Contestazioni Per Amministratore Di Diritto Prestanome: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Procura perché risulti amministratore di diritto prestanome di una società? In questi casi il Fisco presume che la tua carica sia solo formale e che la gestione reale sia affidata ad altri soggetti, spesso per occultare responsabilità fiscali o penali. Le conseguenze possono essere molto gravi sia sul piano patrimoniale che penale, ma esistono strumenti di difesa.

Chi è l’amministratore di diritto prestanome
È la persona che risulta formalmente nominata come amministratore, ma che in realtà non esercita i poteri gestori. Di solito viene usato come “schermo” per:
– Nascondere il vero dominus della società
– Sottrarre responsabilità fiscali o penali agli amministratori effettivi
– Creare strutture fittizie per commettere frodi fiscali, false fatturazioni o evasione

Quando scattano le contestazioni
– Se l’amministratore di diritto non è in grado di spiegare o giustificare la gestione aziendale
– Se le decisioni vengono prese da altri soggetti (amministratori di fatto)
– Se la società risulta coinvolta in frodi fiscali o utilizzo di fatture false
– Se mancano tracce di effettiva attività di direzione e controllo da parte del prestanome
– Se gli organi inquirenti ritengono che la nomina sia stata solo strumentale

Cosa rischi come amministratore prestanome
– Responsabilità tributaria solidale per le imposte non versate dalla società
– Sanzioni personali anche se non sei stato tu a gestire effettivamente l’impresa
– Coinvolgimento in procedimenti penali per reati tributari, fallimentari o societari
– Sequestro e confisca dei beni personali
– Azioni di responsabilità civile da parte dei creditori

Come difendersi da una contestazione di prestanome
– Dimostrare l’assenza di coinvolgimento reale nella gestione della società
– Documentare che le decisioni erano prese da altri (amministratori di fatto)
– Evidenziare l’eventuale mancanza di dolo, se la nomina era solo formale e inconsapevole
– Contestare la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate quando basata solo su presunzioni
– Impugnare gli atti tributari e difendersi parallelamente in sede penale se vi sono contestazioni di reato

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento e gli atti d’indagine per individuare vizi e incongruenze
– Predisporre memorie difensive che dimostrino il ruolo meramente formale dell’amministratore
– Difendere il contribuente sia in sede tributaria che in sede penale
– Contestare la responsabilità personale quando non vi è stato effettivo esercizio di poteri gestori
– Tutelare il patrimonio familiare e personale da azioni esecutive e sequestri

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento delle contestazioni fiscali collegate al ruolo di prestanome
– L’esclusione della responsabilità penale per mancanza di dolo e gestione effettiva
– La riduzione di sanzioni e interessi richiesti dal Fisco
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La protezione del patrimonio personale e familiare

⚠️ Attenzione: il ruolo di amministratore di diritto prestanome comporta grandi rischi, anche se non sei stato tu a gestire la società. Ma non sempre la responsabilità è automatica: la difesa mirata può dimostrare l’assenza di colpa o dolo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e penale-tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni per amministratore prestanome e come difenderti da responsabilità fiscali e penali sproporzionate.

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Introduzione

Nel diritto societario italiano esiste la figura – purtroppo frequente nella prassi – dell’amministratore di diritto “prestanome”, detto anche testa di legno. Si tratta di un soggetto formalmente investito della carica di amministratore (di solito unico o delegato) di una società, ma che di fatto non esercita alcun potere gestionale reale. Il prestanome presta il proprio nome per permettere a un amministratore di fatto (il vero gestore occulto dell’impresa) di operare restando nell’ombra . In sostanza, il prestanome appare nei documenti ufficiali come legale rappresentante, mentre un terzo – spesso il socio occulto o un soggetto altrimenti impossibilitato a ricoprire cariche (ad esempio perché interdetto o già fallito) – prende tutte le decisioni e gestisce l’azienda di fatto .

Questa pratica viene utilizzata per vari motivi: c’è chi la adotta per nascondersi dai creditori, chi per ottenere finanziamenti bancari che altrimenti verrebbero negati (avendo magari precedenti fallimenti o protesti a proprio carico), chi per tentare di eludere responsabilità legali, fiscali o penali . Nel mondo imprenditoriale italiano si sono addirittura sviluppati mercati “grigi” di prestanome disponibili a figurare come amministratori dietro compenso, anche in contesti di società estere o offshore . Tuttavia, va subito chiarito che assumere il ruolo di prestanome non esime affatto dalle responsabilità derivanti dalla carica. Anzi, molto spesso accade che, quando emergono illeciti o debiti della società, il prestanome – in qualità di amministratore di diritto – ne risulti destinatario in prima battuta, sia sul piano fiscale che su quello penale e civile . Il punto di vista del “debitore” – ossia del prestanome che si ritrova destinatario di contestazioni e pretese creditorie – è dunque particolarmente critico: queste persone si trovano a dover rispondere di violazioni e insolvenze magari compiute da altri, spesso senza averne tratto beneficio.

In questa guida avanzata, rivolta ad avvocati, imprenditori e privati con conoscenze giuridiche, analizzeremo come un amministratore prestanome possa difendersi dalle contestazioni. Esamineremo la normativa italiana rilevante, le pronunce giurisprudenziali più aggiornate (fino ad agosto 2025) – incluse importanti sentenze di Cassazione recenti – nonché le procedure tipiche avviate da Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza o tribunali. Verranno trattati i profili di responsabilità civile, penale e fiscale del prestanome e illustrate le possibili strategie difensive, sia in fase preventiva (strumenti contrattuali come patti parasociali, trust, consulenze mirate) sia in fase di contenzioso già avviato. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei punti chiave e una sezione di domande e risposte frequenti per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è fornire un quadro completo e aggiornato su come il prestanome, divenuto suo malgrado bersaglio di azioni legali o creditorie, possa tutelarsi o attenuare le proprie responsabilità.

Definizioni: amministratore di diritto, di fatto e prestanome

Prima di affrontare le contestazioni e le difese, è fondamentale chiarire i ruoli in gioco:

  • Amministratore di diritto: è il soggetto formalmente investito della carica amministrativa secondo le risultanze legali (registro delle imprese, verbali assembleari, visura camerale). Ha il titolo ufficiale di amministratore (unico, delegato, consigliere di amministrazione, ecc.) ed è il legale rappresentante della società verso i terzi. Per legge, su di lui gravano tutti i doveri gestori, di vigilanza e controllo propri della carica . Nel nostro contesto, l’amministratore di diritto coincide con il prestanome, quando funge solo da figura di facciata.
  • Amministratore di fatto: è colui che, pur privo di investitura formale, esercita in concreto le funzioni tipiche dell’amministratore. In genere è il vero proprietario o dominus dell’impresa, che preferisce non comparire ufficialmente . L’amministratore di fatto compie le scelte gestionali, dirige l’attività sociale e trae i benefici (leciti o illeciti) della gestione. La giurisprudenza equipara sotto molti profili l’amministratore di fatto a quello di diritto, attribuendo al primo gli stessi doveri e responsabilità del secondo . In altre parole, chi esercita poteri gestori di fatto assume una “posizione di garanzia” verso la società, i creditori e i terzi pari a quella di chi riveste la carica formale .
  • Amministratore prestanome: è il mero amministratore di diritto “di comodo”, ovvero colui che accetta la carica senza esercitare alcuna attività decisionale autonoma . Conta solo la sua presenza formale: il prestanome firma documenti, contratti e dichiarazioni al posto di un altro soggetto il cui nome “non deve comparire” . Normalmente il prestanome non partecipa alla gestione aziendale e si limita ad eseguire le istruzioni dell’amministratore di fatto, spesso senza conoscere davvero le operazioni compiute . Per il suo ruolo presta il nome in cambio di un compenso (fisso mensile o percentuale), proporzionato ai rischi che corre . In alcuni casi il prestanome è totalmente all’oscuro delle decisioni prese dall’amministratore occulto; in altri casi vi è una certa complicità o consapevolezza. Questo elemento – il grado di consapevolezza e ingerenza del prestanome – risulterà determinante nel valutare le sue responsabilità sia civili che penali.

È importante distinguere la figura del prestanome anche da quella del socio occulto o del beneficiario effettivo. Il socio occulto è colui che, pur non risultando formalmente socio, detiene di fatto partecipazioni o il controllo sull’impresa (ad esempio tramite accordi fiduciari o trust). Il prestanome può essere anche un socio di facciata, ma nel nostro discorso ci riferiamo principalmente al prestanome amministratore. Esistono strumenti legali per celare l’identità del reale proprietario (come l’intestazione fiduciaria di quote societarie a società fiduciarie autorizzate, o la creazione di trust che intestino partecipazioni): queste soluzioni, se utilizzate correttamente, sono lecite e più trasparenti rispetto all’utilizzo di persone prestanome sconosciute. Tuttavia, quando si ricorre a un prestanome, spesso si tratta di schemi opachi o abusivi finalizzati a eludere norme (si pensi a chi intesta attività a terzi nullatenenti per sfuggire al fisco, o a chi utilizza prestanome per continuare di fatto ad amministrare pur essendo interdetto) .

In sintesi, l’amministratore prestanome è formalmente indistinguibile da qualsiasi altro amministratore di diritto, ma sostanzialmente è un “uomo di paglia” che presta il nome a beneficio di altri. Dal punto di vista giuridico, però, assumere la carica comporta l’assunzione di tutti i relativi obblighi verso la società, i soci, i creditori e l’erario. Proprio questo è il cuore delle contestazioni che spesso colpiscono i prestanome: la legge non consente all’amministratore formale di scaricare le proprie responsabilità invocando il ruolo di facciata. Come vedremo, accettare l’incarico comporta doveri di vigilanza e controllo che, se violati, possono sfociare in responsabilità civili e penali, talora anche indipendentemente dalla partecipazione attiva del prestanome agli illeciti . La semplice accettazione della carica societaria, infatti, attribuisce doveri di vigilanza il cui mancato rispetto può comportare responsabilità penale per la consapevolezza che dall’omissione possano derivare eventi illeciti . Su questo principio insistono molte pronunce giurisprudenziali recenti, che affronteremo nel dettaglio.

Normativa di riferimento in Italia

Il quadro normativo italiano applicabile al fenomeno dell’amministratore prestanome è piuttosto articolato, comprendendo norme civilistiche, tributarie e penalistiche. Di seguito elenchiamo i riferimenti principali:

  • Codice Civile (C.c.): gli amministratori di società di capitali devono rispettare i doveri imposti dagli artt. 2392 e segg. C.c. (per le S.p.A.) e dall’art. 2476 C.c. (per le S.r.l.). Tali norme prevedono il dovere di amministrare con diligenza, vigilando sull’andamento della gestione, e la responsabilità verso la società e i creditori per i danni derivanti da violazioni dei doveri. In particolare, l’art. 2392 C.c. stabilisce la responsabilità solidale degli amministratori per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto, salvo delega di funzioni. Anche chi riveste la carica solo formalmente è destinatario di questi obblighi e può essere chiamato a risponderne in sede civile . Inoltre, l’art. 2476 C.c. prevede al comma 7 che gli amministratori di S.r.l. rispondono verso i creditori sociali quando il patrimonio risulta insufficiente a soddisfare i crediti per effetto di inerzia o atti di mala gestione compiuti dagli amministratori stessi. Questo consente ai creditori di agire direttamente contro l’amministratore (anche prestanome) in caso di fallimento o insolvenza della società, qualora vi siano condotte gestorie colpose o dolose a loro danno.
  • Codice Penale (C.p.) e leggi complementari: diverse fattispecie penali possono coinvolgere l’amministratore prestanome. Una norma generale di rilievo è l’art. 40, comma 2 C.p., che sancisce il principio secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. L’amministratore di diritto, pur prestanome, riveste una posizione di garanzia verso la società e i terzi: se omette di impedire un illecito (ad esempio non impedisce una frode fiscale che avrebbe potuto ostacolare), può risponderne a titolo di concorso omissivo . Oltre a ciò, vanno citati:
  • gli illeciti fallimentari previsti dal R.D. 267/1942 (Legge Fallimentare) – ora trasfusi nel D.lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) – come la bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione di beni sociali), la bancarotta fraudolenta documentale (sottrazione o mancata tenuta delle scritture contabili) e la bancarotta semplice. Tali reati sono “reati propri” dell’imprenditore o degli amministratori. Ai sensi dell’art. 223 L.F. (ora art. 322 CCI), anche l’amministratore di fatto può esserne responsabile. La giurisprudenza ha stabilito principi per cui il mero prestanome può essere chiamato a rispondere di bancarotta fraudolenta documentale, data la violazione dei doveri di tenuta delle scritture, mentre per la bancarotta patrimoniale occorre la prova di una sua consapevolezza nelle distrazioni operate dall’amministratore occulto . Approfondiremo oltre queste distinzioni.
  • reati tributari di cui al D.lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta, emissione di false fatture, omessa dichiarazione, omesso versamento IVA o ritenute, indebite compensazioni, ecc.). Questi reati spesso vedono coinvolti prestanome in qualità di legali rappresentanti di società “cartiere” o evasori. Ad esempio, l’art. 5 D.lgs. 74/2000 punisce l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi/IVA: il legale rappresentante che non presenta la dichiarazione per evadere le imposte ne risponde penalmente. I prestanome spesso eccepiscono di non aver avuto dolo (intento evasivo) perché ignari della gestione fiscale; tuttavia, come vedremo, la Cassazione richiede la totale mancanza di poteri e possibilità di intervento per escludere la responsabilità penale del prestanome nei reati omissivi tributari .
  • reati societari (es. false comunicazioni sociali, ex art. 2621 C.c., e altre fattispecie del Titolo XI C.c.). Un prestanome che firma bilanci falsi o occulta assetti proprietari può incorrere in queste violazioni. Anche in questo ambito la qualifica formale basta per attribuire gli obblighi: la sottoscrizione di un bilancio o di dichiarazioni sociali implica che l’amministratore conosca e controlli l’andamento societario, e l’ignoranza voluta non è scusante .
  • il reato di intestazione fittizia di beni (art. 512-bis C.p.), introdotto per contrastare i patrimoni mafiosi: punisce chi intesta in modo fittizio beni o società a prestanome per eludere misure di prevenzione o sequestri. In contesti di criminalità organizzata, il prestanome rischia accuse molto gravi (fino a 7 anni di reclusione) per fungere da schermo a patrimoni illeciti. Questo esula dal classico scenario commerciale, ma va menzionato come rischio estremo se si presta il nome in situazioni di riciclaggio.
  • altre norme penali: ad esempio, l’art. 2639 C.c. riconosce espressamente che nelle fattispecie penali che richiedono una qualifica (i “reati propri” degli amministratori o dei sindaci), “l’apporto causale della persona che esercita in concreto i poteri tipici della qualifica si configura come esercizio di fatto della stessa”. Ciò serve a imputare i reati societari anche agli amministratori di fatto, ma implicitamente conferma che il prestanome, avendo la qualifica formale, risponde se concorre, anche solo con la sua omessa vigilanza, nei reati commessi.
  • va infine citato l’art. 2635 C.c. (corruzione tra privati) e il D.lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa delle società): se il prestanome consente pratiche corruttive o illeciti presupposto, la società può essere sanzionata; questo però riguarda più l’ente che la persona fisica, e la difesa da queste contestazioni coinvolgerebbe comunque l’amministratore di diritto nei processi 231.
  • Normativa tributaria e fallimentare speciale: oltre ai reati, vi sono disposizioni che nel diritto tributario e fallimentare possono estendere la responsabilità del prestanome:
  • D.P.R. 602/1973, art. 36: prevede la responsabilità dei liquidatori e amministratori per il pagamento di imposte in alcune circostanze (ad esempio, se pagano altri creditori lasciando insolute imposte dovute in sede di liquidazione societaria). Un amministratore prestanome che scioglie la società senza pagare il Fisco potrebbe essere chiamato a rispondere in proprio entro certi limiti.
  • Art. 2495 C.c. (effetti della cancellazione della società): dopo l’estinzione della società, i creditori insoddisfatti possono agire nei confronti dei soci (entro ciò che hanno riscosso in sede di liquidazione) e contro i liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa. La giurisprudenza, però, ha esteso tale principio anche agli amministratori non formalmente liquidatori, in caso di illeciti o violazioni commesse durante la gestione che abbiano leso i creditori. Come vedremo, una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Napoli del 2025 ha affermato che la cancellazione della società non impedisce all’Erario di notificare l’atto impositivo all’amministratore prestanome, considerandolo soggetto legittimato passivo sia come autore della violazione tributaria, sia in base ai principi civilistici post-estinzione ex art. 2495 C.c. .
  • D.Lgs. 472/1997 (sanzioni amministrative tributarie): in generale le sanzioni tributarie sono a carico della persona fisica che ha commesso la violazione. Nelle società, per violazioni dichiarative, responsabile è la società, ma se questa si estingue o è un guscio vuoto, l’Amministrazione finanziaria tenta di rivalersi sul soggetto che ha agito. Inoltre, alcune sanzioni pecuniarie (come quelle per omessa tenuta delle scritture o altre violazioni degli obblighi fiscali) possono essere irrogate all’amministratore in carica all’epoca dei fatti. Un prestanome che abbia “mancato di vigilare” sui doveri fiscali potrebbe subire sanzioni personali per concorso nell’illecito amministrativo tributario.
  • Codice della crisi d’impresa (D.lgs. 14/2019): oltre alla riscrittura dei reati fallimentari, prevede misure come la segnalazione tempestiva della crisi. Un prestanome difficilmente adempie a questi obblighi (perché non gestisce davvero): anche qui teoricamente potrebbe vedersi contestata l’inerzia. Inoltre, il Codice prevede sanzioni civili come l’azione di responsabilità esercitata dal curatore (art. 378 CCI), analoga all’art. 146 L.F., e le sanzioni interdittive per gli amministratori condannati per bancarotta (divieto di intraprendere altre attività, ecc.), che colpirebbero anche il prestanome condannato.
  • Patti parasociali e trust: non sono leggi, ma strumenti contrattuali e negoziali di diritto privato che meritano menzione. I patti parasociali (disciplinati per le S.p.A. dall’art. 2341-bis C.c. e ammessi anche nelle S.r.l.) sono accordi riservati tra soci per regolamentare diritti e obblighi non emergenti dallo statuto. Possono essere usati, ad esempio, per vincolare il prestanome a votare secondo le istruzioni del socio occulto, o per prevedere clausole di manleva (indennizzo) a favore del prestanome per eventuali danni. Attenzione: un patto parasociale che esoneri anticipatamente l’amministratore da responsabilità verso la società o i creditori sarebbe nullo (non si può derogare alle norme di responsabilità civile degli amministratori). Tuttavia, accordi interni possono avere rilevanza tra le parti – ad esempio obbligando l’amministratore occulto a rimborsare il prestanome di ogni pagamento o sanzione subita. Tali patti non opponibili ai terzi creditori, ma possono offrire al prestanome un’azione di regresso contro il dominus e costituire prova della reale ripartizione dei ruoli.

Il trust, invece, è un istituto di origine anglosassone riconosciuto in Italia tramite la Convenzione dell’Aja del 1985. Un trust interno potrebbe essere impiegato per intestare le partecipazioni societarie a un trustee formale, separando così la titolarità fiduciaria dalla gestione. Si parla in questi casi di trust societari: ad esempio, il dominus potrebbe far detenere le sue quote da un trust, evitando l’intestazione diretta a un prestanome persona fisica. Inoltre, un prestanome preoccupato per il proprio patrimonio personale potrebbe creare un trust di protezione dove conferire i propri beni prima di assumere la carica, così da segregarli rispetto ad eventuali future azioni esecutive (fermo restando che i trust fatti in frode ai creditori possono essere revocati ex art. 2901 C.c.). Il trust, rispetto a un accordo verbale, è più trasparente e tracciabile, ma ovviamente non legittima alcuna frode: serve solo a pianificare assetti proprietari o proteggere patrimoni in modo lecito. In alcuni casi, in alternativa al prestanome, si può utilizzare una società fiduciaria autorizzata ex legge n.1966/1939: la fiduciaria figura come intestataria delle quote e talvolta può offrire servizi di nominee director (amministratore fiduciario) dietro compenso. Questa soluzione, seppur costosa, garantisce professionalità e riduce i rischi di illeciti grossolani, perché le fiduciarie vigilano sulla legalità delle operazioni (anche per non incorrere esse stesse in responsabilità).

In sintesi, la legislazione italiana offre strumenti per colpire sia l’amministratore di fatto sia quello di diritto. Il messaggio fondamentale sul piano normativo è che la posizione formale di amministratore non è mai neutra o meramente simbolica: comporta obblighi precisi e la legge non consente di utilizzarla come uno “schermo” totalmente impermeabile alle responsabilità . Questo concetto è stato ribadito dalla giurisprudenza: “la qualità formale [di amministratore] non è neutra; il mero prestanome non è schermo assoluto rispetto alle violazioni” commesse durante il suo mandato . In pratica, anche sul piano tributario e sanzionatorio, l’amministratore ufficiale rimane il primo destinatario degli obblighi di legge e delle eventuali pretese delle Autorità . Nel prossimo capitolo esamineremo proprio le tipologie di responsabilità (civili, fiscali, penali, amministrative) in capo al prestanome, alla luce delle normative suddette e delle interpretazioni giurisprudenziali più recenti.

Responsabilità dell’amministratore prestanome: profili civile, fiscale e penale

Quando si parla di “responsabilità” del prestanome, occorre considerare distintamente vari piani: responsabilità civile (verso la società, i soci e i creditori), responsabilità fiscale-amministrativa (verso l’erario e gli enti pubblici) e responsabilità penale (verso lo Stato per violazioni di norme penali). Analizziamo ciascuno di questi profili, tenendo presente che spesso essi si intrecciano nei casi concreti.

Responsabilità civile (verso società e creditori)

Sul piano civile, l’amministratore (anche prestanome) può andare incontro a due tipi principali di azioni di responsabilità: 1. Azione sociale di responsabilità – promossa dalla società (o dai soci) per danni arrecati al patrimonio sociale a causa di violazione dei doveri da parte dell’amministratore (art. 2393 C.c. per S.p.A., art. 2476 comma 3 C.c. per S.r.l.). Esempi tipici: malagestio, omissione di controlli, tolleranza di operazioni distrattive compiute dal dominus. Il prestanome che abbia omesso di vigilare mentre l’amministratore di fatto dissipa i beni sociali può essere chiamato a rispondere in solido per i danni subìti dalla società (ad esempio, perdita di capitale sociale, esposizione debitoria aggravata, sanzioni irrogate all’ente). La sua responsabilità è contrattuale (nasce dal rapporto di amministrazione) e si basa sull’inosservanza degli obblighi di diligenza e fedeltà. In sostanza, anche l’inerzia colposa del prestanome costituisce inadempimento: accettando la carica, egli aveva il dovere di attivarsi per impedire atti dannosi. Se non lo ha fatto, la società può chiedergli conto dei danni. Un classico esempio: l’amministratore di fatto sottrae liquidità e il prestanome non tiene la contabilità né denuncia nulla – in tal caso entrambi possono essere responsabili della perdita patrimoniale. In giudizio, spesso il prestanome cerca di chiamare in causa il dominus occulto per farsi manlevare (se identificato), ma il rischio per lui è di essere condannato in prima battuta, con la speranza poi di rivalersi.

  1. Azione dei creditori sociali – prevista espressamente per le S.r.l. dall’art. 2476 comma 7 C.c., ma ammessa anche per le S.p.A. (in via indiretta tramite il curatore fallimentare ex art. 2394-bis C.c.). Se la società non adempie alle obbligazioni per insufficienza del patrimonio, i creditori possono agire contro gli amministratori quando il danno patrimoniale è stato causato dalla violazione dei doveri gestori. Ad esempio, se il prestanome ha permesso che la società continuasse ad operare in perdita erodendo l’attivo (invece di adottare provvedimenti conservativi o liquidatori), causando poi l’insolvibilità verso i creditori, questi ultimi possono chiedergli il risarcimento del credito insoddisfatto. In caso di fallimento, questa azione è esercitata dal curatore (art. 146 L.F. / art. 255 CCI) per conto di tutti i creditori, verso gli amministratori (di diritto e di fatto). Un prestanome che si sia completamente disinteressato della gestione può essere ritenuto responsabile per colpa grave: la giurisprudenza civile considera infatti che l’accettazione di una carica societaria da parte di un incapace o di un soggetto che non intende realmente esercitare i doveri connessi configuri di per sé una colpa, consistente nell’esporre i terzi al rischio di una gestione anomala (in dottrina si parla di “culpa in eligendo” del dominus che sceglie teste di legno, ma anche di “culpa in omittendo” del prestanome stesso). Se il prestanome prova che le decisioni erano totalmente altrui e di non aver potuto incidere, potrebbe ottenere l’esclusione o l’attenuazione della propria responsabilità. Tuttavia, è piuttosto difficile per un amministratore formalmente investito dimostrare di essere stato privo di ogni potere di intervento: in teoria potrebbe eccepire di essere stato tenuto all’oscuro e magari minacciato, ma servono prove molto solide. Di norma, i giudici civili tendono a non esimere completamente il prestanome, considerando che comunque aveva strumenti giuridici per reagire (poteva convocare soci, denunciare fatti al collegio sindacale o all’Autorità, dimettersi, ecc.), strumenti che non ha utilizzato.

Oltre a queste azioni principali, l’amministratore prestanome può incorrere in altre responsabilità civili: – Responsabilità contrattuale verso terzi: se il prestanome firma un contratto a nome della società sapendo (o dovendo sapere) che la società non potrà adempiere, potrebbe rispondere personalmente per dolo contrattuale. Caso estremo: prestanome che stipula acquisti a credito su ordine del dominus già intenzionato a frodare i fornitori. Se emerge la malafede comune, i terzi truffati potrebbero citare sia la società sia l’amministratore per illecito precontrattuale o extracontrattuale. – Responsabilità extra-contrattuale (delittuosa): ad esempio, se l’amministratore con la sua firma causa un danno a terzi (pensiamo a false attestazioni in bilancio che inducano investitori o creditori a fidarsi, subendo pregiudizio), potrebbe profilarsi un risarcimento da fatto illecito (art. 2043 C.c.). In pratica però queste situazioni confluiscono nell’azione dei creditori o in quella penale, raramente restano solo civili. – Sanzioni civili pecuniarie: non proprio “responsabilità civile” in senso stretto, ma pensiamo alla condanna a pene pecuniarie civili, come l’interdizione dagli uffici o la pubblicazione della sentenza a carico dell’amministratore soccombente in una causa di responsabilità. Un prestanome condannato per gravi violazioni gestorie può subire queste conseguenze.

In definitiva, fare il prestanome espone a quasi tutte le responsabilità civili di un vero amministratore. La differenza è che il prestanome potrebbe tentare di chiamare in causa l’amministratore occulto come corresponsabile, oppure sostenere di aver agito in buona fede e senza vantaggi personali per cercare di ridurre il risarcimento (ad esempio chiedendo l’applicazione dell’art. 1227 C.c. per limitare il danno in caso di concorso di colpa altrui). Ma resta il fatto che, sul piano civilistico, chi accetta la carica “si assume le eventuali responsabilità penali, amministrative e fiscali” e può subire tutte le sanzioni previste dalla legge allo stesso livello di un amministratore di fatto – anche se, come nota la dottrina, “nella realtà le cose non vanno sempre in questo modo” perché è possibile che il prestanome, provando la propria estraneità, eviti conseguenze massime .

Di seguito, una tabella riepilogativa semplifica i principali rischi di responsabilità per il prestanome societario:

Tipo di ResponsabilitàDescrizione dei rischi per il prestanome
Responsabilità CivilePuò essere citato per danni causati a terzi (società, soci o creditori). Esempi: mancato pagamento di debiti sociali dovuto a mala gestio, perdita di patrimonio per omissione di controlli . L’azione può provenire dalla società (per danni al patrimonio sociale) o dai creditori (per insufficienza patrimoniale dovuta a violazioni degli obblighi gestori).
Responsabilità PenalePuò subire incriminazioni se la società commette reati (es. frodi, bancarotta, reati fiscali), anche se non ha agito in prima persona. Verrà ritenuto responsabile almeno a titolo di concorso omissivo, salvo prova di totale estraneità alle decisioni .
Responsabilità FiscalePuò essere ritenuto debitore d’imposta e sanzioni per violazioni tributarie della società (es. evasione fiscale, omessa dichiarazione, mancato versamento di imposte) . Ciò avviene soprattutto se la società è un guscio vuoto: l’Agenzia delle Entrate spesso notifica gli avvisi direttamente all’amministratore di diritto, specie dopo la cancellazione societaria .
Responsabilità AmministrativaPuò incorrere in sanzioni amministrative per violazioni di norme pubblicistiche (es. mancata tenuta dei libri sociali, omessi depositi al Registro Imprese, violazioni ambientali o di sicurezza sul lavoro compiute dalla società) . Il prestanome, essendo legale rappresentante, è destinatario di ingiunzioni e atti amministrativi sanzionatori.

(Fonte: rielaborazione da Fiscomania, “Prestanome societario: responsabilità e rischi” )

Responsabilità fiscale e verso l’erario

L’area fiscale merita un approfondimento a sé, data la frequenza con cui i prestanome vengono coinvolti in vicende tributarie (accertamenti, cartelle esattoriali, sanzioni amministrative tributarie).

Come accennato, in materia fiscale vige il principio per cui l’obbligato principale verso il Fisco è la società in quanto soggetto d’imposta. Tuttavia, ci sono importanti eccezioni e situazioni particolari: – Violazioni tributarie con rilevanza penale: qui subentra direttamente la responsabilità penale dell’amministratore (che tratteremo nella sezione penale). Ma anche sul piano strettamente fiscale, in presenza di reati tributari, l’Amministrazione finanziaria adotta provvedimenti verso le persone fisiche coinvolte (ad esempio, iscrizione a ruolo provvisorio delle somme evase in pendenza di processo penale, con possibilità di sequestro per equivalente sui beni del prestanome). – Sanzioni tributarie amministrative: la regola generale (D.Lgs. 472/97) vuole che le sanzioni per violazioni fiscali di una società siano a carico della società stessa, tranne casi in cui la violazione sia imputabile a persone fisiche specifiche (tipicamente i professionisti certificatori nelle dichiarazioni fraudolente, ecc.). Tuttavia, quando la società non esiste più o è nulla dal punto di vista patrimoniale, di fatto le sanzioni diventano inesigibili se limitate alla società. In tali scenari, il Fisco cerca di individuare l’“autore” della violazione: spesso viene indicato proprio l’amministratore legale pro-tempore. Per esempio, la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili è punita (anche solo amministrativamente se non si configura reato) con una sanzione a carico dell’amministratore responsabile. Un prestanome che abbia permesso la sparizione delle scritture può subire tale sanzione. – Accertamenti tributari dopo la cessazione della società: è un caso cruciale. Se una società viene cancellata dal Registro Imprese e successivamente l’Agenzia delle Entrate scopre un’evasione fiscale pregressa (magari tramite una verifica della Guardia di Finanza, come avviene nelle frodi carosello), l’unico modo per recuperare le imposte è rivolgersi alle persone fisiche. L’art. 2495 C.c., come detto, permette azioni contro i liquidatori o soci. Ma in ambito fiscale, la prassi ormai consolidata è di notificare gli avvisi di accertamento all’amministratore di diritto dell’epoca come co-responsabile. Nella sentenza C.G.T. Napoli n. 169/2025 (primo grado) citata in precedenza, il giudice tributario ha affermato chiaramente che il prestanome, pur essendo formalmente amministratore solo di facciata, “rimane destinatario degli obblighi gestori, di vigilanza e controllo” e che la qualifica formale “non è neutra; il mero prestanome non è schermo assoluto rispetto alle violazioni tributarie commesse nel periodo in cui esercitava la carica” . In quel caso (frode IVA carosello), l’amministratore prestanome di una società estinta è stato ritenuto legittimato passivo dell’accertamento IRES/IVA per l’anno in cui era in carica, con la motivazione che: – la notifica all’ex amministratore è valida in quanto autore della violazione (concetto di autore materiale in senso lato); – inoltre, ex art. 2495 C.c., i creditori (Fisco) possono rivalersi su chi ha agito per la società ora estinta, considerando gli atti propri dell’amministratore durante il mandato .

Questo orientamento fa sì che il prestanome, se la società è stata chiusa senza pagare le imposte, rischia di ricevere personalmente cartelle esattoriali per gli importi evasi. È una prospettiva drammatica ma concreta: molti prestanome di società “cartiere” sono stati raggiunti da ingiunzioni per milioni di euro di IVA non versata, con spese e sanzioni al seguito.

  • Responsabilità solidale in operazioni fraudolente: alcune norme dell’ordinamento tributario imputano responsabilità a soggetti diversi dalla società in solido con essa. Ad esempio, nell’ambito dell’IVA, l’art. 60-bis DPR 633/72 prevede la responsabilità solidale dell’acquirente di beni soggettivamente fittizi se sapeva della frode (acquirente in mala fede). Ma anche il cedente prestanome potrebbe essere coinvolto. Un prestanome emittente di fatture false risponde in solido per le somme evase, potendo l’Erario chiedergliele in recupero (oltre al penale).
  • Obblighi di sostituto d’imposta: il legale rappresentante è anche responsabile degli adempimenti di sostituto d’imposta (ritenute su stipendi, versamenti contributivi in qualità di titolare, etc.). Se il dominus non fa versare le ritenute e il prestanome firma i modelli F24 in bianco o non li presenta, il prestanome può essere chiamato a pagare le ritenute non versate, talvolta anche come debito personale (in casi di dolo, l’INPS e l’Erario perseguono penalmente il legale rappresentante per omesso versamento contributi o ritenute – reati ex art. 2 L. 638/83 e art. 10-bis D.lgs. 74/2000).

È chiaro dunque che l’amministratore prestanome può diventare debitore verso il Fisco quasi quanto l’imprenditore effettivo. La differenza è che, se realmente egli fu estraneo e privo di vantaggi, potrebbe tentare ricorsi sostenendo la sua estraneità. Ma la giurisprudenza tributaria è rigida“gli obblighi gestori, di vigilanza e controllo gravano su di lui per il solo fatto della carica” e gli illeciti fiscali commessi durante il suo mandato lo riguardano, specie quando si tratta di omissioni documentali o dichiarative che rientrano “nel nucleo centrale delle funzioni di amministratore” .

Un punto delicato è stabilire se e quando il prestanome possa andare esente da sanzioni tributarie. Su questo, troviamo un allineamento con i principi penali (dolo eventuale vs colpa). In astratto: – Se il prestanome dimostra di essere stato completamente estraneo e privo di qualsiasi possibilità di intervento (ad esempio perché il dominus lo ha tenuto all’oscuro di tutto), potrebbe invocare l’assenza di colpevolezza nelle violazioni amministrative. Ad esempio, in caso di omessa dichiarazione IVA, se provasse che lui non aveva accesso ai conti né consapevolezza delle scadenze, si potrebbe sostenere che manca l’elemento soggettivo (quantomeno il dolo o la colpa grave) a suo carico. La Cassazione penale ha affermato che “il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione [tributaria] previsti dal D.lgs. 74/2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società” . Traslando in ambito amministrativo, solo la totale mancanza di ingerenza potrebbe esonerarlo. – Tuttavia, nella pratica è raro che il prestanome venga completamente esentato. Più spesso, vengono ritenuti responsabili sia il prestanome che l’amministratore di fatto, specie quando si dimostra un minimo di consapevolezza o di complicità del prestanome nel meccanismo evasivo . Ad esempio, se emergono evidenze che il prestanome firmava dichiarazioni predisposte da altri intuendo il rischio, gli verrà contestata quantomeno la colpa grave o il dolo eventuale di aver accettato il rischio. – Il maggior rischio per il prestanome è appunto quando il Fisco o la Finanza riescono a provare che vi fu una qualche forma di accordo o collaborazione con l’amministratore occulto, magari in cambio di denaro. In tal caso, cade ogni ipotesi di buona fede: il prestanome diventa parte attiva dell’evasione, seppure come concorrente per omissione. Viceversa, per evitare guai, il prestanome dovrebbe riuscire a dimostrare di essere stato “totalmente estraneo rispetto a ciò che ha effettuato l’amministratore di fatto” , cioè di non aver partecipato né accettato la prospettiva degli illeciti.

Possiamo citare un esempio concreto di scenario fiscale: mancato versamento IVA. Se in una S.r.l. il dominus incassa l’IVA dai clienti ma non la versa, e poi dilegua la società, l’Agenzia Entrate quando se ne accorge: – Denuncerà il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.lgs. 74/2000) a carico del legale rappresentante pro-tempore se l’importo evaso supera 250.000 € annui – e ciò riguarda il penale. – Sul piano fiscale, pretenderà comunque il pagamento dell’IVA evasa, notificando un atto di accertamento con sanzioni. Se la società nel frattempo è nulla, quell’atto verrà notificato al prestanome, primo responsabile in solido . – Se l’importo non supera la soglia penale, resta una violazione amministrativa, ma di nuovo la cartella andrà al prestanome (oltre che eventualmente alla società) perché è il rappresentante legale ad essere chiamato per primo a risponderne . – Lo stesso dicasi per il mancato versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.lgs. 74/2000, soglia 150.000 €) o contributi INPS: in genere, la contestazione iniziale è sempre rivolta all’amministratore ufficiale, salvo poi estendersi al dominus se identificato, ma intanto il prestanome è investito dalla procedura.

Va inoltre ricordato che, in ambito fiscale, esistono alcuni istituti deflativi che un prestanome può tentare di utilizzare in sua difesa: ad esempio, la definizione agevolata delle sanzioni, l’adesione all’accertamento per ridurre il carico, o la rottamazione delle cartelle se prevista da normative temporanee. Tuttavia, queste non sono vere e proprie “difese” di merito, bensì strumenti per attenuare l’esborso una volta che la pretesa è confermata.

Riassumendo, l’amministratore prestanome rischia grosso col Fisco: debiti tributari e sanzioni possono ricadere su di lui direttamente. Il miglior argomento difensivo è provare di essere un “prestanome inconsapevole”, ossia privo di volontà evasiva e di capacità d’incidere – in altre parole, che la violazione è avvenuta senza che lui potesse evitarla o anche solo comprenderla. La Cassazione ha annullato condanne in alcuni casi estremi in cui risultava che il prestanome era un soggetto incapace, manipolato, privo di cognizione di causa: ad esempio, c’è stato il caso di un prestanome affetto da patologie psichiatriche che faceva il magazziniere e firmava carte senza capire, in cui si è discusso del difetto di dolo . Ma queste sono eccezioni. Nella maggior parte dei casi, prestanome e dominus vengono ritenuti entrambi responsabili degli illeciti fiscali, a meno che il prestanome non fornisca prove chiare ed esplicite di una sua totale estraneità . E l’Amministrazione finanziaria, nelle sue attività di verifica, presume che il prestanome abbia agito secondo le indicazioni del dominus ma comunque con la consapevolezza di assumersi un rischio, visto che percepiva anche un compenso per il ruolo . Questo discorso ci conduce direttamente al profilo della responsabilità penale, dove la distinzione tra dolo, dolo eventuale e colpa del prestanome è stata oggetto di molte pronunce.

Responsabilità penale

La responsabilità penale del prestanome è forse l’aspetto più complesso e sfaccettato, poiché coinvolge l’accertamento dell’elemento soggettivo (intenzionalità, consapevolezza) connesso a condotte spesso omissive. Gli ambiti principali di esposizione penale per un amministratore prestanome sono: i reati tributari, i reati fallimentari e, in misura minore, altri reati societari o di false comunicazioni. Analizziamoli separatamente, tenendo presente però che molti principi sono trasversali.

1. Reati tributari (D.lgs. 74/2000) – Questi reati includono condotte come l’emissione di fatture false, le dichiarazioni fraudolente, l’omessa dichiarazione, l’omesso versamento di IVA o ritenute, l’indebita compensazione di crediti, ecc. Sono reati propri in quanto tipicamente commessi dall’amministratore o legale rappresentante della società contribuente.

Il prestanome, in quanto firmatario delle dichiarazioni fiscali (o responsabile della loro omissione), può essere chiamato a risponderne in sede penale. La giurisprudenza recente ha affrontato molte volte il caso del prestanome nei reati tributari, enucleando alcuni principi chiave: – Concorso del prestanome per omissione: ad esempio, nel reato di omessa dichiarazione dei redditi/IVA (art. 5 D.lgs. 74/2000), la Cassazione ha statuito che il legale rappresentante risponde del reato anche se è un mero prestanome, a meno che non provi di essere stato totalmente privo di poteri . La sola qualifica formale, infatti, implica l’obbligo giuridico di presentare la dichiarazione: non farlo, se fatto al fine di evadere, costituisce reato. Un prestanome inconsapevole potrebbe difendersi dimostrando di non avere avuto l’intenzione di evadere (mancando quindi il dolo specifico richiesto da art. 5). In una pronuncia del 2019, la Cassazione ha escluso l’automatismo del dolo dal semplice ruolo formale, affermando che se il prestanome era negligente o incapace e non comprendeva le conseguenze, ciò al più configura colpa e non dolo . Tuttavia, ha anche ribadito che solo l’assenza di qualunque ingerenza lo esclude dal reato . Dunque l’asticella probatoria è alta. – Reati commissivi in concorso: in ipotesi di frodi fiscali attive (es. dichiarazione fraudolenta mediante fatture false, art. 2, o indebita compensazione, art. 10-quater), spesso il prestanome viene considerato correo dell’amministratore di fatto. La Cassazione (sent. n. 907/2023) ha affermato il principio che “l’amministratore di diritto, come mero prestanome, è responsabile [del reato tributario] a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ex art. 40 cpv C.p.”, sempre che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma tributaria . Nel caso specifico, si trattava di dichiarazione fraudolenta con uso di fatture per operazioni inesistenti e indebita compensazione di crediti IVA: il dominus (amministratore di fatto) era l’autore principale, ma il prestanome è stato ritenuto concorrente per non aver impedito il fatto, stante il suo ruolo di garante ex art. 2392 C.c. e art. 40 cpv C.p. . Tuttavia, condizione per la condanna è che sia provato il dolo richiesto dalla norma incriminatrice, ossia che anche il prestanome fosse consapevole e voleva (o accettava) il fine di evadere . Ciò può avvenire anche a titolo di dolo eventuale: se il prestanome accetta il rischio che dalla sua omissione derivino reati tributari, ciò basta. Ad esempio, la Cassazione (sent. 46834/2023) ha ritenuto colpevole un prestanome che firmava dichiarazioni predisposte dal dominus, sancendo che “la semplice accettazione della carica attribuisce doveri di vigilanza il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale per l’accettazione del rischio che questi si verifichino” . In parole povere: se il prestanome, assumendo l’incarico, accetta anche solo il rischio che il dominus compia illeciti fiscali, può essere condannato per concorso. – Prestanome e dolo eventuale: merita enfatizzare questo aspetto. Le più recenti sentenze di Cassazione in tema di reati tributari sottolineano che il prestanome spesso agisce con dolo eventuale, cioè non vuole magari direttamente evadere, ma accetta il rischio che ciò avvenga. La pronuncia 46834/2023 (Cass. Pen.) appunto dice che il prestanome che si limita a firmare senza controllare è consapevole del rischio di illeciti e ciò integra almeno il dolo eventuale . Un articolo di FiscoOggi del 2024 commentava: “Colpevole anche il prestanome che agisce con dolo eventuale”, ribadendo che non può trincerarsi dietro la facciata per evitare responsabilità. – Il caso del prestanome minacciato o ingannato: la giurisprudenza è stata poco incline ad assolvere il prestanome che dica “ero minacciato” (es. da organizzazioni criminali) o “sono stato raggirato”. In linea di massima, se vi fosse prova di una costrizione irresistibile (minaccia grave e imminente di un male, ex art. 54 C.p.), allora l’azione non sarebbe punibile per stato di necessità. Ma servono condizioni estreme e dimostrabili. In un caso del 2016, la Cassazione ha condannato comunque un prestanome che aveva agito “sotto minaccia” dell’amministratore di fatto, ritenendo che la sua condotta (aveva emesso fatture false su pressione altrui) non fosse di marginale rilevanza e che comunque aveva contribuito all’evento criminoso . Dunque il semplice dichiararsi vittima di pressioni non garantisce l’impunità; può semmai essere valutato per attenuanti. – Prestanome inconsapevole e assoluzione: in qualche raro caso, i tribunali hanno assolto prestanome ritenuti realmente inconsapevoli. Ad esempio, si cita un precedente (Cass. Pen. sez. III, n. 47110/2013) dove un prestanome totalmente privo di ingerenza fu ritenuto non punibile per omessa dichiarazione. La massima recita: “il prestanome non risponde dei reati di dichiarazione… solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione sociale” . Dunque la chiave è in quel “solo se”: solo condizioni di totale estraneità lo salvano. Nel dubbio, si inclina per la colpevolezza.

In definitiva, per i reati tributari la difesa del prestanome punta su: contestare l’elemento soggettivo (mancanza di dolo specifico di evasione, mancanza di dolo eventuale perché credeva tutto regolare, presenza al più di colpa), dimostrare la mancanza di coinvolgimento nelle decisioni (era un semplice figura di paglia non informata). Se il giudice crede a questa linea, può derubricare il fatto eventualmente in reato colposo (ma i reati tributari non prevedono forma colposa, quindi sarebbe assoluzione) oppure ritenere semmai integrata una fattispecie meno grave. Ad esempio, qualcuno ha proposto in dottrina che il prestanome ignaro dovrebbe semmai rispondere di “omesso controllo” (che nel diritto penale tributario non è codificato come reato, a differenza di altri ordinamenti). In pratica, l’assoluzione piena del prestanome in ambito fiscale è stata finora un’eccezione; al più, egli può ottenere attenuanti generiche per il ruolo marginale o il fatto di non aver tratto vantaggi.

2. Reati fallimentari (bancarotta) – Qui il discorso si fa ancora più raffinato, perché si distinguono la bancarotta fraudolenta documentale (mancata tenuta o sottrazione di libri contabili) e la bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione di beni, pagamenti preferenziali, ecc.), oltre alla bancarotta semplice (imprudente gestione, aggravamento del dissesto).

La figura del prestanome appare spesso nelle bancarotte fraudolente: classico scenario, società portata al fallimento dal dominus che ha svuotato le casse, mentre il prestanome non ha tenuto la contabilità e magari dichiara di non saper nulla. La Cassazione ha inquadrato così la situazione: – In materia di bancarotta documentale, c’è un orientamento consolidato: “l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore ufficiale di tenere e conservare le scritture, diversamente da quanto avviene per la bancarotta patrimoniale, dal momento che l’accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi attinenti alla distrazione di beni da parte dell’amministratore di fatto” . Questo passo, tratto da Cass. 25489/2021, spiega che: – per le scritture contabili, il prestanome ha un obbligo diretto: se i libri mancano o sono irregolari, la sua responsabilità è quasi automatica, essendo un illecito omissivo proprio. Si equipara l’occultamento attivo di libri alla mancata tenuta (non facere): entrambe sono condotte punibili se fatte con dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori . In pratica, se al fallimento mancano le scritture, si presume (salvo prova contraria) che l’amministratore di diritto abbia violato il suo dovere di documentare correttamente la gestione . Questa è una presunzione che semplifica la prova a carico del prestanome. – invece, per la bancarotta patrimoniale (distrattiva)non vale presunzione: il fatto che il prestanome abbia accettato il ruolo non implica di per sé che sapesse dei piani criminali del dominus di distrarre beni . Quindi, per condannare il prestanome per distrazioni, occorre provare che fosse consapevole e partecipe (anche solo tacitamente) di quelle operazioni. – Ora, questo orientamento generale è stato “temperato” da successivi interventi: la Cassazione ha aggiunto che anche per la bancarotta documentale non basta la qualifica formale, servendo comunque la prova concreta della consapevolezza del prestanome sullo stato delle scritture . Ad esempio, Cass. 43977/2017 e altre hanno richiesto di dimostrare che l’amministratore di diritto sapesse che i libri erano tenuti in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio . In una recentissima sentenza (Cass. 9885/2024), commentata in dottrina, la Corte ha ribadito che alla violazione dei doveri di vigilanza va “aggiunta la prova effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione degli affari” . Ciò significa: per condannare il prestanome per bancarotta fraudolenta documentale bisogna provare che egli sapeva (o quantomeno accettava) che i libri non venivano tenuti o erano fatti sparire per ostacolare i creditori . Se invece non c’è questa prova di dolo specifico, al più potrebbe essere bancarotta semplice documentale. – La stessa sentenza del 2024 (Cass. 9885/2024) conferma che il mero prestanome che abdica totalmente al ruolo dietro compenso mensile fornisce “prova sufficiente del dolo omissivo ex art. 40 cpv C.p.”, ossia accettando di essere pagato per non fare nulla e lasciar fare tutto ad altri, dimostra la volontà (anche qui, eventualmente dolo eventuale) di consentire condotte distrattive o irregolari . Nel caso concreto, avevano appurato che il prestanome prendeva un compenso “a forfait” per metterci la faccia e lasciare carta bianca all’amministratore occulto, e ciò è stato considerato indice chiaro di dolo. – Tuttavia, la stessa sentenza auspica che si superino gli automatismi: suggerisce che, “nei casi in cui non sia pienamente dimostrato il dolo, l’amministratore di diritto che non abbia compiuto alcun atto di gestione risponderà a titolo di bancarotta semplice documentale e non di concorso omissivo in bancarotta fraudolenta” . Questa è un’apertura importante: significa che se manca prova di un intento fraudolento del prestanome, egli andrebbe punito eventualmente per bancarotta semplice (che è fattispecie meno grave e punita meno severamente) e non per bancarotta fraudolenta. In altri termini, l’accusa non può basarsi su mere presunzioni di dolo dal fatto che era prestanome: servono indizi rivelatori (la sentenza cita “indici rivelatori della fraudolenza” per accertare il dolo specifico ). – D’altra parte, per l’amministratore di fatto la Cassazione è chiara: questi risponde di tutti i reati fallimentari come se fosse amministratore ufficiale , a condizione che si accerti che esercitava poteri gestori. Il dominus occulto quindi ha sempre responsabilità piena. L’amministratore di fatto assume anch’egli una posizione di garanzia ex art. 40 cpv C.p. per la tenuta delle scritture, soprattutto se è il “protagonista assoluto” della gestione . Quindi nel fallimento di una società gestita da un dominus e un prestanome, in genere entrambi vengono rinviati a giudizio: il dominus come autore materiale delle distrazioni e irregolarità, il prestanome come concorrente omissivo e, per i libri, come coautore (o autore, se l’altro non aveva formalmente obbligo).

In pratica, la difesa del prestanome nei reati fallimentari si articola così: – Per la bancarotta documentale: sostenere che manca il dolo specifico. Ad esempio, provare che il prestanome non aveva mai visto i libri, che la contabilità era tenuta dal dominus altrove, e che lui ignorava del tutto che mancassero registri (magari perché gli veniva detto “è tutto in regola”). Se passa questa tesi, potrebbe essere assolto dalla fraudolenta documentale; eventualmente condannato per bancarotta semplice (reato minore, punito con max 2 anni). Infatti la bancarotta semplice documentale scatta quando c’è tenuta irregolare per negligenza anziché per frode. Se il prestanome era negligente ma non fraudolento, quella è la sua area. – Per la bancarotta patrimoniale: sottolineare che il prestanome non ha partecipato ad alcuna distrazione di beni, né era consapevole che il dominus lo stesse facendo. Ad esempio, se il dominus ha svuotato il conto corrente, il prestanome potrebbe dire di non aver mai avuto accesso al conto e di non sapere delle transazioni. In tal caso, mancherebbe la prova della consapevolezza dei “disegni criminosi” del dominus . La Cassazione ha infatti distinto: “l’accettazione consapevole del ruolo di prestanome non implica di necessità la consapevolezza delle distrazioni compiute dall’amministratore di fatto” . Se il dubbio è a favore dell’imputato, il prestanome potrebbe non rispondere per la bancarotta patrimoniale fraudolenta. Anche qui però c’è un’opzione intermedia: se ha tollerato per leggerezza operazioni rischiose, potrebbe essere colpevole di bancarotta semplice (ad esempio per avere aggravato il dissesto non intervenendo). – In alcuni casi, la difesa può anche far leva sul principio di personalità della responsabilità penale: se l’amministratore di fatto commette distrazioni all’oscuro del prestanome, questi non può rispondere per fatti che esulano totalmente dalla sua sfera di conoscibilità e volontà. È come dire: non c’è nesso psicologico tra prestanome e distrazione. Questo argomento è valido se regge la prova testimoniale/documentale che il prestanome non veniva coinvolto (ad esempio non figurava nelle firme di disposizioni di bonifico, non firmava assegni, ecc., e magari esisteva una procura bancaria a favore del dominus).

Nel complesso, la giurisprudenza sulle bancarotte mostra un leggero maggiore favore verso il prestanome rispetto ai reati tributari: riconosce cioè qualche spazio in più per non imputargli dolo se davvero la gestione gli era estranea. Ma attenzione: spesso i giudici di merito, dinanzi a fallimenti con contabilità sparita e patrimoni distratti, tendono a condannare entrambi (dominus e prestanome), e sarà eventualmente la Cassazione a correggere in parte.

3. Altri reati societari e penali – Oltre a fisco e fallimento, un prestanome può incorrere in ulteriori imputazioni: – False comunicazioni sociali (bilanci falsi): se la società è di capitali, l’amministratore che espone fatti materiali falsi o omette fatti veri nei bilanci per ingannare soci o pubblico commette reato (art. 2621/2622 C.c.). Il prestanome, firmando il bilancio predisposto dal dominus, potrebbe essere imputato. Anche qui, come per le dichiarazioni fiscali, la difesa sarebbe sostenere che non sapeva della falsità (ad esempio il bilancio è redatto dal dominus e dal consulente). Ma la Cassazione ha osservato che la sottoscrizione del bilancio presuppone conoscenza e controllo dell’attività sociale, costituendo quell’attività il nucleo centrale delle funzioni di amministratore . Quindi, dire “non ho letto il bilancio” non esime dalla colpa. È possibile però che il prestanome, se il bilancio falso era teso a coprire le malefatte del dominus, venga ritenuto correo in dolo eventuale. – Reati di riciclaggio/autoriciclaggio: se il prestanome presta il nome in operazioni di ripulitura di denaro sporco (es. apre conti bancari dove transitano fondi illeciti per conto del dominus), potrebbe incorrere in riciclaggio (art. 648-bis C.p.) o autoriciclaggio (648-ter.1 C.p.). Anche in questi casi, di solito l’ipotesi accusatoria è che il prestanome sapesse la provenienza illecita e accettasse di partecipare. Se il prestanome dimostra di essere stato uno strumento inconsapevole, potrebbe evitare la condanna. Ma se firma contratti anomali, muove fondi all’estero (bonifici verso conti off-shore) e così via, difficilmente potrà sostenere di ignorare lo scopo. – Reati ambientali, sicurezza sul lavoro, ecc.: sono contesti in cui l’amministratore legale è responsabile per obblighi di prevenzione. Un prestanome che risulta titolare di un’azienda inquinante o di un cantiere senza sicurezza rischia denunce e imputazioni (es. art. 256 D.Lgs. 152/2006 per gestione rifiuti illecita, art. 589/590 C.p. per infortuni sul lavoro mortali o lesioni colpose gravi). Anche qui, chiaramente non potrà difendersi dicendo “non gestivo io”: la delega di funzioni in materia di sicurezza va fatta formalmente a persona competente, sennò risponde il legale rappresentante. Quindi un prestanome in posizione apicale subisce anche queste responsabilità penali in caso di eventi (ad es., muore un operaio e il prestanome è amministratore: se non c’è un delegato alla sicurezza nominato a norma, lui è il garante della prevenzione e risponderà per omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche). – Responsabilità ex D.lgs. 231/2001 (ente): se viene contestato un illecito amministrativo dipendente da reato alla società (es. frode, corruzione, reati finanziari), la società può essere sanzionata. Questo non coinvolge direttamente la persona del prestanome sul piano penale (a meno che non sia anche autore del reato presupposto). Tuttavia, va menzionato che le sanzioni 231 (es. interdittive) colpiscono la società, ma il prestanome ne subisce riflessi (ad es. la società viene commissariata o multata). Più che altro, se il prestanome è condannato per un reato 231, potrà essergli impedito di assumere cariche in altre società in futuro.

Tirando le somme sulla responsabilità penale: il prestanome è in una posizione molto rischiosa, perché “non ha scuse: risponde per gli illeciti compiuti dall’amministratore di fatto”, a meno di provare la propria mancanza di ingerenza . La giurisprudenza più recente tende a punire il prestanome almeno per concorso omissivo, salvo il caso limite del prestanome totalmente inconsapevole. Perfino i distinguo introdotti (dolo specifico vs colpa) rischiano di evaporare se si dimostra che c’era quantomeno accettazione del rischio. Il messaggio è chiaro: assumendo la carica si diventa garanti della legalità gestionale, e non vigilare rende punibili. Non a caso è stato affermato che “la semplice accettazione della carica societaria attribuisce doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta inevitabilmente responsabilità in ambito penale” .

Caso esemplificativo: Poniamo il caso di una società di e-commerce che truffa i clienti incassando pagamenti e non spedendo la merce. Il dominus incassa e sparisce; il prestanome figura da amministratore. I clienti denunciano per truffa (art. 640 C.p.). Chi sarà imputato? Il dominus, se identificato, per aver orchestrato la truffa; ma il prestanome rischia anch’egli, per concorso eventualmente, poiché la società ha tratto profitto illecito e lui come legale rappresentante ha permesso l’attività. Potrebbe essere accusato quantomeno di omesso impedimento di una truffa. Se dichiara di non saper nulla, potrà forse limitare i danni, ma di fronte a decine di clienti ingannati di cui lui era formalmente responsabile, un giudice penale potrebbe considerarlo corresponsabile (se non altro perché avrebbe dovuto controllare l’operato dell’azienda). Ciò a maggior ragione se magari il prestanome firmava contratti con i fornitori di piattaforme o conti correnti dove arrivavano i soldi.

In conclusione, dal punto di vista penale la posizione del prestanome è delicatissima. Come suggerimento generale: se il prestanome viene coinvolto in un’indagine penale: – Conviene che collabori con le autorità per chiarire le responsabilità (ad esempio indicando il ruolo del dominus, producendo eventuali accordi che provano il suo ruolo fittizio). Una collaborazione tempestiva può valergli attenuanti o anche il non luogo a procedere se le sue dichiarazioni permettono di individuare i veri colpevoli (penso a casi di collaborazione nei reati tributari). – Dovrà provare la propria buona fede: nessun vantaggio economico percepito oltre un modesto compenso, magari condizione personale di fragilità (disoccupato, ecc., spinto ad accettare per bisogno economico, come talvolta avviene – e in Cass. 9885/2024 è detto che la “scelta dettata dal bisogno economico di accettare un compenso in cambio della totale abdicazione al ruolo” fu considerata prova del dolo omissivo comunque , quindi attenzione che anche il bisogno non scusa, anzi fu interpretato come movente per accettare consapevolmente). – Potrebbe puntare su eventuali vizi di mente o incapacità: se davvero era persona con capacità ridotte (es. analfabeta funzionale, disturbato, dipendente da sostanze su cui il dominus ha fatto leva). Non di rado i dominus scelgono prestanome in situazioni disperate, proprio per la loro vulnerabilità. Legalmente, solo l’incapacità totale di intendere e volere esonera (il che richiede perizia e di solito non si applica, a meno di casi psichiatrici gravi). Però incapacità parziali possono ridurre la pena. – Sfruttare eventuali strumenti premiali: ad esempio, nei reati tributari c’è la possibilità di ottenere cause di non punibilità pagando il dovuto (come la tenuità del fatto se l’ammanco è lieve, o l’estinzione per integrale pagamento in certi reati tributari – ma parliamo di centinaia di migliaia di euro, quindi spesso impraticabile per un prestanome nullatenente). Nei reati fallimentari, la riparazione del danno prima del giudizio può evitare l’interdizione legale e essere valutata come attenuante. – In alcuni reati minori, il prestanome può sperare in istituti come la messa alla prova (se incensurato e il reato rientra nei limiti, es. alcune ipotesi di bancarotta semplice potrebbero). – L’obiettivo ideale è far riconoscere, se non l’assoluzione completa, almeno il reato meno grave. Ad esempio, far derubricare da bancarotta fraudolenta a bancarotta semplice; da dichiarazione fraudolenta a infedele (ora depenalizzata se entro certe soglie); da truffa aggravata a insolvenza civile, ecc. Questo ovviamente dipende dalle prove.

Abbiamo fin qui delineato i rischi e responsabilità su vari fronti. Il quadro può sembrare sconfortante per il prestanome, che appare “colpevole fino a prova contraria”. Nella prossima sezione vedremo come affrontare concretamente le contestazioni – ossia quali procedure attivano Agenzia Entrate, GdF e Tribunali contro il prestanome e quali strumenti di difesa può mettere in campo, dall’analisi della legittimità degli atti alla predisposizione di strategie processuali.

Contestazioni tipiche e procedure (Agenzia Entrate, GdF, Tribunali)

In questa sezione esaminiamo le principali tipologie di contestazioni che un amministratore prestanome può trovarsi ad affrontare, suddivise in base all’ente o autorità che le promuove: quelle di natura fiscale-amministrativa (accertamenti e sanzioni dell’Agenzia delle Entrate, spesso a seguito di attività della Guardia di Finanza), quelle di natura penale (investigazioni della Guardia di Finanza su delega della Procura, procedimenti penali davanti al Tribunale) e quelle di natura civile/fallimentare (azioni di responsabilità, procedure concorsuali, ecc. innanzi al Tribunale civile). Per ognuna, vedremo come tipicamente si svolge la contestazione e cosa può fare il prestanome per difendersi.

Procedimenti fiscali e accertativi (Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione)

Agenzia delle Entrate (AdE) entra in scena quando ritiene che vi siano imposte evase o crediti indebitamente utilizzati. Tipicamente, in casi di società con prestanome, ciò avviene perché la Guardia di Finanza ha svolto una verifica fiscale o un’indagine e ha scoperto irregolarità (es. fatture false, costi fittizi, omessa dichiarazione). Le contestazioni fiscali più comuni coinvolgono: – Avvisi di accertamento per imposte non dichiarate/non versate: AdE ricostruisce il reddito della società, magari induttivamente (cioè sulla base di presunzioni perché la contabilità è sparita), e notifica un avviso di accertamento. Se la società esiste ancora, l’avviso è a lei intestato, ma quando (come spesso accade) la società è stata cancellata o è irreperibile, l’avviso può essere intestato direttamente all’amministratore pro-tempore. Un esempio reale: società “cartiera” cancellata nel 2010; nel 2015 AdE contesta un giro di fatture false nel 2008 e invia avviso all’ex amministratore (il prestanome) chiedendo IVA, IRES, IRAP evase per quell’anno. Come discusso, la legittimazione passiva dell’amministratore è stata ritenuta valida dai giudici tributari , quindi AdE segue questa prassi.

Difesa del prestanome: innanzitutto verificare se l’atto è stato notificato correttamente (spesso i prestanome non ricevono gli atti perché magari cambiano indirizzo; ma se la notifica avviene via PEC o presso l’ultimo domicilio fiscale, può perfezionarsi comunque). Nel merito, il prestanome può proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) sostenendo: – di non essere il soggetto obbligato al pagamento perché la società era il contribuente (argomento debole se la società è estinta, perché la controparte dirà che lui risponde ex art. 2495 C.c. e come autore della violazione); – che l’accertamento è infondato nel merito (ad es. contestare la ricostruzione induttiva, se vi sono errori nei calcoli, presunzioni non gravi, ecc. – ma spesso in queste frodi le presunzioni sono “semplicissime” e bastano ). Può cercare di dimostrare, con prove documentali, che la pretesa è errata (ad esempio, se AdE gli imputa ricavi non dichiarati per vendite fantasma, provare che quei movimenti non li conosceva o non c’erano). – sollevare eccezioni procedurali: difetti di motivazione dell’avviso, mancanza di contraddittorio se dovuto, decadenza dei termini. Ad esempio, se l’avviso riprende un PVC della GdF, verificare che sia stato allegato o sintetizzato: se l’atto “per relationem” non consente di capire l’addebito, potrebbe essere nullo (anche se in genere AdE è attenta a riportare l’essenziale ). – contestare le sanzioni in base all’art. 5 D.Lgs. 472/97 (“non punibilità dell’autore per mancanza di elemento soggettivo”): ossia affermare di non aver commesso con dolo o colpa la violazione. Ad esempio, se contestano omessa dichiarazione con sanzione, dire che lui non sapeva e quindi mancava la volontà. Questo è un terreno scivoloso: l’Ufficio replicherà che la culpa in vigilando c’è almeno.

Va detto che ottenere pieno successo nel ricorso tributario per un prestanome è difficile. Nel caso di Napoli 2025, ad esempio, il ricorso del prestanome è stato rigettato integralmente e lui condannato anche alle spese. Ciò suggerisce che, quantomeno in primo grado, i giudici tributari tendono a vedere il prestanome come responsabile in solido del dovuto fiscale. Si potrebbe fare appello e poi anche ricorso in Cassazione puntando sui principi di diritto (es. se si ravvisa una violazione di legge nel considerare responsabile illimitatamente l’ex amministratore). Ma intanto la cartella esattoriale corre…

  • Sanzioni amministrative e cartelle di pagamento: a seguito di un avviso, o direttamente in caso di controlli automatici/omessi versamenti, AdE (o Agenzia Entrate-Riscossione) può emettere cartelle a nome dell’amministratore. Ad esempio, cartella per omessa presentazione del modello F24 con ritenute: viene notificata al legale rappresentante quale coobbligato. Idem per multe camere di commercio, sanzioni per omessa fatturazione, etc.

Difesa: contro le cartelle esattoriali il prestanome può presentare ricorso ex art. 24 D.Lgs. 46/99 (in Commissione Tributaria se riguarda tributi, o al Giudice di Pace/Tribunale se sanzioni amministrative diverse). Le eccezioni possono riguardare: – la notifica (spesso i prestanome non ritirano e si trovano cartelle divenute definitive per irreperibilità; se riesce a dimostrare vizio di notifica, può farle annullare magari in autotutela). – la legittimazione: qui si torna a dire “non dovevano chiederlo a me ma alla società”. Generalmente inefficace se la società non c’è più. – la prescrizione: se passano molti anni, magari alcune sanzioni si prescrivono in 5 anni. – nel merito, se la cartella deriva da un accertamento non impugnato, c’è poco da fare (diventa definitiva). Se invece è una sanzione immediata, può contestare di nuovo l’elemento soggettivo (es. “non ho commesso io l’illecito”). Però in sede amministrativa tributaria conta poco l’intenzione: la sanzione omessa dichiarazione colpisce chi era obbligato oggettivamente.

Il prestanome potrebbe anche chiedere la rateizzazione della cartella (fino a 72 rate o 120 in casi gravi): è una difesa solo dilatoria, ma evita pignoramenti immediati. In casi disperati, può valutare procedure da sovraindebitamento (vedi oltre).

  • Provvedimenti di fermo amministrativo, ipoteche, pignoramenti: se ci sono somme da riscuotere, l’Agente della Riscossione può iscrivere ipoteca su beni del prestanome o bloccare conti. Il prestanome potrebbe opporsi ex art. 615 c.p.c. sostenendo che il debito non è suo. Ma se esiste un titolo (cartella) a suo nome, quell’opposizione è difficile (avrebbe dovuto impugnare il titolo per tempo).
  • Transazioni fiscali o accordi: se la società è fallita, in sede concorsuale si può proporre transazione fiscale. Ma se parliamo del prestanome persona fisica, egli potrebbe cercare di negoziare col Fisco un pagamento a saldo (ci sono state norme in passato tipo “rottamazione quater” per annullare sanzioni e interessi). Un legale del prestanome dovrebbe monitorare eventuali possibilità di definizioni agevolate ed eventualmente aderire, per ridurre il carico.

Un altro scenario: a volte l’Agenzia delle Entrate chiama il prestanome a colloquio (invito al contraddittorio) per chiarimenti. Questo avviene ad esempio nelle verifiche su crediti d’imposta inesistenti compensate: l’Agenzia, insieme alla GdF, individua società che hanno utilizzato falsi crediti e convoca gli amministratori. Il prestanome, se convocato, dovrebbe valutare bene cosa dichiarare: può cercare di prendere le distanze dalle operazioni, magari indicando il consulente o dominus che ha orchestrato il tutto. Bisogna però essere cauti: qualunque ammissione può poi essere usata in sede penale. Di solito, in questi casi, è bene farsi assistere da un avvocato sin dal contraddittorio fiscale, perché la linea difensiva fiscale e quella penale devono essere coerenti (non si può dire all’Agenzia “non sapevo nulla, è colpa di Tizio” e poi negare in tribunale di aver accusato Tizio, ad esempio).

Guardia di Finanza (GdF) e accertamenti: la GdF è il braccio investigativo sia del Fisco che della Procura. Sul piano amministrativo, conduce verifiche fiscali in azienda e redige processi verbali di constatazione (PVC) che segnalano violazioni tributarie. In contesti con prestanome: – La GdF di solito smarca subito la presenza di un prestanome (lo definisce “testa di legno” nei loro atti) e cerca di individuare l’amministratore di fatto. Questo risulta dai riscontri: ad es., i dipendenti dichiarano di ricevere ordini da un altro, i fornitori trattavano con Caio e non con il prestanome Sempronio, ecc. Sul PVC scriveranno il nome del dominus e del prestanome, attribuendo al primo il ruolo effettivo. – Sul piano amministrativo, però, la GdF contesta le violazioni alla società (e di riflesso al legale rappresentante). Quindi nel PVC proporrà sanzioni a carico dell’azienda, ma segnalerà anche la posizione del prestanome. – Conseguentemente, l’Agenzia Entrate userà quel PVC e, come già detto, punterà sul prestanome perché è quello “acchiappabile”.

Per il prestanome, interagire con la GdF durante la verifica è delicato: se viene sentito in sede di verifica fiscale, di solito è un’intervista amministrativa, non un interrogatorio (a meno che già non sia indagato, in cui caso devono avvisarlo). Molti prestanome tendono a dire frasi tipo “Io non ne so nulla, tutto era gestito dal signor X”. I finanzieri lo riportano. Ciò può aiutare a delineare il disegno fraudolento, ma non toglie il verbale di constatazione a carico del prestanome. Può però costituire materiale utile per la fase penale, dove la medesima affermazione sarà poi riscontrata.

Procedimenti penali (indagini GdF e processi)

Quando le violazioni integrano reati, scatta il procedimento penale. In contesti di prestanome, la GdF spesso svolge una doppia funzione: fiscale e giudiziaria. Riceve delega dalla Procura per indagare su reati (es. associazione per delinquere finalizzata a frodi IVA, bancarotta, ecc.), parallela all’accertamento fiscale.

Fase di indagine preliminare: – Il prestanome può venire a conoscenza di essere indagato attraverso vari atti: un decreto di perquisizione (la GdF gli perquisisce casa/ufficio in cerca di documenti), un sequestro preventivo dei suoi beni (sequestri per equivalente in reati fiscali ad es.), un invito a comparire dalla Procura per interrogatorio, o la notifica di un’informazione di garanzia. – In questa fase, è essenziale nominare un avvocato penalista esperto. Il legale potrà visionare gli atti (quando consentito) e impostare la difesa già dall’inizio. Ad esempio, decidere se farlo collaborare: in reati economici, la collaborazione del prestanome (rivelare i retroscena, consegnare eventuali email o prove contro il dominus) può convincere la Procura a distinguerne le posizioni. – Spesso i dominus reclutano prestanome tra persone di basso profilo, contando sul fatto che non sapranno difendersi bene. Ma se un prestanome fornisce alla Procura elementi utili per colpire il dominus o svelare il network di società fantasma, potrebbe beneficiare di attenuanti per collaborazione (specie nei reati associativi o di riciclaggio c’è uno specifico regime premiale per chi aiuta a ricostruire i fatti). – Il prestanome deve però stare attento: se ammette certe cose (tipo “sapevo che era una frode ma avevo bisogno di soldi”), di fatto confessa un reato. Meglio quindi una collaborazione calibrata: ammettere il ruolo formale e il compenso, esprimere rammarico, sottolineare di non aver ideato nulla e che anzi è stato strumentalizzato. – Durante le indagini, c’è la possibilità che la Procura richieda misure cautelari: i prestanome raramente sono messi in custodia (più facile arrestino il dominus se ci sono pericoli), ma possono subire sequestri patrimoniali. Se il prestanome ha beni intestati (una casa, un’auto) potrebbero essere sequestrati fino a concorrenza del profitto del reato. Egli può presentare riesame al tribunale cautelare per dissequestrare, magari sostenendo che quei beni non c’entrano col reato (se ad es. casa comprata prima dei fatti, ecc.).

Fase del dibattimento (processo): – Qui il prestanome è imputato assieme ad eventuali altri (dominus, complici). La strategia difensiva può essere: – Patteggiamento: se le prove sono schiaccianti e non ci sono margini di assoluzione, valutare il patteggiamento (applicazione pena concordata). Questo conviene se si riesce a stare entro 2 anni (pena sospesa, niente carcere) e magari con pena pecuniaria ridotta. Il patteggiamento è un’ammissione implicita, ma evita il rischio di pene più alte e chiude il procedimento più rapidamente, il che per un prestanome (che vuole magari tornare alla vita normale) può essere preferibile. Inoltre, patteggiare su bancarotta semplice invece che rischiare bancarotta fraudolenta è un buon affare. – Scelta del rito: altra opzione è il rito abbreviato, che dà sconto 1/3 sulla pena ma si decide allo stato degli atti (niente esame testimoni in aula). Se le carte dell’accusa sono dubbie sul suo dolo, un abbreviato può portare a un giudizio più tecnico e magari un’assoluzione per difetto di dolo. Però è un rischio perché non puoi portare nuovi elementi (se non documenti già raccolti). – Dibattimento ordinario: se si va a processo pieno, la difesa chiamerà testimoni che confermino il non coinvolgimento del prestanome (es. dipendenti che diranno “lui non faceva nulla in azienda, vedevamo sempre quell’altro signore comandare”). Può far periziare la contabilità per dimostrare che la mano era di altri. La sfida è convincere il giudice oltre ogni ragionevole dubbio che il prestanome non aveva cognizione. Eventuali patti parasociali o scritture private tra prestanome e dominus possono emergere: se ci fosse un contratto scritto di mandato fiduciario (anche se nullo verso terzi) dove il dominus riconosce di essere lui a gestire e manlevare il prestanome, potrebbe moralmente aiutare a far capire il quadro (anche se legalmente il reato rimane, ma per la valutazione soggettiva può contare). – Attenuanti e circostanze: la difesa punterà a far riconoscere l’attenuante del ruolo marginale (art. 114 C.p. – diminuente per chi ha avuto minima importanza nell’evento). Già un ricorrente prestanome in Cassazione lamentava che non gliel’avevano concessa nonostante il ruolo marginale e i limiti cognitivi . Insistere su questo in arringa può portare a uno sconto. Anche le attenuanti generiche (art. 62-bis C.p.) per incensuratezza, pentimento, etc., sono cruciali per ridurre la pena o bilanciare eventuali aggravanti. – Risarcimento e condotta riparativa: se ci sono parti civili (ad es. curatore fallimentare, creditori, Fisco come parte civile in penale tributario), il prestanome può cercare un risarcimento parziale. Spesso è nullatenente, ma se potesse offrire qualcosa o garantire cooperazione a recuperare soldi dal dominus, potrebbe chiudere con le parti civili e ottenere attenuanti.

Esito e conseguenze: – Se condannato penalmente, oltre alla pena (detentiva o multa), il prestanome subirà conseguenze accessorie: interdizione dai pubblici uffici, incapacità a ricoprire altre cariche societarie per un periodo, ecc. Il suo casellario giudiziale sarà macchiato da reati di infedeltà fiscale/fallimentare, il che compromette future possibilità professionali (ad esempio, chi ha bancarotta fraudolenta non può essere amministratore di altre società per 10 anni di solito). – Inoltre, una condanna penale irrevocabile può facilitare cause civili di rivalsa contro di lui (il curatore a quel punto usa la sentenza penale per richiedere danni senza più discutere il fatto). – Se assolto, dovrà comunque spesso giustificarsi per lungo tempo (la reputazione potrebbe essere rovinata; pensiamo a chi appare sui giornali come prestanome di frodi: anche se poi assolto per non aver commesso il fatto, la macchia resta).

Procedimenti civili, fallimentari e amministrativi (Tribunali)

Oltre a fisco e penale, un prestanome può trovarsi invischiato in: – Procedimento di fallimento o insolvenza: se la società fallisce, il prestanome verrà chiamato dal curatore per l’esame dei crediti e le scritture (che ovviamente mancheranno). Sarà interrogato dal Giudice Delegato e dal curatore sul perché la società è decocta, dove sono i libri, etc. Qui dichiarare la verità (era tutto in mano al dominus, non so) può portare a segnalazione per bancarotta (che comunque partirà). – Il curatore potrà promuovere l’azione di responsabilità ex art. 146 L.F. contro amministratori e soci di fatto. In quella sede (Tribunale civile fallimentare), il prestanome sarà convenuto. – Difesa: eccepire di non aver cagionato alcun danno per dolo o colpa grave perché non gestiva lui. Ma come visto la giurisprudenza civile dice che la colpa c’è già nell’aver accettato e non vigilato. Tuttavia, si può quantomeno discutere la quantificazione del danno imputabile a lui: ad esempio, il dominus ha distratto 1 milione, il prestanome potrebbe chiedere di graduare le responsabilità (magari 70% dominus, 30% lui). Non è semplice perché per la società entrambi sono solidali. Però in sede di riparto interno o di condanna, il giudice può valutare il contributo causale. Dunque, con una buona consulenza tecnica, si può provare a dimostrare che anche se avesse vigilato, il dominus avrebbe comunque attuato la frode e che quindi il nesso causale tra la sua omissione e il danno è relativo. – Il prestanome potrebbe anche chiamare in causa il dominus occulto (se noto) come terzo responsabile, per essere tenuto indenne. Questo almeno formalmente mette il dominus al centro del bersaglio insieme a lui. – A volte, se il prestanome non ha beni, il curatore si concentra sul dominus perché spera di recuperare da lui. Se però il dominus è latitante o nulla tenente, cercherà anche dal prestanome (magari quest’ultimo ha una casa di proprietà di famiglia su cui aggredire). – Procedimenti di interdizione/incapacità: caso particolare, se un prestanome viene riconosciuto incapace di intendere (ad es. quello con patologie psichiatriche prima citato), potrebbe essere soggetto a una procedura di interdizione. È raro e avverrebbe forse post vicenda, non lo approfondiamo qui. – Procedimenti amministrativi: se la società operava in settori regolamentati (es. appalti pubblici, licenze, ecc.), l’amministratore potrebbe ricevere provvedimenti amministrativi negativi (revoca di autorizzazioni, esclusione da gare). Ad esempio, se prestanome di azienda appaltatrice mafiosa, potrebbe incorrere in una informativa antimafia a suo carico che gli impedisce di gestire altre imprese. Difendersi in tali casi è complesso perché sono misure discrezionali: bisognerebbe fare ricorso al TAR mostrando che lui era figura inconsapevole, ma se c’è un sospetto di contiguità criminale il TAR tende a confermare le interdittive antimafia in dubbio.

  • Responsabilità patrimoniale personale: quando tutte queste procedure finiscono, il prestanome rischia in concreto di dover pagare somme enormi. Se il Fisco gli iscrive a ruolo 2 milioni di euro e lui non ha nulla, rimarrà con un debito a vita (salvo esdebitazioni). Se il curatore lo fa condannare a risarcire, idem. Ci si chiede: il prestanome ha qualche via d’uscita per liberarsi dai debiti? Oltre a sperare in una inesigibilità di fatto, oggi l’ordinamento offre la procedura di sovraindebitamento (rinominata “esdebitazione del debitore incapiente” nel Codice della Crisi): un soggetto persona fisica onesto ma sfortunato può chiedere al tribunale di essere liberato dai debiti residuali se non ha alcun patrimonio liquidabile (art. 283 CCII e segg.). Un prestanome condannato a pagare potrebbe tentare questa strada, dichiarandosi debitore civile incapiente. Deve però dimostrare di non aver frodato i creditori intenzionalmente. Qui c’è un problema: se i debiti derivano da sanzioni per frode o risarcimenti per bancarotta fraudolenta, il giudice potrebbe dire che non è il caso di esdebitare perché il debitore non è “meritevole” (avendo concorso in frodi). Tuttavia, non è automatico: se la sua colpa è stata valutata marginale, potrebbe essere ritenuto meritevole di esdebitazione. È un campo nuovo, ma vale la pena menzionarlo come extrema ratio.

Possiamo concludere questa parte rimarcando che l’approccio difensivo deve essere integrato: il prestanome spesso si trova a difendersi su più fronti contemporaneamente (esempio: nel 2023 riceve avviso di accertamento, nel 2024 è imputato in penale, nel frattempo nel 2025 curatore lo cita in civile). È importante coordinare le difese per evitare che ammissioni fatte in un ambito pregiudichino un altro. Idealmente, con l’assistenza di legali specializzati in ogni settore che collaborino fra loro.

Strumenti di difesa e prevenzione

Dopo aver affrontato cosa rischia e come reagire nelle varie sedi, dedichiamo questa sezione a due profili cruciali: come difendersi in concreto (strategie difensive sia procedurali che di merito) e, ancora prima, come prevenire o limitare i rischi se ci si trova (o si valuta) nella condizione di prestanome. Quest’ultimo aspetto di “difesa preventiva” è rivolto a chi, prima che scoppi il contenzioso, vuole tutelarsi contrattualmente o tramite strumenti giuridici.

Strategie difensive nelle fasi di contenzioso

Riepilogando le principali linee di difesa già anticipate: – Dimostrare l’estraneità e mancanza di coinvolgimento: è il filo conduttore in ogni sede. In pratica: raccogliere e produrre tutte le evidenze che mostrino che il prestanome era solo tale. Ad esempio, contratti sociali o email dove il dominus dà ordini, testimonianze di dipendenti o fornitori, documenti che provano che il prestanome svolgeva altro lavoro e non frequentava l’azienda. Più il prestanome appare “esterno” nelle operazioni, più credibile è la sua innocenza relativa. – Separare le posizioni: se possibile (soprattutto in penale), chiedere la separazione del procedimento rispetto al dominus. Ad esempio, se il dominus è latitante o irreperibile, il prestanome può chiedere di essere giudicato a parte, così da non essere trascinato in una lunga istruttoria. Avere un processo separato consente di focalizzare sul suo ruolo specifico anziché confondersi con i capi imputazione principali. – Utilizzare consulenti tecnici: nei processi complessi (fallimentari o fiscali), nominare un consulente tecnico di parte (CTP) che valuti la contabilità e la dinamica. Un CTP può, ad esempio, evidenziare che certi documenti sono firmati dal dominus, che il prestanome non appare nelle email di amministrazione, ecc. Oppure, nel caso di quantificazione di danno, può calcolare che solo una frazione è imputabile a eventuali omissioni dell’amministratore di diritto. – Eccezioni procedurali: contestare ogni eventuale vizio di forma che possa far annullare o ridurre l’efficacia degli atti: es., nullità di una notifica, prescrizione di un reato (bancarotta semplice si prescrive in tempi più brevi, se riesce a far qualificare il fatto come tale, può eccepire prescrizione), tardività di un accertamento fiscale oltre termini decadenziali, carenza di motivazione di un atto amministrativo, ecc. Queste eccezioni non “assolvono” moralmente il prestanome, ma possono liberarlo comunque da conseguenze giuridiche se accolte. – Trattative e accordi transattivi: fuori dal penale, si può sempre negoziare. Ad esempio, con il curatore fallimentare si può tentare un accordo: il prestanome offre una somma (magari attingendo da parenti) per chiudere l’azione di responsabilità e il curatore rinuncia a proseguire (serve autorizzazione del comitato creditori). Col Fisco, esistono meno margini di transazione extragiudiziale (se non mediante gli strumenti di legge tipo adesione). Ma se c’è in parallelo un procedimento penale per reati tributari, il prestanome pagando il debito tributario prima della sentenza può ottenere una causa di non punibilità (per alcuni reati come omesso versamento, o attenuanti per altri). – Uso strategico del fallimento: se la società non è ancora fallita, paradossalmente il prestanome potrebbe valutare lui stesso di portarla in tribunale chiedendo un fallimento pilotato o una liquidazione giudiziale. Perché? Perché in sede fallimentare, emergerà la figura dell’amministratore di fatto: il curatore lo cercherà. Inoltre, molte pretese fiscali verranno cristallizzate nel passivo e il prestanome come persona fisica potrebbe non essere aggredito immediatamente. Attenzione però: il fallimento apre anche la porta ai reati fallimentari, se ancora non contestati. – Dimissioni e atti formali: se il prestanome non l’ha ancora fatto, dovrebbe rassegnare dimissioni dall’incarico non appena percepisce rischi o di essere strumento di illeciti. Le dimissioni comunicate al Registro delle Imprese servono a delimitare temporalmente la sua responsabilità. Spesso i dominus tengono il prestanome finché fa comodo e poi lo sostituiscono con un altro. Se il prestanome percepisce la mala parata, anticipare i tempi e dimettersi può almeno evitare che ulteriori fatti gli siano addebitati dopo la data di dimissioni. In più, inviando magari una PEC ai soci in cui denuncia di non poter svolgere il ruolo per mancanza di informazioni, crea un documento che potrà usare a sua difesa. – Consulenza legale continua: un prestanome dovrebbe coinvolgere un legale non appena sorgono i primi problemi (es. la prima cartella, o la prima convocazione in GdF). Non aspettare di essere travolto da eventi senza aver compreso la situazione giuridica. Un avvocato può, ad esempio, assisterlo durante le perquisizioni (verificando che i suoi diritti siano rispettati), oppure interloquire con l’Agenzia Entrate in sede di adesione per cercare una chiusura. – Mediazione penale: in alcuni reati come la truffa o le lesioni, esiste la possibilità della giustizia riparativa. Non tanto applicabile a reati fiscali o fallimentari, ma se capitasse che il prestanome è accusato di truffa contrattuale verso clienti, potrebbe provare a risarcirli e ottenere la remissione di querela o la non procedibilità (per reati procedibili a querela).

Strumenti di tutela preventiva

Passiamo ora alla fase prevenzione: cosa può fare una persona prima o durante l’incarico di amministratore per proteggersi e ridurre i rischi di future contestazioni. Idealmente, il miglior consiglio è non accettare ruoli di prestanome in situazioni opache. Ma se proprio si decide di farlo (magari per aiutare un amico/parente o per compenso), occorre prendere precauzioni:

  1. Consulenza professionale preliminare: prima di firmare per diventare amministratore, il soggetto farebbe bene a consultare un avvocato esperto di diritto societario e fallimentare o un commercialista indipendente (non quello fornito dal dominus, che potrebbe minimizzare i rischi). Un consulente potrà spiegare chiaramente cosa comporta essere amministratore e quali segnali di allarme monitorare. Inoltre, può suggerire soluzioni alternative: ad esempio, se il dominus vuole anonimato, perché non costituire una società fiduciaria? O perché non utilizzare una S.r.l. semplificata a capitale minimo con l’amico come socio unico (così appare lui e non serve prestanome)? Insomma, un professionista può smascherare eventuali furbizie illegali e proporre vie lecite.
  2. Patti scritti col dominus: se si procede, è fondamentale formalizzare per iscritto gli accordi con l’effettivo gestore. Questo può avvenire in vari modi:
  3. Mandato fiduciario: redigere un contratto di mandato in cui l’amministratore di fatto (mandante) incarica il prestanome (mandatario) di intestare e amministrare la società per conto e nell’interesse del mandante. Prevedere che il mandante rimborsi tutte le spese, indennizzi per ogni responsabilità, e che il mandatario eseguirà le istruzioni. Questo documento, pur non opponibile a terzi, crea un obbligo interno. Se le cose vanno male, il prestanome potrà esibirlo per dimostrare chi era il vero decisore (anche se la controparte dirà “è un accordo in frode alla legge”, resta come fatto storico).
  4. Clausole di manleva: far firmare al dominus una dichiarazione di “manleva” in cui si impegna a tenere indenne l’amministratore da qualunque conseguenza di legge e a risponderne personalmente. Certo, se il dominus sparisce o è nullatenente, tale carta serve a poco patrimonialmente, ma in un contenzioso può mostrare la volontà di assumersi lui le responsabilità (supportando la tesi che il prestanome contava su questo).
  5. Polizze assicurative: valutare una D&O (Directors & Officers) insurance, ossia un’assicurazione per responsabilità degli amministratori. Molte compagnie la offrono: copre le spese legali e talvolta i risarcimenti civili derivanti da atti illeciti colposi degli amministratori (non copre il dolo). Se il dominus accetta di pagare il premio annuale, il prestanome almeno avrà un paracadute per le spese legali e per eventuali negligenze (non coprirà ad esempio la multa penale o la sanzione fiscale per dolo, ma magari la parcella degli avvocati sì).
  6. Patti parasociali con i soci: se il prestanome possiede formalmente quote (a volte viene dato un 1% simbolico), può stipulare coi soci occulti un patto in cui questi ultimi si obbligano a non far valere responsabilità contro di lui, o a votare in assemblea la rinuncia ad azioni di responsabilità. Attenzione: un patto del genere ha tenuta relativa (una nuova compagine sociale potrebbe comunque citarlo), però vincola i soci attuali a coprirlo.
  7. Regolare compenso e contrattualizzazione del ruolo: pretendere che il compenso pattuito venga erogato in modo tracciato (busta paga o compenso amministratore dichiarato). Spesso i prestanome vengono pagati “in nero”. Meglio invece passare da delibera assembleare che fissa un compenso amministratore, anche modesto, e farlo accreditar su conto. Così in caso di problemi si può dire: “Vede, prendevo 1000€ al mese dichiarati per questo incarico, ciò conferma che ero un prestanome pagato poco, non un socio occulto che condivide utili maggiori”. Inoltre, se c’è un contratto di lavoro fittizio (alcuni prestanome risultano dipendenti o consulenti dell’azienda stessa), regolarizzare quella posizione può offrire un minimo di tutela previdenziale e inquadrare la natura del rapporto.
  8. Diligenza e controllo minimo: anche se formalmente prestanome, sarebbe opportuno che l’amministratore esercitasse comunque un minimo di vigilanza sull’operato del dominus. Ad esempio, imponendo clausole dove ha diritto di accedere ai conti bancari online solo in lettura, o di ricevere copia di bilanci mensili predisposti dal contabile. Se il dominus opera correttamente, non avrà problemi a dare questa trasparenza. Se invece rifiuta categoricamente, è segno che qualcosa di losco c’è. In ogni caso, poter vedere movimenti e documenti consente al prestanome, se scorge irregolarità pesanti, di tirarsi indietro prima. Inoltre, se un giorno in tribunale dice “guardate, io chiedevo i conti, controllavo, e quando ho visto problemi ho fatto X”, ciò può mitigare la sua colpa (mostra che non era totalmente passivo).
  9. In concreto: richiedere che la società nomini un revisore legale o almeno un collegio sindacale (anche se non obbligatorio per legge, lo si può mettere volontariamente). Un sindaco o revisore indipendente potrebbe scoprire illeciti e segnalarli. Il dominus forse non gradirà costi extra e controllori, ma è una best practice.
  10. Far inserire nello statuto clausole di “amministrazione congiuntiva”: ad esempio, nominare due amministratori (il prestanome e magari un prestanome di fiducia del dominus) con firma congiunta. Così il nostro prestanome non firma mai nulla da solo, e può anche astenersi. C’è il rischio di risultare comunque corresponsabile, ma almeno ogni atto sociale porterebbe due firme e il prestanome può provare di non aver firmato quell’operazione contestata se era l’altro a farlo (ma se è congiunta, deve firmare anche lui, quindi idea non ottima se dominus lo costringe comunque).
  11. Limitare deleghe: se prestanome in un C.d.A., può pretendere di non ricevere deleghe operative (lasciandole magari a un altro consigliere indicato dal dominus) e far mettere a verbale ogni volta il suo dissenso su operazioni dubbie. Questo crea verbali utili: “Consigliere Alfa (prestanome) si astiene e dichiara di non avere elementi per valutare”. Non blocca l’azione se gli altri approvano, ma lo smarca un po’.
  12. Exit strategy concordata: stabilire con il dominus un orizzonte temporale breve per la carica. Ad esempio, accordarsi che dopo 1 anno il prestanome si dimette e cede eventualmente la quota. Lasciare scritto che se entro tale data non subentra un nuovo amministratore, il prestanome potrà autosciogliere la società. Questo per non restare incastrati troppo a lungo (più tempo si sta, più eventi potenzialmente imputabili accadono). E se tutto va bene, nulla vieta al dominus di trovare un altro prestanome a rotazione (pratica purtroppo comune). Almeno il nostro esce prima del botto finale (anche se potrebbe rispondere comunque per il periodo in cui c’era).
  13. Asset protection personale: come accennato, se il prestanome possiede beni personali di un certo valore, può considerare strumenti per proteggerli prima di iniziare. Ad esempio:
  14. Costituire un fondo patrimoniale (artt. 167 C.c.) con eventuale casa coniuge e dedicato ai bisogni della famiglia. Attenzione però: i debiti fiscali o da attività di impresa non sono automaticamente esclusi dal fondo se contratti per scopi estranei ai bisogni familiari (e quelli fiscali/illeciti lo sono). Inoltre, se c’è già all’orizzonte l’illecito, il fondo potrebbe essere revocato come atto fraudolento.
  15. Istaurare un trust auto-dichiarato di tipo “asset protection”: trasferire beni immobili o liquidità a un trustee (che può essere anche un parente fidato o un trust company estera) a beneficio della propria famiglia. La segregazione del trust li rende attaccabili solo se si dimostra il trust in frode ai creditori (con azione revocatoria). Se fatto molto prima e con finalità plausibili (patrimoniali), regge meglio di un fondo patrimoniale.
  16. Stipulare polizze vita a premio unico: mettere i risparmi in una polizza vita intestata al coniuge o figli. Le somme in polizza vita generalmente sono impignorabili e insequestrabili (entro certi limiti e salvo reati specifici).
  17. Intestare beni a terzi di fiducia: è rischioso e potenzialmente illecito se fatto apposta per sfuggire a creditori futuri, ma se uno ha un patrimonio e prevede che in un paio d’anni potrebbe essere bersaglio di milioni di euro di cartelle, potrebbe vendere/donare prima la casa al figlio. Naturalmente, i creditori possono poi agire in revocatoria entro 5 anni, ma se il figlio nel frattempo l’ha ipotecata o se il creditore è lo Stato, c’è comunque margine limitato.
  18. Valutare alternative legali al prestanome: se il motivo per cui serve un prestanome è, ad esempio, che il dominus è stato dichiarato fallito e per 5 anni non può assumere cariche (art. 16 L.F., inabilitazioni) oppure ha precedenti penali che gli impediscono di ottenere autorizzazioni, allora il prestanome sta di fatto aiutandolo a eludere una legge. Ciò di per sé non è reato (a meno di intestazione fittizia in contesto mafia), ma è sanzionato indirettamente (se beccati, il dominus può subire aggravanti, ecc.). Un’alternativa lecita potrebbe essere: perché il dominus non delega a un manager reale? Assumere un direttore generale che prenda lui le decisioni. Cioè, invece di un prestanome passivo, nominare un amministratore indipendente o un professionista fiduciario che però esercita il controllo e rifiuta atti illegali. Certo il dominus perde un po’ di libertà d’azione, ma evita almeno condotte criminali e il prestanome a quel punto non è di facciata ma di sostanza (quindi non è più prestanome, è amministratore vero su mandato). Questo scenario è raro perché i dominus di solito vogliono fare cose non lecite, altrimenti potrebbero benissimo comparire loro.
  19. Tenersi informati e reagire presto: come prevenzione continuativa, il prestanome deve monitorare la situazione. Appena arriva una lettera dell’Agenzia Entrate, non ignorarla; se gli arriva un atto giudiziario, attivarsi. Molti prestanome, per la natura un po’ improvvisata del loro ruolo, tendono a sottovalutare o a rimuovere i segnali di allarme. Invece, intercettare i problemi sul nascere consente di avere più opzioni. Ad esempio, se la GdF inizia a far domande in giro, prima che arrivi l’accertamento il prestanome può parlarne col dominus e dire “qua la Finanza ci sta addosso, sistemiamo le cose, paghiamo qualcosa per regolarizzare”. Se il dominus se ne infischia, forse è il momento per il prestanome di abbandonare la nave.

In sintesi, la prevenzione è un mix di cautela legale (patti, trust, assicurazioni), diligenza sostanziale (non chiudere totalmente gli occhi, ma controllare quel minimo che basta per non cadere in ignavia colposa) e pianificazione patrimoniale (mettere al riparo i propri beni e avere un exit plan).

Va evidenziato che nessuno di questi strumenti garantisce al 100% l’immunità al prestanome. Se egli collabora volontariamente a un disegno illecito, le protezioni possono crollare (es: i contratti di manleva non impediscono al PM di perseguirlo penalmente). Però possono fare la differenza in tribunale, quantomeno sul piano della percezione della sua figura: un conto è un prestanome che appare completamente passivo e quasi complice silente, un conto è uno che documenta di aver cercato di tutelarsi e di aver imposto alcune regole (vuol dire che non voleva fare un crimine, voleva solo aiutare l’altro ma con prudenza). Questa seconda immagine potrebbe suscitare maggiore comprensione in un giudice.

Domande frequenti (FAQ) su prestanome e difese

Di seguito, sotto forma di domanda e risposta, ricapitoliamo alcuni dei quesiti più comuni che possono porsi gli amministratori prestanome o chi interagisce con tale figura, fornendo risposte sintetiche basate su quanto esposto finora.

D: Chi è esattamente un amministratore “prestanome” e in quali situazioni viene utilizzato?
R: Un prestanome è una persona che accetta di figurare formalmente come amministratore di una società al posto di un’altra persona che ne detiene il controllo effettivo. In pratica “presta il nome” per schermare il vero amministratore di fatto . Viene usato in situazioni in cui il vero soggetto vuole restare nascosto: ad esempio, se ha pendenze o interdizioni e non può comparire, se vuole sfuggire a creditori o al Fisco, o se vuole compiere attività illegali senza apparire. È comune in schemi di evasione (società “cartiera” intestata a nullatenenti), in imprese di pregiudicati che usano terzi incensurati come front-men, o anche in operazioni lecite dove un socio non vuole palesare il suo coinvolgimento (meno frequente, perché esistono modi legali per farlo come le fiduciarie).

D: Quali rischi corre il prestanome dal punto di vista civile e patrimoniale?
R: Sul piano civile il prestanome può essere ritenuto personalmente responsabile dei danni causati dalla gestione societaria. Questo significa che, se la società fallisce o non paga i debiti, i creditori (o il curatore) possono agire contro di lui accusandolo di non aver gestito diligentemente . Può dover risarcire debiti sociali, subire azioni di responsabilità per mala gestio e vedersi attaccare il proprio patrimonio (casa, stipendio futuro, ecc.). Inoltre, resterà coinvolto in cause civili e procedure concorsuali con possibili condanne a pagare somme elevate. In sostanza, anche se non ha preso un euro dalla società, rischia di pagarne i debiti come se fosse stato lui il responsabile, se viene accertata una sua colpa (anche solo omissiva) nella cattiva gestione. L’esempio tipico: società indebitata con il fisco per 500 mila euro – il Fisco, se la società è insolvente, può rivalersi sul prestanome in quanto legale rappresentante autore delle violazioni .

D: Il prestanome può essere ritenuto responsabile dei reati commessi nella gestione (es. evasione fiscale, bancarotta)?
R: Sì. Purtroppo l’orientamento attuale della Cassazione è che l’amministratore di diritto risponde penalmente a titolo di concorso omissivo in molti reati societari, fiscali e fallimentari . Quindi, se il dominus commette un reato (ad esempio frode fiscale, distrazione di beni, falso in bilancio), il prestanome può essere imputato come correo per non aver impedito il fatto, avendo l’obbligo giuridico di farlo. In pratica, la legge lo vede come garante che doveva vigilare . Ci sono però situazioni in cui, se il prestanome era davvero all’oscuro e privo di poteri, potrebbe non rispondere: ad esempio la Cassazione ha detto che nei reati di omessa dichiarazione il prestanome non è punibile “solo se privo di qualunque possibilità di ingerenza” . Questo “solo se” però è restringente: bisogna provare una totale estraneità. Quindi generalmente, sì: il prestanome rischia incriminazioni per reati tributari (omessa dichiarazione, emissione di fatture false – risponde in concorso anche se era la “testa di legno”), reati fallimentari (soprattutto per la contabilità mancante – bancarotta documentale – dove è quasi sempre coinvolto ), e altri eventuali illeciti commessi nella società (es. se ci sono reati ambientali, essendo lui legale rappresentante può essere denunciato). La sua punibilità dipenderà dalla prova del dolo o della sua consapevolezza, ma spesso i giudici ritengono che accettando il ruolo egli abbia quantomeno accettato il rischio degli illeciti (dolo eventuale) .

D: Invocare “ero solo un prestanome, non c’entro nulla” è una difesa valida?
R: È comprensibile come argomentazione, ma da sola non basta di fronte alla legge. Non esiste una esimente esplicita per il “prestanome”. Al contrario, la legge presume che chi accetta la carica si assume i connessi doveri. Dire “non c’entro” può aiutare a escludere il dolo intenzionale (se creduto), ma spesso al massimo porta a qualificare la condotta come colposa anziché dolosa. Ad esempio, in ambito penale fallimentare si può riuscire a farsi dichiarare colpevoli di bancarotta semplice (reato meno grave) invece che fraudolenta se si dimostra che l’atteggiamento era di superficialità e non di volontà di frodare . In ambito fiscale amministrativo, dire “ero solo prestanome” non evita la sanzione, a meno che si provi di essere stato completamente impossibilitato ad agire (e questo è molto difficile da provare). Dunque, questa linea difensiva deve essere supportata da prove: testimonianze, documenti che dimostrino che altri operavano all’insaputa del prestanome. Se il giudice ne è convinto, può assolvere (ci sono stati casi di assoluzione di prestanome inconsapevoli), ma è raro e va conquistato con elementi concreti.

D: Se il prestanome era inconsapevole di una frode fiscale, può evitare la condanna penale?
R: Sì, in linea teorica, se manca l’elemento soggettivo (cioè la volontà o anche solo l’accettazione del reato) egli dovrebbe essere assolto. Ad esempio, la Cassazione ha detto che “non può essere giudicato colpevole di omessa dichiarazione IVA il prestanome in assenza dell’elemento psicologico, cioè se era inconsapevole” . Tuttavia, nella pratica il confine tra inconsapevolezza e colpa grave è labile. Se il prestanome firmava dichiarazioni o le ometteva, il giudice potrebbe dire: avresti dovuto renderti conto, e quindi c’era almeno dolo eventuale. C’è qualche precedente dove il prestanome fu assolto perché effettivamente provato che non capiva nulla ed era uno strumento inconsapevole (pensa a casi di persone con bassa scolarità ingannate dal dominus). Dunque, la risposta è: sì, è possibile evitare la condanna se si dimostra l’assoluta inconsapevolezza, ma è un onere probatorio elevato. Bisogna portare fatti che convincano che il prestanome non aveva idea (ad esempio, era convinto che tutto fosse in regola perché il dominus gli forniva informazioni false, o era proprio incapace di comprenderle). Se ci riesce, il giudice potrebbe assolverlo per difetto di dolo. In caso contrario, c’è il rischio che il giudice consideri la sua condotta come almeno colposa e in molti reati penali la colpa non basta per scagionare (o meglio, in reati come l’omessa dichiarazione la colpa non è punita penalmente, ma il confine col dolo eventuale è giudizio di fatto). Da notare: in un caso del 2019 un prestanome affetto da problemi psichici gravi eccepì proprio di non essersi reso conto delle implicazioni fiscali; la Cassazione ha censurato i giudici d’appello che avevano dedotto il dolo solo dalla carica formale senza considerare le sue patologie . Quindi c’è sensibilità sul tema: se davvero era inconsapevole per ragioni oggettive (es. minore intelligenza, disturbi), ciò deve essere tenuto conto e può portare a esito favorevole.

D: Il prestanome può essere costretto a pagare i debiti fiscali della società?
R: Sì, e succede spesso. Se la società non paga tasse o multe, l’Agenzia delle Entrate e l’Agente della Riscossione cercano di recuperare dall’amministratore. Come spiegato, dopo che la società viene estinta, il Fisco notifica gli atti direttamente al prestanome . Anche con società ancora esistente ma priva di beni, in pratica finiranno per escutere lui (ad esempio, pignorando eventuali conti personali, se disponibili). Il prestanome è considerato il “destinatario diretto degli obblighi tributari” in quanto rappresentante legale . Quindi soprattutto tasse come IVA, ritenute, sanzioni per omessi versamenti, vengono richieste a lui. L’unica limitazione: se lui paga, avrebbe diritto di regresso verso la società o i soci (ma se quelli sono insolventi, è un diritto teorico). Non c’è un limite preciso alla somma: potrebbe dover pagare milioni. Unica consolazione: se dimostra che quell’obbligazione fiscale deriva da reato commesso dal dominus, potrebbe in teoria rivalersi civilmente su di lui (sempre che sia capiente). Ma intanto il Fisco chiede a lui. Esempio concreto: società “Beta” non versa IVA per 300k euro e fallisce; l’Agenzia notifica cartella all’ex amministratore per 300k + interessi + sanzioni (se in malafede, sanzione 90% dell’imposta, quindi altri 270k). Totale quasi 600k euro che formalmente gravano sul prestanome. Poi che lui non li abbia e risulti nullatenente è un’altra storia (il debito rimane, potrà subire pignoramenti di stipendio se ne avrà uno futuro, ecc.). Quindi sì, il prestanome può ritrovarsi debitore verso il Fisco per importi ingentissimi, praticamente come coobbligato.

D: Esistono strumenti per proteggere il prestanome prima che le cose vadano male (patti parasociali, trust…)?
R: Sì, ci sono diverse cose che si possono fare in via preventiva: – Patti parasociali o accordi scritti con il dominus, in cui questi si impegna a manlevare il prestanome da ogni responsabilità, riconoscendo che è lui a gestire. Ciò non impedisce al Fisco o ai creditori di agire contro il prestanome, ma fornisce un titolo per rivalersi sul dominus in un secondo momento e soprattutto prova documentalmente la reale ripartizione dei ruoli (utile in sede penale per dimostrare la posizione di subalternità). – Trust o fiduciaria: se la questione è nascondere l’identità, meglio usare una società fiduciaria per intestare le partecipazioni (così il nome del dominus non appare come socio, ma almeno il fiduciario è un soggetto vigilato e il dominus può amministrare ufficialmente). Oppure un trust dove il trustee appare come socio; il dominus magari può anche essere amministratore se non ha impedimenti, altrimenti si nomina un amministratore professionale. Queste soluzioni costano e non tutti le considerano, ma sono legali e riducono il bisogno di prestanomi. Se invece il dominus vuole comunque un prestanome come amministratore, il prestanome può richiedere come contropartita che la proprietà delle quote sia intestata a una fiduciaria o a un trust a garanzia: in tal modo, se succede qualcosa, la fiduciaria/trustee ha l’obbligo di agire secondo certe istruzioni e il prestanome non rimane incastrato come unico bersaglio (perché almeno la proprietà è altrove e forse creditori e autorità guarderanno anche lì). – Consulenza e audit periodico: far inserire contrattualmente il diritto per il prestanome di far esaminare periodicamente la contabilità da un suo consulente di fiducia. Così, se il consulente nota irregolarità gravi, il prestanome può dire al dominus di correggerle, o minacciare dimissioni. È un modo per prevenire illeciti o accumuli di debiti non segnalati. – Polizza assicurativa: come detto, stipulare un’assicurazione D&O. Questo non previene il fatto in sé, ma previene almeno l’effetto devastante sul patrimonio personale per alcune richieste risarcitorie (l’assicurazione di solito copre le spese di difesa legale e i risarcimenti civili dovuti dalla persona, tranne quelli derivanti da atti dolosi). Quindi se un curatore ottiene 100k euro di danni per negligenza, l’assicurazione potrebbe pagarli. Va controllato il contratto: spesso le polizze D&O non coprono atti dolosi o penalmente rilevanti, però coprono le spese legali anche per accuse penali fino a sentenza definitiva. – Documentare tutto: tenere un archivio personale con copie di comunicazioni, email, verbali che possano in futuro essere usati per chiarire la posizione. Ad esempio, conservare le email dove il dominus dà istruzioni, o i verbali dove il prestanome delega poteri a qualcun altro. Questi documenti, se emergono solo dopo, possono salvare da responsabilità o almeno attenuarle. – Exit plan: concordare in anticipo quando e come il prestanome potrà uscire in sicurezza. Ad esempio: “Se i debiti superano X o se c’è un procedimento penale, tu (dominus) ti impegni a farmi dimettere e a prenderti la carica o nominare un altro”. Metterlo per iscritto. Anche se non vincolante per terzi, moralmente impegna il dominus – e se non lo fa, il prestanome potrà dire di essere rimasto incastrato suo malgrado perché l’altro ha violato l’accordo.

In aggiunta a questi strumenti, vale la regola generale di non prestare mai nome a persone poco affidabili o sconosciute. Se uno sconosciuto offre soldi facili per fare l’amministratore, nove volte su dieci è una trappola. Se è un conoscente, cercare di capire le sue reali intenzioni e reputazione. A volte i prestanome sono amici fidati che davvero pensano non succederà nulla: mettere comunque tutto in chiaro all’inizio può salvare amicizie e guai dopo.

D: In caso di contestazioni, il prestanome può rivalersi sul vero responsabile (amministratore di fatto)?
R: Sì, almeno in teoria. Ci sono vari livelli: – Azione di regresso: se il prestanome paga un debito della società (es. fiscale o verso un creditore), ha diritto di chiedere al vero responsabile di rimborsarlo. Questo basato sulle regole generali (surroga del coobbligato, art. 1299 C.C. o arricchimento senza causa). In pratica però deve fare causa al dominus per ottenere quei soldi indietro, e il dominus spesso è irreperibile o insolvente. – Azione di risarcimento: il prestanome potrebbe citare il dominus per i danni che la sua condotta gli ha causato (danni patrimoniali, d’immagine, spese legali sostenute, etc.), sostenendo che il dominus ha violato il patto fiduciario comportandosi illegalmente e ciò ha fatto ricadere sanzioni su di lui. Anche questa azione ha senso solo se il dominus ha patrimoni aggredibili (e se il dominus stesso non è latitante o in galera senza beni). – Costituzione di parte civile in penale: ipotesi curiosa ma possibile – se il dominus è processato per reati (es. bancarotta fraudolenta) e il prestanome anche o meno, il prestanome potrebbe costituirsi parte civile contro il dominus chiedendo danni per essere stato coinvolto e aver subìto conseguenze. Non è usuale, ma potrebbe tentare di ottenere nel processo penale una condanna del dominus a risarcirlo (ad esempio per le spese legali che sta sostenendo). – Utilizzo di accordi di manleva: se avevano firmato accordi in cui il dominus prometteva di tenerlo indenne, quei documenti possono essere fatti valere in giudizio civile contro il dominus. La difficoltà è sempre l’escussione pratica del risarcimento.

In sintesi, può rivalersi, ma la riuscita dipende dal fatto che il dominus sia solvibile e reperibile. Molti prestanome restano con un “diritto di credito” verso il dominus sulla carta, ma niente in mano, perché i dominus spesso si sono resi nullatenenti o hanno portato via i soldi.

D: Il prestanome può liberarsi dei debiti personali derivati dal suo ruolo (ad esempio tramite fallimento personale o altre procedure)?
R: Questa è una domanda importante dal punto di vista del debitore prestanome. Un tempo la risposta era che restava segnato a vita, perché non c’era fallimento per le persone fisiche non imprenditori. Oggi, con la normativa sul sovraindebitamento e il nuovo Codice della Crisi, esistono procedure per esdebitarsi: – Se il prestanome è un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile, potrebbe fallire e tentare poi l’esdebitazione fallimentare (ma il prestanome di solito non è imprenditore in proprio). – Come consumatore o debitore civile, può accedere alla procedura di sovraindebitamento. In particolare, potrebbe chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) se non ha nessun patrimonio liquidabile e ha debiti insostenibili. Deve dimostrare di meritarla, cioè di non aver colposamente causato il sovraindebitamento. Qui c’è un nodo: se i debiti derivano da sanzioni per frode, gli organi potrebbero dire che non è meritevole. Ma non è automatico; dipenderà anche dall’atteggiamento e se magari ha cooperato per mitigare il danno. Se concessa, l’esdebitazione cancella i debiti residui verso i creditori (Fisco incluso). – Un’altra via è la ristrutturazione dei debiti: ad esempio proporre un piano dove, se ha un piccolo stipendio, offre una quota ai creditori e il resto viene stralciato. In tali piani, spesso l’Agenzia Entrate non vota a favore se c’è di mezzo evasione, ma può darsi che preferisca incassare poco che nulla. – Insomma, c’è la possibilità di ottenere un fresh start liberandosi legalmente dei debiti, ma è un percorso lungo e non garantito. Bisogna passare per il tribunale e convincerlo. Non è una difesa in senso stretto (perché arriva quando ormai il danno è fatto), ma è una forma di ultima tutela del debitore onesto ma sfortunato. Se un prestanome dimostra di essere stato solo ingenuo, di non aver tratto profitto e di essere rovinato dai debiti, ha buone possibilità che un giudice gli conceda la cancellazione dei debiti residui dopo magari un minimo sforzo di rimborso. Questo però riguarda i debiti civili e fiscali, non cancella le condanne penali, ovviamente.

D: Cosa dovrebbe fare immediatamente un prestanome che riceve una contestazione (es. un avviso di accertamento o un avviso di garanzia)?
R: Non restare inerme. Il primo passo è contattare subito un professionista (avvocato tributarista per l’accertamento fiscale, penalista per l’avviso di garanzia) e farsi assistere. Bisogna esaminare l’atto, capire le scadenze per reagire (ad esempio un accertamento fiscale ha 60 giorni per il ricorso) e preparare una strategia: – Se è un atto fiscale, magari il legale suggerirà di presentare istanza di accertamento con adesione per guadagnare tempo e tentare un accordo riduttivo con AdE. – Se è un atto penale (invito a interrogatorio da indagato), l’avvocato può accompagnarlo e gestire l’interrogatorio, eventualmente consigliando se avvalersi della facoltà di non rispondere oppure rilasciare dichiarazioni spontanee mirate. – Conservare ogni documento ricevuto, fare copie (i prestanome spesso perdono lettere, invece vanno archiviate perché serviranno come prova e per le tempistiche). – Non contattare in modo scomposto gli altri coinvolti (tipo il dominus) senza consulto legale: potrebbero finire intercettati e peggiorare la situazione se si coordinano male. Meglio che le comunicazioni passino tramite avvocati se già c’è un’indagine in corso, per evitare sospetti di inquinamento prove. – Valutare misure immediate: ad es., se ha conti correnti con soldi leciti, potrebbe pensare di spostarli su un conto intestato al coniuge per evitare sequestri (sempre legalmente, cioè donandoli – consapevole però che se è troppo tardi possono essere congelati). Ovviamente, qui siamo al limite, perché un avvocato corretto non suggerirà di occultare beni quando c’è già un procedimento (sarebbe favoreggiamento). Ma sistemare le proprie finanze in modo da poter pagare un’eventuale cauzione o patteggiamento sì. – In caso di accertamento fiscale, se l’importo è piccolo, potrebbe valutare di pagare per chiudere la faccenda (soprattutto se c’è rischio penale con soglie, pagare può evitare la denuncia per omesso versamento ad esempio). – Soprattutto: non ignorare la contestazione. Molti prestanome, per paura o inesperienza, lasciano scadere i termini o non si presentano alle convocazioni. Questo peggiora la situazione: l’accertamento diventa definitivo e incontestabile; nel penale, scappare significa eventualmente misure cautelari. Quindi affrontare subito la cosa è la mossa giusta.

D: È possibile per un prestanome “uscire pulito” da tutta la vicenda?
R: Difficile ma non impossibile. Se per “uscire pulito” intendiamo: – Non subire condanne penali: sì, se riesce a dimostrare la sua innocenza (o se patteggia per reati minori con pena sospesa e poi, passato il tempo, ottiene anche la riabilitazione penale, potrà dire di aver chiuso la vicenda). – Non pagare nulla di tasca propria: possibile se si riesce a evitare tutte le responsabilità civili e le sanzioni. Ad esempio, se la società fallisce e il prestanome viene assolto in penale e il curatore rinuncia a perseguirlo perché prende tutto dal dominus, lui potrebbe non pagare nulla. Oppure se l’accertamento fiscale viene annullato in ricorso. Questi scenari sono l’eccezione, ma succedono se la difesa è efficace. – Mantenere intatta la reputazione: questo è più arduo, perché anche solo finire coinvolto può danneggiarla. Tuttavia, se viene assolto con formula piena (“il fatto non costituisce reato” perché mancava il dolo, ad esempio), potrà con pazienza ricostruire la sua reputazione mostrando la sentenza.

In concreto, molti prestanome finiscono con qualche conseguenza addosso: magari non il carcere ma una pena sospesa, oppure debiti fiscali stralciati solo in parte, ecc. Però con un mix di buona difesa e un po’ di fortuna (che il dominus si assuma le sue colpe, ad esempio, o che transiga i debiti) potrebbe davvero uscirne relativamente indenne. Ciò che conta è agire presto e con serietà appena si rende conto dei rischi, senza aspettare di essere travolto.

Conclusione: fare il prestanome è un’attività estremamente rischiosa. Dal punto di vista dell’ordinamento, chi accetta la carica di amministratore ne assume in pieno oneri e onori, e non può poi facilmente smarcarsi sostenendo di essere solo una figura di facciata. La legislazione italiana e la giurisprudenza attuale tendono a equiparare la responsabilità del prestanome a quella di un vero amministratore, salvo provarsi situazioni limite. Il prestanome deve dunque difendersi su due fronti: da un lato proteggersi anticipatamente con ogni mezzo lecito (consapevolezza, accordi, assicurazioni, controlli, ecc.), dall’altro, se scattano contestazioni, affrontarle con determinazione e trasparenza, eventualmente anche collaborando con le autorità per evidenziare i veri responsabili. Come sintetizzato da una massima giurisprudenziale: “la qualità formale di amministratore non è uno schermo assoluto” – non ci si può nascondere dietro un titolo per evitare le responsabilità. Ma al contempo, la legge – interpretata con equilibrio – riconosce che “l’accettazione consapevole di fare da prestanome può, in assenza di prove di dolo, al più integrare una grave negligenza”, punibile in modo meno severo .

In definitiva, dal punto di vista del debitore-prestanome, la parola d’ordine è proattività: agire informato e protetto fin dall’inizio, e reagire tempestivamente e intelligentemente a ogni contestazione. Solo così aumenta la possibilità di limitare i danni e, nei casi migliori, di uscirne senza conseguenze irreparabili. Conoscere i propri doveri e diritti, farsi affiancare da professionisti validi e non dare nulla per scontato sono i pilastri della difesa di chi si è trovato – magari ingenuamente – a fare da prestanome e ora deve difendere la propria vita personale e il proprio futuro dagli strascichi di quell’incarico.

Fonti: abbiamo attinto a normativa (Codice Civile, Codice Penale, Legge Fallimentare e Codice della Crisi, D.lgs. 74/2000) e a numerose sentenze aggiornate della Corte di Cassazione e di merito. In particolare: Cass. Pen. n. 907/2023 sul concorso omissivo del prestanome nei reati tributari ; Cass. Pen. n. 46834/2023 sull’obbligo di vigilanza e il dolo eventuale del prestanome nelle dichiarazioni fiscali ; Cass. Pen. n. 36419/2019 che esclude la responsabilità penale del prestanome solo se totalmente privo di poteri ; Cass. Pen. n. 9885/2024 sulla bancarotta documentale e i criteri di imputazione differenziati ; nonché una decisione della Corte di Giustizia Tributaria di Napoli del 2025 che conferma la legittimità dell’azione fiscale diretta contro l’amministratore prestanome . Queste fonti istituzionali delineano con autorevolezza i principi applicabili, confermando sia la severità dell’approccio verso i prestanome coinvolti in illeciti, sia gli spiragli difensivi legati alla prova della mancanza di consapevolezza o dell’assenza di poteri effettivi. In aggiunta, contributi dottrinali e guide professionali (FiscoOggi, Eutekne, studi di settore) hanno fornito spunti pratici sulla gestione del rischio e sulla casistica più recente .

In conclusione, “come difendersi” per un amministratore di diritto prestanome significa adottare ogni misura utile – contrattuale, patrimoniale, procedurale e processuale – per far emergere la verità del suo ruolo e per tenere indenni, per quanto possibile, la propria persona e il proprio patrimonio dalle conseguenze delle altrui azioni. Non sempre ciò eviterà completamente le responsabilità, ma potrà senz’altro attenuarle e in qualche caso anche azzerarle, restituendo alla figura del prestanome la dignità di chi è stato solo un ingranaggio inconsapevole, e non il motore principale dell’illecito.

Riferimenti normativi e giurisprudenziali citati:
– Codice Civile artt. 2392, 2476 e 2495; Codice Penale art. 40 cpv.
– D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) artt. 2, 5, 10-bis, 10-ter, 10-quater.
– R.D. 267/42 (Legge Fall.) artt. 216, 217, 223; D.Lgs. 14/2019 (Cod. Crisi) artt. 322, 323 (reati di bancarotta).
– Cass. Pen. Sez. III n.907/2023: amministratore di diritto prestanome responsabile in concorso per omessa impedimento (frode fiscale) .
– Cass. Pen. Sez. V n.46834/2023: doveri di controllo del prestanome, dolo eventuale nelle omissioni dichiarative .
– Cass. Pen. Sez. III n.36419/2019: prestanome non risponde di reati dichiarativi se privo di poteri/ingerenza .
– Cass. Pen. Sez. V n.9885/2024: responsabilità del prestanome in bancarotta documentale vs patrimoniale, necessità di prova effettiva del dolo specifico .
– C.G.T. I grado Napoli n.169/2025: amministratore prestanome destinatario di accertamento tributario post estinzione, formalità che non lo schermano da responsabilità .
– CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36419 depositata il 26 agosto 2019 – In tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza perché sei indicato come amministratore di diritto prestanome di una società? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza perché sei indicato come amministratore di diritto prestanome di una società?
Vuoi capire cosa comporta questa accusa e come puoi difenderti?

L’amministratore di diritto prestanome è colui che risulta formalmente alla guida della società, ma che in realtà non esercita i poteri gestionali, lasciandoli a un soggetto diverso (il cosiddetto amministratore di fatto).
Il Fisco e la magistratura guardano con sospetto queste situazioni perché spesso collegate a frodi fiscali, sottrazioni di patrimoni e responsabilità occulte.

👉 Non sempre però l’accusa è fondata: ci sono casi in cui la nomina è avvenuta in buona fede e senza consapevolezza di condotte illecite.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • La società presenta gravi irregolarità fiscali o fallimentari;
  • L’amministratore di fatto compie operazioni evasive usando il prestanome come schermo;
  • Il prestanome risulta privo di esperienza o competenze effettive nella gestione;
  • Mancanza di prove documentali dell’attività realmente svolta dall’amministratore formale;
  • Presenza di rapporti di parentela, amicizia o dipendenza economica col vero gestore.

📌 Conseguenze possibili

  • Responsabilità fiscale e patrimoniale per i debiti tributari della società;
  • Sanzioni personali per omessi versamenti e violazioni contabili;
  • Rischio di procedimenti penali tributari per dichiarazioni fraudolente, bancarotta o sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte;
  • Sequestro dei beni personali in caso di responsabilità accertata;
  • Azioni di responsabilità civile da parte dei creditori sociali.

🔍 Come difendersi

  1. Dimostra l’estraneità ai fatti: raccogli prove che attestino la mancanza di ruolo gestionale.
  2. Ricostruisci i rapporti interni alla società: verbali, deleghe, comunicazioni aziendali.
  3. Contesta la responsabilità oggettiva: non basta risultare amministratore di diritto, serve provare il dolo o la colpa.
  4. Evidenzia la presenza di un amministratore di fatto: colui che realmente prendeva decisioni e gestiva l’impresa.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso nei giudizi tributari e penali, per ridurre o annullare le responsabilità personali.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’accertamento o l’indagine e individua i punti deboli dell’accusa;
  • 📌 Ricostruisce i rapporti societari per dimostrare chi realmente gestiva l’azienda;
  • ✍️ Redige memorie difensive e ricorsi fondati su prove concrete;
  • ⚖️ Ti rappresenta sia nel contenzioso tributario che nei procedimenti penali;
  • 🔁 Elabora strategie patrimoniali per limitare i rischi personali in caso di sequestro o pignoramento.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità societaria e responsabilità degli amministratori;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa penale tributaria;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

L’accusa di essere amministratore di diritto prestanome è molto delicata perché espone a responsabilità fiscali e penali.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la tua estraneità, individuare il vero amministratore di fatto e proteggere il tuo patrimonio personale.

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