Agenzia Delle Entrate Contesta Prelievi Ingiustificati Dal Conto: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per prelievi ingiustificati dal conto corrente? Il Fisco, nei controlli bancari, può presumere che i prelievi di contanti effettuati da imprenditori, professionisti o titolari di partita IVA siano serviti a pagare compensi o costi in nero, trattandoli quindi come ricavi non dichiarati. Si tratta di una presunzione che può comportare accertamenti pesanti, ma che non è insuperabile.

Quando scattano le contestazioni sui prelievi
– Se i prelievi sono frequenti o di importo elevato senza giustificazione documentata
– Se non vi è coerenza tra i prelievi e i redditi dichiarati
– Se l’Agenzia delle Entrate presume che il contante sia stato usato per pagamenti in nero a dipendenti o fornitori
– Se i movimenti bancari non trovano riscontro nella contabilità ufficiale
– Se il contribuente non fornisce spiegazioni chiare sull’utilizzo delle somme

Cosa rischi in caso di contestazione
– Recupero delle imposte su somme trattate come ricavi non dichiarati
– Applicazione di sanzioni fiscali fino al 180% dell’imposta accertata
– Addebito di interessi di mora
– Possibile contestazione di dichiarazione infedele se gli importi sono rilevanti
– Avvio di procedure esecutive come pignoramenti e sequestri se non si paga quanto richiesto

Come difendersi da una contestazione sui prelievi bancari
– Dimostrare la reale destinazione delle somme prelevate (spese personali, esigenze familiari, prestiti restituiti)
– Presentare documentazione bancaria, ricevute e scritture private a sostegno della propria tesi
– Contestare l’automatismo con cui il Fisco considera i prelievi come ricavi imponibili
– Evidenziare errori di calcolo o ricostruzioni arbitrarie fatte dall’Agenzia delle Entrate
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini previsti

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento e verificare la legittimità delle presunzioni formulate
– Predisporre un dossier difensivo con prove concrete sulla destinazione dei prelievi
– Contestare la presunzione fiscale quando mancano riscontri oggettivi
– Difendere il contribuente nel contraddittorio preventivo e in giudizio
– Tutelare il patrimonio personale e familiare da sequestri e pignoramenti ingiustificati

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione fiscale
– La riduzione di imposte, sanzioni e interessi richiesti
– La sospensione di eventuali procedure esecutive collegate
– La protezione del patrimonio personale e aziendale
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto

⚠️ Attenzione: il Fisco tende ad attribuire ai prelievi bancari un significato fiscale che non sempre corrisponde alla realtà. Non tutti i prelievi sono indice di ricavi nascosti: con prove concrete e una difesa ben strutturata è possibile ribaltare la contestazione.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui prelievi ingiustificati dal conto corrente e come difenderti in modo efficace.

👉 Hai ricevuto un accertamento per prelievi bancari considerati ricavi occulti? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo i movimenti contestati, raccoglieremo la documentazione utile e predisporremo la strategia difensiva più efficace per tutelarti.

Introduzione

Scenario: L’Agenzia delle Entrate (AdE) contesta al contribuente alcune movimentazioni bancarie – in particolare prelievi di denaro dal conto corrente – ritenute “ingiustificate”. In sostanza, il Fisco presume che quei prelievi non trovino riscontro nelle scritture contabili o nelle dichiarazioni e quindi possano nascondere ricavi non dichiarati o altre forme di evasione fiscale. Dal punto di vista del contribuente (debitore), questa situazione genera forte preoccupazione: come difendersi da tali presunzioni? In questa guida avanzata analizziamo in dettaglio la normativa italiana, la giurisprudenza più autorevole (aggiornata ad agosto 2025), le strategie difensive e i passi da compiere – con linguaggio giuridico ma accessibile – rivolgendoci sia a professionisti legali sia a privati cittadini e imprenditori coinvolti in accertamenti fiscali di questo tipo.

Contesto normativo: In Italia, il controllo delle movimentazioni finanziarie da parte del Fisco è disciplinato principalmente dall’art. 32 del D.P.R. 600/1973 (per le imposte sui redditi) e dall’art. 51 del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA). Tali norme prevedono una presunzione legale relativaversamenti e prelevamenti effettuati sul conto del contribuente, se non giustificati, possono essere imputati a maggiori redditi imponibili . In altre parole, l’AdE può presumere che un versamento non documentato sul conto sia un ricavo in nero e che un prelievo non giustificato sia stato destinato a spese non contabilizzate (ad esempio acquisti di merce o pagamenti di compensi “in nero” volti a produrre redditi occultati). Si tratta però di una presunzione relativa: il contribuente ha facoltà di fornire prova contraria per dimostrare che quelle somme non costituiscono base imponibile (perché già tassate, esenti, frutto di risparmi personali, ecc.) oppure che sono estranee all’attività produttiva di reddito .

Evoluzione e limiti della presunzione: Questa presunzione ha subìto negli anni importanti modulazioni giurisprudenziali e legislative. In passato, le norme (modificate dalla legge 311/2004) equiparavano qualsiasi attività d’impresa o professionale: qualunque prelievo non registrato era considerato ricavo anche per i lavoratori autonomi. Ciò è cambiato radicalmente a seguito della sentenza Corte Costituzionale n. 228/2014, che ha dichiarato illegittima la presunzione sui prelievi per i professionisti. Successivamente, il legislatore con D.L. 193/2016 (art. 7-quater) ha introdotto soglie quantitative e ha recepito l’esclusione dei professionisti dalla presunzione sui prelevamenti . Più di recente, la Corte Costituzionale n. 10/2023 ha riaffermato la validità della presunzione per gli imprenditori, compresi quelli in contabilità semplificata (piccole imprese), ritenendola non in contrasto con la Costituzione purché resti la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione con idonee prove e di dedurre i costi correlati . Parallelamente, la Corte di Cassazione nel 2023-2025 ha operato un revirement su un aspetto cruciale: oggi riconosce esplicitamente il diritto del contribuente, cui vengano imputati ricavi da prelevamenti ingiustificati, di ottenere la deduzione forfettaria dei costi correlati a tali ricavi, anche nell’accertamento analitico-induttivo .

Obiettivi della guida: Esamineremo nei dettagli come funziona l’accertamento bancario basato su versamenti/prelievi, quali sono le differenze a seconda della natura del contribuente (società, ditte individuali, professionisti, privati), quali strumenti difensivi mettere in campo (dalla fase pre-contenziosa all’eventuale ricorso in Commissione Tributaria/Corte di Giustizia Tributaria). Verranno presentate sentenze recentissime e autorevoli a supporto, tabelle riepilogative per fissare i concetti chiave, domande e risposte frequenti (FAQ) e anche esempi pratici e modelli di atti difensivi (come un’istanza di autotutela o uno schema di ricorso) utili al contribuente o al professionista che lo assiste. L’approccio sarà approfondito e avanzato, ma il linguaggio rimarrà divulgativo quanto basta per rendere comprensibili temi complessi anche ai non addetti ai lavori.

Riferimenti normativi e presunzioni su conti bancari

Prima di addentrarci nelle strategie difensive, è fondamentale comprendere cosa prevede la legge riguardo ai controlli finanziari sui conti correnti e quali presunzioni può utilizzare l’Amministrazione finanziaria. Di seguito analizziamo gli articoli di legge chiave e la loro interpretazione evolutiva:

  • Art. 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973: è la norma cardine sulle indagini finanziarie in ambito di imposte sui redditi. Essa stabilisce che gli uffici fiscali, previa autorizzazione, possono richiedere a banche ed altri intermediari l’elenco dei conti e delle operazioni del contribuente, nonché copia dei movimenti. Le somme risultanti da versamenti sui conti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e non giustifica che sono già state tassate o non imponibili, sono poste come ricavi o compensi. Parimenti, per i prelevamenti non giustificati si presume che siano serviti ad acquisti (o costi) non registrati e quindi correlati a ricavi non dichiarati . In sintesi: versamenti e prelievi non giustificati = maggiori ricavi imponibili, salvo prova contraria del contribuente.
  • Art. 51, comma 2, n. 2, D.P.R. 633/1972: norma analoga in materia di IVA, che consente all’AdE di utilizzare le risultanze dei conti bancari per rettificare la base imponibile IVA. Anche qui vige la presunzione che le operazioni finanziarie non contabilizzate possano corrispondere a operazioni imponibili non dichiarate (vendite non fatturate, acquisti non registrati, ecc.), con onere al contribuente di provare l’eventuale estraneità al campo IVA.
  • Legge 311/2004 (Finanziaria 2005): ha esteso le presunzioni di cui sopra inasprendo i controlli. In particolare, aggiunse esplicitamente che la presunzione su versamenti/prelievi valeva anche per i lavoratori autonomi (prima pare fosse opinione prevalente che valesse per imprenditori tenuti a contabilità, ma non per professionisti). Inoltre, eliminò la necessità di “gravi indizi” per avviare le indagini finanziarie: la legge ha reso la presunzione legale (i movimenti bancari in sé diventano elemento sufficiente) e non semplice, come confermato dalla Cassazione . Ciò significava maggior severità: ogni movimento bancario non giustificato poteva di per sé fondare un accertamento, senza bisogno di ulteriori riscontri.
  • Sentenza Corte Cost. n. 228/2014: questo pronunciamento fondamentale (Giudice delle Leggi) ha dichiarato incostituzionale l’art. 32 del DPR 600/73 nella parte in cui estendeva ai lavoratori autonomi e professionisti la presunzione relativa ai prelevamenti non giustificati . La Corte ha ritenuto irragionevole applicare ai professionisti la stessa presunzione prevista per l’attività d’impresa: un professionista, infatti, non ha un obbligo di registrare gli acquisti di beni strumentali o materie prime comparabile a quello di un imprenditore, né ha un conto economico con costo del venduto come nelle imprese commerciali. Un prelievo di denaro dal conto di un professionista può avere spiegazioni personali (es. spese familiari) che non comportano necessariamente la produzione di un reddito occulto, generando una promiscuità tra sfera privata e attività difficile da scandagliare . Pertanto, dall’ottobre 2014 in poi (data della sentenza) la norma va intesa nel senso che: per i professionisti (lavoratori autonomi) i prelevamenti ingiustificati non possono più essere considerati automaticamente ricavi, mentre resta ferma la presunzione per i versamenti non giustificati anche in capo a tali soggetti. La presunzione sui prelievi resta invece applicabile agli imprenditori (società e ditte individuali) . Di fatto, la Corte Cost. 228/2014 ha “cancellato” la modifica operata dalla legge 311/2004 per la parte relativa ai prelevamenti dei professionisti.
  • D.L. 193/2016 (conv. L. 225/2016), art. 7-quater: il legislatore ha recepito la suddetta distinzione e ha introdotto un parametro quantitativo per la presunzione sui movimenti bancari. Oggi l’art. 32 DPR 600/73, come modificato nel 2016, prevede che solo per i titolari di reddito d’impresa (imprenditori) operi la presunzione versamenti/prelievi, ed esclusivamente per importi superiori a 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili . In pratica:
  • Se l’ufficio riscontra prelievi o versamenti singolarmente sopra 1.000 € in un giorno, o il totale dei prelevamenti/versamenti nel mese eccede 5.000 €allora scatta la presunzione legale (salvo prova contraria).
  • Movimenti al di sotto di tali soglie, invece, non possono far scattare automaticamente la presunzione di evasione. Questa modifica ha introdotto una sorta di franchigia per evitare di perseguire piccole incongruenze o movimenti di modesta entità, focalizzando l’attenzione del Fisco su flussi finanziari più significativi.
  • Resta esclusa ogni presunzione sui compensi dei professionisti: quindi, per avvocati, medici, consulenti, artisti, ecc., anche oltre le soglie suddette, i prelievi non giustificati non possono essere considerati di per sé ricavi (mentre i versamenti sì) .

Tabella 1: Presunzione sui movimenti bancari dopo le riforme (sintesi)

Tipo di contribuenteVersamenti non giustificatiPrelievi non giustificatiSoglie di importo
Impresa (società o ditta indiv.)Presunti ricavi occulti salvo prova contrariaPresunti acquisti in nero → ricavi occulti, salvo prova contraria (norma valida)Presunzione attiva solo oltre 1.000 €/die e 5.000 €/mese
Lavoratore autonomo (professionista)Presunti compensi occulti, salvo prova contrariaNon applicabile (dopo Corte Cost. 228/2014: la norma è incostituzionale per i prelievi dei professionisti)– (nessuna soglia rilevante sui prelievi, poiché esclusi)
Privato non titolare di reddito d’impresa/lavoro autonomoPresunti redditi diversi non dichiarati (es. redditi sottratti a tassazione IRPEF), salvo prova contrariaIn teoria non c’è presunzione diretta ex lege, ma il Fisco può ipotizzare impieghi di denaro non coerenti col reddito dichiarato (es. spese extra) e usarli in un accertamento sintetico (redditometro)– (limiti impliciti: v. requisiti redditometro)

Nota: Per “privati” intendiamo contribuenti che hanno solo redditi di lavoro dipendente, pensione o nessuna attività economica. Su di essi l’art. 32 DPR 600/73 non è direttamente mirato (che parla di “ricavi conseguiti nell’attività” quindi attinente a impresa/professione). Tuttavia, versamenti non giustificati sui loro conti possono comunque essere considerati redditi imponibili non dichiarati (ad esempio, una donazione non documentata, un secondo lavoro in nero, ecc.) e tassati come redditi diversi. Per i prelievi dei privati, invece, non essendoci “ricavi d’impresa” da ipotizzare, l’attenzione del Fisco può spostarsi sul fronte della spesa patrimoniale: se un privato effettua prelievi ingenti e li spende in beni, l’AdE potrebbe attivare un accertamento sintetico del reddito (redditometro) per dedurre che aveva più capacità contributiva di quanto dichiarato. Approfondiremo a breve questo meccanismo.

  • Art. 38, commi 4-7, D.P.R. 600/1973 (“accertamento sintetico” o redditometro): questa disposizione, oggetto di riforme nel 2010, 2011 e da ultimo nel 2024, consente all’Ufficio di determinare in modo induttivo-sintetico il reddito complessivo del contribuente basandosi sulle spese di qualsiasi genere da lui sostenute o sul possesso di beni indice di capacità contributiva. In pratica, se uno stile di vita (spese per beni, investimenti, ecc.) appare non compatibile con il reddito dichiarato, il Fisco può calcolare un reddito presunto più alto (il cosiddetto redditometro). L’accertamento sintetico scatta a due condizioni:
  • Scostamento percentuale: il reddito sintetico deve superare di almeno il 20% quello dichiarato per l’anno (requisito previsto da tempo).
  • Soglia assoluta minima: dal 2024 è stato introdotto un ulteriore paletto: il reddito accertabile deve essere superiore a dieci volte l’assegno sociale annuo. Per il 2024 questa soglia è di € 69.700 circa . Ciò significa che il redditometro viene ora riservato a situazioni di evasione rilevante, evitando di attivarlo per piccoli importi. Ad esempio, se il contribuente ha dichiarato €30.000 ma dalle spese risulta un reddito potenziale di €40.000 (scostamento del 33%), l’accertamento sintetico non scatterà perché €40.000 è sotto €69.700. Se invece il reddito presunto fosse €85.000 a fronte di €50.000 dichiarati (scostamento 70% e importo >69.7k), allora l’AdE potrebbe procedere.

Il contribuente ha comunque diritto di prova contraria anche nel redditometro: può dimostrare che la maggiore capacità di spesa deriva da redditi esenti o già tassati (es. utilizzo di risparmi accumulati, indennità esenti, donazioni ricevute non imponibili, vincite, liquidazione TFR, disinvestimenti di capitali già tassati, ecc.) e non da reddito nero . Inoltre, il procedimento prevede un contraddittorio obbligatorio preventivo: l’ufficio deve invitare il contribuente a fornire spiegazioni prima di emettere l’accertamento (torneremo su questo aspetto difensivo).

In sintesi, il quadro normativo vede due grandi strumenti nelle mani del Fisco: – Accertamento bancario “analitico-induttivo” (art. 32 DPR 600/73): focalizzato su entrate/uscite dal conto, con presunzioni specifiche su versamenti/prelievi per scovare ricavi non dichiarati soprattutto in ambito d’impresa. – Accertamento sintetico (redditometro, art. 38 DPR 600/73): focalizzato sulle spese e sul tenore di vita, per accertare maggiori redditi complessivi del contribuente persona fisica, indipendentemente dalla fonte specifica.

Entrambi gli strumenti funzionano attraverso presunzioni legali relative, che invertono di fatto l’onere della prova a carico del contribuente. Approfondiamo meglio questo concetto cruciale.

Inversione dell’onere della prova e natura delle presunzioni fiscali

Nel diritto tributario, diversamente dal processo penale, è frequente l’uso di presunzioni legali relative (iuris tantum) che agevolano l’Amministrazione nell’accertamento: una volta che ricorre la fattispecie prevista dalla legge (es. movimento finanziario non giustificato, spesa ingente incongrua, ecc.), scatta automaticamente la presunzione di maggiore imponibile, e spetta al contribuente l’onere di fornire prova contraria per confutarla. Questa è una significativa inversione dell’onere probatorio rispetto al principio generale onus probandi incumbit ei qui asserit (sarebbe l’ufficio a dover provare l’evasione). In pratica: – L’Agenzia delle Entrate deve solo dimostrare l’esistenza del fatto-base su cui si fonda la presunzione (ad es., che vi sono versamenti sul conto non registrati in contabilità, o che il contribuente ha sostenuto spese per importi incompatibili col reddito dichiarato). – Da quel momento si presume per legge che ci sia un maggior reddito imponibile corrispondente. – Il contribuente può però vincere la presunzione (ossia farla cadere) se fornisce prova adeguata che quei movimenti finanziari o quelle spese non derivano da materia imponibile sconosciuta al Fisco.

È importante sottolineare che tali presunzioni sono relative (confutabili) e non assolute: il contribuente ha diritto di difendersi con qualsiasi mezzo di prova ammesso (documenti, testimonianze in certi casi, presunzioni inverse, ecc.), ad eccezione di alcuni limiti. Ad esempio, in ambito tributario non è ammessa la prova testimoniale nel processo (art. 7 D.Lgs. 546/92), ma nulla vieta che il contribuente raccolga dichiarazioni giurate di terzi o altre prove indirette da far valere.

Presunzione sui movimenti bancari (art. 32): è stata oggetto di numerose dispute circa la sua tenuta costituzionale proprio per via dell’inversione dell’onere. La Corte Costituzionale ha tuttavia più volte ritenuto la norma conforme a Costituzione, proprio in virtù della sua relatività e delle possibilità difensive offerte. Da ultimo, come anticipato, la Consulta n. 10/2023 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sull’art. 32, sollevata per i piccoli imprenditori in contabilità semplificata, evidenziando che la norma non viola il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) né di uguaglianza, perché comunque: – Il contribuente può opporsi con proprie presunzioni contrarie alle conclusioni del Fisco. – Può sempre far valere la percentuale di costi deducibili correlati alle somme contestate, per evitare che venga tassato un reddito lordo privo di costi . – In sede contenziosa, se l’ufficio ricostruisce ricavi da prelevamenti, il giudice deve tenere conto dei costi presumibili necessari a produrre quei ricavi (come ora la Cassazione riconosce, vedi dopo).

Questa impostazione, sottolinea la Corte, rende la presunzione ragionevole, in quanto è sempre superabile con adeguata prova contraria e non porta a tassare più del dovuto (solo il margine netto, idealmente) . Naturalmente, per contestare efficacemente un’accusa di prelievi/versamenti non giustificati, il contribuente deve conoscere quali prove sono ritenute idonee e come presentarle.

Che cosa costituisce “prova contraria” valida? Non basta una generica spiegazione: occorre fornire elementi specifici e documentati per ogni movimento contestato, o almeno per la gran parte di essi. Ad esempio: – Per un versamento bancario non giustificato: dimostrare che si tratta di denaro proveniente da una fonte lecita e non tassabile. Potrebbe essere un prestito ricevuto (esibendo un contratto di mutuo tra privati o una scrittura privata con data certa, e preferibilmente l’evidenza che il prestatore aveva la disponibilità finanziaria), oppure una donazione familiare (meglio se formalizzata da atto o dichiarazione del donante), oppure il frutto di risparmi accumulati in anni precedenti (magari documentando prelevamenti di contante dal proprio conto in passato, messi da parte e poi reimmessi). In mancanza di documenti formali, anche una dichiarazione sostitutiva di atto notorio del terzo che ha dato i soldi può aiutare, se credibile, sebbene non vincolante. Un’altra prova contraria potrebbe essere che il versamento è la restituzione di un prestito fatto dal contribuente a qualcuno in passato (presentando magari una scrittura precedente che provi il prestito originario). – Per un prelievo non giustificato: dimostrare l’utilizzo personale o comunque non produttivo di ricavi di quelle somme. Ad esempio, se il Fisco contesta prelievi dal conto aziendale ipotizzando acquisti in nero, il contribuente potrebbe provare che invece quei contanti sono stati usati per scopi privati (sostentamento familiare, pagamento di spese mediche personali, regalo a un figlio, investimento finanziario personale, acquisto di un bene personale documentato). Quanto più l’utilizzo è supportato da pezze d’appoggio (ricevute, fatture di spese pagate in contanti, estratto conto della carta se li ha versati altrove, etc.), tanto meglio. Se ad esempio si dimostra che il giorno dopo il prelievo di €5.000 si è comprato un elettrodomestico pagando in contanti e si ha lo scontrino, quel prelievo non può aver generato un ricavo occulto d’impresa, essendo uscito per una spesa privata. – Caso particolare – denaro custodito fuori banca: talora il contribuente sostiene “ho prelevato per tenere contanti in casa” o per “cautela”. Questo da solo non è facile da far valere come prova contraria, perché rimane nell’alveo delle mere dichiarazioni. Tuttavia, se tale comportamento è inquadrabile in un contesto (es. timore per la stabilità bancaria in un certo periodo, o per evitare pignoramenti, ecc.), e magari in seguito il contribuente ha ri-depositato i contanti sul conto (mostrando continuità tra prelievo e successivo versamento), potrebbe sostenere che non c’era alcuna operazione di acquisto. È una linea difensiva delicata e rischiosa: senza riscontri oggettivi, difficilmente convincerà i giudici, ma può essere parte di un insieme di giustificazioni.

Il limite dell’inutilizzabilità delle prove non fornite prima: un aspetto procedurale cruciale è che l’art. 32, comma 4, D.P.R. 600/73 (comma 5 post-riforma) prevede una sorta di “sanzione processuale” a carico del contribuente che non esibisca documenti richiesti in sede amministrativa. In particolare, se il contribuente – durante l’istruttoria o verifica – non consegna all’ufficio documenti o conti che gli sono stati formalmente richiesti (ad es. attraverso questionario, invito, ecc.), quella documentazione non potrà poi essere utilizzata in sede di ricorso tributario, a meno che il contribuente provi che la mancata esibizione non gli sia imputabile (es. causa di forza maggiore) . Questo vuol dire che non ci si può “tenere le carte” per dopo: è essenziale collaborare e fornire subito tutte le giustificazioni in fase amministrativa, altrimenti si rischia di vedersi preclusa la possibilità di produrle in giudizio. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale inutilizzabilità opera solo per i documenti espressamente richiesti dall’ufficio e non forniti, non per qualsiasi documento esibito tardivamente di iniziativa . La Corte Costituzionale con sentenza n. 137/2025 ha di recente esaminato la legittimità di questa preclusione probatoria alla luce del diritto di difesa e del giusto processo; pur riconoscendo il carattere afflittivo della misura, ne ha confermato la costituzionalità, invitando però a un’interpretazione rigorosa ma equilibrata . In altri termini: la norma è valida, ma va applicata considerando se davvero l’ufficio aveva specificamente richiesto quei documenti e se il contribuente, con diligenza, poteva e doveva esibirli.

Implicazioni pratiche: dal punto di vista del contribuente, ciò significa che quando si riceve un questionario o un invito a comparire da parte dell’AdE relativo a indagini finanziarie, bisogna: – Rispondere entro il termine assegnato (solitamente 15 o 30 giorni) in modo completo e accurato. – Fornire tutta la documentazione giustificativa disponibile (es. contratto di mutuo, ricevute, estratti di altri conti, documenti notarili, ecc.) riguardante i movimenti contestati. – Se qualche documento non è immediatamente reperibile o richiede più tempo, comunicare tempestivamente la circostanza e, se possibile, chiedere una proroga o comunque segnalare che non si rifiuta l’esibizione ma si è in attesa di ottenerlo. – Non adottare mai l’atteggiamento di ignorare la richiesta dell’ufficio: il silenzio o il diniego all’esibizione vengono equiparati a un rifiuto e fanno scattare la preclusione .

Un contribuente diligente può anzi giocare d’anticipo: non attendere l’accertamento formale, ma già in sede di contraddittorio o di risposta al questionario fornire le spiegazioni e allegare i documenti atti a chiarire la posizione. In tal modo, c’è qualche chance che l’ufficio, valutate le prove, archivi o riduca l’accertamento prima di emetterlo (magari limitando la contestazione ai soli movimenti rimasti oscuri). È raro ma possibile che un’istruttoria ben gestita dal contribuente eviti il contenzioso.

Presunzioni nel redditometro e prova contraria: anche nell’accertamento sintetico la logica è simile: l’ufficio compone un puzzle di spese (dati sui beni acquistati, investimenti, uscite monetarie per mutui, assicurazioni, etc.) e ne trae un reddito minimo presunto. L’onere passa poi al contribuente di dimostrare, nel contraddittorio, che quel reddito presunto è in realtà gonfiato da elementi che non indicano evasione: – Esempio: Tizio dichiara 20.000 € annui ma acquista un’auto da 30.000 €. Il Fisco presume un reddito maggiore. Se Tizio però dimostra di aver usato denaro che teneva da parte (risparmi di anni precedenti già tassati) o che l’auto l’ha pagata in parte il padre (donazione) o che ha venduto dei titoli o un altro bene per procurarsi quei 30k (ricchezza patrimoniale trasformata), allora la spesa non può considerarsi finanziata da reddito nero corrente. Tizio dovrà esibire, ad esempio, l’estratto conto del conto titoli con la vendita, o l’atto di donazione o prelievi di contante dal suo conto avvenuti negli anni prima a formare i risparmi. La legge stessa (art. 38) riconosce come prove contrarie valide la dimostrazione che la differenza deriva da redditi esenti o soggetti a ritenuta (ad es. BOT e altri titoli di Stato esenti, vincite, rendite già tassate a monte, ecc.) oppure dall’utilizzo di patrimoni accumulati in passato.

In definitiva, la difesa efficace contro le presunzioni di AdE si basa su: 1. Conoscenza puntuale della normativa e dei limiti delle presunzioni (ad es. sapere che se sei un professionista puoi eccepire l’inapplicabilità per i prelievi; se sei un imprenditore sotto certe soglie la presunzione non dovrebbe scattare; se il redditometro non supera la doppia soglia non è legittimo, ecc.). 2. Documentazione: raccogliere e conservare sempre traccia delle principali operazioni finanziarie, anche quando sono personali. Un imprenditore farebbe bene a evitare di mescolare conti aziendali e personali; se lo fa (nel caso di piccole ditte individuali, capita) deve avere un memo o ricevuta per ogni utilizzo personale di soldi aziendali. 3. Tempestività e completezza nel presentare le prove, preferibilmente in sede amministrativa, e comunque depositandole in giudizio (se ammesse) in modo ordinato e chiaro, eventualmente supportate da perizie o relazioni tecniche se complesse. 4. Coerenza e credibilità delle spiegazioni: ogni giustificazione addotta dev’essere plausibile e non contraddire altre evidenze. Se si elabora una tesi difensiva, deve reggere logicamente. Ad esempio, se affermo che un versamento di €50.000 sul conto è un prestito di un amico, ma non riesco a spiegare perché non vi sia traccia di uscita dal conto dell’amico o perché non abbiamo formalizzato nulla, la mia tesi perde forza. Se invece posso mostrare che l’amico ha prelevato la stessa somma dal suo conto il giorno prima e fornisco una scrittura privata sottoscritta, allora la giustificazione diventa molto più credibile.

Nei prossimi paragrafi, vedremo in concreto come le diverse tipologie di contribuenti vengono trattate in queste situazioni e quali differenze applicative e difensive sussistono.

Differenze tra categorie di contribuenti: imprese, professionisti, privati

Una corretta difesa deve tenere conto dello status fiscale del contribuente, poiché – come già accennato – le presunzioni sui movimenti finanziari operano diversamente a seconda che si tratti di un’attività d’impresa, di un lavoro autonomo o di una persona fisica non imprenditore. Analizziamo distintamente:

Imprese e titolari di reddito d’impresa (società e ditte individuali)

Chi rientra in questa categoria: tutte le società (di capitali, di persone) e le imprese individuali (commercianti, artigiani, imprenditori agricoli, etc.), nonché gli enti assimilati che svolgono attività economica commerciale. Includiamo sia chi tiene contabilità ordinaria sia chi è in contabilità semplificata (piccole imprese sotto certi limiti di fatturato).

Applicazione delle presunzioni: – Versamenti non giustificati: sempre presunti ricavi non dichiarati. L’impresa, infatti, in teoria dovrebbe contabilizzare tutte le entrate: se dei soldi affluiscono sul conto aziendale e non li troviamo nei ricavi registrati, l’AdE assume che siano vendite o proventi “in nero”. Questa presunzione è pacifica in giurisprudenza ed è rimasta valida (con l’ovvia opportunità di prova contraria del contribuente). – Prelievi non giustificati: presunzione (ora confermata anche dalla Consulta 2023) che siano serviti a pagare costi occulti finalizzati a produrre ricavi non dichiarati . In altri termini, specie per le imprese commerciali, un prelievo ingente di contanti può sottintendere acquisti di merci non registrate (poi vendute in nero), oppure pagamento di manodopera irregolare o altre spese non fatturate, che hanno permesso di generare vendite non contabilizzate. Di conseguenza, l’ufficio tende ad aggiungere al reddito non tanto il prelievo in sé, quanto un ricavo presunto di pari importo (ipotizzando che a tot acquisti non registrati corrispondano tot vendite occulte). Va precisato che questa equivalenza prelievo = ricavo occulto è fortemente criticata perché semplicistica: non sempre ogni euro speso genera un euro di ricavo, anzi normalmente i ricavi eccedono i costi. Ed è qui che è intervenuta la recente giurisprudenza (vedi oltre la deduzione costi).

Semplificata vs ordinaria: Un’impresa in contabilità semplificata (tipicamente piccoli imprenditori individuali o società di persone sotto soglia) è caratterizzata da una contabilità meno analitica; spesso non distingue nettamente l’ambito aziendale da quello personale, soprattutto se il conto corrente è promiscuo. Ad esempio, un artigiano o un negoziante in semplificata potrebbe usare lo stesso conto sia per incassare pagamenti dei clienti sia per pagare spese personali. Proprio da ciò nasceva la questione di costituzionalità decisa nel 2023: la Commissione tributaria di Arezzo notò che per i piccoli imprenditori la situazione è simile ai professionisti per promiscuità delle operazioni, e propose di estendere loro la stessa esclusione dei prelievi . La Corte Costituzionale, come detto, non ha accolto l’eccezione: ha ritenuto che, seppur semplificata, l’attività d’impresa resta diversa dal lavoro autonomo puro, perché comunque c’è obbligo di tenere scritture (seppur semplificate) e di norma il conto dell’impresa dovrebbe riferirsi all’attività . Dunque anche il piccolo imprenditore deve rispondere dei prelievi non giustificati, con l’attenuante delle soglie 1000/5000 € introdotte dal 2016.

Onere della prova e difese tipiche per le imprese: – Documentare ricavi registrati: Spesso l’ufficio contesta versamenti sul conto non trovati nelle fatture. L’imprenditore può difendersi mostrando che quei versamenti erano in realtà collegati a ricavi già dichiarati (ad es. pagamento di fatture che erroneamente non erano state annotate, ma delle quali può esibire copia, oppure prove che quell’importo è transitato in altro modo nelle scritture). Se riesce a riconciliarli con il fatturato, la presunzione cade. – Giustificare la natura di accrediti extra-bilancio: Se i versamenti derivano da qualcosa di estraneo all’attività (es. un finanziamento soci, un apporto di capitale proprio dell’imprenditore, una vendita di bene personale con accredito sul conto aziendale), occorre portare evidenza. Esempio: socio versa 20.000 € sul conto società – se c’è delibera di finanziamento soci o aumento capitale, presentarla; se l’imprenditore individuale versa denaro proprio, mostrare provenienza (prelievo da conto personale, etc.) per corroborare che non è ricavo da terzi. – Prelievi per spese aziendali documentate altrove: Può capitare che l’imprenditore prelevi contanti per pagare fornitori o spese minute registrate solo con scontrini o note (es. pagamento di materie prime al mercato, acquisti da agricoltori con autofattura, pagamento di rimborsi a dipendenti, ecc.). Se tali costi sono comprovati (anche da semplici note interne o giustificativi) e sono stati considerati nel reddito, può opporli. Questa situazione è un’arma a doppio taglio: se dimostra che il prelievo è servito a pagare un costo dedotto, allora quel costo c’era ed era dedotto, quindi il ricavo era già “coperto”; se il costo non era dedotto (magari perché non documentato a norma), allora l’ufficio dirà che è esattamente la spesa in nero che volevano trovare. In tal caso, però, il contribuente può chiedere quanto meno la deduzione ora per allora di quel costo necessario (se ne ha qualche pezza) per ridurre il reddito recuperato. La Cassazione oggi ammette che devono essere riconosciuti i costi presunti relativi ai ricavi presunti, come vedremo . – Argomentare la non inerenza all’attività: Un’azienda può sostenere che un prelievo fu per finalità estranee all’attività d’impresa (es. il titolare ha preso soldi per sé). Tuttavia, fiscalmente ciò genera un altro problema: se un imprenditore individuale preleva cassa dall’azienda, o è utile già tassato che si sta prendendo (ma se l’utile c’era, allora perché avrebbe generato un prelievo “non giustificato”? No, perché se è utile dovrebbe risultare prelevato da utili, al massimo anticipazione su utili) oppure è una distrazione di fondi non formalizzata. La difesa tipica in questo caso è dire: “Ho prelevato utili attesi dell’anno in corso per esigenze personali”. Non c’è una norma che vieti al piccolo imprenditore di usare liquidi aziendali per sé, tuttavia se quell’importo non trova copertura negli utili dell’anno, il Fisco penserà che l’impresa ha venduto senza dichiarare per generare quella liquidità. Se invece l’impresa aveva riserve di utili precedenti o liquidità da redditi tassati, occorre evidenziarlo (es. esiste un saldo di riserve sul netto). – Dimostrare errori formali: talvolta i movimenti contestati includono partite contabili già tassate ma transitate sul conto in modo particolare (giroconti, partite di giro, incassi di crediti ceduti, ecc.). Se il contribuente individua queste incongruenze tecniche, può sostenere che non c’è base imponibile nuova. Ad esempio: “Questo accredito da 10.000 € è il rimborso di una anticipazione fatta a un dipendente per spese, come da giustificativi”; oppure “Questo prelievo di 5.000 € è servito a costituire un fondo cassa, già contabilizzato nelle uscite”.

Giurisprudenza rilevante per le imprese: – La Cassazione Sez. Trib. 23 febbraio 2023 n. 5586 ha affermato che anche quando l’accertamento da indagini finanziarie è di tipo analitico-induttivo (cioè l’ufficio aggiunge i ricavi non dichiarati ai ricavi contabili, senza azzerare la contabilità), il contribuente-imprenditore può chiedere che si deduca una quota di costi correlati ai nuovi ricavi, e tali costi devono essere sottratti dai maggiori ricavi accertati . Ciò supera il precedente orientamento che limitava il riconoscimento di costi solo negli accertamenti totalmente induttivi (quando la contabilità era inattendibile). La Suprema Corte, richiamando proprio la Consulta 10/2023, ha trovato illogico prima punire chi teneva i registri regolari (negandogli i costi) rispetto a chi non li teneva affatto . Dunque oggi: in ogni caso di ricavi presunti da movimenti bancari, spetta la deduzione forfettaria dei costi di produzione relativi . – La Cassazione 16 aprile 2025 n. 10013 (ord.) ha ribadito il principio sopra, specificando che se l’AdE non riconosce spontaneamente tali costi, il giudice di merito deve quantificarli d’ufficio anche con criterio equitativo, ad es. basandosi sulle medie di ricarico del settore o tramite un CTU, per poi sottrarli dall’importo dei prelievi ingiustificati che si imputano a ricavi . Nel caso di specie, i giudici di appello avevano già concesso il 15% di costi forfettari sui ricavi presunti da prelievi, e la Cassazione ha confermato che anzi va fatto obbligatoriamente se richiesto . – La Cassazione 3 maggio 2023 n. 11509 (Sez. Trib.) ha confermato la portata generale dell’art. 32: i movimenti bancari ingiustificati sono gravi indizi di redditi non dichiarati e costituiscono da soli base per l’accertamento, a meno che il contribuente non fornisca prova contraria precisa. Ha anche ribadito che la presunzione è relativa ma assai robusta: le giustificazioni generiche non bastano. In quell’occasione, la Corte ha respinto il tentativo di un contribuente di invalidare l’accertamento bancario per mancanza di altri elementi probatori oltre i movimenti: ha chiarito che non servono altri elementi perché la legge rende i movimenti stessi prova presuntiva legale . (Questa impostazione è stata poi mitigata per i professionisti, come visto, ma per le imprese rimane). – La Cassazione 10 agosto 2023 n. 24352 (ord.) ha affrontato un caso particolare di analisi di cassa: il Fisco aveva confrontato incassi e pagamenti su vari conti del contribuente rilevando uno sbilancio (uscite maggiori di entrate) e deducendo ricavi occulti. La Corte ha evidenziato che nelle indagini finanziarie occorre considerare tutti i flussi nel loro complesso: non ci si può limitare a sommare i versamenti e ignorare i prelevamenti o viceversa, ma l’analisi dev’essere coerente. Inoltre, ha sottolineato che anche i versamenti sui conti di terzi (es. familiari) riconducibili al contribuente possono essere imputati a quest’ultimo, se c’è evidenza che si tratta di sue disponibilità spostate per schermo (questo richiama la prassi di controllare anche conti intestati a familiari, su cui torneremo).

Lavoratori autonomi e professionisti

Chi rientra qui: soggetti che producono reddito di lavoro autonomo ex art. 53 TUIR, quindi professionisti intellettuali (avvocati, commercialisti, medici, architetti, consulenti, artisti, ecc.), collaboratori coordinati, e in genere chi esercita arti o professioni senza essere imprenditore. Si includono anche le associazioni professionali o studi associati.

Applicazione delle presunzioni: – Versamenti non giustificati: la norma dell’art. 32 continua ad applicarsi anche a loro per questa parte. Un versamento sul conto di un avvocato, non spiegato da incassi di parcelle dichiarate o da altre cause note, è presunto un compenso occulto. Ad esempio, un medico che riceve bonifici sul conto non registrati come fatture rischia che vengano considerati prestazioni in nero. È quindi fondamentale per il professionista poter dimostrare la natura di ogni entrata extra (es. “quella è la restituzione di cauzione di affitto dello studio”, “quella è una somma trasferita dal mio conto personale estero”, ecc.). – Prelievi non giustificati: come spiegato, non si applica la presunzione di ricavo. Dopo la declaratoria di incostituzionalità del 2014, l’AdE non può più contestare ad un professionista un maggior reddito solo perché ha prelevato contante dal suo conto e non ne indica l’uso . Questa è una grande tutela per la categoria, in ragione del fatto che il reddito di lavoro autonomo è generato principalmente dalla prestazione dell’opera, non dalla rivendita di beni, e non c’è un “costo del venduto” la cui mancata contabilizzazione generi automaticamente un ricavo. Dunque, se un architetto preleva €10.000 dal conto, potrebbe semplicemente averli usati per vivere o per un investimento personale: il Fisco non può presumere che abbia comprato qualcosa in nero per l’attività professionale. – Attenzione: ciò non significa che il Fisco non possa fare domande su prelievi del professionista – in sede di indagine può sempre chiedere spiegazioni, specialmente se sono somme molto alte. Ma non può emettere accertamento reddituale sulla base di essi, a meno che non trovi altri elementi da cui dedurre compensi non dichiarati.

Onere della prova e difese tipiche per professionisti: – Prima linea di difesa: eccepire l’inapplicabilità della presunzione sui prelievi. Se per ipotesi (magari per periodi antecedenti al 2014 o per errore) l’ufficio contestasse formalmente compensi evasi rifacendosi a prelievi bancari, il professionista deve subito citare Corte Cost. 228/2014 e Cass. 12779/2016 – 12781/2016 che hanno sancito che art. 32 vale solo per imprenditori in tal senso . Ci sono stati casi post-2014 in cui Agenzia o qualche giudice di merito hanno errato, ma la Cassazione ha poi annullato quegli avvisi . Quindi, prelievo ingiustificato ≠ prova di compenso non dichiarato per un architetto, punto. – Restano però contestabili i versamenti: il professionista dovrà concentrare la difesa su di essi. Quindi come sopra: fornire documenti su ogni entrata in conto corrente fuori fatturato. Questo include: – Esempio: incasso di €5.000 sul conto di un avvocato non ricollegato a fatture. Potrebbe essere un finanziamento ottenuto (presentare contratto di finanziamento), oppure il rimborso di un prestito fatto ad un collega (presentare accordo), oppure il trasferimento da un conto personale estero per riportare capitali in Italia (presentare estratti conto esteri e Vaglia, se del caso). Se nulla di tutto ciò, potrebbe sostenere trattarsi di compenso per attività non imponibile (es. risarcimento danni non tassabile, indennità ricevuta) ma dovrebbe avere base giuridica. – Se davvero fosse un compenso non fatturato e scoperto, l’unica sarebbe tentare di ricondurlo a qualcosa di lecito (difficile) o contestare aspetti formali dell’accertamento. – Promiscuità conto professionale/personale: Molti professionisti usano un unico conto sia per incassare parcelle sia per spese personali. È ammesso (non essendo obbligati a conti separati, salvo cassa forense per avvocati che ne raccomanda l’uso separato). Tuttavia ciò complica i controlli. Un consiglio difensivo: evidenziare che sul conto transitano molte operazioni non attinenti l’attività. Ad esempio, se il commercialista Tizio riceve sul medesimo conto bonifici dai clienti e versamenti di assegni regalo dai parenti, dovrà chiarire questa mescolanza e isolare al Fisco ciò che è “azienda” da ciò che è “famiglia”. In sede di chiarimenti, conviene predisporre uno specchietto separando i flussi: elenco di tutti i clienti e pagamenti noti da questi (che dovrebbe collimare con il registro compensi fatturati) e poi elenco di altri movimenti con accanto la causale reale (es. “bonifico da Mario Rossi – causale: restituzione prestito”, etc. con eventuali pezze). – Nessuna deduzione costi da prelievi: Formalmente, la questione del “riconoscere costi presunti” non si pone per i professionisti perché non c’è imponibile da prelievi. Tuttavia, attenzione: se il Fisco erroneamente imputasse comunque un ricavo da prelievo (ignorando la Corte Cost.), in subordine andrebbe chiesto almeno di scorporare i costi. Potrebbe succedere in casi in cui la qualifica di imprenditore vs professionista è ambigua (es. un promotore finanziario è autonomo, ma qualcuno potrebbe considerarlo imprenditore; un agente di commercio? – in genere impresa, ma talvolta no). Se ci fosse incertezza, ci si difende su entrambi i fronti: “presunzione non applicabile, e comunque il reddito non può essere pari al 100% del prelievo senza costi”. – Cassazione su professionisti: A parte le citate 12779 e 12781/2016 , più recenti decisioni hanno confermato costantemente l’orientamento: Presunzione bancaria limitata: Cass. 9086/2017, Cass. 9161/2018, Cass. 6916/2020 hanno ribadito che per i professionisti servono altri elementi oltre ai versamenti per ricostruire un reddito, e che non basta la sola indagine finanziaria per determinare il reddito di un autonomo . Ciò non significa che l’indagine bancaria sia inutile sui professionisti, ma che, eliminato l’appiglio dei prelievi, rimane comunque necessario che i versamenti trovino riscontro; se restano non giustificati, quelli sono elementi sufficienti di evasione. – Caso cassa “studio associato”: se i conti sono intestati a uno studio associato (che fiscalmente è soggetto passante), valgono le stesse regole: i versamenti non giustificati sul conto dello studio si presumono compensi non dichiarati dell’associazione (da imputare poi pro-quota ai soci). I prelievi dallo studio invece non generano presunzione di ricavi associativi; al più, se fosse prelievo di utili, già sarebbero utili tassati in capo ai soci se dichiarati.

Privati cittadini (contribuenti non esercenti impresa/professione)

Questa categoria include i lavoratori dipendentipensionatidisoccupati o comunque soggetti che non producono redditi d’impresa o di lavoro autonomo. Per loro non si applicano direttamente le presunzioni dell’art. 32, pensate per ricavi di impresa o di lavoro autonomo. Ciò però non significa che possano dormire sonni tranquilli se hanno movimenti bancari anomali: – Versamenti non giustificati su conti di privati: Se un dipendente dichiara solo il suo stipendio annuo ma sul suo conto appaiono ulteriori accrediti consistenti (bonifici, contanti versati, assegni), l’AdE può ipotizzare che percepisca altri redditi non dichiarati. Non essendoci un’attività economica, questi importi potrebbero configurarsi come: – Redditi diversi ex art. 67 TUIR (ad esempio proventi occasionali, vincite non dichiarate se imponibili, redditi esteri non dichiarati, ecc.), – Oppure, se l’entità e la sistematicità lo suggeriscono, addirittura un reddito di lavoro autonomo occulto (il soggetto svolge attività in nero oltre il lavoro dipendente). – O ancora donazioni non dichiarate soggette a imposta di successione/donazione (ma quella è un’altra branca, comunque l’AdE può segnalarlo).

L’ufficio potrebbe quindi emettere un accertamento IRPEF per redditi non dichiarati sulla base dei versamenti, analogamente a come farebbe per un imprenditore, anche se la norma non lo prevede testualmente per i “non imprenditori”. In dottrina si discute se art. 32 si possa applicare ai privati: letteralmente parla di “ricavi conseguiti nell’esercizio di impresa, arte o professione”, quindi no; però l’ufficio può utilizzare presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) combinando i fatti noti: – fatto noto: hai più soldi entrati in banca di quanti ne guadagni ufficialmente; – indizio: potresti avere un reddito occulto.

Non è automatico come la presunzione legale, ma è un quadro indiziario che può reggere se il contribuente non spiega diversamente. – Prelievi non giustificati di privati: Se Tizio, operaio, preleva €20.000 in contanti dal suo conto (dove magari aveva soldi risparmiati), di per sé il Fisco non può dire “stai evadendo” perché stai usando denaro tuo già tassato (lo stipendio). Tuttavia, se poi con quei contanti Tizio fa un acquisto notevole (auto, gioielli, investimento), rientriamo nel discorso del redditometro: come ha potuto permettersi quella spesa se guadagna X? Quindi, i prelievi dei privati rilevano soprattutto come segno di spesa e vanno a confluire eventualmente in un accertamento sintetico, non in un accertamento analitico da art. 32. – Un altro caso: se un privato preleva spesso contanti e la GdF scopre che quei contanti li usa per pagare qualcuno per un’attività (ad es. paga stipendi in nero a colf, badanti, o finanzia società estere), potrebbero scaturire altri tipi di sanzioni (contributive, etc.), ma in ambito imposte dirette su di lui c’è poco da recuperare (casomai è il percettore di quei soldi che evade).

Difese tipiche per privati: – Tracciare le donazioni/prestiti: se un padre pensionato riceve 100.000 € sul conto dal figlio dall’estero, dovrebbe avere atto di donazione o contratto di prestito. Non solo per difendersi dal Fisco come reddito, ma anche per regolarità civilistica (donazione sopra certa soglia andrebbe formalizzata altrimenti c’è imposta donazione se scoperta). In mancanza, se l’Agenzia contesta come reddito, presentare documenti informali come lettere, dichiarazioni di chi ha dato la somma, e dimostrare che quel donante aveva disponibilità lecita. – Dimostrare disinvestimenti/savings: Un privato spesso vive di risparmi. Se si trova a giustificare spese, deve mostrare di averle pagate attingendo al patrimonio. Esempio: dichiaro €15.000 annui ma compro una barca da €50.000. Se mi contestano col redditometro, devo far vedere che ho venduto il mio vecchio appartamento, o ho ricevuto una liquidazione, etc. Fondamentale raccogliere contratti di vendita, copia di assegni incassati, movimenti in conto che mostrino afflussi di capitale non tassabile (es. vendi fondi comuni, quei accrediti sul conto devono essere riconoscibili). – Check del tenore di vita familiare: Spesso il redditometro considera la famiglia. Se spese e redditi sono familiari, puoi “coprire” le spese con redditi di altri familiari. Ad esempio, marito casalingo senza redditi ma moglie benestante: se il redditometro colpisce il marito perché intestatario di un acquisto, lui può dimostrare che a pagare è stata la moglie col suo reddito. Importante dunque portare evidenze di chi ha sostenuto effettivamente le spese (es. estratti conto di moglie da cui è partita la spesa).

Giurisprudenza rilevante per privati/redditometro: – Cass. SS.UU. n. 26617/2016: ha chiarito che il contraddittorio preventivo è obbligatorio negli accertamenti sintetici, pena nullità dell’atto, e che il contribuente deve essere messo in grado di spiegare dettagliatamente la provenienza delle somme utilizzate. Ha inoltre statuito che l’Ufficio deve tener conto di eventuali redditi esenti o legalmente esclusi che il contribuente dimostra di aver usato. – Cass. 719/2018: ha accolto il ricorso di un contribuente osservando che l’AdE non può ignorare, se portato a sua conoscenza, che parte delle spese sono state finanziate da terzi o con mezzi non imponibili. Insomma, se emergono giustificazioni plausibili, l’Ufficio deve valutarle e ridurre di conseguenza il reddito sinteticamente accertabile. – Comm. Trib. Reg. Lombardia 3351/2019 (merito): un caso in cui si contestava l’acquisto di immobili come indice di reddito non dichiarato; la CTR annullò l’accertamento poiché il contribuente provò che aveva acceso un mutuo e usato risparmi di anni precedenti, senza alcun “nuovo” reddito evaso. – Cass. 18097/2019: ha confermato che la sola disponibilità di contanti o il versamento di contanti sul conto non giustificato non può far scattare redditometro se il contribuente prova trattarsi di utilizzo di ricchezze pregresse: in quel caso non c’è indice di capacità contributiva attuale. – Cass. 21142/2021: interessante perché ha annullato un accertamento sintetico in cui l’AdE aveva usato dati ISTAT medi di spesa invece delle spese effettive. Ha sancito che servono elementi concreti e individualizzati, non basarsi solo sulle medie statistiche (il redditometro “vecchia maniera” faceva così; difatti è stato riformato). Oggi il nuovo redditometro considera spese certe o per beni posseduti, non più le medie ISTAT per categoria. Questo a vantaggio del contribuente, perché se uno riesce a spendere meno della media, non viene più penalizzato.

Come avviene un accertamento da prelievi/versamenti e come difendersi nelle fasi

Esaminiamo ora il procedimento tipico con cui l’Agenzia delle Entrate effettua accertamenti basati su indagini finanziarie e quali sono le tappe in cui è possibile articolare la difesa:

  1. Autorizzazione e avvio delle indagini finanziarie: L’ufficio che intende controllare i conti di un contribuente deve ottenere una autorizzazione interna (di solito dal Direttore regionale o da un capo ufficio delegato). Ottenuta, invia richiesta alle banche/poste/intermediari con i codici fiscali del contribuente (e talvolta di soggetti collegati) per avere l’elenco dei rapporti finanziari e i movimenti. Questa fase è perlopiù occulta al contribuente: egli potrebbe non accorgersene subito, a meno che la banca lo avvisi (c’è un dibattito se la banca debba avvisare il cliente; per privacy spesso lo fanno a cose fatte). Comunque, non c’è contraddittorio in questa fase.
  2. Analisi dei dati finanziari: L’AdE riceve i tabulati dei conti (generalmente fino agli ultimi 5 anni, salvo casi di raddoppio termini per reati tributari). Gli operatori esaminano entrate e uscite. Spesso hanno software che evidenziano i movimenti sopra certe soglie o ricorrenti. Cercano incongruenze: versamenti non giustificati da entrate note, prelievi elevati, bonifici a favore/da soggetti terzi non chiari, giroconti.
  3. Invito al contraddittorio o questionario: Prima di emettere un avviso di accertamento basato su questi elementi, è prassi e dovere dell’ufficio chiedere spiegazioni al contribuente. Questo avviene in due forme:
  4. Questionario (art. 32 DPR 600 e 51 DPR 633): una comunicazione scritta in cui l’ufficio elenca i movimenti ritenuti sospetti e chiede al contribuente di fornire elementi giustificativi per ciascuno. Esempio: “In data XX/XX/2023 risulta un versamento di € 8.000 sul c/c n…, si prega di indicarne la causale e di fornire documentazione”. Oppure può essere generico: “Elencare la natura di tutti i versamenti e prelievi superiori a €…”.
  5. Invito a comparire (art. 5-ter D.Lgs. 218/97): l’ufficio può invitare il contribuente presso i propri uffici per un contraddittorio anticipato, dove discutere le risultanze. Nell’invito di solito allegano o indicano i movimenti su cui verterà la discussione. Durante l’incontro, il contribuente (o il suo consulente) fornisce verbalmente e con documenti le spiegazioni, che vengono verbalizzate.

Questo passaggio è fondamentale e sempre consigliabile: ignorare il questionario o non presentarsi all’invito è molto pericoloso. Non solo scatta la presunzione (ovviamente), ma come visto, i documenti poi non si potranno portare in giudizio se erano stati richiesti e non esibiti. Dunque la difesa parte qui: preparare un dossier con tutte le prove possibili. Se il tempo concesso è breve e i movimenti tanti, è opportuno recarsi all’ufficio e chiedere una proroga motivata, o consegnare intanto una parte di risposte e il resto dopo (previo accordo).

Strategia: Fornire quante più spiegazioni dettagliate per iscritto, allegare copie di documenti e farsi firmare la ricevuta di consegna. Nel verbale di contraddittorio, far mettere a verbale ogni chiarimento dato, anche oltre ai documenti (talvolta la documentazione potrebbe non coprire tutto, allora spiegate e fate annotare la vostra versione).

  1. Valutazione dell’ufficio: L’Agenzia analizzerà le risposte. Se alcune giustificazioni convincono, quei movimenti potrebbero essere tolti dalla contestazione. Ad esempio, se per un versamento mostro che è un prestito bancario già tassato (in realtà i prestiti non sono tassati ma… insomma non reddito), l’ufficio non lo considererà ricavo. Se per altri movimenti le prove sono insufficienti o assenti, l’ufficio procederà a quantificare il maggior reddito.
  2. Se c’è parziale spiegazione, a volte possono ridurre l’importo. Esempio: avevi €100k di versamenti non spiegati, ma tu dimostri fonti per €60k; restano €40k dubbi -> faranno reddito su €40k.
  3. Sui prelievi (per imprenditori) di solito calcolano tutto ciò che eccede le soglie come ricavi occulti lordi.
  4. Qui entra in gioco il concetto di costi: fino a poco tempo fa molti accertamenti su prelievi assumevano ricavo = prelievo (100%). Oggi, stante la giurisprudenza, l’ufficio potrebbe d’ufficio riconoscere un margine (per conformarsi alla Cassazione). Non è ancora molto diffuso, ma il contribuente può già in questa fase sollecitare: “Se ritenete ricavi €100.000, sappiate che il margine nel mio settore è 20%, quindi almeno €80.000 sarebbero costi: vi chiedo di tenerne conto”. Non è detto che lo facciano, ma intanto è messo a verbale, utile poi in causa.
  5. Emissione dell’Avviso di Accertamento: Se le spiegazioni non eliminano tutta la pretesa, l’ufficio notifica un avviso di accertamento (atto impositivo) indicando:
  6. Gli elementi riscontrati (ad es. tot versamenti non giustificati, tot prelievi, con dettaglio date/importi, oppure un certo scostamento redditometro).
  7. La normativa in base a cui li considera redditi (art. 32, art. 38, ecc.).
  8. La ricostruzione del reddito: es. “Reddito dichiarato €X, maggior ricavi €Y, quindi nuovo reddito €X+Y”.
  9. Le imposte dovute (IRPEF, IRES, IVA, IRAP a seconda dei casi) ricalcolate sulla base imponibile maggiorata.
  10. Le sanzioni amministrative per omessa dichiarazione di redditi (tipicamente il 90% o 100% dell’imposta evasa, aumentabile in caso di recidiva, fino al 180% in casi gravi) e gli interessi.
  11. Le modalità e termini di impugnazione (60 giorni per ricorrere) e l’eventuale possibilità di definizione agevolata (spesso offrono l’adesione).

L’avviso può riguardare più annualità (se i movimenti sono stati in plurimi anni) oppure uno solo. L’ufficio infatti spesso fraziona: magari con un’unica indagine scopre dati 2018-2022, poi emette distinti avvisi per ogni anno.

  1. Difesa post-notifica:
  2. Istanze di autotutela o adesione: una volta ricevuto l’avviso, il contribuente può valutare se fare un tentativo di soluzione senza contenzioso. Se ritiene l’accertamento profondamente errato e dispone di prove nuove schiaccianti, può presentare un’istanza di autotutela all’ufficio (una richiesta di annullamento/riforma in via di autogoverno). L’autotutela, però, non sospende i termini di ricorso; quindi va eventualmente fatta subito e contestualmente prepararsi a ricorrere comunque entro 60 gg se l’ufficio non risponde positivamente in tempo.
  3. Alternativamente (o parallelamente) può attivare la procedura di accertamento con adesione (D.Lgs. 218/97): presentare un’istanza di adesione sospende per 90 giorni i termini di ricorso e apre la porta a un confronto con l’ufficio per un possibile accordo. Nell’adesione, contribuente e AdE discutono delle somme: spesso l’ufficio può concedere uno “sconto” sulle sanzioni o riconoscere ulteriori costi, etc., e si firma un atto di adesione con pagamento ridotto di sanzioni. Per i movimenti finanziari, l’adesione potrebbe ad esempio rideterminare i ricavi presunti in misura inferiore (specie se nel frattempo porti nuove pezze o fai valere la giurisprudenza che l’ufficio magari in avviso non ha seguito).
  4. Ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP): se non si conclude un accordo o se non si tenta affatto, l’unica via è impugnare l’atto davanti al giudice tributario entro 60 giorni (o 150 se c’è il reclamo/mediazione obbligatoria, vedi poi). Nella sezione successiva entriamo nei dettagli su come impostare il ricorso e quali argomenti legali utilizzare.
  5. Pagamenti in pendenza di giudizio: presentare ricorso non sospende automaticamente la riscossione. Tuttavia, la legge prevede che l’AdE possa iscrivere a ruolo provvisoriamente solo il 50% delle imposte accertate (e 1/3 delle eventuali sanzioni) in caso di ricorso pendente. Inoltre, se il contribuente lo chiede al giudice, la Commissione può concedere la sospensione dell’esecutività dell’avviso se si dimostra che pagarne subito l’importo creerebbe un danno grave e che il ricorso non è pretestuoso. Quindi, in parallelo al ricorso, spesso si deposita un’istanza cautelare di sospensione.
  6. Processo tributario di primo grado: La CTP (ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria di I grado) esaminerà il caso. L’onere della prova, formalmente, vede:
  7. L’Amministrazione fare affidamento sulla presunzione legale e sugli elementi raccolti (produrre i documenti bancari, il PVC del contraddittorio, etc.).
  8. Il contribuente deve produrre le prove contrarie documentali. In giudizio conta ciò che è agli atti: se qualcosa è stato detto a voce all’ufficio ma non risulta da nessuna parte, va riproposto e documentato al giudice (se ancora ammesso, come visto).
  9. Il giudice valuterà se le presunzioni reggono: ovvero se le prove contrarie fornite sono sufficienti a spiegare quei movimenti. In caso di dubbio, la presunzione vince perché è legale relativa (basta non l’abbia vinta il contribuente). Quindi serve convincere il giudice con chiarezza e supporto probatorio robusto.
  10. Il giudice potrebbe anche lui rideterminare diversamente il reddito, ad esempio accogliendo in parte il ricorso. Potrebbe dire: “Su 10 movimenti, 7 li ha giustificati quindi tolgo quelli, ne restano 3 che giustificano tot euro di ricavi. Su quelli, applico un margine di costo del 30%. Quindi accolgo parzialmente e riduco l’imponibile contestato del X%.” I giudici tributari hanno potere di valutazione estimativa, specialmente ora confortati dalla Cassazione che chiede di considerare i costi presunti .
  11. Gradi successivi: Chi perde in primo grado può appellare alla CTR / Corte di Giustizia Tributaria di II grado (regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. E poi eventualmente ricorrere in Cassazione per motivi di diritto. Questo esula dalla presente trattazione dettagliata, ma giova dire che in appello il giudizio è di merito quindi si possono ancora portare nuove prove (tranne quelle precluse) e rivedere i calcoli. In Cassazione invece no, conta la legittimità e l’interpretazione di legge (qui questioni come l’ambito di applicazione dell’art. 32, l’onere della prova, etc., sono state discusse spesso).

In breve: il contribuente deve giocare su due tavoli: – Fase amministrativa: cercare di ridurre o annullare l’accertamento con la collaborazione, presentando tutto il presentabile. Molti accertamenti bancari nascono da incompletezza di info: se tu fornisci spiegazioni convincenti, l’ufficio a volte modera pretese (anche perché se poi va in causa e il giudice vede che certe cose non erano vere ricavi, l’ufficio rischia condanna alle spese). – Fase contenziosa: predisporre un ricorso solido, con motivi di diritto (vizi procedurali, interpretazione norme) e di merito (fatti giustificativi). Spesso nel ricorso si evidenzia se l’ufficio ha violato il contraddittorio (ad esempio emanando l’avviso prima di averti sentito o senza attendere i 60 giorni dall’invito: c’è una norma che richiede 60 gg dopo il contraddittorio per emettere l’atto, D.Lgs. 218/97), oppure se ha misconosciuto prove palesi (il che denota un difetto di motivazione dell’atto). Si possono allegare documenti non dati prima solo se si dimostra perché non furono dati (ma come visto è difficile se non c’era oggettiva impossibilità).

Importante: In giudizio, chiedere sempre al giudice in subordine di applicare i costi presunti se non lo ha fatto l’ufficio. Citare Cass. 5586/2023, Cass. 10013/2025 come supporto: è un elemento tecnico che spesso i legali stanno iniziando a sollevare e i giudici ad accogliere, abbattendo notevolmente il reddito in contestazione (riconoscendo magari un 30-40% di costi a fronte di ricavi presunti, ad es., se congruo col settore).

Procediamo ora a fornire modelli e esempi pratici per concretizzare tali concetti, iniziando dalle possibili memorie e atti difensivi scritti.

Modelli di atti difensivi e simulazioni pratiche

Di seguito proponiamo schemi generali di due atti difensivi tipici in questa materia: l’istanza di autotutela e il ricorso alla Commissione Tributaria (Corte di Giustizia Tributaria) di primo grado. Tali modelli andranno sempre adattati al caso specifico, ma offrono una traccia di contenuti utili.

Modello – Istanza di Autotutela

Destinatario: Direzione Provinciale/Agenzia delle Entrate – Ufficio Accertamento di [città]

Oggetto: Istanza di autotutela – Avviso di accertamento n. [numero] notificato il [data] al Sig./Alla Soc. [Nome contribuente] – Movimenti bancari non giustificati.

Istante: Sig./Soc. …, C.F. …, con domicilio fiscale in …, rappresentato da … (se tramite il proprio difensore).

Premesso che:
– In data [data] l’istante ha ricevuto l’avviso di accertamento indicato in oggetto, con il quale l’Ufficio ha rettificato il reddito/imposta per l’anno XXXX, contestando in particolare la mancata giustificazione di versamenti/prelievi bancari per un totale di €…;
– L’atto indica che, in base all’art. 32 DPR 600/1973, tali importi sono stati considerati come ricavi/compensi non dichiarati e pertanto sono state recuperate a tassazione le relative imposte (IRPEF/IVA/IRAP) oltre sanzioni e interessi;
– L’istante intende proporre ricorso avverso detto avviso, ritenendolo infondato sia in fatto che in diritto. Tuttavia, con la presente istanza, egli si pregia di sottoporre all’Ufficio elementi e considerazioni che potrebbero indurre all’annullamento totale o parziale dell’atto in via di autotutela, per le ragioni di seguito esposte;

In fatto:
1. Esistenza di errori evidenti nei presupposti dell’accertamento: In particolare, tra i movimenti contestati figura un versamento di €… in data … sul c/c …: tale importo risulta in realtà già oggetto di tassazione/tracciato, in quanto proviene da [es. “un bonifico dal conto corrente cointestato con il coniuge, trasferimento interno di fondi già dichiarati” oppure “alienazione dell’automobile di famiglia come da atto di vendita allegato, operazione che non genera reddito imponibile”]. Si allegano [documento X] comprovante tale circostanza. Conseguentemente, l’importo di €… non avrebbe dovuto essere incluso tra i ricavi presunti.
2. Giustificazioni fornite e non considerate: L’istante aveva già prodotto in sede di contraddittorio (verbale del … allegato) elementi giustificativi per vari movimenti, ad esempio il prelievo di €… del … era stato dichiarato come utilizzato per [es. “spese personali documentate dalle ricevute allegate”]. Tali elementi, se debitamente valutati, escludono la natura fiscale del prelievo (trattandosi di somma estranea all’attività d’impresa). Si invita l’Ufficio a riconsiderare tali prove già agli atti (All. …).
3. Applicazione costi presunti: Nella determinazione del maggior reddito, l’Ufficio ha omesso di considerare qualsiasi costo correlato. Ciò appare in contrasto con la più recente interpretazione giurisprudenziale (Cass. 5586/2023, Cass. 10013/2025) secondo cui anche in caso di accertamento da indagini finanziarie è necessario riconoscere un coefficiente di costi di acquisizione del reddito presunto . Nel caso di specie, se pure vi fossero ricavi non contabilizzati pari a €…, andrebbe detratta una percentuale forfettaria di costi (stimabile almeno nel …%, congrua col settore di attività) portando ad un reddito netto assai inferiore. L’assenza di tale computo rende l’accertamento potenzialmente sovrastimato rispetto alla reale capacità contributiva.

In diritto:
– Violazione di legge (art. 32 DPR 600/73) nei confronti di contribuente non imprenditore/professionista: Parte delle somme contestate (in particolare i prelievi per €…) riguardano un soggetto che non esercita attività d’impresa (essendo ad esempio un lavoratore dipendente). La presunzione legale prevista dall’art. 32 cit. non è applicabile a tali soggetti, non potendo i prelievi costituire ex lege ricavi . L’aver considerato tali prelievi come base imponibile costituisce violazione di legge nonché eccesso di potere.
– Carente motivazione: L’avviso in oggetto non spiega adeguatamente il nesso tra alcuni versamenti e una specifica categoria reddituale. Ad esempio, €… versati sarebbero stati classificati come “redditi diversi” senza indicare la fattispecie concreta (prestazioni occasionali? proventi illeciti?). Tale carenza motivazionale viola l’art. 7 dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e rende l’atto annullabile.
– Mancato rispetto del contraddittorio: Qualora dai documenti risultasse che l’avviso è stato emesso in data …, ossia prima dello spirare dei 60 giorni dall’invito a comparire del …, si evidenzia la violazione dell’obbligo di attendere il termine minimo per consentire al contribuente di esporre le proprie ragioni, come previsto dall’art. 5-ter D.Lgs. 218/97 e dalla giurisprudenza (Cass. 701/2019).

Tutto ciò premesso, l’istante chiede che codesto Spett.le Ufficio voglia, in via di autotutela:
– Annullare integralmente l’avviso di accertamento impugnato in quanto emesso contra legem e sulla base di presupposti infondati;
In subordine,
– Rettificare/ridurre la pretesa, escludendo quantomeno gli importi di cui al punto 1) e 2) sopra (per i quali si è fornita prova contraria), nonché applicando una riduzione per costi al fine di determinare il reale maggior imponibile netto.

L’istante resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti o incontri volti alla definizione bonaria della vicenda, confidando in un riesame obiettivo del caso da parte dell’Amministrazione, nell’ottica di evitare un dispendioso contenzioso.

Si allegano:
– Allegato 1: Copia Avviso di Accertamento n…
– Allegato 2: Documentazione giustificativa (contratto, estratti conto, ricevute…)
– Allegato 3: Copia verbale contraddittorio del … (già agli atti)
– …

Luogo e Data,

Firma del Contribuente/difensore

Note: L’istanza di autotutela non interrompe i termini di impugnazione. Pertanto, parallelamente a questa istanza, l’istante sta predisponendo ricorso alla Commissione Tributaria per tutelare i propri diritti nel caso in cui l’Ufficio non accolga quanto richiesto entro tempi brevi.

Modello – Ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale

(denominata dal 2023 “Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado”)

Ricorso ex art. 18 D.Lgs. 546/1992

Innanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di __

Ricorrente: Sig./Soc. XYZ, C.F./P.IVA _, residente in _, via n._, rappresentato e difeso, giusta procura in calce, dall’Avv. (C.F._) del Foro di , con domicilio eletto presso il suo studio in _, PEC: _ (ovvero dal Dott. Commercialista _, iscritto all’albo dei difensori tributaristi, ecc.),

– ricorrente –

contro

Resistente: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di ______, in persona del Direttore pro tempore, con sede in __, via _ n., PEC: ____,

– resistente –

Fatto e svolgimento del procedimento:
Il presente ricorso è proposto avverso l’Avviso di Accertamento n. _ emesso dall’Agenzia delle Entrate di ed intimato in data _ mediante raccomandata/PEC, relativo all’anno d’imposta (di seguito “l’Avviso”). Con tale atto l’Ufficio ha accertato un maggior reddito imponibile ai fini _ (IRPEF/IRES, addizionali, IVA, IRAP) di € , contestando in particolare che il contribuente avrebbe percepito ricavi/compensi non dichiarati desunti da movimenti bancari non giustificati. In dettaglio, l’avviso fa riferimento a versamenti per € _ e prelievi per € rilevati sui conti correnti n. _ intestati al ricorrente presso _ (banca) nel periodo ____.

Durante l’istruttoria, il ricorrente era stato invitato a fornire chiarimenti (questionario prot. n. ___ del _ a cui rispose in data _), ma l’Ufficio ha ritenuto non sufficienti le spiegazioni fornite e ha proceduto a emettere l’accertamento in questione.

Si propone ricorso nei termini di legge, non essendo stato possibile addivenire a soluzione in via di adesione/autotutela, per i seguenti

Motivi di ricorso

1. Illegittimità della presunzione ex art. 32 DPR 600/73 applicata a soggetto non imprenditore – Violazione di legge e falsa applicazione.
L’avviso impugnato si fonda sull’art. 32 comma 1 n.2 DPR 600/73, presumendo ricavi occulti da movimenti bancari. Tuttavia, il ricorrente è un lavoratore autonomo/professionista (ovvero un privato cittadino non esercente impresa). Pertanto, per consolidata giurisprudenza, la presunzione legale non può estendersi ai prelievi effettuati su conti di lavoratori autonomi, in quanto la relativa disposizione è stata dichiarata incostituzionale (Corte Cost. 228/2014) e comunque ritenuta inapplicabile ai sensi di Cass. 18/12/2018 n. 32856. Nonostante ciò, l’Avviso include tra i ricavi presunti anche la somma di € _ corrispondente a prelievi in contanti, in palese violazione di detta regola. Tale parte dell’accertamento è dunque nulla per violazione di legge (art. 32 cit. come interpretato dalla Corte Cost. e dalla Cassazione) . Già solo per questo vizio, limitatamente a € _, l’atto deve essere annullato.

2. Insussistenza del presupposto fattuale per i versamenti contestati – Erronea valutazione delle prove fornite (violazione art. 32 c.1 n.2 DPR 600/73 e art. 2697 c.c.).
Riguardo ai versamenti bancari oggetto di presunzione (tot € _), il ricorrente aveva fornito in sede precontenziosa dettagliate spiegazioni e documenti comprovanti la provenienza non reddituale di tali somme: – Versamento di € ___ in data ___ sul c/c n.: trattasi di bonifico proveniente dal sig. ABC (padre del ricorrente) a titolo di donazione/aiuto familiare. Si allega copia del bonifico recante causale “regalia” e dichiarazione del sig. ABC circa la natura di liberalità e la provenienza da suoi redditi già tassati. Tale somma non configura reddito imponibile per il ricorrente ai fini IRPEF ex art. 3 TUIR (le donazioni non sono redditi). – Versamento di € ___ in data : trattasi della restituzione di un prestito precedentemente erogato dal ricorrente al Sig. DEF. In allegato, scrittura privata datata ___ con cui il ricorrente prestava € al Sig. DEF, e bonifico di restituzione eseguito da quest’ultimo. Anche qui, non vi è alcun ricavo: è circolazione di capitali propri. – Versamento di € ___ in data : è l’accredito di un rimborso assicurativo per sinistro (polizza n.). Tale indennizzo, come da documentazione assicurativa allegata, è esente da imposta e comunque non afferisce ad attività produttiva di reddito.

L’Ufficio non ha tenuto conto adeguatamente di tali elementi, limitandosi ad ignorarli nell’Avviso (che infatti nemmeno li confuta analiticamente). Così facendo, ha di fatto emesso un accertamento privo del necessario supporto presuntivo, poiché il contribuente ha fornito valida prova contraria. Si rileva pertanto un difetto di motivazione e un errore sui fatti: i versamenti indicati non possono essere considerati ricavi dopo le prove fornite. L’Amministrazione avrebbe dovuto semmai contestare perché non reputava sufficiente la prova, cosa non fatta. Anche per tale motivo l’accertamento risulta infondato e va annullato in toto, o quantomeno detratto di € ___ (somme spiegate).

3. Omessa considerazione dei costi correlati ai prelievi – Violazione principi di capacità contributiva e artt. 32 DPR 600/73, 53 Cost.
Nell’ipotesi – solo eventuale – in cui residuino somme da considerare ricavi non dichiarati (in particolare se il Giudicante non ritenesse del tutto soddisfacenti le prove sui versamenti per €___), si eccepisce l’erroneità del quantum accertato, in quanto calcolato in misura lorda senza alcun abbattimento di costi. L’Avviso ha infatti aggiunto € ___ di ricavi imponibili, determinando maggiore imposta su tutto l’importo. Ciò contrasta col principio, ora avvalorato giurisprudenzialmente, secondo cui dal montante dei ricavi presunti da indagini finanziarie vanno dedotti i relativi costi di produzione . La Corte di Cassazione (ord. n. 5586/2023 e n. 10013/2025) ha stabilito che il contribuente può sempre eccepire l’incidenza percentuale di costi e il giudice deve riconoscerla se l’ufficio non l’ha fatto . Nel caso in esame, trattandosi (secondo l’ufficio) di ricavi non contabilizzati derivanti da vendite occulte, è logico presumere che vi siano stati costi (acquisti) occulti almeno nella misura del …%. In difetto di prova specifica, si può far riferimento alla redditività media del settore (il ricorrente opera nel commercio all’ingrosso con ricarichi medi del 20-25%). Pertanto, su € ___ di prelievi contestati, il margine imponibile non sarebbe € ___ ma circa € ___ (applicando un 25% di utile lordo). L’accertamento, non avendo operato tale detrazione, risulta eccedere il reale reddito imponibile e va ridimensionato di conseguenza, a pena di violare l’art. 53 Cost. (tassazione di mera capacità contributiva presunta oltre il vero).

4. Violazione del diritto di difesa e dei principi CEDU (art. 6) – Illegittimità costituzionale dell’art. 32 c.4 DPR 600/73 come applicato (eventuale).
Il ricorrente segnala che alcuni documenti probanti (in particolare la scrittura di prestito di cui sopra) non furono allegati in sede di risposta al questionario a causa di forza maggiore (smarrimento temporaneo, poi rinvenuto). L’Ufficio ha rifiutato di valutarli successivamente, richiamando la preclusione di cui all’art. 32 quarto comma. Qualora Codesta Corte ritenesse di non poter esaminare detti documenti per tale motivo, il ricorrente solleva eccezione di illegittimità costituzionale di detta norma per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., nonché 6 CEDU, nella parte in cui impone l’inutilizzabilità di documenti per mere irregolarità formali imputabili a lievi colpe del contribuente, impedendo un equo contraddittorio sui fatti. (Questa eccezione viene formulata al fine di preservare ogni diritto di difesa, anche se la recente sentenza Corte Cost. 137/2025 ha dichiarato non fondate analoghe questioni, interpretando però la norma nei sensi indicati in motivazione; si invita la Corte a voler comunque applicare una interpretazione costituzionalmente orientata, ammettendo i documenti in discorso in quanto rilevanti e non prodotti per comprensibile difficoltà all’epoca).

(Altri eventuali motivi procedurali: es. nullità dell’atto per difetto di firma, per notifica invalida, per errore sul calcolo sanzioni… in base al caso concreto.)

Richiesta finale:
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il ricorrente chiede che l’On.le Commissione adita voglia: 1. In via principale: annullare integralmente l’Avviso di Accertamento n./_ per l’anno , in quanto emesso in violazione di legge e carente dei presupposti di fatto, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle sanzioni e agli accessori; 2. In via subordinata: ridurre la pretesa fiscale nei limiti di legge, eliminando quantomeno l’imputazione di € ___ relativi a movimenti giustificati o non soggetti a tassazione, e applicando una riduzione forfettaria per costi ai sensi di quanto dedotto, rideterminando il maggior reddito in misura non superiore a € , con corrispondente ricalcolo di imposte e sanzioni; 3. In via ulteriormente subordinata: nella denegata ipotesi di mancato totale accoglimento, disporre ogni misura di giustizia anche parziale che Codesta Corte ritenga opportuna (ad esempio convertire le sanzioni in minime, concedere la non applicazione di interessi di mora ecc.); 4. Condannare l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio in caso di soccombenza.

Si formula inoltre istanza di trattazione in pubblica udienza data la rilevanza delle questioni giuridiche trattate e, ove necessario, istanza di CTU/perizia per la determinazione dell’esatta percentuale di ricarico nel settore del ricorrente, ai fini del calcolo dei costi presunti correlati.

In via istruttoria, si deposita la seguente documentazione a supporto: – Doc. 1: copia avviso impugnato; – Doc. 2: copia risposta a questionario del … con relativi allegati (già in atti dell’ufficio); – Doc. 3: estratti conto bancari evidenzianti i movimenti in contestazione; – Doc. 4: contratti/dichiarazioni relativi ai versamenti giustificati (donazione, prestito, rimborso assicurativo, ecc.); – Doc. 5: verbale di constatazione/contraddittorio del … (se disponibile); – Doc. 6: documentazione su margini settore (es. studi di settore o analisi di bilancio) per costi presunti; – …

Si dichiara, ai sensi dell’art. 22 D.Lgs. 546/92, che il contributo unificato di € ___ è stato regolarmente versato (allega ricevuta).

Luogo, data.

Firma del difensore e del contribuente

(Seguono l’indicazione dei destinatari per la notifica – tipicamente consegna via PEC all’AdE – e la procura alle liti).

Questo modello di ricorso copre i principali argomenti tipici, ovviamente andrebbe adattato alle specificità (ad esempio se il contribuente è una società, se c’è reato penale in mezzo, ecc.).

Esempi pratici e simulazioni

Infine, per meglio comprendere come i principi si applicano nella realtà, proponiamo alcune simulazioni pratiche:

Esempio 1 – Il commerciante con conti personali e aziendali promiscui:
Mario è titolare di un negozio di abbigliamento (ditta individuale in contabilità semplificata). Sul suo conto corrente personale confluiscono sia i proventi del negozio (molti clienti pagano con bonifico sul suo IBAN personale) sia altre somme (lo stipendio della moglie versato sul conto cointestato, e occasionali bonifici da parenti). Viceversa, dal conto del negozio Mario a volte preleva contante per pagare piccole spese familiari. L’Agenzia delle Entrate esegue un controllo incrociato e vede che nel 2023 Mario ha versato complessivamente €50.000 sul conto personale, ma ha dichiarato ricavi per solo €30.000 dal negozio. Inoltre, risultano prelievi in contanti dal conto aziendale per €20.000. Senza altri chiarimenti, l’AdE presume €20k di ricavi non dichiarati da versamenti e €20k da prelievi, per un totale di €40k di imponibile evaso. Mario riceve un invito a comparire: – Difesa in contraddittorio: Mario spiega che dei €50k versati sul conto personale, €15k sono in realtà bonifici dello stipendio della moglie (non c’entrano col negozio), €10k provengono da un vecchio libretto di risparmio che ha chiuso (mostra attestazione della banca) e €5k sono un regalo dei genitori per il matrimonio (fornisce dichiarazione dei genitori). Restano €20k di versamenti non immediatamente giustificati, che Mario ammette potrebbero essere incassi in contanti del negozio che aveva depositato sul conto personale senza batterli in cassa (di fatto, ricavi in nero). Riguardo ai prelievi €20k dal conto aziendale, Mario sostiene che una parte (€8k) l’ha usata per pagare un fornitore in contanti (esibisce però solo la bolla firmata, non fattura; potenziale acquisto in nero di merce), e il resto €12k l’ha destinato a spese di casa (affitto, ecc.). – Esito atteso: L’AdE dovrebbe, alla luce di ciò, rettificare così: – Versamenti: togliere i €15k stipendio moglie e €10k libretto (che non sono reddito di Mario) . Restano €25k sospetti (20k ammessi incassi non dichiarati + 5k regalo non documentato ufficialmente). Potrebbero decidere di tassare €25k come ricavi non dichiarati (il regalo di 5k, se Mario non documenta con atto, lo considereranno reddito salvo controprova). – Prelievi: siccome Mario è imprenditore, i prelievi contano. Tuttavia degli €8k per fornitore hanno capito che erano un costo in nero per comprare merce, quindi quei €8k effettivamente hanno generato merce vendibile non fatturata. I restanti €12k sono usciti per fini personali, ma l’AdE potrebbe dubitare e dire “o erano utili prelevati (già tassati se l’azienda li avesse dichiarati, ma non li aveva) oppure ricavi portati fuori”. In mancanza di prova, tenderanno a presumere ricavi. – Totale imponibile: invece di €40k iniziali, ora punteranno magari a €25k (versamenti) + €20k (prelievi). Tuttavia, dopo Cassazione 2023, dovrebbero riconoscere un costo forfettario sui €20k da prelievi, diciamo 40% di margine => tassano netto €12k. Quindi l’avviso finale potrebbe imputare ~€37k di ricavi non dichiarati. – Ricorso: Mario impugnerebbe dicendo: per i €5k regalo matrimonio, chiederebbe magari al giudice di ammettere testimonianza dei genitori o considerare la circostanza credibile (non tassabile). Per i €8k acquisto in nero, paradossalmente li userebbe a suo favore come costo deducibile: “Ho speso €8k per merce, dunque su quell’importo non può esserci utile intero”. Il giudice potrebbe riconoscere un costo su quell’importo e ridurre un po’. Per i €12k prelievi personali, Mario direbbe: “non sono reddito, erano soldi miei usati per famiglia, e comunque la Consulta ha detto che per me (semplificato) la presunzione vale ma potevano essere personali – genera dubbio”. Non vincerà facilmente su questo, ma è un argomento equitativo. – Sanzioni: In questo scenario, le sanzioni IRPEF sarebbero al 100% circa di €37k (quindi €37k) ridotte di 1/3 se adesione. Mario cercherà di aderire magari per evitare peggioramenti, ottenendo sanzioni al 1/3 (quindi ~€12k) e pagando il dovuto.

Esempio 2 – Il professionista con rilevanti versamenti sul conto:
Luca è un ingegnere libero professionista. Nel 2024 ha incassato parcelle per €50.000 (dichiarate), ma sul suo conto corrente personale risultano versamenti di contanti per €20.000 e bonifici da terzi per €15.000 non fatturati. L’AdE sospetta che stia incassando compensi in nero. Ciò avviene spesso quando i clienti pagano in contanti e lui li versa in banca. Lo convocano: – Luca spiega che dei €20k in contanti versati, €5k provengono da anni addietro (ha rotto il salvadanaio, in pratica) e €15k sono effettivamente incassi di clienti che non ha fatturato (grave ammissione, ma se l’AdE ha evidenze incrociate, conviene confessare in adesione per sanzioni ridotte). Riguardo ai bonifici €15k: €5k erano un rimborso spese da un cliente (che lui non ha fatturato perché spese anticipate, ma doveva almeno registrarlo; comunque rimborsi spese documentati non sono reddito se a piè di lista) e €10k sono soldi ricevuti da suo padre per aiuto acquisto casa (mostra atto di donazione registrato). – L’AdE: – Non potrà contestargli nulla per i prelievi (non ce ne erano o comunque non contano essendo professionista). – Sui versamenti: toglierà i €10k donazione (ok documentata, non reddito); potrebbe discutere sui €5k rimborso spese – se Luca presenta ricevute di quelle spese e lettera d’incarico dove era previsto il rimborso, potrebbero accettare che non generi compenso (al più, contestare violazione formale di non averlo registrato). Restano i €15k incassi non fatturati, su cui c’è poco da fare: verranno considerati compensi evasi. – Possibile definizione: Luca forse opterà per un accertamento con adesione, evitando il processo. Con adesione paga imposta su €15k (aliquota IRPEF sua marginale ad es 38% => €5.700) + sanzione ridotta 1/3 (sanzione piena 90% = €5.130, un terzo ~€1.710) + interessi modesti. Totale forse ~€7.500. Avrà anche violazioni IVA se soggetto a IVA: su €15k evasi, IVA 22% = €3.300, sanzione 90% = €2.970 ridotta a €990. Quindi altro €4.290. Complessivo ~€11.790. Un bel colpo, ma meglio che rischiare in giudizio dove comunque perderebbe (versamenti in nero=compensi). – Se Luca facesse ricorso: la difesa potrebbe attaccarsi a eventuali vizi di forma. Nel merito, è indifendibile sui €15k confessati. Quindi in genere il professionista “colto sul fatto” preferisce aderire. Potrebbe solo sperare in riduzione sanzioni, ma dato che non c’è dubbio sull’evasione, punterebbe a chiudere presto.

Esempio 3 – Il caso dei prelievi in azienda familiare e il redditometro:
Supponiamo un contesto: coniuge A è imprenditore (società), coniuge B è casalinga senza reddito. Sul conto di B affluiscono spesso bonifici dal conto di A (che li gira per spese di casa) e prelievi in contanti. L’AdE potrebbe non fare un accertamento bancario classico su B (perché B non ha redditi ufficiali), ma notando che la famiglia ha spese (casa, viaggi) considerevoli nonostante B non dichiari niente e A dichiari poco, decidono per un accertamento sintetico sul nucleo. – Con il nuovo redditometro 2024, guardano il tenore di vita: vedono che nel 2024 hanno comprato un’auto di lusso da €80k, la figlia frequenta una scuola privata, viaggi per €10k. B dichiara 0, A dichiara reddito modesto €30k. Il reddito presunto familiare (essendo coniugi, valutano congiunto di solito) sarebbe tipo €120k. Lo scostamento è enorme e supera 69.700€, quindi i requisiti per redditometro ci sono . – Contraddittorio redditometrico: Il Fisco chiede di spiegare come hanno potuto. A risponde: l’auto da €80k è stata pagata vendendo la vecchia auto (€20k) + un finanziamento bancario (€60k) intestato ad A (mostra contratto di prestito). I viaggi €10k li ha pagati con i risparmi prelevati dal conto cointestato (in cui affluivano soldi già tassati di A). La scuola privata €15k annui la paga il nonno ai nipoti (e forniscono dichiarazione del nonno, con bonifici partiti dal conto del nonno verso la scuola). – Se queste prove convincono, il redditometro potrebbe crollare: – L’auto non implica reddito occulto perché finanziata da debiti (il che non è reddito, anche se bisognerà poi vedere come rimborsano il prestito, ma magari con redditi futuri). – I viaggi con risparmi: se mostrano che sul conto c’erano già soldi accumulati (magari da utili di anni prima già tassati) e li prelevano, ok. – La scuola pagata da terzo: capacità contributiva del nonno, non loro (anche se a rigore il mantenimento figli da terzi potrebbe forse considerarsi liberalità, ma di solito lo escludono dal reddito). – AdE potrebbe dunque archiviare o ridurre a poca cosa (es. magari contestare solo: “ok tutto, però notiamo prelievi costanti di contante 5k/mese che non sono spiegati => potrebbe essere nero speso contanti, su quello facciamo sinteticamente reddito non dichiarato di quell’importo”). – In ricorso, A e B farebbero valere tutte queste cause di giustificazione e vincerebbero se ben documentate, perché c’è giurisprudenza che dice di togliere rate mutuo, donazioni, etc. (es. Cass. 8995/2017: mutuo bancario non è reddito, Cass. 1711/2019: terzi paganti escludono presunzione, etc.).

Questi esempi mostrano come, caso per caso, la difesa consista nel tradurre la storia economica personale in elementi comprensibili e provabili al fisco, sfruttando le pieghe normative e le aperture giurisprudenziali.

Domande frequenti (FAQ)

D1: L’Agenzia delle Entrate può veramente controllare tutti i miei conti bancari?
Sì. Dal punto di vista normativo, l’AdE (o la Guardia di Finanza) può, con autorizzazione, richiedere a tutte le banche, poste, intermediari finanziari l’estratto di ogni rapporto intestato o cointestato a un contribuente (conti correnti, depositi titoli, carte di credito/debito, cassette di sicurezza – per queste ultime solo l’elenco, non il contenuto). Ciò avviene per via telematica tramite l’Archivio dei Rapporti Finanziari. Non è necessario avvisare prima il contribuente. Questo potere è stato potenziato negli anni: oggi è uno strumento normale in caso di accertamenti di un certo rilievo. Esiste un principio di proporzionalità: dovrebbero attivare indagini finanziarie quando c’è un motivo (es. incongruenze reddituali, sospetti di evasione, etc.), non indiscriminatamente. Ma una volta autorizzati, possono guardare tutti i movimenti di un periodo (generalmente ultimi 5 anni accertabili). Inoltre, possono estendere l’indagine a conti di terzi legati al contribuente (coniuge, familiari, soci) se hanno elementi per ritenere che su quei conti transitino soldi dell’interessato (per esempio, Cassazione ha ritenuto legittimo guardare i conti dei figli se il tenore di vita del padre faceva sospettare che li usasse come prestanome ). Insomma, c’è un’ampia possibilità di controllo.

D2: Cosa si intende esattamente per “prelievo ingiustificato”?
Un prelievo è ogni somma di denaro che esce dal conto (in contanti o tramite assegno/bonifico a proprio favore). “Ingiustificato” significa che, quando richiesto, il contribuente non sa indicare a cosa è servito quel denaro prelevato né tale operazione risulta dalle scritture contabili (se è un imprenditore). Se, ad esempio, un’azienda preleva €5.000 e in contabilità non c’è traccia (né come pagamento fatture né altro) e il titolare non fornisce una spiegazione credibile (tipo: “ci ho pagato Tizio, ecco ricevuta”), allora per il Fisco è ingiustificato. In quel caso, la legge presuntiva dice: forse hai comprato qualcosa in nero per rivenderla → ti considero €5.000 di vendite non dichiarate. Naturalmente “ingiustificato” è diverso da “illecito”: magari il contribuente l’ha usato per scopi leciti privati, ma se non li dichiara, fiscalmente resta senza giustificazione nell’ottica dell’attività d’impresa. Per i privati e professionisti, come detto, il prelievo di per sé non genera presunzione reddituale (salvo prova di reimpiego produttivo), quindi “ingiustificato” ha meno rilievo. Ma per un imprenditore, ogni euro prelevato dal conto aziendale dovrebbe idealmente corrispondere a qualcosa (cassa contanti, spesa, utili prelevati formalmente). Se così non è, scatta l’allarme.

D3: E per “versamento ingiustificato”?
Specularmente, è una somma entrata sul conto per cui non c’è spiegazione. L’esempio classico: un commerciante versa spesso contanti sul conto aziendale in aggiunta agli incassi registrati dal registratore di cassa. Se versa €1.000 in più al giorno rispetto agli scontrini, quell’importo è ingiustificato e quasi certamente vendite non scontrinate. O un professionista riceve bonifici con causali vaghe che non ha fatturato: ingiustificati = compensi nascosti. Per i privati, un versamento potrebbe essere ingiustificato se non risulta da stipendi, vendite di beni, ecc. e potrebbe indicare redditi sommersi (p. es. lavori in nero). L’onere è dire da dove arriva quel denaro. Se uno dice “avevo contanti in casa e li ho versati”, ok quella è una spiegazione ma potrebbe non bastare, specie se le cifre sono alte e frequenti (il Fisco dubita che avessi così tanto contante legittimo da parte senza motivo).

D4: Se il Fisco mi contesta solo prelievi ma io sono un professionista, devo comunque giustificarli?
Formalmente, no – puoi eccepire che la contestazione è infondata in radice perché, da legge e sentenze, i prelievi non generano reddito per i professionisti . In pratica, tuttavia, conviene fornire comunque una spiegazione almeno generica per dissipare possibili dubbi o per evitare ulteriori indagini. Ad esempio: “È vero, ho prelevato €10.000, li ho spesi per cure mediche, allego fatture pagate in contanti, quindi non c’entrano col mio lavoro”. Ciò aiuta a chiudere la questione. Ma se anche non lo facessi, l’ufficio non dovrebbe (pena nullità in giudizio) farti un recupero reddito su quel punto. Tieni presente però: se sei sia professionista che socio d’impresa o altre figure ibride, la distinzione può complicarsi. In linea generale comunque l’orientamento è netto: prelievi -> irrilevanti per autonomi, e se qualche avviso li includesse, il giudice li leverà.

D5: Quali sanzioni si rischiano in caso di accertamento bancario?
Le sanzioni amministrative tributarie per dichiarazione infedele (ovvero omessa dichiarazione di redditi) sono, ad oggi, dal 90% al 180% dell’imposta evasa (art. 1 D.Lgs. 471/97). “Imposta evasa” significa differenza tra quanto dovuto e quanto versato. Facciamo un esempio: l’AdE trova €50.000 di ricavi non dichiarati in una ditta individuale, aliquota media IRPEF 30% => €15.000 di imposta evasa; la sanzione base sarà tra €13.500 e €27.000 (90%-180% di 15k). Di solito l’ufficio applica il minimo (90%) salvo condotte aggravanti. Se il contribuente fa accertamento con adesione, c’è la riduzione ad 1/3 della sanzione: quindi 90% diventa 30%. Nel nostro esempio, da €13.500 si scende a €4.500. Se invece si fa ricorso e poi si perde, non c’è più quella riduzione, a meno che il giudice, valutando circostanze, possa disporre sanzioni al minimo o talvolta escluderle se c’è incertezza normativa oggettiva (raro in questi casi, perché la norma è chiara).
Oltre alle sanzioni su imposta, ci sarebbero eventuali sanzioni IVA (se i ricavi evasi includevano operazioni imponibili non fatturate): anche lì 90%-180% dell’IVA evasa. AdE in genere cumula.
Non dimentichiamo gli interessi di mora, calcolati dal giorno in cui l’imposta andava versata (a saldo dell’anno) fino al pagamento, al tasso legale annuo (di solito 0,5-1% in questi anni).
Penalmente: dal punto di vista penale tributario, l’evasione di imposta può integrare reato se supera certe soglie: es. superare €100.000 di imposta evasa per singola imposta e anno, con condotta fraudolenta o dichiarazione infedele oltre €150.000 imposta e 2 milioni di ricavi non dichiarati (artt. 3 e 4 D.Lgs. 74/2000). Nel contesto di versamenti/prelievi, è raro configurare la frode (a meno di artifici contabili); più probabile il reato di dichiarazione infedele se superi 2 milioni non dichiarati. Quindi la maggior parte di questi casi non sfocia nel penale, ma se emergesse un’evasione enorme, il Fisco potrebbe fare segnalazione. Ad esempio, scoprire €5 milioni su conti occulti potrebbe portare a ipotesi di omessa dichiarazione (se proprio nulla dichiarava). Ma parliamo di situazioni estreme.

D6: Come incide la “soglia di €1000 giornalieri / 5000 mensili” introdotta nel 2016?
Quella soglia (1000/5000) è come un filtro: l’AdE non considererà movimentazioni sotto tali importi come base per la presunzione. Ciò non vieta che possano farti domande anche su 500 €, ma non dovrebbero sommarti 100 operazioni da €500 per dire “ecco 50.000 evasi” se ciascuna era sotto soglia. In pratica, guardano i flussi cumulati: se prelevi 300 € al giorno tutti i giorni (che fa 9000 al mese), dovrebbero intervenire perché mensilmente superi 5000. Invece se fai micro-prelievi inferiori a 1000 e in somma mensile sotto 5000, teoricamente stai al sicuro dalla presunzione legale. Questo fu pensato per non tartassare chi fa normali spese in contanti. Ad esempio, un bar che ogni giorno preleva 500 € per pagare piccole forniture: 500 < 1000 e magari 5000 al mese tondi tondi, forse borderline ma se non supera, non dovrebbero presumere nulla.
Chiaramente se uno volesse fare il furbo, potrebbe dire: bene, allora prelevo 999 al giorno… Attenzione però: comportamenti artificiosamente frazionati potrebbero essere visti male (l’AdE potrebbe dire “prelevi 999 tutti i giorni, è chiaro che aggiri la soglia, quindi nel complesso…”, ma legalmente la norma parla di soglia per singola operazione e mensile, quindi se formalmente sotto, la presunzione non scatta).
Per i versamenti la norma del 2016 parla allo stesso modo: >1000 al giorno >5000 mese. Quindi se versi spesso contanti di piccole dosi, anche lì: sotto soglia niente presunzione. Però anche lì, se poi a fine anno hai versato 50k a botte di 500, credi che il Fisco se ne stia? Troverà altre vie, magari dire che è presunzione semplice e comunque ti contesterà. Ma legalmente avrebbe vita più dura senza la presunzione automatica.
In sostanza, la soglia è un salvagente per chi ha poche difformità di basso importo. Non usatela per fare i furbi, perché comunque un giudice potrebbe valutare l’abuso di diritto se frammenti operazioni solo per non farti beccare.

D7: In fase di ricorso, posso portare testimoni (es. mio padre a dire che quei soldi me li ha dati lui)?
No, nel processo tributario non è ammessa la testimonianza orale né giurata (art. 7 D.Lgs. 546/92). Tuttavia, puoi farti rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da tuo padre e produrla. Non ha lo stesso valore probatorio di una testimonianza in altri giudizi, ma è comunque un indizio scritto. Spesso i giudici le leggono e se non contrastate da null’altro, possono tenerne conto. Anche meglio sarebbe avere quella dichiarazione autenticata da un notaio (non che cambi molto giuridicamente, ma fa più fedele la provenienza). L’AdE invece può escutere testimoni in sede penale o contabile, ma non li porta in Commissione perché sa che non valgono. Dunque, la difesa deve essere documentale. Se proprio una questione dipende da terzi, c’è la possibilità di chiedere che il giudice interpelli altri soggetti (sempre in forma scritta). Ad esempio, se tu dici “quel versamento è il prestito del signor X”, puoi chiedere al giudice di ordinare all’AdE di sentire il signor X. È raro, ma in teoria possibile (art. 7 comma 1 CPC consente di raccogliere informazioni presso terzi). In pratica meglio raccoglierle tu e portarle.

D8: Se non rispondo affatto al questionario o invito, che succede?
Succedono tre cose negative: (i) l’AdE procede comunque facendo l’accertamento sulla base di quel che sa, presumendo il peggio (tanto tu non hai contraddetto); (ii) come detto, scatta la preclusione: non potrai poi in giudizio tirar fuori documenti che avevi ma non hai dato; (iii) l’ufficio potrebbe anche sanzionarti per mancata collaborazione (c’è una sanzione amministrativa per omessa risposta a questionario, di solito €2.000). Quindi ignorare è la peggior strategia. Se proprio non vuoi o non puoi rispondere, è meglio presentarsi e chiedere tempo, o rispondere parzialmente con ciò che hai e riservarti di integrare. Mai fare come struzzo.

D9: Ho ricevuto un accertamento sintetico (redditometro). Devo difendermi allo stesso modo di uno bancario?
In parte sì: la logica del redditometro è simile, ma invece di concentrarsi sui conti, guarda la tua capacità di spesa. Se l’adE contesta voci specifiche (auto, casa, investimenti), devi prendere ognuna e mostrare con quali soldi l’hai finanziata. Ad esempio, contestano una casa comprata: mostra mutuo e attingimento da conto (dichiarato). Contestano tenore di vita troppo alto: estrai i movimenti bancari per far vedere che hai usato carte di credito di un parente, o che spendevi perché avevi venduto dei beni. Focus sul redditometro: se ci sono spese certe (non medie ISTAT) e tu non hai redditi per coprirle, devi elencare i flussi finanziari degli anni precedenti: risparmi, liquidazioni, doni ricevuti. Spesso è utile fare un prospetto fonti/impieghi: in quell’anno quali fonti di denaro avevo (redditi dichiarati + utilizzo patrimonio + entrate non tassabili) e quali impieghi (spese, incrementi patrimoniali). Se le fonti coprono gli impieghi, hai risolto la difformità. Tieni anche presente che per redditometro esiste ora la soglia di 69.700 €: se sei sotto, eccepisci immediatamente che l’accertamento è nullo perché non rispetta la condizione di legge (norma introdotta dal D.Lgs. 108/2024) . Il redditometro inoltre vuole il contraddittorio obbligatorio: se ti mandano direttamente l’avviso senza averti invitato a spiegare, quell’atto è nullo (Cass. SU 26617/2009). Quindi verifica anche questo vizio procedurale.

D10: Posso transigere o conciliare in qualche modo nel processo tributario?
Sì. Oltre all’adesione pre-ricorso di cui si è detto (in fase amministrativa), esiste la conciliazione giudiziale: in primo grado o appello, puoi accordarti con l’ufficio per chiudere la lite con reciproche concessioni. Tipicamente, l’AdE potrebbe offrirti di abbattere del X% l’imponibile e/o le sanzioni. Se firmate la conciliazione, le sanzioni sono dimezzate e ottieni certezza. Per esempio, se sei in dubbio di vincere o no, potresti dire all’AdE: conciliazione al 50% dell’importo e chiudiamo. L’AdE accetta se ritiene il suo caso non blindatissimo (magari tu hai delle prove che potrebbero convincere il giudice per metà). La conciliazione va omologata dal giudice e poi diventa definitiva. Conviene valutarla se il contenzioso è incerto e se comunque c’è materia per accordo. In casi di importi piccoli (entro €50.000 imposta) in primo grado c’è anche il reclamo/mediazione obbligatorio: presenti il ricorso e l’ufficio ha 90gg per farti una proposta; spesso fanno sconticini sulle sanzioni. Ad esempio su un accertamento da €20k imposta e €18k sanzioni potrebbero dire “paga €20k + €6k sanzioni (1/3) e chiudiamo”. È praticamente come l’adesione.

D11: Se il conto è cointestato con mia moglie, e contestano movimenti, come funziona?
L’AdE di solito attribuisce per intero al contribuente sotto controllo i movimenti, se risulta che egli ne ha la disponibilità. La cointestazione non significa metà dei soldi di uno e metà dell’altro, a meno che tu provi diversamente. Quindi se marito e moglie cointestatari, e l’accertamento è sul marito, i versamenti verranno considerati suoi redditi (a meno che possa dimostrare che erano redditi della moglie – ma se la moglie ha dichiarato regolarmente i suoi redditi, non possono tassarli di nuovo a lui; se invece la moglie non aveva obblighi dichiarativi ed erano cose sue, bisogna far vedere che non c’entrano col marito). Allo stesso modo, prelievi cointestati li considerano sul contribuente target salvo evidenza contraria. Questo può portare a casi paradossali: tipo se conti cointestati genitore/figlio, potrebbero vedere i movimenti su entrambi indistintamente. Conviene sempre separare i flussi finanziari per persona, dove possibile, per evitare confusioni. Dal lato difesa, se dicono “sul suo conto cointestato con sua moglie sono arrivati 100,000”, puoi dire “ma 60,000 li ha messi mia moglie dal suo stipendio (già tassato)”. Devi dimostrarlo con documenti (es. movimenti dal conto di lei, buste paga). Allora quell’importo va tolto perché appartenente all’altro contitolare.

D12: Devo temere controlli sul contante in casa?
Non direttamente dal Fisco, ma attenzione: se in contraddittorio tu dichiari “li tenevo in casa”, potresti incuriosire la Guardia di Finanza, che su delega AdE potrebbe fare un accesso domiciliare (con autorizzazione) per vedere se custodisci registri segreti o contanti nascosti non dichiarati (succede nei casi grossi, es. scovare casseforti con milioni in nero). Il contante in sé non è vietato detenerlo, ma se trovano tanto contante potrebbero congelarlo in attesa che tu provi la provenienza. Inoltre esistono normative antiriciclaggio: versare e prelevare troppo contante attira anche l’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) che segnala movimenti anomali. In conclusione, detenere risparmi in casa non comporta reato, però se poi li reinserisci in banca devi spiegare cos’erano e da dove venivano originariamente.

D13: Qual è la miglior strategia preventiva per evitare questi problemi?
– Trasparenza finanziaria: se hai un’attività, cerca di far transitare sui conti solo operazioni tracciabili e giustificate. Evita i “versamenti di contanti” se non strettamente necessari: incassa con metodi tracciati e fattura tutto. Se incassi contanti, versa in banca esattamente quello che hai fatturato (così torna). Prelevi contanti dal conto aziendale? Fallo solo se hai scontrini o note spesa da rimborsare o se distribuisci utili formalmente. – Conti separati: tieni separato conto business e personale. E se puoi, anche conti separati per familiari. Così se controllano te, non vedono i movimenti di altri e viceversa. – Documenta le operazioni straordinarie: Se ricevi una grossa somma da qualcuno, fai sempre un atto scritto (prestito, donazione con atto pubblico se grande). Se vendi un bene, conserva l’atto di vendita e traccia i pagamenti. – Utilizza i limiti di legge: ora che il redditometro colpisce solo oltre €70k e 20% scarto, se sei un piccolo contribuente sotto quelle soglie di spesa, rischi molto meno accertamento sintetico. Per le imprese, occhio ai 1000/5000. – Contraddittorio anticipato: Se vieni a sapere o sospetti (magari perché le banche ti hanno avvisato) di un controllo, puoi anche spontaneamente portare in AdE delle note per spiegare operazioni (succede di rado, ma nulla lo vieta). Meglio ancora: in sede di dichiarazione dei redditi c’è un quadro (RW per estero, etc.) ma soprattutto se hai ricevuto somme esenti (tipo donazioni importanti), potresti in teoria segnalarlo con una nota a margine per storicizzare. Non esiste un campo dedicato, ma conservare documentazione è la chiave.

D14: Ho perso in primo grado: vale la pena fare appello?
Dipende dai motivi. Le Commissioni tributarie di primo grado decidono spesso in base ai fatti e alle prove. Se hai perso perché i giudici hanno ritenuto non provate le tue giustificazioni, in appello dovresti portare eventuali nuovi elementi (se ammessi) o sperare in una valutazione diversa. Se hai nuovi documenti prima non prodotti (e non preclusi), presentali in appello. Se invece pensi che abbiano sbagliato interpretazione di legge (ad es. non ti hanno concesso costi presunti nonostante cassazione, o hanno considerato i tuoi prelievi da professionista), allora certamente fai appello, perché il giudice di secondo grado potrebbe correggere quegli errori giuridici. Il vantaggio dell’appello: puoi far valere la giurisprudenza sopravvenuta (es. se Cassazione 2025 è uscita dopo la sentenza di primo grado e ti dà ragione su un punto, sottolinealo). Considera i costi: liti su importi alti conviene quasi sempre proseguire; su importi modesti, valuta costi legali e rischio.

D15: In conclusione, qual è la posizione “del debitore” da valorizzare?
Dal punto di vista del contribuente, è importante ribadire i propri diritti: diritto a non essere tassato due volte (no reddito fittizio da soldi già tassati), diritto al contraddittorio, diritto ad aver considerate le proprie spiegazioni. La legge dà poteri forti al Fisco, ma non illimitati: sono presunzioni relative, e l’approccio difensivo deve sempre evidenziare al giudice quando l’AdE eccede (ad esempio tassando anche ciò che palesemente reddito non è, o ignorando prove evidenti). Il contribuente onesto che si vede contestare prelievi ingiustificati deve far capire, con pacatezza ma fermezza, che non può essere chiamato a dimostrare l’impossibile (es. provare come ha speso ogni centesimo personale) e che il sistema tributario – come confermato anche dalla Consulta – non intende punire chi usa il proprio denaro, ma solo chi genera ricavi occulti. Quindi, spesso la difesa retorica sarà: “le mie movimentazioni bancarie possono sembrare anomale, ma trovano spiegazione in vicende non imponibili; tassarle significherebbe colpire capacità contributiva inesistente, in contrasto con l’art. 53 Cost.”. Portare la discussione su un piano di principio può aiutare a persuadere i giudici, soprattutto se contorniata da evidenze concrete.

Riferimenti normativi e giurisprudenziali citati:
– D.P.R. 29/9/1973 n. 600, art. 32, co.1 n.2 e co.4-5 (Poteri degli uffici e presunzioni da indagini finanziarie) .
– D.P.R. 26/10/1972 n. 633, art. 51, co.2 (Analogo potere in materia IVA).
– D.P.R. 29/9/1973 n. 600, art. 38, co.4-7 (Accertamento sintetico del reddito).
– Legge 30/12/2004 n. 311, art. 1 comma 402 (estensione presunzioni ai lavoratori autonomi, poi caducata).
– D.L. 193/2016, art. 7-quater (modifica art. 32: soglie 1000/5000 e esclusione professionisti) .
– Corte Costituzionale n. 228/2014 (illegittimità presunzione prelievi per autonomi) .
– Corte Costituzionale n. 10/2023 (presunzione prelievi per contabilità semplificata legittima, con onere prove contrarie e costi) .
– Corte Costituzionale n. 137/2025 (legittimità preclusione utilizzo documenti non esibiti, con interpretazione) .
– Cassazione Civ. Sez. Trib. n. 12779/2016 e 12781/2016 (annullati accertamenti a professionisti, conferma esclusione prelievi) .
– Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 5586/2023 (riconoscimento costi forfettari anche in analitico-induttivo: revirement) .
– Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 6874/2023 (sul punto costi, citata dalla 10013/25).
– Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 11509/2023 (ribadisce presunzione ex art.32 e onere contribuente di prova contraria specifica).
– Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 13624/2023 (distinzione inutilizzabilità documenti se non chiesti espressamente).
– Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 24352/2023 (indagini finanziarie su conti, differenza incassi/esborsi).
– Cass. Civ. Sez. Trib. ord. n. 10013/2025 (deduzione costi presunti 15% su ricavi occultati da prelievi) .
– D.Lgs. 5/8/2024 n. 108, art. 6 (riforma redditometro: doppia soglia 20% e 10x assegno sociale) .
– Art. 6, c.1, D.Lgs. 471/1997 (sanzione 90-180% imposta evasa).
– Art. 10-bis, D.Lgs. 74/2000 (omessa dichiarazione reato se imposta evasa > €50.000, soglia abbassata? Attenzione, soglie penali variano).
– Circolare Agenzia Entrate n. 32/E del 19/10/2006 (istruzioni su indagini finanziarie post-finanziaria 2005).
– Circolare Agenzia Entrate n. 16/E 2016 (sulla sentenza Corte Cost. 228/2014 e adeguamento prassi: esclude prelievi per autonomi). – Sentenze Cass. nn. 26617/2016 (SU), 8995/2017, 719/2018, 21142/2021 (varie sul contraddittorio e redditometro).
– Sentenza Cass. n. 20060/2014 (onere prova contraria su movimenti bancari spetta contribuente, presunzione iuris tantum).
– Cassazione civile Sez. Trib. sentenza n. 31345 del 10 novembre 2023
– Sentenza del 10/11/2023 n. 31345 – Corte di Cassazione

Fonti: La presente guida è stata elaborata con riferimento a fonti istituzionali e giurisprudenziali aggiornate, tra cui pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione più recenti , oltre a circolari e disposizioni normative vigenti. Si è inoltre tenuto conto delle novità legislative fino ad agosto 2025 (es. D.Lgs. 108/2024 sul redditometro ). Ogni affermazione è supportata dalla normativa o dalla giurisprudenza citata, così da fornire al lettore riferimenti solidi per eventuali approfondimenti o utilizzi pratici. In caso di situazione personale concreta, è sempre consigliabile farsi assistere da un professionista (commercialista o avvocato tributarista) vista la complessità della materia e la continua evoluzione interpretativa.

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché i tuoi prelievi dal conto corrente sono stati considerati come redditi non dichiarati? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché i tuoi prelievi dal conto corrente sono stati considerati come redditi non dichiarati?
Vuoi sapere quali sono i rischi e come puoi difenderti da questa accusa?

Gli accertamenti bancari consentono al Fisco di analizzare i movimenti sui conti correnti. In particolare, per imprenditori e professionisti, i prelievi ingiustificati possono essere presunti come compensi o ricavi occultati, a meno che non venga fornita la prova contraria.

👉 Non sempre, però, un prelievo è indice di evasione: spesso ha natura personale, familiare o deriva da somme già tassate.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • Prelievi frequenti o di importo elevato senza documentazione;
  • Differenze tra redditi dichiarati e somme movimentate;
  • Presunzioni di utilizzo del contante per pagamenti “in nero” a fornitori o dipendenti;
  • Mancanza di spiegazioni coerenti sulla destinazione delle somme;
  • Anomalie tra i flussi bancari e la contabilità ufficiale.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero delle imposte sui prelievi ritenuti ricavi non dichiarati;
  • Sanzioni fiscali dal 90% al 180% delle imposte evase;
  • Interessi di mora;
  • Nei casi più gravi, accertamenti retroattivi fino a 7 anni e procedimenti penali per dichiarazione infedele.

🔍 Come difendersi

  1. Esamina i prelievi contestati: individua quelli indicati nell’avviso di accertamento.
  2. Raccogli la documentazione: estratti conto, giustificativi di spese personali, ricevute, contratti di prestito o donazione.
  3. Dimostra la natura non reddituale dei prelievi: spese familiari, somme già tassate, investimenti personali.
  4. Contesta le presunzioni del Fisco: l’Agenzia deve provare con elementi concreti che i prelievi siano legati ad attività imponibili.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’accertamento bancario e individua i punti critici della contestazione;
  • 📌 Ricostruisce la destinazione delle somme prelevate con prove documentali;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare le pretese fiscali;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Suggerisce strategie preventive per gestire correttamente i prelievi ed evitare futuri accertamenti.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in accertamenti bancari e contestazioni sui prelievi;
  • ✔️ Specializzato in difesa da presunzioni di redditi occulti;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

I prelievi ingiustificati dal conto non sono automaticamente redditi in nero, ma il Fisco può considerarli tali se privi di spiegazioni.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la natura lecita delle somme, contestare le presunzioni fiscali e ridurre le pretese dell’Agenzia delle Entrate.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sui prelievi bancari inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!