Hai affittato un immobile senza registrare il contratto o senza dichiarare i canoni percepiti? L’Agenzia delle Entrate può contestarti gli affitti in nero, con accertamenti fiscali molto pesanti. I controlli avvengono incrociando i dati catastali, le utenze, le segnalazioni dei conduttori e i movimenti bancari. Sapere come difendersi è fondamentale per ridurre sanzioni e imposte richieste.
Quando scattano le contestazioni sugli affitti in nero
– Se il contratto di locazione non è stato registrato presso l’Agenzia delle Entrate
– Se i canoni percepiti non sono stati dichiarati come redditi fondiari
– Se i pagamenti in contanti o tramite bonifico non risultano coerenti con quanto dichiarato
– Se il conduttore segnala l’esistenza di un contratto verbale o di somme pagate senza dichiarazione
– Se il proprietario ha optato per la cedolare secca ma non ha rispettato gli obblighi di legge
Cosa rischi in caso di accertamento per affitti in nero
– Recupero delle imposte sui canoni non dichiarati (IRPEF o cedolare secca)
– Applicazione di sanzioni dal 120% al 240% delle imposte evase
– Addebito di interessi di mora sulle somme dovute
– Possibile nullità del contratto di locazione con conseguente riduzione automatica del canone dichiarabile
– Contestazione di reati tributari in caso di importi molto rilevanti
Come difendersi da una contestazione sugli affitti in nero
– Dimostrare che i canoni percepiti sono diversi da quelli contestati dal Fisco
– Presentare documentazione bancaria e ricevute che giustifichino i pagamenti
– Contestare gli errori di calcolo o le presunzioni arbitrarie dell’Agenzia delle Entrate
– Dimostrare la buona fede in caso di errori formali o di interpretazioni controverse
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ridurre o annullare la pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento e verificare la legittimità delle contestazioni
– Raccogliere le prove necessarie per ridimensionare l’importo contestato
– Contestare la sproporzione delle sanzioni applicate
– Difendere il contribuente in giudizio davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
– Negoziare un accertamento con adesione per ridurre imposte e sanzioni in modo sostenibile
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’accertamento
– La riduzione di sanzioni e interessi
– La sospensione di eventuali azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche)
– La tutela del patrimonio familiare e personale
– La possibilità di regolarizzare la posizione pagando solo quanto realmente dovuto
⚠️ Attenzione: gli affitti in nero sono tra le violazioni più facilmente individuabili dal Fisco grazie a controlli incrociati e segnalazioni. Tuttavia, molte contestazioni si basano su presunzioni che possono essere ribaltate con prove concrete.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare un accertamento per affitti in nero non dichiarati e quali strategie adottare per difenderti.
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Introduzione
L’affitto in nero – ovvero la locazione di un immobile senza registrazione del contratto e senza dichiarare i canoni al Fisco – è una pratica diffusa ma estremamente rischiosa in Italia . Negli ultimi anni l’Amministrazione finanziaria ha intensificato i controlli incrociati sui redditi da locazione, grazie anche a banche dati digitali e scambi di informazioni, per individuare immobili concessi in affitto senza contratto regolare . Il risultato è un aumento degli accertamenti fiscali nei confronti dei proprietari che non hanno dichiarato questi redditi, con imposte evase, sanzioni e interessi spesso molto onerosi .
Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – offre un’analisi avanzata dal punto di vista del contribuente (il debitore d’imposta) su come affrontare un accertamento per affitti in nero non dichiarati. Con un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo, verranno approfonditi:
- Il quadro normativo italiano vigente in materia di locazioni (categorie di affitti: residenziali di lungo termine, affitti commerciali, locazioni turistiche brevi, ecc.) e i relativi obblighi di registrazione e dichiarazione dei canoni.
- Le conseguenze legali e fiscali di un contratto di affitto non registrato: nullità civile, tutele dell’inquilino e sanzioni tributarie (amministrative e, nei casi più gravi, penali).
- Le modalità con cui il Fisco scopre gli affitti “in nero” (dalle segnalazioni degli inquilini ai sofisticati incroci di banche dati) e come si sviluppa l’avviso di accertamento sui redditi non dichiarati.
- Le strategie difensive a disposizione del proprietario-locatore sia in fase amministrativa (ravvedimento operoso, autotutela, accertamento con adesione, mediazione) sia in fase di contenzioso tributario (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, sospensione, prove difensive, vizi formali, etc.).
- Esempi pratici, tabelle riepilogative delle sanzioni e domande & risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni.
Nota bene: Ci riferiremo esclusivamente al contesto normativo italiano, aggiornato alle ultime novità di legge e giurisprudenza al 2025 . In particolare, sono state recepite le modifiche introdotte fino alla Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2023) e le più recenti sentenze della Corte di Cassazione in materia di locazioni non registrate e accertamenti fiscali. Le fonti normative e giurisprudenziali rilevanti sono indicate tramite apposite citazioni per consentire eventuali approfondimenti.
Quadro normativo: obblighi di registrazione e dichiarazione dei canoni
Obbligo di registrazione del contratto di locazione
In Italia tutti i contratti di locazione di immobili di durata superiore a 30 giorni devono essere registrati presso l’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dalla stipula . Questa regola, sancita dall’art. 1, comma 346, della Legge n. 311/2004 (Finanziaria 2005), ha lo scopo di contrastare gli “affitti in nero” obbligando alla trasparenza fiscale . La mancata registrazione di un contratto di locazione comporta gravi conseguenze sia sul piano civile che fiscale:
- Nullità civile del contratto non registrato: il contratto di locazione non registrato è considerato nullo dalla legge . Ciò significa che, dal punto di vista giuridico, l’accordo tra proprietario e inquilino non ha effetti legali finché permane “in nero”. In particolare, ogni pattuizione volta a determinare un canone superiore a quello risultante da un contratto scritto e registrato è nulla . L’inquilino può dunque rifiutarsi di pagare il canone nero eccedente o interrompere i pagamenti del tutto, senza che il locatore possa agire in giudizio sulla base di un contratto non registrato . Anzi, la legge 431/1998 (art. 13) – che regola le locazioni abitative – tutela espressamente l’inquilino in questi casi: il conduttore ha diritto a vedersi ricondotto il contratto a condizioni conformi a quelle di legge, con un canone calmierato (spesso parametrato alla rendita catastale dell’immobile) . La giurisprudenza ha chiarito che la nullità per mancata registrazione ha carattere relativo: può essere fatta valere solo dall’inquilino (conduttore), e non dal proprietario, né dal giudice d’ufficio . In altri termini, la sanzione di nullità è pensata come protezione dell’inquilino e strumento anti-evasione: sarà il conduttore, se lo desidera, a poter invocare la nullità del contratto in nero per cessare i pagamenti o chiedere la restituzione di quanto versato oltre il dovuto . Il locatore invece non può beneficiare della nullità per liberarsi dalle proprie obbligazioni. (Ad esempio, un proprietario non può sfrattare formalmente un inquilino se l’unico accordo era in nero, proprio perché manca un contratto valido a fondamento della richiesta ). Va sottolineato che questa nullità relativa riguarda sia i contratti verbali (stretti solo a voce) sia quelli scritti ma mai registrati in termine. La Corte di Cassazione ha ribadito che un contratto di locazione ad uso abitativo concluso verbalmente e non registrato è affetto da nullità relativa invocabile dal conduttore . Esiste un’unica ipotesi teorica di nullità “assoluta” (opponibile da chiunque): quella – peraltro paradossale – di un contratto non scritto ma che fosse stato registrato, situazione praticamente inesistente . In sintesi, la normativa e i giudici convergono nel ritenere che la mancata registrazione renda il rapporto locatizio privo di tutela legale per il locatore, lasciando però all’inquilino la scelta se far valere o meno tale invalidità in proprio favore.
- Sanzioni fiscali per omessa registrazione: sul piano tributario, la mancata registrazione è punita con una sanzione amministrativa dal 120% al 240% dell’imposta di registro dovuta . L’imposta di registro sui contratti di locazione ammonta, di regola, al 2% del canone annuo, per ogni anno di durata contrattuale. Ad esempio, per un affitto di €12.000 annui, l’imposta di registro sarebbe €240 per ciascun anno . Se il contratto non viene registrato, oltre a dover pagare comunque quell’imposta evasa, si applica una sanzione tra il 120% e il 240% di essa . Riprendendo l’esempio: a fronte di €240 di imposta evasa in un anno, il proprietario rischia una multa tra €288 e €576 . Questa sanzione è dovuta in solido sia dal locatore sia dal conduttore, secondo la legge, sebbene nella pratica l’Agenzia delle Entrate la richiede di solito al solo proprietario (che è il beneficiario del reddito non dichiarato). L’inquilino tuttavia potrebbe essere sanzionato se si prova una sua partecipazione attiva all’evasione (es. firma di dichiarazioni false per aiutare il proprietario) , ma in generale l’ordinamento tende a non colpire l’inquilino passivo . Si noti che la Legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha introdotto una sorta di “ravvedimento” speciale proprio sull’imposta di registro non versata per i contratti di locazione in nero . In pratica, consente al proprietario, prima che il Fisco scopra l’omissione, di registrare tardivamente il contratto pagando l’imposta dovuta e beneficiando di sanzioni ridotte in base al ritardo . Le riduzioni sono significative: ad esempio se si regolarizza entro 30 giorni si paga una sanzione del 6% dell’imposta (invece del 120% e oltre), che sale al 12% se entro 90 giorni, al 15% entro un anno, al 17% entro due anni, fino al 20% oltre due anni . La seguente tabella riepiloga le sanzioni per omessa o tardiva registrazione:
Violazione della registrazione del contratto | Sanzione amministrativa prevista (percentuale sull’imposta di registro) |
---|---|
Omessa registrazione (affitto in nero scoperto) | 120% – 240% dell’imposta di registro dovuta |
Registrazione tardiva (ravvedimento operoso): entro 30 giorni di ritardo | Sanzione pari al 6% dell’imposta di registro dovuta |
Registrazione tardiva tra 30 e 90 giorni | 12% dell’imposta di registro |
Registrazione tardiva oltre 90 gg ma < 1 anno | 15% dell’imposta |
Registrazione tardiva oltre 1 anno ma < 2 anni | 17% dell’imposta |
Registrazione tardiva oltre 2 anni | 20% dell’imposta |
Come si vede, regolarizzare spontaneamente un contratto inizialmente non registrato conviene: il ravvedimento operoso consente di pagare sanzioni molto più basse . Una volta avviato però un formale accertamento fiscale, non è più possibile fruire di queste percentuali agevolate sulla registrazione: scattano le sanzioni piene (120-240%). In conclusione, registrare subito tutti i contratti o rimediare appena possibile è fondamentale per evitare conseguenze ben più gravi.
Obbligo di dichiarazione dei redditi da locazione
Oltre all’obbligo di registrare i contratti, il proprietario-locatore deve dichiarare annualmente i redditi derivanti dagli affitti percepiti, in sede di dichiarazione dei redditi (Modello Redditi o 730). I canoni di locazione di immobili, se il proprietario è una persona fisica che non agisce in regime d’impresa, rientrano nella categoria dei redditi fondiari ai sensi del TUIR (D.P.R. 917/1986) . In pratica vanno indicati nel Quadro RB del Modello Redditi Persone Fisiche come “redditi da fabbricati”. Vi sono però alcuni aspetti particolari da considerare:
- Regime IRPEF ordinario vs Cedolare Secca: Il locatore persona fisica ha due possibili regimi di tassazione dei canoni di locazione abitativa . In assenza di opzione per regimi sostitutivi, i canoni confluiscono nell’IRPEF ordinaria: il totale annuo percepito (ridotto forfettariamente del 5% per gli immobili abitativi, quindi imponibile al 95%) si somma agli altri redditi del contribuente ed è tassato agli scaglioni progressivi IRPEF (23%, 25%, 35%, 43% oltre €50.000, più addizionali) . In alternativa, se ne ricorrono le condizioni, il proprietario può optare per il regime della cedolare secca, introdotto dal D.Lgs. 23/2011. La cedolare secca è un’imposta sostitutiva fissa sui redditi da locazione abitativa, che sostituisce IRPEF, addizionali e imposta di registro/bollo . In cambio, il locatore rinuncia ad aggiornamenti ISTAT del canone e ad azioni legali per aumenti durante la locazione . Fino al 2023 l’aliquota della cedolare era 21% sui canoni abitativi, con aliquota ridotta al 10% per i soli contratti a canone concordato in alcuni comuni (quest’ultima agevolazione non applicabile però a contratti in nero, ovviamente). Va sottolineato che la cedolare secca può essere applicata solo se il contratto è registrato regolarmente e l’opzione va esercitata in sede di registrazione o rinnovo: in assenza di registrazione, non solo il reddito è occultato, ma si perde anche l’opportunità di tassarlo al regime sostitutivo agevolato. Ad esempio, un proprietario che avesse i requisiti per la cedolare ma affitta in nero, se scoperto sarà tassato in via ordinaria IRPEF – l’opzione per la cedolare non è recuperabile dopo un accertamento. Importante: la cedolare secca in genere è riservata alle locazioni ad uso abitativo tra privati (locatore persona fisica e conduttore persona fisica fuori attività d’impresa). La prassi iniziale dell’Agenzia delle Entrate era di escluderla se l’inquilino era un soggetto con P.IVA (es. società che locava un appartamento per uso foresteria); tuttavia la Cassazione ha recentemente smentito questa limitazione, ammettendo la cedolare anche in tali casi purché l’immobile sia a uso abitativo . In ogni caso, per i canoni non dichiarati scoperti dal Fisco, l’Agenzia tende a liquidare le imposte in base al regime ordinario (aliquote progressive) salvo prova che il contribuente aveva effettivamente esercitato l’opzione cedolare.
- Canoni non percepiti vs. imponibilità fiscale: Un elemento spesso fonte di confusione è il trattamento dei canoni morosi (non pagati dall’inquilino). La legge fiscale (art. 26 TUIR) prevede che i redditi fondiari da locazione sono tassati “a maturazione” indipendentemente dall’effettiva percezione . In altre parole, finché il contratto di locazione è in essere, il locatore deve dichiarare i canoni pattuiti anche se l’inquilino non sta pagando. Solo in seguito, al verificarsi di determinate condizioni, si potrà escludere da tassazione i canoni non riscossi e ottenere il rimborso delle imposte già pagate su di essi. Per gli affitti abitativi: fino ai contratti stipulati entro il 2019 occorreva ottenere una convalida di sfratto per morosità dal tribunale; dalla legge n. 58/2019 (art. 3-quinques del D.L. 34/2019) è sufficiente che entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi successiva sia stata notificata all’inquilino moroso un’ingiunzione di pagamento o intimazione di sfratto . In tal caso i canoni non percepiti di quell’anno non concorrono al reddito e il proprietario ha diritto a un credito d’imposta per le tasse pagate su tali canoni non incassati . Per le locazioni commerciali, invece, non esiste una norma analoga: se l’inquilino non paga, l’unico modo per non dichiarare (e non pagare tasse) su quei canoni è risolvere il contratto. Finché il contratto commerciale rimane in essere, il Fisco presume dovuti i canoni pattuiti e li tassa comunque . Dunque in caso di morosità prolungata in un affitto di negozio/ufficio, il locatore dovrà attivarsi per sciogliere anticipatamente il contratto; diversamente rischia di vedersi accertare dal Fisco un reddito mai incassato (con ulteriore beffa).
Riassumendo: non dichiarare un affitto percepito è sempre illecito, anche se non c’è contratto scritto o se l’inquilino era moroso. L’Agenzia delle Entrate richiederà le imposte su qualunque importo che riesca a dimostrare essere stato corrisposto come canone di locazione . Per contro, il proprietario che voglia mettersi in regola di sua iniziativa ha a disposizione lo strumento del ravvedimento operoso: può presentare una dichiarazione integrativa per includere gli affitti omessi e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte in proporzione al ritardo . Ad esempio, se si ravvede entro due anni dall’omissione, pagherà circa il 15% di sanzione invece del 90% . Questo consente di evitare successivi accertamenti e sanare la propria posizione fiscale a costi molto minori rispetto a un accertamento subito passivamente.
Tipologie di affitto: locazioni brevi, affitti residenziali e affitti commerciali
È opportuno distinguere le diverse categorie di locazioni immobiliari, perché la normativa fiscale prevede regimi ed obblighi particolari a seconda del tipo di affitto:
- Locazioni brevi (affitti turistici): Sono i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni consecutivi . Tipicamente includono le locazioni turistiche di case vacanze, B&B non imprenditoriali, stanze affittate tramite piattaforme online come Airbnb o Booking, senza superare i 30 giorni con lo stesso ospite. La durata massima di 30 giorni è rilevante perché, per legge, questi contratti non sono soggetti all’obbligo di registrazione all’Agenzia delle Entrate (l’obbligo di registrazione scatta oltre i 30 giorni, come visto). Ciò significa che un affitto occasionale di due settimane non deve essere registrato; tuttavia i relativi redditi vanno comunque dichiarati dal locatore. La disciplina fiscale delle locazioni brevi è stata introdotta dal D.L. 50/2017 (art. 4) e successive modifiche, creando un regime ad hoc: il locatore privato può optare per la cedolare secca al 21% anche per questi affitti brevi (purché effettuati al di fuori di attività d’impresa) . A partire dal 2021 è stato previsto che se un privato affitta più di 4 immobili con locazioni brevi nell’anno, scatta una presunzione di attività d’impresa : dal 5° immobile in poi, il Fisco considera il locatore come imprenditore, con obbligo di aprire partita IVA, iscriversi eventualmente alla gestione commercianti INPS, presentare dichiarazione dei redditi d’impresa, etc. . In tal caso la cedolare secca non è ammessa e i proventi vengono tassati come reddito d’impresa IRPEF (aliquote progressive) ma con la possibilità di dedurre i costi inerenti . Un esempio: un privato che affitta 5 appartamenti per locazioni turistiche viene automaticamente trattato alla stregua di un’attività ricettiva imprenditoriale; se non si adegua, l’Agenzia Entrate in sede di controllo riqualificherà i redditi come d’impresa con recupero di IVA, imposte e relative sanzioni . – Novità dal 2024: La Legge di Bilancio 2024 ha introdotto un’ulteriore stretta: per chi affitta più di un immobile con locazioni brevi, l’aliquota della cedolare secca è passata al 26% sui redditi da locazioni brevi eccedenti una unità . In pratica dal 1° gennaio 2024 il locatore privato può applicare la cedolare con aliquota ridotta 21% solo sui redditi riferiti ad una sola unità immobiliare affittata brevemente per periodo d’imposta; gli affitti brevi relativi ad ulteriori immobili saranno tassati con cedolare al 26% . Questa norma mira a penalizzare fiscalmente i multi-proprietari che affittano in modo massivo mantenendosi formalmente “privati”, preservando invece il piccolo locatore che affitta magari solo la seconda casa al mare . – Obblighi degli intermediari: Sempre nel settore degli affitti brevi, dal 2017 sono previsti obblighi anche per i soggetti che intermediano queste locazioni (agenzie immobiliari e portali online). Essi devono comunicare annualmente all’Agenzia delle Entrate i dati dei contratti di locazione breve conclusi tramite il loro servizio . Inoltre, se intervengono nel pagamento dei canoni (es. piattaforme come Airbnb che incassano dall’ospite), hanno l’obbligo di operare una ritenuta del 21% sull’importo pagato al locatore, versandola al Fisco . Tale ritenuta funziona come una sorta di acconto d’imposta: è a titolo d’imposta se il locatore ha aderito alla cedolare secca, oppure a titolo di acconto IRPEF se il locatore è in regime ordinario . La normativa è stata a lungo osteggiata dai grandi portali: Airbnb, ad esempio, sosteneva di non dover nominare un rappresentante fiscale in Italia né fungere da sostituto d’imposta secondo il diritto UE. La questione è finita davanti alla Corte di Giustizia UE, che con una sentenza del 22 dicembre 2022 (causa C-83/21) ha dato ragione all’Italia, confermando la legittimità dell’obbligo di comunicazione e ritenuta alla fonte imposto ai portali . Dopo questo esito, Airbnb ha trovato un accordo col fisco italiano accettando di versare una somma forfettaria per sanare il passato (576 milioni di euro per gli anni 2017-2021) e, dal 2024, di adeguarsi pienamente fungendo da sostituto d’imposta per le locazioni brevi in Italia . Dunque oggi i principali intermediari internazionali (Airbnb, Booking, etc.) hanno iniziato ad applicare la ritenuta 21% su tutti i pagamenti verso host privati italiani, e a trasmettere i dati all’Agenzia delle Entrate . – Identificativo e banca dati nazionale: Un’ulteriore novità è l’introduzione di un Codice Identificativo Nazionale (CIN) per le strutture destinate alle locazioni brevi, gestito dal Ministero del Turismo. Dal 2025 ogni immobile destinato ad affitti brevi dovrà ottenere un codice identificativo ed esporlo negli annunci . L’obiettivo è creare una banca dati nazionale degli immobili locati a breve termine, incrociando tali informazioni con quelle fiscali per stanare gli affitti brevi in nero . Sono previste sanzioni amministrative per chi omette di ottenere o esporre il codice identificativo (fino a €8.000) . Insomma, il settore degli affitti turistici è ora sottoposto a una disciplina articolata e a controlli serrati, proporzionati al boom che questo fenomeno ha avuto e al rischio di evasione correlato .
- Locazioni abitative di lungo periodo: Sono le affittanze tradizionali di immobili ad uso abitativo con contratti generalmente di durata 4+4 anni (o 3+2 in regime concordato) regolati dalla Legge 431/1998. In questi casi vige naturalmente l’obbligo di forma scritta e di registrazione entro 30 giorni, pena la nullità come già esposto . Il locatore può optare per la cedolare secca 21% (o 10% per i 3+2 concordati in comuni ad alta tensione abitativa) al momento della registrazione, ottenendo la tassazione sostitutiva fissa e l’esenzione da imposta di registro e bollo . Se non opta, verrà tassato ad IRPEF ordinaria sul 95% del canone . Le tutele per l’inquilino sono forti: ad esempio, ogni patto occulto di aumento del canone rispetto a quanto risulta dal contratto registrato è nullo ex art. 13 L.431/98 , e l’inquilino può richiedere la restituzione delle somme pagate in più. La Cassazione ha confermato che il cosiddetto “patto in nero” – cioè l’accordo collaterale con cui le parti fissano un canone maggiore di quello ufficiale – determina la nullità di tale pattuizione e il canone lecito resta quello inferiore dichiarato . Dunque, se il Fisco scopre che un contratto registrato a 500€/mese nascondeva in realtà pagamenti per 800€/mese, recupererà le imposte sulla differenza, ma l’inquilino potrà opporsi civilmente a pagare più di 500€, essendo nullo l’accordo occulto. – Differenza rispetto alle locazioni brevi: contratti oltre 30 giorni vanno sempre registrati. Inoltre, a differenza degli affitti brevi, qui non c’è una soglia di immobili che fa presumere l’attività d’impresa per legge (si può affittare anche 10 appartamenti con contratti 4+4 senza presunzione automatica di imprenditorialità fiscale, fermo restando che se l’attività diventa economicamente organizzata, il Fisco potrebbe comunque contestare l’esercizio di impresa di fatto caso per caso). Infine, per gli affitti lunghi non esiste un obbligo generalizzato di comunicazione dei contratti oltre alla registrazione (mentre per gli affitti brevi abbiamo visto l’obbligo di comunicazione annuale anche a carico degli intermediari).
- Locazioni commerciali (uso diverso dall’abitativo): Rientrano gli affitti di negozi, uffici, capannoni, laboratori, ecc. La normativa civilistica qui è il Codice Civile (artt. 1571 c.c. e segg.) e la Legge 392/1978 (e successive modifiche) per durata, rinnovi e indennità. Dal punto di vista fiscale, anche i contratti commerciali devono essere registrati entro 30 giorni (sempre che abbiano durata > 30 gg) e i relativi canoni vanno dichiarati. Non è prevista la cedolare secca sulle locazioni commerciali, salvo una parentesi normativa nel 2019: la L. 145/2018 introdusse per i soli nuovi contratti stipulati nell’anno 2019 su immobili categoria C/1 (piccoli negozi) la possibilità di cedolare 21%, misura però non prorogata negli anni successivi. Dunque, ad agosto 2025, gli affitti commerciali seguono il regime IRPEF ordinario (se il locatore è privato) o IRES se il locatore è società. Anche qui, se il conduttore è un’impresa, spesso dedurrà il costo dell’affitto nelle proprie dichiarazioni: da ciò può facilmente scaturire un controllo incrociato (il Fisco verifica se il locatore ha dichiarato un corrispondente reddito). Contratto non registrato e canoni simulati: va evidenziato che l’art. 13 L.431/98 sulla nullità delle maggiorazioni di canone si applica formalmente solo alle locazioni abitative, non a quelle commerciali . Ciò non significa che nel commerciale i “patti in nero” siano legittimi: anche qui, un accordo occulto per un canone diverso da quello risultante dal contratto registrato è contrario a norme imperative fiscali, e la giurisprudenza lo considera nullo per violazione di regole tributarie e di ordine pubblico . Cassazione ha più volte affermato la nullità della clausola occulta di maggiorazione canone nei contratti d’affitto non abitativi, in base ai principi generali (simulazione del prezzo) e al contrasto con la norma antievasione che impone la registrazione dell’intero importo pattuito . Quindi anche un affitto di negozio “in parte in nero” espone il locatore sia alle conseguenze fiscali (tasse e sanzioni sulla parte non dichiarata) sia all’impossibilità di far valere quel maggior canone in sede civile. Infine, per i contratti commerciali valgono le considerazioni fatte sopra sulla tassazione dei canoni non percepiti: se l’inquilino è moroso, il locatore dovrà comunque dichiarare i canoni finché il contratto è vigente, a meno che non lo risolva (non c’è tutela fiscale per i canoni commerciali non percepiti, a differenza dei contratti abitativi) .
Riepilogo normative chiave
Per comodità, riepiloghiamo le principali fonti normative rilevanti in materia di affitti in nero e locazioni non dichiarate (leggi, decreti e prassi citati):
- Obbligo di registrazione contratti: art. 1, comma 346, L. 311/2004 – Nullità dei contratti di locazione non registrati ; art. 13 L. 431/1998 – Nullità patti su canone superiore al dichiarato, tutela del conduttore . D.P.R. 131/1986 (Tariffa Parte II) – imposta di registro 2% e termini di registrazione . Legge 208/2015, art. 1 c.59 – facoltà per il conduttore di regolarizzare contratti in nero con canone concordato (norma introdotta nel 2016) .
- Disciplina fiscale affitti brevi: art. 4 D.L. 50/2017 (conv. L. 96/2017) – regime fiscale locazioni brevi, obblighi portali ; D.L. 34/2020 art. 180 – Istituzione Codice Identificativo Nazionale “CIN” per affitti brevi ; D.M. Turismo 29/09/2022 – attuazione registro CIN. Legge 178/2020 (Bilancio 2021) art. 1 c.595 – presunzione attività d’impresa oltre 4 immobili brevi . Legge 197/2022 (Bilancio 2023) – definizione agevolata accertamenti 2023, vedi oltre. Legge 197/2023 (Bilancio 2024) art. 1 c.63 – cedolare secca 26% dal secondo immobile breve .
- Cedolare secca e redditi fondiari: D.Lgs. 23/2011 art. 3 – regime cedolare secca affitti abitativi; Circolare Agenzia Entrate 26/E/2011 – chiarimenti requisiti cedolare ; evoluzione giurisprudenziale: Cass. civ. sez. VI n. 21726/2021 e Cass. n. 12395/2024 – cedolare secca ammessa anche se conduttore è persona giuridica, superamento interpretazione restrittiva .
- Sanzioni tributarie: D.Lgs. 471/1997 art. 1 – dichiarazione infedele: sanzione 90-180% imposta evasa; omessa dichiarazione: 120-240% imposta evasa (minimo €250, elevato a €500 dal 2023) . Art. 13 D.Lgs. 471/1997 – omesso versamento imposta: sanzione 30%. Legge 190/2014 art. 1 cc. 634-640 – ravvedimento operoso esteso a tutti i tributi, incluso registro locazioni . Decr. Lgs. 24/2023 – riforma del sistema sanzionatorio tributario (decorrenza 2023).
- Reati tributari: D.Lgs. 74/2000 art. 4 – dichiarazione infedele: soglie di punibilità penal-tributaria imposta evasa > €100.000 e >10% del reddito dichiarato (o > €2 milioni non dichiarati) ; art. 5 – omessa dichiarazione: soglia penale se imposta evasa > €50.000 . Entrambi reati puniti con la reclusione (2 anni e oltre) se superate le soglie. Art. 13 D.Lgs. 74/2000 – causa di non punibilità penale se il contribuente paga integralmente il debito tributario, interessi e sanzioni prima dell’apertura del dibattimento .
- Giurisprudenza recente di rilievo: Cass. civ. n. 15582/2021 – contratto di locazione abitativa non registrato nei termini = nullità ex L.311/2004 ; Cass. civ. n. 9475/2021 – contratto verbale non registrato = nullità relativa azionabile dal conduttore ; Cass. civ. n. 12836/2023 – patto occulto di maggiorazione canone in locazione non abitativa = nullità del patto, contratto riconducibile al canone dichiarato ; Cass. civ. n. 16223/2014 – ammissibilità di prove testimoniali e presunzioni gravi per accertare affitti non dichiarati ; Cass. civ. n. 29913/2021 – locazioni brevi multiple non implicano automaticamente attività d’impresa ai fini previdenziali (iscrizione gestione commercianti), conta l’organizzazione dell’attività ; Consiglio di Stato n. 6227/2022 – illegittimo un regolamento comunale che vieti in assoluto le locazioni brevi a non imprenditori ; Cass. civ. n. 26641/2022 – il regolamento contrattuale di condominio può vietare l’utilizzo dell’appartamento come B&B/affittacamere (rilievo in ambito civilistico); Agenzia Entrate, risposta a interpello n. 278/2019 – remissione in bonis per opzione cedolare secca tardiva in caso di proroga del contratto non comunicata .
Come il Fisco scopre gli affitti in nero (controlli e accertamenti)
Affittare un immobile “in nero” può dare l’illusione di farla franca, ma in realtà ci sono numerosi modi in cui l’evasione può emergere. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza dispongono oggi di strumenti avanzati per individuare redditi da locazione non dichiarati, incrociando informazioni da varie fonti . Vediamo le principali modalità di controllo:
- Confronto contratti registrati vs. dichiarazioni dei redditi: L’Agenzia delle Entrate possiede i dati di tutti i contratti di locazione registrati (attraverso il modello RLI telematico). Tali dati – in particolare l’importo del canone annuo e il codice fiscale del locatore – vengono incrociati con quanto dichiarato dal contribuente nella sua dichiarazione dei redditi . Se risulta un contratto registrato a nome di un certo proprietario ma nella sua dichiarazione quell’immobile non appare (o risulta un importo inferiore), scatta automaticamente una segnalazione. Si tratta spesso di lettere di compliance: comunicazioni bonarie con cui l’Agenzia informa il contribuente che dai suoi dati risulta un affitto non dichiarato, invitandolo a fornire chiarimenti o a ravvedersi . Ad esempio, un proprietario registra regolarmente un contratto di locazione 4+4 per €6.000 annui ma “dimentica” di dichiarare quei €6.000 nel suo 730: molto probabilmente riceverà una lettera che lo invita a sanare la situazione (dichiarazione integrativa e pagamento delle imposte dovute) per evitare sanzioni più pesanti. Questi controlli incrociati automatizzati rendono pressoché inevitabile che un contratto registrato ma non dichiarato venga prima o poi scoperto .
- Segnalazioni dell’inquilino (“soffiate”): In molti casi, l’affitto in nero viene a galla a seguito di una denuncia da parte dell’inquilino. Ciò accade soprattutto quando i rapporti tra le parti si deteriorano – ad esempio, se il proprietario minaccia uno sfratto senza contratto o pretende aumenti ingiustificati, l’inquilino “ostile” può reagire segnalando il caso al Fisco . L’inquilino, infatti, non ha nulla da perdere nel denunciare un affitto in nero: la legge prevede che egli non venga sanzionato, a meno che abbia tratto indebiti vantaggi fiscali (ad esempio detrazioni su un canone inferiore al reale) o abbia attivamente concorso nell’evasione . Denunciando, l’inquilino può anzi ottenere benefici: oltre a far scattare l’accertamento fiscale a carico del proprietario , può far valere la nullità del contratto in sede civile per bloccare lo sfratto e chiedere la restituzione di quanto pagato in nero . Le segnalazioni possono essere fatte direttamente all’Agenzia delle Entrate (anche in forma riservata) o alla Guardia di Finanza; quest’ultima spesso avvia verifiche sul posto se ci sono evidenze di affitti non dichiarati (ad esempio, su segnalazione dell’inquilino potrebbe effettuare un sopralluogo per constatare l’occupazione dell’immobile e raccogliere dichiarazioni) . Va evidenziato che, dal 2011, la normativa tutela inquilini e affittuari incoraggiandoli a emergere dall’irregolarità: l’art. 13 L. 431/98 (come modificato) consente al conduttore che denuncia l’affitto in nero di chiedere la registrazione tardiva del contratto a canone molto ridotto (canone annuo pari a 3 volte la rendita catastale) . Questa possibilità (cosiddetta “conversione a canone concordato d’ufficio”) è applicabile per contratti in nero avviati dopo il 2016 e costituisce un ulteriore incentivo per l’inquilino a denunciare, sapendo di poter ottenere un contratto regolare a condizioni favorevoli e la restituzione degli importi pagati in eccesso. Dunque il locatore che pensa di poter intimidire l’inquilino con la minaccia dello sfratto senza contratto, deve considerare che rischia al contrario di provocare una reazione legale e fiscale molto pesante contro di sé.
- Controlli sui pagamenti (tracciabilità bancaria): Un’altra modalità tipica con cui il Fisco scova canoni non dichiarati è l’analisi dei movimenti finanziari. Se gli affitti vengono pagati tramite bonifico bancario o altri metodi tracciabili, rimane traccia nelle transazioni. L’Agenzia, specie in sede di verifica, può accedere (tramite l’anagrafe dei conti) ai movimenti bancari del contribuente e notare, ad esempio, accrediti mensili ricorrenti con causale “affitto” . Se tali entrate non compaiono nel reddito dichiarato, costituiscono una presunzione molto forte di redditi in nero. In base all’art. 32 del DPR 600/1973, qualsiasi versamento su conto corrente del contribuente si presume reddito tassabile salvo prova contraria. Quindi avere bonifici regolari da un soggetto privato senza un giustificativo dichiarato è pericoloso: in un eventuale accertamento starà al contribuente provare che quei pagamenti non erano affitti, ma ad esempio restituzioni di prestiti o altro titolo lecito (circostanza spesso difficile da dimostrare) . Anche dal lato dell’inquilino, se questi ha eseguito bonifici per l’affitto indicando magari nella causale “canone locazione”, tali dati possono emergere: ad esempio, se l’inquilino è un’azienda che deduce il costo, dichiarerà quei bonifici nella propria contabilità, e l’Agenzia incrocerà i dati col codice fiscale del beneficiario. Va ricordato infatti che le imprese, quando pagano affitti, devono operare una ritenuta d’acconto del 21% sul canone pagato al locatore e versarla al Fisco. Il locatore privato che subisce tale ritenuta non può passare inosservato: l’impresa dichiara di aver versato quella ritenuta a favore del codice fiscale del locatore e se poi il locatore non dichiara nulla, l’Agenzia lo viene a sapere. In sintesi, i pagamenti tracciati rendono l’affitto in nero una contraddizione in termini: se si utilizzano metodi di pagamento ufficiali, prima o poi l’incrocio dei dati farà emergere l’anomalia . Se invece si ricorre al contante per tutti i pagamenti, il tracciamento è più difficile – ma restano gli altri metodi (denunce, controlli in loco, etc.). Inoltre pagare in contanti somme elevate presenta oggi limiti normativi (soglia uso contante) e comunque espone l’inquilino a rischi e difficoltà probatorie (non può facilmente dimostrare di aver pagato cauzioni o affitti se non ha ricevute valide) .
- Banca dati immobiliare, incrocio utenze e altre tecnologie: Le autorità fiscali dispongono anche di banche dati catastali e informazioni sulle utenze domestiche che possono rivelare occupazioni non dichiarate. Ad esempio, incrociando i dati dei consumi elettrici o idrici di un’abitazione con l’assenza di contratti registrati, si possono selezionare casi sospetti (un immobile con consumi elevati ma ufficialmente “sfitto” può nascondere un affitto in nero) . Alcuni Comuni hanno sperimentato l’analisi incrociata di dati anagrafici, tributi locali (come la tassa rifiuti) e dati fiscali per individuare inquilini non dichiarati. Nel campo delle locazioni turistiche, l’introduzione del codice identificativo (CIN) e l’obbligo di comunicazione da parte delle piattaforme sono finalizzati proprio a creare un flusso costante di informazioni verso il Fisco . Dal 2023, inoltre, è entrata in vigore la direttiva europea DAC7 sullo scambio automatico di informazioni sui redditi generati tramite piattaforme digitali : ciò significa che le piattaforme comunicano alle autorità fiscali i compensi versati a ciascun utente/host, e tali dati vengono messi a disposizione dei paesi di residenza fiscale degli utenti. L’Italia riceve dunque annualmente i dati relativi ai redditi percepiti dai suoi residenti tramite piattaforme come Airbnb, Booking, etc., e li confronta con le dichiarazioni dei redditi. Un proprietario italiano che abbia incassato, ad esempio, €10.000 da Airbnb riceverà da Airbnb la certificazione delle somme e l’Agenzia saprà se ha dichiarato tale importo o meno . Infine, non va trascurato il ruolo delle tecnologie avanzate: l’Agenzia delle Entrate sta iniziando a utilizzare algoritmi di intelligenza artificiale e data mining per scovare anomalie e profilare i rischi di evasione . Incroci insoliti tra dati catastali, assenza di contratti registrati e altri indicatori possono far scattare un alert automatico. In sostanza, lo spazio per l’affitto in nero si sta riducendo sempre di più.
L’avviso di accertamento per canoni non dichiarati
Quando uno di questi controlli dà esito positivo e il Fisco ritiene di aver scoperto un affitto non dichiarato, parte il procedimento di accertamento fiscale. Esso può articolarsi in vari passi:
- Invito al contraddittorio o questionario: In alcuni casi, prima di emettere un atto formale, l’Ufficio invia al contribuente un questionario oppure un invito a comparire per fornire informazioni. Ad esempio, se dai dati risulta un immobile potenzialmente affittato in nero, possono chiedere al proprietario di spiegare l’uso dell’immobile in certi periodi (magari era occupato da un parente a titolo gratuito, oppure era in ristrutturazione). Oppure possono richiedere copia di eventuali contratti o ricevute. Questo è il momento in cui il contribuente può ancora cercare di chiarire equivoci (se l’affitto non dichiarato in realtà non esisteva o era già tassato altrove) oppure, se colto in fallo, valutare un ravvedimento prima che arrivi la sanzione piena. Attenzione: per i tributi non “armonizzati” (come l’IRPEF) non esiste un obbligo generale per l’Ufficio di attivare il contraddittorio prima dell’accertamento . Quindi l’Agenzia potrebbe anche procedere direttamente.
- Lettera di compliance: Spesso, come visto, il primo segnale è una lettera di compliance (comunicazione bonaria). Questa non è un atto impositivo, ma un invito a regolarizzare. Se il contribuente riconosce l’errore (es. “sì, ho affittato in nero l’anno X e non l’ho dichiarato”), può a quel punto ravvedersi: presentare una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, dichiarare i canoni e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte . Il ravvedimento dopo una lettera di compliance è ancora possibile (con sanzione un po’ meno ridotta rispetto a prima della lettera, ma comunque inferiore a quella in accertamento) . Se invece il contribuente ignora la lettera o non fornisce chiarimenti convincenti, l’Ufficio procederà con un avviso di accertamento vero e proprio .
- Avviso di accertamento: È l’atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate contesta il maggiore reddito non dichiarato e liquida le imposte evase, le sanzioni e gli interessi . L’avviso viene notificato al contribuente (oggi frequentemente via PEC, altrimenti tramite raccomandata o ufficiale giudiziario) e contiene la motivazione della pretesa: ad esempio “Redditi di fabbricati anno 2020 omessi per €XX.XXX derivanti da locazione immobile sito in…, canoni accertati tramite …”. In genere l’accertamento si basa su elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti come richiesto dalla legge . Per gli affitti in nero, l’elemento tipico è l’esistenza di un contratto non dichiarato o di pagamenti attestanti l’affitto. Ad esempio, un accertamento potrebbe allegare la copia di un contratto di locazione (magari trovato dalla Guardia di Finanza in casa dell’inquilino) oppure la documentazione di pagamenti mensili su conto corrente , oppure la dichiarazione dell’inquilino raccolta in sede di verifica (quando c’è una verifica fiscale, le dichiarazioni rese hanno valore di elementi indiziari). Talvolta gli accertamenti su affitti in nero si fondano su “presunzioni semplici”: ad esempio, se in un appartamento di proprietà del contribuente risultano residenti terze persone, o se vi è una comunicazione di cessione di fabbricato per un cittadino straniero inquilino, etc., l’Ufficio presume che vi sia una locazione in atto. In questi casi la prova può essere più labile, e il contribuente potrà contestare che la presenza di quelle persone non integrava un rapporto di affitto (erano ospiti, parenti, ecc.). Ad ogni modo, una volta notificato l’avviso, il contribuente ha 60 giorni di tempo per reagire formalmente, presentando un’istanza di adesione o un ricorso (come vedremo in dettaglio più avanti) . Se non fa nulla entro 60 giorni, l’accertamento diventa definitivo ed esecutivo: le somme contestate diventano un debito certo e verranno iscritte a ruolo per la riscossione (arriverà la cartella di pagamento). Ignorare un avviso di accertamento è l’errore peggiore – significa accettare tutte le pretese, senza più poter discutere né ottenere riduzioni .
- Contenuto della pretesa fiscale: Cosa contiene, in concreto, un accertamento per affitti in nero? In sintesi: (1) il maggior reddito imponibile accertato (i canoni non dichiarati); (2) la relativa imposta IRPEF evasa (o cedolare secca evasa) calcolata su quel reddito; (3) gli interessi di mora maturati; (4) le sanzioni amministrative per la violazione (di norma, dichiarazione infedele od omessa). Facciamo un esempio: Tizio non dichiara €10.000 di affitti del 2019. L’Ufficio gli contesta €10.000 di imponibile aggiuntivo; se Tizio era soggetto a scaglione IRPEF 38%, l’imposta evasa è €3.800. La sanzione, essendo omessa dichiarazione, sarà dal 120% al 240% di €3.800, diciamo €5.000 (ipotizziamo la misura minima ridotta da definizione) . Gli interessi legali (attualmente ~5% annuo) verranno calcolati su €3.800 dal 2020 alla data di accertamento. Inoltre, se il contratto non era registrato, verrà aggiunta la sanzione sul registro (ma spesso l’Agenzia Entrate demanda la parte “registro” a un atto separato dell’ufficio del registro locale, a volte l’iniziativa parte dall’Agenzia solo per la parte imposte dirette). Nell’avviso, il contribuente troverà anche indicazione delle opzioni di definizione agevolata: ad esempio, la possibilità di ottenere la riduzione della sanzione di 1/3 se rinuncia a impugnare e paga entro 60 giorni (cosiddetta acquiescenza ex art. 15 D.Lgs. 218/1997) . Oppure la facoltà di presentare istanza di adesione entro 60 giorni per avviare il procedimento di accordo (ciò sospende i termini per ricorrere) . In alcuni periodi storici, leggi speciali hanno previsto sanatorie: ad esempio la L. 197/2022 (Bilancio 2023) ha introdotto il “ravvedimento speciale” che consentiva di chiudere accertamenti non definitivi pagando solo le imposte e interessi senza sanzioni . È sempre opportuno verificare se al momento vi siano norme di definizione agevolata applicabili al proprio caso (ad esempio condoni, sanatorie, pace fiscale) . In mancanza, però, le strade ordinarie restano l’adesione o il ricorso.
- Accertamento penale parallelo: È importante sapere che, oltre all’accertamento tributario, nei casi più gravi potrebbe innescarsi un procedimento penale per reato di evasione fiscale. L’omessa dichiarazione di redditi è reato (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se l’imposta evasa supera €50.000 ; la dichiarazione infedele è reato (art. 4) se l’imposta evasa supera €100.000 e i redditi non dichiarati superano il 10% di quanto dichiarato (o €2 milioni) . Dunque, affitti in nero per piccole somme difficilmente attivano il penale, ma chi avesse occultato decine di migliaia di euro l’anno per più anni potrebbe oltrepassare le soglie. Ad esempio, occultare €200.000 di canoni in totale significa evadere almeno €50.000 di imposte, configurando il reato di omessa dichiarazione . In tal caso l’Agenzia invierà una segnalazione alla Procura della Repubblica e potrebbe scattare un procedimento penale a carico del locatore, con facoltà per la Procura di chiedere anche misure cautelari come il sequestro preventivo di beni fino a concorrenza dell’imposta evasa . Va comunque sottolineato che la maggior parte dei casi di affitti in nero riguardano importi modesti e restano illeciti amministrativi, non penali . Inoltre la legge prevede che molti reati tributari (inclusa l’omessa dichiarazione) vengano estinti se il contribuente, prima del dibattimento, paga integralmente quanto dovuto al Fisco . Lo scopo principale dello Stato infatti è recuperare il gettito, non incarcerare i contribuenti. Pertanto, anche in scenari potenzialmente penali, una definizione del debito tributario (magari tramite adesione) mette al riparo da guai penali, oltre che fiscali.
In sintesi: quando arriva un accertamento per affitti non dichiarati, è cruciale non restare inerti. Occorre valutare subito le opzioni di difesa o definizione: dalla correzione spontanea (se ancora possibile) alla trattativa con l’Ufficio, fino alla preparazione di un ricorso forte. Nel prossimo capitolo vedremo proprio le strategie difensive disponibili al contribuente in queste situazioni.
Strategie difensive: come opporsi e difendersi dall’accertamento
Affrontare un accertamento fiscale per canoni di locazione non dichiarati richiede tempestività e una strategia ben ponderata. Dal momento della notifica dell’atto impositivo, il contribuente (idealmente assistito da un professionista esperto in diritto tributario) ha davanti a sé varie strade per ridurre o annullare la pretesa del Fisco . In questa sezione esamineremo gli strumenti principali di difesa, distinguendo tra la fase amministrativa (pre-contenzioso) e il contenzioso vero e proprio.
1. Ravvedimento operoso (prima dell’accertamento)
Il ravvedimento operoso è l’arma principale per chi, rendendosi conto dell’irregolarità, vuole sanare spontaneamente la propria posizione prima che l’evasione venga accertata in via definitiva. Consiste nel presentare una dichiarazione integrativa per gli anni d’imposta omessi o infedeli, dichiarando i redditi da affitto non dichiarati, e nel versare le imposte dovute con sanzioni ridotte e interessi . Il ravvedimento è possibile finché l’avviso di accertamento non sia divenuto definitivo: se ci si ravvede prima che l’Agenzia notifichi un avviso, si pagheranno le sanzioni minime (ad esempio ~15% se entro 2 anni, come visto); se la notifica non è ancora avvenuta ma magari si è ricevuta una lettera di compliance, si può ancora ravvedersi con riduzioni (spesso intorno al 1/6 del minimo in questi casi) . Vantaggi: il ravvedimento evita l’emissione dell’accertamento o ne circoscrive gli effetti, e soprattutto consente di fruire di sanzioni molto inferiori rispetto a quelle in fase contenziosa. Limiti: bisogna versare tutto il dovuto (imposte + sanzioni seppur ridotte + interessi) e non si recuperano eventuali benefici persi (es: cedolare non esercitata). Inoltre, il ravvedimento è precluso per un tributo se l’amministrazione fiscale ha già scoperto l’irregolarità di quel tributo per quell’anno (ad es. se è già arrivato un processo verbale o avviso). Conviene quindi muoversi non appena si intuisce di essere a rischio controllo.
Esempio difensivo: “Non ho dichiarato affitti Airbnb 2022, posso rimediare?” – Sì, se l’Agenzia non ti ha ancora notificato nulla per il 2022, puoi fare ravvedimento . Presenti ora una dichiarazione integrativa per il 2022, includi i redditi da locazione breve, e paghi la cedolare 21% dovuta più sanzione ridotta (15% circa invece del 90%) . Così eviterai a priori l’accertamento su quell’anno. Se invece l’avviso è già arrivato, il ravvedimento non è più ammesso per quell’anno e dovrai passare ad altre strategie (adesione, ricorso). In generale, il ravvedimento è sempre la via meno costosa e andrebbe sfruttato appena possibile .
2. Istanza di autotutela (richiesta di annullamento all’ufficio)
L’autotutela è il potere dell’amministrazione finanziaria di annullare o rettificare i propri atti qualora riconosca degli errori o illegittimità. Il contribuente può presentare un’istanza all’ufficio che ha emesso l’accertamento, segnalando gli errori evidenti (esempi: persona sbagliata, doppia imposizione, canoni già dichiarati altrove, calcoli errati). Se l’ufficio concorda, può annullare in tutto o in parte l’atto in via di autotutela . Pro: è gratuito, non richiede formalità particolari (basta una lettera ben motivata) e può talvolta risolvere rapidamente situazioni frutto di equivoci. Contro: è totalmente discrezionale da parte dell’ufficio; non sospende i termini di ricorso (bisogna comunque presentare ricorso entro 60 giorni se non si è certi che l’autotutela verrà accolta) . Nella pratica, l’autotutela funziona soprattutto per errori manifesti dell’Amministrazione. Ad esempio, se l’avviso include per sbaglio due volte lo stesso reddito, o se i canoni erano già tassati in cedolare e l’ufficio non se n’era accorto, probabilmente correggeranno. Invece, se la questione è disputabile (tipo: l’ufficio presume un affitto in nero e tu neghi), difficilmente ammetteranno di aver torto senza un giudice . Può capitare anche un’autotutela parziale: ad esempio l’ufficio riconosce l’errore sul calcolo interessi e sgravA quella parte, ma mantiene il resto . Consiglio: presentare istanza di autotutela subito dopo aver ricevuto l’atto, mettendo in luce eventuali elementi a tuo favore, ma senza fare totale affidamento su di essa. Se entro breve tempo non ottieni risposta positiva, prepara comunque il ricorso nei termini (l’istanza non sospende il countdown dei 60 giorni) . In ogni caso, aver presentato un’istanza può essere utile anche in seguito per dimostrare la buona fede o per allegare documenti che resteranno agli atti.
3. Accertamento con adesione (definizione concordata)
L’accertamento con adesione è una procedura “di concordato” tra contribuente e Amministrazione, regolata dal D.Lgs. 218/1997, che consente di definire in via negoziale la controversia prima di andare davanti al giudice . Si attiva presentando, entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, un’istanza di adesione all’ufficio competente . A seguito dell’istanza, si viene convocati per un contraddittorio: in questa sede si discutono i rilievi, si possono portare nuovi documenti e si negozia una rideterminazione del dovuto . Spesso l’ufficio, pur difendendo la legittimità dell’accertamento, è disponibile a fare sconti sulle sanzioni (riducendole al minimo edittale o anche oltre) e talvolta a rivedere parzialmente il quantum imponibile, soprattutto se emergono elementi nuovi. Se si raggiunge un accordo, viene redatto un atto di adesione che il contribuente firma e poi perfeziona col pagamento (anche rateale, fino a 8 rate trimestrali) . Le sanzioni in caso di adesione sono ridotte automaticamente a 1/3 del minimo previsto per legge . Ad esempio, una sanzione per infedele dichiarazione che sarebbe il 90% dell’imposta evasa, col minimo edittale al 90%, diventa 30%; un’omessa dichiarazione con sanzione minima 120% diventa 40% . Questo incentivo è spesso decisivo per optare per l’adesione. Vantaggi dell’adesione: oltre alla forte riduzione sanzionatoria, aderire consente di guadagnare tempo – la presentazione dell’istanza sospende sia il termine per ricorrere (che riparte da capo dopo la chiusura dell’adesione) sia i termini di pagamento . Inoltre, evita i costi e le incertezze di un giudizio. Svantaggi: una volta firmato l’atto di adesione e pagato, la definizione è definitiva: non si può più impugnare né ottenere rimborso di quanto concordato, salvo evidenti errori di calcolo . Quindi bisogna aderire solo se si è davvero convinti dell’esito. Mai firmare di fretta sotto pressione: è lecito prendersi i propri giorni (la firma non è obbligatoria subito al primo incontro, si può chiedere tempo per valutare).
Nella materia degli affitti in nero, l’adesione può rivelarsi molto conveniente. In genere il fatto generatore (aver percepito quei redditi) è difficile da negare se il Fisco ha prove solide; quindi la difesa integrale in giudizio potrebbe essere rischiosa. Con l’adesione si potrebbe ad esempio ottenere di pagare il dovuto ma con sanzione al 30% invece che 90% . Inoltre, se l’imposta evasa è modesta, l’ufficio potrebbe rinunciare a segnalazioni penali o addirittura non applicare sanzione per tenuità del fatto (art. 6 co.5-bis D.Lgs. 472/97 permette di non applicare sanzioni sotto certa soglia, anche se raramente usato) . In sostanza, si chiude la vicenda più rapidamente e con esborso minore. Ovviamente, se il contribuente ha elementi forti per contestare l’accertamento, può provare ad ottenere in adesione uno sgravio anche dell’imposta (non solo delle pene pecuniarie). Ad esempio, dimostrando che una parte dei canoni era già esente o già tassata altrove, si può argomentare per ridurre l’imponibile. In ogni caso, l’adesione è un confronto: prepararsi bene con documenti e magari con l’assistenza di un tributarista aumenta le chance di strappare un accordo favorevole. Se l’adesione fallisce (nessun accordo o proposta insoddisfacente), niente è compromesso: si può comunque proseguire col ricorso, avendo però guadagnato tempo in più grazie alla sospensione dei termini .
4. Reclamo e mediazione tributaria
Se l’importo contestato dall’accertamento (al netto di interessi e accessori) non supera una certa soglia – 50.000 € per gli atti notificati fino al 30/6/2023, elevata a (eventualmente 50k confermato, da verificare se riforma 2023 ha cambiato) – il contribuente che intende fare ricorso deve prima presentare un reclamo/istanza di mediazione . In pratica, il ricorso che si deposita presso la segreteria della Commissione Tributaria viene inizialmente trattato come un’istanza rivolta all’Agenzia delle Entrate stessa, la quale ha 90 giorni per valutare se accoglierlo (in tutto o in parte) o transare . Spesso l’ufficio, per evitare la causa, propone una mediazione offrendo una riduzione delle sanzioni simile a quella dell’adesione (1/3) . Se entro 90 giorni non si raggiunge accordo, il reclamo produce effetto di ricorso e la causa prosegue in Commissione. In sostanza, la mediazione tributaria è un passaggio obbligato per le liti minori che può portare a una definizione anticipata, spesso alle stesse condizioni di un’adesione (riduzione sanzioni) . Anche qui, quindi, può convenire accettare una buona proposta per chiudere. Da notare che se la mediazione fallisce, le spese processuali poi in caso di vittoria del contribuente non sono rimborsabili per quel primo grado (è l’“pegno” del reclamo). Comunque, per affitti in nero, non di rado gli importi sono sotto la soglia, quindi questa fase va considerata.
5. Ricorso alle Commissioni Tributarie (contenzioso)
Se non si trova soluzione a livello amministrativo, resta la via del ricorso giudiziale dinanzi alle Commissioni Tributarie (di primo grado, ora rinominate Corti di Giustizia Tributaria di primo grado dopo la riforma del 2022) . Il ricorso va notificato all’ente impositore entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato (accertamento o cartella, a seconda dei casi), salvo eventuale sospensione per adesione . In materia di affitti in nero, nel ricorso si potranno sollevare sia contestazioni di merito sia eccezioni procedurali/formali:
- Difesa nel merito: consiste nel negare (o ridimensionare) la pretesa fiscale sostanziale. Ad esempio, affermare che i redditi non erano dovuti perché in realtà l’immobile non era locato in quel periodo (fornendo prove contrarie alle presunzioni del Fisco, come bollette che attestano casa disabitata, testimonianze di vicini che confermano l’assenza di inquilini, etc.) . Oppure sostenere che l’importo contestato era già stato dichiarato altrove (magari come reddito d’impresa o come componente di altro reddito) . O ancora, contestare la metodologia presuntiva: se l’accertamento è basato su indizi, argomentare che non sono gravi, precisi e concordanti ma mere supposizioni. Un esempio notevole è un caso reale: l’Agenzia aveva contestato ad una contribuente redditi Airbnb non dichiarati per il 2022 basandosi su recensioni online trovate a gennaio 2022, ma l’host ha dimostrato che in realtà quelle recensioni si riferivano a soggiorni di dicembre 2021 (già dichiarati) e che nel 2022 l’immobile era rimasto sfitto . Ha esibito il calendario delle prenotazioni vuoto e le bollette con consumi azzerati per provare l’assenza di ospiti, e così ha avuto ragione in Commissione (accertamento annullato per mancanza di prova) . Questo esempio mostra l’importanza di raccogliere documentazione difensiva: contratti di locazione registrati, ricevute di pagamento imposte, certificazioni (ad es. la certificazione Airbnb dei compensi, che può anche provare un non incasso in certi periodi), estratti conto, comunicazioni email con l’inquilino, eventuali dichiarazioni dell’inquilino se collaborate (non testimonianza orale, che nei processi tributari è inibita, ma dichiarazioni scritte rese magari davanti a un notaio o all’autorità durante verifiche) . La Cassazione ha peraltro riconosciuto che, sebbene la prova testimoniale sia formalmente non ammessa in Commissione, dichiarazioni testimoniali raccolte in altra sede (ad es. dalla Guardia di Finanza) possono essere valutate come elementi indiziari . In un caso la Suprema Corte ha ritenuto legittimo basare un accertamento di affitti in nero anche su deposizioni testimoniali che confermavano l’avvenuto pagamento di canoni non dichiarati . Quindi, se queste prove esistono a tuo discarico (ad es. dichiarazione dell’inquilino che conferma di non aver pagato canoni, o che li ha pagati a un terzo e non a te, ecc.), possono essere utilizzate in giudizio come scritti. – Conclusione sulla difesa di merito: occorre smontare la tesi dell’ufficio mostrando che quei redditi non erano dovuti o non sono imponibili. Qualora vi sia un vizio di diritto (ad es. l’Agenzia ha disconosciuto la cedolare secca erroneamente, o ha calcolato male l’imposta), anche quello va evidenziato.
- Eccezioni formali e procedurali: Spesso in aggiunta al merito, si sollevano eccezioni procedurali che, se accolte, fanno annullare l’atto indipendentemente dal merito. Esempi: notifica irregolare dell’avviso (fuori termine, o a soggetto non legittimato); mancata indicazione del responsabile del procedimento nell’atto; motivazione insufficiente (se l’avviso non spiega su che basi sono stati accertati i redditi); violazione del contraddittorio se previsto (per i tributi armonizzati come l’IVA è obbligatorio invitare il contribuente a spiegare prima di accertare, ma per IRPEF come detto no, salvo caso di redditometro) ; errata applicazione di sanzioni (ad es. cumulo di sanzioni oltre il consentito, o sanzione applicata per norma sbagliata). Queste eccezioni richiedono conoscenza tecnica e vanno valutate caso per caso. Spesso, anche se il contribuente ha torto sul merito (evasione c’è stata), riesce a vincere il ricorso perché l’ufficio ha commesso un vizio di forma. Ad esempio, alcuni accertamenti da “redditometro” (accertamento sintetico basato sul tenore di vita) sono stati annullati in massa perché l’Agenzia non aveva preventivamente invitato i contribuenti a fornire spiegazioni, violando una procedura obbligatoria prevista dalla legge . Nel campo degli affitti in nero, un possibile vizio potrebbe essere la decadenza dei termini: il Fisco ha tempi massimi per accertare (di regola il 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, esteso a 7° se dichiarazione omessa) . Se notificano l’atto oltre tali termini, è nullo. Attenzione però: se l’evasione configura reato e viene trasmessa notizia di reato, i termini raddoppiano (fino a 8 anni per omessa dichiarazione) . Anche la sottoscrizione dell’atto da parte di un soggetto non titolato può essere eccepita. Insomma, un avvocato tributarista sa passare al setaccio l’atto per trovare eventuali falle. Tali eccezioni vanno sollevate tutte subito in primo grado, altrimenti si perdono.
Il processo tributario si svolge in due gradi di merito (provinciale e regionale, ora detti Corte di Giustizia di primo e secondo grado) e poi l’eventuale ricorso in Cassazione per sole questioni di diritto . I tempi non sono brevissimi (2-3 anni per grado facilmente). Durante il processo, l’avviso di accertamento è solo sospeso parzialmente: se si chiede la sospensiva al giudice e la si ottiene, la riscossione è bloccata fino a sentenza; altrimenti, bisogna pagare 1/3 delle imposte entro 60 giorni dall’atto (per poter proseguire col ricorso) . In sede di sentenza, se il contribuente vince, l’atto è annullato e – se aveva pagato importi provvisori – ha diritto al rimborso. Se perde, deve pagare il resto (2/3 residui) e può eventualmente appellare in secondo grado. È un percorso impegnativo, ma quando ci sono in ballo somme elevate o questioni di principio, vale sicuramente la pena intraprenderlo, soprattutto se si hanno argomenti solidi. Ricordiamo inoltre che definire prima (con adesione o conciliazione) comporta sanzioni ridotte, mentre se si va in giudizio fino alla fine e si perde, le sanzioni restano intere (salvo diversa decisione del giudice, che però in ambito tributario non può disapplicare le percentuali di legge se c’è soccombenza). Dunque la convenienza economica del contenzioso va ponderata anche in base a quanta sanzione si potrebbe risparmiare con un accordo anticipato.
Conclusione sulla difesa: Ogni caso di affitto in nero ha peculiarità proprie (contratto verbale vs scritto, prove disponibili, importi, comportamento dell’inquilino, ecc.). L’approccio ideale è farsi assistere da un professionista qualificato, portare subito all’attenzione dell’ufficio eventuali errori grossolani (autotutela), e contemporaneamente prepararsi sia a negoziare (adesione/mediazione) sia, se necessario, a fare ricorso. Con una strategia ben calibrata, è spesso possibile ottenere un esito favorevole: dall’annullamento totale dell’atto (se infondato) alla riduzione consistente di imposte e sanzioni dovute . Ciò che non bisogna mai fare è subire passivamente l’accertamento: ignorarlo o pagare senza verifiche è un errore, perché si rischia di versare più del dovuto o di pregiudicare difese che invece potevano avere successo .
Esempi pratici di casi e difesa
Vediamo ora alcuni scenari tipici di affitti in nero e come ci si potrebbe difendere:
- Caso 1: Affitto di appartamento residenziale totalmente in nero: Mario ha affittato per anni un appartamento a uno studente senza mai registrare un contratto e ricevendo €500 al mese in contanti. Dopo una lite, lo studente lascia l’immobile e denuncia il tutto all’Agenzia delle Entrate. Mario riceve un accertamento per redditi non dichiarati di €6.000 annui per, ad esempio, 3 annualità, più sanzioni. Come può difendersi? Soluzione: In questo caso la prova dell’affitto in nero è fornita dalle dichiarazioni dell’ex inquilino e magari da testimoni (vicini di casa) che confermano la presenza dello studente. Mario, di fronte a prove concrete, avrebbe difficoltà a negare l’evidenza. Una strategia sensata potrebbe essere richiedere un accertamento con adesione: riconoscere i redditi non dichiarati ma ottenere la riduzione delle sanzioni a 1/3 . Ad esempio, su €18.000 di imponibile complessivo evaso, l’IRPEF dovuta (aliquota marginale 23%) sarebbe circa €4.140; la sanzione per infedele (90%) ridotta a 30% diventerebbe circa €1.242, invece di €3.726. Mario potrebbe quindi chiudere pagando ~€5.400 + interessi, invece di oltre €8-9.000 iniziali. Inoltre, definendo tutto, eviterebbe una possibile denuncia penale (in 3 anni €4.140 evasi annui non superano soglia penale). Civilmente, Mario dovrà poi affrontare il fatto che il contratto era nullo: lo studente potrebbe persino chiedergli indietro i canoni pagati negli ultimi mesi , ma quello è un rischio collaterale. Fiscalmente, la priorità è chiudere col Fisco per evitare ulteriore aggravio. Se Mario avesse elementi per contestare qualcosa (es: l’anno 2022 l’immobile era vuoto per 2 mesi, quindi i €6.000 contestati quell’anno sono eccessivi), potrebbe provarlo con documenti (utenze, foto) e ottenere magari un piccolo sgravio in adesione.
- Caso 2: Affitto di un negozio con canone ufficiale inferiore al reale: La società Alfa s.r.l. ha preso in affitto un negozio da Luigi. Hanno registrato un contratto commerciale a €1.000/mese, ma in realtà Alfa pagava €1.500 a Luigi: €1.000 con bonifico (deducendoli in contabilità) e €500 in contanti fuori busta. A seguito di una verifica fiscale su Alfa, la Guardia di Finanza scopre i pagamenti extra (magari trovando email o messaggi in cui si fa riferimento al supplemento in nero). Segnala dunque il fatto all’Agenzia, che accerta in capo a Luigi i maggiori redditi non dichiarati. Difesa: Luigi in giudizio potrebbe sostenere che quei €500 extra non erano affitto ma, poniamo, il rimborso di spese accessorie non documentate. Tuttavia, se ci sono evidenze scritte che collegano i €500 all’uso dell’immobile, la sua posizione è debole. In questo caso Luigi potrebbe tentare un’altra via: contestare un vizio formale. Ad esempio, se l’avviso è stato notificato oltre i termini (può capitare: per l’anno 2019 il termine era 31/12/2024, se l’hanno notificato nel 2025 Luigi può eccepirne la decadenza) . Oppure verificare se l’ufficio ha duplicato la tassazione: poiché Alfa s.r.l. aveva già operato la ritenuta d’acconto sul canone ufficiale (€1.000), Luigi ha un credito d’imposta per quelle ritenute. L’accertamento deve tenerne conto. Luigi dovrebbe controllare se nell’avviso è stato scomputato il credito per le ritenute subite; in caso contrario, c’è un errore (non possono chiedergli IRPEF piena su €18k annui se 21% di €12k l’anno era già stato pagato a titolo di acconto). Questo errore, se c’è, va evidenziato subito (magari in autotutela) perché ridurrebbe la pretesa. In parallelo, Luigi potrebbe valutare la via penale: €500/mese x 12 = €6.000 annui non dichiarati; su 5 anni = €30.000 evasi, difficilmente sopra soglia penale (50k) soprattutto considerando le tasse pagate su €12k ufficiali. Quindi niente reato, sollievo almeno su quel fronte. Alla fine, Luigi potrebbe risolvere con un’adesione in cui paga la differenza d’imposta sui €500/mese (aliquota 43% se già alto reddito, = €2.580/anno) più sanzione ridotta 30% (€774/anno) per anno, ecc. Se Alfa (conduttore) nel frattempo si è rivalsa magari smettendo di pagare i €500, Luigi deve anche gestire il rapporto civile: l’extra essendo nullo non è esigibile, e Alfa potrebbe pretendere restituzioni. È evidente come l’affitto in nero generi contenziosi a catena.
- Caso 3: Locazioni brevi AirBnB non dichiarate, con contestazione di attività d’impresa: Chiara affitta 3 appartamenti a Roma tramite Airbnb nel 2024, incassando €40.000 complessivi, ma non dichiara nulla. Nel 2025 l’Agenzia incrocia i dati ricevuti da Airbnb e vede l’evasione. Notifica un accertamento contestando €40.000 di redditi non dichiarati, inoltre afferma che Chiara, avendo superato il limite di 4 immobili? (in realtà ne ha 3, quindi sotto la soglia), non è imprenditrice di default. Però magari l’ufficio, vedendo l’importo elevato, ipotizza comunque che sia un’attività organizzata e richiede IVA e iscrizione registro imprese. Difesa: Qui Chiara ha diversi punti: primo, verificare i presupposti dell’accertamento. Se la legge presume imprenditorialità dal 5° immobile, con 3 immobili la presunzione legale non c’è . Dovrà quindi contestare qualsiasi riqualificazione a impresa come infondata in facto: affittare 3 case non implica necessariamente una struttura d’impresa (soprattutto se sono gestite personalmente, senza servizi aggiuntivi tipo colazione, etc.). Citerebbe la norma (L. 178/2020 c.595) e magari anche la CTR Lombardia n. 4451/2019, che ha escluso imprenditorialità per affitti di porzioni della propria abitazione . Dovrebbe inoltre evidenziare che dal 2024 la cedolare secca prevede 21% su un immobile e 26% sugli altri . Quindi, se fosse stata in regola, Chiara avrebbe pagato cedolare 21% su un immobile e 26% sugli altri due. Potrebbe chiedere in via di equità di tassare così (anche se formalmente non ha optato, ma in adesione magari lo concedono). L’ufficio probabilmente insisterà con IRPEF piena + addizionali. Chiara allora potrà almeno ottenere sanzioni ridotte in adesione e niente contestazione IVA/impresa (se l’ufficio è ragionevole). Se invece l’ufficio fosse inflessibile, Chiara dovrebbe ricorrere sostenendo: a) che la qualifica d’impresa è arbitraria e non provata (nessuna partita IVA, nessuna organizzazione, solo gestione privata di 3 immobili) – e su questo avrebbe ottime chance di spuntarla in giudizio ; b) chiedendo magari la disapplicazione di sanzioni per obiettiva incertezza se la normativa era poco chiara (difesa residuale). Nel frattempo Chiara potrebbe anche ravvedersi per il 2025 e anni successivi per dimostrare buona condotta. Questo caso mostra come, per affitti brevi, il Fisco abbia oggi molte informazioni (i dati Airbnb) ma anche come ci siano ancora aree grigie (confine tra privato e imprenditore).
Ogni caso pratico può avere esiti diversi a seconda delle circostanze e della linea difensiva adottata. Quello che è certo, dal punto di vista del debitore d’imposta, è che ci si deve muovere con cognizione di causa: conoscere le leggi, i propri diritti e limiti, e possibilmente avvalersi di consulenza specializzata per scegliere la mossa giusta al momento giusto.
Domande frequenti (FAQ)
D: Non ho dichiarato i redditi da Airbnb degli anni scorsi. Posso rimediare ora per evitare sanzioni pesanti?
R: Sì. Se l’Agenzia non ti ha ancora notificato un accertamento per quegli anni, puoi (e dovresti) correre ai ripari con il ravvedimento operoso . Presenta una dichiarazione integrativa per ciascun anno omesso, inserendo i redditi da locazione che avevi tralasciato, e paga la cedolare secca o l’IRPEF dovuta più le sanzioni ridotte e gli interessi . Più sei tempestivo, minore è la sanzione: ad esempio ravvedendoti entro 1-2 anni dall’omissione pagherai circa il 15% di sanzione invece del 90% . In questo modo eviti sul nascere futuri accertamenti e metti in regola la tua posizione fiscale. Se invece hai già ricevuto un avviso, non puoi più usare il ravvedimento per quell’anno, ma puoi valutare l’accertamento con adesione per ottenere comunque sanzioni ridotte a 1/3 del minimo . In ogni caso, agire spontaneamente prima è sempre la soluzione meno costosa e più premiante.
D: Cosa rischio se ho affittato un appartamento in nero e l’Agenzia se n’è accorta?
R: Rischi conseguenze sia fiscali che civili (oltre che potenzialmente penali se gli importi sono altissimi). In particolare, dal lato fiscale dovrai: (1) pagare tutte le imposte evase sui canoni non dichiarati (IRPEF arretrata o cedolare secca dovuta) con sanzione dal 90% al 180% su tale imposta ; (2) pagare l’imposta di registro evasa per la mancata registrazione (2% annuo dei canoni) con sanzione dal 120% al 240% ; il tutto maggiorato degli interessi di mora. Per fare un esempio numerico: se non hai dichiarato €10.000 di affitti, ecco che il Fisco recupererà magari €2.300 di IRPEF più €2.000 circa di sanzione, più ad es. €200 di imposta di registro evasa più €300-€480 di sanzione su quella, più interessi – capisci che l’importo lievita facilmente. Dal lato civile, inoltre, l’inquilino potrebbe averti denunciato proprio per tutelarsi: tieni presente che il contratto non registrato è nullo, dunque l’inquilino può smettere di pagare legittimamente e persino chiederti indietro le somme già versate in nero . Se l’inquilino è ancora dentro e non paga, non potrai neanche sfrattarlo finché il contratto resta “irregolare”. Quindi ti trovi senza incassi e senza un titolo esecutivo per liberare l’immobile, se l’inquilino fa opposizione. In casi estremi, se l’evasione ha riguardato molti anni e importi elevati, può scattare anche un procedimento penale: ad esempio omessa dichiarazione se l’imposta evasa supera €50.000 (punibile con reclusione) . Per tutti questi motivi, conviene affrontare subito la situazione col Fisco: valutare magari una definizione tramite adesione (per ridurre sanzioni) e regolarizzare immediatamente il contratto registrandolo per il futuro. Spesso, una volta messo in regola il contratto e pagato il dovuto, l’inquilino è più disponibile a concordare una risoluzione bonaria.
D: Quanti anni indietro può andare l’Agenzia a cercare redditi non dichiarati?
R: In generale, l’accertamento fiscale deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avresti dovuto dichiarare il reddito . Ad esempio, per un affitto percepito nel 2020 (dichiarazione da presentare nel 2021), il termine scade al 31/12/2026. Se però non hai presentato affatto la dichiarazione per quell’anno (omessa dichiarazione), i termini si allungano a 7 anni dal periodo d’imposta – nel caso del 2020 omesso, fino al 31/12/2027. Inoltre, in presenza di reati tributari (dichiarazione fraudolenta, ecc.) i termini raddoppiano a 8 anni (omessa) o 10 anni (fraudolenta) , ma questo richiede appunto una notizia di reato. Nella pratica, nel 2025 l’Agenzia sta accertando al massimo l’anno d’imposta 2019 (dichiarazione 2020) se c’era dichiarazione presentata, o 2018 se eri completamente omissivo . Gli anni precedenti ormai sono decaduti (salvo casi di frode gravissima notificati entro fine 2024). Quindi non possono chiederti affitti del 2017 o prima, a meno che tu non abbia proprio mai dichiarato nulla e la violazione sia stata contestata entro il doppio termine allora vigente. Nota: fino a qualche anno fa, per i redditi esteri c’era un raddoppio automatico dei termini, ma ora non più . Comunque, in sintesi: 5 anni indietro per chi ha presentato la dichiarazione (anche se incompleta), 7 anni per chi non l’ha presentata. Raramente si va oltre, se non in caso di reati pesanti. Se hai dubbi su anni passati, considera anche che presentare ora una dichiarazione integrativa per ravvedimento riapre i termini limitatamente ai nuovi dati dichiarati . Ad esempio, se ora nel 2025 fai un’integrativa per il 2018, l’Agenzia avrà tempo fino al 2026 per controllare quell’anno limitatamente a ciò che hai aggiunto. Ma è comunque meglio ravvedersi che essere scoperti con sanzione piena.
D: Posso andare in carcere per non aver dichiarato degli affitti?
R: Solo nei casi di evasione davvero rilevanti o fraudolenti si rischiano conseguenze penali. La legge punisce l’omessa dichiarazione quando l’imposta evasa supera €50.000 per periodo d’imposta ; e punisce la dichiarazione infedele quando l’imposta evasa supera €100.000 e i redditi non dichiarati sono >10% del totale o comunque >€2 milioni . Inoltre esistono reati più gravi, come la dichiarazione fraudolenta, che riguardano condotte di frode attiva (false fatture, ecc.) – non il nostro caso tipico di affitti. Nel contesto degli affitti in nero, significa che dovresti aver nascosto decine di migliaia di euro di tasse perché scatti il penale. Esempio: se affittavi 10 case in nero incassando €300.000 l’anno e non dichiarando nulla, allora sì superi €100k di evasione e configuri un reato di infedele molto grave . Ma per uno/due appartamenti, difficilmente arrivi a quei livelli. Ad ogni modo, anche nei (rari) casi in cui parte un procedimento penale, va ricordato che molti reati tributari si estinguono se paghi il dovuto prima del processo . Quindi lo scenario carcere è veramente l’ultima ratio, riservato a chi ha evaso cifre enormi e magari ostacola anche il pagamento. Lo Stato punta piuttosto a farsi pagare il dovuto. In sintesi: no, per un piccolo affitto non dichiarato per qualche anno non finirai in galera; rischi “solo” sanzioni amministrative. Il carcere entra in gioco per condotte ben più gravi e prolungate, e comunque può essere evitato sanando il debito tributario.
D: Ho pagato tutto quanto richiesto nell’accertamento per chiudere la questione. Posso stare tranquillo che non avrò altre conseguenze?
R: Se hai definito l’accertamento (pagando in adesione, o pagando con acquiescenza senza ricorrere), quella pretesa tributaria per quell’anno e quel reddito si estingue definitivamente . L’Agenzia non potrà più chiederti altro su quella specifica materia (affitti di quell’anno). È però importante conservare con cura la documentazione: ricevute F24, eventuale atto di adesione firmato, quietanze, ecc., nel caso in futuro sorga qualche disguido (talora emergono cartelle “residuali” per interessi o simili – avendo le carte, dimostri di aver già chiuso). Detto ciò, bisogna considerare due cose: (1) Se l’affitto in nero riguardava più annualità, spesso l’Agenzia notifica un anno per volta. Chiudere un anno non significa automaticamente che non possano controllare l’anno successivo. Assicurati dunque di sistemare tutti gli anni in cui hai omesso di dichiarare, magari ricorrendo per tempo al ravvedimento per quelli non ancora accertati. Sarebbe spiacevole pagare tutto per il 2019 e poi nel 2026 vedersi arrivare l’atto per il 2020. Meglio prevenire completando la regolarizzazione. (2) Se gli importi erano molto elevati e tu non avevi altre fonti di reddito lecite, la Guardia di Finanza potrebbe aprire accertamenti patrimoniali per capire come hai speso quei soldi non tassati (ipotizzando riciclaggio, ad esempio). Ma onestamente, per dei redditi da locazione ciò è raro a meno che non ci siano indizi di reimpiego in attività illecite. Nella normalità, una volta pagato quanto dovuto, la posizione fiscale è pulita e puoi stare tranquillo . Anzi, avendo regolato tutto, difficilmente verrai attenzionato di nuovo a breve (il Fisco di solito concentra risorse su chi continua a evadere, non sul “pentito” che ha già versato). L’importante è non ricadere nell’errore in futuro: chi viene scoperto una volta farebbe bene a dichiarare correttamente gli affitti successivi, perché in caso di recidiva l’Agenzia avrà mano molto più pesante (e minori margini di tolleranza) .
D: In caso di accertamento, chi ha l’onere della prova?
R: Nel diritto tributario vige il principio che spetta all’Amministrazione finanziaria fornire quantomeno un principio di prova (o un quadro presuntivo) dell’evasione; una volta fatto ciò, l’onere della prova si sposta sul contribuente che deve dimostrare il contrario . In pratica, se il Fisco ti contesta redditi non dichiarati, di solito lo fa sulla base di dati oggettivi: un contratto registrato, un bonifico, una comunicazione da Airbnb, ecc. Quello costituisce già una prova iniziale sufficiente a legittimare l’accertamento. A quel punto sta a te contribuente provare che quei redditi non erano imponibili o non erano tuoi. Ad esempio, se l’Agenzia mostra che sul tuo conto entravano ogni mese €500 da un certo Tizio con causale “affitto”, sta a te provare che non si trattava di un affitto – il che è estremamente difficile, a meno di fantasiose spiegazioni documentate (es: “era un prestito, ecco il contratto di mutuo tra me e Tizio” oppure “era mio padre che mi restituiva dei soldi che gli avevo dato”). Se non fornisci prove convincenti, la presunzione del Fisco prevarrà . In casi come i redditometri o accertamenti sintetici basati sul tenore di vita, c’è una parziale inversione dell’onere: l’Agenzia presume redditi in base alle spese sostenute e il contribuente deve dimostrare che tali spese sono state finanziate con redditi esenti o già tassati (ad esempio hai comprato casa con soldi che avevi ricevuto in donazione dai genitori, già tassati in capo a loro) . Nel caso specifico di affitti in nero, l’onere per il contribuente consiste nel provare che l’immobile non era locato (se contesta il fatto stesso) oppure che i pagamenti individuati non erano canoni ma altro. Oppure ancora, se l’accertamento è forfettario (tipo “hai una seconda casa quindi presumiamo un affitto a valore di mercato”), il contribuente può difendersi mostrando che la casa era a disposizione o usata da familiari senza corrispettivo. In generale, conviene preparare un dossier probatorio robusto: contratti registrati (se esistenti), ricevute di versamento imposte già pagate, documenti che spieghino movimenti di denaro, fotografie, utenze, e persino dichiarazioni scritte di terzi . Un buon set di prove può convincere l’Ufficio a desistere già in sede di contraddittorio o può ribaltare la situazione davanti al giudice . Senza prove, invece, ci si affida solo a contestazioni formali che, seppur utili, non danno la certezza di evitare il pagamento. Insomma: il Fisco deve fornire un indizio concreto, ma poi tu devi essere pronto a controbattere con fatti e documenti.
Conclusione
Affittare immobili in nero, senza dichiarare i canoni, può apparire una scorciatoia per risparmiare sulle tasse, ma alla luce di quanto esposto si rivela una scelta altamente rischiosa e spesso controproducente. Oggi il Fisco dispone di una varietà di strumenti sofisticati per individuare le locazioni non dichiarate – dalle banche dati incrociate ai flussi informativi da intermediari e banche – e le sanzioni previste possono azzerare i vantaggi economici ottenuti evadendo, se non addirittura superarli . Inoltre, le conseguenze si estendono sul piano civile: un contratto non registrato è giuridicamente debole, espone il proprietario all’inadempienza impunita dell’inquilino e priva di tutela legale (come la possibilità di sfratto celere) . Dal punto di vista del contribuente debitore, tuttavia, esistono strumenti per difendersi efficacemente: conoscere a fondo la normativa è la prima arma, seguita da un utilizzo tempestivo dei mezzi deflativi (ravvedimento, adesione, mediazione) per ridurre al minimo l’impatto di un eventuale accertamento . Quando si arriva al confronto col Fisco, occorre valutare con lucidità le proprie ragioni e decidere se sia più conveniente un accordo (con sanzioni ridotte) o una battaglia in giudizio. Quest’ultima va intrapresa solo con adeguata preparazione, raccogliendo prove e sfruttando ogni vizio procedurale, preferibilmente con l’assistenza di un legale tributarista. In molti casi, come abbiamo visto, anche un accertamento inizialmente pesante può essere annullato o ridimensionato grazie a una difesa puntuale e ben documentata .
In definitiva, la miglior strategia rimane quella preventiva: regolarizzare i contratti, dichiarare i redditi da affitto (magari optando per la cedolare secca quando conviene) ed evitare così di incorrere in violazioni. Le recenti normative – dal codice identificativo per affitti brevi all’aumento della cedolare per i multi-affittuari – indicano chiaramente la direzione del legislatore: contrastare con fermezza gli affitti in nero. Per i proprietari ciò significa adeguarsi a regole più stringenti ma anche poter operare con maggiore serenità, senza la spada di Damocle di sanzioni future. In ogni caso, se l’accertamento dovesse scattare, non è mai troppo tardi per difendersi: con consapevolezza dei propri diritti e, se necessario, con il supporto di professionisti qualificati, è possibile gestire anche questa situazione, riducendo i danni e riportando in carreggiata la propria posizione fiscale . Ricordiamo sempre che l’obiettivo dell’ordinamento non è punire oltre misura, ma recuperare il dovuto e ristabilire la legalità: mostrando collaborazione (ravvedendosi) o opponendosi con ragioni valide, il contribuente può uscirne senza vedere vanificati i propri investimenti immobiliari. In sintesi, affitti regolari e dichiarati equivalgono a sonni tranquilli; affitti in nero, al contrario, possono trasformarsi in un incubo fatto di cartelle esattoriali, liti giudiziarie e mancati incassi. Meglio evitare il problema all’origine, ma se ormai è successo, agire subito e in modo informato è la chiave per difendersi con successo.
Fonti: Normativa: TUIR (DPR 917/1986) artt. 25-26; DPR 131/1986; DLgs 471/1997; DLgs 74/2000; L. 431/1998 art. 13; L. 311/2004 art. 1 c.346; DL 50/2017 art.4; L. 178/2020 c.595; L. 197/2023 c.63. Prassi: Circolare Ag. Entrate 26/E/2011; 24/E/2017; 10/E/2024. Giurisprudenza: Cass. civ. 15582/2021 , 9475/2021 , 12836/2023 , 16223/2014 , 26641/2022 ; Corte Giust. UE C-83/21 ; Cons. Stato 6227/2022 ; CTR Lombardia 4451/2019 ; etc. (Vedi riferimenti specifici nel testo), Cassazione civile Sez. III sentenza n. 15582 del 4 giugno 2021.
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Vuoi sapere quali sono le conseguenze e come puoi difenderti da questa accusa?
Gli affitti in nero si verificano quando un immobile viene concesso in locazione senza un contratto registrato o con un contratto che dichiara un canone inferiore a quello realmente percepito. L’Agenzia delle Entrate può scoprirli tramite controlli incrociati, segnalazioni, verifiche sui conti correnti o denunce degli stessi inquilini.
👉 Un accertamento non significa automaticamente evasione: il contribuente ha diritto di contestare e difendere la propria posizione.
⚖️ Perché scatta l’accertamento
- Contratto di locazione non registrato;
- Contratto registrato con canone ridotto rispetto a quello effettivamente percepito;
- Segnalazione dell’inquilino o del condominio;
- Controlli su movimentazioni bancarie e bonifici di pagamento;
- Controlli incrociati con utenze, dati catastali e dichiarazioni dei redditi.
📌 Conseguenze possibili
- Recupero delle imposte non versate sui canoni percepiti;
- Sanzioni dal 120% al 240% dell’imposta evasa;
- Interessi di mora;
- Registrazione d’ufficio del contratto con durata minima di 4 anni e canone stabilito per legge;
- Nei casi più gravi, procedimenti penali tributari per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione.
🔍 Come difendersi
- Verifica l’accertamento: individua le prove usate dal Fisco (denunce, bonifici, controlli catastali).
- Recupera la documentazione: eventuali contratti, ricevute, accordi scritti con l’inquilino.
- Contesta le presunzioni: il Fisco deve dimostrare con elementi concreti la percezione di affitti in nero.
- Dimostra la natura delle somme: non tutti i pagamenti ricevuti sono canoni (es. rimborsi spese, anticipi, depositi cauzionali).
- Predisponi memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per ridurre o annullare la pretesa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’avviso di accertamento e le prove utilizzate dall’Agenzia delle Entrate;
- 📌 Ricostruisce la reale natura dei rapporti tra proprietario e inquilino;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi fondati su norme e giurisprudenza;
- ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con il Fisco e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta soluzioni alternative, come adesione o definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in locazioni e fiscalità immobiliare;
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e accertamenti su redditi da locazione;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un accertamento su affitti in nero può avere conseguenze molto pesanti, ma non sempre le contestazioni del Fisco sono fondate.
Con una difesa legale mirata puoi contestare le presunzioni, dimostrare la reale natura delle somme e ridurre le pretese economiche.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti sugli affitti in nero inizia qui.