Detrazione Iva Negata Per Fatture Inesistenti: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti è stata negata la detrazione IVA relativa a fatture considerate inesistenti? Il Fisco ritiene che non ci sia stata una reale operazione economica dietro quelle fatture, e che siano state emesse solo per creare crediti IVA fittizi. In questi casi, le conseguenze fiscali e penali possono essere molto gravi, ma ci sono strumenti per difendersi.

Quando una fattura è considerata inesistente
Oggettivamente inesistente: quando l’operazione indicata non è mai avvenuta
Soggettivamente inesistente: quando l’operazione c’è stata, ma con un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura (società “cartiere”)
Sovrafatturazione: quando i beni o servizi esistono ma l’importo indicato è gonfiato rispetto al reale

Quando scatta la contestazione del Fisco
– Se la fattura proviene da società prive di struttura, personale o mezzi per eseguire la prestazione
– Se i pagamenti risultano anomali o retrocessi al cliente in modo artificioso
– Se non ci sono prove documentali (contratti, ordini, consegne) che confermino l’operazione
– Se il fornitore è coinvolto in indagini per frodi fiscali o emissione di fatture false
– Se le operazioni non risultano coerenti con l’attività dichiarata dall’impresa

Cosa rischi in caso di detrazione IVA negata
– Recupero dell’IVA indebitamente detratta
– Applicazione di sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta contestata
– Addebito di interessi di mora
– Contestazione di reati tributari come dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (con pene detentive)
– Sequestro preventivo e confisca di beni aziendali e personali in caso di indagini penali

Come difendersi da una contestazione su fatture inesistenti
– Dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione con documenti (contratti, documenti di trasporto, corrispondenza, prove dell’esecuzione del servizio)
– Dimostrare la buona fede dell’impresa che ha ricevuto la fattura, se non era a conoscenza della falsità del fornitore
– Contestare l’automatismo con cui il Fisco considera le fatture di determinati soggetti come false
– Produrre prove di congruità economica delle operazioni contestate
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento o la riduzione della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le fatture contestate e le prove raccolte dall’Agenzia delle Entrate
– Preparare un dossier difensivo che dimostri la realtà delle operazioni o la buona fede del contribuente
– Contestare le presunzioni eccessive e le ricostruzioni arbitrarie del Fisco
– Difendere la società sia in sede tributaria che, se necessario, in sede penale
– Negoziare soluzioni con l’Agenzia delle Entrate per ridurre imposte e sanzioni

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle imposte, delle sanzioni e degli interessi richiesti
– La sospensione delle procedure esecutive e dei sequestri collegati
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di dimostrare la buona fede ed evitare la responsabilità penale

⚠️ Attenzione: la detrazione IVA negata per fatture inesistenti è una delle contestazioni più gravi. Ma non sempre il Fisco riesce a dimostrare la falsità delle operazioni: con prove documentali e una difesa tecnica solida è possibile ribaltare l’accertamento.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e penale-tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni per fatture inesistenti e come difenderti in modo efficace.

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Introduzione

Le fatture per operazioni inesistenti rappresentano uno dei fenomeni più insidiosi nel diritto tributario italiano. Si tratta di documenti contabili emessi a fronte di operazioni commerciali mai avvenute (in tutto o in parte) oppure avvenute con soggetti diversi da quelli indicati in fattura . Questa pratica configura una grave forma di frode fiscale, perché consente di creare costi fittizi e crediti IVA indebiti alterando il reddito d’impresa dichiarato e il debito d’imposta effettivo . Le conseguenze per chi utilizza o emette tali fatture false sono molto severe: l’Amministrazione finanziaria può recuperare le imposte evase con accertamenti tributari e sanzioni amministrative pesanti; parallelamente, sul piano penale, sia l’emissione sia l’utilizzo di fatture false integrano specifici reati tributari, puniti con reclusione e altre misure afflittive .

Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – offre un’analisi approfondita su come difendersi efficacemente da un accertamento fiscale che nega la detrazione IVA per fatture considerate inesistenti, dal punto di vista del contribuente (debitore) a cui è contestata tale violazione. Adottiamo un taglio avanzato, adatto a professionisti (avvocati tributaristi, consulenti fiscali) ma con approccio divulgativo utile anche a imprenditori e privati interessati. Dopo aver chiarito le definizioni e tipologie di “operazioni inesistenti”, esamineremo la normativa di riferimento italiana (profilo tributario e penale) con le più recenti novità. Verranno illustrati i meccanismi dell’accertamento fiscale in questi casi, con particolare attenzione al cruciale tema dell’onere della prova e al ruolo – limitato – della buona fede del contribuente. Si passerà quindi alle strategie difensive disponibili, sia in sede amministrativa (dinanzi all’Agenzia delle Entrate) sia in sede di contenzioso tributario (dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria), fornendo consigli pratici su come documentare la reale esistenza delle operazioni e come prevenire contestazioni future (ad esempio tramite un’adeguata due diligence sui fornitori). Saranno esposti i profili sanzionatori amministrativi (imposte, sanzioni pecuniarie) e i profili penali di responsabilità, con focus sui reati di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false e di emissione di fatture false, richiamando le più recenti modifiche normative (ad esempio l’aumento delle pene dal 2019 e la disciplina della non punibilità in caso di pagamento integrale del debito tributario).

All’interno della guida troverete inoltre una sezione di Domande e Risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni, tabelle riepilogative che sintetizzano i concetti chiave (ad es. differenze tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, confronto tra sanzioni amministrative e penali, riparto dell’onere probatorio, ecc.), nonché alcune simulazioni pratiche di casi reali semplificati per capire in concreto come impostare la difesa in differenti scenari. L’obiettivo finale è fornire un quadro completo e aggiornato che permetta al contribuente di conoscere i propri diritti e strumenti di tutela e, al professionista, di disporre di riferimenti normativi e giurisprudenziali autorevoli per affrontare con successo questo tipo di controversie tributarie.

Importante: tutte le fonti normative e giurisprudenziali menzionate (leggi, decreti, sentenze, circolari, ecc.) sono indicate nel testo con appositi riferimenti bibliografici. Esse includono pronunce recentissime della Corte di Cassazione (anche del 2024-2025) e della Corte di Giustizia UE, nonché disposizioni normative aggiornate. Verranno fornite inoltre indicazioni di massima su modelli e fac-simile di atti difensivi (es. ricorso tributario, istanze in fase amministrativa) da adattare al caso concreto.

Cosa si intende per “operazioni inesistenti”

In ambito fiscale, per operazioni inesistenti si intendono quelle operazioni economiche (cessioni di beni o prestazioni di servizi) che non sono state realmente effettuate, in tutto o in parte, oppure che sono avvenute tra soggetti diversi da quelli riportati nei documenti fiscali. In altre parole, si tratta di fatture false, ossia documenti emessi per simulare operazioni fittizie al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali (come la detrazione di IVA non dovuta o la deduzione di costi mai sostenuti). Più formalmente, la Cassazione definisce operazioni inesistenti quelle “prive, in tutto o in parte, di riscontro nella realtà commerciale, ossia operazioni i cui documenti attestano un fatto mai avvenuto” .

La normativa e la giurisprudenza italiana distinguono principalmente due tipologie di fatture per operazioni inesistenti, che presentano caratteristiche e implicazioni differenti:

  • Operazioni oggettivamente inesistenti: sono quelle operazioni che non si sono mai verificate nella realtà. La fattura è totalmente falsa, in quanto documenta una cessione di beni o una prestazione di servizi che in concreto non c’è stata. Ad esempio, Tizio emette fattura a Caio per una consulenza mai svolta, oppure Alfa S.r.l. fattura a Beta S.r.l. la vendita di macchinari che in realtà non sono mai stati né venduti né consegnati. In tali casi il documento è falso oggettivamente, perché attesta eventi economici inesistenti sotto ogni profilo. Chi utilizza queste fatture crea costi fittizi (riducendo artificialmente l’utile imponibile) e crediti IVA fittizi, mentre chi le emette (spesso dietro compenso) consente al destinatario di evadere le imposte senza che vi sia alcuna effettiva movimentazione di beni o servizi .
  • Operazioni soggettivamente inesistenti: in questo caso un’operazione economica è avvenuta realmente, ma tra soggetti diversi da quelli riportati in fattura. Tipicamente lo schema è il seguente: un soggetto effettua davvero una cessione di beni o servizi al destinatario finale, ma la fattura viene emessa da un altro soggetto (di regola una società “cartiera” o un prestanome) che si interpone solo formalmente nella transazione. In sostanza, la fattura è “soggettivamente” falsa perché il cedente/prestatore indicato non è quello reale. Un esempio classico è la frode carosello: la società Alfa acquista beni dall’estero e li rivende a Beta, ma per evadere l’IVA inserisce fittiziamente un soggetto intermedio (la cartiera Gamma) che emette fattura a Beta. Beta riceve effettivamente la merce, ma la fattura proviene da Gamma (che non ha svolto alcun ruolo reale se non quello cartolare). Oppure, un’impresa affida lavori in subappalto a ditte non autorizzate o in nero, ma si procura fatture da una ditta compiacente che non ha eseguito i lavori, così da poter dedurre il costo e detrarre l’IVA. In questi casi l’operazione economica c’è stata (il bene è stato consegnato, il lavoro eseguito), ma non con il soggetto indicato sulla fattura .
  • Operazioni parzialmente inesistenti (“sovrafatturazione”): esistono anche forme miste, in cui la fattura è solo in parte falsa. Ciò avviene ad esempio quando la fattura indica importi superiori al reale oppure descrive beni/servizi diversi da quelli effettivamente forniti, al fine di gonfiare i costi deducibili. In tal caso la fattura è considerata falsa limitamente alla parte non corrispondente al vero (la differenza di importo o la porzione di beni non effettivamente forniti). Da un punto di vista fiscale, anche la sovrafatturazione viene assimilata alle operazioni inesistenti per la parte fittizia: l’IVA relativa alla maggiorazione non corrisponde a una reale operazione imponibile e diviene quindi indetraibile, mentre il costo eccedente il reale non è deducibile perché privo di effettiva inerenza .

Di seguito una tabella riepilogativa delle differenze principali tra operazioni oggettivamente inesistenti e soggettivamente inesistenti, con le rispettive implicazioni:

AspettoOperazione oggettivamente inesistenteOperazione soggettivamente inesistente
Esistenza dell’operazioneNessuna operazione reale: il bene/servizio non è mai stato scambiato nella realtà.Operazione reale avvenuta, ma con un soggetto diverso da quello indicato in fattura (cedente diverso).
Falsità della fatturaTotale: documento interamente fittizio (l’intera operazione è simulata).Parziale: falsa l’identità del fornitore (il cedente indicato non è quello reale, pur essendoci stata una cessione).
Esempio tipicoFattura per merce mai consegnata o servizio mai reso.Fattura emessa da una “cartiera” per coprire un’operazione svolta da altro fornitore effettivo.
Scopo fiscaleCreare costi e crediti IVA fittizi dal nulla, alterando completamente ricavi e IVA.Detrarre costi e IVA relativi a operazioni reali, ma occultando il vero fornitore (spesso un evasore IVA).
Deducibilità dei costiNO, i costi sono del tutto fittizi e dunque indeducibili ai fini delle imposte sui redditi.Sì, in linea di principio, se il costo è reale e inerente (anche se il fornitore è fittizio). Tuttavia possono applicarsi limitazioni se il contribuente era partecipe della frode (v. oltre).
Detraibilità dell’IVANO, IVA indetraibile perché l’operazione è inesistente (manca il presupposto di un acquisto reale).NO, in linea di principio, IVA indetraibile poiché versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa. Solo in casi eccezionali di buona fede totale e inganno perfetto il giudice potrebbe valutare diversamente (vedi oltre).
Onere probatorio (Fisco)Dimostrare che l’operazione non si è mai verificata (anche tramite indizi gravi, precisi e concordanti).Dimostrare che il fornitore è un soggetto fittizio e che l’acquirente era consapevole (o avrebbe dovuto esserlo) della frode in atto .
Difesa del contribuenteProvare che l’operazione c’è realmente stata (es. consegna effettiva dei beni, utilizzo dei beni/servizi, testimonianze, ecc.).Provare la propria buona fede e diligenza, cioè di aver fatto tutto il possibile per verificare l’affidabilità del fornitore e di essere stato tratto in inganno nonostante le cautele (assenza di segnali di frode).

Nota: la questione della deducibilità dei costi in operazioni soggettivamente inesistenti è delicata e sarà approfondita più avanti. In generale, la Cassazione ha affermato che se un costo è effettivamente sostenuto e inerente all’attività, esso può essere dedotto ai fini delle imposte dirette anche se la fattura proviene da un soggetto fittizio; viceversa, nessun costo è deducibile se l’operazione è oggettivamente inesistente, poiché manca qualsiasi spesa effettiva sostenuta. Tuttavia, se il contribuente che ha utilizzato la fattura era partecipe della frode, interviene la regola dei costi da reato non deducibili (art. 14, comma 4-bis, L. 537/1993, v. infra), che inibisce temporaneamente la deduzione di quei costi in quanto collegati a un reato tributario.

Normativa di riferimento

Per impostare una difesa efficace è fondamentale conoscere le principali norme italiane che disciplinano le fatture false, sia sul piano tributario (accertamento e sanzioni amministrative) sia sul piano penale (reati tributari connessi). Di seguito presentiamo un quadro dei riferimenti normativi chiave, evidenziando le modifiche più recenti:

Normativa tributaria (IVA e imposte sui redditi)

  • D.P.R. 633/1972 – Art. 21, comma 7 (Fatture per operazioni inesistenti): questa disposizione – contenuta nella legge IVA – stabilisce un principio cardine: “Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, l’IVA è dovuta per l’intero ammontare indicato in fattura”. In altre parole, anche se l’operazione fatturata non è reale, l’emittente della fattura falsa è comunque debitore verso l’Erario dell’IVA esposta . Contestualmente, l’IVA addebitata in tale fattura è considerata indetraibile per il destinatario: la norma “isola” l’IVA relativa alle operazioni inesistenti, escludendola dal meccanismo di rivalsa e detrazione . Questo principio di cosiddetta cartolarità (cioè legato al documento cartaceo) è volto a tutelare il gettito fiscale: nessuno deve potersi avvantaggiare da una fattura fittizia, poiché il Fisco incassa comunque l’IVA dall’emittente e nel contempo nega il credito al destinatario. In sostanza, la fattura falsa non produce effetti ai fini della detrazione o deduzione per chi la riceve, ma genera comunque l’obbligo di versare l’IVA per chi la emette . Questo principio nazionale trova fondamento nell’art. 203 della Direttiva IVA 2006/112/CE (norma europea), secondo cui l’imposta è dovuta da chiunque la indichi in fattura indipendentemente dalla realtà dell’operazione .
  • D.P.R. 633/1972 – Art. 54, comma 2 (Poteri di rettifica IVA): consente all’Amministrazione finanziaria di rettificare la dichiarazione IVA del contribuente anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti. Questa norma generale sul potere di accertamento è importante nei casi di fatture inesistenti: l’Ufficio può fondare l’atto impositivo su indizi presuntivi (es. mancata movimentazione di merci, fornitore irreperibile, mancanza di dipendenti, incongruenze bancarie) a patto che tali indizi abbiano i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge. In presenza di tali presunzioni qualificate, scatta l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (principio analogo vale per le imposte dirette – v. art. 39 DPR 600/1973 infra) . In altri termini, l’Ufficio non è tenuto a una prova diretta della frode, potendo basarsi su elementi indiziari robusti; se li fornisce, sarà poi il contribuente a dover dimostrare il contrario (cioè la genuinità delle operazioni).
  • D.P.R. 600/1973 – Art. 39, comma 1, lett. d) (Poteri di rettifica delle imposte sui redditi): norma equivalente alla precedente ma in ambito imposte sul reddito. Consente al Fisco di determinare induttivamente il reddito imponibile basandosi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, in caso di elementi passivi fittizi o contabilità inattendibile. Le fatture per operazioni inesistenti rientrano tipicamente in questa previsione: se l’Ufficio prova tramite indizi che certi costi dedotti sono fittizi, può riprenderli a tassazione aumentando il reddito. Anche qui, se le presunzioni sono qualificate, il contribuente deve fornire prova contraria di aver sostenuto realmente quei costi. In sintesi, l’art. 39 DPR 600 e l’art. 54 DPR 633 operano in parallelo, fornendo la base legale per gli accertamenti su fatture false e delineando il regime probatorio (prima il Fisco presenta indizi seri di falsità, poi spetta al contribuente provare che le operazioni/costi sono reali) .
  • L. 212/2000 (Statuto del Contribuente) – Garanzie procedurali: lo Statuto prevede alcune tutele generali applicabili anche ai controlli in materia di fatture inesistenti. Ad esempio, il diritto al contraddittorio endoprocedimentale: prima di emettere un avviso di accertamento “a tavolino” (ossia senza verifica diretta), l’Ufficio deve in molti casi invitare il contribuente a un contraddittorio anticipato (violazione che può comportare l’annullamento dell’atto in determinate circostanze, secondo la giurisprudenza). Inoltre, rimangono fermi il diritto di accesso agli atti dell’indagine fiscale, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo (che deve esplicitare le ragioni, anche presuntive, della contestazione) e il diritto a non subire duplicazioni di sanzioni per la medesima violazione. Queste garanzie, pur generali, assumono rilievo nella difesa contro contestazioni di frode fiscale, soprattutto per eccepire eventuali vizi procedurali in fase di accertamento.
  • D.Lgs. 471/1997 – Sanzioni amministrative: oltre al recupero delle imposte indebitamente detratte o non versate, l’accertamento comporta l’irrogazione di sanzioni tributarie. Nel caso di utilizzo di fatture false, le violazioni configurate sono in genere la dichiarazione infedele IVA e imposte dirette (per aver esposto crediti IVA o costi fittizi in dichiarazione). La sanzione base per dichiarazione infedele, dopo la riforma del 2015, è dal 90% al 180% dell’imposta dovuta o della differenza di imposta risultante . Nella pratica, per l’IVA detratta indebitamente viene applicata una sanzione attorno al 90% dell’IVA non spettante , mentre per i maggiori redditi (costi indeducibili) la sanzione è anch’essa intorno al 90% dell’IRPEF/IRES dovuta in più. Queste sanzioni possono essere diminuite se il contribuente definisce in via agevolata (vedi accertamento con adesione infra) o tramite ravvedimento operoso (se regolarizza spontaneamente). Va ricordato inoltre il principio di colpevolezza in materia tributaria: le sanzioni amministrative possono essere non applicate o annullate se si dimostra che il contribuente ha agito senza colpevolezza (es. errore incolpevole). Nel contesto delle fatture inesistenti, se il contribuente prova di essere stato in buona fede, è possibile ottenere l’annullamento o riduzione delle sanzioni (ma non dell’imposta dovuta) per mancanza di dolo o colpa grave . Su questo torneremo quando analizzeremo le strategie difensive.

Normativa penale (reati tributari connessi)

  • D.Lgs. 74/2000 – Art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti): punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sull’IVA, indica in una dichiarazione fiscale elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti attestanti operazioni inesistenti. In pratica, è il reato commesso dal contribuente (o legale rappresentante) che utilizza fatture false nella propria dichiarazione annuale, portando costi fittizi in deduzione o crediti IVA fittizi in detrazione. Si tratta di uno dei reati tributari più gravi. La pena prevista (aggiornata dalla riforma del 2019) è la reclusione da 4 a 8 anni; tuttavia, se l’ammontare degli elementi fittizi è inferiore a 100.000 €, si applica la fascia ridotta: 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni . Questo reato non prevede soglie di punibilità in valore – è punibile anche per importi modesti – a differenza di altri reati tributari. Elemento caratterizzante è il dolo specifico di evasione: occorre la consapevolezza e volontà di frodare il Fisco mediante l’uso di documenti falsi.
  • D.Lgs. 74/2000 – Art. 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti): punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione, emette o rilascia fatture false. È il reato speculare, commesso dal soggetto che funge da “cartiera” o prestanome emettendo le fatture inesistenti poi utilizzate da altri. La pena è la reclusione da 4 a 8 anni (anche qui con fascia ridotta 1,5–6 anni se l’importo delle fatture false è sotto 100.000 €) . Spesso, nei casi di frodi organizzate, all’emittente seriale di fatture viene contestata anche l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) se opera in concorso con altri in modo pianificato. Si noti che, a differenza dell’utilizzatore, l’emittente non beneficia di alcuna “attenuante” legata al pagamento del tributo, poiché emettendo fatture false egli non ha un’imposta evasa propria da versare (se non l’IVA esposta che comunque sarebbe dovuta ex art. 21, c.7 DPR 633/72). In altre parole, chi emette false fatture non può sperare nell’esimente per pagamento spontaneo, prevista invece per chi le ha utilizzate (si veda oltre).
  • Cause di non punibilità per pagamento del debito tributario (art. 13 D.Lgs. 74/2000): la legge prevede una speciale causa di non punibilità per alcuni reati tributari (fra cui l’art. 2 sulla dichiarazione fraudolenta) se l’imputato estingue integralmente il debito tributario prima dell’apertura del dibattimento. In concreto, ciò significa pagare tutte le imposte dovute, gli interessi e le sanzioni amministrative connesse, anche mediante ravvedimento operoso o adesione, prima che inizi il processo penale . Se il pagamento avviene dopo l’apertura del dibattimento ma entro la sentenza di primo grado, non vi è esonero ma è comunque prevista una diminuzione di pena fino alla metà. Questa disciplina, rafforzata dalla L. 157/2019, mira a incentivare il ravvedimento operoso anche nei casi di frode fiscale. Dunque, un contribuente che abbia utilizzato fatture false può evitare la condanna penale pagando quanto dovuto a titolo di imposte, sanzioni e interessi tempestivamente (oltre naturalmente a rinunciare ai vantaggi ottenuti). Attenzione: questa causa di non punibilità si applica al reato di utilizzo (art. 2), ma non copre il reato di emissione (art. 8) in quanto l’emittente non ha un proprio debito d’imposta correlato all’utilizzo di terzi. Pertanto, chi ha emesso fatture false per altri non può “ravvedersi” ai fini penali tramite pagamento, mentre chi le ha utilizzate può farlo (nei limiti temporali indicati). Nel 2023 la disciplina è stata ulteriormente integrata prevedendo anche la sospensione del processo penale per consentire al contribuente di perfezionare il pagamento: ad esempio, col D.L. 34/2023 (“pace fiscale”) è stata introdotta la possibilità di sospendere il processo fino a 6 mesi in attesa dell’esito della definizione tributaria .
  • Divieto di dedurre costi da reato (art. 14, comma 4-bis, L. 537/1993): questa norma, introdotta nel 1993 e modificata nel 2012, prevede che non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di attività costituenti reato. Nel contesto che ci interessa, la giurisprudenza qualifica i costi documentati da fatture oggettivamente false come costi da reato sicuramente indeducibili (mancando la correlazione con un’attività lecita) . Per i costi da fatture soggettivamente false, se il contribuente era partecipe consapevole della frode, tali costi rientrano tra quelli da reato e diventano indeducibili in base a questa disposizione. Di converso, se il contribuente era estraneo alla frode (in buona fede) e il costo è inerente e documentato, la Cassazione recente tende a riconoscerne la deducibilità nonostante la fittizietà soggettiva (perché il costo, in sé, è reale) . L’indeducibilità prevista dalla L. 537/1993 opera in via temporanea finché il reato non sia definito: ad esempio, in caso di contestazione penale pendente, il Fisco può negare provvisoriamente la deduzione; ma se in sede penale si accerta che il fatto non costituisce reato (o che il contribuente non vi ha partecipato), il costo torna deducibile e le imposte pagate devono essere rimborsate (v. FAQ “Cosa succede se vengo assolto in sede penale?”).

L’accertamento fiscale e l’onere della prova

Quando l’Agenzia delle Entrate (spesso su segnalazione della Guardia di Finanza) contesta a un contribuente l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, si avvia un procedimento di accertamento che tipicamente comprende: una fase di verifica e raccolta prove (accessi, ispezioni, questionari, indagini finanziarie), la redazione di un processo verbale di constatazione (PVC) con le conclusioni, l’eventuale contraddittorio endoprocedimentale e infine l’emissione dell’avviso di accertamento con richiesta di imposte, sanzioni e interessi. In questa sezione analizziamo come l’Ufficio imposta la propria pretesa – focalizzando l’attenzione sul riparto dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente, punto cruciale su cui si gioca la difesa – e quali sono gli strumenti con cui l’Ufficio cerca di dimostrare la falsità delle operazioni. Comprendere questi meccanismi è essenziale per preparare una strategia difensiva efficace.

Gli elementi su cui si basa l’accertamento (prove e presunzioni)

In indagini su fatture false, l’Amministrazione finanziaria solitamente raccoglie una serie di elementi indiziari per dimostrare che le operazioni fatturate non sono reali. Questi elementi possono includere, ad esempio:

  • Verifiche sui fornitori: spesso la contestazione emerge perché il fornitore risulta una cartiera (società fantasma). Indizi tipici: l’azienda fornitrice è irreperibile all’indirizzo, priva di strutture, dipendenti e mezzi, magari con amministratori prestanome; eppure ha emesso fatture di importo elevato. Tali elementi fanno presumere che non avesse capacità operativa per effettuare davvero le forniture dichiarate. Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto sintomo di frode la mancanza di personale e di struttura in capo al fornitore, specie se l’attività fatturata avrebbe richiesto manodopera o mezzi significativi .
  • Mancanza di riscontro nei flussi di beni: l’assenza di documentazione di trasporto (DDT), l’inesistenza di tracce fisiche della consegna dei beni, la mancanza di magazzino o di consumo dei beni presso l’acquirente sono segnali che fanno dubitare della reale esistenza dell’operazione. Ad esempio, se un’azienda ha registrato costi per acquisti ingenti di materie prime ma non risultano entrate di materiali in magazzino né prodotti finiti corrispondenti, è probabile che quegli acquisti siano fittizi.
  • Incongruenze finanziarie: la mancanza di movimenti bancari coerenti (es. pagamenti non tracciati, restituzioni di denaro al fornitore), oppure pagamenti a soggetti diversi dal fornitore ufficiale, sono indizi di operazioni simulate. Nelle frodi carosello internazionali, ad esempio, si analizzano i flussi finanziari per scoprire se l’IVA pagata viene restituita in nero all’acquirente (patto di retrocessione), il che prova la consapevolezza fraudolenta.
  • Altri elementi investigativi: l’Ufficio può avvalersi di dichiarazioni di terzi (es. dichiarazioni rese da dipendenti o da amministratori di società coinvolte, verbali della GdF, ecc.) da utilizzare come indizi in sede tributaria. Va ricordato che nel processo tributario le dichiarazioni di terzi, pur non avendo valore di prova testimoniale, sono ammissibili come elementi presuntivi . Ad esempio, se i dipendenti dell’impresa fornitrice ammettono in sede penale di non aver mai effettuato le lavorazioni fatturate, tale circostanza può essere inserita nell’accertamento tributario come riscontro.

Una volta raccolti questi elementi, l’Ufficio li utilizza per motivare l’accertamento. L’avviso di accertamento sarà dunque basato su una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti che, secondo l’Ufficio, dimostrano la fittizietà delle operazioni e giustificano il recupero a tassazione. Ad esempio, potrà contenere frasi del tipo: “dalla verifica è emerso che il fornitore Alfa Srl era privo di struttura operativa e fungeva da mera cartiera; non risultano documenti di trasporto né movimentazioni di magazzino relative ai beni fatturati; i pagamenti effettuati risultano restituiti; pertanto le fatture indicate sono relative ad operazioni inesistenti e l’IVA detratta (€ XXX) va recuperata, con sanzioni”.

È importante verificare attentamente la motivazione dell’accertamento: se essa non contiene alcun elemento concreto e si limita ad affermazioni generiche (ad es. “operazione ritenuta fittizia” senza spiegare perché), il contribuente potrà contestare la nullità dell’atto per difetto di motivazione. In ogni caso, fino a prova contraria la fattura gode di una presunzione di veridicità (in quanto registrata nelle scritture dell’azienda); sarà l’azione del Fisco a farla cadere presentando idonei elementi di prova .

Ripartizione dell’onere della prova

Chi deve provare cosa nei casi di fatture false? Questo è il fulcro attorno a cui ruotano molte controversie. La giurisprudenza tributaria, specialmente negli ultimi anni, ha delineato con sempre maggior precisione una distribuzione bilaterale dell’onere probatorio, modulata a seconda che si tratti di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti. In generale si possono sintetizzare così i principi:

  • In linea generale (tutti i casi di frode IVA): spetta inizialmente all’Amministrazione finanziaria fornire elementi tali da far presumere la non veridicità dell’operazione fatturata . La Cassazione lo ha affermato chiaramente: “in caso di contestazione dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio provare che l’operazione fatturata non è mai avvenuta (anche tramite indizi); mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente a tal fine la regolarità formale delle scritture o dei pagamenti, facilmente falsificabili” . In altre parole, il Fisco deve fare un primo passo probatorio, presentando evidenze (anche presuntive) che la realtà commerciale diverge da quella rappresentata in fattura. Se il Fisco non fornisce alcun elemento concreto e si limita a dichiarare fittizia l’operazione senza supporto probatorio, la pretesa non può reggere (la fattura continua a presumersi valida). Ma basta poco per far scattare l’onere in capo al contribuente: non appena il Fisco presenta indizi seri di falsità, la presunzione di veridicità della fattura cade .
  • Operazioni oggettivamente inesistenti: in questi casi “generici” di operazione mai avvenuta, una volta che l’Ufficio abbia assolto il suo onere minimo (offrendo presunzioni qualificate di inesistenza, come visto sopra), si inverte la prova: sarà onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione contestata . In pratica, il contribuente dovrà provare che quella cessione di beni o prestazione di servizi è realmente accaduta – ad esempio esibendo DDT e prove di consegna, mostrando che i beni risultano nei propri magazzini o nel ciclo produttivo, producendo contratti e eventuali testimonianze di terzi che confermano la transazione. Non basta esibire la fattura o il bonifico di pagamento, perché – sottolinea la Suprema Corte – questi elementi sono facilmente “fabbricabili” proprio per simulare un’operazione fittizia . Servono riscontri sostanziali, non meramente formali. Cassazione e corti tributarie hanno infatti più volte affermato che la semplice regolarità formale della fattura e dei pagamenti non prova affatto l’effettività dell’operazione (dato che chi froda si premura di creare documenti “in regola” per dare parvenza di legittimità) . Riassumendo: Fisco deve provare (anche per presunzioni) che l’operazione non è avvenuta; contribuente deve, in tal caso, provare l’esistenza reale dell’operazione con ogni mezzo (prova documentale, logica e anche testimoniale in forma di dichiarazioni rese in altri procedimenti).
  • Operazioni soggettivamente inesistenti: qui entra in gioco una distinzione fondamentale. La giurisprudenza – anche sulla spinta del diritto UE – richiede al Fisco una doppia prova prima di negare la detrazione IVA per frode soggettiva . In particolare, l’Amministrazione deve provare sia che il fornitore è un soggetto fittizio (cartiera) sia che il contribuente (cessionario) era consapevole della frode o, quantomeno, che avrebbe dovuto accorgersene usando l’ordinaria diligenza . In altre parole, se l’Ufficio contesta che un’operazione è solo soggettivamente falsa (bene consegnato ma fornitore di comodo), per negare il diritto alla detrazione non basta dimostrare che il fornitore era una cartiera; occorre anche provare che l’acquirente sapeva (o con la dovuta diligenza avrebbe potuto sapere) che stava partecipando a un’evasione IVA . Questo orientamento, mutuato dalla Corte di Giustizia UE, è ormai consolidato in Cassazione e mira a tutelare il contribuente in buona fede: se un’azienda acquista merce reale da un fornitore e ignora che questi è solo un prestanome, non può automaticamente subire le conseguenze del comportamento fraudolento altrui, purché abbia tenuto un comportamento diligente .
  • Di conseguenza, nelle frodi soggettive lo schema probatorio prevede due fasi:
    1. Onere del Fisco: L’Ufficio deve fornire, anche qui eventualmente per presunzioni, elementi che provino la fittizietà del fornitore e che indichino una possibile “consapevolezza” del cessionario. In pratica deve emergere qualche indizio che avrebbe messo in allarme un qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto. Ad esempio: prezzi anormalmente vantaggiosi, pagamenti in forme strane, il fornitore privo di struttura o con atteggiamenti anomali, ecc. Se ci sono indizi tali da far sospettare la frode (prezzi fuori mercato, operazioni a catena insolite, ecc.) e il contribuente li ha ignorati, allora si può presumere la sua consapevolezza/connivenza . Cassazioni recenti parlano di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto: se tali indizi c’erano, e il contribuente non ha approfondito, si presume che fosse quantomeno “colpevolmente ignaro” (ignoranza dovuta a negligenza grave).
    2. Onere del contribuente: solo dopo che il Fisco ha assolto il punto (1) sopra (prova fornitore fittizio + indizi di frode conoscibile), passa al contribuente l’onere di provare di non essere stato consapevole della frode e di aver adottato tutte le cautele e la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, in base alle concrete circostanze . In pratica, deve dimostrare la propria buona fede. Ad esempio: provare di aver verificato la partita IVA del fornitore, che questi risultava iscritto in Camera di Commercio, di aver effettuato i pagamenti in modo tracciato su conto intestato al fornitore, di aver ottenuto documenti di trasporto regolari, ecc. – insomma di aver fatto il possibile e che non vi era alcun segnale evidente di irregolarità . Inoltre, deve provare di aver realmente ricevuto i beni/servizi (cioè che l’operazione è avvenuta in sostanza) – ciò non rende detraibile l’IVA di per sé (che per legge sarebbe negata, come visto), ma rafforza la credibilità della buona fede. In sintesi, deve convincere che neanche un imprenditore diligente avrebbe potuto scoprire l’inganno: solo così la sua pretesa di aver agito legittimamente potrà trovare accoglimento . Proprio su questo punto la Cassazione ha di recente affermato che non si può esigere dal contribuente di procedere a verifiche complesse e approfondite, analoghe a quelle che l’amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare . In altre parole, al contribuente si richiede diligenza sì, ma non di diventare un investigatore fiscale: deve fare controlli ragionevoli (verifiche di base sull’identità e solidità del fornitore), non certo infiltrarsi nella filiera a monte. Questo principio – sancito, ad esempio, dalla Cass. ord. n. 14102/2024 sulla scia di pronunce della Corte UE – è un argine agli eccessi: il Fisco non può pretendere che l’acquirente compia indagini sproporzionate; se questi ha adottato le cautele ordinarie senza che emergessero red flag, non può essere privato del tutto della tutela.

Riassumendo in breve il riparto delle prove:

  • Operazione oggettivamente inesistente: il Fisco prova (anche per presunzioni) che l’operazione non si è mai verificata; quindi il contribuente deve provare che invece è realmente avvenuta (beni consegnati, servizio reso, ecc.), fornendo riscontri oggettivi (documenti di trasporto, evidenze dell’utilizzo di quei beni nell’attività, testimonianze, fotografie, contratti, ecc.) . La mera esistenza della fattura o il pagamento tracciato non bastano, occorre provare la sostanza economica dell’operazione .
  • Operazione soggettivamente inesistente: il Fisco prova che il fornitore è fittizio e presenta indizi che avrebbero permesso di accorgersi della frode (mancata diligenza) ; quindi il contribuente deve provare la propria estraneità soggettiva alla frode, ossia di aver fatto tutto il possibile per assicurarsi della serietà del fornitore e di essere stato ingannato suo malgrado . Ciò comporta documentare le verifiche svolte (es. visure camerali, controlli VIES se fornitore UE, referenze), l’assenza di comportamenti anomali (nessuna retrocessione di denaro, prezzi pagati non troppo bassi o troppo alti), la concretezza dell’operazione (merce effettivamente ricevuta e utilizzata) e in generale la normalità commerciale del rapporto . Se il contribuente fornisce queste prove contrarie in maniera convincente, può ottenere ragione (in toto o almeno sulle sanzioni); se fallisce, gli indizi del Fisco prevalgono e la ripresa d’imposta sarà confermata.

Infine, va ricordato che nel processo tributario dal 2022 vige formalmente il nuovo art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. 546/92, che pone a carico dell’Amministrazione finanziaria la prova in giudizio delle violazioni contestate con l’atto impugnato . Questa norma (introdotta con la riforma del processo tributario del 2022) non ha in realtà stravolto i principi preesistenti di riparto dell’onere della prova – che già attribuivano al Fisco l’onere iniziale di provare i fatti costitutivi della pretesa, e al contribuente la prova contraria – ma li ha positivamente confermati e rafforzati. Dunque, oggi è lo Stato che deve convincere il giudice tributario della fondatezza della propria contestazione; se non ci riesce, il contribuente dev’essere assolto da ogni addebito. Questo principio generale si applica anche alle cause su fatture inesistenti.

Strategie di difesa: come agire nelle varie fasi

Passiamo ora alle strategie difensive che un contribuente può adottare quando si vede negare la detrazione IVA per presunte fatture inesistenti. La difesa va calibrata in base allo stadio del procedimento in cui ci si trova. Possiamo distinguere: (A) la fase amministrativa (dinanzi all’Agenzia delle Entrate, prima che l’accertamento diventi definitivo); (B) la fase del contenzioso tributario (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado); (C) l’eventuale fase penale (difesa nel procedimento penale se viene avviato per reati tributari). Analizziamo separatamente ciascuna fase, fermo restando che è opportuno avere una strategia coerente e integrata, dato che elementi raccolti in ambito amministrativo potranno essere utilizzati nel giudizio tributario, e l’esito di quest’ultimo (così come eventuali sviluppi penali) possono a loro volta influenzare le altre sedi.

Difesa in sede amministrativa (verifiche e accertamento)

1. Durante la verifica fiscale: se la contestazione emerge in corso di verifica (controllo in azienda da parte della Guardia di Finanza o funzionari AE), è importante collaborare e al contempo tutelare i propri diritti. È consigliabile: fornire la documentazione richiesta (contratti, DDT, registri IVA, estratti conto) in modo organizzato, evitando reticenze che possano insospettire ulteriormente; far mettere a verbale le proprie osservazioni ogniqualvolta i verificatori contestino qualcosa di non condiviso; richiedere copia del processo verbale di constatazione (PVC) finale. Entro 60 giorni dalla consegna del PVC, il contribuente ha diritto di presentare osservazioni e richieste all’ufficio (ai sensi dell’art. 12, c.7, L. 212/2000) prima che venga emesso l’avviso di accertamento. Utilizzate questa finestra temporale: si possono inviare memorie difensive in cui si smontano le presunzioni dei verificatori e si portano prove a proprio favore (ad esempio allegando documenti di consegna merci, contratti, etc.). Anche se non obbligatorio, spesso l’ufficio valuta tali memorie e talora può rivedere o attenuare la propria posizione (o almeno emergono meglio le rispettive tesi, utili poi in giudizio).

2. Contraddittorio preventivo: in alcune ipotesi (specialmente se l’accertamento viene emesso dall’AE senza verifica in loco, basandosi su analisi a tavolino, o quando si tratta di controlli per i quali la legge lo prevede espressamente), l’ufficio deve attivare un contraddittorio endoprocedimentale prima di emettere l’avviso. Ciò avviene tramite un “invito a comparire” o una lettera di compliance in cui il contribuente è invitato a fornire chiarimenti entro una certa data. È fondamentale non ignorare tali inviti: presentarsi (anche con il proprio consulente) e fornire spiegazioni e documenti può talvolta convincere l’ufficio a non procedere o a ridimensionare la contestazione. Ad esempio, se viene contestato che il fornitore era una cartiera, si potranno esibire in contraddittorio tutte le prove della buona fede e della reale esistenza della fornitura, cercando di persuadere i funzionari. Anche se ciò non evita l’accertamento, quanto meno si crea un primo record delle nostre difese.

3. Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): una volta ricevuto l’avviso di accertamento, prima di fare ricorso è possibile tentare la strada “deflattiva” dell’adesione. Entro 30 giorni dalla notifica dell’avviso, si può presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio, il che sospende i termini per ricorrere e avvia una procedura di possibile conciliazione. In un contraddittorio con il capo area dell’accertamento, si può cercare un accordo: ad esempio, ammettere parzialmente alcune irregolarità ma ottenere sanzioni ridotte a 1/3 (come previsto per l’adesione) ed eventualmente la rinuncia a contestare la parte di costi dedotti se si dimostra che erano reali. Attenzione: nei casi di frode grave (fatture false) l’Agenzia spesso è poco propensa a “trattare”, specie se ritiene il contribuente pienamente coinvolto; tuttavia, se il contribuente porta elementi di buona fede, potrebbe ottenere almeno la riduzione delle sanzioni. L’adesione può essere utile soprattutto per evitare il contenzioso quando la difesa è oggettivamente debole, oppure per ridurre l’impatto economico (sanzioni al 30% invece che 90%). Se si raggiunge un accordo, si formalizza un atto di adesione con il nuovo importo dovuto; se non ci si accorda, si potrà comunque impugnare l’accertamento (i termini per ricorrere riprendono a decorrere terminata la procedura di adesione).

4. Istanza di autotutela: parallelamente o in alternativa all’adesione, si può presentare un’istanza di autotutela chiedendo all’ufficio di annullare in tutto o in parte l’accertamento per specifici motivi di illegittimità o errore (ad esempio: se dalle indagini penali emergono elementi nuovi che scagionano il contribuente, o se l’ufficio ha commesso un evidente errore di persona o di calcolo). L’autotutela è discrezionale e di solito poco efficace nei casi di merito controverso (l’ufficio raramente sconfessa sé stesso su valutazioni di fatto); tuttavia va tenuta in considerazione per vizi macroscopici, perché l’annullamento in autotutela può risolvere la questione senza ricorrere.

5. Sospensione della riscossione: l’avviso di accertamento per IVA (a meno che non sia un “atto impo-esattivo” immediatamente esecutivo) normalmente non richiede il pagamento immediato fino alla scadenza dei termini di impugnazione. Se però l’atto è definitivo (ad esempio per mancata impugnazione) o se l’ufficio iscrive a ruolo le somme dopo 60 giorni, può avviarsi la riscossione. In caso di ricorso, il contribuente può chiedere sia all’ente impositore sia alla Commissione Tributaria la sospensione della riscossione, dimostrando il pericolo di un danno grave e irreparabile dalla riscossione immediata e la fondatezza del ricorso. Nel contesto delle frodi IVA, spesso gli importi sono elevati e la riscossione anticipata potrebbe mettere in crisi l’azienda: è opportuno allora depositare istanza di sospensione cautelare insieme al ricorso. Se concessa, la sospensione blocca le azioni esecutive fino alla decisione di merito.

6. Coordinamento con il penale: se nel frattempo (fase amministrativa) è già stato aperto un procedimento penale (ad esempio la GdF ha trasmesso notizia di reato), occorre muoversi con attenzione. In sede amministrativa, tuttavia, non è possibile evitare l’accertamento perché “c’è il penale”: i due procedimenti viaggiano su binari paralleli. Può però essere utile far presente all’ufficio l’esistenza del penale e magari allegare eventuali elementi favorevoli (es. provvedimenti del PM) per rafforzare la richiesta di soprassedere o almeno di non irrogare sanzioni amministrative in attesa degli esiti penali. In ogni caso, la fase amministrativa deve essere affrontata energicamente presentando tutte le prove a discarico, perché una solida difesa già in questa fase pone le basi per eventuali successi nel contenzioso e perfino per influenzare positivamente la valutazione nel penale (es. un PM vedrà anche come l’Agenzia tratta la cosa).

Fac-simile (estratto) – Memoria difensiva in sede amministrativa: ecco un esempio schematico di come strutturare una memoria da presentare all’Agenzia delle Entrate dopo il PVC o in risposta a un invito al contraddittorio, nel caso di contestazione di fatture soggettivamente inesistenti:

  • Intestazione: indicare Ufficio destinatario, contribuente, riferimento al PVC o invito, protocollo, ecc.
  • Oggetto: Osservazioni difensive in merito al PVC del … relativo a contestazione di operazioni inesistenti – Società XYZ Srl (P.IVA …).
  • Premessa riassuntiva: sintetizzare le contestazioni (es: “Con il PVC in oggetto viene contestato a XYZ Srl l’utilizzo di fatture emesse dalla Alfa Srl per operazioni ritenute inesistenti, con indebita detrazione di IVA per €…, ecc.”).
  • Profilo fattuale: descrivere lo svolgimento reale delle operazioni contestate dal proprio punto di vista, evidenziando gli elementi di buona fede. Esempio: “Si precisa che la società Alfa Srl era stata scelta da XYZ Srl in quanto regolarmente iscritta al Registro Imprese, presentata da un intermediario di fiducia; la merce (componenti elettronici) è stata effettivamente consegnata e utilizzata da XYZ Srl nella produzione, come da DDT allegati (doc. 1) e registro di produzione (doc. 2)…”.
  • Elementi a discarico (prova contraria): elencare in punti le evidenze che contrastano la tesi dell’inesistenza. Ad esempio: (i) Effettiva esistenza delle operazioni: allegare documenti di trasporto firmati, foto della merce, registri di carico/scarico (doc. …); (ii) Diligenza del contribuente: visura camerale di Alfa Srl aggiornata all’epoca (doc. …) che ne attestava l’operatività, DURC regolare (doc. …), copie dei bonifici bancari a favore di Alfa Srl (doc. …) con indicazione di causale fattura, assenza di pagamenti anomali; (iii) Prezzi di mercato: tabella comparativa prezzi componenti acquistati vs listini di mercato (doc. …) da cui risulta che i corrispettivi pagati erano allineati al mercato, quindi nessun guadagno “sospetto” per XYZ Srl; (iv) Assenza di collegamenti: dichiarazione giurata dell’amministratore di XYZ Srl (doc. …) che attesta di non avere alcun rapporto di affari o parentela con i soci di Alfa Srl, né di aver mai ricevuto somme di denaro da questi (nessuna retrocessione IVA).*
  • Contestazione delle presunzioni del PVC: smontare punto per punto gli indizi del Fisco. Esempio: “Il PVC deduce la fittizietà del fornitore dal fatto che Alfa Srl non avesse dipendenti né deposito. Si osserva però che Alfa Srl rivestiva il mero ruolo di intermediario commerciale, acquistando essa stessa la merce da terzi (come risulta dalle fatture di acquisto di Alfa Srl, doc. …, che si allegano): non necessitava di magazzino né di personale, in quanto subforniva direttamente a XYZ Srl. La mancanza di struttura propria dunque non implica l’inesistenza della fornitura, essendo Alfa Srl una trading company che si appoggiava ai propri fornitori. XYZ Srl non aveva elementi per dubitarne, poiché la merce è pervenuta regolarmente…”.
  • Richiesta finale: chiedere espressamente l’archiviazione della contestazione o l’annullamento/riforma dell’atto. Es: “Alla luce di quanto esposto, la scrivente società chiede che codesto Ufficio voglia riesaminare criticamente la posizione in oggetto e procedere all’archiviazione della contestazione, in quanto le operazioni contestate risultano effettivamente svolte e la società ha agito con la massima buona fede. In subordine, si chiede sin d’ora, in caso di emissione di avviso di accertamento, l’instaurazione del contraddittorio ai fini di un eventuale accertamento con adesione, confidando che possano essere valutati gli elementi difensivi forniti.”.

(La memoria va datata e firmata dal legale rappresentante o dal difensore, allegando documentazione probatoria in copie numerate e riferite nel testo come doc.1, doc.2, ecc.)

Difesa nel giudizio tributario (ricorso in Commissione)

Se la fase amministrativa non ha risolto la controversia (l’Agenzia delle Entrate notifica comunque l’avviso di accertamento con il recupero dell’IVA detratta e relative sanzioni), il contribuente deve valutare il ricorso alla giustizia tributaria. Il ricorso tributario va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento (termine esteso di 90 giorni aggiuntivi se è stato avviato il procedimento di adesione e questo si è chiuso senza accordo). La difesa in sede giudiziale consente di far valere le proprie ragioni davanti a un giudice terzo, ed è spesso inevitabile nei casi di contestazioni di frode, dove l’Agenzia difficilmente recede in autotutela. Vediamo come impostare il ricorso e la successiva fase processuale:

1. Redazione del ricorso: il ricorso introduttivo deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi specifici di impugnazione dell’atto. Occorre quindi articolare con cura i motivi di ricorso, che di solito, in materia di fatture inesistenti, comprenderanno:

  • Vizi formali/procedurali (se presenti): ad esempio, difetto di motivazione dell’atto (se l’avviso è generico e non spiega le ragioni della ripresa), mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (se previsto e non attuato), decadenza dei termini (nel caso in cui l’accertamento sia stato notificato oltre i termini di legge, tenendo conto di eventuali raddoppi – v. oltre). Questi motivi preliminari vanno sempre valutati, anche se spesso nei casi di frode l’Agenzia è attenta a motivare e a rispettare le procedure.
  • Merito – insussistenza della frode: il motivo principale sarà la contestazione nel merito della pretesa fiscale, ossia sostenere che le operazioni contestate erano effettive e/o che il contribuente era in buona fede. Qui si svilupperanno le tesi emerse già in sede amministrativa: mancanza di prova da parte del Fisco, esistenza di consegne merci, servizi svolti, diligenza del contribuente, ecc. Si tratterà di confutare la sussistenza di un comportamento doloso del contribuente. Fondamentale è citare la giurisprudenza favorevole: ad esempio, richiamare le pronunce della Cassazione che richiedono la prova della consapevolezza del contribuente nella frode , evidenziando se nel caso concreto tale prova manca; citare le sentenze che ammettono la deducibilità dei costi se reali (es. Cass. 14917/2025, infra) e quelle che permettono l’esimente di buona fede sul piano sanzionatorio. Supportare il ricorso con documenti allegati (gli stessi prodotti in fase amministrativa, se non già noti al giudice).
  • Sanzioni – difetto di colpevolezza: un motivo distinto dovrebbe riguardare l’eventuale richiesta di annullare (o ridurre) le sanzioni amministrative per assenza dell’elemento soggettivo di colpevolezza. In base all’art. 5 D.Lgs. 472/1997, infatti, nessuno può essere sanzionato per violazioni tributarie se non ha agito quantomeno con colpa. Si può dunque argomentare che il contribuente ha agito con la normale diligenza e ignorava la natura fittizia del fornitore, configurando un errore inevitabile. Diverse Commissioni Tributarie hanno accolto tale ragionamento, annullando le sanzioni pur confermando la ripresa dell’imposta . In subordine, si può chiedere l’applicazione della sanzione minima o l’esclusione della maggiorazione per intentata frode, se applicata.
  • Deducibilità dei costi (imposte sui redditi): se l’accertamento ha riguardato anche i costi, un ulteriore motivo può essere la deducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti. Si richiamerà la giurisprudenza più favorevole (Cass. 14917/2025, Cass. 30018/2022) che afferma come, se il costo è stato effettivamente sostenuto ed è inerente all’attività, esso va riconosciuto anche se la fattura proviene da soggetto diverso . Si evidenzierà che nel caso concreto i beni/servizi sono stati acquisiti e utilizzati nell’impresa, generando ricavi tassati, per cui negare la deduzione porterebbe a tassare un reddito fittizio (gonfiato dall’omessa considerazione di costi reali) . In via subordinata, se viene contestata l’indeducibilità in base all’art. 14, co.4-bis, L.537/93, si potrebbe far presente che tale norma è applicabile solo in presenza di reato compiuto dal contribuente: se si dimostra l’assenza di dolo, la norma non dovrebbe precludere la deduzione.
  • Raddoppio dei termini (se applicabile): nei casi in cui l’accertamento è stato notificato oltre il termine ordinario (31 dicembre del quinto anno successivo, o quarto anno per annualità più risalenti), l’Agenzia potrebbe aver invocato il raddoppio dei termini per violazione penale tributaria. In tal caso, un motivo di ricorso può eccepire l’inapplicabilità del raddoppio dei termini se, ad esempio, la denuncia penale non è stata inoltrata entro la scadenza ordinaria, oppure se il reato in questione poi non sussiste. Si ricorda infatti che il raddoppio termini introdotto dall’art. 2, co. 24, DL 138/2011 (oggi art. 43, co.3 DPR 600 e 57, co.3 DPR 633) opera solo se la notitia criminis è trasmessa entro i termini normali di decadenza. Dunque, verificare queste date è essenziale per un eventuale motivo aggiuntivo procedurale.

Una volta redatto il ricorso, va notificato all’ente impositore e poi depositato presso la Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale competente, unitamente agli allegati (atto impugnato, documenti probatori, copia del ricorso per l’ufficio, ricevuta di notifica).

2. Fase davanti alla Commissione Tributaria (primo grado): nel processo tributario, dopo il deposito del ricorso l’ufficio si costituisce con controdeduzioni. In questa fase si possono depositare memorie aggiuntive (es. memorie illustrative, documenti nuovi entro 20 giorni dall’udienza, repliche entro 10 giorni). È utile presentare una memoria illustrativa pre-udienza per sottolineare gli ultimi sviluppi (ad es. se nel frattempo in sede penale vi è stato un proscioglimento, o se la Cassazione ha pubblicato una nuova sentenza favorevole). All’udienza, il difensore del contribuente potrà discutere oralmente, insistendo sui punti chiave: mancanza di prova del coinvolgimento in frode, presenza di beni reali, ecc., e rispondendo agli argomenti dell’ufficio.

Una strategia difensiva efficace è mettere in evidenza l’equità del caso al giudice: se il contribuente appare come vittima inconsapevole di una frode altrui, sottolinearlo; evidenziare l’eccesso della sanzione in caso di buona fede; far notare che il Fisco comunque ha incassato l’IVA dal fornitore (o potrebbe incassarla, se quest’ultimo non fosse inadempiente) e che dunque penalizzare il cessionario incolpevole confliggerebbe col principio di neutralità IVA a livello UE (ci sono state sentenze di merito che l’hanno riconosciuto) . Spesso i giudici tributari, pur applicando la legge interna, cercano un compromesso: ad esempio, come vedremo in un caso pratico, confermano il recupero IVA ma annullano le sanzioni e riconoscono i costi dedotti per non tassare redditi non reali .

3. Appello e Corte di Cassazione: se l’esito in primo grado è sfavorevole (totalmente o in parte), il contribuente può proporre appello alla Commissione Tributaria Regionale (oggi rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. In appello si possono riproporre i motivi non accolti e contestare gli errori di giudizio. Ad esempio, se il giudice di primo grado ha ritenuto provata la consapevolezza del contribuente senza sufficienti evidenze, l’appello evidenzierà il vizio logico della sentenza. La CTR riesaminerà il fatto e il diritto. Infine, contro la decisione di appello, è ammesso ricorso per Cassazione (per motivi di legittimità) se ci sono questioni di diritto di particolare importanza (ad esempio, interpretazione di norme, rispetto dei principi UE, ecc.). Negli ultimi anni la Cassazione è intervenuta spesso in materia di frodi IVA, uniformando i principi come sopra illustrati. Una pronuncia di legittimità favorevole può fare giurisprudenza per molti casi analoghi.

4. Conciliazione giudiziale: è bene ricordare che è possibile cercare un accordo transattivo anche in corso di giudizio, mediante conciliazione. In primo o secondo grado le parti possono concordare una soluzione (es. contribuente paga l’IVA senza sanzioni, Fisco riconosce i costi dedotti) e stipulare un accordo, con ulteriori riduzioni di sanzioni (al 40% in primo grado, 50% in appello). Ciò ovviamente richiede la disponibilità di entrambe le parti: spesso l’Agenzia è disponibile a conciliare soprattutto sulla parte sanzionatoria o sui profili minori. Se la posizione del contribuente è borderline (ad esempio qualche negligenza c’è stata, ma non dolo pieno), potrebbe essere valutabile proporre una conciliazione evitando così i rischi e i costi di un lungo contenzioso.

Fac-simile – Schema di ricorso tributario (estratto):

**Ricorso innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di [Provincia]**

Ricorrente: XYZ S.r.l., P.IVA …, con sede in …, rappresentata e difesa dall’avv. …

Resistente: Agenzia delle Entrate – Ufficio di …, in persona del Direttore pro tempore

**Atto impugnato:** Avviso di accertamento n. … notificato in data … (all. 1), emesso dall’Agenzia delle Entrate di … per IVA anno …, IRES anno …, relativo a contestazione di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

**Fatti in sintesi:** […] (descrivere le circostanze essenziali: es. “L’Ufficio contesta a XYZ Srl di aver indebitamente detratto IVA e dedotto costi per €… mediante n. 5 fatture emesse da Alfa Srl, ritenuta società fittizia. XYZ Srl opera nel settore…, Alfa Srl era fornitrice di …, ecc.”)

**Motivi di ricorso:**

1. **Nullità dell’accertamento per difetto di motivazione e violazione del contraddittorio:** L’atto impugnato risulta privo di adeguata motivazione in quanto […] (spiegare perché la motivazione sarebbe carente, se applicabile); inoltre l’Ufficio ha omesso di attivare il contraddittorio obbligatorio ex art. … prima dell’emissione, circostanza che costituisce violazione di legge secondo la giurisprudenza della Corte Cass. SU n. …/…, ecc.

2. **Insussistenza di operazioni inesistenti – Erroneità della ripresa IVA:** L’accertamento è infondato nel merito. Le operazioni oggetto delle fatture di Alfa Srl erano reali e la contribuente era ignara di eventuali irregolarità del fornitore. In particolare, **l’onere della prova** circa la fittizietà grava sull’Ufficio, ma nel caso di specie l’Ufficio non ha fornito prova certa né presunzioni gravi e concordanti di una inesistenza oggettiva. Al contrario, la società ricorrente ha prodotto documentazione attestante la reale esecuzione delle forniture (v. DDT, contratti e fotografie – all. 2,3,4) e la propria buona fede (visure camerali e controlli effettuati sul fornitore – all. 5,6). Si richiama Cass. n. 11624/2020, secondo cui la regolarità formale di fatture e pagamenti non è di per sé prova, ma la si ritiene sufficiente a invertire l’onere solo dopo che il Fisco offra indizi seri – cosa non avvenuta qui. **In difetto di prova della non veridicità delle operazioni, l’IVA non poteva essere negata.** Inoltre, per le operazioni soggettivamente inesistenti, la Cassazione richiede la prova della partecipazione del cessionario alla frode (cfr. Cass. 14102/2024: “non si può esigere dal contribuente verifiche complesse…”, obbligo del Fisco di provare che il contribuente sapeva o poteva sapere della frode) . Nel caso in esame nulla prova o lascia intendere una consapevolezza di XYZ Srl: i prezzi pagati erano di mercato, nessuna somma è stata retrocessa, Alfa Srl appariva società normale. Dunque negare la detrazione configura un’erronea applicazione dell’art. 19 DPR 633/72 e dell’art. 21 c.7. In subordine, si eccepisce che la **totale buona fede** di XYZ Srl, se accertata, impone quanto meno di non sanzionare la stessa con la perdita definitiva del diritto di detrazione in base ai principi UE di neutralità IVA (cfr. Corte di Giustizia UE, cause C-80/11 e C-142/11, secondo cui il diritto a detrazione non può essere negato al soggetto che non sapeva né poteva sapere della frode).

3. **Deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette:** Le fatture in oggetto, pur formalmente emesse da Alfa Srl, si riferiscono a beni effettivamente acquisiti da XYZ Srl (come documentato) e impiegati nell’attività, generando ricavi che sono stati dichiarati e tassati. Pertanto, il relativo costo di € … è effettivo e inerente. La presunzione di non deducibilità per fatture soggettivamente inesistenti non ha fondamento assoluto: Cass. ord. n. 14917/2025 ha chiarito che tali costi, se realmente sostenuti, **vanno riconosciuti** perché hanno concorso a produrre ricavi tassati . L’ufficio erroneamente li ha disconosciuti integralmente, tassando così un maggior reddito inesistente. Si chiede quindi il pieno riconoscimento in deduzione. Inoltre, l’eventuale applicazione dell’art. 14, co.4-bis, L.537/93 (costi da reato) è qui impropria: XYZ Srl non ha commesso alcun reato, non essendo partecipe dolosa della frode (si richiama la recente Cass. SU 30018/2022 che ha interpretato restrittivamente tale preclusione).

4. **Illegittimità e/o eccessività delle sanzioni amministrative:** In via subordinata, si chiede l’annullamento delle sanzioni irrogate (€ …) per mancanza dell’elemento soggettivo. La contribuente ha adottato tutte le cautele ragionevoli e non ha volontariamente arrecato pregiudizio all’Erario, quindi difetta la colpevolezza (art. 5 D.Lgs. 472/97). In subordine ulteriore, si chiede la riduzione delle sanzioni al minimo edittale e la non applicazione della prevista maggiorazione del 10% (ex art. 7 D.Lgs. 472/97) per la particolare tenuità dei fatti e la buona fede riscontrabile.

*(Seguono eventualmente altri motivi, ad es. sul raddoppio termini se rilevante, e infine la richiesta di decisione.)*

**Conclusioni:** Per tutto quanto sopra esposto, la società ricorrente, come in epigrafe rappresentata e difesa, **chiede**:
– in via principale, l’annullamento totale dell’avviso di accertamento impugnato, con riconoscimento del diritto a detrazione dell’IVA e alla deduzione dei costi relativi alle fatture in contestazione;
– in via subordinata, l’annullamento parziale dell’atto impugnato, con esclusione quanto meno delle sanzioni amministrative ovvero con il riconoscimento in deduzione dei costi ai fini IRPEG/IRES;
– con vittoria di spese del giudizio.

Luogo, Data

(firma del difensore)

(N.B.: il fac-simile sopra è semplificato e scopo illustrativo; ogni ricorso va personalizzato e corredato dai riferimenti normativi e giurisprudenziali appropriati.)

5. Interazione col processo penale: se pende un procedimento penale parallelo, la difesa tributaria dovrebbe procedere con indipendenza ma coordinandosi con quella penale. Le informazioni emerse nel processo penale (es. perizie, testimonianze) possono essere acquisite nel giudizio tributario come elementi di prova (non testimoniale diretta, vietata, ma come documenti/dichiarazioni utilizzabili indiziariamente) . Viceversa, un esito positivo nel tributario (ad es. riconoscimento della buona fede) può essere valorizzato nel penale a favore dell’imputato. Non esiste automatismo di sospensione tra i due giudizi: di norma il processo tributario non viene sospeso in attesa di quello penale, salvo rarissime eccezioni (ad esempio, se la questione dipende dalla commissione di un reato determinante, il giudice tributario ha facoltà di sospendere in attesa della definizione penale, ma è discrezionale). In pratica, spesso i due procedimenti avanzano in parallelo e può capitare che il contenzioso tributario venga deciso prima della fine del penale. Lo Statuto del contribuente, all’art. 12, comma 2, prevede comunque che la riscossione delle somme accertate a carico di un contribuente imputato per reati tributari sia sospesa fino a un massimo di due anni in attesa della definizione del primo grado penale. Questo per evitare esecuzioni forzate quando c’è ancora incertezza penale. In molti casi, pertanto, i gradi di giudizio tributario vengono “allineati” agli esiti penali, ma non è garantito.

6. Dopo la sentenza: se il contribuente vince in tutto o in parte in giudizio tributario, ha diritto all’eventuale rimborso delle somme pagate in eccedenza (o sgravio di quelle ancora da pagare). Ad esempio, se in appello venisse riconosciuta la deducibilità dei costi e il contribuente aveva già versato maggior imposta sui redditi, quella somma va rimborsata. Se invece il contribuente perde, dovrà pagare imposte, sanzioni e interessi confermati, salvo decidere di ricorrere ulteriormente. In caso di soccombenza definitiva, si può valutare come extrema ratio un accordo transattivo in fase di riscossione (rateazione, domanda di definizione agevolata se il legislatore approva “condoni” o rottamazioni, ecc.), anche se su materia di frodi ciò è raro.

Difesa in sede penale

In presenza di una contestazione di utilizzo di fatture false, soprattutto se di importo rilevante, è altamente probabile l’apertura di un procedimento penale a carico dell’utilizzatore (art. 2 D.Lgs. 74/2000) e possibilmente dell’emittente (art. 8). La difesa penale meriterebbe una trattazione estesa a sé, qui ci limitiamo ai punti salienti dal punto di vista del contribuente imputato (utilizzatore delle fatture):

1. Diritto penale vs Tributario: ricordiamo che il processo penale ha regole e finalità diverse: qui occorre difendersi dall’accusa di reato, e vige la presunzione di innocenza finché l’accusa non prova oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza. Pertanto, anche se in sede tributaria può bastare la “colpa” per perder la detrazione, in sede penale serve provare il dolo specifico. La strategia penale sarà dunque focalizzata nel dimostrare l’assenza di intenzionalità fraudolenta. È bene che il difensore penale e quello tributario (se diversi) si coordinino: le prove raccolte per il ricorso tributario (es. documenti di buona fede) potranno essere utilizzate a discarico nel penale, e viceversa eventuali testimonianze o perizie penali potranno essere fatte valere nel tributario.

2. Strategie difensive penali: se il contribuente è realmente estraneo alla frode, la linea sarà dimostrare che mancava il dolo: egli riteneva genuine le operazioni, ha effettuato controlli di base, non ha ottenuto benefici ulteriori, è stato ingannato dall’emittente. Si cercherà di evidenziare qualsiasi elemento che contrasti la tesi accusatoria di “dichiarazione fraudolenta”. Ad esempio: se l’accusa si fonda sulla cartiera priva di dipendenti, la difesa mostrerà che la fornitura poteva esser fatta in outsourcing; se l’accusa cita prezzi anomali, la difesa li confronterà con listini per mostrare che non erano così anomali; se l’accusa sostiene che “non poteva non sapere”, la difesa sottolineerà che le verifiche richieste sarebbero state eccessive (richiamo ai principi Cassazione/EU citati sopra). In sostanza si vuole instillare quantomeno un ragionevole dubbio sulla consapevolezza dell’imputato. Se invece il contribuente di fatto era consapevole (ha agito dolosamente), la difesa penale punterà su aspetti procedurali, attenuanti e strategie volte a limitare le conseguenze (vedi punto successivo).

3. Pagamento del debito tributario: come già evidenziato, la legge offre un potente strumento di difesa: se l’imputato paga integralmente le imposte evase, interessi e sanzioni prima del dibattimento, il reato di dichiarazione fraudolenta è dichiarato non punibile (causa di non punibilità sopravvenuta) . Questa è di fatto una forma di “pentimento attivo” che estingue la punibilità. Dunque, chi si trovi imputato e riconosca la violazione (o comunque valuti rischioso il giudizio) dovrebbe seriamente considerare di attivarsi per pagare il dovuto al Fisco al più presto. Il pagamento può avvenire anche avvalendosi degli istituti deflativi (adesione, conciliazione) o del ravvedimento. Ad esempio, se il processo è ancora alle indagini preliminari, il contribuente può presentare una dichiarazione integrativa, versare l’IVA dovuta con sanzioni ridotte (ravvedimento) e poi dimostrare in penale di aver estinto il debito. L’effetto sarà l’archiviazione o il proscioglimento per intervenuta causa di non punibilità (art. 13 D.Lgs. 74/2000). Nota bene: questa possibilità si applica per il reato di utilizzo di fatture false (art. 2), mentre per il reato di emissione (art. 8) la situazione è diversa (non c’è un’imposta “evasa” dal medesimo soggetto da versare, quindi la non punibilità scatta solo se anche i terzi hanno pagato il dovuto, circostanza complessa). Chi emette fatture false, dunque, difficilmente potrà estinguere il reato pagando, mentre l’utilizzatore può e dovrebbe farlo se vuole evitare la condanna. Pagare dopo l’inizio del dibattimento ma prima della sentenza darà invece diritto a una riduzione della pena fino alla metà, ma non all’esonero.

4. Altre opzioni: se non è possibile o non si vuole percorrere la via del pagamento integrale (ad esempio per importi troppo elevati), rimangono gli strumenti classici: chiedere un patteggiamento (applicazione di pena concordata) con riduzione fino a 1/3, oppure optare per un rito abbreviato (giudizio allo stato degli atti) che dà comunque riduzione di 1/3. Spesso, combinando patteggiamento + circostanze attenuanti generiche + attenuante del ravvedimento parziale, si può ottenere una pena entro i termini sospendibili (sotto 2 anni, sospensione condizionale). Ovviamente queste valutazioni vanno fatte caso per caso con un avvocato penalista. Da notare che i reati fiscali in questione prevedono pene medio-alte (minimo 4 anni se oltre soglia), quindi per avere la condizionale occorre ricorrere a tali riti alternativi e attenuanti.

5. Conseguenze penali e rapporti con il tributario: in caso di condanna penale definitiva, oltre alla pena detentiva (spesso sospesa se incensurati e sotto soglia) ci sono pene accessorie (interdizione dagli uffici societari, incapità a contrarre con PA, etc.) e naturalmente l’obbligo di pagare le imposte evase se non ancora versate (la sentenza penale può imporre il risarcimento del danno all’Erario). Una condanna penale rende pressoché impossibile poi difendersi in sede tributaria sul merito (un giudice tributario non ignorerebbe una sentenza che accerta la frode). Viceversa, un’assoluzione penale piena (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso) costituisce un fortissimo argomento per ottenere la revisione degli esiti tributari: la legge prevede espressamente che, in caso di assoluzione penale con formula piena, il contribuente ha diritto al rimborso delle imposte pagate su costi che gli erano stati disconosciuti in quanto ritenuti fittizi . Ciò in quanto, venendo meno la frode, quei costi tornano ad essere deducibili. Nella sezione FAQ spieghiamo meglio questo scenario.

Sanzioni amministrative e strumenti di definizione

Come visto, l’utilizzo di fatture inesistenti comporta sanzioni tributarie molto elevate. Per avere un’idea concreta: se un contribuente ha detratto indebitamente €100.000 di IVA e dedotto €200.000 di costi fittizi (risparmiando magari €48.000 di IRES al 24%), un accertamento potrebbe chiedere circa €100.000 di IVA + €48.000 di IRES, con interessi, più sanzioni 90% su IVA (€90.000) e 90% su IRES (€43.200). Il totale arriverebbe a oltre €280.000 più interessi, cioè quasi il doppio del beneficio fiscale iniziale. Chiaramente un esborso del genere può mettere in ginocchio un’azienda. È importante dunque conoscere e valutare gli strumenti che l’ordinamento offre per ridurre l’impatto sanzionatorio ed eventualmente sanare spontaneamente le violazioni.

Ravvedimento operoso: consiste nella regolarizzazione volontaria dell’irregolarità prima che questa sia accertata, beneficiando di sanzioni ridotte (art. 13 D.Lgs. 472/97). Nei casi di frode, tradizionalmente il ravvedimento era ritenuto non applicabile una volta scoperta la frode (perché si tratta di violazioni dolose già in verifica). Tuttavia, se il contribuente si ravvede prima dell’inizio di accessi o verifiche, pagando l’IVA non versata e ripresentando la dichiarazione, il ravvedimento è pienamente valido e – come detto – può scongiurare anche il penale. Inoltre, con la Circolare AE n. 11/2022 è stato chiarito che anche chi ha commesso frodi può accedere al ravvedimento operoso (ovviamente finché non vi sia formale contestazione) . Quindi, se un imprenditore realizza di aver usato fatture dubbie e vuole “mettersi in regola” prima di essere colto, può ravvedersi: dovrà presentare una dichiarazione integrativa, versare IVA, interessi e sanzioni ridotte (ad esempio al 1/8 del 90% se ravvede entro un anno dall’errore). Ciò estinguerà la pretesa fiscale con sanzioni ridotte drasticamente e – come visto – inciderà positivamente sul penale.

Definizione agevolata delle sanzioni: se l’accertamento è emesso, c’è la possibilità di pagare le sanzioni ridotte ad 1/3 entro 60 giorni (oblazione delle sanzioni). Nel caso di accertamento con adesione, le sanzioni sono ridotte a 1/3 per legge. Nelle conciliazioni giudiziali, scendono al 50% o 60% a seconda del grado. Tutte queste sono opportunità per ridurre le sanzioni rispetto al massimo edittale.

Rateazione: importi così elevati possono essere dilazionati. In adesione, è ammessa rateazione fino a 8 rate trimestrali (12 rate se importo > €50.000). In fase di riscossione, Equitalia (oggi Agenzia Entrate Riscossione) concede piani fino a 72 rate mensili (6 anni) o 120 rate per i casi di grave difficoltà. Quindi, se si perde e si deve pagare, almeno c’è modo di diluire nel tempo.

Valutazione costi/benefici: quando si prepara la difesa, è bene fare una stima dell’esborso totale in caso di sconfitta, per ponderare le opzioni. Come da esempio sopra, le somme possono essere ingenti: però se, ad esempio, il contribuente sa di essere in buona fede e ha elementi solidi, vale la pena lottare fino in fondo per non pagare o pagare solo parzialmente (magari solo l’IVA senza sanzioni). Viceversa, se emergono elementi fortemente a sfavore (es. prove di frode conclamata), potrebbe convenire tentare un accordo prima possibile per abbassare le sanzioni e chiudere il contenzioso, evitando anche il penale con pagamento. Ogni caso fa storia a sé, ma la consapevolezza delle conseguenze economiche e delle chance di vittoria è essenziale per decidere.

In conclusione sulle sanzioni amministrative: sono ingenti, ma in parte negoziabili (adesione, conciliazione) e riducibili (ravvedimento). Nel predisporre la difesa, tuttavia, è bene non farsi scoraggiare solo dall’ammontare potenziale: se si ha ragione e buone prove, vale la pena lottare. Tanti contribuenti “accorti” hanno avuto ragione in giudizio, soprattutto quando l’unica contestazione era la fittizietà soggettiva e nulla suggeriva una loro collusione .

Giurisprudenza più recente e orientamenti attuali

La materia delle fatture per operazioni inesistenti è stata oggetto di numerosissime sentenze sia di merito sia di legittimità. Negli ultimi anni (2021-2025) si sono consolidati alcuni principi chiave, già illustrati nel corso di questa guida. In questa sezione riepiloghiamo brevemente alcune pronunce autorevoli e aggiornate che hanno segnato l’evoluzione interpretativa:

  • Cassazione Civ. Sez. Trib. ord. n. 11624/2020: ha ribadito il principio generale sul riparto dell’onere della prova nelle fatture oggettivamente inesistenti. Ha sancito che il Fisco deve provare (anche per presunzioni) che l’operazione non si è mai verificata, dopodiché spetta al contribuente dimostrare l’effettività dell’operazione e la legittima fonte del costo/detrazione, non bastando la regolarità formale dei documenti contabili . Questa ordinanza è citata spesso come riferimento sul punto.
  • Cassazione Civ. Sez. V, ord. n. 28628/2021: (richiamata poi da Cass. 35091/2023) in tema di inesistenza oggettiva ha confermato che il contribuente, per superare le presunzioni, deve provare la reale esistenza delle operazioni con elementi sostanziali, e che documenti e pagamenti formali non sono prova sufficiente (proprio perché spesso utilizzati per simulare realtà inesistenti).
  • Cassazione Civ. Sez. Trib. n. 16686/2021: significativa perché definisce in modo chiaro il concetto di operazione inesistente in ambito IVA, come abbiamo citato: operazione priva in tutto o in parte di riscontro nella realtà commerciale, documenti che attestano un fatto mai avvenuto . Ha inoltre affrontato il tema del danno erariale come criterio (concetto poi superato dalle pronunce successive in favore del principio di effettività e neutralità).
  • Cassazione Civ. Sez. V, ord. n. 37889/2022 e nn. 22190/2022, 40690/2021, 22969/2021, 22107/2021, 20648/2021: una serie di ordinanze che hanno progressivamente recepito il principio “comunitario” della tutela del cessionario in buona fede. In particolare, queste decisioni (spesso rese in casi di frodi carosello) affermano che la detrazione IVA è indebita solo se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’evasione, dovendo un operatore accorto adottare tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che non vi sia frode . Viene così mutuato l’orientamento CJUE (caso Kittel e seguiti), e la Cassazione chiarisce che il contribuente non può essere gravato da oneri di verifica sproporzionati .
  • Cassazione Sez. Trib. ord. n. 30018/2022 (28 ottobre 2022): pronuncia importante in tema di costi da reato. Ha stabilito che i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti vanno ammessi in deduzione se il contribuente non è stato partecipe del reato, poiché in tal caso non ricorre la ratio di punire il comportamento criminoso tramite l’indeducibilità (ha in pratica dato un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, co.4-bis, L.537/93). Questa sentenza è stata accolta come “apertura” verso i contribuenti che, pur avendo inconsapevolmente comprato da cartiere, abbiano sostenuto costi reali. Conferme di tale linea si trovano in Cass. Sez. Trib. ord. n. 14917/2025 , dove la Corte ha dichiarato che ai fini delle imposte sui redditi non rileva la fittizietà soggettiva se il costo è effettivamente sostenuto e correlato a ricavi tassati.
  • Cassazione Civ. Sez. V, ord. n. 14102/2024 (depositata 21 maggio 2024): caso già citato più volte, in cui la Cassazione ha affrontato un’ipotesi di frode IVA con fornitore privo di struttura. Ha annullato la decisione di merito che era sfavorevole al contribuente, enunciando il principio di diritto che il contribuente non può essere tenuto a verifiche complesse e approfondite analoghe a quelle dell’amministrazione ai fini di escluderne la complicità nella frode . Ha così rafforzato l’idea che la buona fede va preservata quando le cautele ragionevoli sono state adottate. Inoltre, la stessa ordinanza ha statuito che le dichiarazioni rese nel procedimento penale da terzi (es. dipendenti) possono essere utilizzate come indizi nel processo tributario sia a favore del Fisco che del contribuente, nel rispetto del principio di parità delle armi .
  • Cassazione Sez. V, sent. n. 28999 dell’11 novembre 2024: in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e diritto alla detrazione IVA, ha spiegato dettagliatamente i motivi dell’indetraibilità. La Suprema Corte ha affermato che quando la fattura è emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettuato realmente la cessione (operazione soggettivamente inesistente), manca il presupposto principale della detrazione IVA, cioè l’effettuazione di un acquisto ai sensi dell’art. 19 DPR 633/72 . In tali casi l’IVA viene in realtà versata a un soggetto non legittimato alla rivalsa né obbligato all’imposta, risultando un’IVA “fuori conto” estranea al meccanismo di detrazione . Questa sentenza conferma il rigore sul piano IVA: anche se c’è bene reale, se il fornitore non è quello genuino, l’IVA assolta non entra nel circuito detraibile. La sentenza però non contraddice la tutela della buona fede in termini di sanzioni e costi, che rimangono affrontabili separatamente.
  • Cassazione Sez. V, sent. n. 22795 del 7 agosto 2025: è una delle pronunce più recenti (causa riguardante una frode “a catena” nel settore energia) e offre un quadro di sintesi dei principi di cartolarità vs effettività nell’IVA. La Corte ha ribadito che il principio di neutralità IVA convive con il criterio di cartolarità solo quando c’è corrispondenza tra documento e realtà . Viene richiamato l’art. 21 DPR 633/72 e art. 203 Dir. UE (IVA dovuta da chi la fattura indipendentemente dal reale), ma si evidenzia che il diritto di detrazione richiede invece l’effettiva operazione . In casi di operazioni circolari (es. carousel con fatture incrociate a saldo zero), la Corte di Giustizia ha chiarito che lo stesso soggetto può essere debitore dell’IVA indicata in fattura emessa e insieme non legittimato a detrarre l’IVA sulle fatture ricevute se le operazioni sono fittizie . La sentenza 22795/2025 sottolinea poi le condizioni per ripristinare la neutralità: se c’è stata fatturazione errata, solo ricorrendo alle procedure correttive (note di variazione ex art. 26 DPR 633/72) e dimostrando di aver eliminato il rischio per l’Erario (ad es. fattura stornata prima che il cessionario detraesse, oppure detrazione disconosciuta definitivamente) l’emittente può ottenere il rimborso dell’IVA versata in più . Per le imprese, il messaggio è chiaro: attivate tempestivamente le procedure correttive quando scoprite errori, altrimenti perderete soldi. In sintesi, questa pronuncia converge sui principi già esposti: l’IVA di una fattura falsa va versata dall’emittente (cartolarità), ma la detrazione spetta solo se l’operazione è reale o se viene “sanata” nei modi previsti .
  • Cassazione penale Sez. III, sent. n. 42819 del 22 novembre 2024: sul fronte penalistico, questa sentenza (riportata in Osservatorio Giustizia Tributaria ) ha fatto il punto sugli elementi oggettivi e soggettivi del reato di emissione di fatture false. Ha ribadito che per integrare il reato ex art. 8 basta l’emissione di documenti per operazioni inesistenti, a prescindere dall’utilizzo o meno da parte di terzi, e quanto all’elemento soggettivo occorre il dolo specifico di far evadere terzi. La pronuncia serve da monito: l’emittente non può scusarsi dicendo “non sapevo come sarebbero state usate le fatture”, perché è sufficiente la volontà di metterle a disposizione per evadere. Meno rilevante ai fini difensivi del contribuente “utilizzatore”, se non per capire la controparte.
  • Cassazione penale Sez. III, sent. n. 19675 del 27 maggio 2025: un caso penale recente che ha affrontato profili procedurali (segnalato in un blog ). Pare abbia stabilito che in appello penale per fatture false la motivazione dev’essere rigorosa e non può limitarsi a riprendere stereotipi. Segno che anche in ambito penale la Cassazione richiede attenzione e specificità nella valutazione delle prove di frode.

Tendenze attuali: nel complesso, la giurisprudenza recente consolida alcuni trend: maggiore considerazione per la posizione del contribuente ignaro (ma sempre rigore sul fatto che, se c’è frode, l’IVA formalmente non spettante resta non detraibile), riconoscimento della deducibilità dei costi reali anche in presenza di frode (aspetto importante per ridurre i danni sul reddito d’impresa) , e in sede penale un’applicazione severa ma bilanciata delle cause di non punibilità per chi regolarizza. Possiamo dire che oggi il contribuente onesto, se diligente, ha molte più chance di difesa di quante ne avesse un decennio fa, grazie soprattutto all’influenza del diritto UE. Resta però fondamentale documentare tutto e impostare bene la difesa sin dall’inizio.

Domande frequenti (FAQ)

D: Cosa si intende esattamente per “fattura per operazione inesistente”?
R: È una fattura emessa senza che vi sia una reale operazione economica corrispondente, oppure emessa da un soggetto diverso dal reale fornitore. In sostanza un documento falso. Può trattarsi di falsità oggettiva (nulla è avvenuto nella realtà) o soggettiva (l’operazione c’è stata, ma con altri soggetti). Nel primo caso la fattura inventa completamente una vendita o prestazione mai avvenuta; nel secondo caso documenta una vendita/prestazione realmente avvenuta ma indicando come fornitore un soggetto fittizio .

D: Quali sono le differenze tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti in termini di difesa?
R: Se l’operazione è oggettivamente inesistente (nulla è mai accaduto), la difesa è molto difficile: bisognerebbe dimostrare che invece l’operazione c’è stata davvero, ma se non è avvenuta non ci sono prove da portare. In pratica, in casi di frode oggettiva totale, l’unica strategia difensiva è trovare falle nella prova del Fisco o errori procedurali, perché provare un fatto mai accaduto è impossibile. Al contrario, nel caso di operazione soggettivamente inesistente (bene effettivamente ricevuto ma fornitore fittizio), la difesa può puntare su due fronti: provare che l’operazione economica c’è stata (così da rendere deducibile il costo) e provare la buona fede del contribuente rispetto alla frode (così da evitare sanzioni e, talvolta, cercare di salvare anche la detrazione IVA appellandosi ai principi UE) . In sintesi, per le oggettive serve provare la sostanza dell’operazione; per le soggettive serve provare la estraneità soggettiva alla frode.

D: L’Agenzia delle Entrate cosa deve provare per contestarmi l’utilizzo di fatture false?
R: Deve provare – anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti – che la fattura si riferisce a un’operazione inesistente. In pratica deve fornire elementi fattuali che facciano ritenere che quanto fatturato non è reale. Ad esempio, può provare che il fornitore che appare in fattura era una cartiera (inesistente di fatto), oppure che non vi è traccia della merce, o che i pagamenti tornavano indietro. Se si tratta di frode soggettiva, deve inoltre provare che vi erano indizi di frode percepibili dal cessionario (prezzi anomali, ecc.) in modo da sostenere che “non poteva non accorgersene”. Solo dopo aver fatto ciò, l’onere passa a te contribuente di dimostrare il contrario . In sintesi: l’ufficio deve fare un primo passo probatorio concreto. Se non lo fa (cioè se accusa senza prove), la contestazione non regge. Se lo fa, anche solo con presunzioni robuste, tocca a te controbattere.

D: Come posso difendermi efficacemente se mi accusano di aver utilizzato fatture inesistenti?
R: Devi raccogliere prove concrete a supporto della reale esistenza delle operazioni e della tua buona fede. In pratica, attrezzati come segue:
– Presenta tutta la documentazione commerciale: contratti con il fornitore, ordini, conferme d’ordine, documenti di trasporto (DDT) che attestino la consegna delle merci, rapportini di lavoro per i servizi, ecc. Qualsiasi documento che provi che beni/servizi fatturati sono stati effettivamente ricevuti/erogati è fondamentale .
– Fornisci prova dell’utilizzo di quei beni/servizi: ad esempio, se hai ricevuto materie prime, mostra registri di produzione o foto dei prodotti finiti che ne sono derivati; se erano servizi, descrivi il risultato (es. rapporto finale, progetto, ecc.). Questo collega la fattura a qualcosa di tangibile nella tua attività.
– Dimostra la tua diligenza e buona fede: esibisci visura camerale e partita IVA del fornitore (se all’epoca risultava regolare), copia dei pagamenti tramite bonifico bancario (a favore del fornitore, con causale fattura), eventuali referenze che avevi raccolto. In sostanza, prova che avevi fatto controlli di base e nulla lasciava presagire la frode . Se avevi verificato il DURC o la certificazione SOA del fornitore (nel caso di appalti), mostra anche quelli.
– Se possibile, testimonianze: ad esempio, una dichiarazione scritta del trasportatore che consegnava le merci, confermando che ritirava la merce da un certo magazzino; o email dal fornitore in cui ti dava istruzioni normali (indice che per te era tutto regolare). Nel processo tributario non c’è testimonianza orale, ma queste dichiarazioni possono entrare come indizi.
– Attenzione: cura molto la coerenza: se sostieni di aver agito bene, non deve emergere alcun comportamento anomalo tuo. Ad esempio, se c’è stata una restituzione di denaro sottobanco, sarà difficile sostenere la buona fede. Quindi, se sai di avere punti deboli, preparati a giustificarli (o a evitarli).

Facendo tutto ciò, creerai un “muro” difensivo. In commissione tributaria, più prove porti della tua correttezza, più è probabile che almeno le sanzioni ti vengano tolte e i costi riconosciuti, e in casi virtuosi anche l’IVA potrebbe essere considerata detraibile dal giudice (qualche volta succede) .

D: È vero che basta la regolarità della fattura e del pagamento per stare tranquilli?
R: Purtroppo no. La Cassazione ha chiarito che la mera regolarità formale (fattura a posto, pagamento con bonifico tracciabile) non prova affatto la sostanza dell’operazione . Anzi, spesso proprio nelle frodi organizzate i documenti sono tutti perfettamente in ordine, proprio per non destare sospetti. Quindi non puoi dormire tranquillo solo perché “ho la fattura e l’ho pagata in banca”: se dietro non c’è stata una vera fornitura, o il fornitore era finto, emergendo la cosa avrai comunque problemi. In pratica, la bontà formale è condizione necessaria ma non sufficiente. Devi anche poter dimostrare la realtà economica e la serietà del fornitore.

D: Posso detrarre l’IVA di una fattura se io non sapevo fosse falsa?
R: Secondo la legge italiana vigente e l’interpretazione prevalente, no, non puoi. Se l’operazione è inesistente, l’IVA è considerata oggettivamente non detraibile (perché versata a un soggetto che non era il vero cedente) . Il fatto di essere in buona fede può, al limite, evitarti le sanzioni e le conseguenze penali, ma non ti restituisce il diritto alla detrazione dell’imposta in base alla normativa interna. Detto ciò, esiste un dibattito: la Corte di Giustizia UE sostiene che al contribuente totalmente incolpevole non dovrebbe essere negata la detrazione, in nome della neutralità dell’IVA. Alcune Commissioni tributarie, in casi estremi, hanno applicato direttamente i principi comunitari e concesso la detrazione a contribuente in buona fede provata . Però si tratta di eccezioni. Nella prassi, se emerge la frode, l’Agenzia negherà la detrazione comunque, e starà a te eventualmente far causa e sperare in un giudice illuminato. In sintesi: legalmente dovresti pagare l’IVA, anche se non ne sapevi nulla; potrai però non subire sanzioni. Solo in rarissimi casi la detrazione è stata mantenuta in giudizio per contribuenti davvero ignari.

D: I costi documentati da fatture false sono comunque deducibili ai fini delle imposte sui redditi?
R: Dipende. Dobbiamo distinguere: se la fattura è oggettivamente falsa (operazione mai esistita), quel costo in realtà non esiste: quindi non è deducibile e ti verrà ripreso a tassazione. Non c’è scampo in tal caso, perché non hai proprio sostenuto alcuna spesa (era tutto inventato) . Se invece la fattura è soggettivamente falsa (bene/servizio c’è stato ma fornitore diverso), allora il costo c’è stato effettivamente: hai pagato per ottenere quel bene/servizio. In linea di principio, un costo reale e inerente è deducibile. Infatti molte sentenze recenti dicono che tali costi vanno riconosciuti (es. Cass. 14917/2025 ha proprio stabilito che i costi rimangono deducibili anche se il fornitore è fittizio, perché hanno generato ricavi tassati) . Tuttavia, c’è un grosso però: se tu eri connivente nella frode, la legge (L. 537/93 art. 14, co.4-bis) considera quei costi come costi da reato, e li rende non deducibili. Quindi l’Agenzia, in prima battuta, tende a negare la deduzione finché non si chiarisce se c’è stato reato. Se poi in sede penale vieni assolto perché non c’era dolo, potrai riottenere la deduzione. In pratica:
– Caso contribuente in buona fede: costo reale deducibile (anche se in sede di accertamento spesso te lo tolgono e devi far ricorso per farlo riconoscere).
– Caso contribuente fraudolento: costo indeducibile per norma anti-reato, perché non vogliono permettere ai disonesti di abbattere il reddito con spese illecite.
In contenzioso tributario, comunque, oggi è abbastanza probabile vincere sul punto costi se riesci a provare che il costo c’è e l’hai sostenuto veramente (a meno che non emergano elementi penali gravi a tuo carico).

D: Cosa rischio a livello di sanzioni amministrative?
R: Molto. In sintesi: dovrai restituire tutta l’IVA detratta indebitamente, con interessi, e pagare una sanzione del 90% su di essa (minimo) . Inoltre, se avevi dedotto costi poi disconosciuti, dovrai pagare le maggiori imposte sui redditi relative (IRES/IRPEF), anch’esse con interessi, e anche lì c’è una sanzione intorno al 90% dell’imposta. Di solito viene configurata la dichiarazione infedele, che ha sanzione tra 90% e 180% della maggior imposta. Dunque la botta economica è pesante: spesso l’ammontare complessivo da pagare (imposte + sanzioni + interessi) è pari se non superiore al doppio del risparmio fiscale ottenuto con le fatture false. E attenzione: se emergono tanti anni di violazioni, le sanzioni si sommano (anche se c’è il limite del doppio del tributo evaso per singola annualità, rimangono ingenti). Esistono comunque possibilità di riduzione: se fai accertamento con adesione, paghi sanzioni ridotte di 1/3; se patteggi in conciliazione, ridotte al 50%; se ti ravvedi spontaneamente prima, ridotte a percentuali anche minime. Inoltre, come detto, se dimostri in giudizio che proprio eri senza colpa, puoi chiedere al giudice tributario di annullare le sanzioni per mancanza di dolo o colpa grave (qualche Commissione lo fa). Ma ciò toglie la sanzione pecuniaria, non l’obbligo di versare l’imposta. Insomma: preparati al peggio, poi cerca di ridurre il danno utilizzando gli strumenti di definizione.

D: E a livello penale, cosa rischio se uso fatture false?
R: Rischi una condanna penale per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false (art. 2 D.Lgs. 74/2000). La pena prevista oggi è la reclusione da 4 a 8 anni . Tuttavia, se l’ammontare delle fatture false è inferiore a 100.000 €, la fascia di pena scende a 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni . Quindi dipende dalla gravità in termini di importi. Inoltre, si aggiungono pene accessorie (interdittive). Nella pratica, se sei incensurato e l’importo non è enorme, c’è la possibilità di ottenere la pena sospesa (con condizionale) magari patteggiando a circa 1 anno e mezzo o 2. Importante: hai un’ancora di salvezza: se paghi tutte le imposte evase + interessi + sanzioni prima che inizi il dibattimento in tribunale, non sei punibile penalmente . In altre parole il processo penale si chiude senza condanna. Questa è una via da considerare seriamente (ovviamente se hai le risorse finanziarie). Se paghi dopo l’inizio del processo ma prima della sentenza, avrai uno sconto di pena (fino alla metà). In sintesi: il rischio penale c’è ed è serio (la soglia 4-8 anni indica che è considerato un crimine grave), ma il legislatore dà una chance di uscita a chi si ravvede pagando. Diversamente, preparati a difenderti in un lungo processo: se la prova di dolo è forte (es. intercettazioni, ecc.), la condanna è probabile; se hai argomenti di buona fede, potresti puntare all’assoluzione per mancanza di dolo, ma è difficile. In ogni caso, se condannato, la pena nei limiti indicati spesso viene sospesa se è la prima volta.

D: E se invece sono stato io a emettere fatture false per altri?
R: In tal caso rischi il reato ex art. 8 D.Lgs. 74/2000, anch’esso con pena 4-8 anni di reclusione (o 1.5-6 anni sotto 100k) . In più, se hai emesso tante fatture in un contesto organizzato, spesso contestano anche l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.), aggravando il quadro. Tieni presente che per chi emette false fatture non c’è la chance di non punibilità pagando, perché la legge premia il pagamento del debito tributario, ma tu come emittente non hai un’imposta evasa tua (tu hai aiutato altri a evadere). Quindi, anche se volessi “ravvederti”, potresti al massimo pagare l’IVA che dovevi versare ex art.21, c.7 (se non l’avevi versata), ma la non punibilità di art.13 in genere non si estende all’emittente. Pertanto, l’emittente fatture rischia seriamente il carcere se scoperto, soprattutto per frodi massive. L’unica via di mitigazione è collaborare con l’autorità (magari fornendo nomi degli utilizzatori, se sei pentito) per ottenere attenuanti, e puntare a patteggiamenti. È una posizione molto rischiosa penalmente. (Dal lato tributario, pagherai comunque l’IVA delle fatture emesse se non l’hai versata e relative sanzioni).

D: Ho sentito parlare di ravvedimento operoso anche per le frodi; posso sanare la situazione spontaneamente?
R: Sì. Dal 2019 in avanti, con le modifiche normative, è stato chiarito che anche chi ha commesso violazioni gravi come la dichiarazione fraudolenta può accedere al ravvedimento operoso. L’Agenzia delle Entrate, con Circolare 11/2022, ha confermato questa possibilità . Significa che, se non sei ancora stato formalmente contestato, puoi presentare dichiarazioni integrative, versare il dovuto con sanzioni ridotte e interessi, e regolarizzare la tua posizione fiscale. Così facendo, dal punto di vista tributario eviti l’accertamento (o lo rendi meramente liquidatorio) e dal punto di vista penale attivi la causa di non punibilità. Bisogna però essere tempestivi: se ti arriva già la Guardia di Finanza in azienda o un invito a comparire, il ravvedimento “non sincero” potrebbe non salvarti dal penale (c’è dibattito se l’art.13 si applichi se paghi dopo l’inizio delle indagini ma prima del dibattimento – tecnicamente sì, sei non punibile, ma non è più un ravvedimento spontaneo). In sostanza, puoi sanare spontaneamente prima di essere beccato. Se l’hai già in gran parte ammesso col Fisco, puoi comunque pagare e ottenere la non punibilità penale fino all’udienza dibattimentale. Dunque, ravvedimento o pagamento integrale restano tuoi assi nella manica per sistemare le cose, se te lo puoi permettere finanziariamente.

D: Quanto tempo ha il Fisco per contestarmi queste cose?
R: I termini di accertamento ordinari (per le annualità recenti) sono fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (per esempio, per l’anno d’imposta 2020, fino al 31/12/2025). Se non hai presentato la dichiarazione IVA o redditi, il termine sale a 7 anni. Inoltre, se c’è un’ipotesi di reato tributario, scatta il cosiddetto raddoppio dei termini: il termine ultimo diventa di fatto l’ottavo anno (o il decimo se omessa dichiarazione) . Questo raddoppio però è subordinato alla trasmissione della notizia di reato alla Procura entro i termini ordinari. In pratica: se hai usato false fatture nel 2018, normalmente ti avrebbero potuto accertare fino al 31/12/2023; ma se c’è reato e hanno inviato denuncia, possono accertare fino al 31/12/2025. Attenzione: per gli anni fino al 2015 c’erano regole diverse (il raddoppio era automatico se c’era reato, anche se la denuncia tardiva). Oggi il quadro è quello detto sopra. Quindi, generalmente, l’Agenzia può venire a contestarti frodi IVA entro 5 anni; ma in caso di frodi scoperte tramite indagini penali, spesso beneficiano del termine più ampio di 8 anni. In ogni caso, conserva la documentazione almeno per 10 anni, perché se scatta il penale potrebbe servirti anche a distanza di molto tempo.

D: Cosa succede se vengo assolto in sede penale?
R: Se l’assoluzione è piena (perché il fatto non sussiste o tu non lo hai commesso), ai sensi della legge tributaria hai diritto al rimborso delle imposte che avevi eventualmente pagato in più a causa di quella contestazione . Mi spiego: supponiamo che in sede tributaria, nonostante tu sostenessi la tua innocenza, hai perso (o hai dovuto pagare per chiudere) e quindi hai versato l’IVA indebitamente detratta o hai rinunciato a dedurre costi. Poi però il tribunale penale, con sentenza definitiva, ti assolve dicendo che non c’è stata frode (es. il fatto non sussiste) o che tu non ne eri consapevole. A quel punto, quelle operazioni non sono più da considerare reato né fraudolente: quindi i costi diventano deducibili e, quanto all’IVA, sarebbe contrastante con la sentenza penale mantenere le conseguenze come se fosse frode. In pratica, puoi chiedere all’Agenzia il rimborso delle imposte pagate su quelle operazioni. Questo è previsto proprio per evitare la doppia ingiustizia di pagare tasse su costi reali solo perché si pensava fossero finti, quando il giudice ha stabilito che non lo erano o che tu eri innocente. Ovviamente, devi presentare l’istanza di rimborso entro termini decadenziali (entro 2 anni dalla sentenza, credo). Nota: se l’assoluzione penale è perché il fatto non costituisce reato (mancava dolo), formalmente la causa di reato c’era ma senza colpevole – in questi casi l’Agenzia spesso resiste nel ridarti i soldi, e potresti dover fare causa di rimborso. Diverso se il fatto non sussiste: lì proprio si certifica che non c’era la frode. In ogni caso, l’assoluzione penale è un asso potentissimo da calare eventualmente in una fase di autotutela o contenzioso pendente: molti giudici tributari, se arriva assoluzione, rivedono le cose in appello magari. Diciamo che penal e tributario sono indipendenti, ma una tua piena innocenza accertata penalmente non potrà non avere peso.

D: Cosa posso fare per prevenire problemi di fatture false?
R: Meglio prevenire che curare! Ecco alcune buone pratiche:
– Attua sempre una diligente selezione dei fornitori. Verifica identità e affidabilità di nuovi fornitori: chiedi visura camerale aggiornata, controlla che abbiano una sede fisica e recapiti credibili, verifica la partita IVA (VIES) se sono intracomunitari, chiedi referenze ad altri clienti se possibile .
– Se il fornitore è in settori a rischio (edilizia, commercio metalli, elettronica – dove ci son stati molti casi), pretendi documentazione: ad esempio DURC regolare se ti fattura manodopera, copia di licenze o autorizzazioni, ecc. Fornitori totalmente sconosciuti che propongono affari troppo vantaggiosi vanno approcciati con cautela.
– Monitora gli indicatori d’allarme: se un fornitore ti cambia spesso coordinate bancarie, o chiede pagamenti a soggetti terzi, o vuole che frazioni gli ordini tra più società, o non consente mai visite presso la sua sede, c’è puzza di bruciato. In questi casi, approfondisci o interrompi la relazione. Meglio perdere un affare che ritrovarsi in un’inchiesta.
– Mantieni traccia scritta dei rapporti: ordini via email, conferme, tutto archiviato. In caso di contestazione, avere le email originali in cui il fornitore si comportava in modo normale (dandoti IBAN, discutendo prezzi) ti aiuta a mostrare che per te era un rapporto vero.
– Forma il personale interno: chi in azienda gestisce acquisti e contabilità dovrebbe sapere di queste problematiche. I tuoi collaboratori devono saper riconoscere una possibile “cartiera”: ad esempio, se arriva fattura da un soggetto di una provincia lontana per un servizio mai visto prima, dovrebbero chiedersi se è ok.
– Consulenti esterni: fai controllare al tuo commercialista o consulente fiscale i fornitori principali ogni tanto; loro spesso, per esperienza, sanno individuare situazioni anomale (possono accedere a banche dati o hanno sentito di tal ditta che è una cartiera).
– Implementa un piccolo sistema interno di verifica fornitori: tipo una checklist prima di accettare un nuovo fornitore (richiedere certificati, controllare se ha sito web, etc.). Questo non ti dà certezza assoluta, ma riduce di molto il rischio.
– In caso di minimo sospetto fondato di frode da parte di un tuo fornitore, valuta persino di segnalare la cosa alle autorità (Agenzia Entrate o GdF). Può sembrare estremo, ma se scopri che Tizio ti ha ingannato, denunciandolo tu per primo ti metti al riparo dimostrando di non essere complice. (Ovviamente, fallo solo se hai elementi concreti e dopo consulenza legale, perché è un passo delicato).

Seguendo queste pratiche, riduci enormemente la possibilità di incappare in fatture false e, nel malaugurato caso accadesse, avrai molte munizioni per difenderti mostrando che hai fatto tutto il possibile.

Fonti:

  • D.P.R. 633/1972, artt. 19, 21, 26, 54 – Decreto IVA (disposizioni su detrazione, fatturazione, note di variazione, accertamento IVA).
  • D.P.R. 600/1973, art. 39 – Accertamento delle imposte sui redditi (presunzioni qualificate).
  • Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente), art. 12 – Diritti del contribuente sottoposto a verifica.
  • D.Lgs. 471/1997 e 472/1997 – Sanzioni tributarie e principi generali (dichiarazione infedele, ravvedimento, colpevolezza).
  • D.Lgs. 74/2000, artt. 2, 8, 13 – Reati tributari di frode con fatture false e relativa disciplina della punibilità.
  • Legge 537/1993, art. 14, c.4-bis – Indeducibilità dei costi da reato (come modif. da Dl 16/2012).
  • Cass. civ. Sez. V, 16-06-2020 n.11624 – Onere della prova in contestazioni di fatture oggettivamente inesistenti .
  • Cass. civ. Sez. V, 21-05-2024 n.14102 (ord.) – Frodi IVA soggettive: non si possono esigere verifiche sproporzionate dal contribuente .
  • Cass. civ. Sez. V, 11-11-2024 n.28999 – Indetraibilità IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti .
  • Cass. civ. Sez. V, 07-08-2025 n.22795 – Principi di cartolarità vs effettività dell’IVA, IVA dovuta dall’emittente ma non detraibile dal cessionario in operazioni fittizie .
  • Cass. civ. Sez. V, 04-06-2025 n.14917 (ord.) – Deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti se effettivi (costi reali generano ricavi tassati) .
  • Cass. civ. Sez. Un., 28-10-2022 n.30018 – Interpretazione dell’art.14 co.4-bis L.537/93, deducibilità costi da reato per operazioni soggettivamente inesistenti se contribuente non partecipe del reato.
  • Cass. pen. Sez. III, 22-11-2024 n.42819 – Reato di emissione fatture false: elementi oggettivi e soggettivi (emissione per operazioni anche solo giuridicamente inesistenti) .
  • Cass. pen. Sez. III, 27-05-2025 n.19675 – Criteri di valutazione in appello per reati di frode fiscale (valorizza onere motivazionale).
  • Corte di Giustizia UE, varie (cause KittelAquila C-512/21 , ATS C-289/22, ecc.) – Principio: niente detrazione se contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode; no obbligo di investigazioni eccedenti la ragionevole diligenza .
  • Cass. 14102/2024 – Osservatorio Giustizia Tributaria
  • CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, Ordinanza n. 14917 depositata il 4 giugno 2025 – Ai fini delle imposte sui redditi, non rileva in alcun modo la presunzione delle fatture soggettivamente inesistenti. giacché tali costi, ancorché nei confronti di soggetto diverso rispetto a quello che ha emesso la fattura, comunque, sono stati sostenuti, tanto è vero che hanno generato, con la successiva cessione, i ricavi dichiarati e sottoposti a tassazione

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti è stata negata la detrazione IVA relativa a fatture considerate inesistenti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti è stata negata la detrazione IVA relativa a fatture considerate inesistenti?
Vuoi sapere quali sono i rischi e come puoi difenderti?

Le fatture per operazioni inesistenti sono una delle contestazioni fiscali più gravi: il Fisco ritiene che il documento non corrisponda a una reale cessione di beni o prestazione di servizi. In questi casi, l’IVA indicata in fattura viene considerata indetraibile e può scattare anche un procedimento penale tributario.

👉 Non sempre però la contestazione è fondata: molte volte l’inesistenza è solo presunta e il contribuente può dimostrare la reale esistenza dell’operazione.


⚖️ Tipologie di fatture inesistenti

  • Oggettivamente inesistenti: l’operazione indicata non è mai avvenuta;
  • Soggettivamente inesistenti: l’operazione è reale, ma effettuata da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura;
  • Parzialmente inesistenti: l’operazione è avvenuta, ma per importi gonfiati rispetto al reale valore.

📌 Conseguenze possibili

  • Indetraibilità dell’IVA indicata nelle fatture contestate;
  • Recupero a tassazione del costo indeducibile ai fini delle imposte dirette;
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta indebitamente detratta;
  • Interessi di mora;
  • Nei casi più gravi, reati tributari per dichiarazione fraudolenta o emissione/utilizzo di fatture false.

🔍 Come difendersi

  1. Verifica le fatture contestate: accertati se l’operazione sia effettivamente avvenuta.
  2. Raccogli la documentazione: contratti, ordini, documenti di trasporto, prove di pagamento, corrispondenza commerciale.
  3. Dimostra la buona fede: se hai utilizzato le fatture ritenendole regolari, puoi contestare la responsabilità.
  4. Contesta le presunzioni del Fisco: l’Agenzia deve fornire indizi gravi, precisi e concordanti sull’inesistenza dell’operazione.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, difenditi anche in sede penale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza le fatture contestate e i motivi della negata detrazione;
  • 📌 Ricostruisce la realtà delle operazioni con prove concrete;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ottenere il riconoscimento del diritto alla detrazione;
  • ⚖️ Ti difende nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari e penali;
  • 🔁 Valuta soluzioni alternative (adesioni o definizioni) per ridurre le sanzioni e chiudere la controversia.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in IVA e fatture contestate;
  • ✔️ Specializzato in reati tributari e contenzioso fiscale;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

La negazione della detrazione IVA per fatture inesistenti può avere effetti molto gravi, ma non sempre le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sono corrette.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare l’esistenza reale delle operazioni, far valere la tua buona fede e ridurre le pretese fiscali e sanzionatorie.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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