai già un avviso di accertamento, puoi chiedere un accertamento con adesione per negoziare l’ammontare dovuto e ottenere sanzioni ridotte a 1/3 . 3) Pagare il dovuto o almeno attivarsi per farlo: chiedere rateizzazioni (fino a 8 rate in adesione, o 72 rate con cartella) per diluire l’impatto. 4) Penale: se l’IVA evasa supera la soglia, cerca di pagare integralmente il debito prima possibile, comunque prima dell’eventuale processo, perché ciò ti eviterà la condanna penale (art.13 D.Lgs.74/2000) . In parallelo, raccogli documenti sui tuoi costi di acquisto della merce: potrai far valere che l’IVA evasa netta è inferiore se consideri l’IVA a credito sugli acquisti (Cass. 39379/2016) . Questo può ridurre la sanzione e magari escludere il reato se eri di poco sopra i 50k. Infine, anche se suona controintuitivo, collabora con il Fisco: mostrare buona fede nel voler rimediare spesso porta l’ufficio ad atteggiamenti più favorevoli (ad es. applicare solo la sanzione minima, evitare di segnalare per il penale se non strettamente obbligati). Un avvocato tributarista potrà assisterti per ottenere il miglior accordo possibile. Il peggio che potresti fare è ignorare la contestazione: in assenza di tue mosse, diventerà definitiva con sanzioni piene e la riscossione coattiva si abbatterà su conti e beni, e in parallelo scatterà la denuncia penale se rilevante.

D3: Ho venduto su Amazon Marketplace prodotti per circa 80.000 € in un anno, ma credevo che gestisse tutto Amazon e non ho aperto P.IVA né dichiarato nulla. Amazon mi ha addebitato anche l’IVA sui fee. Rischio qualcosa?
R: Sì, rischi eccome. C’è un malinteso comune: Amazon (o altro marketplace) non si occupa dell’IVA dovuta dai seller sui loro ricavi, salvo transazioni particolari. Nel tuo caso, vendendo 80k di merce in Italia, avresti dovuto aprire la partita IVA, inserire la tua P.IVA su Seller Central e fatturare le vendite ai clienti con IVA. Amazon addebita l’IVA sulle proprie commissioni (perché ti fattura il servizio), ma non riscuote l’IVA sulle tue vendite (a meno che i beni fossero stoccati fuori UE o venduti extra-UE con certe regole, cosa non menzionata). Dunque, hai di fatto incassato prezzi lordi IVA, che ora il Fisco considera IVA non versata. Amazon, in virtù di DAC7, comunicherà all’Agenzia Entrate i tuoi dati di venditore e il volume 80.000 € . È molto probabile che nei prossimi mesi tu riceva una lettera o direttamente un avviso di accertamento per omessa dichiarazione IVA e redditi su quell’importo. Cosa fare subito: apri la partita IVA immediatamente (anche adesso per il futuro) e prepara un ravvedimento per l’anno passato. Se riesci a farlo prima che ti notificano qualcosa, pagherai sanzioni ridotte (minimo 1/7 del 120%, ossia ~17%) . Sull’IVA relativa a 80k (supponendo imponibile ~65.600 € e IVA ~14.400 € se erano beni al 22%), sanzione ridotta sarebbe circa 2.400 € invece di 17.000 € piena. Più interessi e ovviamente i 14.400 € di IVA. Se non hai liquidità, almeno presenta la dichiarazione tardiva e paga il possibile, magari in più step ravvedendo frazionatamente. Quando arriverà il contatto del Fisco, potrai dimostrare di esserti autodenunciato: questo potrebbe evitare anche sanzioni penali (80k di vendite generano ~14k IVA, sotto soglia penale 50k) – quindi per il penale sei salvo comunque in questo esempio – ma restava l’evasione IRPEF sui profitti. Anche su quello ravvediti (dichiarazione redditi tardiva). Riassumendo: sì, rischi un accertamento con circa 14k di IVA evasa + sanzioni + imposte su reddito. Agisci ora per mitigare: regolarizza e preparati a giustificare eventuali costi (acquisto prodotti, commissioni Amazon pagate) così che l’accertamento consideri il reddito netto, non il lordo. Se hai documentazione di costi per 60k e margine 20k, pagherai tasse su 20k invece che su 80k. Amazon probabilmente ti ha già inviato fatture per commissioni con IVA (che tu potrai detrarre retroattivamente nel calcolo). Questa situazione è comune: non sei l’unico, l’Agenzia lo sa e sta facendo controlli di massa su venditori marketplace non in regola . Meglio prevenire il colpo.

D4: Sono un piccolo artigiano e vendo le mie creazioni online. Ho aperto partita IVA in regime forfettario, quindi non addebito IVA ai clienti. Devo comunque fare qualcosa per l’OSS o altro se vendo all’estero?
R: Se hai già la partita IVA e sei in regime forfettario, non applichi né versi IVA sulle tue vendite interne, per espressa previsione di legge (operi in esenzione IVA). Questo è perfettamente legale e non stai evadendo nulla, purché rispetti le regole del regime (ricavi entro 85k, ecc.). Tieni però presente che come forfettario non detieni il diritto di detrarre l’IVA sugli acquisti. Quanto alle vendite all’estero: fino al 2021, un forfettario che vendeva in altri Paesi UE a privati poteva farlo senza particolari obblighi finché sotto soglie locali. Dal 1/7/2021, anche i forfettari rientrano nelle norme UE: c’è una soglia di 10.000 € annui per vendite intracomunitarie B2C (merci+servizi elettronici) oltre la quale devi applicare l’IVA del paese di destinazione . Se superi questa soglia (sommando vendite UE escluse quelle in Italia) devi registrarti all’OSS e iniziare a addebitare l’IVA estera ai clienti UE e versarla tramite OSS. Il regime forfettario non esonera da questo: l’esonero forfettari vale solo sul territorio nazionale. Quindi, ad esempio, se nel 2025 vendi 5.000 € a clienti in Francia e 6.000 € in Germania (totale UE estero 11.000 € > 10k soglia), dovrai iscriverti al Mini Sportello Unico OSS e dichiarare tali vendite con IVA FR e DE dovute. Sotto 10k, puoi continuare ad assoggettarle a regime nazionale (nel tuo caso, esenti IVA). Attenzione anche a vendite fuori UE: se spedisci beni extra-UE, in dogana i clienti potrebbero pagare dazi/IVA locale; questo non riguarda la tua posizione IVA, ma la soglia IOSS 150 € potrebbe interessarti se volessi far pagare tu l’IVA del paese di arrivo per semplificare al cliente (facoltativo). In sintesi: per l’Italia sei OK col forfettario (nessuna IVA da dichiarare né sanzioni), per l’UE occhio alla soglia OSS di 10k, e tieni traccia di tutte le vendite perché DAC7 obbliga le piattaforme (se ne usi) a segnalare anche i forfettari. Tu comunque dichiari il reddito forfettario e sei a posto dal lato imposte dirette. La tua domanda sembra da persona in regola: la stragrande maggioranza dei problemi che trattiamo qui nasce da chi non ha aperto P.IVA affatto. Nel tuo caso, complimenti per aver scelto il regime corretto. Ti esorto solo a stare entro i limiti e ad aggiornarti se la normativa OSS dovesse riguardarti.

D5: Ho ricevuto un accertamento per vendite online non dichiarate relative a tre anni (2019-2020-2021). L’importo complessivo tra IVA, IRPEF e sanzioni supera 100.000 €. Non posso pagare subito una somma simile. Posso rateizzare? Mi toglieranno la casa?
R: Di fronte a un accertamento multi-annuale di quell’entità, la prima cosa da fare è non perdere i termini per difendersi: hai 60 giorni dalla notifica per eventualmente presentare adesione o ricorso. Durante l’adesione, la riscossione è sospesa. Se trovi un accordo in adesione, potrai rateizzare fino a 8 rate trimestrali (2 anni) l’importo . Se invece l’accertamento diventa definitivo (perché non ricorri o perdi il ricorso), ti arriverà una cartella esattoriale. A quel punto, puoi chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione un piano di dilazione: generalmente, fino a 72 rate mensili (6 anni) è concesso praticamente a tutti se l’importo è <120k (il tuo è intorno a quella cifra, forse un po’ di più) e se non hai altre rateizzazioni decadute. Se fosse >120k, puoi comunque ottenere 72 rate presentando ISEE che attesti temporanea difficoltà, oppure fino a 120 rate (10 anni) se dimostri grave e comprovata difficoltà economica (parametri di legge specifici). Quindi, sì, puoi rateizzare, diluendo il peso. Riguardo ai beni: solitamente l’Agenzia Riscossione non iscrive ipoteca sulla casa principale se il debito è sotto 100k (c’è una soglia di tutela prima casa se ci vivi e non è di lusso, e comunque ipotecano solo sopra 20k debito in genere). Nel tuo caso potresti sforare 100k, allora l’ipoteca potrebbe scattare. Ma se fai istanza di rateazione prima che procedano, l’esecuzione viene sospesa. Una volta concesso e rispettato il piano, non ti toglieranno l’immobile né faranno pignoramenti: la rateazione ti mette al riparo da azioni esecutive (a patto di pagare le rate). Quindi, il segreto è muoversi per tempo: appena ti arriva la cartella (o anche prima, in adesione), inoltra la domanda di dilazione. Pagherai una rata al mese di ~1.400 € se 72 rate su 100k, più gli interessi di dilazione (circa 2% annuo attualmente). Se la casa è intestata a te e libera da ipoteche, l’ADER potrebbe minacciare di ipotecare: per evitarlo formalmente, potresti valutare di vendere o donare l’immobile prima che il debito diventi definitivo… ma occhio, perché se lo fai dopo che il debito è sorto (2019-21) e lo fai per non farlo prendere, potrebbe configurarsi come atto in frode ai creditori (specie dopo notifica atti). Dato che hai rimedi meno drastici (rate), ti consiglio di sfruttare quelli e conservare la casa pagando gradualmente il debito. Nel frattempo, verifica con un legale se tutte le pretese dell’accertamento sono corrette: forse si può limare qualcosa (es. costi non dedotti). Una riduzione dell’imponibile può riflettersi in decine di migliaia di euro in meno da pagare. In ultima analisi, hai strumenti per non venire “strangolato” immediatamente: collabora con l’ufficio per l’adesione (sanzioni ridotte e magari taglio imponibile) e pianifica le finanze per sostenere le rate. Se dovessi perdere il lavoro o peggiorare la situazione, esistono procedure da sovraindebitamento per trovare accordi (soluzione estrema). Ma di regola, con un piano di pagamento il Fisco preferisce incassare in 6-10 anni piuttosto che avventurarsi in pignoramenti forzosi (che peraltro su una casa portano poi a vendite all’asta lunghe). Dunque, mantieni un dialogo con le istituzioni e proteggi i beni essenziali con gli strumenti leciti (non tenere troppi soldi su conti aggredibili, ecc., ma se hai un mutuo sulla casa la banca già tutela parte). E ricorda: se il debito includerà molte sanzioni, c’è sempre la possibilità in futuro di un condono/rottamazione che ti alleggerisca – l’importante è non farsi trovare in default (decaduto) quando arrivano queste opportunità.

D6: Sono residente all’estero e vendo online in Italia senza stabile organizzazione (merci spedite da fuori UE direttamente ai clienti). L’Italia può farmi qualcosa se non mi registro per l’IVA?
R: Se operi al di fuori di qualsiasi presenza in Italia, le autorità italiane hanno strumenti limitati ma non nulli. In primo luogo, dogana e corrieri: se i tuoi pacchi arrivano in Italia senza IOSS, il corriere dovrebbe riscuotere l’IVA dal destinatario. Se dichiari valori errati o come gift per evitarlo, commetti infrazioni doganali: la GdF potrebbe intercettare alcune spedizioni e applicare sanzioni e recuperi d’imposta (con sovrattasse doganali). Inoltre, con l’abolizione della franchigia sotto 22€, ogni spedizione è teoricamente soggetta a IVA: spedendo molto, aumenta il rischio di controlli sui tuoi pacchi. Secondo, le piattaforme di pagamento: dal 2024, come detto, PayPal & co. inviano i dati dei beneficiari esteri che ricevono più di 25 pagamenti trimestrali da UE . Se tu ricevi pagamenti da clienti italiani, questi dati finiranno nel database CESOP e potranno svelare la tua attività. Terzo, DAC7: se vendi tramite marketplace UE, i tuoi dati saranno comunicati (le piattaforme devono segnalare venditori esteri con clienti UE) e l’Italia li riceverà se hai venduto a italiani . A quel punto l’Agenzia Entrate può emettere un accertamento nei tuoi confronti, notificandolo eventualmente presso un tuo rappresentante fiscale nominato d’ufficio o secondo le regole internazionali. L’Italia poi può chiedere al tuo Paese di residenza di riscuotere coattivamente il debito (se sei in UE, c’è cooperazione forzosa; se sei extra-UE, dipende ma con molti Paesi ci sono accordi). Inoltre, la mancata registrazione IVA è segnalata a livello UE, potresti trovarti bloccato sulle piattaforme: per esempio, eBay sta già chiedendo il codice OSS/IOSS o P.IVA a venditori extra-UE che spediscono in UE, e in mancanza può chiudere l’account. Anche i gateway di pagamento potrebbero limitare account che risultino coinvolti in frodi IVA. In sintesi, se finora hai volato sotto il radar, sappi che la tolleranza sta finendo: l’Italia (e l’UE) hanno investito in meccanismi per stanare venditori esteri fuorilegge. La strategia migliore, se intendi continuare a vendere in Italia, è metterti in regola volontariamente: potresti registrarti al regime IOSS per le vendite di basso valore (così riscuoti e versi l’IVA italiana su quelle, evitando problemi ai clienti in dogana) e/o identificarti direttamente ai fini IVA in Italia per le vendite di maggior valore. L’IOSS in particolare è pensato per venditori extra-UE come te: scegli un intermediario IOSS, addebiti l’IVA italiana sugli ordini ≤150€ e la versi con dichiarazione mensile. Per ordini >150€, continua a far pagare l’IVA in dogana ai clienti, ma dichiara almeno i ricavi ai fini delle imposte dirette secondo il tuo Paese (per non avere problemi lì). L’Italia se vede compliance via IOSS potrebbe non accanirsi retroattivamente, magari limiterà a sollecitarti per eventuali periodi pregressi. Se ignori tutto, rischi di accumulare un debito verso l’erario italiano che un giorno potrebbe raggiungerti (ad es. se verrai in UE, o se hai conti/appoggi in Europa che possano essere aggrediti). Considera anche il danno reputazionale: un caso noto è stato quello di venditori cinesi su marketplace multati e le piattaforme costrette a sospenderli per evasioni massive. Non vorrai vederti improvvisamente escluso dal mercato UE. Quindi, pur comprendendo che finora hai beneficiato di scappatoie, il consiglio è: informati su come conformarti (OSS/IOSS) e valuta un condono eventuale qualora fossi raggiunto da accertamento (a volte si può chiudere pagando solo imposta).

D7: Se pago adesso tutto il dovuto (IVA evasa, interessi, sanzioni) posso evitare il processo penale?
R: Dipende dal timing e dal tipo di violazione, ma in molti casi , pagare integralmente e spontaneamente estingue la punibilità penale. L’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 prevede la non punibilità per i reati di omessa dichiarazione e infedele dichiarazione (nonché omesso versamento) se il contribuente estingue il debito tributario prima che lo Stato eserciti l’azione penale (nello specifico, prima dell’apertura del dibattimento) . Ciò implica che devi versare tutto l’importo dovuto, comprensivo di imposte, sanzioni amministrative e interessi. “Tutto” significa anche le sanzioni amministrative per il fisco: quindi non basta l’imposta, devi chiudere anche le sanzioni tributarie (magari ridotte via ravvedimento o adesione). Se lo fai prima di ricevere una formale notizia di reato (es. prima che ti arrivi un decreto di citazione a giudizio o che il caso vada in udienza), allora il reato è dichiarato estinto. Ad esempio, hai omesso dichiarazioni per 3 anni con IVA evasa 60k ogni anno: totale 180k. Se riesci a pagare tutto (magari a rate ma concludendo prima del dibattimento) allora non verrai punito penalmente per i 3 reati di omessa dichiarazione. Diverso è il caso in cui hai già il processo in corso e paghi dopo: lì il giudice potrà semmai considerarlo come attenuante significativa, ma la non punibilità scatta solo se pagamento tempestivo. Nota: “prima dell’azione penale” significa anche che non devi aspettare di essere colto in fallo; il ravvedimento operoso tempestivo ancor prima che partano verifiche è la situazione ideale e sicuramente ti evita denunce. Ma anche dopo un controllo, se paghi tutto quando sei ancora a livello amministrativo (accertamento non definitivo), l’art.13 può applicarsi. Un dettaglio: il pagamento può avvenire anche “a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione” , quindi se stai pagandolo mediante adesione o conciliazione, vale lo stesso fine. Ad esempio paghi con l’adesione in 8 rate e finisci di pagarle prima che il pm formalizzi il rinvio a giudizio: in tal caso di solito archivieranno il penale. Quindi sì, paga il dovuto appena puoi. Inoltre, pagando eviti la confisca obbligatoria del profitto del reato: se arrivi a sentenza senza aver pagato, ti confiscano beni per un valore pari all’IVA evasa , mentre se hai già versato tutto, non c’è nulla da confiscare (possono confiscare al massimo le sanzioni penali che però non ci sono se non c’è condanna). Quindi il pagamento integrale è doppiamente salvifico: niente condanna e niente confisca. Occhio però: il pagamento deve essere integrale. Se paghi parzialmente, non ottieni la non punibilità automatica (potrai solo chiedere al giudice clemenza). Quindi, se non hai liquidità per coprire tutto, valuta soluzioni come un prestito, ipoteca volontaria, dilazione rapida… Lo Stato vuole i suoi soldi, se li ottiene per intero è disposto a chiudere un occhio sul penale. In conclusione,  – paga tutto e comunica formalmente all’Autorità (Guardia di Finanza o Agenzia Entrate) di aver sanato il debito ai sensi dell’art.13 D.Lgs.74/2000 chiedendo l’archiviazione di eventuali procedimenti. L’unica eccezione: per il reato di omesso versamento IVA (art.10-ter), la causa di non punibilità strettamente intesa richiede il pagamento entro certe date (27 dicembre dell’anno dopo); ma anche lì se paghi tardivamente prima del giudizio finale, spesso i giudici sono indulgenti (possono applicare la causa di esclusione pena o proscioglimento per tenuità). In sintesi: pagare conviene sempre, da tutti i punti di vista.

D8: Dopo quanti anni si prescrive una violazione IVA su e-commerce non dichiarato? Potrei evitare sanzioni se il Fisco non si accorge entro un certo termine?
R: Ci sono due concetti: la decadenza per l’accertamento tributario e la prescrizione del reato penale. Per il tributario, il termine entro cui l’Agenzia delle Entrate può notificarti un accertamento per IVA evasa varia a seconda che tu abbia presentato o meno la dichiarazione annuale: se l’hai omessa, il Fisco ha tempo fino al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui avresti dovuto presentarla . Ad esempio, per vendite 2018 (dichiarazione doveva essere inviata entro aprile 2019), il termine è 31/12/2025. Se invece avessi presentato una dichiarazione (magari infedele), sarebbero 5 anni. Dunque, in generale, per l’evasione “completa” hai circa 7 anni di rischio. Passato quel termine, l’anno in questione non può più essere accertato (salvo casi eccezionali come frodi con denuncia: in passato c’era un raddoppio a 8 anni se segnalazione penale, ma la normativa è cambiata ed è controverso; ad oggi direi 7 anni punto). Ciò significa che se hai venduto nel 2015 e ad agosto 2025 non ti è arrivato nulla, quell’anno dovrebbe essere decaduto (entro 31/12/2022 dovevano farti accertamento per 2015). Tieni presente che il Fisco, se sospetta, può notificare atti in extremis l’ultimo giorno utile (es. il 31/12 del settimo anno) magari ad un vecchio indirizzo: tu potresti non accorgertene subito ma l’atto è valido se la notifica è stata perfezionata (anche per compiuta giacenza). Quindi occhio a PEC e indirizzi registrati. Per la prescrizione del reato penale di omessa dichiarazione, è di 6 anni dal momento consumativo (che è il 90° giorno dopo la scadenza omessa). Ad esempio, dichiarazione 2018 omessa, reato si consuma il 30/1/2020, prescrizione 30/1/2026, prorogabile di eventuali atti interruttivi (fino a max 7 anni e mezzo se circostanze aggravanti). Per reati di infedele o frode i termini sono diversi (rischiano estensioni maggiori, ma restiamo su omessa). In pratica, se sono passati più di 6-7 anni e non sei stato né indagato né avvisato, difficilmente partirà poi un procedimento penale (il Fisco lo sa e di solito se deve denunciarti lo fa entro termini tributari). Quindi, , col passare degli anni i rischi diminuiscono: una violazione “vecchia” non contestata entro 7 anni si prescrive fiscamente, e non avrai più l’imposta né la sanzione da pagare; se aveva rilevanza penale, dopo 6-7 anni non potresti più essere condannato. Ma attenzione: ogni anno di evasione è autonomo. Se hai evaso 2016-2022, magari 2016-17 possono decadere presto (5+2=7, quindi a fine 2023 erano decaduti), ma 2018-2022 no. Inoltre, se tu presenti tardivamente la dichiarazione (anche omessa) nel frattempo, l’anno non rimane scoperto: a volte inviare la dichiarazione ultra-tardiva entro il quinto anno fa sì che il Fisco abbia comunque ulteriori termini di controllo sul contenuto (questo tecnicismo è complesso, ma ad esempio se presenti la dich. 2018 omessa nel 2022, credo l’ufficio possa avere 31/12/2024 per controllarla). In sintesi: sperare nella prescrizione totale è rischioso a meno che tu sia già vicino al decorso dei termini. Con DAC7 e CESOP, le probabilità che sfugga un’evasione 2023 fino al 2030 sono basse. Più realisticamente, potresti considerare decaduti anni più vecchi (pre-2015 ormai), ma per il periodo recente è improbabile che il Fisco “non si accorga”. Un consiglio: se veramente hai venduto poco e occasionalmente, e son passati 7 anni, forse l’hanno ignorato per scelta (magari importi minimi) e potresti stare sereno. Ma se i numeri erano importanti, meglio non contare sul fattore tempo e invece regolarizzare o transare appena possibile. Con l’informatizzazione attuale, la certezza del diritto sui termini è aumentata: l’Agenzia difficilmente si fa scadere termini su casi grossi perché i sistemi segnalano in anticipo le decadenze. Dunque, la strategia “faccio passare il tempo e la fa franca” oggi funziona raramente, specie nell’e-commerce dove i dati restano registrati (es. i marketplace conservano lo storico vendite e i pagamenti registrati emergono anche anni dopo). Meglio attivarsi che aspettare l’oblio, salvo davvero micro-casi.

Esempi pratici e simulazioni

Vediamo ora tre scenari concreti per capire l’applicazione di regole, sanzioni e difese nel caso di IVA non dichiarata su e-commerce, dal punto di vista del contribuente.

Caso 1: “Vendite occasionali o impresa nascosta?”
Mario, 35 anni, lavora come impiegato. Dal 2019 ha iniziato a vendere su eBay oggetti da collezione: fumetti e action figures. All’inizio vendeva pezzi della sua collezione personale, poi ha iniziato a comprare lotti di fumetti usati da altri per rivenderli singolarmente online con profitto. Nel 2020 incassa 8.000 €, nel 2021 circa 12.000 €, nel 2022 circa 15.000 €. Non ha mai aperto partita IVA né dichiarato questi introiti, pensando fossero “hobby”. Nel 2025 riceve una lettera dall’Agenzia delle Entrate che lo invita a chiarire questi movimenti e vendite.

Analisi: Mario è partito da vendite occasionali di beni propri (non tassabili), ma poi già dal 2020 la sua attività assume i connotati di abitualità e lucro: acquistare per rivendere è attività commerciale. Anche senza struttura formale, Mario avrebbe dovuto aprire partita IVA già nel 2020. Gli importi (12k, 15k) confermano che non è più mero passatempo (oltre 5k e soglie DAC7, e 50+ vendite annue). Il Fisco se ne è accorto tramite DAC7 (eBay ha segnalato vendite >2k€) o analisi conti PayPal. Ora Mario deve difendersi:
– Profilo IVA: per 2020-2022, omissione di dichiarazioni IVA. L’IVA evasa stimata: supponendo vendite imponibili (non essendo suoi beni personali, queste vendite configurano operazioni imponibili) per totali ~35.000 € in tre anni, IVA 22% ≈ 6.300 € evasa complessiva. Per ogni anno ~2k (2020), ~2.640 (2021), ~3.300 (2022). Sotto soglia penale (nessun anno supera 50k di IVA).
– Sanzioni amministrative: omessa dichiarazione IVA ogni anno (120-240% di 2k, 2.64k, 3.3k) + omessa fatturazione (90-180% per transazione, ma ragionevolmente sarà assorbita dalla precedente) + mancata P.IVA (€500-2000 una tantum) + redditi non dichiarati (ma trascuriamo IRPEF qui). Il Fisco probabilmente proporrà adesione chiedendo IVA 6.300 + sanzioni 120% (~7.560) per tot ~13.860 € + interessi.
– Strategia difensiva: Mario può sostenere che una parte delle vendite erano beni personali (all’inizio). Dovrebbe documentare quali oggetti provenivano dalla sua collezione originaria (magari ha prove d’acquisto antiche o testimonianze). La Cass. 10117/2023 direbbe che la cessione di beni personali non è d’impresa . Se riesce a separare, ad es., 5.000 € di vendite di roba propria, quell’importo non doveva essere tassato. Potrebbe convincere l’ufficio a escluderlo dalla base imponibile. Rimarrebbero vendite imponibili per 30k. Inoltre Mario può evidenziare i costi: se ha comprato fumetti per 10k rivendendoli a 15k, l’IVA a debito su 15k è compensabile in parte con IVA a credito sugli acquisti (se documentati). Forse ha ricevute d’acquisto da fiere o marketplace. Anche se in nero, magari può stimare. Il Fisco in adesione potrebbe riconoscergli un costo forfettario (spesso concedono un’abbuono se il margine appare troppo 100%). Diciamo riducono l’imponibile del 20%.
– Ravvedimento: Mario non è ancora formalmente accertato, solo invitato. Può ravvedersi ora: presentare le dichiarazioni 2020-2021-2022, versare IVA 6.300 + sanzioni ridotte (17% di 6.300 ≈ 1.071 €) + interessi. Totale ~7.500 €. Se lo fa prima di ricevere accertamento, l’ufficio potrebbe anche chiudere la faccenda senza atto (soprattutto se contestualmente apre P.IVA per il futuro). Più probabile comunque che formalizzino un atto con sanzione minima.
– Esito: Mario paga circa 7-8k € in totale e regolarizza. Niente penale. Mantiene P.IVA aperta come forfettario (sui fumetti usati potrebbe anche esserci regime del margine, ma sorvoliamo).

Caso 2: “Dropshipping internazionale non dichiarato”
Lucia, 30 anni, apre nel 2021 un sito e-commerce di vendita gadget elettronici in modalità dropshipping: gli ordini dei clienti italiani vengono inviati a fornitori in Cina che spediscono i prodotti direttamente ai clienti. Lucia incassa tramite Stripe/PayPal circa 50.000 € nel 2021, 120.000 € nel 2022, 200.000 € nel 2023. Non apre mai partita IVA in Italia (vive in Italia) e non versa alcuna IVA. I pacchi cinesi spesso entrano come “gift” o con valore sotto soglia, quindi molti clienti non pagano nulla alla consegna. A metà 2024, la Guardia di Finanza bussa alla porta di Lucia con un controllo fiscale.

Analisi: Lucia ha svolto attività d’impresa a pieno titolo (ingenti vendite, carattere professionale). Avrebbe dovuto aprire P.IVA fin dal giorno 1 del 2021. In più, la sua operatività con fornitori cinesi solleva questioni doganali: per legge, l’IVA all’importazione su quei beni è dovuta. Se i clienti non l’hanno pagata, significa evasione in dogana. Il controllo GdF probabilmente nasce da analisi di flussi finanziari (PSP reporting) o segnalazioni di spedizioni. Siamo di fronte a evasione rilevante: totali vendite ~370.000 € in 3 anni. IVA teorica (22% su vendite interne) circa 81.400 € evasa complessiva. Per anno: 2021 -> ~11k IVA evasa, 2022 -> ~26.4k, 2023 -> ~44k. Nel 2023 Lucia ha superato i 50k di IVA -> reato omessa dichiarazione quell’anno. 2022 26k -> no soglia, 2021 11k -> no soglia. Ma se considerano l’omessa per più anni unificata, di solito guardano anno per anno. Quindi penalmente Lucia rischia per il 2023 (e 2024 se accertano andamenti simili in corso). Inoltre, se la GdF contesta anche contrabbando o reati doganali per aver eluso dazi, potrebbe esserci un altro fronte penale (meno probabile se pacchi singoli di basso valore).
– Sanzioni tributarie: Omessa dich. IVA 2021-23: sanzione 120-240% su 11k, 26k, 44k. Diciamo punte massime ~13k, ~31k, ~52k = ~96k totali sanzioni. Omessa fatturazione 90-180% su 370k imponibile – ma quell’importo coincide con l’IVA evasa in pratica. Si applicherà quella. + Mancata contabilità (1k-8k per anno). Totale teorico a carico: IVA 81k + sanzioni ~96k + interessi ~5k = ~182k €.
– Difesa: Lucia può cercare di dimostrare costi: i prodotti li pagava ai fornitori cinesi, supponiamo 60% del prezzo. Potrebbe portare fatture d’acquisto doganali (se qualche spedizione cumulativa è avvenuta) o estratti PayPal di pagamenti a fornitori. In adesione, l’Agenzia potrebbe riconoscere la detraibilità dell’IVA a monte se produce bolle doganali con IVA (purtroppo probabilmente non ne ha, perché i pacchi arrivavano diretti). Se non ha prove di IVA a monte, almeno può rivendicare la deducibilità dei costi per l’IRPEF (ma per IVA niente, se non versata in dogana non può neanche detrarla). Quindi sul fronte IVA c’è poco: l’IVA evasa è quella. Forse in penaledeve dire: il profitto era solo 30%, quindi l’imposta evasa su profitto effettivo <50k. La Cassazione penale (39379/2016) direbbe di computare i costi, ma per IVA non c’è input tax se non ha fatto import regolari. Potrebbe arguire che formalmente l’importatore era il cliente (anche se forzato). Non facile.
– Ravvedimento tardivo: la GdF è già arrivata, quindi ravvedimento non ammesso (verifica in corso). Lucia potrebbe comunque collaborare: durante la verifica può presentare dichiarazioni annuali omesse per regolarizzare, magari la GdF glielo suggerisce. Così almeno riduce sanzioni a 1/6 se fatto entro termine (ma oramai sono lì, di solito contestano e poi si va in adesione).
– Penale: è quasi certo che faranno comunicazione di reato per 2023 (IVA evasa 44k? Ah, sotto 50k! In realtà 44k non supera soglia penale, mi correggo: no reato per 2023 se 44k netti. Dipende se considerano anche dazi evasi, ma per il 2023 soglia non centrata, bel colpo. Sommando 2022+2023 c’è 70k ma la soglia è per anno singolo). Quindi paradosso: nonostante l’ingente evasione su 3 anni (81k IVA totale), penalmente Lucia potrebbe cavarsela perché spezzettata: nessun anno oltre 50k. Il 2024 se proseguito a 200k vendite sarebbe oltre soglia (IVA 44k forse ancora sotto… 50k soglia evasa imposta, vendite ~227k sarebbero). Forse ecco perché la GdF è arrivata 2024, prima che superasse soglia? Comunque, vediamo 2023 44k <50k, quindi no reato; 2022 26k no; 2021 11k no. Quindi niente omessa dich. penale. Però c’è omesso versamento art.10-ter? No, perché non ha presentato dichiarazione; quell’articolo non si applica se manco dichiari. E la dichiarazione infedele? Non c’è dichiarazione proprio. Fra i reati, forse dichiarazione fraudolenta? Lucia non ha fatto fatture false o altro, ha solo omesso. Potrebbe contestarle un reato doganale (contrabbando lieve: ogni pacco undervalued, di solito sanzione amministrativa). Probabilmente non avrà reati, inaspettatamente. Dovrà comunque pagare l’IVA + sanzioni salate.
– Pagamenti e accordi: Lucia dovrebbe mirare a un’adesione con sanzioni 1/3. Quindi su 81k IVA, sanzioni 40k (circa 50% cumulata), totale ~121k. Rateizzabili in 6 anni = 20k/anno ≈ 1.7k/mese. Pesante ma forse fattibile se il business era redditizio (ora sicuramente gliel’hanno stoppato). Potrebbe ridurre quell’IVA se un minimo di merce è transitata con IOSS (improbabile).
– Futuro: Lucia ora deve assolutamente aprire P.IVA se vuole continuare, o meglio sospendere finché non chiarisce import. Visto il modus operandi, le conviene forse passare a utilizzare magazzini UE (es. importare lei e spedire), almeno gestire IVA come cessioni interne.

Caso 3: “Società estera con operatività in Italia”
ABC Ltd è una società con sede legale a Londra, gestita però da soci italiani (Marco e Paolo) che vivono a Milano. ABC vende online in tutta Europa articoli di moda tramite il proprio sito e su marketplace (Zalando, Amazon). Ha magazzino e personale a Milano, ma formalmente fattura tutto come ABC Ltd senza stabile organizzazione in Italia. Non ha mai registrato posizione IVA italiana né aderito all’OSS; fattura ai clienti UE con la sua VAT UK (fino al 2020) e dopo Brexit addirittura senza addebito IVA (trattando le vendite come export dal UK, facendo pagare gli importi al corriere). L’Agenzia Entrate italiana avvia un accertamento nel 2025 ritenendo che ABC abbia in realtà la sede dell’attività in Italia (esterovestizione) e contesta l’IVA non dichiarata sulle vendite italiane dal 2021 al 2024, oltre a IRES/IRAP evase.

Analisi: Qui entriamo nella dimensione societaria internazionale. ABC Ltd potrebbe essere considerata avere una stabile organizzazione in Italia, perché ha magazzino e personale qui. Se ciò è provato, l’Italia può tassare tutti i redditi prodotti e richiedere l’iscrizione retroattiva ai fini IVA. Dal 2021 poi col Brexit, le cessioni da UK a clienti italiani non dovevano essere trattate come esportazioni esenti (vale solo se la merce parte da UK, ma se magazzino è a Milano, la merce parte dall’Italia!). Quindi è una situazione di irregolarità grave.
– IVA dovuta: Supponiamo vendite a clienti italiani per 2021-2024 totali 2 milioni €. IVA 22% ~440k € evasa. Soglia penalmente superata ogni anno (110k/anno medi). Quindi reati di omessa dichiarazione per tutti gli anni. Marco e Paolo, come amministratori di fatto, rischiano sanzioni penali (2-5 anni di reclusione per ciascun anno, probabilmente confluirà in continuum).
– Sanzioni amm.ve: 120-240% su 440k = da 528k a 1.056k €. Più altre (omessa dichiarazione redditi, ma quell’IVA è il pezzo più grosso).
– Difesa: Potrebbero contestare la tesi di stabile organizzazione (ma con magazzino e staff in Italia è dura negare). Potrebbero dire che hanno aderito ad OSS in altro Paese (non risulta però). Forse puntare su un accordo transattivo: ad esempio, pagare l’IVA dovuta con sanzioni ridotte, in cambio l’Agenzia potrebbe limitare il periodo accertato per definizione. Ma qui l’Agenzia sarà aggressiva: c’è anche profilo di frode organizzata, potenziale fittizia esterovestizione con implicazioni penali (anche reato di dichiarazione fraudolenta ex art.3, se hanno presentato dichiarazioni false all’estero per occultare base in Italia).
– Regolarizzazione: Ormai troppo tardi per ravvedersi (verifica avviata). L’unica è tentare una conciliazione giudiziaria: pagare forse solo imposta + 1/3 sanzioni se accettano definizione agevolata. Dato l’ammontare, è probabile che l’Agenzia voglia fare un esempio e portare il caso in tribunale.
– Penale: Se prima di arrivare a dibattimento pagassero tutti i 440k + sanzioni, l’art.13 li salverebbe penalmente . Riusciranno? Forse con un finanziatore. Altrimenti, potrebbero patteggiare e sperare in pene attorno a 2 anni con sospensione, ma con confisca di 440k sui beni dei soci (case, conti).
– Esito immaginato: ABC Ltd viene considerata residente in Italia, costretta a pagare IVA arretrata e aprire P.IVA IT. I soci patteggiano 1 anno e 8 mesi con sospensione per omessa dichiarazione pluriaggravata, dopo aver versato un primo 50% del dovuto e garantito il resto con ipoteche. L’azienda continua operatività ora in regola, ma i soci hanno perso gran parte dei profitti di quegli anni.

Questi esempi illustrano come, a seconda della scala e volontarietà dell’evasione, le conseguenze possano andare da semplici sanatorie con piccole sanzioni fino a processi penali e esborsi enormi. In ogni caso, la miglior strategia è prevenire: informarsi sugli obblighi fin dall’inizio e adempiere (anche usufruendo di regimi di vantaggio se piccoli). Se l’errore è già stato commesso, attivarsi subito per regolarizzare è la seconda miglior opzione, perché consente di limitare danni e mostrare buona fede.

Conclusione

L’evoluzione normativa e tecnologica degli ultimi anni ha reso sempre più difficile occultare al Fisco le vendite online non dichiarate. L’Italia, in armonia con l’UE, ha messo in campo strumenti sofisticati (DAC7, CESOP, controlli incrociati) che, uniti alla giurisprudenza rigorosa, formano una rete in cui chi vende e-commerce in nero prima o poi rimane impigliato. Dal punto di vista del debitore-contribuente, è fondamentale comprendere che uscire dall’ombra conviene: i meccanismi di ravvedimento operoso e definizione agevolata permettono di regolarizzare la posizione con costi sanzionatori sostenibili e spesso senza conseguenze penali. Al contrario, persistere nell’irregolarità espone a rischi crescenti: sanzioni che possono arrivare fino al doppio dell’imposta evasa, procedimenti penali con possibili condanne e misure afflittive (confische, interdizioni), nonché azioni di recupero coattivo che mettono in pericolo il patrimonio personale e aziendale.

Abbiamo visto come la normativa italiana, pur complessa, offra anche opportunità di difesa: dall’eccezione per le vendite veramente occasionali (non imponibili) all’attenuazione delle pretese grazie al riconoscimento di costi o errori formali; dalle rateizzazioni lunghe che evitano il tracollo finanziario, fino alle finestre di tregua fiscale periodicamente offerte dal legislatore. Un contribuente informato, assistito da professionisti competenti, può trasformare una situazione critica in un percorso di regolarizzazione sostenibile, proteggendo la propria attività e imparando a gestirla alla luce del sole.

In conclusione, “fare e-commerce” comporta gli stessi doveri fiscali di qualsiasi impresa: all’obbligo di versare l’IVA sulle vendite corrisponde, specularmente, il diritto di operare in un mercato equo dove tutti la versano. L’Amministrazione finanziaria, con strumenti sempre più mirati, sta colmando le lacune che in passato permettevano facili arbitraggi. Chi fino ad oggi ha operato ignorando l’IVA farebbe bene a cambiare rotta immediatamente: le strategie di difesa esistono, ma funzionano al meglio se attivate per tempo. La guida fornita ha cercato di delineare un percorso chiaro: conoscere la normativa, valutare la propria posizione (occasionale o abituale?), mettersi in regola spontaneamente se possibile, oppure affrontare il confronto col Fisco con atteggiamento costruttivo (adesioni, accordi) e con l’assistenza di esperti. Solo così si possono ridurre al minimo rischi e sanzioni, trasformando una potenziale catastrofe in una lezione di compliance e magari in un nuovo inizio più solido e sereno per la propria avventura imprenditoriale digitale.

Fonti: Normativa: DPR 633/1972, D.Lgs. 471/1997, D.Lgs. 74/2000 e succ. mod.; Direttiva UE 2021/514 (DAC7) e D.Lgs. 32/2023 di recepimento; Regolamenti UE OSS/IOSS 2021. Prassi: Provvedimento AdE 30/6/2023 su DAC7; siti Agenzia Entrate (schede OSS/IOSS) . Giurisprudenza: Corte di Cassazione nn. 7552/2025, 10117/2023, 6874/2023, 26554/2020, 26987/2019 (Sez. Trib.) ; Cass. Pen. n. 39379/2016 . Approfondimenti dottrinali e dati da: FiscoOggi, InvestireOggi , AvvocatiCartelleEsattoriali , documenti UE su CESOP . Questi riferimenti confermano e dettagliano quanto esposto, assicurando che le informazioni siano aggiornate ad agosto 2025 e aderenti alle fonti più autorevoli in materia fiscale.

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver dichiarato correttamente l’IVA derivante dalle vendite online? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver dichiarato correttamente l’IVA derivante dalle vendite online?
Vuoi sapere quali sono i rischi e come puoi difenderti?

Con la crescita del commercio elettronico, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli su vendite tramite e-commerce, marketplace e piattaforme digitali. Incrociando i dati dei pagamenti elettronici, delle transazioni registrate sui portali e dei flussi doganali, il Fisco individua facilmente le vendite non dichiarate.

👉 Non sempre, però, l’accusa è fondata: spesso gli errori derivano da mancata conoscenza della normativa IVA internazionale o da problemi di corretta fatturazione.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • Vendite online in Italia senza applicazione dell’IVA dovuta;
  • Superamento della soglia dei 10.000 € annui per le vendite intracomunitarie (OSS) senza applicazione corretta della normativa;
  • Mancata apertura della posizione IVA per attività di e-commerce;
  • Omissione della dichiarazione IVA periodica o annuale;
  • Disallineamenti tra i dati delle piattaforme (Amazon, eBay, Shopify, ecc.) e quelli dichiarati.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero dell’IVA non versata, con ricalcolo retroattivo;
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta evasa;
  • Interessi di mora;
  • Nei casi più gravi, accertamenti penali tributari per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione;
  • Possibile chiusura forzata dell’attività online in caso di recidiva.

🔍 Strategie di difesa

  1. Analizza l’accertamento: individua i periodi e le transazioni contestate.
  2. Raccogli la documentazione: estratti delle piattaforme, ricevute di pagamento, fatture elettroniche, report di vendita.
  3. Dimostra la corretta tassazione: se l’IVA è già stata assolta in un altro Paese UE, non può essere pretesa nuovamente in Italia.
  4. Contesta gli errori del Fisco: a volte le piattaforme trasmettono dati incompleti o duplicati.
  5. Valuta il ravvedimento operoso o la definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi.
  6. Presenta memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria se la contestazione è infondata.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza le contestazioni IVA legate all’e-commerce;
  • 📌 Ricostruisce i flussi di vendita online con i dati delle piattaforme;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi contro accertamenti sproporzionati;
  • ⚖️ Ti rappresenta nei procedimenti tributari e nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate;
  • 🔁 Elabora strategie preventive per la corretta gestione IVA delle vendite online (OSS, IOSS, fatturazione elettronica).

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in IVA e fiscalità del commercio elettronico;
  • ✔️ Specializzato in accertamenti tributari internazionali e vendite digitali;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le contestazioni sull’IVA non dichiarata nelle vendite e-commerce sono sempre più frequenti, ma non sempre fondate.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la corretta applicazione delle regole, ridurre le pretese del Fisco e proteggere il tuo business online.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti IVA sull’e-commerce inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!