Accertamento Per Mance Non Dichiarate In Ristorazione: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per mance non dichiarate in ristoranti, bar o locali? Le somme ricevute come mancia sono considerate a tutti gli effetti reddito imponibile, e il Fisco può avviare accertamenti fiscali se non risultano dichiarate. Questo vale sia per i titolari delle attività che per i dipendenti o collaboratori che le percepiscono.

Quando scattano le contestazioni del Fisco
– Se le mance incassate dal personale non sono state dichiarate come reddito
– Se il volume delle mance risulta sproporzionato rispetto agli importi dichiarati dal locale
– Se i pagamenti elettronici delle mance non trovano riscontro nelle dichiarazioni fiscali
– Se il Fisco presume che parte degli incassi dell’attività siano stati mascherati come mance non contabilizzate
– Se le dichiarazioni dei redditi di camerieri, barman o dipendenti non riportano le somme effettivamente percepite

Cosa rischi in caso di omissione delle mance
– Recupero delle imposte sulle somme non dichiarate
– Sanzioni fiscali dal 90% al 180% delle imposte accertate
– Interessi di mora che aumentano il debito complessivo
– Contestazione di dichiarazione infedele se le somme superano le soglie penali
– Possibili azioni esecutive su beni e conti in caso di mancato pagamento

Come difendersi da un accertamento sulle mance
– Dimostrare la reale entità delle mance percepite con documenti, estratti conto e ricevute di pagamento elettronico
– Contestare gli importi presunti dal Fisco quando non corrispondono alla realtà
– Dimostrare che le mance ricevute rientrano in regimi fiscali agevolati previsti dalla normativa più recente
– Evidenziare errori di calcolo o interpretazioni eccessive delle norme da parte dell’Agenzia delle Entrate
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se infondato

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare le contestazioni e verificare la correttezza degli importi accertati
– Raccogliere documentazione bancaria e contabile a sostegno della difesa
– Contestare le presunzioni eccessive del Fisco con prove concrete
– Difendere dipendenti e titolari dell’attività in sede di contraddittorio e in giudizio
– Valutare la possibilità di accordi con l’Agenzia delle Entrate per ridurre sanzioni e interessi

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione significativa delle imposte e delle sanzioni contestate
– La sospensione di eventuali procedure esecutive
– La protezione del patrimonio personale e aziendale
– La certezza di pagare solo quanto realmente dovuto

⚠️ Attenzione: le mance, anche se percepite direttamente dai dipendenti, sono considerate reddito e devono essere dichiarate. Tuttavia, le contestazioni del Fisco spesso si basano su stime e presunzioni: una difesa ben documentata può ridurre o annullare le pretese fiscali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare un accertamento per mance non dichiarate nel settore della ristorazione e come difenderti da pretese ingiuste.

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Introduzione

Nel settore della ristorazione e dell’accoglienza turistica (ristoranti, bar, hotel, catering, ecc.), le mance dei clienti costituiscono una componente rilevante – e spesso non formalizzata – dei compensi percepiti dal personale. Per lungo tempo in Italia è regnato il dubbio se tali mance debbano essere dichiarate ai fini fiscali, ossia se vadano considerate reddito imponibile per il lavoratore. La questione ha assunto risalto con casi eclatanti di accertamenti fiscali: emblematico il caso di un capo ricevimento in un hotel di lusso in Sardegna, al quale l’Agenzia delle Entrate contestò 84.000 euro di mance non dichiarate relative al 2007 . In primo grado, i giudici tributari locali gli avevano dato ragione ritenendo le mance non tassabili in quanto somme aleatorie e fuori dal rapporto contrattuale di lavoro . Tuttavia, la Corte di Cassazione è intervenuta stabilendo un importante principio di diritto: anche le mance lasciate dai clienti concorrono a formare il reddito del lavoratore dipendente e vanno quindi tassate . Questa pronuncia ha fatto scalpore nel settore e ha spinto il legislatore ad intervenire. A partire dal 2023, infatti, le mance in ristoranti, bar, hotel e attività analoghe sono soggette a un regime fiscale agevolato (imposta sostitutiva al 5%) entro determinati limiti , grazie a una norma ad hoc introdotta nella legge di bilancio 2023 e ulteriormente potenziata nel 2025 .

Scopo di questa guida. In questa guida approfondita – aggiornata ad agosto 2025 – esamineremo in dettaglio la normativa italiana sulle mance nel settore della ristorazione e dell’accoglienza, alla luce delle ultime novità legislative e giurisprudenziali. Ci focalizzeremo sui profili fiscali: cosa prevede la legge, come l’amministrazione finanziaria effettua gli accertamenti sulle mance non dichiarate e, soprattutto, come può difendersi il contribuente (dal cameriere al titolare di esercizio) destinatario di un avviso di accertamento per mance non dichiarate. Adotteremo un taglio avanzato – con riferimenti normativi puntuali (TUIR, circolari, sentenze) – ma con linguaggio chiaro e approccio pratico, fornendo esempi concreti, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte per sciogliere i dubbi più comuni. Dal punto di vista del “debitore” (ossia del contribuente che si vede contestare imposte su mance non dichiarate) analizzeremo quali sono i suoi diritti, le strategie difensive e gli strumenti per ottenere giustizia o almeno attenuare le conseguenze fiscali.

Struttura del documento. Nei capitoli seguenti affronteremo:

  • Quadro normativo e giurisprudenziale: la qualificazione giuridica delle mance in Italia, dall’evoluzione normativa all’intervento cruciale della Cassazione nel 2021, fino alle novità legislative del 2023 e 2025.
  • Accertamenti fiscali sulle mance: come l’Agenzia delle Entrate può scoprire mance non dichiarate, quali metodi e presunzioni utilizza, e quali importi e sanzioni rischia il contribuente.
  • Difesa del contribuente: come reagire a un avviso di accertamento per mance non dichiarate – dagli strumenti deflativi (ravvedimento, accertamento con adesione, mediazione) al ricorso in Commissione Tributaria – con particolare attenzione agli argomenti difensivi (normativi e fattuali) che si possono far valere.
  • Tabelle riepilogative: schemi sintetici dei diversi regimi fiscali pre- e post-2023, delle condizioni per l’imposta sostitutiva, e del percorso di difesa in caso di accertamento.
  • FAQ (Domande e Risposte): una serie di quesiti pratici con risposte chiare, per chiarire i dubbi frequenti (es. “Le mance sono sempre tassate?”, “Chi deve dichiararle?”, “Come calcolare le tasse dovute?”, “Cosa succede se non le dichiaro?”, ecc.).

Entriamo dunque nel vivo della materia, iniziando dal quadro normativo di riferimento.

Quadro normativo: le mance come reddito imponibile

In Italia, i redditi delle persone fisiche sono tassati secondo il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, DPR 917/1986). In particolare, l’art. 51 TUIR (già art. 48 prima della riforma del 1998) definisce il reddito di lavoro dipendente in modo onnicomprensivo: esso è costituito da tutte le somme e i valori in genere percepiti dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali . Questa formulazione molto ampia – introdotta dal D.lgs. 314/1997 – mirava a ricomprendere nel reddito imponibile qualsiasi emolumento collegato al rapporto di lavoro, superando la precedente nozione più ristretta di sola retribuzione contrattuale .

Le erogazioni liberali “in relazione al lavoro”. Proprio l’inciso sulle erogazioni liberali ricevute in relazione al lavoro è cruciale nel nostro contesto: per erogazioni liberali si intendono somme o beni dati spontaneamente da terzi, non dovuti contrattualmente. Le mance rientrano perfettamente in questa categoria, essendo elargite volontariamente dai clienti per gratitudine del servizio ricevuto. Pertanto, secondo la regola generale del TUIR, anche le mance dovrebbero essere considerate reddito imponibile da lavoro dipendente. Non importa che a pagarle non sia il datore di lavoro ma un soggetto terzo (il cliente): ciò che rileva è il nesso di derivazione dal rapporto di lavoro – in altre parole, il fatto che senza quel rapporto (es: cameriere-datore di lavoro) il dipendente non avrebbe ricevuto quella somma dal cliente . Come ha osservato la Cassazione, la normativa fiscale adotta un concetto di reddito di lavoro più ampio della mera retribuzione sinallagmatica, includendovi “tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano causalmente con il rapporto di lavoro”, e dunque anche somme corrisposte da terzi se il rapporto di lavoro è presupposto necessario per la loro percezione .

Eccezioni ed esclusioni specifiche. La regola onnicomprensiva conosce però alcune deroghe espressamente previste. Nel nostro contesto, va menzionata un’eccezione storica: le mance dei croupier dei casinò. Il legislatore ha previsto da decenni che le somme elargite come mance agli impiegati tecnici delle case da gioco (croupier) non concorrono a formare il reddito entro il limite del 25% di quanto percepito nel periodo d’imposta . In pratica, per i croupier solo il 75% delle mance è tassabile. Questa norma speciale (oggi contenuta nell’art. 51, c.2, lett. i) TUIR) rappresentava un’agevolazione settoriale, da interpretarsi restrittivamente . Al di fuori delle case da gioco, tuttavia, nessuna disposizione fino al 2022 esentava o agevolava le mance dei dipendenti di altri settori. Ciò ha lasciato spazio, in passato, a incertezze interpretative e prassi difformi.

La circolare del 2008 e l’incertezza pre-2021. Un elemento che ha contribuito alla confusione è stato un documento di prassi dell’amministrazione finanziaria: la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 3/E del 2008. In essa, l’Agenzia affermava (seppur incidentalmente) che le donazioni di valore limitato erano da considerarsi “non imponibili”. Molti hanno interpretato tale indicazione come riferita anche alle mance di piccola entità, ritenendole pertanto escluse da tassazione. In pratica, si riteneva che le mance fossero liberalità modeste e come tali potessero non essere dichiarate, in assenza di una norma chiara che ne imponesse la tassazione. Questa interpretazione indulgente è stata talora fatta propria anche da commissioni tributarie di merito. Ad esempio, nel caso sardo citato in apertura, la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, nel 2014, aveva giudicato non tassabili le somme percepite a titolo di mance, sottolineandone la natura aleatoria e l’assenza di correlazione contrattuale col datore di lavoro . In altri termini, i giudici di merito avevano ritenuto di poter escludere le mance dalla nozione di reddito da lavoro dipendente, probabilmente anche facendo leva sul clima di incertezza e sulla prassi amministrativa del 2008 favorevole al contribuente.

Questa situazione di incertezza si è protratta fino al 2021, allorché è intervenuta la Corte di Cassazione a fare chiarezza autorevole sulla qualificazione fiscale delle mance nel settore della ristorazione e dell’ospitalità.

La svolta della Cassazione nel 2021: le mance sono reddito imponibile

La questione della tassabilità delle mance è giunta all’esame della Suprema Corte di Cassazione con il caso del capo ricevimento che non aveva dichiarato circa €84.000 di mance ricevute dai clienti di un hotel (un importo triplo rispetto al suo stipendio annuo) . La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con due ordinanze gemelle del 30 settembre 2021 (n. 26510 e n. 26512), ha affermato con forza un principio di diritto destinato a fare giurisprudenza: le mance percepite dal lavoratore dipendente in relazione alla propria attività lavorativa rientrano nella nozione onnicomprensiva di reddito da lavoro dipendente e sono pertanto soggette a tassazione . Tale principio è stato enunciato in adesione alla lettera dell’art. 51 TUIR, richiamando la formulazione “tutte le somme e i valori… a qualunque titolo percepiti … anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” .

La Cassazione ha ribaltato la decisione dei giudici regionali (che avevano escluso la tassazione delle mance) e ha dato pienamente ragione all’Agenzia delle Entrate . Nelle motivazioni, la Suprema Corte sottolinea diversi punti chiave:

  • Onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente: la riforma del 1997 ha inteso assoggettare a tassazione tutto ciò che il dipendente percepisce in dipendenza del rapporto di lavoro, ancorché da soggetti terzi e non dal datore . Ciò in linea con il principio già espresso dal Ministero delle Finanze nella circolare n. 326/1997 dopo la riforma del TUIR, secondo cui l’onnicomprensività del reddito di lavoro “giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche quindi … non direttamente dal datore, ma sulla cui percezione il dipendente può fare ragionevole affidamento” . In particolare, la Corte evidenzia che il lavoratore può – per comune esperienza – fare un ragionevole affidamento nelle mance che i clienti lasciano, specialmente in certi contesti (es. ristoranti di lusso, hotel a 5 stelle): esse costituiscono una componente prevedibile (sebbene non garantita) delle entrate del dipendente . La loro esistenza non è quindi così aleatoria da escluderle dal reddito imponibile.
  • Nesso con il rapporto di lavoro, non natura retributiva formale: la difesa del contribuente sosteneva che le mance non sono “retribuzione” in senso stretto, mancando il vincolo contrattuale col datore. La Cassazione risponde che la nozione fiscale di reddito di lavoro non coincide con la retribuzione contrattuale: comprende anche gli introiti che traggono occasione dal rapporto di lavoro, pur non essendo dovuti dal datore . Ciò che conta è il nesso di derivazione dal rapporto, non la fonte formale dell’erogazione . Pertanto la mancia, pur essendo un atto di liberalità del cliente, “si lega casualmente con il rapporto di lavoro” (poiché l’esistenza di quel lavoro è presupposto necessario affinché il cliente lasci la mancia) . Questa correlazione giustifica l’imponibilità fiscale delle mance, salvo che vi sia una specifica esclusione di legge.
  • Deroghe tassative e irretroattività analogica: come detto, l’unica esclusione normativa pertinente era quella dei croupier (deduzione del 25%). La Cassazione chiarisce che agevolazioni ed esclusioni tributarie non si possono applicare oltre i casi espressamente previsti . Quindi la particolare disciplina di favore per i croupier non poteva essere estesa analogicamente ai camerieri o ad altri lavoratori della ristorazione. Anzi, il fatto stesso che il legislatore avesse dovuto prevedere espressamente l’esclusione parziale per le mance dei croupier conferma che, senza tale norma, anche quelle sarebbero state imponibili: ergo, in generale tutte le mance rientrano nella regola tassativa, a meno di deroga esplicita .
  • Contributi previdenziali: un altro aspetto interessante toccato dalla Corte è la sostanziale convergenza tra disciplina fiscale e previdenziale in materia di reddito da lavoro . Dal 1998, infatti, la base imponibile previdenziale ricalca la definizione fiscale di reddito di lavoro (art. 12 L.153/1969 come modif. dal D.lgs. 314/1997). Questo significa che, in linea di principio, ciò che è reddito imponibile ai fini IRPEF lo è anche ai fini contributivi INPS. La Cassazione richiama una sentenza della Corte Costituzionale (n. 354/2001) che aveva già avallato questa unificazione concettuale . Pertanto, concludono i giudici, non vi sono dubbi di costituzionalità nell’interpretare l’art. 51 TUIR come comprensivo delle mance anche ai fini fiscali e contributivi.

In base a queste considerazioni, la Cassazione ha cassato la sentenza della CTR Sardegna e rinviato il caso affinché venisse riesaminato applicando il seguente principio di diritto“In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, primo comma, del DPR 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione” .

Questa pronuncia del 2021 (cui possiamo aggiungere per completezza la conforme Cass. Sez. Lav. n. 21012/2023, che ha ribadito l’assoggettamento a contribuzione INPS del 75% delle mance dei croupier, confermando il parallelismo con l’imponibilità fiscale ) ha rappresentato un punto di svolta. Da quel momento in poi, era pacifico in diritto che qualsiasi mancia percepita da un lavoratore dipendente per effetto indiretto del proprio lavoro dovesse considerarsi reddito imponibile (ordinariamente soggetto a IRPEF secondo gli scaglioni progressivi). Tuttavia, questo aveva implicazioni delicate: tassare integralmente le mance (spesso ottenute in contanti e difficilmente tracciabili) avrebbe potuto penalizzare un settore già gravato da bassi salari, lavoro stagionale e sommerso. Si poneva anche un problema pratico: come far emergere e tassare effettivamente le mance, dato che non vengono fiscalmente documentate (non sono inserite nello scontrino in Italia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi come gli USA) .

Non a caso, la sentenza della Cassazione destò allarme tra i lavoratori del settore – “una decisione che mette in pericolo una parte fondamentale del reddito di chi lavora nel mondo della ristorazione e accoglienza”, scriveva la stampa – e sollevò interrogativi sul rischio di una eccessiva burocratizzazione dei rapporti di lavoro per controllare le mance. La palla, evidenziava WineNews, passava ora al legislatore: serviva una regolamentazione chiara per evitare incertezze e penalizzazioni .

La nuova disciplina dal 2023: imposta sostitutiva al 5% sulle mance (settore turismo e ristorazione)

Il legislatore ha risposto prontamente al dibattito aperto dalla Cassazione, introducendo una disciplina fiscale agevolativa per le mance nel settore turistico-ricettivo e della ristorazione. La novità è arrivata con la Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023), in vigore dal 1° gennaio 2023. In particolare, i commi da 58 a 62 dell’art. 1 di tale legge hanno definito un regime speciale per le mance in questi settori . Vediamone i punti salienti:

  • Qualificazione delle mance come reddito da lavoro dipendente: la legge chiarisce (ribadendo quanto sancito dalla Cassazione) che le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità nelle strutture ricettive e negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande costituiscono reddito di lavoro dipendente . Si specifica che ciò vale anche se le mance sono elargite tramite mezzi di pagamento elettronici (es. mance lasciate con carta di credito tramite POS) e riversate ai lavoratori . Quest’ultimo passaggio indica che la norma considera sia le mance date direttamente in contanti al dipendente, sia quelle incassate dall’azienda (tipicamente via pagamento elettronico o eventualmente aggiunte al conto) e poi distribuite ai dipendenti. In ogni caso, ai fini fiscali, queste somme sono reddito del lavoratore.
  • Imposta sostitutiva del 5%: in luogo della tassazione IRPEF ordinaria (che, ricordiamo, in Italia avrebbe colpito tali somme con aliquote progressive fino al 43% oltre certe soglie di reddito), la legge prevede che sulle mance si applichi – salvo rinuncia espressa del lavoratore – un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali regionali e comunali pari al 5% . Ciò significa che, rispettando le condizioni di seguito indicate, il cameriere, barista, concierge, etc. che riceve mance pagherà su di esse un’imposta flat del 5%, assolvendone così completamente la tassazione (senza ulteriori imposte su quelle somme). Questa è una misura agevolativa pensata per non disincentivare il fenomeno delle mance e per alleggerire il carico fiscale su redditi spesso modesti dei lavoratori del turismo, pur facendo emergere il sommerso.
  • Limite quantitativo – franchigia 25% (poi 30%): l’agevolazione si applica entro il limite di importo pari al 25% del reddito annuo del lavoratore derivante dalle prestazioni di lavoro rese nel settore . In altri termini, le mance godono della flat tax 5% fino ad un ammontare massimo pari al 25% del reddito da lavoro percepito nell’anno. Se le mance superano tale soglia percentuale, la parte eccedente torna imponibile secondo le aliquote ordinarie IRPEF . Ad esempio, se un cameriere guadagna €20.000 di stipendio annuo e riceve €6.000 di mance (>25% di 20.000), l’agevolazione si applicherà sulle mance fino a €5.000 (che è il 25% di 20.000) tassandole al 5%, mentre i restanti €1.000 di mance eccedenti saranno tassati secondo l’aliquota IRPEF ordinaria del suo scaglione di reddito. Aggiornamento 2025: a partire dal 1° gennaio 2025, questo limite è stato elevato al 30% del reddito annuo , per effetto della Legge di Bilancio 2025. Dunque, dal 2025 le mance possono beneficiare della tassazione 5% fino a un importo pari a quasi un terzo della retribuzione annua del lavoratore (nell’esempio precedente, fino a €6.000 su €20.000 di stipendio) . La modifica è stata introdotta dal comma 520, lett. a) della legge di bilancio 2025, che ha innalzato dal 25% al 30% il limite in questione , per rafforzare l’agevolazione visto il successo e l’importanza del provvedimento.
  • Soglia di reddito per beneficiarne – €50.000 (poi €75.000): l’imposta sostitutiva al 5% sulle mance è riservata ai lavoratori dipendenti del settore privato che, nell’anno precedente, abbiano percepito redditi di lavoro dipendente non superiori a una certa soglia . In origine (2023-2024) tale soglia era 50.000 euro: erano esclusi cioè i lavoratori con redditi annui oltre 50k (tipicamente dirigenti, o chi cumula più rapporti di lavoro). Dal 2025 la soglia è stata innalzata a €75.000 annui , ampliando la platea di possibili beneficiari, comprendendo di fatto quasi tutti i lavoratori del settore (dato che stipendi superiori a 75k in ristorazione/alberghi sono rari). La modifica è stata introdotta dal comma 520, lett. b) della legge di bilancio 2025 . Occorre precisare che nel computo del reddito dell’anno precedente vanno inclusi tutti i redditi di lavoro dipendente percepiti dal lavoratore, anche se derivanti da attività diverse in altri settori , nonché eventuali somme di mance già tassate a forfait in quell’anno (anche se nel 2022 non c’era ancora la norma). Il superamento della soglia in un anno non fa perdere il beneficio sulle mance di quell’anno stesso, ma costituisce causa ostativa per l’anno successivo . Ad esempio, se nel 2024 Tizio ha reddito di €55.000, sulle mance percepite nel 2024 paga comunque il 5% (perché nel 2023 aveva sotto 50k), ma per le mance che percepirà nel 2025 dovrà applicare la tassazione ordinaria (essendo nel 2024 andato oltre la soglia, salvo che la soglia 2025 sia diventata 75k e il suo reddito risulti sotto tale nuovo limite).
  • Settori interessati: la legge individua espressamente l’ambito applicativo nei settori della ristorazione e delle attività ricettive. Si fa riferimento agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’art. 5 della L. 287/1991 e alle strutture ricettive. In concreto, ciò comprende: ristoranti, trattorie, pizzerie, tavole calde, birrerie, bar, caffè, gelaterie, pasticcerie, ma anche hotel, alberghi, pensioni, B&B, nonché sale da ballo, locali notturni, stabilimenti balneari e in genere tutte le attività del comparto turistico-alberghiero dove si usa lasciare mance . Rientrano anche i servizi di catering e banqueting se qualificati come somministrazione di alimenti e bevande. Restano invece esclusi altri contesti dove pure esistono mance (es. parrucchieri, estetisti, tassisti, facchini non alberghieri, etc.) perché al di fuori dei settori indicati: per costoro, allo stato, valgono le regole ordinarie (quindi le mance sarebbero reddito imponibile senza imposta sostitutiva, anche se in pratica spesso di modico importo e difficili da tracciare).
  • Soggetti coinvolti e applicazione pratica: il regime riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato impiegati nelle attività sopra elencate . Non si applica ovviamente ai titolari di impresa (es. il ristoratore che incassa mance lasciate dai clienti a lui direttamente – ipotesi peraltro inusuale – in quel caso le somme sarebbero più probabilmente considerate componenti di reddito d’impresa) né ai lavoratori autonomi. Sono invece espressamente inclusi i lavoratori impiegati tramite agenzie interinali (somministrazione): la circolare AE 26/E/2023 ha chiarito che anche i lavoratori somministrati presso hotel e ristoranti possono accedere al regime, trattandosi di reddito da lavoro dipendente del settore a tutti gli effetti . Per default il regime agevolato è quello “naturale”: significa che si applica automaticamente se ci sono le condizioni, salvo che il lavoratore non vi rinunci per iscritto . La rinuncia potrebbe avere senso solo per quei (pochi) lavoratori che, avendo magari deduzioni o detrazioni particolari, preferiscano cumulare le mance col resto del reddito per sfruttare benefici fiscali (poiché l’imposta sostitutiva è separata e non dà diritto a detrazioni). In assenza di rinuncia, dunque, il datore di lavoro deve applicare il 5%.
  • Ruolo del datore di lavoro (sostituto d’imposta): l’applicazione concreta avviene per il tramite del datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta. È quindi il datore che deve trattenere il 5% sulle mance e versarlo al Fisco, analogamente a come fa per le ritenute IRPEF sugli stipendi . Questo ovviamente presuppone che il datore sia a conoscenza dell’ammontare delle mance spettanti al lavoratore. Nel caso di mance lasciate tramite pagamento elettronico, il datore incassa tali somme insieme al conto e poi le riversa al dipendente: in tal frangente, è tenuto a gestirle in busta paga applicando l’imposta sostitutiva (sono stati istituiti appositi codici tributo dall’Agenzia delle Entrate – Risoluzioni n. 16/E/2023 e 11/E/2024 – per versare sia l’imposta a carico del lavoratore sia le eventuali addizionali sostitutive a carico del datore in caso di premi di risultato trasformati in mance) . Se invece la mancia è data in contanti direttamente al dipendente, la situazione è più informale: la legge comunque ne richiede l’assoggettamento a imposta sostitutiva. In teoria, il lavoratore dovrebbe comunicarne l’ammontare al datore affinché questi possa trattenergli il 5%. È evidente però che su piccole somme quotidiane ciò può risultare macchinoso e spesso non avverrà, se non in realtà molto strutturate. In assenza di intervento del datore, la mancia in contanti resta comunque reddito imponibile per il dipendente: se non dichiarata, espone il dipendente al rischio di accertamento, come vedremo. D’altro canto, la maggior parte delle mance di valore consistente oggi transita su mezzi tracciati (ad esempio, molti clienti lasciano la mancia aggiungendola al totale sul POS, specialmente post-pandemia). In questi casi, il datore di lavoro deve contabilizzare separatamente tali importi e non considerarli propri ricavi, bensì somme destinate ai dipendenti.
  • Irrilevanza ai fini IVA e reddito d’impresa: la nuova disciplina ha curato anche il coordinamento con le imposte indirette e il reddito d’impresa. La Circolare AE 26/E/2023 e la prassi successiva hanno chiarito che le mance incassate dall’esercizio e destinate ai dipendenti non costituiscono ricavi per il datore di lavoro, ma mere movimentazioni finanziarie fuori dal campo IVA . In base all’art. 2, comma 3, lett. a) DPR 633/1972, infatti, sono escluse dall’IVA le movimentazioni di denaro che non costituiscono controprestazione di cessioni di beni o servizi. La mancia è considerata un atto di liberalità del cliente non collegato da sinallagma al servizio principale (che è già pagato nel conto): pertanto non aumenta il volume d’affari IVA né il reddito d’impresa dell’azienda . Ovviamente, per godere di tale irrilevanza, l’azienda deve davvero riversare integralmente le mance ai dipendenti. È opportuno che il datore adotti procedure contabili che tengano traccia separata delle mance percepite e del loro successivo integrale passaggio ai lavoratori, così da poterlo dimostrare in caso di controlli . Se, ipotesi patologica, il datore trattenesse indebitamente parte delle mance, tali somme potrebbero essere riqualificate come ricavi imponibili (o quantomeno perderebbero l’esenzione IVA, trattandosi allora di corrispettivo non dichiarato).
  • Esclusione da contributi e TFR: un ulteriore beneficio per i lavoratori è che le mance assoggettate a imposta sostitutiva non rientrano nella base imponibile contributiva INPS né nei premi INAIL, e non si computano per il TFR (trattamento di fine rapporto) . Si tratta di una deroga alla regola generale di unificazione base fiscale-previdenziale menzionata prima. Il legislatore, riconoscendo la peculiarità di queste somme, ha stabilito che non si devono pagare contributi pensionistici sulle mance (il che è un risparmio sia per il datore che per il lavoratore) e che esse non accrescono il montante per il TFR. Ciò potrebbe sembrare svantaggioso per il lavoratore (niente contributi = niente quota di pensione su quelle somme, e niente TFR), ma in realtà è coerente con la natura aleatoria e variabile delle mance e soprattutto evita oneri aggiuntivi al datore, facilitando l’emersione delle stesse. Resta fermo però che, ai fini di altre disposizioni che dipendono dal reddito complessivo del lavoratore (es. detrazioni per figli a carico, ISEE, bonus vari), le mance – pur tassate al 5% – contano come reddito. La legge infatti specifica che tali redditi sostitutivi vanno comunque considerati nel calcolo per beneficiare di deduzioni, detrazioni o altre provvidenze legate al reddito . Dunque, ad esempio, se un lavoratore percepisce €2.000 di mance tassate al 5%, il suo reddito complessivo “teorico” ai fini ISEE o per il bonus asilo nido includerà anche quei €2.000, benché fiscalmente tassati separatamente.

Riepilogo in tabella – Regime fiscale delle mance prima e dopo il 2023:

AspettoFino al 2022 (regole ordinarie)Dal 2023 (Legge 197/2022) – Aggiornato 2025
Qualificazione fiscaleControversia interpretativa. Cass. 2021: reddito lavoro dip. imponibile . (Prassi 2008 escludeva liberalità modeste)Reddito di lavoro dipendente per legge . Conferma Cass. 2021.
TassazioneIRPEF ordinaria (aliquote progressive fino a 43% + addiz.) se dichiarate; spesso non dichiarate affatto nel sommerso.Imposta sostitutiva 5% su mance, in luogo IRPEF+addiz. .
Limite importo agevolatoN/A (nessun limite specifico; tutto sarebbe ordinariamente tassabile)Fino al 25% del reddito annuo da lavoro (dal 2023 al 2024) . Dal 2025: 30% del reddito annuo . Oltre tali soglie, eccedenza a tassazione IRPEF ordinaria .
Soglia reddito per accessoN/A (in teoria tutti tassabili, ma aliquota dipende dal reddito totale)Solo lavoratori con reddito annuo lavoro dip. ≤ 50.000 € l’anno precedente (2023-24) , soglia aumentata a 75.000 € dal 2025 .
Settori interessatiTutti (in teoria qualunque lavoratore dipendente con mance), nessuna norma specifica settoriale.Settore privato turistico/ristorazione: strutture ricettive, esercizi somministrazione cibi e bevande (ristoranti, bar, hotel, ecc.) . Esclusi altri settori.
Contributi previdenzialiSì (in teoria imponibili anche INPS/INAIL, secondo Cass. 2021) – ma raramente versati perché mance non dichiarate.Esclusi dal calcolo contributi e premi INAIL se tassati al 5%. (Prima trattenuta contributi non prevista, ora ufficialmente esclusi).
TFR (liquidazione)Se fossero considerati retribuzione, avrebbero concorso al TFR; in pratica non calcolati.Esclusi dal TFR (non aumentano accantonamento fine rapporto).
IVA e reddito d’impresaNon regolato specificamente. (Mance non fatturate né scontrinate; prassi di non assoggettarle a IVA).Fuori campo IVA (cessioni di denaro) e irrilevanti per ricavi d’impresa, a condizione di riversamento integrale ai dipendenti .
Applicazione praticaNessun obbligo di sostituto; lavoratore dovrebbe autodenunciare in dichiarazione (quasi mai avvenuto).Datore di lavoro sostituto d’imposta: trattiene 5% su mance conosciute (specie quelle via carta) . Lavoratore può rinunciare a flat tax per optare IRPEF (raro) .
Sanzioni omessa dichiarazione90%-180% imposta evasa + interessi; possibili rilievi penali se evaso > soglie.Se non dichiarate/non trattenute comunque soggette ad accertamento con sanzioni ordinarie (vedi colonna precedente) se scoperte. Regime agevolato non esime dall’obbligo di dichiarare.

Nota: la disciplina agevolata 5% si applica dal 1° gennaio 2023 in avanti. Per le mance percepite in anni d’imposta precedenti al 2023 continuano ad applicarsi le regole ordinarie e l’interpretazione giurisprudenziale (quindi imponibilità IRPEF ordinaria, se accertate). Nel prosieguo vedremo come si comporta l’Agenzia in sede di controlli e come il contribuente può difendersi, distinguendo i periodi ante e post riforma.

Accertamenti fiscali sulle mance non dichiarate: modalità e conseguenze

Passiamo ora al tema cruciale: cosa succede se le mance non vengono dichiarate e come l’amministrazione finanziaria può scoprirlo e procedere a un accertamento. Dal punto di vista del Fisco, le mance non dichiarate costituiscono a tutti gli effetti redditi sottratti a tassazione, quindi evasione fiscale. Negli ultimi anni, con l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica, pagamenti tracciabili e incrocio banche dati, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno affinato gli strumenti per individuare redditi occultati, incluso il controllo del tenore di vita e delle disponibilità finanziarie dei contribuenti (il cosiddetto redditometro o gli accertamenti sintetici basati sulla spesa). Le mance in contanti rappresentano ancora un’area grigia, ma casi come quello discusso in Cassazione dimostrano che non sfuggono all’attenzione del Fisco, specie quando raggiungono importi significativi.

Esaminiamo le possibili modalità di accertamento e le relative basi giuridiche:

1. Accertamento analitico da indagini finanziarie (art. 32 DPR 600/1973). Una delle vie più comuni per scoprire redditi non dichiarati è l’analisi dei conti bancari del contribuente. La legge prevede una presunzione legale relativa: tutti i versamenti su conti correnti del contribuente si presumono redditi imponibili se il contribuente non ne prova la diversa provenienza (art. 32, c.1, n.2 DPR 600/73). Dunque, se un cameriere versa regolarmente sul suo conto somme in contanti che eccedono chiaramente il suo stipendio dichiarato, l’Ufficio – ottenuti i movimenti bancari – può contestare che tali versamenti sono redditi non dichiarati (verosimilmente mance). Nel caso del capo ricevimento con €84.000 di mance, è probabile che l’accertamento sia partito proprio dall’analisi dei suoi conti bancari o disponibilità finanziarie: un dipendente che guadagnava, ipotizziamo, €25.000 annui non poteva lecitamente accumulare decine di migliaia di euro extra se non da fonti non dichiarate. È sufficiente magari un accertamento patrimoniale (acquisto di un’auto costosa, o controllo dei depositi bancari nel quadro degli studi di settore) per far scattare l’indagine.

Una volta individuati i versamenti sospetti, spetta al contribuente l’onere di dimostrare che non si tratta di redditi tassabili (ad es. che erano risparmi precedenti, donazioni di familiari già tassate o non imponibili, indennizzi esenti, ecc.). Se, però, tali somme corrispondono in modo plausibile alle mance percepite (magari con cadenza giornaliera o settimanale, in concomitanza con l’attività lavorativa), sarà difficile convincere l’Ufficio che non siano reddito da lavoro. In mancanza di prova contraria convincente, la presunzione legale fa sì che quei versamenti vengano tassati come reddito evaso.

2. Accertamento induttivo e presuntivo (art. 39 DPR 600/1973). Laddove non vi siano riscontri diretti (come i versamenti in banca), il Fisco può ricorrere a metodi induttivi, ossia a stime basate su presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti. Per esempio, potrebbe utilizzare il redditometro (accertamento sintetico del reddito complessivo ex art. 38 DPR 600/73) se il tenore di vita del lavoratore appare incompatibile col solo stipendio dichiarato, attribuendo la differenza presumibilmente a redditi in nero (tra cui le mance). Oppure, in modo più mirato, l’Agenzia potrebbe stimare le mance medie percepite in un certo locale. Ad esempio, se da un controllo al ristorante Emerald si appura (magari intervistando il personale o mediante verifiche) che ogni cameriere ricava circa 100 € al giorno in mance, l’Ufficio potrebbe ritenere che Tizio, cameriere all’Emerald per 200 giorni l’anno, abbia percepito circa €20.000 di mance non dichiarate. Tali ricostruzioni, per reggere in giudizio, devono comunque basarsi su elementi concreti (dati medi di settore, dichiarazioni testimoniali, documenti interni).

Non va dimenticato il possibile ruolo della Guardia di Finanza: durante verifiche fiscali nelle aziende, le Fiamme Gialle potrebbero acquisire informazioni sulle mance. Ad esempio, in alcuni locali è prassi annotare su un registro le quote di mancia da distribuire allo staff (specie se vi è un servizio di ripartizione tra camerieri, cuochi, ecc.). Se i verificatori trovano un tale registro o ottengono dichiarazioni dal datore di lavoro sul monte mance distribuito, quei dati diventano basi solide per accertamenti a carico di ciascun dipendente beneficiario.

3. Controllo incrociato delle Certificazioni Uniche e buste paga. Con l’entrata in vigore dal 2023 del nuovo regime, i datori di lavoro dovrebbero indicare nelle Certificazioni Uniche (CU) dei dipendenti l’ammontare di mance assoggettate a imposta sostitutiva (c’è infatti una sezione apposita per le somme tassate al 5% ). Inoltre, in busta paga, le mance eventualmente contabilizzate compariranno come elemento separato. Queste segnalazioni permettono all’Agenzia Entrate di monitorare chi sta dichiarando mance e chi no. Se un ristorante dichiara di aver distribuito tot mance ai camerieri, ma uno di essi non risulta averle assoggettate a tassazione (ad esempio perché ha rifiutato il regime e poi non le ha incluse nel 730), potrebbe scattare un accertamento mirato. Viceversa, se un’azienda non evidenzia alcuna mancia mentre operava in un contesto (es. resort di lusso) in cui è molto improbabile che i dipendenti non ne ricevano, il Fisco potrebbe insospettirsi e attivare controlli (analisi del rischio di evasione).

4. Segnalazioni e altri elementi. In alcuni casi, l’avvio di un accertamento può derivare da segnalazioni o denunce (anche anonime) di terzi – es. un collega scontento, o un ex coniuge nell’ambito di cause di separazione che rivela che “mio marito cameriere guadagna in nero il doppio dello stipendio in mance”. Oppure dagli stessi dati dichiarativi: ad esempio, prima del 2023, se un cameriere presentava il 730 con solo 10.000 € di reddito ma risultava possedere immobili o avere spese elevate, il sistema di controlli automatici (Serpico) poteva far emergere incoerenze da approfondire.

In tutte queste ipotesi, se l’Agenzia ritiene di avere elementi sufficienti, emette un Avviso di Accertamento per recuperare le imposte evase sulle mance. Vediamo dunque quali sono le conseguenze in termini di imposte e sanzioni.

Imposte dovute, interessi e sanzioni

Se le mance non dichiarate vengono accertate come reddito imponibile, il contribuente dovrà versare l’IRPEF dovuta su tali somme per gli anni d’imposta contestati, più le relative addizionali regionali e comunali. L’aliquota applicata dipende dal regime e dal periodo:

  • Per anni fino al 2022 (prima dell’agevolazione): le mance accertate verranno tassate con l’aliquota IRPEF progressiva propria di quel reddito aggiuntivo. Ad esempio, se nel 2019 un cameriere ha dichiarato €15.000 e gli vengono accertate €5.000 di mance, quei €5.000 saranno tassati secondo gli scaglioni IRPEF (ipoteticamente al 27% o 38% a seconda di dove si collocano nel suo reddito totale).
  • Per anni 2023 e seguenti (dopo l’agevolazione): qui occorre distinguere. Se il contribuente avrebbe avuto diritto al regime 5% (rispettava soglia di reddito, settore ecc.), verosimilmente l’Agenzia Entrate applicherà comunque il regime sostitutivo sulle mance non dichiarate, essendo la legge vigente per quell’anno. Quindi potrebbe richiedere il 5% di imposta sulle mance evase (analogamente a come recupererebbe un’imposta sostitutiva non versata). Tuttavia, non è escluso che, in mancanza della regolarizzazione tramite il sostituto d’imposta, l’Ufficio possa ritenere decaduto il beneficio e pretendere l’IRPEF ordinaria. Su questo punto specifico non vi sono ancora casistica consolidata, poiché la normativa è recente. È più probabile che, dovendo far cassa, il Fisco in sede di accertamento tassi comunque ordinariamente le mance non dichiarate, a maggior ragione se il contribuente non ha seguito le procedure del regime agevolato. Sarà materia di contenzioso stabilire se l’agevolazione del 5% spetti anche in sede di accertamento d’ufficio: in linea di principio sì, se i requisiti c’erano e l’omessa applicazione è dipesa solo da negligenza, ma il contribuente potrebbe doverla rivendicare in sede di difesa.

Oltre alle imposte, si aggiungono gli interessi legali per ritardato pagamento (calcolati dal periodo di imposta dovuto fino alla notifica dell’accertamento e oltre, fino al pagamento).

La componente più gravosa sono le sanzioni amministrative tributarie per la violazione commessa. Non avendo dichiarato quei redditi, il contribuente è sanzionabile per dichiarazione infedele (art. 1 D.Lgs. 471/1997), punita con una sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Ad esempio, se su €10.000 di mance evase l’IRPEF evasa è €2.500, la sanzione va da €2.250 a €4.500 circa. La misura esatta viene determinata dall’Ufficio in base alla gravità, eventuale recidiva, collaborazione del contribuente ecc. Se però l’ammontare non dichiarato supera il 10% del reddito dichiarato e omissione di specifiche è voluta, la sanzione può aumentare. In ipotesi estreme (mance altissime non dichiarate per importi superiori a €100.000 di imposta evasa o €200.000 di imponibile occultato – soglie di rilevanza penale per dichiarazione infedele ai sensi del D.Lgs. 74/2000), può scattare anche il profilo penale. Ma è raro che le mance superino tali soglie, a meno di situazioni pluriennali cumulate.

Va ricordato che se il contribuente non presenta affatto la dichiarazione dei redditi (cosa possibile per alcuni lavoratori occasionali, ma i dipendenti hanno il CU e in genere presentano almeno il 730), la violazione sarebbe omessa dichiarazione con sanzioni ancora più alte (120%-240% imposta). Nel nostro contesto, più comune è l’omissione parziale (dichiarazione fatta ma redditi in nero non inclusi).

Esempio numerico: Mario è un barman che nel 2021 ha guadagnato €12.000 di stipendio e circa €8.000 in mance in contanti, non dichiarate. Accertato nel 2023, gli viene contestato il mancato versamento di circa €2.000 di IRPEF e addizionali su quegli €8.000 (aliquota marginale ~25%). Inoltre, gli viene applicata una sanzione base del 100% dell’imposta = €2.000. Con interessi, il totale da pagare supera €4.500. Mario potrà eventualmente ridurre la sanzione del 1/3 se aderisce all’accertamento o se definisce in acquiescenza, ma resta un esborso notevole rispetto alle mance percepite.

Accertamento al datore di lavoro? Una domanda ricorrente: l’Agenzia delle Entrate può rivalersi sul datore di lavoro per le imposte sulle mance non dichiarate dal dipendente? In linea generale, l’obbligo di sostituto d’imposta implica che il datore trattenga e versi le imposte dovute sui redditi che corrisponde. Prima del 2023, però, le mance non transitavano formalmente dal datore, quindi egli non aveva l’obbligo di effettuare ritenute su somme che i clienti davano direttamente al dipendente. Dopo il 2023, per le mance versate tramite lui (ad esempio via POS), il datore ha l’obbligo di applicare il 5%. Se omette di farlo, l’Agenzia potrà contestare a lui il mancato adempimento di sostituto e richiedergli l’imposta non versata (oltre sanzione per omesso versamento). Tuttavia, se le mance sono date cash fuori busta, il datore potrebbe sostenere di non averne avuta contezza. In pratica, difficilmente un datore sarà colpito direttamente per le mance non dichiarate dei dipendenti, a meno che non si dimostri che egli gestiva deliberatamente un sistema di elargizione mance in nero. Ad esempio, se un ristorante raccoglieva in cassa mance anche in contanti e poi le distribuiva senza dichiararle, si configurerebbe un’omissione da parte del datore, che potrebbe subire sanzioni (per violazione sostituto). Ma se le mance vengono date sottobanco al lavoratore senza passare dall’azienda, la responsabilità fiscale ricade principalmente sul lavoratore stesso.

Prescrizione e anni accertabili: il Fisco può accertare redditi non dichiarati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (termine raddoppiato a 7 anni in caso di omessa dichiarazione). Ad esempio, le mance 2020 non dichiarate (dichiarazione presentata nel 2021) sono accertabili fino al 31/12/2026. Ciò significa che, ancora per alcuni anni, il Fisco potrà andare a controllare periodi ante 2023 in cui non c’era il regime agevolato. Quindi attenzione: la sanatoria implicita non c’è – se avete preso mance nel 2018-2022 e non le avete dichiarate, il rischio accertamento persiste.

Implicazioni previdenziali: come notato, Cassazione ha affermato che sarebbero imponibili anche ai fini contributivi. In pratica, però, è raro che l’INPS proceda ad accertamenti contributivi sulle mance in assenza di busta paga che le riporti. Teoricamente, se l’Agenzia Entrate segnala all’INPS redditi da lavoro dipendente non dichiarati, l’INPS potrebbe richiedere i contributi su quelle somme (al datore e in parte al lavoratore). Dopo il 2023, però, le mance agevolate sono escluse da contributi per legge. Per gli anni pre-2023, resta astrattamente la possibilità di un recupero contributivo (specialmente se il datore era complice nel non assoggettare un elemento retributivo). Ciò però esula dal campo fiscale strettamente detto. Dal punto di vista del contribuente-lavoratore, l’accertamento tipico sarà quello fiscale dell’Agenzia Entrate per imposte evase.

Riassumiamo in una tabella i possibili esiti economici di un accertamento relativo a mance non dichiarate (scenario pre e post 2023):

VoceAccertamento su mance 2021 (regime previgente)Accertamento su mance 2023 (regime vigente)
Imposta evasa recuperataIRPEF + addizionali su 100% mance (aliquota marginale del contribuente, es. 23%-43%).Imposta sostitutiva 5% su mance (se regime applicabile) oppure IRPEF ord. se ritenuto decaduto. Tendenza: 5% se condizioni OK.
Sanzione amministrativa90% – 180% dell’IRPEF evasa. Riducibile se definizione.90% – 180% dell’imposta evasa (sostitutiva o IRPEF). Riduzioni possibili.
InteressiLegali (annualmente determinati, circa 1-2% annuo attualmente) dal 2022 al versamento.Legali dal 2024 al versamento.
Contributi INPS (eventuale)Possibile richiesta contributi su imponibile (33% circa) + sanzioni INPS, ma poco probabile in assenza busta paga.Non dovuti (per legge esenti) se parliamo di mance 2023.
Presenza reato penale fiscaleSolo se imposta evasa > €100k e imponibile sottratto > €200k (fattispecie rare per mance).Idem (improbabile superi soglie).
Coinvolgimento datore lavoroNessuno diretto, a meno di concorso (non ha ruolo sostituto su contante).Se non ha applicato 5% su mance tracciate: sanzionabile per omesso versamento. Su contante non comunicato: difficile chiamarlo in causa.

Conclusione di questa sezione: L’accertamento fiscale sulle mance non dichiarate è una realtà con cui fare i conti. Il Fisco ha gli strumenti per rilevare discrepanze tra reddito dichiarato e somme effettivamente percepite, e la Cassazione ha dato copertura legale piena a tali recuperi d’imposta. Il contribuente interessato deve quindi sapere che le mance, se consistenti, vanno considerate a tutti gli effetti reddito imponibile: oggi per fortuna con bassa tassazione (5%), ma se non dichiarate espongono a sanzioni salate. Nel prossimo capitolo analizziamo proprio come difendersi in sede contenziosa o pre-contenziosa, nel malaugurato caso di un avviso di accertamento per mance.

Come difendersi da un accertamento per mance non dichiarate

Trovarsi un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate che richiede imposte e sanzioni su mance non dichiarate può essere destabilizzante, ma è importante sapere che esistono strumenti e argomentazioni per difendersi. In questa sezione esamineremo il percorso che il contribuente (assistito da un professionista, es. un avvocato tributarista) può intraprendere dal momento della notifica dell’avviso, nonché le possibili strategie difensive sul merito della pretesa fiscale. Il tutto, naturalmente, dal punto di vista di chi le mance le ha ricevute e ora è debitore verso il Fisco.

Valutare la situazione: importi, prove e periodo

Non appena si riceve un avviso di accertamento, occorre innanzitutto leggerlo con attenzione e capire cosa viene contestato esattamente. Ad esempio:

  • Quali annualità d’imposta sono coinvolte (es. “redditi 2019, 2020 e 2021 non dichiarati”).
  • Quali importi di mance sono stati accertati per ciascun anno.
  • Su quale base l’Ufficio ha ricostruito tali importi: vi saranno indicate le motivazioni (es. “dai movimenti bancari risulta un totale di versamenti non giustificati per €XX, presumibilmente derivanti da mance”; oppure “dalle informazioni acquisite presso il datore di lavoro risulta che il contribuente ha percepito mance per €YY”).
  • Le norme applicate (es. art. 51 TUIR per il merito, art. 32 DPR 600/73 per presunzioni bancarie, ecc.) e la quantificazione del tributo e delle sanzioni.

Queste informazioni sono essenziali per definire la linea di difesa. Ad esempio, se l’intera contestazione si basa su movimenti bancari, la strategia sarà di giustificare quei movimenti in altro modo (se possibile). Se invece si basa su testimonianze o documenti interni dell’azienda, occorrerà puntare a contestarne l’attendibilità o a mostrare incongruenze.

Esempio pratico (Caso 1): a Luigi, cameriere, viene contestato per il 2021 un reddito non dichiarato di €10.000 in mance, basato su versamenti cash sul suo conto corrente. Luigi, col suo avvocato, verifica che in effetti in quell’anno aveva versato spesso contanti frutto delle mance giornaliere. Non avendo altre fonti di quei contanti (non può dire che glieli ha dati la nonna se non è vero, né ha prove di prestiti), capisce che contestare la fonte è difficile. Tuttavia, nota che l’Agenzia ha calcolato l’IRPEF al 23% su quei €10.000, mentre per il 2021 la Cassazione aveva già detto che le mance sono reddito. Luigi era un dipendente con stipendio basso: avrebbe potuto sperare nell’aliquota minima sul primo scaglione. Nessun appiglio facile, insomma. In questo caso, la difesa verterà più che altro su riduzione di sanzioni (magari invocando buona fede per la confusione normativa pre-2021) e rateazione, più che sull’annullamento totale.

Esempio pratico (Caso 2): a Maria, barista, contestano mance non dichiarate per il 2023 per €5.000. Notiamo che per il 2023 esiste la legge del 5%. Maria però lavorava part-time anche come commessa altrove, e il suo reddito 2022 superava di poco i 50k (quindi nel 2023 non avrebbe avuto diritto al 5% in teoria). L’Agenzia le applica IRPEF ordinaria su quei 5.000. In più, l’avviso si basa su un controllo in azienda: hanno scoperto che la cassa del bar incassava anche le mance via POS e il titolare distribuiva €500 al mese a lei e altri, senza tassarli. Qui la difesa può sostenere che: (a) Maria ignorava la procedura, confidava nel datore; (b) in ogni caso, anche se ha sforato di poco i 50k, la ratio della legge 2023 era di tassare al 5%, quindi chiedere magari all’ufficio di applicare comunque il 5% per equità o errore scusabile (questo difficilmente verrà accolto in autotutela, ma è argomento da giocare in sede di confronto). Inoltre, siccome è periodo post-riforma, Maria potrebbe evidenziare che la sua CU 2024 conteneva quell’importo (se per caso il datore l’ha poi inserito tardivamente): eventuali disallineamenti documentali possono essere usati.

Ogni caso è a sé: valutare importi, prove e contesto permette al difensore di scegliere se puntare su una definizione bonaria (quando il margine di vittoria in giudizio è basso) o sul contenzioso (se ci sono irregolarità nella procedura o appigli giuridici).

Fase pre-contenziosa: strumenti deflativi e riduzione sanzioni

Prima di impugnare l’accertamento davanti al giudice, conviene considerare gli strumenti deflativi del contenzioso messi a disposizione dall’ordinamento, che possono ridurre sanzioni e trovare un accordo col Fisco. In particolare:

  • Istanza di autotutela: se l’accertamento contiene errori evidenti (ad es. ha tassato due volte la stessa somma, oppure attribuisce a voi mance che erano di un collega per scambio di persona), si può presentare subito un’istanza all’Ufficio spiegando l’errore e chiedendo l’annullamento o la rettifica in autotutela. L’autotutela è discrezionale per l’Ufficio e non sospende i termini di ricorso, ma tentar non nuoce se c’è palese errore.
  • Accertamento con adesione: è uno strumento molto utile in questi casi. Si tratta di una procedura di conciliazione stragiudiziale in cui il contribuente può, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, presentare istanza di accertamento con adesione all’Ufficio. Ciò sospende i termini di impugnazione e consente di avere un contraddittorio informale con l’Agenzia. Durante l’adesione, il contribuente (o il suo consulente) può portare le proprie ragioni e magari contrattare una riduzione dell’imponibile accertato o delle sanzioni. Ad esempio, si potrebbe sostenere: “le mance non erano €10.000, ma €6.000, ecco alcune prove; inoltre, applicatemi il 5% invece che IRPEF perché rientravo nei limiti; propongo di chiudere pagando tot”. L’Ufficio, dal canto suo, potrebbe essere disponibile a rivedere leggermente al ribasso l’importo pur di chiudere la pratica evitando il ricorso. Se si trova un accordo, si formalizza con un atto di adesione: le sanzioni in questo caso sono automaticamente ridotte a 1/3 del minimo previsto. Nell’esempio, una sanzione del 90% potrebbe scendere al 30%. Inoltre, si può chiedere la rateazione fino a 8 rate trimestrali (o 16 se importo oltre 50k). L’adesione è quindi conveniente quando la pretesa è fondata ma si vuole mitigare il peso economico. Ovviamente se invece si ritiene di avere alte chance di annullamento totale in giudizio, l’adesione potrebbe non essere opportuna (perché comporta l’accettazione sostanziale della contestazione, sia pure riveduta).
  • Mediazione tributaria: per gli atti con valore in contestazione fino a €50.000, è obbligatorio (prima di andare in commissione) presentare reclamo/mediazione. Questa procedura, simile all’adesione, permette all’ente impositore (tramite un diverso ufficio) di vagliare la possibilità di accordo: possono proporre sconti su sanzioni fino al 35% del minimo, ecc. Nel caso di mance, spesso gli importi potrebbero stare sotto la soglia, quindi si farà questa trafila in ogni caso se si intende ricorrere. La mediazione può portare a un accordo transattivo (anche qui riducendo sanzioni tipicamente).
  • Ravvedimento operoso (tardivo): se il contribuente si rende conto prima di un accertamento (o anche dopo averlo ricevuto, purché prima della notifica, e allora sarebbe tardivo) di non aver dichiarato delle mance, può spontaneamente regolarizzare pagando l’imposta dovuta con sanzioni ridotte. Ad esempio, se nel 2022 mi accorgo di non aver dichiarato mance 2021, posso presentare un dichiarativo integrativo e versare IRPEF e sanzione ridotta (pentimento operoso). Ovviamente, se l’accertamento è già arrivato, il ravvedimento ordinario non è più ammesso su quegli importi; ma c’è sempre la definizione agevolata se la legge di turno la prevede (nel 2023 c’era la “tregua fiscale” con sanzioni ridotte a 1/18 in alcuni casi). È utile dunque informarsi se vi sono sanatorie in corso (il legislatore italiano ciclicamente introduce condoni/rottamazioni). Ad agosto 2025, ad esempio, è in discussione una possibile nuova definizione per controversie minori. Se fosse disponibile, potrebbe convenire aderirvi (pagando magari solo il tributo e poco altro, ed estinguendo la controversia).

In sintesi, prima di impugnare conviene cercare un dialogo con l’Agenzia, se non altro per ridurre le sanzioni. Soprattutto se la prova del Fisco è schiacciante (es. conti bancari chiari) e la legge è dalla loro (Cassazione docet), andare in giudizio potrebbe solo aggiungere spese. Al contrario, se si ravvisano vizi nell’accertamento o appigli giuridici validi, sarà utile prepararsi al ricorso.

Vizi formali e procedurali: da non sottovalutare

Un aspetto da verificare attentamente è se l’avviso di accertamento presenta vizi formali o violazioni procedurali che possano inficiarne la validità. In ambito tributario, non tutti gli errori formali portano all’annullamento, ma alcuni sì. Ad esempio:

  • Motivazione insufficiente o assente: l’atto deve spiegare le ragioni della pretesa, citando gli elementi su cui si basa. Se l’Ufficio si limitasse a dire “abbiamo motivo di ritenere che Lei abbia percepito mance non dichiarate, quindi le chiediamo X euro” senza spiegare da dove venga fuori la cifra X, l’atto sarebbe nullo per difetto di motivazione. Occorre dunque controllare se la motivazione è chiara e riferita al caso concreto.
  • Mancato contraddittorio (per determinati accertamenti): per gli accertamenti di tipo “sintetico” (redditometro) o in alcuni casi di controlli complessi, è previsto che l’ufficio inviti il contribuente a fornire chiarimenti prima di emettere l’atto. Se ciò era obbligatorio e non è avvenuto, si può eccepire la nullità dell’accertamento (soprattutto per atti emanati dopo il 1/7/2020 per cui il contraddittorio endoprocedimentale è generalizzato in certe fattispecie).
  • Termini di decadenza: verificare che l’atto sia stato notificato entro i termini legali (di regola 5 anni dopo l’anno di presentazione dichiarazione, come visto). Se notificato oltre, è nullo per decadenza.
  • Errore sul destinatario o sul presupposto: esempio, l’accertamento era indirizzato a un codice fiscale sbagliato, o confonde due soggetti (magari in casi di omonimia). Oppure contesta mance come reddito d’impresa a un imprenditore quando invece erano dei dipendenti (in tal caso l’atto potrebbe essere completamente fuori bersaglio e annullabile per inesistenza del presupposto).
  • Errata applicazione di sanzioni: le sanzioni vanno motivate anch’esse e calcolate correttamente. Se l’ufficio ha applicato, ad esempio, la sanzione per omessa dichiarazione (120%) quando invece la dichiarazione c’era ed era infedele (90%), c’è un errore di diritto impugnabile, che potrebbe portare almeno alla rideterminazione delle sanzioni in giudizio.

Questi vizi, se presenti, vanno evidenziati nel ricorso e possono portare all’annullamento totale o parziale dell’atto a prescindere dal merito (ad es., se l’atto è fuori termine, non importa se avevo evaso: è decaduto e basta). Dunque, l’avvocato tributarista esperto passerà al setaccio l’atto alla ricerca di tali pecche procedurali.

Argomentazioni di merito per la difesa

Supponiamo che né un accordo precontenzioso né vizi formali possano risolvere: occorre affrontare il merito e convincere il giudice che la pretesa è infondata o almeno eccessiva. Quali argomenti si possono utilizzare in giudizio per contestare l’accertamento sulle mance? Eccone alcuni possibili:

1. Le mance non sono state effettivamente percepite o erano di importo inferiore. Questo è l’argomento più fattuale: si tratta di negare o ridimensionare il fatto contestato. Ad esempio, se l’Agenzia ha presunto €10.000 di mance basandosi su di depositi bancari, il contribuente può provare che quei depositi in realtà provenivano da altre fonti lecite e non tassabili. Può esibire testimonianze o documenti: ad es., €3.000 erano un regalo di matrimonio (donazione tra parenti, esente), €2.000 erano soldi prelevati in precedenza e poi ridepositati (quindi non nuovo reddito), ecc. Ogni euro giustificato con prove contrarie toglie terreno all’accusa di evasione. Nel caso di stime generiche sulle mance, si può portare testimonianza di colleghi o del datore di lavoro che i clienti in quel locale non lasciavano affatto le mance medie ipotizzate. Per esempio: “L’ufficio dice che in discoteca X tutti i camerieri prendono 100€ a serata di mance; ecco 5 colleghi che dichiarano sotto giuramento che raramente otteniamo più di 20€ a serata, allego dichiarazioni scritte”. Il giudice valuterà la credibilità, ma se la stima del Fisco appare esagerata, queste prove possono ridurre l’importo accertato.

2. Mance di modico valore e incertezza normativa (buona fede). Prima delle sentenze Cassazione 2021 e della legge 2023, c’era effettivamente incertezza normativa sulla tassabilità delle mance piccole. Un contribuente potrebbe sostenere di aver ragionevolmente creduto che le mance non fossero da dichiarare, specialmente se di importo modesto. Potrebbe citare a suo favore la Circolare AE 3/2008 che parlava di donazioni di modico valore non imponibili . Anche se, dopo Cassazione, questa tesi sul merito è destinata a perdere (la legge c’era ed era chiara sin dal 1998, la circolare non può derogare alla legge), essa può servire quantomeno a chiedere clemenza sulle sanzioni. Infatti, lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) prevede che non sono irrogate sanzioni quando c’è obiettiva incertezza normativa e, soprattutto, che il contribuente che si è conformato a indicazioni ufficiali dell’Agenzia non può subire sanzioni. Quindi si potrà chiedere al giudice tributario di annullare o ridurre drasticamente le sanzioni, data la situazione confusa all’epoca dei fatti (soprattutto se parliamo di anni prima del 2021). Nel caso del capo ricevimento sardo, ad esempio, fino al giudizio di Cassazione i giudici di merito gli avevano dato ragione: ciò prova che la questione era dibattuta e quindi la sanzione potrebbe non essere dovuta per mancanza di dolo/colpa grave. Questa linea difensiva non evita il pagamento delle imposte, ma può alleviare la parte sanzionatoria che spesso è quella più onerosa.

3. Applicazione del nuovo regime favorevole retroattivamente. Un argomento da valutare: se le mance accertate riguardano anni pre-2023, si potrebbe tentare di invocare in via equitativa l’applicazione del trattamento agevolato attuale (5%). In diritto strettamente positivo la risposta è no – le leggi tributarie non sono retroattive salvo esplicita previsione – ma talvolta in giurisprudenza si è assistito a giudici di merito che, dinanzi a situazioni pregresse, applicano il favor rei (principio peraltro presente nel diritto penale, non in quello tributario, ma comunque). Si potrebbe sostenere che la legge 197/2022, qualificando espressamente le mance come reddito e tassandole al 5%, abbia in qualche modo riconosciuto la specificità di tali somme e che sarebbe iniquo tassare al 23-43% mance di anni passati. È un argomento di equità sostanziale che potrebbe fare breccia in commissione tributaria magari per ridurre l’imposta (anche se l’ufficio certamente si opporrà). Più realisticamente, se per esempio l’accertamento riguarda il 2022 – anno non coperto dalla legge per pochi giorni – un giudice potrebbe avere un occhio di favore e rideterminare la tassazione come se fosse col 5%. Non c’è garanzia, ma vale la pena tentare in sede di discussione.

4. Contestare la metodologia dell’ufficio. Se l’accertamento è basato su presunzioni, la difesa può attaccarne la tenuta logica. Ad esempio: “L’ufficio presume che io abbia avuto mance perché guido un’auto costosa. In realtà l’auto è di mio padre ed è solo a me intestata: quindi la presunzione è infondata”. Oppure: “Si è stimato un importo mance basandosi sui coperti del ristorante, ma non si è tenuto conto che nel nostro locale è già incluso il servizio in conto e quindi i clienti non lasciano mance in più”. Oppure ancora: “Le dichiarazioni rese dal datore di lavoro in sede di verifica non sono attendibili perché costui era in lite con noi dipendenti e potrebbe aver esagerato”. Insomma, far emergere dubi sulla credibilità delle prove dell’ufficio: se il giudice le ritiene non gravi, precise e concordanti, deve annullare l’atto (in dubio pro contribuente, almeno sul piano delle prove).

5. Vizio di calcolo e duplicazioni. A volte l’ufficio, specie se ricostruisce su più anni, può aver contato due volte la stessa cosa. Ad esempio, un versamento di €1.000 a cavallo d’anno potrebbe essere stato erroneamente attribuito a entrambi gli anni. O non ha considerato che quelle mance magari erano già state parzialmente dichiarate (es. se uno aveva già incluso un forfettino in dichiarazione). Evidenziare tali errori aritmetici porta almeno a un parziale sollievo.

In generale, la difesa nel merito dovrà essere calibrata sul singolo caso. È utile raccogliere più documentazione possibile: estratti conto completi (per spiegare movimenti), eventuali dichiarazioni testimoniali (da presentare in allegato, se ammesse, o come richiesta di prova testimoniale in giudizio, anche se in Commissione Tributaria la testimonianza è tradizionalmente ammessa solo tramite dichiarazioni rese alla GdF, ma con la riforma 2022 potrebbero aprirsi margini per giuramento e testimonianze in forma scritta), perizie di parte (ad esempio, una perizia tecnico-contabile che evidenzi che le entrate trovate potevano provenire da risparmi pregressi).

Procedura del ricorso tributario

Se non si addiviene a soluzioni alternative, bisogna preparare e presentare il ricorso tributario. Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state rinominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, ma la sostanza resta: il ricorso va presentato entro 60 giorni (estesi di 90 se c’è stata adesione tentata senza accordo) dalla notifica dell’atto, previo eventualmente il procedimento di mediazione se dovuto. Nel ricorso si articolano i motivi di impugnazione (vizi procedurali, vizi di merito come sopra) e si chiedono specifiche conclusioni (es: annullamento totale dell’atto, o in subordine riduzione dell’imponibile a X e sanzioni minime, ecc.).

È importante chiedere anche le spese di giudizio a carico dell’ufficio, per il caso di vittoria. Inoltre, se l’importo è elevato, si può chiedere la sospensione dell’atto in pendenza di giudizio (ma va provato il danno grave e il fumus boni juris, ossia che ci sono possibilità di vittoria). Nel nostro esempio di mance, se vengono richiesti decine di migliaia di euro, pagare subito potrebbe mettere in crisi il contribuente: il giudice può sospendere la riscossione fino a sentenza se ritiene che l’atto sia palesemente contestabile e che pagare creerebbe un pregiudizio grave.

Nel processo, il giudice valuterà i documenti, eventuali memorie aggiuntive, e poi deciderà. Se in primo grado non va bene, c’è sempre l’appello (in secondo grado regionale) e poi eventualmente la Cassazione (ma su questioni di diritto: qui, dopo Cass. 2021, la questione di diritto “mance tassabili sì/no” è chiusa, rimarrebbero solo questioni di fatto o procedura).

Considerazioni finali sulla difesa

Difendersi con successo da un accertamento su mance non è facile perché, ribadiamolo, la legge e la Cassazione sono chiaramente dalla parte del Fisco riguardo all’obbligo di dichiarare queste somme. Ciò non toglie che:

  • Si possano spuntare riduzioni significative (di imponibile e/o sanzioni) mostrando collaborazione e producendo spiegazioni documentate.
  • Nel nuovo contesto normativo, se vi è stata mala gestione del datore di lavoro (che magari non ha applicato il 5% come doveva su mance tracciate), il dipendente potrebbe chiamare in causa la corresponsabilità del datore. Ad esempio, in sede di adesione, si può far presente all’ufficio che il lavoratore era convinto che l’azienda stesse adempiendo, e ciò talvolta può portare l’ufficio a girare la contestazione in parte sul datore (non sempre possibile, ma è una leva di trattativa: “perché ve la prendete solo con me che sono l’ultimo, quando c’è un obbligo del sostituto?”).
  • Non dimentichiamo la possibilità di chiedere rateazioni o definizioni agevolate in corso di causa: se anche si perde, l’Agenzia spesso concede piani di dilazione lunghi (fino a 8 anni con Equitalia/Agenzia Riscossione) per pagare, o se esce un condono conviene aderire.

In ultima analisi, la miglior difesa è la prevenzione: ora che il quadro è chiaro e c’è un trattamento fiscale vantaggioso, conviene dichiarare le mance (o farle transitare in busta paga) usufruendo del 5%. In questo modo si dormono sonni tranquilli e si evitano brutte sorprese future. Tuttavia, per chi si trova adesso a combattere accertamenti per il passato, questa guida fornisce gli elementi per impostare una difesa consapevole.

Passiamo ora, per fissare le idee, a qualche simulazione pratica di casi reali/semi-reali e a una sezione di domande e risposte che ricapitola i punti chiave in modo colloquiale.

Esempi pratici e simulazioni

Per comprendere meglio come applicare i principi esposti, proponiamo di seguito due scenari pratici con le possibili soluzioni:

Caso A – Cameriere in ristorante con mance non dichiarate (anno 2022): Alessandro lavora come cameriere in una trattoria. Nel 2022 ha percepito €18.000 di stipendio e, in contanti dai clienti, circa €5.000 di mance (media di €400/mese, più in estate). Non ne ha fatto menzione nella dichiarazione dei redditi 2023 (redditi 2022), pensando fossero “regali” non tassabili. A ottobre 2024 riceve un avviso di accertamento dall’Agenzia Entrate: risulta che sul suo conto ha versato, nel 2022, contanti per €4.800 non giustificati. Gli chiedono circa €1.100 di IRPEF evasa + €990 di sanzione 90% + €100 interessi. Cosa può fare Alessandro?

  • Soluzione spunto: Alessandro, con il suo consulente, valuta che effettivamente quei contanti sono le mance. Non avendo altre fonti, contestare l’origine è arduo. Decide allora di puntare a definire in adesione per ridurre la sanzione. Presenta istanza di adesione: durante il contraddittorio, fa leva sul fatto che nel 2022 non c’era una normativa chiara e lui era convinto (anche su suggerimento del datore) che importi così modesti non fossero imponibili. L’ufficio, dal canto suo, riconosce che €5.000 di imponibile non sono tanti e acconsente a ridurre la sanzione al minimum (90%) e a non applicare la parte di addizionali comunali (che Alessandro nel 2022 avrebbe comunque in minima parte dovuto). Si chiude l’accordo su €1.100 imposte + €330 sanzioni (1/3 del minimo) + interessi minimi. Alessandro chiede e ottiene un pagamento dilazionato in 6 rate trimestrali da circa €240 l’una. In parallelo, decide per il futuro di mettere in regola le mance: dal 2023, con il regime 5%, fa sì che il titolare le inserisca in busta paga sotto forma di “mance – imposta sostitutiva”. Così non avrà più problemi.

Caso B – Addetto sala in hotel di lusso (anni 2019-2021) e poi receptionist (2023): Beatrice ha lavorato come chef de rang in un ristorante di un hotel 5 stelle dal 2018 al 2021. Lì percepiva mance consistenti (anche €10k l’anno), che non ha mai dichiarato. Nel 2022 cambia lavoro e diventa receptionist in un altro albergo, dove dal 2023 percepisce mance minori, che il nuovo datore le inserisce correttamente col 5%. A marzo 2025, Beatrice riceve due avvisi: uno relativo agli anni 2019-2021 per un totale di €25.000 di mance evase (con imposte e sanzioni annesse molto elevate), e uno per il 2023 in cui l’Agenzia – accorgendosi che nel 2023 il suo reddito 2022 era 60k (ha avuto liquidazione dal precedente impiego) e quindi non aveva diritto al 5% – le chiede la differenza tra il 5% versato e l’IRPEF ordinaria su €2.000 di mance 2023, più sanzione.

  • Soluzione spunto: Beatrice è in una situazione complessa. Per gli anni 2019-21 la pretesa è molto alta (diciamo €6.000 imposte + €5.400 sanzioni). Inoltre, nel merito la Cassazione è contro di lei. Decide con il legale di impugnare puntando sull’incertezza normativa di quel periodo: nel 2019 nessuno le aveva detto di dichiarare, la prassi AE 2008 era fuorviante, i giudici di merito ancora nel 2014 ritenevano esenti le mance (porterà la sentenza della CTR Sardegna 2014 come esempio di interpretazione a lei favorevole, e farà notare che la Cassazione è arrivata solo nel 2021 sul punto). Chiede dunque l’annullamento delle sanzioni per buona fede. Sul quantum, prova a dimostrare che €25.000 è sovrastimato: presenta le sue tip declarations con cui prova che in realtà erano €20k (usa agenda personale e testimonianze di colleghi). Il giudice, supponiamo, le riconosce uno sconto: riduce l’imponibile a €20k e le sanzioni al minimo 90% e poi le dimezza ulteriormente per circostanze attenuanti (facendo uso dell’art. 7 D.Lgs. 546/92 in casi eccezionali) o per adesione in udienza. Beatrice si trova a pagare circa €4.600 imposte + €2.000 sanzioni. Chiederà rateazione in riscossione. Per il 2023, invece, la questione è tecnica: il suo reddito 2022 era >50k, quindi formalmente avrebbe dovuto rinunciare al 5%. L’ufficio le chiede differenza su €2k mance: IRPEF 27% – 5% già pagato = 22% di 2k = €440 + sanzioncina. Qui Beatrice potrebbe obiettare che la legge è un po’ ambigua e che il datore le ha applicato il 5% in buona fede. Ma difficilmente vincerà, trattandosi di applicazione di soglia. Probabilmente, soprattutto se l’importo è modesto, conviene pagare (magari tramite definizione agevolata in acquiescenza con sanzione ridotta a 1/3). Impara però che per il futuro, se supera la soglia di reddito, deve segnalare la rinuncia al regime agevolato.

Questi esempi illustrano come le situazioni possano variare e la difesa va tarata sul singolo caso. Importante è farsi assistere da professionisti esperti in diritto tributario, data la tecnicità della materia.

Domande frequenti (FAQ) su mance e fisco

D1: Le mance che ricevo vanno dichiarate sempre?
R: Sì, in generale sì. Dopo l’intervento della Cassazione e la legge del 2023, le mance sono considerate redditi da lavoro dipendente a tutti gli effetti . Dunque andrebbero dichiarate. Tuttavia, oggi esiste un regime agevolato: se lavori in un ristorante, bar, hotel (settore privato turistico/ristorazione) e il tuo reddito dell’anno precedente non supera 75.000 € (50.000 € per le annualità 2023-24) , le mance sono tassate al 5% imposta sostitutiva, di solito gestita direttamente dal datore di lavoro in busta paga . Quindi, più che dichiararle tu nel 730, dovrà occuparsene il datore come sostituto d’imposta. Se però per qualsiasi motivo il datore non lo fa (es. mance in contanti non tracciate), sarebbe prudente che tu lo faccia presente al CAF/consulente per includerle in dichiarazione (magari come “altri redditi” con imposta sostitutiva). In passato (prima del 2023) molti non dichiaravano le mance, specie se piccole, ma era una zona grigia: ora la legge è chiara e ti conviene regolarizzarle, anche perché la tassazione è minima.

D2: Anche le piccole mance, tipo pochi euro al giorno, sono teoricamente imponibili?
R: Sì, in teoria qualsiasi importo derivante da mance sarebbe reddito. Non c’è una soglia di esenzione (a parte casi speciali dei croupier) . Ovviamente, le donazioni di modico valore tra privati non sono tassate in sé, ma quando la donazione avviene nel contesto di un rapporto di lavoro (il cliente al cameriere), la legge fiscale la considera comunque reddito da lavoro . Detto questo, dal punto di vista pratico il Fisco difficilmente andrà a contestare 5 euro dimenticati. Parliamo di casi in cui le mance sommate nell’anno creano importi significativi rispetto allo stipendio. Con l’agevolazione attuale, anche 100 € di mance dovrebbero essere tassate (5 € di imposta) se vogliamo essere fiscali. Sta anche al buon senso: ma se vuoi seguire la legge, anche piccole mance andrebbero segnalate. Per fortuna l’imposta è solo del 5%.

D3: Le mance contano per l’IVA o per il fatturato del ristorante?
R: No, le mance sono considerate fuori campo IVA e non incrementano il volume d’affari del locale . Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nel 2023: i soldi che i clienti lasciano come mancia, anche se passano dalla cassa del locale (perché magari pagano col POS) e poi vengono girati ai dipendenti, non sono corrispettivo di una prestazione ma mera liberalità. Fiscalmente sono equiparabili a movimenti di denaro “da cliente a cameriere” transitati nell’azienda solo per comodità. Quindi non vanno fatturati né ci paghi l’IVA sopra, purché il ristoratore li giri integralmente ai lavoratori . Se invece un ristoratore trattenesse una parte di quelle mance senza destinarle ai dipendenti, quella parte potrebbe essere considerata un ricavo imponibile per lui (perché a quel punto non è più mancia al cameriere, ma un incasso in più per l’azienda non giustificato da fattura).

D4: Sono il titolare di un ristorante, devo fare qualcosa riguardo alle mance dei miei dipendenti?
R: Sì, dal 2023 hai un ruolo attivo. Se i tuoi clienti lasciano mance tramite carte, bancomat o altri mezzi tracciati, quelle somme passeranno nei tuoi incassi. Devi quindi: 1) tenerne evidenza separata, 2) non considerarle ricavo, ma destinarle ai dipendenti, 3) in busta paga di quei dipendenti, inserire la voce “mance” per l’importo dovuto e applicare su di esso la ritenuta del 5% (imposta sostitutiva) . Poi versi quella imposta con F24 con apposito codice tributo (Risoluzione AE 16/E/2023) . Se le mance sono date in contanti direttamente al personale e tu non ne hai contezza, formalmente non hai obblighi (non puoi tassare quel che non sai). Però potresti concordare con il tuo staff procedure per dichiararle spontaneamente. Ricorda che se ometti di trattenere il 5% su somme su cui dovevi farlo (perché, ad esempio, i clienti specificano sul POS “mancia per camerieri” e tu non fai nulla), potresti essere ritenuto responsabile in solido del mancato versamento. Inoltre, ai fini contributivi, tali mance sono escluse dalla base INPS, quindi non devi calcolarci contributi. Ma devi includerle nella Certificazione Unica del lavoratore (in apposito campo per redditi soggetti a imposta sostitutiva 5%). Insomma, è opportuno aggiornare la consulenza del lavoro per gestire correttamente le mance. Ne guadagni in trasparenza e i dipendenti sono contenti perché pagano solo il 5% di tasse su quelle somme .

D5: Sono un lavoratore in un pub, ho più lavori stagionali e a volte supero 50k di reddito. Posso usufruire della flat tax 5% sulle mance?
R: La norma richiede che l’anno precedente tu abbia avuto redditi di lavoro dipendente non sopra la soglia (50k fino al 2024, 75k dal 2025) . Inoltre vale solo per settore turismo/ristorazione. Quindi, se nel 2022 hai fatto altri lavori e hai superato 50.000 €, nel 2023 le mance che prendi non possono godere del 5%: dovrebbero essere tassate come reddito ordinario. In pratica dovresti rinunciare per iscritto al regime agevolato (perché comunque il datore presumerebbe di applicartelo se non sa di altri tuoi redditi) . Dal 2025 il tetto è più alto (75k), quindi il problema si porrà per pochi casi. Ma facciamo un esempio: sei un maître d’hotel che d’inverno lavora in Svizzera guadagnando 60k e d’estate in Sardegna con mance. Nel 2024, avendo superato i 50k nel 2023, le mance estive 2024 saranno tassate normalment e non al 5. Devi avvisare il datore di non applicare la flat tax e poi le includerai nel 730 o modello Redditi come parte del tuo reddito di lavoro (o faranno conguaglio IRPEF in busta). Se erroneamente ti applicano il 5%, rischi poi un conguaglio a debito (come successo a Beatrice nell’esempio B). Quindi sii consapevole del tuo cumulo di redditi. La soglia riguarda tutti i redditi di lavoro dipendente che hai, anche diversi settori , sommati.

D6: Cosa rischio se non dichiaro le mance e il Fisco lo scopre?
R: Rischi un accertamento con richiesta delle imposte evase più sanzioni pesanti e interessi. Le sanzioni per infedele dichiarazione ammontano al 90% (minimo) dell’imposta evasa , quindi quasi raddoppiano il dovuto. Inoltre, dover pagare magari tutto insieme può essere un salasso. E, in teoria, se l’evasione fosse enorme (oltre €100k di imposte evase), ci sarebbero anche profili penali (dichiarazione fraudolenta o infedele). Per fortuna con la flat tax 5%, hai uno strumento per regolarizzare a costi contenuti. Ma se scegli di nascondere le mance e vieni pescato, preparati a sborsare molto di più di quel che avresti pagato dichiarandole. E non contare sul fatto che “in contanti non lo sapranno mai”: possono sempre emergere tramite controlli bancari (se li depositi) o anche semplicemente stimando in base ad altri indicatori. Quindi il consiglio è: meglio dichiarare, pagando il 5%, che rischiare il 90% di sanzione poi.

D7: Ho sentito dire che fino a qualche anno fa le mance non erano tassate: è vero?
R: È falso dire che “non erano tassate”: in realtà la legge fiscale (art. 51 TUIR) le includeva già come reddito, ma c’era una certa tolleranza e incertezza. L’Agenzia delle Entrate nel 2008 le definiva “donazioni di modico valore” non imponibili, e molte Commissioni Tributarie locali davano ragione ai contribuenti su questo . Solo nel 2021 la Cassazione ha chiarito definitivamente che invece andavano tassate . Diciamo che fino al 2021 c’era un vulnus interpretativo sfruttabile. Oggi quella scappatoia non c’è più. Inoltre, da gennaio 2023 il legislatore non solo conferma che vanno tassate, ma ti dà anche il contentino della tassazione ultra-leggera (5%). Quindi non è più sostenibile dire “pensavo fossero esenti”: la notizia che le mance vanno tassate (anche se poco) ormai è di dominio pubblico nel settore.

D8: Ho un procedimento in corso per mance di anni passati, la nuova legge può aiutarmi?
R: Potrebbe aiutarti solo in termini persuasivi verso il giudice per le sanzioni o per equità. Legalmente, le norme 2023 non si applicano retroattive. Però puoi far notare al giudice che lo Stato stesso ha riconosciuto che tassare le mance come reddito ordinario era eccessivo e ha introdotto un regime di favore. Quindi, per gli anni passati, potresti chiedere al giudice di tenerne conto nel valutare la tua buona fede (non sapevi se dichiararle o no, era confuso) e magari nel dosare le sanzioni. Qualche difensore ha provato anche a invocare una sorta di retroattività favorevole chiedendo di applicare il 5% anche a periodi pre-2023: dubito però che i giudici accolgano, perché la legge è chiara nel limitarlo dal 2023. Comunque male non fa menzionare che ora c’è la legge nuova e che tu saresti rientrato nei parametri: potrebbe generare un po’ di simpatia. In sostanza, usala come argomento di equità, non come diritto acquisito.

D9: E le mance percepite da lavoratori autonomi o professionisti?
R: In genere, chi lavora da autonomo (non dipendente) raramente riceve “mance” in senso stretto; più facile riceva bonus o extra compensi. Comunque, se un cliente lascia un extra a un lavoratore autonomo, teoricamente quello è un compenso aggiuntivo per la prestazione, quindi va fatturato e dichiarato. Ad esempio, un musicista ingaggiato per un evento da autonomo a fine serata riceve dagli invitati una “bustarella” di ringraziamento: formalmente sarebbe reddito di lavoro autonomo, andrebbe emessa ricevuta. Non c’è un regime agevolato come per i dipendenti. Tuttavia, spesso in quei casi si tratta di piccoli importi occasionali difficilmente tracciabili. La norma della legge di bilancio 2023 non copre autonomi, si rivolge solo ai dipendenti di strutture ricettive e pubblici esercizi. Quindi un libero professionista o autonomo non beneficia del 5% e deve dichiarare tutto come reddito normale (ammesso che decida di dichiararlo: se non lo fa, è evasione anche lì, ma la probabilità di accertamento dipende dalle circostanze, minore se parliamo di pochi contanti sporadici).

D10: Se il cliente mi regala un oggetto invece di denaro come mancia (es. un orologio), devo qualcosa al Fisco?
R: Situazione curiosa ma possibile in ambienti di lusso. La regola fiscale parla di “somme e valori in genere” percepiti in relazione al lavoro . Ciò significa che anche un bene in natura ricevuto dal dipendente per il suo lavoro è reddito (si pensi alle mance in natura, come bottiglie di vino date al sommelier, orologi costosi al concierge, ecc.). In teoria si dovrebbe attribuire un valore normale a quel bene e aggiungerlo ai compensi. Di fatto, se il valore è rilevante e viene scoperto (es. il lavoratore posta su Instagram “il cliente facoltoso mi ha regalato un Rolex”), potrebbe essere oggetto di attenzione. Non c’è però una prassi specifica. In via prudenziale, se succede, sarebbe corretto che il dipendente lo comunichi al datore e questo lo tratti come fringe benefit tassabile (salvo eventuali franchigie per regali aziendali, ma qui non è l’azienda che regala, è un terzo). Situazione limite comunque.

D11: Come sarà il futuro? Ci saranno nuovi cambiamenti su tasse e mance?
R: Difficile prevedere. Per ora, con l’innalzamento al 30% e 75k, il regime 5% è stato reso ancora più vantaggioso e ampio dal 2025 . Questo lascia intendere che il legislatore vuole stabilizzarlo e magari un domani potrebbe farlo permanente (già ora lo è, non c’è scadenza). È possibile che verranno fornite ulteriori istruzioni per semplificare la gestione (magari una soglia annuale sotto la quale non indicarle nemmeno, chissà). Oppure che altri settori (tipo i servizi alla persona) chiedano un trattamento simile. Al momento nulla di concreto. Di certo, con la spinta alla tracciabilità, sempre più mance passeranno dai sistemi elettronici – e questo significa che saranno note al Fisco e tassate. Una curiosità: c’è chi propone di detassare del tutto le mance per incentivare il turismo (un po’ come avviene con le tips in alcuni ordinamenti anglosassoni dove sono esentasse fino a certe soglie). Ma per ora in Italia si è scelta la via mediana: tassazione minima ma non zero, per non creare troppo “nero” e tenere traccia. Quindi, nel breve termine, il 5% rimarrà, e anzi lavoratori e imprenditori farebbero bene a familiarizzare con queste regole perché è diventato parte integrante del sistema retributivo nel settore hospitality.

Fonti utilizzate e riferimenti normativi/giurisprudenziali:

  • Art. 51, DPR 917/1986 (TUIR) – Definizione onnicomprensiva di reddito da lavoro dipendente, incluse erogazioni liberali .
  • Corte di Cassazione – ord. nn. 26510 e 26512 del 30/09/2021: principio di tassabilità delle mance come redditi da lavoro dipendente (Caso capo ricevimento Sardegna) . Motivazioni in tema di onnicomprensività reddito, nesso col lavoro e irrilevanza natura aleatoria .
  • Circolare Agenzia Entrate n. 26/E del 29/08/2023 – Chiarimenti sulla tassazione delle mance (art. 1 commi 58-62 L.197/2022): ambito soggettivo, limiti 50k/25%, ruolo sostituto, esclusione contributi e IVA .
  • Legge 29/12/2022 n. 197, art. 1 commi 58-62 – Introduzione imposta sostitutiva 5% su mance in settori turismo/ristorazione: condizioni e regime giuridico .
  • Legge di Bilancio 2025 (in corso di pubblicazione, v. comma 520 L. 205/2023) – Aumento limite mance detassate a 30% reddito e soglia reddito a 75.000 € .
  • CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2021, n. 26510 – Le mance costituiscono reddito di lavoro –
  • Cassazione civile Sez. Lavoro ordinanza n. 21012 del 18 luglio 2023

Questi riferimenti qualificati supportano quanto riportato e possono essere consultati per ulteriori dettagli. In particolare, si suggerisce di leggere le massime delle ordinanze Cass. 26510/2021 e 26512/2021 e la Circolare 26/E/2023 dell’Agenzia Entrate per avere il quadro normativo completo e ufficiale sull’argomento.

Conclusione: Difendersi da un accertamento per mance non dichiarate è possibile, ma prevenire è meglio che curare. D’ora in avanti, con la normativa attuale, lavoratori e datori del settore hospitality hanno gli strumenti per gestire correttamente (e con un impatto fiscale minimo) le mance, integrandole in modo trasparente nel reddito. Farlo conviene a tutti: si evitano contenziosi, si tutela il lavoratore da brutte sorprese e si contribuisce a un’economia più emersa e regolare, senza penalizzare una tradizione – quella della mancia – che rimane un importante riconoscimento economico e morale per chi lavora nell’accoglienza.

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Hai ricevuto un avviso di accertamento perché l’Agenzia delle Entrate ti contesta di non aver dichiarato le mance ricevute nel settore della ristorazione?
Vuoi sapere quali sono le conseguenze e come puoi difenderti da questa contestazione?

Le mance costituiscono reddito e, salvo casi specifici, devono essere dichiarate. Nel settore della ristorazione (bar, ristoranti, catering, hotel con servizio di sala) il Fisco considera le mance come compensi aggiuntivi al lavoro dipendente o autonomo.
Controlli incrociati su incassi, POS, dichiarazioni di colleghi o incongruenze nei redditi possono portare a un accertamento.

👉 Non tutte le mance sono tassabili allo stesso modo: esistono regole precise e margini di difesa.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • Differenze tra reddito dichiarato e stile di vita o spese sostenute;
  • Incongruenze tra incassi ufficiali e somme attribuite come mance;
  • Segnalazioni o verifiche interne nei locali;
  • Mance elettroniche tracciate dai pagamenti POS;
  • Mancata applicazione delle regole fiscali sulle somme aggiuntive ricevute.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero delle imposte sulle mance considerate reddito non dichiarato;
  • Sanzioni fiscali dal 90% al 180% delle imposte evase;
  • Interessi di mora;
  • Nei casi più gravi, accertamenti retroattivi fino a 7 anni e procedimenti penali per dichiarazione infedele.

🔍 Come difendersi

  1. Verifica l’accertamento: controlla i criteri con cui l’Agenzia delle Entrate ha calcolato le mance non dichiarate.
  2. Raccogli la documentazione: buste paga, certificazioni del datore di lavoro, eventuali ricevute delle mance elettroniche.
  3. Dimostra la corretta dichiarazione: se le mance sono già confluite nel reddito ufficiale, non possono essere tassate due volte.
  4. Contesta le presunzioni: il Fisco deve dimostrare con dati concreti e non solo con stime.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza l’accertamento sulle mance e verifica la correttezza del calcolo;
  • 📌 Ricostruisce la reale entità delle somme percepite e la loro tassazione;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare le pretese del Fisco;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Valuta soluzioni alternative, come adesioni o definizioni agevolate, per limitare l’impatto economico.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità del lavoro nel settore ristorazione e turismo;
  • ✔️ Specializzato in accertamenti fiscali su compensi aggiuntivi e mance;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le contestazioni sulle mance non dichiarate nella ristorazione possono avere conseguenze serie, ma non sempre le pretese del Fisco sono fondate.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la reale entità dei compensi, contestare presunzioni e ridurre sanzioni e imposte richieste.

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