Contestazione Per Omessa Registrazione Di Fatture Iva: Cosa Fare

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per omessa registrazione di fatture IVA? Questa è una delle violazioni più comuni e può riguardare sia le fatture emesse che quelle ricevute. Il Fisco, in questi casi, presume l’esistenza di ricavi non dichiarati o di indebite detrazioni, con conseguenze fiscali pesanti. Ma non sempre la contestazione è fondata, e ci sono strumenti per difendersi.

Quando scattano le contestazioni per omessa registrazione
– Se le fatture emesse non risultano annotate nel registro IVA vendite o corrispettivi
– Se le fatture di acquisto non sono state inserite nel registro IVA acquisti
– Se le liquidazioni periodiche IVA non coincidono con la documentazione contabile
– Se i dati delle fatture elettroniche trasmesse al Sistema di Interscambio (SdI) non risultano in contabilità
– Se, durante controlli o accessi ispettivi, emergono documenti fiscali non registrati

Cosa rischi in caso di omessa registrazione
– Recupero dell’IVA non versata o detratta indebitamente
– Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta contestata
– Sanzioni fisse anche per omissioni meramente formali
– Interessi di mora sulle somme dovute
– Possibile contestazione penale per dichiarazione fraudolenta se gli importi sono rilevanti

Come difendersi da una contestazione per omessa registrazione
– Dimostrare che l’omissione è stata un mero errore formale senza effetti sul debito IVA
– Correggere la violazione con dichiarazione integrativa o tramite ravvedimento operoso, riducendo le sanzioni
– Presentare la documentazione contabile che provi l’avvenuto versamento dell’imposta
– Contestare errori di calcolo o duplicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se la contestazione è infondata

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la contestazione e distinguere tra errori formali e sostanziali
– Preparare un dossier difensivo con documenti e giustificativi delle operazioni effettuate
– Contestare le presunzioni del Fisco quando non supportate da prove concrete
– Difendere l’impresa in sede di contraddittorio e davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
– Valutare definizioni agevolate o accertamenti con adesione per ridurre l’impatto delle sanzioni

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle imposte e delle sanzioni richieste
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio personale e aziendale
– La possibilità di regolarizzare la posizione fiscale senza danni irreversibili

⚠️ Attenzione: non tutte le omissioni nella registrazione di fatture comportano evasione. Spesso si tratta di errori materiali o ritardi contabili facilmente sanabili. Una difesa tempestiva e documentata può evitare conseguenze sproporzionate.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega cosa fare se l’Agenzia delle Entrate ti contesta l’omessa registrazione di fatture IVA e come difenderti in modo efficace.

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Introduzione

Ricevere una contestazione per omessa registrazione di fatture IVA è un evento serio che richiede una reazione tempestiva e informata. In termini pratici, ciò significa che l’Agenzia delle Entrate (o la Guardia di Finanza) contesta al contribuente di aver mancato di annotare nei registri IVA una o più fatture relative a operazioni imponibili. In altre parole, si presume che siano state effettuate vendite o prestazioni senza la dovuta fatturazione, con conseguente evasione dell’IVA e dei relativi ricavi . Dal punto di vista del soggetto contestato (sia esso imprenditore, professionista o legale rappresentante di società), questa situazione comporta obblighi immediati – come valutare se pagare, chiedere una definizione agevolata o presentare ricorso – e l’attivazione di importanti diritti di difesa previsti dall’ordinamento tributario italiano .

Scopo di questa guida: fornire un quadro avanzato ma chiaro su cosa fare in caso di contestazione per omessa registrazione di fatture IVA, aggiornato ad agosto 2025. Illustreremo il quadro normativo italiano di riferimento, le conseguenze amministrative e penali, e soprattutto le strategie difensive e le opzioni di definizione a disposizione del contribuente. Adotteremo un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, utile sia per professionisti legali sia per privati e imprenditori. Il punto di vista adottato è quello del debitore/contribuente, focalizzando quindi su come questi possa reagire e tutelare i propri diritti di fronte alla contestazione.

In sintesi, tratteremo:

  • Gli obblighi di fatturazione e registrazione delle operazioni IVA e cosa si intende per omessa fatturazione/registrazione, chiarendo la differenza rispetto ad altre violazioni (es. omessa dichiarazione).
  • Le norme di legge rilevanti (IVA, imposte sui redditi, sanzioni tributarie, Statuto del Contribuente) e le recenti riforme in materia fino al 2025.
  • Come l’Amministrazione finanziaria accerta e quantifica le imposte evase quando mancano fatture registrate, e il contenuto tipico di un avviso di accertamento o atto di contestazione.
  • Le sanzioni amministrative applicabili, distinguendo tra violazioni sostanziali e formali, e le eventuali implicazioni penali (es. quando scatta il reato di dichiarazione infedele o fraudolenta).
  • Le procedure difensive e deflattive disponibili: dal ravvedimento operoso (se possibile) all’accertamento con adesione, dall’acquiescenza alle varie forme di definizione agevolata, fino al ricorso in Commissione tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria). Spiegheremo termini, modalità e benefici (ad esempio, riduzioni di sanzioni in caso di accordo o pagamento immediato) .
  • I più recenti orientamenti giurisprudenziali e di prassi ufficiale (sentenze di Cassazione, pronunce della Corte di Giustizia UE, circolari e interpelli dell’Agenzia delle Entrate) pertinenti al tema, compresi gli sviluppi fino al 2024-2025.
  • Domande e risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi comuni, e tabelle riepilogative che sintetizzano gli aspetti chiave (ad esempio sanzioni, soglie, termini, opzioni di definizione).
  • Riferimenti ai rapporti con il commercialista o consulente fiscale in caso di errore professionale: vedremo se e in che misura l’errore del consulente può influire sulla posizione del contribuente e come eventualmente rivalersi.

L’obiettivo è offrire una visione completa e operativa di cosa fare quando arriva una simile contestazione, mettendo la persona destinataria dell’atto (debitore) nelle condizioni di capire cosa rischia, come può difendersi e quali scelte può compiere per limitare danni economici e conseguenze legali.

Quadro normativo: obblighi di fatturazione e registrazione IVA

Per capire la contestazione, occorre partire dagli obblighi fiscali che si presumono violati. In Italia vige l’obbligo generale di documentare con fattura tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA (salvo poche eccezioni di legge). Il riferimento principale è l’art. 21 del DPR 633/1972, che prescrive che per ogni operazione imponibile deve essere emessa fattura indicante data, descrizione dell’operazione, corrispettivo, aliquota e importo dell’IVA, dati delle parti, etc. . Dal 2019 questo obbligo si è irrigidito ulteriormente con l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria tramite il Sistema di Interscambio (SdI) per la quasi totalità dei soggetti IVA. Una fattura non transitata attraverso lo SdI (se dovuta) è considerata come non emessa ai fini fiscali . Dunque, omessa fatturazione significa non aver emesso la fattura quando era obbligatorio farlo (o averla emessa con modalità non valide, ad esempio al di fuori del canale elettronico previsto), facendo sì che per il Fisco quell’operazione risulti “invisibile” o comunque non tracciata.

Accanto all’obbligo di emissione vi è l’obbligo di registrazione delle fatture nei registri contabili IVA (registro vendite/corrispettivi e acquisti). Per le fatture attive (di vendita), l’art. 23 DPR 633/72 richiede la registrazione entro 15 giorni dall’emissione (con riferimento al mese di effettuazione); per le fatture di acquisto, l’art. 25 DPR 633/72 prevede la registrazione entro il termine della liquidazione periodica di competenza (comunque non oltre la presentazione della dichiarazione IVA annuale relativa all’anno di ricezione, come vedremo meglio infra) . L’omessa registrazione di una fattura può riguardare sia fatture emesse (vendite non riportate sul registro IVA vendite) sia fatture ricevute (acquisti non annotati sul registro IVA acquisti). In entrambi i casi, si viola un preciso obbligo formale contabile imposto dal DPR 633/72. Spesso, però, le due omissioni hanno effetti diversi:

  • Omissione di registrazione di fatture emesse (vendite): implica tipicamente anche la mancata contabilizzazione dei ricavi ai fini IVA e ai fini delle imposte dirette (IRPEF/IRES). In pratica, se un’operazione attiva non viene né fatturata né registrata, l’IVA su quella vendita non viene addebitata al cliente né versata all’Erario, e il corrispondente ricavo può non comparire nella contabilità ai fini del reddito d’impresa. Si tratta quindi di una violazione “sostanziale”, poiché incide sul debito d’imposta dovuto allo Stato e sul calcolo della base imponibile . Tipicamente, il Fisco contesterà in questi casi sia l’IVA evasa sia le maggiori imposte dirette sui ricavi non dichiarati .
  • Omissione di registrazione di fatture ricevute (acquisti): in questo caso l’impatto diretto sul gettito è diverso. La mancata registrazione di una fattura di acquisto significa che il contribuente non ha portato in detrazione l’IVA sull’acquisto (detrazione a cui avrebbe avuto diritto) e non ha contabilizzato il costo. Paradossalmente, ciò potrebbe aver comportato un vantaggio per l’Erario (meno IVA a credito detratta, dunque più imposta netta versata). Non a caso, in situazioni simili, l’omissione viene spesso considerata una violazione formale o “meramente formale”, priva di danno erariale. La Cassazione ha chiarito che la mancata tenuta dei registri IVA, di per sé, è una violazione meramente formale non punibile se non ha arrecato danno all’Erario né ostacolato i controlli . Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può avere un approccio diverso sul piano del diritto alla detrazione: se la fattura di acquisto non è registrata entro i termini di legge, potrebbe considerare definitivamente persa la possibilità di detrarre quell’IVA (come affermato nella risposta a interpello n.115/2025) . Approfondiremo questo aspetto più avanti.

È importante distinguere l’omessa fatturazione/registrazione dall’omessa dichiarazione annuale. La prima riguarda il documento fiscale individuale (fattura) e i registri, mentre la seconda concerne la dichiarazione IVA annuale (o dichiarazione dei redditi). Un contribuente potrebbe, ad esempio, non emettere alcune fatture ma comunque presentare la dichiarazione annuale IVA (che però risulterebbe infedele perché con imponibile inferiore al reale); viceversa, potrebbe emettere regolarmente tutte le fatture ma non presentare affatto la dichiarazione. Le fattispecie sono distinte e hanno conseguenze sanzionatorie differenti. Nel nostro contesto, l’omessa fatturazione/registrazione è spesso accompagnata da una dichiarazione infedele, ma non necessariamente da un’omessa dichiarazione (a meno che il contribuente non abbia proprio saltato la presentazione della dichiarazione IVA di tutto l’anno). Approfondiremo in seguito quando queste condotte configurano anche reati tributari (dichiarazione infedele o omessa dichiarazione ai sensi del D.Lgs. 74/2000).

Riassumendo:

  • Obbligo di emissione fattura: per ogni operazione imponibile, salvo esoneri, con fattura elettronica tramite SdI dal 2019. Emissione mancata o fuori SdI = violazione grave .
  • Obbligo di registrazione: annotare le fatture emesse e ricevute nei registri IVA entro i termini di legge (mensili/trimestrali per liquidazioni e comunque entro dichiarazione annuale per gli acquisti).
  • Violazione contestata (“omessa registrazione di fatture”): tipicamente implica che alcune operazioni non sono state né adeguatamente documentate né riportate in contabilità, generando una presunzione di evasione d’imposta.
  • Rilevanza sostanziale vs formale: se l’omissione ha comportato imposta non versata o base imponibile non dichiarata, è violazione sostanziale (sanzionabile); se non ha avuto impatto sul calcolo delle imposte e non ha ostacolato i controlli, è meramente formale (non punibile) . La distinzione va valutata caso per caso, come vedremo con il supporto della giurisprudenza.

Accertamento e contestazione: come si individua l’omissione

Come può l’Amministrazione finanziaria scoprire che un contribuente non ha registrato (o emesso) delle fatture? Le modalità sono diverse:

  • Verifiche ispettive sul posto: Durante un accesso, ispezione o verifica fiscale presso la sede dell’azienda o del professionista, i funzionari dell’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza controllano la contabilità e la documentazione. La mancata esibizione di registri aggiornati o la scoperta di documentazione extracontabile (agende, appunti, “seconde note”) indicante operazioni non fatturate costituiscono gravi indizi . Ad esempio, il ritrovamento di un “doppio” registro vendite o di fogli su cui sono annotate vendite in nero consente al Fisco di presumere l’esistenza di ricavi non dichiarati. La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che appunti privati o una contabilità parallela possono legittimare l’accertamento induttivo di maggiori ricavi, spostando sul contribuente l’onere di provare l’irrilevanza di quei dati .
  • Controlli incrociati e segnalazioni dei clienti: La normativa IVA impone al cliente di attivarsi se non riceve la fattura. In particolare, se un cessionario/committente non riceve fattura entro 4 mesi dall’operazione, deve sollecitare il fornitore e, in mancanza, emettere un’autofattura (cd. autofattura denuncia) entro il mese successivo, versando la relativa IVA e comunicando l’operazione all’Agenzia delle Entrate (oggi tramite il formato elettronico TD20/TD21) . Questo meccanismo fa sì che, se un cliente onesto non riceve la fattura, provveda a regolarizzare la transazione. Tali autofatture vengono monitorate e segnalano all’Agenzia il fatto che il fornitore non ha emesso fattura. Va sottolineato che l’autofattura del cliente non “salva” il fornitore dall’omessa fatturazione: la Cassazione ha chiarito che se il cliente versa l’IVA con autofattura e la detrae, l’Erario viene tutelato solo momentaneamente, ma ciò non esonera il fornitore dal versare a sua volta l’imposta e subire la sanzione . In altri termini, l’omessa fatturazione non si estingue per il fatto che il cliente abbia auto-fatturato; il Fisco mantiene il diritto di perseguire il cedente.
  • Banche dati e incrocio fatture elettroniche: Con l’era della fatturazione elettronica, l’Amministrazione ha a disposizione un flusso enorme di dati in tempo reale. Ogni fattura transitata dallo SdI viene registrata a sistema. Questo consente controlli incrociati automatizzati: ad esempio, l’Agenzia può confrontare l’IVA a credito che i clienti hanno dichiarato (risultante dalle fatture di acquisto ricevute) con l’IVA a debito dichiarata dai fornitori. Incongruenze evidenti (es. un cliente comunica una fattura a suo favore che il fornitore non ha dichiarato) fanno scattare segnalazioni. Strumenti come lo spesometro (fino al 2018) e l’esterometro o i nuovi controlli sulle LIPE (liquidazioni periodiche IVA) servono proprio a individuare fatture mancanti. Ad esempio, se un contribuente omettesse di inviare fatture elettroniche per alcune operazioni, i suoi acquirenti (specie se soggetti IVA) risulterebbero scoperti e/o segnalerebbero la cosa; inoltre l’assenza di trasmissione SdI in presenza di corrispettivi elettronici o altri indizi genera allerte automatiche. In definitiva, l’epoca della fatturazione elettronica rende più difficile “nascondere” fatture: la mancata registrazione/emissione lascia tracce nei sistemi (o quantomeno lacune) di cui il Fisco dispone.
  • Analisi di bilancio e indici di evasione: L’Agenzia delle Entrate utilizza strumenti di analisi dei dati (anche big data) per individuare anomalie nelle dichiarazioni. Ad esempio, margini troppo bassi, incongruenze tra acquisti dichiarati e vendite, cali di ricavi non giustificati rispetto all’anno precedente o rispetto al settore, possono far sospettare vendite in nero. Alcuni programmi di controllo selezionano contribuenti da sottoporre a verifica proprio sulla base di scostamenti dagli indici di affidabilità fiscale (ISA) o altri parametri. Se successivamente l’ispezione sul campo trova conferme (es. contabilità non tenuta regolarmente, documentazione mancante), l’accertamento viene emesso.
  • Segnalazioni e indagini di terzi: In certi casi l’innesco è dato da fattori esterni: ad esempio, una segnalazione anonima o di un ex-dipendente, un accertamento bancario che evidenzia movimenti non giustificati da fatture (versamenti su conto non riconciliati con vendite ufficiali), oppure indagini penali per altri motivi in cui emergono elementi di evasione (es. inchieste per frode, oppure controlli incrociati con banche dati di altre amministrazioni).

Una volta che emergono indizi di omessa registrazione di fatture, l’Amministrazione prepara un Processo Verbale di Constatazione (PVC) se è la Guardia di Finanza ad operare, oppure procede direttamente a notificare un avviso di accertamento/contestazione. Spesso il percorso è questo: la Guardia di Finanza effettua la verifica e redige un PVC, che viene consegnato sia al contribuente che all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente; quest’ultimo, passati eventuali termini per osservazioni del contribuente, emette l’avviso di accertamento basandosi sulle risultanze del PVC. In altri casi, soprattutto per controlli da scrivania (senza ispezione fisica), l’Agenzia invia un questionario o invito a comparire per chiarimenti, e poi emette l’atto.

Contenuto dell’avviso di accertamento/contestazione: L’atto che il contribuente riceve (generalmente via PEC se ha un domicilio digitale, altrimenti tramite notifica a mano o raccomandata) è solitamente un “Avviso di accertamento IVA e imposte dirette” in cui l’Ufficio:

  • Descrive i fatti contestati: ad esempio “nel PVC della Gdf del XX/YY/2024 si constata l’omessa fatturazione e registrazione di n. 3 operazioni di vendita per un imponibile complessivo di € 50.000, relative a…”.
  • Indica le norme violate: es. art. 21 DPR 633/72 (mancata emissione fatture), art. 23 DPR 633/72 (mancata registrazione), art. 54 DPR 633/72 (accertamento IVA induttivo), art. 39 DPR 600/73 (accertamento induttivo redditi), ecc.
  • Calcola le maggiori imposte dovute: l’IVA evasa su quelle operazioni (con aliquote applicate) e le maggiori imposte sui redditi (IRPEF/IRES, oltre ad eventuale IRAP) correlate ai ricavi non dichiarati.
  • Applica le sanzioni amministrative: sia quelle documentali IVA (omessa fatturazione/registrazione) sia quelle per dichiarazione infedele sulle imposte dirette, ognuna quantificata secondo le percentuali di legge (le dettaglieremo nella sezione successiva).
  • Indica il totale dovuto, comprensivo di imposte, sanzioni e interessi (calcolati questi ultimi dal momento in cui l’imposta avrebbe dovuto essere versata, di solito trimestralmente per l’IVA e a saldo/acconti per le imposte dirette).
  • Intima il pagamento entro un termine (normalmente 60 giorni dalla notifica) se non si vuole fare ricorso. Trascorsi 60 giorni senza pagamento né impugnazione, l’accertamento diventa definitivo ed esecutivo.
  • Spiega la motivazione dell’atto, cioè le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto. Ai sensi dell’art. 7 della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente), la motivazione può fare rinvio a documenti esterni (ad esempio al PVC) purché questi siano allegati o già conoscibili dal contribuente . La mancanza di motivazione o di allegazione di atti fondamentali può rendere nullo l’atto, come vedremo nelle strategie difensive.
  • Fornisce le istruzioni sul ricorso, indicando l’organo a cui proporlo (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale, competente per territorio), il termine (60 giorni), l’eventuale necessità di reclamo/mediazione (vedremo che dal 2024 non è più richiesta), e il fatto che la riscossione frazionata è prevista nonostante il ricorso (1/3 subito, etc. – anche di questo diremo in dettaglio più avanti).
  • Talvolta informa sulle possibili definizioni agevolate: ad esempio, la possibilità di chiedere accertamento con adesione entro 15 giorni dalla notifica (che sospende i termini ricorso), o di definire in acquiescenza con sanzioni ridotte del 1/3 .

In alcuni casi, per violazioni meramente formali, l’Ufficio potrebbe emettere un atto di contestazione di sanzioni (ai sensi del D.Lgs. 472/97) distinto dall’avviso di accertamento. Ad esempio, se risultano irregolarità nei registri ma nessuna imposta evasa, potrebbero contestare solo la violazione amministrativa formale. Come regola generale, però, quando c’è un’imposta evasa l’avviso di accertamento copre sia il recupero dell’imposta che l’irrogazione delle sanzioni in un unico provvedimento “impo-esattivo” .

Tempistiche (decadenza): L’avviso di accertamento IVA deve essere notificato entro il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (o entro il 7° se la dichiarazione annuale è omessa) . Ad esempio, per un’operazione del 2022 regolarmente dichiarata (anche se poi risultata infedele), il termine ordinario è il 31 dicembre 2027; se per il 2022 non è stata presentata dichiarazione IVA, il termine diventa 31 dicembre 2029. Attenzione: in caso di violazioni che integrano reati tributari, la legge prevede il raddoppio dei termini di accertamento (fino a 10 anni) solo se la denuncia penale per il reato viene trasmessa entro la scadenza ordinaria . Le riforme del 2015-2016 hanno precisato che il raddoppio opera solo se l’ufficio finanziario trasmette la notitia criminis all’Autorità giudiziaria in tempo utile (entro il 5° o 7° anno); in mancanza, l’atto emesso oltre i termini ordinari è illegittimo . Sarà quindi importante, per il contribuente, verificare l’anno oggetto di accertamento e l’eventuale riferimento a una denuncia penale nella motivazione dell’avviso, per valutare se l’atto sia tempestivo.

Sanzioni amministrative per omessa registrazione/fatturazione

Dal punto di vista amministrativo, l’omessa registrazione di fatture comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie piuttosto severe, previste in particolare dal D.Lgs. 471/1997 (il decreto che disciplina le sanzioni tributarie non penali). Esaminiamo le principali:

  • Sanzione per omessa fatturazione di operazioni imponibili (art. 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997): si applica a chi omette di emettere la fattura quando dovuta, oppure non la documenta regolarmente. La sanzione base è dal 90% al 180% dell’IVA relativa all’operazione non documentata, con una sanzione minima di 500 euro per ogni fattura non emessa . Ad esempio, se una fattura avrebbe dovuto evidenziare 1.000 € + IVA 22% = 1.220 €, l’IVA non fatturata è 220 €; la sanzione oscilla tra 198 € (90% di 220 €) e 396 € (180% di 220 €), ma deve comunque essere almeno 500 €: quindi, in questo caso concreto verrebbe irrogato il minimo di 500 €. Se l’imposta evasa fosse più grande, varrebbe la percentuale (es. su 10.000 € di IVA evasa, sanzione tra 9.000 € e 18.000 €). Nota: l’importo della sanzione definitiva dipenderà anche dall’eventuale applicazione di circostanze attenuanti, continuazione, definizioni agevolate, ecc., ma il “range edittale” iniziale è quello indicato. Questa sanzione colpisce primariamente l’IVA evasa.
  • Sanzione per omessa registrazione nei registri IVA (art. 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997): la norma prevede che chi omette di annotare una o più operazioni nei registri obbligatori commette anch’egli violazione. Tuttavia, quando la mancata registrazione riguarda operazioni attive imponibili e il contribuente ha già subito la sanzione per la mancata fatturazione delle medesime operazioni, in genere non si sommano due sanzioni. Si applica il principio del cumulo giuridico: essendo la mancata registrazione conseguenza o parte della medesima condotta evasiva, si tende a sanzionare con un’unica sanzione (di fatto quella più grave, cioè la percentuale sull’IVA) . In pratica, se Tizio non ha emesso né registrato 5 fatture, l’ufficio non darà 5 sanzioni da 90%-180% più 5 sanzioni aggiuntive per la mancata registrazione: verrà contestata un’unica sanzione per ciascuna operazione omessa, evitando duplicazioni . Resta invece autonoma l’eventuale sanzione per la mancata tenuta dei registri (diverso dall’omessa registrazione di singole operazioni): se uno non ha tenuto proprio il registro IVA, c’è un’ulteriore sanzione fissa (500 € per mancata tenuta vidimazione registri, se ancora prevista).
  • Sanzione ridotta per violazione “senza danno erariale”: il D.Lgs. 471/97 prevede una forte attenuazione della sanzione se la violazione non incide sulla corretta liquidazione del tributo . In base all’art.6 comma 5-bis (introdotto dal D.Lgs. 158/2015), se ad esempio la fattura è stata emessa con ritardo ma inclusa comunque nella liquidazione IVA del periodo giusto, la violazione non ha comportato evasione d’imposta. In tal caso, invece del 90%-180%, si applica una sanzione fissa da 250 a 2.000 euro . Questa è la classica situazione della fattura emessa oltre i termini ma prima che l’omissione pregiudichi il versamento dell’IVA. Altro esempio: un contribuente che, in sede di controllo, esibisce registri non stampati ma poi fornisce i dati prima della scadenza della dichiarazione, evitando che l’IVA non venga versata – potrà rivendicare che si tratta di violazione formale non sanzionabile o comunque sanzionabile in modo forfettario. La Cassazione n. 14933/2018 ha confermato che la mancata registrazione delle fatture, se non preclude i controlli e non altera base imponibile o imposta versata, è una violazione meramente formale e non punibile . Attenzione però: se la fattura viene emessa/registrata in ritardo dopo la scadenza della liquidazione o dichiarazione annuale, l’IVA di quel periodo risulta versata in ritardo (o non versata), quindi un qualche pregiudizio c’è. Di conseguenza non si applica l’esimente totale. La linea di confine tra sanzione piena e sanzione fissa dipende dunque dall’effetto sul gettito. Un caso peculiare è quello del reverse charge: la tardiva autofatturazione e registrazione di operazioni in inversione contabile, anche se avvenuta prima di controlli, per la Cassazione è violazione sostanziale e non formale, perché comunque ha differito indebitamente il versamento dell’imposta (anche se a debito/credito per lo stesso soggetto) . In sintesi, ogniqualvolta l’omissione temporanea possa comportare rischio di perdita di gettito o ostacolo, si tende a qualificarla come sostanziale (sanzione proporzionale); quando è inoffensiva su entrambi i fronti, è meramente formale (non punibile) .
  • Sanzione per infedele dichiarazione (art. 1, c.2, D.Lgs. 471/1997): è importante capire che l’omessa registrazione di fatture attive non incide solo sul fronte IVA, ma anche sul fronte delle imposte sui redditi. Se a seguito dell’omissione, il contribuente ha dichiarato un reddito imponibile inferiore a quello reale, allora la dichiarazione dei redditi (o IVA annuale) risulta infedele. L’art.1 del D.Lgs. 471/97 punisce la dichiarazione infedele con la sanzione dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta o della differenza di credito indebito . Questa sanzione si aggiunge a quella documentale. Ad esempio, se Caio ha nascosto vendite per 50.000€ (IVA 22% = 11.000€) e supponiamo un’aliquota IRES del 24% su 50.000€ = 12.000€ di imposte dirette evase, avremo: sanzione IVA 90% di 11.000 = 9.900€ (minimo), sanzione imposte dirette 90% di 12.000 = 10.800€. Entrambe saranno di norma irrogate nell’avviso di accertamento unico . In sintesi, al contribuente possono essere contestate due sanzioni principali in questi casi: una sull’IVA (violazione degli obblighi di fatturazione/registrazione) e una sull’infedeltà della dichiarazione dei redditi, ciascuna pari di regola al 90% dell’imposta evasa . Va detto che se l’omessa fatturazione riguarda operazioni non imponibili ai fini del reddito (esempio: l’IVA evasa ma il reddito magari era comunque imponibile per competenza… casi rari), la sanzione reddituale potrebbe non esserci. Ma nella generalità dei casi, vendite non fatturate = ricavi non contabilizzati = redditi evasi.
  • Interessi: accanto alle sanzioni, l’atto richiederà anche gli interessi legali sull’IVA non versata (e sulle imposte sui redditi evase) dal momento in cui andavano versate. Gli interessi non sono una “punizione” ma un ristoro del tempo trascorso; non vi sono riduzioni per adesione o altro, vanno sempre pagati per intero.
  • Altre sanzioni minori: il contesto di una verifica può far emergere violazioni collaterali, ad esempio omissione di presentazione delle liquidazioni periodiche IVA (Lipe) se il contribuente non versava affatto l’IVA, oppure irregolare tenuta dei registri contabili. Tali violazioni, se contestate, comportano sanzioni aggiuntive (es. omessa Lipe è sanzionata 500€ riducibili). Tuttavia, spesso l’Agenzia concentra l’azione sulle sanzioni maggiori (per IVA e redditi) e tralascia le minori, a meno che non siano funzionali: p.es., se non c’è stata dichiarazione annuale IVA, c’è sanzione specifica per omessa dichiarazione (vedi oltre, in ambito penale e non).

Importante: Le sanzioni amministrative tributarie in Italia non sono di importo fisso predeterminato ma di regola proporzionali e con margini. L’ufficio irrogante in pratica applica quasi sempre il minimo edittale (90%), salvo aggravanti. Ciò significa che, se non si fanno accordi o ricorsi, l’importo sarà attorno al 90% dell’imposta evasa. Tuttavia, esistono vari istituti per ridurre le sanzioni:

  • Con il ravvedimento operoso (pagando spontaneamente prima della contestazione) le sanzioni sono ridotte da 1/10 fino a 1/5 del minimo a seconda del ritardo . Ad esempio, se uno si accorge di aver dimenticato una fattura e prima che inizino controlli la registra e versa l’IVA mancante, la sanzione del 90% si riduce al 15% (1/6 del minimo, se ravvedimento oltre 1 anno ma prima di accertamento) o perfino al 9% se paga entro 90 giorni dall’omissione . Naturalmente, il ravvedimento è possibile solo prima che la violazione sia già stata constatata dal Fisco (se c’è già PVC o avviso notificato, è troppo tardi per ravvedersi).
  • Con l’accertamento con adesione (accordo col Fisco dopo l’emissione dell’avviso ma prima del ricorso) le sanzioni vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto . Nel caso dell’omessa fatturazione, il minimo è 90%, quindi la sanzione in adesione scende a circa 30% dell’imposta. Nell’esempio di sopra (11.000 € IVA evasa, 12.000 € IRES evasa), le sanzioni totali in adesione diventerebbero 3.300 € + 3.600 € = 6.900 €, invece di 20.700 € iniziali – un notevole risparmio .
  • Con l’acquiescenza (pagamento senza impugnare entro 60 giorni) la sanzione irrogata si riduce a 2/3 del suo importo . Ad esempio, se nell’avviso veniva applicato il 90% per ciascuna imposta, pagando subito si pagherebbe il 60% circa. L’acquiescenza è meno conveniente dell’adesione sul piano percentuale, ma non richiede la negoziazione con l’ufficio: basta pagare entro il termine per il ricorso per ottenere lo sconto di 1/3 sulla sanzione.
  • Con la conciliazione giudiziale (accordo in corso di processo, tipicamente in primo grado) la sanzione può essere ulteriormente ridotta (oggi fino al 50% di quella irrogata). Le regole sulla conciliazione sono state oggetto di modifiche nel 2023-2024, ma in genere se Fisco e contribuente trovano un compromesso davanti al giudice, si chiude la lite con imposta rideterminata e sanzioni dimezzate.

Violazione formale non punibile – invocarla in difesa: Abbiamo citato la regola per cui violazioni senza impatto sostanziale non dovrebbero essere sanzionate (art. 6 comma 5-bis D.Lgs. 472/97 e art. 10 comma 3 Statuto contrib.) . In sede difensiva, il contribuente può sempre provare a sostenere che la propria omissione rientri in questa categoria. Ad esempio, se tutte le fatture omesse erano in realtà state conteggiate nei totali di liquidazione e l’IVA versata (magari per errore formale non erano sul registro cartaceo), o se l’operazione non fatturata comunque non era imponibile (nessun danno d’imposta), ecc. Qualora si riesca a dimostrare che non vi è stato danno all’Erario né ostacolo al controllo, la sanzione andrebbe annullata perché la violazione è meramente formale . La Cassazione ha di recente ribadito che la qualificazione formale/sostanziale va fatta ex post, guardando al concreto pregiudizio: se nessun pregiudizio c’è stato, la condotta è non punibile . Tuttavia, attenzione: spesso l’Ufficio contesta comunque la sanzione, e sarà il contribuente a dover sollevare la questione in ricorso, magari citando le pronunce di legittimità. È quindi uno strumento difensivo da usare davanti al giudice tributario più che in fase amministrativa (in cui difficilmente l’Agenzia “auto-disapplica” la sanzione, a meno di prassi interne specifiche).

Esempio pratico di calcolo sanzioni: supponiamo una ditta individuale che non ha fatturato né registrato 2 operazioni nel 2022: una da €10.000+IVA22% e una da €5.000+IVA22%. IVA evasa: €2.200 + €1.100 = €3.300. Reddito non dichiarato: €15.000. Aliquota IRPEF media supponiamo 27%, imposta evasa ~€4.050. L’avviso contesterà IVA €3.300 e IRPEF €4.050. Sanzioni: 90% di €3.300 = €2.970 (IVA) e 90% di €4.050 = €3.645 (redditi). Totale sanzioni €6.615 (oltre interessi). Il contribuente, se senza difese, dovrebbe €3.300+4.050+6.615 = €13.965 più interessi. Se aderisce, paga imposte intere (€7.350) ma sanzioni ridotte a 1/3 del minimo: quindi €990 + €1.215 = €2.205 di sanzioni, totale €9.555 (interessi esclusi). Se fa ricorso e perde, pagherà l’intero, magari dopo anni; se fa ricorso e vince sul 50% delle riprese (ipotizziamo) potrebbe risparmiare una quota. Deve ponderare bene, come vedremo.

Profili penali: quando scatta il reato tributario

L’omessa registrazione/emissione di fatture IVA, di per sé, è un illecito amministrativo (non è subito un reato). Tuttavia, le condotte sottostanti possono condurre a configurare taluni reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000 (il “codice penale tributario”). In particolare, due fattispecie possono venire in rilievo per il contribuente che occulta ricavi:

  • Dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000): è il reato che si concretizza quando il contribuente, al fine di evadere le imposte, indica in dichiarazione annuale elementi attivi inferiori a quelli effettivi (omettendo parte dei ricavi) o elementi passivi fittizi, superando determinate soglie. Nel contesto che trattiamo, l’omessa fatturazione porta tipicamente a dichiarare meno ricavi del reale. La dichiarazione infedele è punita con la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi , ma scatta solo se contemporaneamente:
  • l’imposta evasa (tra IVA e imposte dirette, per ciascun tributo) supera €100.000 ;
  • gli elementi attivi sottratti a imposizione superano il 10% del totale dichiarato o comunque €2 milioni .

Esempio: se una società dichiara ricavi per €900.000 ma in realtà erano €1.100.000 (quindi 200k non dichiarati) e l’IVA evasa su 200k è 44k, imposte redditi evase poniamo 60k, qui l’imposta evasa totale ~104k > 100k e 200k è >10% di 900k (22%), quindi supera le soglie: i responsabili rischiano l’accusa di dichiarazione infedele. Se invece l’evasione è piccola (es. 20k IVA su 100k ricavi nascosti), non scatta il penale. Nota: la legge esclude il reato infedele per errori di valutazione sui beni o per divergenze interpretative, e per omissioni fino al 10% (comma 1-bis e 1-ter art.4) . Inoltre, non c’è soglia minima amministrativa: anche €1 di infedele comporta sanzione pecuniaria, ma penalmente rileva solo se si superano quelle soglie.

  • Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000): se l’omessa registrazione di fatture si accompagna a mancata presentazione della dichiarazione annuale IVA (o dei redditi) entro i termini di legge (anche quello “tardivo entro 90 giorni”), allora si configura il più grave reato di omessa dichiarazione, a condizione che l’imposta evasa superi €50.000 . La pena è la reclusione da 2 a 5 anni . Esempio: Tizio per l’anno 2022 non presenta la dichiarazione IVA e in base agli accertamenti risultano €60.000 di IVA non versata -> reato omessa dichiarazione. Se l’IVA evasa fosse 30k, niente reato (resta illecito amministrativo). Importante: se il contribuente presenta la dichiarazione entro 90 giorni dal termine (dichiarazione tardiva), il fatto non è punibile penalmente , anche se restano le sanzioni amministrative. Quindi, chi si “dimentica” di presentare la dichiarazione ma poi la presenta entro 3 mesi con ravvedimento, evita il penale.

Va sottolineato che la mancata emissione di fatture in sé non è prevista come reato specifico nel D.Lgs. 74/2000. Non esiste un “reato di omessa fatturazione”. I reati sono sempre legati alle dichiarazioni annuali (o a condotte fraudolente specifiche). Quindi, la condotta del non registrare/emettere fatture assume rilevanza penale solo se e quando determina una dichiarazione annuale infedele od omessa. Ad esempio, un professionista che omette 3 fatture e ciò comporta una evasione IVA di €40.000 e IRPEF di €30.000 (totale imposte evase €70.000) avrà sanzioni amministrative salate, ma penalmente non superando 100k di evasione, non è imputabile per infedele (sotto soglia). Diverso se l’evaso supera 100k.

Oltre ai due suddetti, altre ipotesi delittuose possono collegarsi a contesti di omessa fatturazione più articolati:

  • Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. 74/2000): è una forma aggravata di infedele, caratterizzata però dall’uso di mezzi fraudolenti per ostacolare l’accertamento (ad es. doppie scritture, falsificazioni, artifizi contabili). Se per occultare le fatture omesse il contribuente ha tenuto una contabilità parallela occultata o ha distrutto documenti, o simulato operazioni per confondere, si potrebbe configurare questo reato più grave, punito con la reclusione da 3 a 8 anni (pene inasprite dal 2015 e 2019). La soglia di punibilità anche qui è di solito un certo ammontare d’imposta (attualmente €30.000 di imposta evasa credo, anche se post riforma poté essere elevata). Questo reato è meno frequente nelle contestazioni di omessa fatturazione “semplice”, ma se l’evasione è sistematica e accompagnata da sotterfugi (tipo società cartiere, doppie contabilità) potrebbe essere contestato.
  • Emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8) o utilizzo (art. 2): qui siamo nel campo delle fatture false, l’opposto in un certo senso (emette fatture false chi vuole creare costi fittizi per altri, mentre omette fatture chi nasconde ricavi). Tuttavia, a volte chi omette di fatturare utilizza anche stratagemmi come emettere fatture a teste di legno o sottofatturare e integrare in nero. Se emergono fatture false (anche passive) connesse, scattano questi reati, puniti molto severamente (fino a 8 anni se oltre 100k di operazioni false) .
  • Occultamento o distruzione di scritture contabili (art. 10 D.Lgs. 74/2000): chi sottrae all’ispezione le scritture obbligatorie, rendendo impossibile la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari, è punito con la reclusione da 3 a 7 anni. Se un contribuente non tiene affatto le fatture, non istituisce i registri e magari li distrugge prima del controllo, può incorrere in questo reato. Ad esempio, nel caso di una contabilità completamente inesistente, la GdF segnala spesso anche l’art.10. Questo reato non dipende da soglie di imposta, ma dalla condotta di occultamento doloso.
  • Omesso versamento IVA (art. 10-ter): non direttamente legato all’omessa fatturazione (che di solito implica anche omessa dichiarazione, quindi art.5), ma ipotizziamo un contribuente che ha fatturato tutto ma non versa l’IVA dichiarata > €250.000: reato con soglia fissa, punito con reclusione fino a 2 anni. Nel nostro contesto, se uno emette tardivamente le fatture e le include in dichiarazione ma poi non paga l’IVA dovuta, potrebbe incorrere in questo reato se supera la soglia. È un caso diverso (qui dichiarazione è fedele ma difetta il pagamento).

Procedimento: se l’accertamento fiscale rileva profili penal-tributari, l’Agenzia delle Entrate trasmette una comunicazione di notizia criminis alla Procura della Repubblica competente. Di solito ciò avviene alla fine della verifica o poco dopo (come detto, per assicurarsi anche il raddoppio dei termini). Da quel momento, il contribuente (o gli amministratori, se società) potrebbero essere indagati penalmente. Le sanzioni amministrative e il processo tributario vanno avanti indipendentemente dal procedimento penale, salvo casi di sospensione in attesa di esiti penali (rari, perché oggi le Corti tendono a decidere a prescindere dal penale, anche perché le prove e gli scopi sono diversi) . Attenzione: non c’è ne bis in idem in senso stretto tra sanzione tributaria e sanzione penale, poiché sono ritenute avere natura diversa (salvo eccezioni in ambito CEDU, ma al 2025 l’Italia mantiene il doppio binario). Quindi si possono subire sia la sanzione pecuniaria che la condanna penale per i medesimi fatti, senza che una escluda l’altra .

Tutela del contribuente in sede penale: se scatta il procedimento penale, il contribuente avrà opportunità difensive specifiche (memoria al PM, interrogatorio, ecc.). Da notare che estinguere il debito tributario non estingue automaticamente tutti i reati: a differenza dell’omesso versamento (dove pagare il dovuto prima del dibattimento estingue il reato), per dichiarazione infedele/fraudolenta il pagamento integrale può solo mitigare la pena (attenuante del risarcimento), ma non estinguerla. Nel 2023 è stata introdotta una nuova causa di non punibilità per alcuni reati tributari minori in caso di integrale pagamento del debito, ma non copre i reati dichiarativi come infedele o omessa dichiarazione . In sintesi, se superate le soglie, la denuncia penale avrà il suo corso anche se poi si paga quanto evaso (ciò può evitare l’aggravamento ma non il processo, salvo eventuali future riforme).

Da ultimo, va ricordato che in ambito penale tributario vige il principio del “favor rei” in caso di modifiche normative: se ad esempio le soglie di punibilità vengono alzate prima della sentenza definitiva, il contribuente ne beneficia (possibile causa di non punibilità sopravvenuta). Ad agosto 2025 le soglie di €50.000 e €100.000 sono quelle fissate dal D.Lgs. 158/2015 e non risultano ulteriori innalzamenti; anzi nel 2019 per altri reati (fatture false) c’è stato un abbassamento soglie. È bene dunque mantenersi aggiornati su eventuali deleghe fiscali che possano modificare il quadro (la legge delega 2023 non ha toccato le soglie penali dichiarative, al momento).

Conclusione pratica: per la stragrande maggioranza dei contribuenti che ricevono una contestazione di omessa registrazione fatture, il reato scatta solo nei casi di evasione significativa. Se l’importo evaso è limitato, si rimane nell’alveo amministrativo (sanzioni pecuniarie). Se invece l’evasione è sopra le soglie, occorre prepararsi anche a difendersi penalmente, con l’ausilio di un avvocato penalista esperto di tributario. In ogni caso, la collaborazione (ad esempio il pagamento del debito tributario, la regolarizzazione spontanea prima possibile) è sempre consigliabile: anche se non estingue tutti i reati, dimostra buona fede e riduce il profilo soggettivo di dolo, potendo influire sulle decisioni (archiviazioni possibili per tenuità se la soglia superata di poco, attenuanti in sentenza, ecc.).

Rapporto con il commercialista o consulente fiscale

Un aspetto delicato è il ruolo dell’intermediario fiscale (commercialista, consulente, CAF) in queste violazioni. Spesso, l’imprenditore si affida a un professionista per la tenuta della contabilità e l’adempimento delle dichiarazioni. Cosa accade se l’omessa registrazione di fatture è dovuta a un errore o negligenza del commercialista? Ad esempio, l’azienda consegna tutte le fatture al consulente ma questi ne smarrisce alcune o dimentica di registrarle.

Dal punto di vista del Fisco, la responsabilità resta in capo al contribuente. L’ordinamento tributario si fonda sul principio che ogni soggetto d’imposta è responsabile delle proprie dichiarazioni e scritture, anche se delega materialmente a un professionista. Non vi è una esimente automatica “colpa del commercialista”. In altre parole, l’Agenzia delle Entrate pretenderà comunque le imposte evase e applicherà le sanzioni al contribuente, non potendo rivalersi direttamente sul consulente (che non è parte del rapporto tributario).

Ciononostante, in sede contenziosa il contribuente può cercare di far valere la propria buona fede e l’assenza di colpa grave, dimostrando di aver fornito al commercialista tutti i dati e documenti necessari e che l’errore è stato totalmente di quest’ultimo a sua insaputa. L’art. 6 del D.Lgs. 472/1997 prevede espressamente che “nelle violazioni punibili con sanzione amministrativa, la colpa del contribuente è presunta, salvo prova contraria” e che “il contribuente non è punibile se dimostra che il fatto è dovuto a causa di forza maggiore”. Ora, un errore del consulente non è forza maggiore (che riguarda eventi imprevedibili estranei alla volontà umana, tipo incendio, calamità), ma potrebbe rientrare in un errore scusabile se il contribuente ha adottato ogni diligenza. Ad esempio, Cassazione in alcuni casi di appropriazione indebita da parte del consulente (che incassava le somme destinate alle imposte e non le versava) ha riconosciuto che il contribuente, ingannato, poteva andare esente da sanzioni se provava l’assenza di qualsiasi negligenza da parte sua . Tuttavia, si tratta di situazioni estreme e non facilmente generalizzabili. Nella prassi, le Commissioni tributarie tendono raramente ad annullare sanzioni per “errore del consulente”, a meno che il contribuente provi rigorosamente di aver fatto tutto il possibile.

Un esempio: Contribuente affetto da grave malattia affida completamente la gestione fiscale a un terzo; se il terzo sbaglia, potrebbe invocare l’esimente di non imputabilità. In un caso, un contribuente con grave carcinoma sostenne di non aver potuto seguire i propri affari: la CTR rigettò comunque l’esimente perché non fu provata l’incapacità di intendere e di volere, e la Cassazione confermò che le sanzioni erano applicabili . Ciò indica che solo situazioni di totale impossibilità (incapacità legale o forza maggiore) escludono la punibilità.

Pertanto, dal lato pratico: il contribuente, se subisce un danno dal comportamento negligente del professionista, ha la strada di un’azione di rivalsa civile. Può chiedere al commercialista il risarcimento delle sanzioni e oneri subiti a causa del suo errore. I commercialisti sono tenuti a polizze assicurative proprio per coprire questi rischi. Ad esempio, se per errore del consulente non sono state registrate fatture e arriva una sanzione di 10.000 €, il contribuente può pagare per chiudere la vicenda col Fisco (magari con riduzione) e poi agire civilmente verso il consulente per farsi rimborsare quel costo extra. È chiaro che occorrerà provare in giudizio la colpa professionale (p.es. consegna dei documenti tempestiva ecc.).

Sul piano deontologico, il contribuente può anche presentare un esposto all’Ordine dei Dottori Commercialisti per segnalare l’errore del professionista, qualora grave. Questo però non risolve il suo problema tributario immediato, ma può portare a sanzioni disciplinari per il professionista.

In sintesi: di fronte al Fisco, “paga” il contribuente, poi eventualmente potrà rivalersi sul consulente. Fa eccezione soltanto il caso in cui l’errore derivi da indicazioni vincolanti fornite dall’Amministrazione stessa (esempio: ci si conforma a una circolare che poi viene cambiata) – allora l’art. 10 Statuto esclude sanzioni . Ma non è il caso dell’errore del commercialista privato.

Best practice: se sei un contribuente, per prevenzione, monitora l’operato del tuo consulente, chiedi riscontri sulle liquidazioni IVA, controlla ogni tanto i registri o almeno i principali dati di fatturato dichiarati. In caso di errori, farli correggere subito via ravvedimento può salvare da guai peggiori. Se l’errore è già sfociato in accertamento, coinvolgi il consulente nella predisposizione della difesa – e valuta con un legale un’eventuale lettera di messa in mora al consulente per tenere traccia delle sue responsabilità.

Procedura difensiva e contenzioso tributario: cosa fare in pratica

Affrontare una contestazione di questo tipo richiede di seguire passo passo una strategia. Elenchiamo le fasi e le opzioni principali dal momento della notifica dell’atto:

1. Valutazione iniziale dell’atto: Appena ricevuto l’avviso di accertamento (o atto di contestazione), leggerlo attentamente. Verificare: – Quali annualità e imposte sono coinvolte. – L’ammontare delle imposte contestate e delle sanzioni. – Se è allegato (o citato) un PVC della Guardia di Finanza o altri documenti: in caso affermativo, assicurarsi di averne copia. Se l’atto cita un PVC ma non è allegato né fu consegnato in sede di verifica, si può eccepire la nullità per difetto di motivazione , ma solo se il PVC contiene elementi essenziali non altrove conoscibili. È comunque buona norma chiedere all’ufficio copia di eventuali allegati non ricevuti. – La motivazione: è chiara la ragione della pretesa? Ci sono contraddizioni? (Es. l’AE ipotizza due ricostruzioni alternative dei fatti, il che può rendere nullo l’atto per difetto di chiarezza ). – La firma e indicazione del responsabile del procedimento: oggi la mancata indicazione del responsabile NON comporta nullità per gli avvisi (lo era solo per cartelle esattoriali) . – La data di notifica e il termine ultimo per pagare o ricorrere (annotare la scadenza dei 60 giorni). – Eventuali errori evidenti (es. calcoli sbagliati, aliquote sbagliate). Ad esempio, se hanno applicato un’aliquota IVA errata – comunque la Cassazione dice che se da imponibile e imposta si deduce l’aliquota, l’errore non invalida l’atto .

2. Decidere se aderire, pagare o ricorrere: Questa è la scelta cruciale. Le opzioni: – Pagare con acquiescenza entro 60 giorni, beneficiando della riduzione di 1/3 sulle sanzioni . Conviene se si riconosce che l’accertamento è fondato, non vi sono buoni motivi di ricorso e magari l’importo non è eccessivo. Si evitano ulteriori spese e si chiude subito la questione (salvo penale, se del caso). – Chiedere accertamento con adesione entro lo stesso termine di 60 giorni (in realtà la legge consente di presentare istanza anche successivamente, ma farlo subito sospende i termini e mostra volontà collaborativa). L’adesione apre una fase di trattativa con l’ufficio: si può ottenere uno sconto sulle imposte o almeno sulle sanzioni (che scendono a 1/3 del minimo come detto). Anche il pagamento rateale è più agevole (fino a 8 rate trimestrali, o 16 se importo >50k). Presentare istanza di adesione sospende per 90 giorni il termine per fare ricorso . Dal 2024 però, se l’accertamento era preceduto da un contraddittorio obbligatorio, la sospensione è solo di 30 giorni (in base alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 108/2024) . L’ufficio inviterà il contribuente a comparire per discutere; se si trova un accordo, si firma un atto di adesione con i nuovi importi. – Ricorrere alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione) entro 60 giorni: se si opta per il contenzioso, occorre notificare un ricorso all’ente impositore competente. Il ricorso va redatto da sé o tramite difensore abilitato (se l’importo in contestazione supera €3.000, è obbligatorio farsi assistere da un avvocato, commercialista o esperto abilitato) . Dal 2024 non esiste più l’obbligo di tentare il reclamo/mediazione per importi fino a 50k: tale istituto è stato abrogato per i ricorsi notificati dal 4 gennaio 2024 . Quindi il ricorso è immediatamente procedibile in giudizio, senza aspettare ulteriori 90 giorni come in passato. Andando in causa, la sanzione resta al 100% (salvo eventuale riduzione discrezionale dal giudice) ma si può puntare ad annullare o ridurre la pretesa. Bisogna considerare i costi: contributo unificato (150€ fino a 50k, 250€ fino a 100k, oltre 500€) , eventuali spese di CTU se servono, e le spese legali. Se si vince, si può chiedere la rifusione delle spese, ma spesso i giudici liquidano importi inferiori ai reali costi legali . Vale la pena ricorrere se l’atto presenta vizi sostanziali o formali importanti, o se gli importi contestati sono elevati e si hanno elementi per difendersi. Se l’atto è palesemente corretto e l’evasione c’è, fare causa può solo prendere tempo, accumulando però interessi e rischiando ulteriori spese . In tal caso, meglio definire subito.

Non sono scelte mutualmente esclusive immediatamente: uno potrebbe chiedere adesione e, se fallisce, fare comunque ricorso. L’importante è non far trascorrere i 60 giorni senza aver fatto nulla, altrimenti l’atto diviene definitivo.

3. Pagamento del “provvisorio” (1/3): Se si fa ricorso (o anche se si chiede adesione oltre i 60 giorni senza ancora conclusione), la legge non sospende totalmente la riscossione. Entro 60 giorni dalla notifica occorre comunque versare 1/3 delle imposte accertate (le sanzioni e interessi su quei 2/3 restanti sono sospesi automaticamente fino a sentenza di primo grado). Questo pagamento di un terzo è detto importo provvisoriamente dovuto. Se il contribuente non lo versa, l’Agenzia può iscriverlo a ruolo e affidarlo all’Agente della riscossione (ex Equitalia) decorso il termine, iniziando la procedura coattiva per quel terzo . In pratica: presentare ricorso non blocca il pagamento di quella quota, a meno che il contribuente ottenga una sospensione giudiziale.

4. Istanza di sospensione cautelare: Se il pagamento immediato di quel 1/3 crea grave danno (ad es. problemi di liquidità che mettono a rischio l’azienda) si può richiedere al giudice tributario una sospensiva dell’esecuzione dell’atto . Nel ricorso o con istanza separata si chiede al Presidente della sezione una sospensione adducendo fumus boni iuris (motivi del ricorso fondati) e periculum (danno grave e irreparabile dal pagamento). Il giudice, entro circa 2-3 mesi, decide . Se concede la sospensione, la riscossione di quell’1/3 è bloccata fino alla sentenza di primo grado (o altra data stabilita); se la nega, bisogna pagare il terzo o il Fisco potrà esigerlo. Dal 2023, in caso di esito sfavorevole in primo grado, la riscossione del resto è stata rallentata (si aspetta 180 giorni prima di esecuzione) , ma sono dettagli tecnici. L’importante: chiedere la sospensione se il pagamento immediato è insostenibile. Va documentata la situazione economica (bilanci, cash flow) per convincere il giudice.

5. Giudizio di primo grado: Se si va avanti, la causa seguirà il suo corso. Il processo tributario è in gran parte documentale. In prima udienza si discuterà il caso; il contribuente può depositare memorie aggiuntive, produrre documenti (nei termini previsti), eventualmente richiedere una CTU contabile se serve (rara in questi casi). Il tempo medio è 1-2 anni per la sentenza . Durante questo tempo, in base a come evolve la situazione, si può sempre transigere: fino all’udienza si può proporre conciliazione giudiziale, magari se emergono spiragli. Se la conciliazione avviene, le sanzioni sono ridotte (attualmente al 50% di quelle irrogate) e si chiude la lite.

6. Dopo la sentenza: Se il contribuente vince totalmente, l’atto è annullato e se aveva pagato il terzo gli deve essere restituito (o compensato). Se perde, può appellare in secondo grado (Corte Giust. Trib. di secondo grado, ex CTR) entro 60 gg. Va notato che, se il Fisco vince in primo grado, può riscuotere un ulteriore 50% delle imposte contestate, oltre al primo terzo, durante l’appello . E se vince anche in secondo, riscuote il rimanente 1/3. Quindi, in caso di soccombenza totale, si finisce per pagare tutto prima della Cassazione. Se invece il contribuente vince in primo grado, nulla di più paga (finché eventualmente la sentenza non fosse ribaltata). Il sistema è congegnato per evitare che il contribuente usi il processo solo per rinviare all’infinito il pagamento: paga a scaglioni man mano che perde ai vari gradi .

7. Motivi di ricorso tipici: Nella predisposizione del ricorso, i motivi di impugnazione possono essere di legittimità/formali e di merito: – Vizi formali/legittimità: – Notifica irregolare (ad esempio a soggetto sbagliato, fuori termine, vizio nella PEC): può invalidare l’atto se la notifica non è sanata. – Difetto di motivazione: se l’atto non espone sufficientemente i presupposti o non allega atti essenziali (PVC non noto) . Come visto, però, bisogna anche dimostrare che la parte non allegata conteneva elementi nuovi e decisivi non altrimenti conosciuti . – Mancato contraddittorio preventivo: per accertamenti scaturiti da verifiche svolte dal 1° luglio 2020 in poi, in molti casi è obbligatorio un contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso (specie in materia di tributi armonizzati come l’IVA, e ora la riforma fiscale 2023-24 estende l’obbligo generalizzato con alcune eccezioni). Se l’Agenzia ha emesso l’avviso senza prima invitare il contribuente a fornire osservazioni (quando doveva farlo), l’atto è nullo per violazione del diritto di difesa (art. 12 comma 7 L.212/2000, art. 5-ter D.Lgs. 218/1997, nuovo art. 17-bis DPR 600/73 come modificato) . Occorre eccepirlo come vizio. – Termine di decadenza scaduto: verificare anno per anno se l’avviso è stato notificato entro i termini (5 o 7 anni, o 8/10 in caso di raddoppio). Se l’ufficio invoca il raddoppio per reato, controllare che la denuncia sia stata presentata in tempo utile . – Errore nella motivazione o elementi contraddittori: come citato, se la motivazione adduce ricostruzioni alternative inconciliabili, si può sostenere la nullità (Cass. 13620/2023) . – Violazione di norme procedurali: es. avviso emesso prima che scadessero i 60 giorni dal rilascio del PVC (violazione art. 12 c.7 Statuto) senza urgenza motivata; mancata sottoscrizione da parte di funzionario titolato; difetto di autorizzazioni eventualmente necessarie (accertamento parziale non autorizzato, ecc.). – Errori formali dell’atto: come l’esempio dell’aliquota IVA non indicata: ma Cass. 22407/2022 dice che se imponibile e imposta sono indicati, l’aliquota è ricavabile e l’errore è irrilevante . Oppure la mancata indicazione responsabile procedimento: irrilevante (Cass. 1042/2023) . Quindi occorre vedere caso per caso se un errore formale è essenziale o no. Il giudice tende a non annullare per meri formalismi innocui.

  • Questioni di merito:
  • Inesistenza della materia imponibile: il contribuente può contestare la fondatezza fattuale dell’accusa di vendite non fatturate. Ad esempio, provare che quelle somme movimentate non erano ricavi, ma – poniamo – finanziamenti soci, o che determinati documenti extracontabili erano solo preventivi non confermati, ecc. Se si riesce a dimostrare che non vi è stata in realtà un’operazione imponibile, l’accertamento cade.
  • Quantificazione esagerata: spesso il Fisco, in mancanza di fatture, ricostruisce induttivamente un certo ammontare di ricavi. Il contribuente può contestare il metodo ricostruttivo, portare prove contrarie (documenti, testimonianze ammissibili solo se cade il divieto per fatti penali o simili), evidenziare incongruenze. Ad esempio, potrebbe mostrare che parte del denaro in entrata sul conto proveniva da vendita di beni personali e non dall’attività (se dimostrabile), o che taluni appunti erano duplicazioni, ecc. L’onere probatorio è a carico del contribuente una volta che l’ufficio ha elementi presuntivi gravi, ma vale la pena mettere in dubbio la pretesa per ridurla.
  • Applicazione di normative errate: a volte l’ufficio può aver sbagliato il diritto. Esempio: considerare imponibili operazioni esenti o fuori campo. Se il contribuente riesce a inquadrare diversamente la natura di certe transazioni (es. contributi fuori campo IVA scambiati per ricavi), può eliminare l’IVA richiesta.
  • Detrazioni e costi non considerati: se l’accertamento aggiunge ricavi, il contribuente può far valere i costi correlati deducibili o l’IVA a credito collegata. Ad esempio Cass. n.20617/2020 ha ribadito che il Fisco, anche se il contribuente non ha tenuto la contabilità né presentato dichiarazione, non può negare il diritto a dedurre costi o detrarre IVA se vi sono i requisiti sostanziali e il contribuente esibisce le fatture relative . Ciò in ossequio al principio di neutralità IVA e capacità contributiva: se emergono vendite non fatturate ma anche acquisti correlati non registrati, l’ufficio deve computare anche l’IVA sugli acquisti a detrazione (purché il contribuente produca le fatture in sede contenziosa) . E per i costi, uguale: vanno dedotti se inerenti, anche se non registrati inizialmente . In pratica, il contribuente può “correggere” l’accertamento facendo valere ciò che l’ufficio ha tralasciato a suo sfavore.
  • Buona fede e proporzionalità della sanzione: come ultimo argomento, il contribuente può chiedere al giudice, in caso riconosca la violazione, di applicare il principio di proporzionalità nell’irrogazione della sanzione (le Commissioni hanno facoltà di ridurre le sanzioni se le ritengono sproporzionate, entro i minimi edittali, e possono disapplicarle se violano principi UE nei tributi armonizzati). Ad esempio, invocando che l’errore è stato frutto di una confusione su norme, o che è già stato pagato spontaneamente prima dell’accertamento (ravvedimento), o ancora – come visto – che si tratta di violazione formale non punibile . Questi argomenti possono non annullare l’atto, ma persuadere il giudice magari a ridurre le sanzioni al minimo o eliminarle.

8. Esempio di difesa vincente: Un caso notevole è Cass. n.21105/2018: il contribuente ebbe annullato l’avviso perché l’Agenzia richiamava un verbale della GdF senza averlo allegato né prodotto in giudizio; la Cassazione confermò la nullità poiché il verbale conteneva elementi essenziali che il contribuente non aveva potuto conoscere diversamente . Altro esempio: Cass. 13620/2023 annullò un avviso in cui il Fisco, nella motivazione, presentava due teorie alternative sul perché c’erano ricavi non dichiarati, in modo talmente ambiguo da ledere il diritto di difesa . Ciò a conferma che vizi formali e procedurali possono far cadere anche pretese fondate, se ben utilizzati.

9. Costi e benefici del contenzioso: Come segnalato, fare ricorso ha dei costi e non sempre conviene se l’esito prevedibile è sfavorevole. Occorre fare una valutazione economica: ad esempio, se il Fisco chiede €10.000 di cui €4.000 di sanzioni che possono scendere a €2.600 con acquiescenza, e la posizione è indifendibile, impugnare potrebbe far spendere €2.000 di legale e alla fine pagare comunque con interessi, superando magari €12.000. Invece definire subito costerebbe intorno a €8.600 (con sconto sanzioni) e stop. Viceversa, se la richiesta è €100.000 e c’è anche rischio penale, investire nella difesa può far risparmiare decine di migliaia e/o evitare condanne, quindi ha senso. In generale: il ricorso conviene se vi sono fondati motivi di contestazione su merito o forma, e se l’ammontare in gioco è rilevante. Se l’atto è formalmente impeccabile e il contribuente oggettivamente in torto, il contenzioso servirà solo a guadagnare tempo pagando comunque poi (con più interessi) . In tal caso meglio puntare a una definizione agevolata e ridurre i danni. Al contrario, se ci sono evidenti vizi o se l’accertamento è eccessivo, il ricorso può portare a soluzioni, se non all’annullamento totale, quantomeno a una conciliazione vantaggiosa in cui l’Agenzia, temendo di perdere, offre condizioni più miti .

Esempio pratico: simulazione di un caso

Per rendere concreti questi concetti, consideriamo un esempio ipotetico e seguiamone gli sviluppi:

Scenario: La ditta individuale ABC di Mario Rossi, che si occupa di commercio all’ingrosso, nel 2023 ha effettuato alcune vendite in nero. In particolare, ha venduto merce per un valore di €30.000 (oltre IVA) senza emettere né registrare fattura a tre diversi clienti (operazioni frammentate). Nessuno dei clienti ha segnalato la mancata fattura (magari erano consumatori finali). Mario Rossi presenta la dichiarazione IVA 2024 per l’anno 2023 indicando un volume d’affari inferiore di €30.000 e versando quindi meno IVA di quanto dovuto.

Accertamento: Nel 2025 la Guardia di Finanza esegue una verifica trovando, sul computer di ABC, un foglio di calcolo dove erano annotati quei ricavi extra. Inoltre, incrociando i dati dei fornitori, notano che ABC aveva acquistato beni (regolarmente fatturati dai fornitori) in quantità che non tornano rispetto alle vendite ufficiali (ci sono più acquisti di quanti ne servano per le vendite dichiarate, segno che c’è rimanenza venduta fuori contabilità). Rossi, messo alle strette, ammette parte delle vendite in nero. La GdF quantifica le vendite non fatturate in €30.000 + IVA 22% = €36.600 di imponibile+IVA evaso. Redige PVC.

Avviso di accertamento: L’Agenzia delle Entrate notifica a Mario Rossi un avviso per l’anno d’imposta 2023 contestando: – IVA dovuta in più: €6.600 (22% di 30.000). – Maggior reddito non dichiarato: €30.000 (da tassare come reddito d’impresa). Aliquota IRPEF media supposta 30% -> €9.000 di imposta evasa. – Sanzione IVA: 90% di €6.600 = €5.940 (minimo edittale). – Sanzione imposte dirette: 90% di €9.000 = €8.100. – Totale richiesto (imposte + sanzioni) = €6.600 + €9.000 + €5.940 + €8.100 = €29.640, più interessi circa €300.

Inoltre, poiché l’IVA evasa €6.600 supera la soglia di €5.000 per la rilevanza penale? (No, attenzione: per dichiarazione infedele la soglia è 100k imposta evasa, dunque non scatta. Per omessa dichiarazione non rileva perché Rossi ha presentato la dichiarazione, ancorché infedele. Nessun reato in questo caso). Dunque nessun penale, solo sanzioni amministrative.

Valutazione di Mario Rossi: – Importo non devastante (29.640 €). Ha 60 giorni. Potrebbe pagare con riduzione 1/3 sanzioni: sanzioni totali 14.040 -> 1/3 abbuono ≈ 9.360; quindi dovrà versare circa 6.600+9.000+9.360 = 24.960 €. Risparmia ~4.700 € rispetto all’iniziale. – Potrebbe tentare adesione: forse negoziando la base imponibile (magari sostenendo che 30k sono sovrastimati). Se riuscisse a farsi riconoscere qualche costo o incertezza e ridurre l’imponibile a 25k, pagherebbe IVA 5.500, IRPEF 7.500. Sanzioni in adesione: 30% di 5.500 = 1.650, 30% di 7.500 = 2.250, totale sanzioni 3.900. Totale = 5.500+7.500+3.900 = 16.900 € (più interessi) – decisamente meglio. Vale la pena provare. – Se facesse ricorso: i fatti sono abbastanza accertati (hard to win sul merito, ha ammesso pure). Potrebbe attaccarsi a qualche vizio formale? Forse no, l’avviso sembra in regola. Dunque ricorrere servirebbe solo a guadagnare tempo, ma dovrebbe comunque pagare ~1/3 (5.200 € di imposte) subito. Le spese legali e il rischio di soccombere totale (pagando poi intero con interessi) sconsigliano la via giudiziale pura. Meglio definire.

Mario Rossi sceglie l’adesione: presenta istanza di accertamento con adesione entro 30 giorni. L’ufficio lo convoca. Rossi porta documenti per convincere l’ufficio a ridurre l’imponibile: ad esempio, dimostra che su 30k di vendite, 5k erano in realtà resi dai clienti mai fatturati e riborsati (cerca attenuanti). L’ufficio, considerata la collaborazione, concorda di ridurre l’imponibile evaso da 30k a 25k. – Nuovo calcolo: IVA evasa 5,500, redditi evasi 25k (imposta 7,500). Sanzioni al 1/3 del minimo: IVA 0,305.500=1.650; IRPEF 0,307.500=2.250. – Totale col concordato: imposte 13.000 + sanzioni 3.900 = 16.900 €. Pagamento magari dilazionato in 8 rate trimestrali da ~2.200 € l’una. – Risultato: Rossi ha risparmiato parecchio rispetto ai quasi 30k iniziali e ha evitato il contenzioso.

Caso alternativo: supponiamo invece che l’evasione fosse molto più elevata, es. €300.000 di imponibile non fatturato (IVA 66.000, IRPEF 90.000). Qui Mario Rossi avrebbe avuto: – Sforamento soglia penale (imposta evasa tot 156k > 100k). Rischio reato dichiarazione infedele. – Avviso con importo enorme (imposte 156k, sanzioni ~140k). In uno scenario così, probabilmente l’adesione verrebbe comunque tentata, ma il penale complicherebbe le cose. Mario magari pagherebbe col concordato (per diminuire sanzioni e dimostrare pentimento), poi si dovrebbe difendere penalmente cercando magari patteggiamento o sospensione condizionale (visto che ha pagato tutto). Il contenzioso tributario in questo caso potrebbe essere evitato accettando il concordato, concentrandosi sulla questione penale.

Questo esempio illustra l’importanza di valutare caso per caso: importi piccoli vs grandi, presenza di reato o meno, possibilità di difesa sul merito o no, cooperazione con l’ufficio, ecc. La strada scelta (pagare, aderire o ricorrere) dipende da tutti questi fattori.

Domande frequenti (FAQ)

D: Qual è la differenza tra omessa registrazione di fatture e omessa dichiarazione IVA?
R: L’omessa registrazione di fatture riguarda singole operazioni che non vengono annotate nei registri contabili né comunicate (è una violazione “a monte”, sui documenti delle transazioni). L’omessa dichiarazione IVA invece è la mancata presentazione della dichiarazione annuale riepilogativa. Si può avere omessa registrazione di alcune fatture pur presentando comunque la dichiarazione (che in tal caso sarà infedele), oppure viceversa registrare tutto internamente ma non presentare affatto la dichiarazione annuale. Le sanzioni amministrative e i reati differiscono: l’omessa dichiarazione (ex art.5 D.Lgs 74/2000) è reato penale se l’IVA evasa > €50.000 , mentre l’omessa registrazione in sé non è reato ma genera sanzioni amministrative (90% dell’IVA evasa etc.) . Spesso però le due cose coesistono nei casi più gravi (chi non registra nulla magari non dichiara neanche nulla).

D: Ho dimenticato di registrare (o emettere) una fattura: posso rimediare da solo prima che se ne accorga il Fisco?
R: Sì. Se ti accorgi dell’errore prima che l’irregolarità sia contestata (prima di ricevere inviti o avvisi sull’argomento), puoi utilizzare il ravvedimento operoso. Ciò comporta emettere immediatamente la fattura (se omessa) inviandola tramite SdI con le dovute indicazioni di ritardo, registrarla nei registri e presentare eventualmente una dichiarazione IVA integrativa se necessario. Occorre versare l’IVA dovuta con interessi e una sanzione ridotta. La sanzione, grazie al ravvedimento, scende moltissimo: ad esempio, se sono trascorsi mesi ma meno di un anno dalla violazione, pagherai 1/8 del minimo (quindi circa l’11,25% dell’IVA anziché 90%) ; se meno di 90 giorni, addirittura 1/9 (10%). Più rapido sei, meno paghi. Se registri la fattura omessa entro la liquidazione successiva all’operazione, la violazione potrebbe essere considerata solo formale e quindi sanzionata con importo fisso o addirittura non punibile . In pratica: sì, conviene ravvedersi subito. Dopo che il Fisco avvia un controllo specifico, il ravvedimento non è ammesso.

D: Il mio cliente non ha ricevuto la fattura e ha emesso autofattura: io sono a posto oppure no?
R: Non sei affatto a posto. La normativa (art. 6, co.8 D.Lgs 471/97) obbliga il cliente a emettere autofattura dopo 4 mesi per tutelare l’erario, ma questo non estingue la tua violazione. Come chiarito anche dalla Cassazione , se il cliente versa l’IVA con autofattura e se la porta in detrazione, l’Erario in realtà non incassa nulla (perché l’IVA pagata viene contestualmente detratta). Dunque tu, fornitore, rimani debitore dell’IVA evasa e soggetto a sanzione per omessa fatturazione. L’autofattura serve solo a evitare che il cliente subisca la sanzione di pari importo e che l’IVA vada totalmente persa, ma non esonera il venditore. Pertanto devi comunque regolarizzare la tua posizione (emettendo fattura tardiva al cliente con riferimento all’autofattura) e potresti essere multato. Anche in questo caso, meglio ravvedersi spontaneamente appena ci si rende conto.

D: Entro quanti anni mi possono notificare un accertamento per queste violazioni?
R: In generale, fino al 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui è avvenuta l’omissione . Ad esempio, se nel 2023 hai omesso fatture, la dichiarazione IVA 2024 (riferita al 2023) è stata presentata magari ad aprile 2024: il Fisco ha tempo fino al 31 dicembre 2029 per notificare l’accertamento. Se però non hai presentato la dichiarazione per quell’anno, i termini si allungano al 7° anno successivo (nel caso sopra, 31 dicembre 2031). Esiste poi il caso del raddoppio dei termini: se l’omissione configura un reato tributario e l’ufficio invia denuncia penale, i termini raddoppiano (diventando 10 anni in caso di dichiarazione presentata, 14 se omessa). Ma attenzione: questo raddoppio vale solo se la denuncia è effettuata entro i termini ordinari . Se il Fisco si “accorge” dopo e denuncia tardivamente, non può raddoppiare i termini. Riassumendo: normalmente 5 anni (dich. presentata) o 7 (omessa); se reato denunciato tempestivamente, 8 o 10 (in base alla normativa attuale, che tecnicamente parla di raddoppio se la notitia criminis è inviata in tempo utile). In pratica, in vicende gravi possono arrivare avvisi fino a 8-10 anni dopo i fatti.

D: Cosa succede se ignoro l’avviso di accertamento e non pago né faccio ricorso?
R: Dopo 60 giorni dalla notifica, l’avviso diventa definitivo. A quel punto l’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) riceve il ruolo e può emettere una cartella esattoriale o atto di intimazione per riscuotere coattivamente. Può attivare procedure come il fermo amministrativo sui veicoli, l’ipoteca su immobili, il pignoramento di conti correnti o stipendio, ecc., per recuperare le somme dovute. Inoltre, perdi ogni possibilità di beneficiare di riduzioni sanzioni: pagherai il 100% delle sanzioni, interessi di mora aggiuntivi e anche oneri di riscossione. Ignorare l’atto non lo fa sparire – anzi, peggiora la situazione. Se ti sei dimenticato di fare ricorso in tempo per qualche motivo, puoi provare l’istanza in autotutela all’ufficio (cioè chiedere all’Agenzia di annullare d’ufficio l’atto per evidenti errori), ma è totalmente discrezionale e rara. In casi di forza maggiore (es. non hai ricevuto la notifica) potresti fare un ricorso tardivo se provi il vizio di notifica. Altrimenti, l’atto è definitivo e va pagato.

D: Posso chiedere di pagare a rate queste somme?
R: Sì, ci sono varie possibilità: – In fase di accertamento con adesione: l’accordo prevede di solito la possibilità di dilazionare il pagamento fino a 8 rate trimestrali (se importo ≤ €50.000) o 16 rate (se oltre €50.000). Quindi circa 2-4 anni di tempo, con interesse legale. – In caso di acquiescenza (pagamento entro 60 gg con sanzioni ridotte), la normativa prevede il pagamento in unica soluzione. Però se non riesci integralmente, potresti comunque versare qualcosa e poi per il resto seguirà il ruolo con possibilità di rateazione (vedi punto successivo). – In fase di cartella esattoriale: una volta che il debito passa all’Agente della Riscossione, puoi chiedere una rateizzazione fino a 72 rate mensili (6 anni) o, se il debito è molto alto e sei in difficoltà, fino a 120 rate (10 anni) in certi casi. La domanda va fatta all’AdER e viene quasi sempre accettata se rientri nelle soglie di legge. – Dal 2023 ci sono state anche definizioni agevolate (rottamazione cartelle) per carichi affidati fino al 2021 ad esempio, ma se il tuo debito è recente nel 2025 devi vedere future edizioni di rottamazione. Comunque la rateazione ordinaria resta il metodo base. – Nota: se fai ricorso e perdi in primo grado, anche l’importo aggiuntivo (il secondo 1/3) può essere rateizzato con AdER. In generale la dilazione è fattibile, ma attento a chiederla nei tempi giusti. Se lasci scadere e la procedura va avanti con pignoramenti, complica le cose. Meglio attivarsi appena ricevi la cartella.

D: Il commercialista ha sbagliato, devo comunque pagare io? Posso non pagare e far pagare lui?
R: Nei confronti del Fisco, devi pagare tu. Purtroppo l’Amministrazione non entra nelle diatribe tra contribuente e consulente: se c’è un’omissione in dichiarazione o registrazione, la responsabilità fiscale è tua, indipendentemente da chi materialmente ha commesso l’errore. Ciò detto, hai il diritto di rivalerti sul commercialista in sede civile. Puoi chiedergli il risarcimento di imposte, sanzioni e interessi causati dal suo errore. Se rifiuta, puoi intentare causa: dovrai dimostrare la colpa professionale (es. hai consegnato tutti i documenti, lui li ha persi o dimenticati) e il danno subito (pagamenti al Fisco). Spesso, se palese l’errore, il professionista potrebbe avere un’assicurazione che rimborsa queste somme. Ma intanto col Fisco devi sistemare tu (magari cercando di mitigare sanzioni per buona fede, ma non è garantito). Quindi: paga/rateizza quello che devi per fermare sanzioni e interessi, poi valuta azione di rivalsa. In aggiunta, puoi presentare un esposto all’Ordine dei Commercialisti per segnalare il comportamento, se grave.

D: Ho evaso IVA ma ora vorrei mettermi in regola pagando tutto spontaneamente. Posso evitare il processo penale?
R: Dipende dal reato: – Se si tratta di omesso versamento IVA (art.10-ter), la legge prevede che se paghi integralmente l’IVA dovuta e interessi prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il reato è estinto (non si procede). Quindi, per omessi versamenti (che scattano se >€250k per anno) c’è questa àncora di salvezza. – Per i reati di dichiarazione infedele o fraudolenta, invece, attualmente non c’è una causa estintiva generalizzata tramite pagamento. Neanche il ravvedimento postumo salva dal penale se il reato era già perfezionato con la presentazione della dichiarazione infedele. Tuttavia, pagare tutto prima del giudizio costituisce una circostanza attenuante (generica del risarcimento del danno) che può ridurre significativamente la pena ed evitare misure accessorie. Inoltre, in alcuni casi di lieve superamento della soglia, il pagamento integrale può favorire la richiesta di particolare tenuità del fatto o di patteggiamento con pene minime. Attenzione: nel 2023 il Governo ha discusso la possibilità di estendere l’estinzione per pagamento anche ai reati dichiarativi, ma finora la norma (art.13-bis D.Lgs 74/2000) esclude esplicitamente l’applicabilità di cause estintive a dichiarazione infedele/fraudolenta . – Quindi, se spontaneamente vuoi “pulire” la tua posizione e temi il penale: fai il ravvedimento operoso se sei ancora in tempo (così il reato proprio non sorge perché aggiusti la dichiarazione prima che sia contestata). Se il reato è già configurato (dichiarazione infedele presentata), pagare è comunque consigliabile perché dimostra ravvedimento operoso e potrebbe evitare l’arresto cautelare, facilitare soluzioni processuali (patteggiamento, tenuità se di poco sopra soglia). Ma una volta superata soglia e scaduti termini ravvedimento, non hai la garanzia di evitare il processo penale: dovrai affrontarlo, sebbene da una posizione migliore (nessun debito tributario pendente).

D: In un accertamento per fatture omesse, posso usare testimonianze a mio favore?
R: Nel processo tributario, la prova testimoniale orale è vietata (art. 7 D.Lgs. 546/92). Questo spesso limita la difesa del contribuente. Tuttavia, ci sono eccezioni: se si arriva a dimostrare che il fatto ha rilevanza penale e la testimonianza è già raccolta in sede penale, talvolta la giurisprudenza ne ammette l’uso come prova documentale (dichiarazioni verbalizzate). Inoltre, se proprio la mancanza di fatture rende impossibile provare per documenti, la Cassazione (sent. 18642/2023) ha aperto a un principio: in casi di forza maggiore o impossibilità, è consentita la prova per presunzioni o testimoni anche in ambito tributario, in deroga ai limiti ordinari . Quindi, se hai testimoni chiave (es. clienti che confermano che certe somme non erano ricavi ma rimborsi spese, ipotizziamo), puoi farli eventualmente sentire in sede penale o farli mettere per iscritto e tentare di usarlo come prova presuntiva. Non è semplice, ma non totalmente escluso. In generale, però, devi puntare su prove documentali: estratti conto, email, contratto, perizie, tutto quel che può sostenere la tua versione.

D: L’accertamento è nullo perché manca l’aliquota IVA indicata. È vero?
R: In passato alcune CTP annullavano atti che non specificavano l’aliquota IVA applicata. Oggi la Cassazione (es. sent. 22407/2022) ha chiarito che non è un vizio invalidante se dall’atto si deduce comunque l’aliquota . Se ad esempio l’avviso dice “imponibile €10.000, IVA €2.200” è sottinteso il 22%. Quindi non si può fare i furbi su questo. Diverso se proprio non fosse chiaro quali aliquote applicate e su che basi: ma di solito è chiaro. Idem per la mancata indicazione del responsabile del procedimento: per gli avvisi non è più causa di nullità (lo era per le cartelle ante 2020) . Insomma, non tutte le omissioni formali nell’atto comportano nullità – solo quelle che ledono i diritti difesa. Dunque, occhio a fare eccezioni pretestuose, i giudici le respingono.

D: Il Fisco ha ricostruito ricavi non dichiarati basandosi su presunzioni (spese, prelievi bancari…). Io devo dimostrare qualcosa o basta negare?
R: Quando l’Ufficio porta elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (ad es. movimenti su conto non giustificati, differenze tra acquisti e vendite, documenti extracontabili), si attua un’inversione dell’onere della prova. Significa che spetta a te contribuente dimostrare che quelle presunzioni sono errate o che i ricavi “in nero” in realtà non erano tali . Non basta una semplice negazione. Devi fornire prova contraria: per esempio, dimostrare che i versamenti sul conto erano apporto di capitale proprio, o che la contabilità parallela era una simulazione non attuata, ecc. Se non fornisci controprove credibili, la presunzione regge e l’accertamento viene confermato. Quindi, sì, tocca a te attivarti per smontare le tesi del Fisco.

D: Se l’azienda è in liquidazione o ho chiuso la partita IVA, possono ancora farmi accertamenti?
R: Sì. La cessazione dell’attività o la liquidazione della società non impediscono gli accertamenti per le annualità in cui eri attivo. Se si tratta di ditta individuale o professionista, tu resti personalmente responsabile degli obblighi fiscali passati anche dopo la chiusura. Se è una società, durante la liquidazione il liquidatore può ricevere avvisi; se la società è già estinta, le sanzioni tributarie si trasmettono ai soci (pro quota) se commesse dalla società, mentre l’imposta in teoria no, ma l’Agenzia spesso notifica comunque ai soci “in solido” per utili distribuiti. In ogni caso, chiudere la partita IVA non dà immunità: i controlli possono arrivare entro i soliti termini di decadenza. Quindi conservate libri e documenti anche dopo la chiusura, per difendervi in caso di controlli tardivi.

D: È vero che se pago tutto con adesione non posso essere perseguito penalmente?
R: No, non è vero in generale. Pagare tutto con adesione (o acquiescenza) ti risolve la parte fiscale e riduce le sanzioni, ma sul fronte penale la notizia di reato era probabilmente già partita con il PVC. Come detto, per i reati di dichiarazione infedele/frode il pagamento non estingue il reato, quindi la Procura potrebbe comunque procedere. Certo, il fatto che hai pagato integralmente può spingerli a valutare la tenuità o a chiedere un patteggiamento mite, ma non garantisce l’archiviazione. Invece, se il reato fosse di omesso versamento (art.10-ter), lì sì che pagando scongiuri il processo. Ma quello riguarda chi ha dichiarato l’IVA e non l’ha versata, scenario diverso. Nel caso tipico di omessa fatturazione, si parla di infedele dichiarazione: pagamento entro l’adesione non evita il penale se le soglie penali erano superate. Rimane però un’ottima mossa per limitare danni (niente debito residuo, attenuanti piene in sede penale).

D: In caso di controlli, come posso prevenire contestazioni pesanti?
R: La prevenzione migliore è emettere e registrare sempre tutte le fatture, ovviamente. Se temi di aver fatto errori, fai verifiche incrociate periodiche: ad esempio, controlla che il totale dei corrispettivi giornalieri corrisponda a vendite registrate, che gli estratti conto bancari non presentino entrate “sospette” non fatturate, che il magazzino non abbia differenze inspiegabili (indice di vendite fuori contabilità). Inoltre, assicurati di conservare la documentazione di eventuali operazioni che non richiedono fattura ma generano movimenti (es. finanziamenti soci, apporti personali), così da poterle spiegare. Se rilevi qualche omissione (es. una fattura dimenticata), agisci con ravvedimento prima che arrivi una lettera di compliance o un controllo. Infine, cura molto il contraddittorio con i verificatori: se subisci un controllo, collabora e rilascia dichiarazioni circostanziate, produce subito le tue prove alternative. Molte contestazioni si chiudono con nulla di fatto se il contribuente fornisce spiegazioni convincenti già in verifica. Se invece restano rilievi, utilizza i 60 giorni dopo il PVC per presentare osservazioni scritte (magari con l’aiuto di un avvocato tributarista), perché talvolta l’ufficio le accoglie in autotutela parziale evitando l’accertamento su punti dubbi. In sintesi: meglio prevenire fatture omesse; ma se accade, meglio autodenunciarsi (ravvedimento) che farsi scoprire.

Tabelle riepilogative

Di seguito, per comodità, presentiamo alcune tabelle riassuntive sugli aspetti chiave trattati.

Tabella 1: Sanzioni Amministrative in caso di omessa fatturazione/registrazione

Violazione (riferimento normativo)Sanzione amministrativa prevista
Omessa emissione di fattura imponibile (art. 6 co.1 D.Lgs 471/97)90% – 180% dell’IVA relativa non documentata (minimo €500 per fattura) . Se più operazioni, sanzione per ciascuna, ma vedi cumulo giuridico con mancata registrazione.
Omessa registrazione di fatture emesse (art. 6 co.8 D.Lgs 471/97)Generalmente non aggiuntiva se correlata a omessa fatturazione della stessa operazione (sanzione unica) . In assenza di omissione fattura (es. fattura emessa ma non registrata), tecnicamente 90% dell’IVA dell’operazione, ma se l’IVA è stata comunque liquidata la violazione può considerarsi formale.
Registrazione tardiva di fatture, senza impatto su liquidazioneSanzione fissa da €250 a €2.000 (violazione formale senza danno) . Esempio: fattura emessa e pagata IVA nel periodo, ma registro aggiornato in ritardo.
Mancata tenuta/istituzione dei registri IVA (art. 9 D.Lgs 471/97)Fino al 2019: sanzione fissa €1.000 (ora abolita la vidimazione obbligatoria). Oggi contestata come violazione formale: se non c’è danno, applicazione dell’art.6 co.5-bis D.Lgs 472/97 (non punibilità) . Se impedisce i controlli = sanzionabile come infedele tenuta registri (spesso assorbita da altre sanzioni maggiori).
Infedele dichiarazione dei redditi/IVA (art. 1 co.2 D.Lgs 471/97)90% – 180% della maggiore imposta o minor credito emergente . Nel caso di fatture omesse: 90% dell’IRPEF/IRES evasa su ricavi non dichiarati (oltre a 90% dell’IVA evasa, v. sopra).
Omessa dichiarazione IVA (art. 5 D.Lgs 471/97, sul piano amministrativo)120% – 240% dell’imposta dovuta, con minimo €250. N.B.: qui si entra nella sfera penale se >50k imposta evasa. Se dichiarazione presentata entro 90 gg (tardiva), sanzione ridotta 1/10.
Altre violazioni correlate (omessa comunicazione liquidazioni periodiche, ecc.)Omessa LIPE: €500 a trimestre (ridotto a 250 se sanata entro 15 gg). Errori minori vari: sanzioni fisse ridotte (es. errore fattura elettronica: sanz. €2 per fattura, max €400 mensili, se sanato entro termini liquidazione successiva niente sanzione).

Nota: Le sanzioni indicate sono quelle “edittali”. Possono essere ridotte tramite ravvedimento, adesione, conciliazione, come spiegato nella guida. Inoltre, se la violazione è meramente formale (nessun impatto su base imponibile né controlli), non è punibile affatto per espressa previsione di legge .

Tabella 2: Soglie di punibilità penale per i principali reati tributari (D.Lgs. 74/2000)

Reato (D.Lgs. 74/2000)Condotta tipica e soglie di punibilitàPena ed eventuali attenuanti
Omessa dichiarazione (art. 5)Mancata presentazione di dichiarazione annuale IVA o redditi, con imposta evasa > €50.000 . (Se presentata entro 90gg = niente reato)Reclusione 2 – 5 anni . Circostanza attenuante se l’imposta evasa è pagata interamente prima del dibattimento (può ridurre pena fino a metà; estinzione completa solo per omesso versamento art.10-ter, non per art.5).
Dichiarazione infedele (art. 4)Dichiarazione con elementi attivi omessi >10% (min €2 mln) e imposta evasa > €100.000 . (Esclusi errori di valutazione <10%).Reclusione 2 – 4 anni e 6 mesi . Se evaso di poco sopra soglia, può operare causa di non punibilità per particolare tenuità (art. 131-bis c.p.) o attenuanti generiche. Pagamento integrale è attenuante generica (riduzione pena fino a 1/3).
Dichiarazione fraudolenta con fatture false (art. 2)Utilizzo in dichiarazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, qualsiasi importo (reato di pericolo). Soglie rilevano solo per la pena: >€100k di false fatture = fascia alta.Reclusione 4 – 8 anni se operazioni inesistenti >100k; altrimenti 1 anno e 6 mesi – 6 anni (norme inasprite dal 2019). Pagamento non estingue, ma se si salda il debito corrispondente (imposte recuperate) è visto positivamente in giudizio.
Dichiarazione fraudolenta mediante artifizi (art. 3)Attuazione di frodi contabili (es. doppie scritture, fittizie, uso di mezzi fraudolenti) per evadere. Soglia imposta evasa > €30.000 (dopo modif. 2015).Reclusione 3 – 8 anni (pene aumentate dal 2015). Anche qui pagamento = attenuante.
Emissione di fatture false (art. 8)Emissione o creazione di documenti falsi per consentire a terzi evasioni, indipendentemente dall’importo. (Soglia 100k per aggravio pena).Reclusione 4 – 8 anni se importi >100k, altrimenti 1,5 – 6 anni .
Occultamento/distruzione di scritture (art. 10)Sottrazione o distruzione di contabilità obbligatoria tale da non consentire ricostruzione reddito/IVA. Nessuna soglia: reato di pericolo.Reclusione 3 – 7 anni. (Caso tipico correlato a omessa fatturazione sistematica e mancata tenuta scritture).

Nota: In caso di procedimenti penali, il pagamento del dovuto prima del giudizio costituisce sempre attenuante e in alcuni reati (es. omesso versamento) evita il processo. Inoltre, la collaborazione con l’AG (es. ravvedimento operoso, fornitura documenti) può evitare misure cautelari. La recidiva o l’entità elevata delle somme aggravano il quadro (possibili custodie cautelari per frodi massive).

Tabella 3: Opzioni di definizione e loro effetti sulle sanzioni

Opzione difensivaQuando sceglierlaRiduzione sulle sanzioniRateazioneNote
Acquiescenza (pagamento) entro 60 gg dall’avvisoSe atto è fondato e importo sostenibile, per chiudere subito1/3 di sanzioni “abbuonato” (paghi 2/3)No (unica soluzione)Va pagato tutto entro 60 gg. Si rinuncia al ricorso. Eventuale rate poi solo con AdER per importi residui.
Accertamento con adesione (istanza entro 60 gg)Se vuoi trattare per ridurre imponibile o sanzioni; utile in caso di incertezza o importi notevoliSanzioni ridotte a 1/3 del minimo edittale (circa 30% della maggior imposta)Sì, fino 8 rate trimestrali (16 se importo alto)Sospende termine ricorso 90 gg (o 30 gg in alcuni casi dal 2024). Permette dialogo: spesso si ottiene qualche sconto su imponibili. Una volta firmato, niente ricorso.
Ricorso in Commissione (Corte Giust. Trib.)Se ci sono motivi validi di nullità o di riduzione del dovuto; o importi elevati dove tentare azzeramentoNessuna riduzione ex lege (sanzioni al 100%, salvo potere giudice di disapplicare/ridurre per cause formali o proporzione)Possibile dopo, con AdER, su importi a ruolo (vedi cartella)Serve avvocato/comm. se >€3k. Processo lungo (1-3 anni). Si può tentare conciliazione giudiziale con sanzioni al 50%. Si rischia spese legali se si perde.
Definizioni agevolate speciali (condoni, rottamazioni)Variano in base alle leggi di periodo (es. “tregua fiscale” 2023)Ad es. definizione liti pendenti in Cassazione 2023: pagamento ridotto % su imposta, sanzioni azzerate; rottamazione cartelle: no sanzioni, no interessi mora.Sì, di solito 18 rate in 5 anni per rottamazioniDipende da normative temporanee. Al 2025, prevedere possibili nuove definizioni con delega fiscale, ma nulla di strutturale confermato.

Come si vede, l’adesione è spesso la via maestra per ridurre sanzioni e gestire il debito; la via giudiziale va riservata a quando si ha una buona chance di successo o quando la richiesta è sproporzionata.

Conclusione: La contestazione per omessa registrazione di fatture IVA non è sicuramente una banalità, ma con le giuste conoscenze e strumenti è possibile affrontarla nel migliore dei modi. Bisogna muoversi con tempestività, valutare con lucidità le proprie posizioni di forza o debolezza, e sfruttare tutte le opportunità offerte dall’ordinamento – dal ravvedimento operoso, alla negoziazione con l’ente, fino alle tutele processuali – per minimizzare le conseguenze.

Ricordiamoci sempre che il fine ultimo dell’Amministrazione finanziaria è recuperare il gettito dovuto: mostrando cooperazione (pagando il dovuto, se possibile) e trasparenza spesso si ottengono i risultati migliori, sia in termini di riduzione delle sanzioni, sia, indirettamente, in chiave penale. D’altro canto, è altrettanto vero che esistono diritti del contribuente e limiti all’azione del Fisco: atti emessi fuori termine, motivazioni carenti, pretese prive di fondamento probatorio non devono essere subite passivamente. In tali frangenti, conviene far valere le proprie ragioni in giudizio, avvalendosi di professionisti competenti.

Augurandoci che questa guida, con fonti normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025, abbia fornito un quadro chiaro, il messaggio finale per chi si trova in questa situazione è: non farsi prendere dal panico, ma analizzare con calma l’accertamento, magari con l’ausilio di un esperto, e decidere una strategia. Con conoscenza e pianificazione, anche una contestazione fiscale impegnativa può essere gestita e risolta limitando i danni economici e legali.

Fonti utilizzate:

  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’IVA) e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (accertamento imposte dirette) – articoli citati nel testo.
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6 e art. 1 – Sanzioni tributarie (omessa fatturazione, infedele dichiarazione) .
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6 comma 5-bis – Non punibilità violazioni formali senza danno .
  • Statuto del Contribuente (L. 212/2000), artt. 7, 10 e 12 – Motivazione atti, tutela buona fede, contraddittorio.
  • Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 14933/2018 – Violazioni meramente formali non punibili in caso di IVA assolta e controlli non ostacolati .
  • Cass. Civ. Sez. V, sent. n. 1691/2022 – Tardiva autofatturazione (reverse charge) costituisce violazione sostanziale, regolarizzazione tardiva non esonera da sanzione .
  • Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 20617/2020 – Diritto a detrazione IVA va riconosciuto se requisiti sostanziali soddisfatti, anche se omessi obblighi formali (principio di neutralità) .
  • Cass. Civ. Sez. V, sent. n. 5072/2015 – Conferma principi Corte UE (causa Idexx) su irrilevanza inadempimenti formali totali purché sostanza provata .
  • Cass. Civ. Sez. V, sent. n. 21105/2018 – Nullità avviso per difetto di allegazione di PVC non conosciuto (motivazione per relationem incompleta) .
  • Cass. Civ. Sez. V, sent. n. 13620/2023 – Nullità avviso per motivazione contraddittoria (ricostruzioni alternative che ledono difesa) .
  • Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 22407/2022 – Errore su aliquota IVA nell’avviso è formale e non nullo se importi permettono di desumerla .
  • Cass. Civ. Sez. V, ord. n. 1042/2023 – Mancata indicazione responsabile procedimento: non causa nullità avviso .
  • Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 12146/2021 – Autofattura del cliente non libera il fornitore: quest’ultimo resta obbligato a versare IVA e subisce sanzione .
  • Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 1468/2020 – Nei servizi, prestazione resa = IVA esigibile, anche se non incassata; omessa fatturazione servizi, Fisco può presumere avvenuto incasso .
  • Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 5131/2025 – Raddoppio termini accertamento: per periodi post-2016 occorre denuncia penale inviata entro termini ordinari, altrimenti decadenza .
  • Corte di Giustizia UE, causa C-590/13 Idexx Laboratories (2014) – Principio: diritto detrazione IVA non negabile se requisiti sostanziali soddisfatti, anche se omissione formale totale .
  • Agenzia Entrate – Risposta a interpello n.115/2025 (17/4/2025) – Omessa registrazione fatture d’acquisto: perdita definitiva del diritto a detrazione IVA se oltre termine dichiarazione annuale .
  • Agenzia Entrate – Circolare 1/E del 17.1.2018 – Chiarimenti su DL 50/2017: registrazione fatture acquisto è adempimento formale; integrativa a favore ammessa per errori che causano minore detrazione (principio di neutralità) .
  • Agenzia Entrate – Circolare 77/E del 2001 – Definizioni di violazioni meramente formali vs sostanziali .
  • Decreto Legislativo 8/2023 e D.Lgs. 130/2022 – Riforma giustizia tributaria: abolizione reclamo/mediazione dal 2024, introduzione giudice monocratico, ecc. .

Cass. ord. 14933/2018 – Violazione meramente formale: “La mancata registrazione delle fatture e l’omessa istituzione dei registri IVA… costituiscono violazioni meramente formali non punibili quando non si ravvisi un danno per l’Erario… e non si arrechi pregiudizio all’azione di controllo”. In tali casi le violazioni non sono punibili .

Cass. sent. 1691/2022 – Distinzione violazioni: “Le violazioni tributarie si qualificano come (i) sostanziali, se suscettibili di incidere sulla determinazione della base imponibile o sul pagamento dell’imposta; (ii) formali, se pur non comportando alcun pregiudizio in tal senso incidono sull’attività di verifica; (iii) meramente formali, quando prive di risvolti di offensività, poiché carenti di entrambe le condizioni ora rilevate, e pertanto non punibili.” .

D.Lgs. 471/1997, art.6 e art.1 – Sanzioni: “Chi omette di fatturare una operazione imponibile… è punito con sanzione dal 90% al 180% dell’IVA relativa all’operazione non documentata, minimo €500 per fattura omessa. … Se le fatture omesse hanno causato una dichiarazione con imponibili inferiori al reale, si applica anche la sanzione del 90% della maggior imposta evasa…” .

Cass. sent. 18642/2023 – Diritto a detrazione IVA nonostante omessa dichiarazione: “I giudici di legittimità hanno sostenuto che l’Amministrazione finanziaria non può pretendere la restituzione dell’imposta per ragioni meramente formali, se sussistono i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione IVA. Occorre verificare se, in difetto dei requisiti formali (quale l’omessa presentazione della dichiarazione annuale), il soggetto passivo possa dimostrare che gli acquisti sono: documentati da fattura, assoggettati ad imposta e finalizzati a operazioni imponibili.” (In mancanza delle fatture, ammessa prova per presunzioni/testimoni) .

Cass. sent. 12146/2021 – Autofattura del cessionario: “la regolarizzazione da parte del cessionario non esonera il cedente dal versare l’imposta e subire sanzione. … Il fisco ha diritto a perseguire il fornitore.” (L’autofattura tutela solo provvisoriamente l’Erario ma non estingue obbligo del venditore).

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 settembre 2020, n. 20617 – In tema di accertamento IVA, anche in presenza della acclarata violazione di requisiti formali del diritto alla detrazione dell’imposta di cui all’art. 18 e 22 della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (cd. sesta direttiva) – quali, ad esempio, la mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ovvero l’omessa tenuta del registro IVA acquisti – l’Amministrazione finanziaria non può negare tale diritto al contribuente che provi la sussistenza dei suoi requisiti sostanziali di cui all’art. 17 della menzionata direttiva, a mezzo la produzione delle fatture ovvero di altra idonea documentazione contabile

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver registrato alcune fatture IVA? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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L’omessa registrazione delle fatture è una delle violazioni IVA più frequenti. Può riguardare sia le fatture emesse (non annotate nei registri delle vendite), sia le fatture ricevute (non inserite nei registri degli acquisti per detrarre l’IVA).
Il Fisco utilizza i dati dello SDI (Sistema di Interscambio) e i controlli incrociati con le comunicazioni periodiche per individuare le omissioni.

👉 Non sempre, però, la contestazione equivale a evasione: spesso si tratta di errori formali o ritardi che possono essere sanati.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • Fatture emesse non annotate entro i termini di legge;
  • Fatture ricevute non registrate nei registri IVA e quindi indetraibili;
  • Differenze tra i dati SDI e la contabilità aziendale;
  • Omissione volontaria per ridurre IVA da versare o aumentare IVA detraibile;
  • Disallineamenti con le comunicazioni LIPE o con la dichiarazione IVA annuale.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero dell’IVA non versata o indebitamente detratta;
  • Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta contestata;
  • Indetraibilità dell’IVA sugli acquisti non registrati;
  • Interessi di mora;
  • Nei casi più gravi, rischio di contestazioni penali tributarie per dichiarazione infedele o frode.

🔍 Cosa fare per difendersi

  1. Verifica l’elenco delle fatture contestate: accertati che l’omissione sia reale e non un errore del sistema.
  2. Recupera la documentazione: fatture elettroniche, registri IVA, estratti SDI.
  3. Dimostra la natura formale dell’errore: ritardi o irregolarità senza danno erariale possono ridurre le sanzioni.
  4. Valuta il ravvedimento operoso: se sei ancora nei termini, puoi regolarizzare con sanzioni ridotte.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, se l’accertamento è infondato o sproporzionato.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’accertamento e verifica la correttezza dei rilievi;
  • 📌 Ricostruisce la posizione IVA con documenti e prove concrete;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre le sanzioni;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Valuta strategie alternative, come adesione o definizione agevolata.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in IVA e accertamenti fiscali;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario su fatture e registrazioni contabili;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

La contestazione per omessa registrazione di fatture IVA può comportare recuperi fiscali molto pesanti, ma non sempre l’errore equivale a evasione.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la natura dell’omissione, regolarizzare gli adempimenti e ridurre le pretese del Fisco.

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