Hai svolto lezioni private o ripetizioni e hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per non aver dichiarato i compensi percepiti? I redditi derivanti da queste attività, anche se occasionali, devono essere dichiarati. Negli ultimi anni i controlli del Fisco sono aumentati, grazie all’incrocio di dati, segnalazioni e verifiche bancarie. L’omissione può comportare il recupero delle imposte con sanzioni e interessi, ma ci sono strumenti di difesa.
Quando scattano le contestazioni del Fisco
– Se i compensi percepiti per lezioni private o ripetizioni non sono stati indicati nella dichiarazione dei redditi
– Se i pagamenti ricevuti non risultano coerenti con i redditi dichiarati (es. bonifici o accrediti bancari non giustificati)
– Se l’attività è stata svolta in modo continuativo ma dichiarata come occasionale
– Se vengono contestate detrazioni o deduzioni non spettanti collegate all’attività
– Se gli importi percepiti superano i limiti previsti e non sono stati inquadrati correttamente a livello fiscale
Cosa rischi in caso di omissione
– Recupero delle imposte non versate sui compensi omessi
– Sanzioni amministrative dal 90% al 180% delle imposte dovute
– Interessi di mora sulle somme contestate
– Contestazione del reato di dichiarazione infedele se gli importi superano determinate soglie
– Estensione dei controlli ad altri redditi o detrazioni dichiarate
Come difendersi da un accertamento per omissione di compensi
– Dimostrare la natura occasionale delle lezioni, quando non ricorrono i requisiti di abitualità dell’attività
– Presentare documentazione bancaria o ricevute che provino i compensi effettivi percepiti
– Contestare eventuali errori di calcolo dell’Agenzia delle Entrate
– Dimostrare che alcune somme incassate non costituiscono reddito imponibile (ad esempio rimborsi spese)
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per chiedere l’annullamento o la riduzione della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’accertamento e verificare i presupposti della contestazione
– Valutare se i compensi rientrano nei redditi occasionali o se serviva un diverso inquadramento fiscale
– Contestare le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate prive di riscontri oggettivi
– Predisporre memorie difensive e ricorsi in sede tributaria
– Negoziare con il Fisco eventuali soluzioni di adesione per ridurre imposte e sanzioni
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle imposte e delle sanzioni richieste
– La sospensione di procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di regolarizzare la posizione fiscale pagando solo quanto realmente dovuto
⚠️ Attenzione: anche i compensi derivanti da attività saltuarie come lezioni private devono essere dichiarati. Tuttavia, molte contestazioni del Fisco si basano su presunzioni che non sempre corrispondono alla realtà: con prove concrete e una difesa ben impostata è possibile ribaltare l’accertamento.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare un accertamento per omissione di compensi da lezioni private e ripetizioni e come difenderti dalle pretese fiscali indebite.
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Introduzione
L’attività di lezioni private e ripetizioni scolastiche è molto diffusa in Italia, ma spesso svolta “in nero” (senza dichiarare i compensi al Fisco). Studi e sondaggi indicano che circa 9 insegnanti su 10 non dichiarano i compensi da ripetizioni, con un’evasione stimata in centinaia di milioni di euro l’anno . Per contrastare questo fenomeno, il legislatore ha introdotto dal 2019 un’imposta sostitutiva agevolata al 15% per i docenti delle scuole che impartiscono lezioni private, proprio al fine di incentivare l’emersione di tali redditi. Nonostante ciò, molti contribuenti (docenti e non) continuano a offrire ripetizioni senza regolarizzare la loro posizione fiscale, esponendosi al rischio di accertamenti tributari.
Quando il Fisco scopre compensi non dichiarati da lezioni private, l’insegnante (o comunque il prestatore) si trova destinatario di un avviso di accertamento per redditi omessi. Da quel momento, in qualità di debitore d’imposta, dovrà difendersi per evitare (o ridurre) sanzioni salate e il pagamento delle imposte evase, spesso con interessi. Questa guida – aggiornata ad agosto 2025 – offre un’analisi avanzata ma dal taglio pratico e divulgativo su come difendersi da un accertamento per omissione di compensi da lezioni private, dal punto di vista del contribuente.
Esamineremo innanzitutto la normativa fiscale italiana applicabile: come sono qualificati i compensi da lezioni private, quali sono gli obblighi dichiarativi, IVA e previdenziali per chi svolge questa attività e quali regimi fiscali agevolati sono previsti (ad es. il regime forfettario e l’imposta sostitutiva 15% introdotta dalla L. 145/2018). Chiarire questi aspetti normativi è fondamentale, poiché molte contestazioni nascono proprio dalla distinzione tra attività occasionale e abituale e dal mancato rispetto degli obblighi relativi.
Successivamente, ci addentreremo nelle procedure di accertamento: vedremo come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza individuano i compensi non dichiarati (dalle indagini bancarie alle presunzioni sul tenore di vita) e quali sono i passi dell’accertamento fiscale. Quindi illustreremo le strategie difensive a disposizione del contribuente nelle varie fasi: – Prevenzione (prima che sorga la contestazione, per evitare di finire nel mirino o per trovarsi preparati in caso di controlli); – Fase pre-contenziosa (strumenti come l’autotutela, l’adesione all’accertamento, il reclamo e la mediazione tributaria); – Fase contenziosa (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria – ex Commissioni Tributarie – di primo e secondo grado, fino alla Corte di Cassazione, con esempi di giurisprudenza recente favorevole ai contribuenti).
Nel corso della trattazione saranno riportate fonti normative, prassi ufficiali (es. interpelli e circolari dell’Agenzia delle Entrate) e sentenze aggiornate (di Commissioni Tributarie e Corte di Cassazione) per supportare i concetti chiave. Troverete inoltre tabelle riepilogative – ad esempio per confrontare obblighi e sanzioni tra prestazione occasionale e abituale – e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni in materia. Non mancheranno casi pratici e simulazioni basate su scenari tipici (tutti riferiti al contesto italiano), per mostrare concretamente cosa può accadere e come il contribuente può reagire efficacemente.
Nota sul linguaggio: il tema è tecnico e verranno utilizzati termini giuridico-fiscali precisi, ma lo stile resta divulgativo, pensato sia per professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti, consulenti) sia per i singoli docenti o altri cittadini che vogliono capire come gestire correttamente (e difendere) i compensi da lezioni private non dichiarati. Iniziamo dunque chiarendo quali sono le regole fiscali per questo tipo di redditi.
Inquadramento normativo: lezioni private occasionali vs abituali
Dal punto di vista fiscale italiano, i compensi derivanti da lezioni private possono essere inquadrati in due modi, a seconda di come e con quale frequenza l’attività viene svolta:
- Prestazione occasionale (lavoro autonomo occasionale) – se impartire lezioni private non costituisce un’attività esercitata in modo abituale o professionale, ma avviene in maniera sporadica ed episodica. In tal caso, l’insegnante opera senza partita IVA e i compensi rientrano tra i redditi diversi ai fini IRPEF (art. 67, co.1, lett. l, TUIR) .
- Attività abituale (professionale) – se le lezioni private sono svolte con regolarità, stabilità e sistematicità, configurando un vero e proprio esercizio professionale (anche non esclusivo) di lavoro autonomo . In questo caso, scatta l’obbligo di aprire una partita IVA e l’attività viene trattata fiscalmente come lavoro autonomo abituale (art. 53 TUIR) .
La distinzione occasionale vs abituale non dipende da una soglia fissa di compensi o dal numero di ore in assoluto, ma da una valutazione complessiva dei fatti. La legge italiana non fissa un tetto monetario oltre il quale l’attività diventa automaticamente abituale . Conta invece la presenza degli elementi di professionalità e continuità: ad esempio, svolgere ripetizioni tutte le settimane durante l’anno scolastico (anche per importi modesti) è sintomo di abitualità, quindi richiede partita IVA . Viceversa, un singolo incarico isolato (magari anche ben retribuito) può rimanere occasionale se rappresenta un episodio unico, non inserito in un contesto organizzato o ripetitivo .
In pratica, se un docente impartisce poche lezioni in modo estemporaneo (es. aiuta saltuariamente un solo studente per un breve periodo), si può considerare prestazione occasionale. Ma se l’attività diventa regolare nel tempo – ad esempio più studenti seguiti con costanza settimanale, anno dopo anno – allora si configura l’esercizio abituale di un’attività di lavoro autonomo . Anche un impegno di poche ore a settimana, se costante e ripetuto, denota abitualità .
Di seguito, riepiloghiamo le principali differenze fiscali e contributive tra le due fattispecie:
Tabella 1 – Confronto tra lezioni private occasionali e abituali (regime fiscale e obblighi)
Caratteristica | Lezioni private occasionali (episodiche, senza P. IVA) | Lezioni private abituali (professionali, con P. IVA) |
---|---|---|
Inquadramento Reddituale | Reddito diverso da lavoro autonomo occasionale (art. 67, co.1, lett. l, TUIR) . | Reddito di lavoro autonomo professionale (art. 53 TUIR) . |
Partita IVA | Non richiesta se l’attività è meramente occasionale (assenza di abitualità) . | Obbligatoria se l’attività è svolta con abitualità (anche se non esclusiva) . |
Obblighi IVA | Nessuna fattura, attività fuori campo IVA (perché manca il presupposto soggettivo dell’abitualità) . Emissione di ricevuta non fiscale per quietanza. | Fatturazione richiesta (essendo soggetto passivo IVA). Esenzione IVA per legge: le lezioni scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale sono esenti ex art. 10, c.1, n.20 DPR 633/1972 . Si può optare per la dispensa da adempimenti IVA (art. 36-bis DPR 633/72) se si effettuano solo operazioni esenti . |
Regime fiscale IRPEF | I compensi concorrono al reddito IRPEF come redditi diversi. Il netto è calcolato sottraendo eventuali spese vive documentate (es. materiale didattico, trasporti) . Tassazione secondo le aliquote IRPEF ordinarie per scaglioni (salvo opzione per imposta sostitutiva se docente, v. sotto). | I compensi costituiscono reddito di lavoro autonomo. Possibile scelta tra: Regime ordinario (deduzione spese effettive, tassazione IRPEF per scaglioni) oppure Regime forfettario (ricavi ≤ €85.000: reddito = ricavi × coefficiente, imposta sostitutiva 15% o 5% startup) . Per i docenti di ruolo, alternativa aggiuntiva: Regime speciale L. 145/2018 con imposta sostitutiva 15% sui compensi da lezioni private . NB: regime forfettario e regime speciale non sono cumulabili tra loro . |
Dichiarazione dei redditi | Se si superano €4.800 lordi annui (unica soglia di esenzione per redditi occasionali) o se si hanno altri redditi, è obbligatorio dichiarare i compensi nel quadro RL – Redditi Diversi del Modello Redditi (rigo RL15) o nel rigo D5 del Mod. 730 . Sotto €4.800 annui come unico reddito si è esonerati dall’obbligo (il reddito ricade nella “no tax area” grazie alle detrazioni) , ma è consigliabile dichiarare comunque se si sono subite ritenute per recuperarle . | Obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF) con il quadro RE (redditi di lavoro autonomo) se regime ordinario/forfettario, oppure quadro RM – Sez. XVII se si applica l’imposta sostitutiva 15% per docenti . I compensi assoggettati a imposta sostitutiva non confluiscono nel reddito complessivo IRPEF e vanno dichiarati separatamente . |
Ritenuta d’acconto sui compensi | Solo se il committente è sostituto d’imposta (es. una scuola privata, ente o impresa): in tal caso si applica ritenuta del 20% a titolo d’acconto IRPEF . Se invece il committente è un privato cittadino, nessuna ritenuta (il compenso viene pagato per intero lordo) . | In regime di lavoro autonomo ordinario o forfettario, sulle fatture a clienti con P.IVA si applica (se dovuta) la ritenuta d’acconto 20%. Nel regime forfettario non si subiscono ritenute (va indicato in fattura che il compenso non è soggetto a ritenuta ai sensi della L. 190/2014) . Nel regime speciale 15% per docenti, parimenti i compensi non sono soggetti a ritenuta d’acconto (essendo tassati a parte) . |
Contributi previdenziali | Gestione Separata INPS: nessuna iscrizione né contributo dovuto se i compensi occasionali annui (somma di tutti i committenti) ≤ €5.000 lordi . Oltre €5.000, scatta l’obbligo di iscrizione GS e il versamento dei contributi sull’importo eccedente €5.000 . L’aliquota è circa il 33% (nel 2025) . Nota: questo obbligo vale anche per lavoratori già dipendenti, poiché riguarda l’attività autonoma separatamente (avere già una copertura pensionistica da dipendente non esonera dai contributi su lavoro autonomo). | Se l’insegnante con P.IVA non è iscritto ad altre casse professionali, deve iscriversi alla Gestione Separata INPS come professionista e versare contributi sull’intero reddito professionale (aliquota ~26-33% a seconda dei casi). I docenti delle scuole statali hanno già una posizione previdenziale (Gestione ex-INPDAP); tuttavia, l’INPS potrebbe richiedere contribuzione separata sui redditi da libera professione se l’attività di lezioni private è abituale. (La situazione è complessa: alcuni orientamenti giurisprudenziali hanno escluso contributi sotto €5.000 confermando la natura non abituale , ma un’attività abituale di fatto può far sorgere obblighi contributivi anche sotto soglia . In ogni caso, superata la soglia di €5.000 annui, i contributi GS sono dovuti). |
IVA sulle lezioni | Non applicabile (attività fuori campo IVA per mancanza di abitualità) . Di fatto, le ricevute occasionali non espongono IVA. | Operazioni esenti IVA ex art. 10, c.1, n.20 DPR 633/72 (lezioni scolastiche/universitarie impartite personalmente) , da indicare in fattura. Obbligo di fatturazione comunque presente , salvo dispensa ex art. 36-bis DPR 633/72. L’esenzione IVA significa che il docente non addebita IVA allo studente, ma deve comunque avere la P.IVA attiva e rispettare gli adempimenti (registri, dichiarazione IVA con operazioni esenti, salvo dispensa). |
Come si nota dalla tabella, la principale linea di demarcazione è data dal requisito dell’abitualità. Se l’attività di ripetizioni è abituale, il docente è giuridicamente un lavoratore autonomo: deve dotarsi di partita IVA e rispettare tutte le regole (pur con le semplificazioni ed esenzioni specifiche previste, come l’esenzione IVA). Al contrario, se riesce a mantenere le lezioni in un ambito sporadico, può operare senza IVA, con minori formalità (ricevute anziché fatture) e tassazione come reddito diverso.
Dal 2019, come accennato, esiste un’importante agevolazione fiscale ad hoc per i docenti: la flat tax 15% sui compensi da lezioni private introdotta dalla legge di Bilancio 2019 (L. 30/12/2018 n. 145, commi 13-16) . Tale regime speciale si applica esclusivamente ai docenti titolari di cattedra nelle scuole pubbliche o paritarie di ogni ordine e grado, per i compensi derivanti da attività didattiche private (ripetizioni, lezioni private). In sostanza: un insegnante di ruolo che dà lezioni private può optare per pagare il 15% secco su quei compensi, in luogo di IRPEF e addizionali .
Come funziona questa imposta sostitutiva? I punti chiave sono: – Si applica per default sui compensi da lezioni private dei docenti in ruolo, salva opzione per la tassazione ordinaria IRPEF . Dunque, è il regime naturale per tali redditi dal 2019 in poi, a meno che il docente non preferisca includerli nel reddito complessivo (ad esempio se l’importo è molto basso e verrebbe azzerato dalle detrazioni) . – I compensi vanno indicati separatamente nel Quadro RM della dichiarazione dei redditi e non concorrono al reddito complessivo IRPEF . Non rilevano per detrazioni/deduzioni generali, ma rilevano ai fini ISEE . – È comunque necessario rilasciare documentazione del compenso (fattura) e, se l’attività è abituale, ciò non dispensa dall’apertura della partita IVA. La legge 145/2018 infatti non ha derogato agli obblighi IVA: l’Agenzia delle Entrate ha chiarito nel 2024 che un docente che impartisce 5-6 lezioni a settimana in modo continuativo deve mantenere la partita IVA, anche se utilizza l’imposta sostitutiva . Il regime speciale incide sulla tassazione diretta, ma per l’IVA restano “le regole ordinarie” : in altri termini, attività abituale = soggettività IVA, con obbligo di fatturazione (in esenzione art. 10 DPR 633/72) . – Regime speciale e regime forfettario non possono coesistere: la normativa forfettaria esclude chi “si avvale di regimi speciali IVA o di determinazione forfettaria del reddito” . Dunque un docente con P.IVA che volesse applicare la flat tax 15% deve uscire dal forfettario. Non può avere entrambe le agevolazioni nello stesso anno . – L’imposta sostitutiva va versata entro il termine IRPEF ordinario (saldo e acconto), e per essa si applicano le stesse regole di accertamento e sanzioni previste per l’IRPEF . Ciò significa che, in caso di mancato versamento/dichiarazione di questi compensi, il Fisco procederà come per qualsiasi altro reddito non dichiarato (accertamento, interessi, sanzioni).
Importante: effetti sul passato. Se un docente rientrante in questa categoria non ha dichiarato compensi dal 2019 in poi, è ragionevole ritenere che in sede di accertamento l’Agenzia applichi l’aliquota del 15% (prevista dalla norma) su tali somme. Infatti, la legge configura la tassazione al 15% come regime naturale (il contribuente avrebbe dovuto compilare il quadro RM e pagare il 15%). In assenza di opzione per l’ordinario, anche recuperando a posteriori le imposte il Fisco tendenzialmente richiederà il 15% di imposta su quei compensi, oltre interessi e sanzioni per l’omesso versamento. Resta ferma però l’applicazione delle sanzioni amministrative per l’omessa dichiarazione di quei redditi (il regime fiscale agevolato non esime dalle sanzioni per inadempimento dichiarativo). Più avanti analizzeremo nel dettaglio l’entità di tali sanzioni e le possibilità di ridurle.
Caso particolare – Docenti di ruolo e partita IVA: va sottolineato che per i docenti dipendenti pubblici esistono anche norme extra-fiscali da rispettare. L’art. 53 D.Lgs. 165/2001 richiede l’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza per svolgere attività extra-professionali retribuite (come le lezioni private). Inoltre, è vietato impartire lezioni a studenti del proprio istituto (per ragioni di conflitto di interessi – art. 508 D.Lgs. 297/1994). Dal punto di vista fiscale queste norme non influiscono direttamente sul trattamento tributario, ma un docente colto a dare ripetizioni “di nascosto” ai propri studenti potrebbe incorrere anche in sanzioni disciplinari. Ad ogni modo, ai fini di un accertamento tributario l’aspetto principale è l’omessa dichiarazione dei redditi e/o l’omessa apertura della partita IVA se dovuta.
Riassumendo questa sezione normativa: chi impartisce lezioni private deve valutare attentamente la natura della propria attività. Se è occasionale, può evitare partita IVA ma deve comunque dichiarare gli importi percepiti (salvo piccolissime somme entro la no tax area) e rispettare gli eventuali obblighi di ritenuta. Se invece l’attività è continuativa, il tentativo di mascherarla da “occasionale” è molto rischioso: il Fisco può contestare l’omessa apertura di partita IVA e l’occultamento di redditi, con conseguenti imposte evase e sanzioni. Come vedremo, proprio l’elemento dell’abitualità è spesso al centro delle contestazioni fiscali: il contribuente sostiene magari che si trattava di poche lezioni occasionali, mentre l’amministrazione finanziaria, sulla base di indizi, ritiene si tratti di un vero secondo lavoro non dichiarato. Spostiamoci dunque sul versante dell’accertamento: come il Fisco individua queste situazioni e cosa succede dopo la notifica di un avviso di accertamento per compensi omessi.
L’accertamento fiscale: metodi di scoperta e avvio del procedimento
Come può l’Amministrazione finanziaria scoprire che un insegnante sta dando ripetizioni in nero? Considerato che il committente nelle lezioni private è spesso un privato cittadino (lo studente o la famiglia) che non ha obblighi di segnalazione al Fisco, le ripetizioni “sommerse” non generano tracce dirette (fatture o Certificazioni Uniche). Tuttavia, il Fisco dispone di vari strumenti investigativi e fonti informative, tra cui:
- Controlli incrociati e segnalazioni: Talvolta l’input arriva da segnalazioni anonime o esposti. Ad esempio, in alcuni casi sono stati proprio genitori o colleghi a segnalare situazioni anomale (soprattutto se c’è violazione del divieto di fare ripetizione a propri studenti). La Guardia di Finanza ha condotto operazioni mirate in certe province: ad Ascoli Piceno e Fermo, ad esempio, furono messi sotto osservazione docenti che impartivano lezioni private “completamente in nero”, con sospetti di accordi tra professori per scambiarsi gli studenti in difficoltà . Anche indagini giornalistiche e parlamentari hanno portato attenzione sul fenomeno , ma nella pratica le segnalazioni individuali (es. la denuncia di un genitore insoddisfatto) possono innescare verifiche fiscali mirate.
- Verifiche bancarie e finanziarie: Uno degli strumenti più potenti è l’indagine finanziaria sui conti correnti dell’insegnante. L’Agenzia delle Entrate può chiedere, tramite la Guardia di Finanza o direttamente, l’accesso ai movimenti bancari del contribuente sospettato. Se emergono operazioni di accredito ricorrenti non giustificate (es. frequenti versamenti in contanti, assegni da privati, bonifici con causali ambigue), questi flussi possono insospettire il Fisco . In effetti, versamenti bancari non giustificati sono per legge presunti redditi imponibili salvo prova contraria (art. 32 DPR 600/1973): sta al contribuente dimostrare che quei soldi hanno origine legittima e non costituiscono compensi occultati. Nel caso di un docente, ad esempio, una serie di bonifici mensili da vari privati potrebbe suggerire compensi per lezioni private non dichiarate. Le presunzioni tratte dai conti correnti sono uno strumento spesso usato “a tavolino”, incrociando capacità di spesa e versamenti con il reddito noto. Una sentenza della CTR di Trento del 2017 offre un esempio concreto: a un’insegnante era stato imputato un maggior reddito non dichiarato desunto dal tenore di vita e da movimenti bancari sospetti; i giudici però le hanno dato ragione, annullando l’accertamento perché l’Agenzia non aveva raccolto prove certe di un’attività extra e aveva proceduto senza un adeguato contraddittorio . Questo caso evidenzia che le mere risultanze bancarie, se non gravi, precise e concordanti, possono essere contestate. Ne riparleremo nelle strategie difensive.
- Accertamento “sintetico” (redditometro): Oltre ai conti, il Fisco può utilizzare l’accertamento sintetico basato sul reddito presunto in base alle spese sostenute e al patrimonio (il cosiddetto redditometro). Se un insegnante con stipendio modesto risulta avere spese elevate (auto di lusso, viaggi costosi, acquisto di immobili), l’Agenzia può ipotizzare che disponga di redditi non dichiarati (come entrate da lezioni private in nero, affitti non dichiarati, ecc.) . Il redditometro elabora un profilo di spesa e, se il reddito dichiarato risulta incongruo (scostamento di oltre 20%), scatta un invito a chiarire. In tal sede, il contribuente deve dimostrare che quelle spese sono state finanziate da redditi esenti o risparmi pregressi, altrimenti l’ufficio può attribuire un reddito sintetico. Per esempio, la CTR Lombardia (sent. n. 1129/2022) ha annullato un accertamento sintetico perché l’Ufficio non aveva considerato adeguatamente le giustificazioni del contribuente sulle fonti delle entrate . Nel contesto lezioni private, il redditometro da solo difficilmente basta a provare l’evasione (è indizio, non prova specifica), ma può certamente attivare un controllo.
- Osservazione sul campo e altre prove: In alcuni casi la Guardia di Finanza svolge veri e propri appostamenti o controlli sul territorio. Ci sono stati “blitz” in cui le Fiamme Gialle hanno scoperto docenti che davano lezioni private a domicilio con decine di allievi, oppure casi di “scambio” di studenti tra colleghi per eludere i divieti (un prof. A dà ripetizioni agli studenti del prof. B e viceversa) . Tali operazioni possono sfociare in un Processo Verbale di Constatazione (PVC) con raccolta di prove: ad esempio, elenco di studenti seguiti, pagamenti ricevuti in contanti, testimonianze dei genitori. Se vengono trovati elenchi, agende, messaggi oppure se gli stessi contribuenti ammettono le lezioni (magari ingenuamente), queste sono prove dirette di compensi non dichiarati. Anche Internet può tradire: annunci online di ripetizioni, post sui social network in cui il docente offre servizi, piattaforme come “Superprof” con recensioni degli studenti – tutte fonti che il Fisco può reperire e collegare al contribuente.
In generale, l’attività di controllo può partire in modo mirato (quando c’è un sospetto concreto) oppure in modo generalizzato (ad esempio controlli a tappeto su insegnanti in una certa zona). Una volta raccolti sufficienti elementi, l’Agenzia delle Entrate procede tipicamente così:
- Invito al contraddittorio o questionario: prima di emettere l’atto finale, l’Ufficio spesso invia un questionario al contribuente, chiedendo chiarimenti su determinati accrediti o chiedendo se ha percepito redditi diversi. Oppure convoca il contribuente per un contraddittorio endoprocedimentale, specie negli accertamenti sintetici. È importante rispondere nei termini, fornendo spiegazioni e documenti: ad esempio, se alcuni versamenti sul conto non c’entrano con le ripetizioni (ma sono aiuti familiari, o vendita di oggetti usati), vanno documentati subito. In mancanza di risposte convincenti, l’Ufficio procederà comunque.
- Emissione dell’👉 Avviso di Accertamento: è l’atto con cui l’Agenzia contesta formalmente il maggior reddito non dichiarato e liquida le maggiori imposte dovute. Nel nostro caso, l’avviso indicherà che il contribuente ha omesso di dichiarare compensi da lezioni private per un certo importo in uno o più anni d’imposta, con conseguente IRPEF evasa (o imposta sostitutiva evasa) e relative sanzioni. Esempio: “Accertato maggiore reddito di €10.000 per l’anno X, tassato ai fini IRPEF (aliquota media Y%) con imposta evasa €Z, sanzione per infedele dichiarazione al 90% pari a €Z×90%, oltre interessi”. Se l’attività era ritenuta abituale e non c’era P.IVA, potrebbero essere contestate anche sanzioni accessorie per violazioni IVA (omessa presentazione dichiarazione IVA, omessa fatturazione – sebbene trattandosi di operazioni esenti, l’IVA evasa sia zero, la violazione è formale) . In certi casi, se l’ammontare è rilevante, l’ufficio può contestare IRAP e IVA (in teoria IVA esente, ma l’omessa dichiarazione IVA comporta sanzione fissa). Tuttavia, nella prassi l’accertamento per lezioni private verte principalmente sull’IRPEF o imposta sostitutiva non pagata.
- Notifica dell’atto: l’avviso di accertamento va notificato (generalmente via PEC o posta raccomandata) entro i termini di decadenza stabiliti dalla legge. I termini di accertamento, a seguito delle modifiche del 2015, sono:
- Dichiarazione omessa (contribuente non ha presentato affatto la dichiarazione pur avendone l’obbligo): entro il 31 dicembre del 7° anno successivo a quello in cui la dichiarazione sarebbe dovuta (es: per redditi 2019 dichiarazione dovuta nel 2020, accertamento notificabile fino al 31/12/2027).
- Dichiarazione presentata ma infedele (redditi dichiarati solo in parte): entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello di presentazione (es: anno d’imposta 2019, dichiarazione presentata nel 2020, accertamento notificabile fino al 31/12/2025).
Se un docente di ruolo non presentava dichiarazione perché il suo CU da dipendente non superava certe soglie, ma aveva comunque redditi extra non dichiarati, tecnicamente si configura dichiarazione infedele (non omessa completamente, se aveva presentato il 730 per il lavoro dipendente senza includere le ripetizioni). In tal caso vale la finestra di 5 anni. Se invece il docente non presentava affatto la dichiarazione dei redditi (magari perché il CU da lavoro dipendente era sotto la soglia di obbligo e ignorava che l’occasionale imponibile anche di poche migliaia di € lo obbligava a presentare il Modello Redditi), allora l’Agenzia può considerarla omessa dichiarazione in senso stretto e beneficiare del termine lungo di 7 anni.
Esempio: Mario, insegnante, nel 2018 ha percepito €3.000 da ripetizioni e non ha presentato la dichiarazione (pensando non fosse obbligato avendo solo il CU stipendio con imposta già trattenuta). In realtà avrebbe dovuto dichiarare quei €3.000 (che pure avrebbero scontato poca IRPEF). Se l’Agenzia lo scopre, il 2018 è ancora accertabile fino a fine 2025 come “dichiarazione infedele” o addirittura fino al 2025/2026 come “omessa” (la giurisprudenza ha dibattuto se in tali casi di CU unico + redditi extra non dichiarati valga il termine breve o lungo; per prudenza l’Agenzia può aver notificato entro il 2024, quinto anno). Per gli anni più recenti (2019 e seguenti) siamo ancora nei termini di accertabilità in ogni caso (fino al 2025 o oltre).
- Contenuto della pretesa: l’avviso liquiderà:
- Le imposte evase: IRPEF nazionale, addizionale regionale e comunale relative ai redditi non dichiarati, oppure l’imposta sostitutiva 15% se applicabile (docenti). Se c’è IVA dovuta (in genere no per lezioni scolastiche esenti), sarebbe indicata, ma normalmente no in questi casi.
- Gli interessi moratori maturati sulle imposte non versate (calcolati giorno per giorno dalla scadenza originaria – 16 giugno dell’anno successivo – fino alla data dell’accertamento).
- Le sanzioni amministrative tributarie: tipicamente, dichiarazione infedele comporta sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta . Se l’ufficio considera omessa la dichiarazione, la sanzione sale dal 120% al 240% dell’imposta dovuta (minimo €250) . In ogni caso, l’avviso di accertamento in prima battuta applica la sanzione in misura piena (spesso al minimo edittale se non ci sono aggravanti). Ad esempio: IRPEF evasa €1.000, sanzione al 90% = €900. Va però detto che il contribuente ha vari strumenti per ridurre queste sanzioni (ne parleremo nelle sezioni seguenti sulla difesa, ad es. adesione, acquiescenza, ecc., che possono ridurre la sanzione ad 1/3 del minimo).
Oltre alle sanzioni tributarie, non vanno esclusi profili penali: tuttavia, per i reati tributari scattano soglie piuttosto elevate. Il reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) si configura solo se l’imposta evasa supera €100.000 e il reddito sottratto supera il 10% di quello dichiarato o comunque €2 milioni . Il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) richiede imposta evasa oltre €50.000 . Nella gran parte dei casi di ripetizioni in nero, queste soglie non vengono raggiunte (bisognerebbe omettere decine di migliaia di euro di redditi all’anno). Dunque è raro incorrere in responsabilità penale per lezioni private non dichiarate, a meno di situazioni estreme. In ogni caso, l’avviso di accertamento non menziona aspetti penali: essi seguono un percorso separato (se l’ufficio ravvisa le condizioni, farà una segnalazione alla Procura). Qui ci concentriamo sulle conseguenze amministrative.
Sintesi: la scoperta di lezioni private non dichiarate può avvenire attraverso diversi canali, ma spesso si basa su presunzioni (movimenti bancari, spese non giustificate, etc.). L’Agenzia, una volta convinta dell’evasione, emette un avviso di accertamento con la richiesta di imposte e sanzioni. A questo punto il contribuente ha davanti a sé due strade: accettare e pagare (magari cercando un accordo per ridurre sanzioni) oppure opporsi formalmente. Nel capitolo successivo vedremo come difendersi, analizzando tutte le opzioni di difesa prima del processo (fase amministrativa) e, se necessario, durante il processo tributario (fase giurisdizionale), con esempi pratici e riferimenti a casi risolti favorevolmente.
Strategie di difesa: prevenzione, fase pre-contenziosa e contenzioso
Trovarsi di fronte a un accertamento fiscale per compensi omessi è sicuramente spiacevole, ma il contribuente ha a disposizione diverse strategie difensive. È utile distinguerle per fase temporale:
- Prevenzione (ex ante): misure che il contribuente può adottare prima di finire sotto accertamento, per ridurre il rischio o mettersi in regola.
- Fase pre-contenziosa (deflattiva): strumenti da utilizzare dopo aver ricevuto il PVC o l’avviso, ma prima (o in alternativa) di ricorrere in giudizio, per risolvere la controversia in via amministrativa o comunque senza arrivare alla sentenza.
- Fase contenziosa (giudiziale): la difesa vera e propria in Commissione Tributaria (oggi “Corte di Giustizia Tributaria”) di primo e secondo grado, ed eventualmente in Cassazione, per far valere le proprie ragioni e annullare/ridurre l’accertamento.
L’obiettivo, dal punto di vista del debitore d’imposta, è duplice: dimostrare l’insussistenza (o minore entità) della pretesa fiscale e, in subordine, limitare le sanzioni e gli oneri. Vediamo ciascuna fase in dettaglio.
1. Prevenzione e regolarizzazione spontanea
La miglior difesa è non trovarsi affatto in posizione irregolare o, se lo si è, regolarizzarsi prima di essere scoperti. Ecco alcune buone prassi e opportunità che possono evitare il contenzioso o comunque fornire elementi favorevoli al contribuente:
- Documentare contrattualmente le prestazioni: Se si intende operare come prestazione occasionale, è utile sin dall’inizio predisporre un accordo scritto o una lettera d’incarico in cui sia chiaro che la lezione privata è episodica e delimitata nel tempo . Ad esempio, un incarico scritto: “Lezione occasionale di 10 ore complessive nel mese di settembre 2025 per ripetizioni di matematica, compenso €X, ai sensi art. 2222 c.c.”. Non è obbligatorio per legge, ma avere un documento firmato da entrambe le parti che attesti la natura una tantum dell’attività può diventare una prova preziosa in caso di verifica . Anche semplici email dove il genitore chiede un pacchetto limitato di lezioni e il docente accetta possono servire. Questo tipo di prova può contrastare eventuali affermazioni del Fisco sull’abitualità.
- Emettere ricevute e preferire pagamenti tracciati: Come regola generale, rilasciare sempre una ricevuta per i compensi ricevuti (anche quando non c’è obbligo di fattura) è segno di trasparenza. Sulla ricevuta va indicato bene che si tratta di prestazione occasionale ex art. 67 TUIR, con i dati di docente e allievo, data e importo . Inoltre, concordare il pagamento con strumenti tracciabili (bonifico bancario, assegno, PayPal etc.) aiuta sia il prestatore sia il committente. Dal 2023 il limite all’uso del contante è stato elevato a €5.000, ma per importi sopra €1.000 è comunque consigliabile non usare cash . Un pagamento tracciato crea un record oggettivo: se un domani il Fisco chiede conto dei movimenti, poter mostrare che quei pochi accrediti sul conto sono proprio le lezioni dichiarate aiuta a non far presumere chissà quali incassi occulti . Inoltre, i pagamenti tracciati sono un indice di compliance: per le partite IVA, ad esempio, certi regimi premiali riducono i termini di accertamento se si incassa tutto con mezzi tracciati. Anche per un privato, essere in regola coi pagamenti (ed eventualmente con la marca da bollo da €2 sulla ricevuta > €77,47) dimostra buona fede.
- Non “spezzettare” artificialmente un’attività continuativa: Una tentazione diffusa è provare a far passare per occasionale un’attività di fatto continuativa, magari frammentando gli incarichi. Ad esempio, un docente segue lo stesso studente per tutto l’anno ma fa finta che ogni mese sia un incarico separato occasionale; oppure un insegnante dà ripetizioni a rotazione a tanti studenti con cadenza fissa, pensando che non essendo uno solo continuativo possa dirsi occasionale. Queste astuzie non ingannano il Fisco: guardando il quadro complessivo (stesso tipo di prestazione svolta regolarmente), l’Agenzia considererà l’attività comunque abituale. Dunque, è controproducente insistere nel “borderline”: meglio regolarizzare la posizione. Se ci si rende conto che le lezioni stanno diventando stabili (es. tutti i mesi, ogni anno scolastico), conviene valutare l’apertura di partita IVA e magari aderire al forfettario (che al 15% di imposta potrebbe addirittura essere fiscalmente più vantaggioso dell’IRPEF ordinaria) . O se si è di fatto in rapporto di dipendenza con un ente (es. si fanno ripetizioni per conto di una scuola privata come se fosse un lavoro continuativo), meglio chiedere un contratto di collaborazione o subordinato. Continuare nell’irregolarità esponendosi per anni aumenta solo il rischio di un accertamento con sanzioni cumulate. Da notare: non esiste più un parametro temporale rigido (come i vecchi “30 giorni annui” aboliti nel 2015) , quindi frammentare non serve: anche lavori ricorrenti di pochi giorni al mese possono risultare chiaramente abituali qualitativamente .
- Ravvedimento operoso: Se il contribuente non ha dichiarato compensi di anni passati, può valutare di sanare spontaneamente la situazione prima di ricevere controlli, avvalendosi del ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97). Il ravvedimento consente di presentare una dichiarazione integrativa per gli anni omessi/infedeli e pagare le imposte dovute con sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività. Ad esempio, se Mario non ha dichiarato €5.000 nel 2021, può (finché non gli è stato notificato nulla) presentare ora un Modello Redditi Integrativo 2021, includendo quei €5.000 (tassati al 15% se gli spettava la flat tax docenti, oppure all’aliquota marginale IRPEF) e versare la relativa imposta con sanzione ridotta. Per dichiarazione infedele, la sanzione minima è 90% dell’imposta: col ravvedimento oltre 2 anni di ritardo è ridotta a 1/6 (se entro il termine accertamento) o 1/5 (dopo, se ancora ammesso) . Quindi si pagherebbe circa il 15-18% di sanzione invece del 90%. Ad esempio su €1.000 di IRPEF evasa, sanzione ravveduta €150 anziché €900, più interessi modesti. Il ravvedimento operoso non è consentito dopo che siano iniziati accessi o verifiche che il contribuente sa essere a suo carico, né dopo la notifica di un PVC o di un avviso di accertamento. Ma se si fiuta il rischio (es. perché in zona stanno controllando tutti, o perché si è ricevuto un questionario) potrebbe essere ancora possibile ravvedersi prima della formalizzazione dell’accertamento. Vantaggio: si eviterebbe l’intero contenzioso, pagando il dovuto con sanzioni calmierate e chiudendo la partita. Certo, bisogna disporre delle somme per sanare e “denunciarsi” spontaneamente. Questa scelta va valutata caso per caso, anche con un consulente: ad esempio, un docente che ha omesso redditi piccoli e per pochi anni potrebbe ravvedersi a costi ragionevoli; uno che per 5 anni ha guadagnato molto e non dichiarato, potrebbe trovarsi somme e sanzioni ingenti comunque, ma il ravvedimento gli eviterebbe il peggioramento dovuto all’intervento del Fisco (sanzioni piene, magari cinque annualità tutte insieme).
- Conservare tracce dell’occasionalità: Se davvero l’attività è stata occasionale, oltre al contratto di cui sopra, è utile conservare ogni elemento che lo confermi: ad esempio, corrispondenza email, ricevute di pagamento con date distanti (a dimostrare che non c’era continuità), eventuali testi dei messaggi in cui si vede che l’attività è stata una tantum. Questi elementi potranno costituire un dossier difensivo in caso di contestazione. Allo stesso modo, se il contribuente ha già un lavoro e le lezioni erano poche, può essere utile tenere un calendario delle lezioni fatte, così da poter mostrare: “Ho fatto ripetizioni solo in giugno e luglio di quell’anno, per un totale di 20 ore”. Sembrano dettagli, ma nella difesa dall’accertamento l’onere della prova dell’occasionalità ricade in buona parte sul contribuente, quindi avere prove pronte è cruciale.
- Monitorare la soglia INPS dei €5.000: Chi svolge qualche attività occasionale e non vuole aprire subito P.IVA deve stare attento anche al lato previdenziale. Superare €5.000 lordi annui attiva l’obbligo contributivo, e l’INPS può successivamente chiedere i contributi non versati con aggiunta di sanzioni civili. Meglio quindi tenere traccia dei compensi cumulati nell’anno. Se ci si avvicina alla soglia, si può preventivamente iscriversi alla Gestione Separata e versare i contributi dovuti sull’eccedenza, evitando di aspettare l’eventuale cartella INPS . Oppure, come detto, approfittare del segnale per passare a modalità regolare (P.IVA).
In sintesi, la fase preventiva ruota attorno al concetto di compliance: più un contribuente mostra di essere trasparente e diligente (sia pure nel mantenere un’attività minima), minori saranno le possibilità che il Fisco possa eccepire qualcosa di grave o applicare sanzioni pesanti. E se comunque l’Amministrazione dovesse avviare controlli, il contribuente “preparato” avrà munizioni probatorie per difendersi già in sede di verifica.
(Nota: Molte di queste indicazioni di prevenzione sono desunte da esperienze pratiche e da consigli di esperti tributari . Naturalmente, la prevenzione ideale sarebbe dichiarare tutto e pagare le imposte dovute: qui diamo spunti su come mettere in sicurezza chi, nei limiti della legge, vuole evitare contestazioni.)
2. Fase pre-contenziosa: interlocuzione con l’ufficio, adesione e mediazione
Supponiamo ora che, nonostante tutto, arrivi la contestazione fiscale: il contribuente riceve un Processo Verbale dalla GdF o direttamente un avviso di accertamento dall’Agenzia Entrate. A questo punto, prima di ricorrere al giudice, esistono strumenti deflativi del contenzioso da considerare. L’ordinamento prevede infatti varie possibilità di accordo o soluzione anticipata, che spesso comportano significativi sconti sulle sanzioni. Vediamo i principali:
- Istanza di Autotutela: se l’accertamento contiene errori palesi (scambio di persona, calcoli sbagliati, ecc.), si può subito presentare una richiesta in autotutela all’ufficio affinché annulli o rettifichi l’atto. Tuttavia, l’autotutela non sospende i termini di ricorso, né l’ufficio è obbligato ad accoglierla. Nei casi di lezioni private, raramente ci saranno errori oggettivi clamorosi da far valere in autotutela (è più una questione di valutazione di fatti). Comunque, se per esempio il Fisco ha attribuito erroneamente al docente X redditi percepiti dal docente Y omonimo, l’autotutela è la via più rapida per chiarire e far annullare l’atto.
- Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è una procedura negoziale che consente al contribuente e all’ufficio di “venirsi incontro”. Dopo la notifica dell’avviso (o anche prima, dopo un PVC), il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Questo congela i termini per ricorrere (sospensione di 90 giorni) e apre una fase di contraddittorio con l’Agenzia. Si discute il caso, si portano eventuali documenti, e si può concordare una riduzione della pretesa. Nel nostro contesto, l’adesione potrebbe portare a un accordo su:
- Riduzione delle sanzioni: per legge, se si perfeziona l’adesione, le sanzioni si applicano al 1/3 del minimo . Dunque, anziché il 90%, diventano il 30% dell’imposta. Esempio: imposta evasa €1.000, sanzione minima 90% (€900), con adesione €300.
- Quantificazione del reddito: il contribuente può sostenere, ad esempio, che i compensi presunti sono inferiori a quanto ipotizzato dall’ufficio. Se l’Agenzia ha poche prove e teme di andare in giudizio, potrebbe accettare di abbassare l’importo accertato. Ad esempio: l’Agenzia accertava €10.000 di redditi in nero, il contribuente dimostra con testimonianze che in realtà erano €5.000; si potrebbe trovare un accordo su €7.000 come base.
- Regime fiscale: se l’ufficio avesse, poniamo, tassato quei redditi al 27% IRPEF mentre il contribuente sostiene che doveva applicarsi il 15% sostitutivo (essendo docente in ruolo), in sede di adesione si può regolare questo aspetto (riconoscendo la tassazione più bassa prevista dalla legge) – questo però è più un aspetto di diritto che di calcolo, l’ufficio dovrebbe già applicarla. Ma in adesione si può comunque chiarire ogni aspetto.
- L’adesione si perfeziona con un atto di adesione firmato e il pagamento (o prima rata) delle somme dovute entro 20 giorni. Vantaggi: oltre alla forte riduzione di sanzioni, non si paga il tributo locale (es. addizionali) sulle sanzioni e si evita il costo del contenzioso. Svantaggi: bisogna rinunciare al ricorso e pagare quanto concordato. L’adesione conviene se si ritiene di avere poche chance di vittoria totale in giudizio e se lo sconto sanzioni è appetibile. Ad esempio, un contribuente colto in flagrante senza scusanti, può tramite adesione pagare “il giusto” (magari ottenendo un taglio delle pretese esagerate dell’ufficio) con sanzioni ridotte.
- Acquiescenza (definizione agevolata ex art. 15 D.Lgs. 218/97): se il contribuente riconosce come corretto (o inoppugnabile) l’accertamento e vuole chiudere subito la vicenda, può fare acquiescenza pagando entro 60 giorni dall’avviso tutte le somme dovute. In tal caso la legge prevede la riduzione delle sanzioni ad 1/3 del minimo (lo stesso beneficio dell’adesione) . Praticamente, è uguale all’adesione dal punto di vista sanzionatorio, ma senza dover trattare: si accetta integralmente l’avviso. Conviene quando l’ufficio ha già applicato il minimo e la pretesa è oggettivamente fondata, oppure quando si teme di andare in giudizio. Ad esempio, un docente sorpreso con evidenti prove di compensi non dichiarati potrebbe valutare l’acquiescenza per chiudere subito pagando il dovuto con sanzione al 30%. Attenzione: l’acquiescenza esclude il ricorso (è una scelta definitiva).
- Reclamo e Mediazione tributaria (art. 17-bis D.Lgs. 546/92): per gli atti di valore contestato fino a €50.000, il legislatore impone una fase di reclamo/mediazione prima di andare in giudizio. In pratica, entro 60 giorni dall’avviso, si presenta un ricorso che ha anche valore di reclamo (va indicato espressamente) all’ufficio che ha emesso l’atto . Si può formulare una proposta di mediazione, ad esempio chiedendo l’annullamento totale o parziale, o una rideterminazione. L’ufficio (tramite un funzionario diverso da quello che ha fatto l’accertamento) ha 90 giorni per valutare e può:
- Accogliere in toto (annullando l’atto).
- Formulare una proposta di mediazione con riduzione di quanto richiesto.
- Non rispondere o respingere (silenzio-rigetto dopo 90 gg).
- Se si raggiunge un accordo di mediazione, le sanzioni sono ridotte al 35% del minimo (un po’ di più dell’adesione, ma comunque molto conveniente). Se la mediazione fallisce, il reclamo si considera come ricorso e prosegue in Commissione dopo i 90 giorni. Questa procedura è obbligatoria se il valore in contestazione (imposte + interessi, esclusi sanzioni) è ≤ 50.000 €. Molti casi di ripetizioni rientrano in questa soglia (basti pensare imposte evase su qualche migliaio di euro per 2-3 anni). Conviene? Sì, se il contribuente ha argomenti validi che possono persuadere l’ufficio. Ad esempio, portare nuove prove che smontano le presunzioni (ricevute di cui l’ufficio non sapeva, testimonianze giurate) e proporre di chiudere magari versando l’imposta ma con forte taglio delle sanzioni. L’ufficio potrebbe accettare per evitare i costi di una causa dall’esito incerto. In mancanza di risposte, comunque, trascorsi i 90 giorni si potrà adire la Commissione.
- Conciliazione giudiziale: qualora si arrivi comunque davanti al giudice, esiste ancora la possibilità di conciliare la causa. La conciliazione può essere provocata dal contribuente o proposta dall’ufficio durante il processo tributario di primo o secondo grado (prima della decisione). I benefici sanzionatori sono analoghi o leggermente inferiori (sanzioni al 40% del minimo in caso di conciliazione fuori udienza in primo grado, 50% se in udienza, etc.). La conciliazione richiede il benestare del giudice che omologa l’accordo. Nella pratica delle liti su piccole somme, però, spesso se si è arrivati in giudizio o c’è un principio da far valere (in caso di torto marcio del contribuente, di solito si era già definito prima).
Strategia generale in fase pre-contenziosa: È importante valutare attentamente la propria posizione. Se il contribuente ha solide prove e argomentazioni per dimostrare che l’accertamento è infondato, può decidere di non aderire e prepararsi al ricorso, utilizzando magari il reclamo/mediazione solo per anticipare le tesi. Se invece riconosce almeno in parte di aver sbagliato, può convenire cercare un accordo col Fisco per limitare i danni economici (riduzione sanzioni). Ad esempio, se Tizio sa di aver realmente guadagnato in nero €10.000, difficile negare tutto: meglio puntare a pagare il giusto senza penalità eccessive, attraverso adesione o mediazione.
Va detto che l’ufficio, davanti a chiare evidenze di abitualità e omissione, potrebbe anche trasmettere un Processo Verbale di Constatazione all’INPS per la questione contributiva (ad esempio, se ravvisano che erano superati i €5.000 e non c’è stata iscrizione). In fase di adesione o mediazione, il contribuente potrebbe provare a includere nella definizione una sorta di scomputo considerando che poi dovrà pagare contributi (ma formalmente imposte e contributi seguono percorsi separati: eventuali avvisi di addebito INPS arriveranno a parte e andranno eventualmente impugnati al Tribunale del Lavoro, non in Commissione Tributaria). Alcune Commissioni hanno annullato avvisi di accertamento fiscale laddove l’INPS non aveva provato l’abitualità per chiedere contributi , a riprova che la linea tra occasionale/abituale è sottile e va provata bene anche dagli enti.
Esempio pratico di fase pre-contenziosa: Mario (docente) riceve avviso per €8.000 non dichiarati nel 2021. Mario sa di aver effettivamente dato ripetizioni quell’anno, ma per importi minori (€5.000) e il Fisco ha esagerato stimando in base ai prelievi in banca. Inoltre, Mario è docente di ruolo e avrebbe potuto pagare solo il 15% su quei €5.000. Cosa fa? Potrebbe presentare istanza di adesione: all’incontro porta le sue agende e alcune ricevute firmate dai genitori per totale €5.000. L’ufficio, preso atto, potrebbe ridurre il reddito a €5.000, tassato al 15% (imposta €750), più sanzione 1/3 del 90% (ossia 30%, quindi €225), più interessi. In totale Mario pagherebbe ~€1.000 anziché i ~€3.000 (tra imposte e sanzioni) inizialmente pretesi. Se l’ufficio fosse rigido, Mario potrebbe comunque presentare il reclamo in cui insiste su questi punti; magari la divisione mediazione dell’Agenzia, valutando il rischio che in giudizio la spunti Mario, propone un accordo simile (es. riduci reddito a €5.000, sanzione al 35%). Mario chiude la partita. Se non trovasse ascolto, allora Mario punterebbe tutto sul ricorso al giudice.
3. Difesa in contenzioso tributario (ricorso in Commissione e impugnazioni)
Se la fase amministrativa non risolve la vicenda, il contribuente può rivolgersi alla giustizia tributaria. Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state rinominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, ma la sostanza del processo non è cambiata radicalmente (se non per alcune novità, come la figura del giudice monocratico per le liti fino a €3.000 e la possibile testimonianza scritta con giuramento per i fatti non documentali, introdotta dalla riforma 2022 – elementi che in certi casi possono giovare al contribuente). Di seguito delineiamo l’iter e gli argomenti difensivi tipici:
- Ricorso in primo grado: Il contribuente (assistito da un difensore abilitato se il valore > €3.000) deve presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (100 giorni se ha presentato istanza di adesione, poiché 60+ (max)90 sospensione). Nel caso di reclamo/mediazione obbligatoria, il ricorso si intende già presentato con la fase amministrativa; in assenza di accordo, va poi depositato in segreteria entro 30 giorni dallo scadere dei 90 (questi tecnicismi servono a non decadere). Nel ricorso vanno indicate le motivazioni per cui l’accertamento è ritenuto illegittimo/infondato. Per un accertamento su lezioni private, le linee difensive possibili sono:
- Contestare la natura abituale dell’attività: se l’Agenzia ha qualificato come lavoro autonomo abituale qualcosa che il contribuente ritiene occasionale, si dovrà dimostrare che mancava l’abitualità. Ad esempio, portando evidenza che le lezioni erano poche e non costituivano esercizio professionale (contratti occasionali, periodi limitati, importi esigui). Si può citare normativa e prassi che definiscono l’abitualità (art. 5 DPR 633/72 e art. 53 TUIR) e sottolineare che è necessaria una pluralità di atti economici coordinati e ripetuti , cosa che nel caso concreto non sussisteva. Si può allegare anche eventualmente la Circ. AE 8/E 2019 o risposta interpello 63/2024: quest’ultima infatti ribadisce che l’abitualità va accertata in concreto caso per caso , e se manca, l’attività resta fuori dal campo IVA (dunque anche il presupposto di certe sanzioni IVA cadrebbe).
- Dimostrare che i compensi accertati sono inferiori: il contribuente può produrre documenti e testimonianze che riducono la quantificazione. Ad es., se l’ufficio si è basato su 100 presunte ore di lezione, portare gli studenti a testimoniare (ora è ammessa nei limiti la prova testimoniale scritta e giurata in tributario) che in realtà le ore erano la metà. Oppure far emergere che alcuni accrediti bancari contestati avevano altra origine (regali dei parenti, rimborsi spese). Onere della prova: secondo giurisprudenza, l’ufficio può basarsi su presunzioni (es. movimenti bancari), ma queste devono essere gravi, precise e concordanti. Il contribuente deve fornire spiegazioni alternative credibili. Ad esempio, la Cassazione ha statuito che non c’è presunzione automatica che versamenti e prelevamenti bancari siano ricavi di un’attività, se l’ufficio non dimostra il nesso con tale attività . Nel caso di professionisti, la Suprema Corte (sent. 16440/2016) ha affermato che i movimenti bancari non giustificati vanno provati dall’Amministrazione come riferibili all’attività occulta, senza automatismi . Ciò può essere invocato in giudizio: l’accertamento basato solo su movimenti sospetti ma senza prove dirette di lezioni impartite potrebbe essere annullato per carenza di prova.
- Vizi procedurali: si può eccepire, se applicabile, la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. In materia di accertamento “sintetico”, ad esempio, è obbligatorio invitare il contribuente a spiegare prima di emettere l’atto. Se l’ufficio non l’ha fatto, il vizio può comportare nullità. Nel caso CTR Trento 2017 citato, i giudici hanno annullato anche per “assenza di idonea fase istruttoria e contraddittorio” . Quindi, se l’Agenzia ha dedotto redditi da spese o movimenti senza mai interpellare il contribuente, si può far valere la violazione del diritto al contraddittorio (oggi considerato principio generale). Attenzione: per gli accertamenti basati su indagini finanziarie, l’orientamento è che il contraddittorio sia garantito già dall’eventuale questionario: bisogna vedere caso per caso.
- Errori di diritto: per esempio, se l’Agenzia ha disconosciuto l’applicabilità dell’imposta sostitutiva 15% quando invece spettava. In giudizio si potrà far rilevare che il contribuente era docente in ruolo e che la legge 145/2018 imponeva il 15% (salvo opzione contraria). Il giudice potrebbe quindi ricalcolare l’imposta dovuta col regime corretto (questo ovviamente se il contribuente non aveva optato per l’ordinario – l’Agenzia potrebbe aver fatto confusione). Analogamente, se hanno applicato IVA o IRAP indebitamente, il ricorso ne chiederà l’annullamento (di solito, IRAP per un docente che da ripetizioni senza una organizzazione autonoma non è dovuta, perché manca l’autonoma organizzazione: la Cassazione esclude IRAP per professionisti senza struttura; un prof che dà ripetizioni a casa propria senza dipendenti di norma non ha autonoma organizzazione, quindi l’IRAP sarebbe illegittima).
- Sanzioni e regime sanzionatorio: Si possono chiedere ai giudici le attenuanti o la non applicazione delle sanzioni in presenza di certe condizioni. Ad esempio, l’art. 6, co.2 D.Lgs. 472/97 prevede che nessuna sanzione è dovuta se la violazione è dovuta a obiettive condizioni di incertezza normativa. Un contribuente potrebbe sostenere che c’era confusione sulla nuova legge (magari appena introdotta) o che interpretava diversamente le regole. Nel nostro caso, la docente dell’interpello 2024 sinceramente riteneva di non dover aprire P.IVA per via della legge 145/2018 . Un contribuente che avesse adottato quella stessa interpretazione prima che l’Agenzia la smentisse potrebbe invocare la buona fede e l’incertezza normativa (anche se non è garantito che attacchi: l’Agenzia aveva chiarito nel 2019 con circolare 8/E che gli obblighi IVA restavano, però pochi docenti forse ne erano a conoscenza). Vale la pena tentare se le sanzioni sono molto pesanti. I giudici tributari, inoltre, possono ridurre le sanzioni se le ritengono sproporzionate (c’è un principio di proporzionalità).
- Prova testimoniale: con la riforma 2022, in determinate condizioni si può introdurre in giudizio testimonianza resa in forma di dichiarazione giurata (attestazione scritta di terzi). Per un caso di lezioni private, potrebbe essere utile far rilasciare dichiarazioni ai genitori degli studenti che confermino, ad esempio, il numero di lezioni o l’importo pagato. Se l’ufficio afferma “hai guadagnato €10.000”, ma 5 genitori dichiarano sotto giuramento di aver pagato ognuno €300 per poche lezioni, questo è un elemento che il giudice può considerare a favore del contribuente. Prima la testimonianza era preclusa, ora c’è uno spiraglio che il difensore abile può sfruttare per materie fattuali.
Il processo tributario di primo grado culmina con una sentenza. Se il contribuente vince del tutto, l’accertamento è annullato e nulla è dovuto (salvo eventualmente quanto dichiarato in origine). Se vince parzialmente, ad esempio ottenendo la riduzione del reddito accertato o delle sanzioni, la sentenza quantificherà il nuovo importo dovuto. Se perde, l’atto è confermato (magari dovrà pagare anche un rimborso spese all’Agenzia, se liquidato). È importante ricordare che, salvo sospensive concesse dal giudice, durante il processo il contribuente è tenuto comunque a pagare un importo provvisorio: di regola 1/3 dell’imposta accertata dopo il ricorso di primo grado (e 2/3 in caso di appello). Ad esempio, se l’avviso chiedeva €3.000 di imposte, il contribuente deve versare 1/3 (€1.000) entro i termini, anche se sta litigando, a meno che ottenga la sospensione dell’esecutività dimostrando un danno grave e irreparabile nel pagarla. Questi meccanismi vanno discussi col difensore per non incorrere in cartelle esattoriali durante la causa.
- Appello in secondo grado: Sia il contribuente sia l’Agenzia possono appellare la sentenza di primo grado se parzialmente o totalmente sfavorevole. L’appello va presentato entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. In secondo grado (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, ex CTR) si riesaminano le questioni contestate in appello. Le strategie difensive sono simili, ma limitate ai motivi sollevati. Per esempio, se in primo grado il contribuente ha vinto sostenendo che non c’era abitualità, l’Agenzia potrebbe appellare dicendo che il giudice ha valutato male le prove. Il contribuente in appello dovrà consolidare quelle prove e controbattere agli argomenti nuovi dell’ufficio. L’appello è l’ultima istanza di merito: qui si possono eventualmente introdurre nuovi documenti (fino a 20 giorni prima dell’udienza) se rilevanti. Quindi, se ad esempio salta fuori una prova ulteriore a favore del contribuente che non era stata prodotta, è ancora possibile inserirla (in Cassazione poi no, si discute solo di legittimità).
- Ricorso per Cassazione: Dopo la sentenza d’appello, l’ultima chance è la Corte di Cassazione, ma questa può valutare solo errori di diritto o vizi di motivazione, non rivede i fatti. Onestamente, per una questione di lezioni private difficilmente si arriverebbe in Cassazione a meno che non vi sia una questione di principio interpretativa (es. una disputa sulla portata di una norma nuova). È più comune che la vicenda si esaurisca in primo o secondo grado. In Cassazione il contribuente dovrebbe farsi rappresentare da un avvocato cassazionista. Un possibile motivo di ricorso potrebbe essere, ad esempio, la violazione di legge se i giudici di merito hanno applicato male una norma (mettiamo, hanno considerato dovuta l’IVA quando invece c’era esenzione chiara, o hanno negato un diritto di difesa procedurale). Ma teniamo presente che arrivare fino a lì ha costi e tempi notevoli, quindi in valutazione pratica spesso non conviene se le somme non sono molto elevate.
Jurisprudenza favorevole da citare: Oltre ai casi già menzionati (sentenze provinciali e regionali di Asti 2014, Trento 2017), è opportuno ricordare che spesso i giudici tributari guardano in modo critico gli accertamenti fondati su presunzioni deboli. La CTP di Asti, nel caso del docente restauratore, ha affermato che non si poteva determinare l’esistenza di un’attività d’impresa dalla sola presenza di macchinari, e ha accolto la tesi che fosse un hobby, visto che l’amministrazione non aveva prove di ricavi effettivi . Questo principio – ossia che servono elementi certi per trasformare un hobby in reddito tassabile – può applicarsi analogicamente a un prof che occasionalmente dà qualche lezione: se l’Agenzia non porta prove solide di compensi ricevuti, ma solo indizi (es. “ha comprato un proiettore, dunque fa lezioni”), il giudice potrebbe annullare l’atto per mancanza di gravità della presunzione. Altro punto: la Cassazione ha più volte ribadito che il contribuente non può essere tassato su base presuntiva senza che l’Amministrazione fornisca elementi concreti. Nella sent. Cass. 16440/2016 già citata, la Suprema Corte ha negato la legittimità di imputare automaticamente movimenti bancari a redditi professionali occulti . Questo aiuta soprattutto se l’accertamento è “a tavolino” su dati finanziari: il difensore batterà sul fatto che “non c’è prova certa che quei versamenti derivino da lezioni private; l’Agenzia non ha individuato gli asseriti allievi né i pagamenti specifici, quindi la pretesa è aleatoria”. In assenza di riscontri, il giudice potrebbe annullare richiamando proprio i principi di Cassazione (oltre al fatto che per i professionisti i prelevamenti non giustificati non contano affatto come reddito nascosto – dunque se l’ufficio magari aveva considerato anche i contanti prelevati come soldi per acquistare materiali, ciò è illegittimo).
In sede di giudizio, il contribuente può anche chiedere la condanna alle spese della controparte se vince (cosa che può dissuadere il Fisco dall’andare avanti se sa di avere un caso debole). Inoltre, se ottiene sentenza favorevole, può valutare se ha diritto a un rimborso di eventuali somme già pagate (ad esempio quell’acconto 1/3 anticipato) e farlo presente per la liquidazione.
Conclusione delle strategie in contenzioso: Andare in giudizio ha senso quando il contribuente ha buone ragioni, supportate da prove, o quando la pretesa è nettamente esagerata o viziata. Se invece le evidenze sono a sfavore (ad es. molti studenti pronti a testimoniare per l’Agenzia, o filmati della GdF), la via giudiziale rischia solo di aggravare costi. Ecco perché, tornando alla sezione precedente, è fondamentale a monte sfruttare gli strumenti deflattivi per evitare il processo se non si intravede possibilità concreta di vittoria.
Domande frequenti (FAQ) su lezioni private non dichiarate e difesa del contribuente
D: Un insegnante deve aprire partita IVA per dare ripetizioni private?
R: Sì, se l’attività è abituale. La partita IVA è obbligatoria quando si esercita un’attività di lavoro autonomo in modo abituale e continuativo, anche se per poche ore a settimana . L’Agenzia delle Entrate ha confermato che un docente (anche dipendente statale) che impartisce lezioni private con regolarità è tenuto ad aprire partita IVA . Ciò vale anche per i docenti part-time di ruolo: l’attività extra deve essere svolta in forma professionale se continua nel tempo. Diverso è il caso di lezioni del tutto occasionali: se capitano sporadicamente, senza ripetitività, si possono considerare lavoro autonomo occasionale e non richiedono partita IVA. In pratica: qualche lezione saltuaria all’anno no, un secondo lavoro fisso da tutor sì. Va ricordato che anche con partita IVA, le lezioni impartite personalmente su materie scolastiche/universitarie sono esenti IVA (si fattura ma senza imposta, citando l’esenzione art. 10 DPR 633/72) .
D: Le lezioni private sono esenti IVA? Se apro la partita IVA devo aggiungere IVA al prezzo?
R: Le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale sono esenti da IVA ex art. 10, comma 1, n.20 del DPR 633/1972 . Ciò significa che, pur dovendo eventualmente fatturare l’operazione se si ha P.IVA, non si applica l’IVA sul corrispettivo. In fattura si indicherà la dicitura di esenzione. Quindi lo studente paga esattamente il prezzo concordato, senza alcuna maggiorazione d’imposta. Attenzione però: esenzione IVA non vuol dire esonero dagli obblighi IVA formali. Se l’attività è abituale, bisogna comunque avere la partita IVA attiva, numerare le fatture, fare la comunicazione annuale IVA (a meno di dispensa ex art. 36-bis). In alcuni casi ci si può avvalere della dispensa da adempimenti IVA (registri, dichiarazione) se si effettuano solo operazioni esenti e si rimane sotto un certo volume . Ma la P.IVA come posizione fiscale va comunque aperta.
D: Sono un insegnante di ruolo. Ho dato ripetizioni nel 2022 per circa €2.000. Devo dichiararle? Posso usare la tassazione 15%?
R: Sì, vanno dichiarate anche €2.000, perché avendo altri redditi (lo stipendio) non rientri nell’esonero totale. I docenti di ruolo possono avvalersi della tassazione agevolata del 15% introdotta dal 2019 . In pratica, nel tuo Modello Redditi PF per il 2023 (redditi 2022) dovresti compilare l’apposita sezione del quadro RM indicando i €2.000 e calcolando il 15% di imposta sostitutiva . Tali €2.000 non confluiranno nel reddito IRPEF ordinario e non scontano addizionali. Se invece presentassi il 730 (che non gestisce direttamente quell’imposta), potresti optare per la tassazione ordinaria dichiarandoli nel rigo D5 con codice 5 (redditi occasionali) . Ma nel tuo caso pagheresti probabilmente il 23% IRPEF su 2.000 = €460, mentre col 15% pagheresti €300. Quindi conviene la sostitutiva. Attenzione: anche se la cifra è modesta e magari grazie alle detrazioni da lavoro dipendente l’IRPEF su 2.000 sarebbe quasi azzerata, la norma dice che la flat tax si applica automaticamente salvo opzione per l’ordinario . Avresti dovuto manifestare l’opzione in dichiarazione se volevi l’IRPEF ordinaria. In sintesi: sì, devi dichiarare i compensi da lezioni private, e come docente titolare di cattedra puoi farli tassare al 15%. Se non li hai dichiarati affatto e te ne rendi conto ora, considera di fare un ravvedimento (integrativa 2022).
D: Ho fatto poche ripetizioni (es. 4-5 lezioni) a un ragazzo, per un totale di €150. Devo dichiararle?
R: Tecnicamente, sì, qualunque reddito andrebbe dichiarato salvo esoneri. Tuttavia, se quel €150 fosse il tuo unico reddito autonomo e magari hai solo lo stipendio da sostituto d’imposta già tassato correttamente, potresti ricadere in un caso di esonero. Ad esempio, per chi ha solo lavoro dipendente e altri redditi fino €500 (terreni/fabbricati) o comunque un’imposta aggiuntiva dovuta sotto €10,33 c’è esonero . Nella pratica, €150 di reddito occasionale generano un’IRPEF lorda di €34,5 (23%), ma grazie alle detrazioni per lavoro dipendente potresti non avere imposta aggiuntiva. Se non presenti la dichiarazione, formalmente saresti in regola se rientri nei casi di esonero (ad esempio: unico sostituto ha fatto conguaglio e l’imposta su €150 sarebbe sotto soglia). Attenzione: l’esonero standard per redditi occasionali è quando non superano €4.800 e non hai altri redditi che obblighino , ma con un lavoro dipendente di mezzo l’esonero di 4.800 non si applica letteralmente: al suo posto si usa la soglia generale di €8.000 per dipendente+poco altro . Quindi, se hai stipendio annuo oltre 8.000 (sicuramente sì per un docente) anche solo €150 tecnicamente romperebbero l’esonero. Detto ciò, l’Agenzia non va certo a cercare importi così irrisori, e se pure emergessero, siamo sotto la soglia della no tax area. Quindi l’eventuale imposta evasa sarebbe zero (perché €150 coperti da detrazioni): in tal caso l’omessa dichiarazione di un reddito che non comportava tasse è sanzionabile in misura fissa (da €250 a €500 per infedele, riducibile). Diciamo che dichiarare anche i piccoli importi è buona abitudine, specie se hai subito ritenute (per recuperarle). Se però non l’hai fatto per cifre minime, difficilmente avrai conseguenze pesanti, perché non c’è danno erariale significativo.
D: Quali sanzioni rischia chi non dichiara compensi da lezioni private?
R: Sul piano amministrativo, le sanzioni principali sono quelle per omessa o infedele dichiarazione dei redditi: – Dichiarazione infedele (reddito omesso > dettagli irrilevanti): 90% dell’imposta evasa (minimo) fino a 180% (massimo) . Se, ad esempio, non hai dichiarato €5.000 e l’imposta evasa è €1.150 (ipotizzando aliquota media ~23%), la sanzione base sarà €1.035 (90%). Questa può essere aumentata in presenza di aggravanti (es. l’omesso reddito supera del 10% quello dichiarato – ma spesso con docenti che hanno stipendio, €5.000 è <10% di, diciamo, €30.000 stipendio, quindi potrebbe esserci attenuante). – Omessa dichiarazione (quando proprio non presenti il Modello Redditi pur dovendolo): 120% dell’imposta dovuta (minimo) fino a 240% , con minimo €250. Quindi su €1.150 evasi, sanzione base €1.380. Se però tu avevi presentato il 730 (dichiarando lo stipendio) e hai omesso di dichiarare i 5.000 extra, è più corretto qualificare come “infedele” che come “omessa” (l’omessa totale è se proprio non presentavi nulla, ad es. perché avevi solo CU e pensavi bastasse). – Omessa presentazione della dichiarazione IVA (se soggetto obbligato): sanzione da €250 a €2.000 se non c’è imposta dovuta, oppure dal 120% al 240% dell’IVA evasa se c’era (ma nel caso lezioni esenti, IVA evasa = 0, quindi si applica la sanzione fissa). Idem per omessa dichiarazione IRAP. – Mancata emissione di fattura o ricevuta: se eri tenuto (fattura se P.IVA, ricevuta se richiesta dal cliente), c’è sanzione dal 5% al 10% dei corrispettivi non documentati, minimo €500, se l’IVA è esente o operazione fuori campo (art. 6 D.Lgs. 471/97). Quindi, se davi lezioni con P.IVA senza fatturare, potresti subire anche questa. Per un privato che faceva occasionale e non ha dato la ricevuta, la sanzione formale è meno codificata, ma potrebbe applicarsi in teoria. – Violazioni contributive (INPS): l’INPS, se accerta che hai superato €5.000 occasionali senza iscriverti, ti chiederà i contributi dovuti con sanzioni civili (interessi moratori e somme aggiuntive). La sanzione non è “punizione” ma maggiorazione per tardivo versamento che può arrivare al 30% annuo cumulate, con massimali, etc. E se addirittura l’INPS riqualificasse il rapporto (tipo, estremamente, considerasse che stavi facendo un lavoro subordinato in nero), lì scatterebbero sanzioni per lavoro nero (da €1.800 a €43.200 per lavoratore non registrato, per periodi >60 gg, art. 3 D.L. 12/2002) . Questo scenario però è remoto per lezioni private tra privati, a meno che fossi, poniamo, formalmente un dipendente di una scuola privata camuffato da autonomo.
È importante notare che il contribuente può ridurre moltissimo queste sanzioni utilizzando gli strumenti deflattivi di cui sopra: ravvedimento operoso (riduzione a 1/8–1/5), adesione/acquiescenza (1/3 del minimo) , mediazione (35% del minimo) , conciliazione (40% o 50%). Inoltre, il giudice tributario ha facoltà di disapplicare le sanzioni se ritiene vi fosse incertezza normativa oggettiva o se l’errore del contribuente era scusabile (non frequentissimo, ma succede). Quindi, il rischio iniziale di pagare quasi il doppio delle imposte in sanzioni può spesso essere mitigato.
Infine, come detto, i reati tributari in questa materia scattano solo oltre certe soglie (evasi > €50k o €100k). Quindi per la stragrande maggioranza dei docenti “distratti” il penale non è una preoccupazione concreta. Resta una questione morale e disciplinare (specie per i docenti pubblici): evadere sistematicamente il fisco potrebbe, se scoperto e pubblicizzato, portare a conseguenze sulla reputazione professionale o provvedimenti amministrativi.
D: Come può difendersi un contribuente se l’Agenzia presume redditi in nero solo in base ai movimenti bancari?
R: Deve fornire la prova contraria e attaccare la presunzione sul piano giuridico. La legge fiscale consente di presumere che i versamenti sul conto corrente non giustificati siano redditi nascosti, salvo che il contribuente dimostri la provenienza da fonti non tassabili (risparmi, donazioni, ecc.). Quindi, in primo luogo occorre giustificare i singoli movimenti: ad esempio, presentando dichiarazioni di chi ha fatto quel versamento attestando che era un regalo, o mostrando che un bonifico era in realtà il rimborso di un prestito, etc. Ogni euro accreditato su cui hai una spiegazione documentata toglie terreno al Fisco. In secondo luogo, si può far valere in sede contenziosa che la presunzione non è sufficientemente grave e precisa se non supportata da altri indizi. La Cassazione (sent. 16440/2016) ha detto chiaramente che per i liberi professionisti non vale la presunzione sui prelevamenti e che per i versamenti comunque spetta al Fisco provare il nesso con compensi non fatturati . Quindi il legale imposterà la difesa dicendo: “Quei movimenti non provano affatto che il Sig. X svolgesse lezioni a pagamento. L’Agenzia non ha identificato alcun ‘cliente’, non ha colto in flagrante nessuna lezione, non ha né nomi né date né tariffe. Ha solo visto dei contanti versati sul conto e, in maniera del tutto congetturale, li attribuisce a ripetizioni. Questo non rispetta i requisiti di gravità, precisione e concordanza della presunzione (art. 2729 c.c.)”. Si possono citare sentenze di merito come la CTR Trento n.107/2017: lì la contribuente ha vinto perché l’accertamento “a tavolino” era basato su spese incongrue e movimenti bancari, senza prove di un’attività in nero, e i giudici hanno ritenuto insufficienti quelle presunzioni . In aggiunta, se l’Agenzia non ti ha nemmeno chiesto spiegazioni sui movimenti prima dell’accertamento, si può eccepire un difetto di contraddittorio. In definitiva: documentare tutto il possibile (onere tuo) e contestare la metodologia dell’ufficio. Spesso mostrando proprio l’assenza di correlazione: es. “questi €300 erano un regalo di compleanno di mio zio, nulla a che vedere con lezioni: ho qui la sua conferma scritta”. Un consiglio è preparare una memoria dettagliata per ogni contestazione bancaria e presentarla già in sede di adesione o reclamo, così magari convinci l’ufficio a desistere o ridimensionare la pretesa.
D: Se vengo “beccato” a dare lezioni in nero, rischio il licenziamento da scuola o altre conseguenze lavorative?
R: Sul piano fiscale no – pagherai tasse e sanzioni come abbiamo detto, ma ciò non incide sul tuo rapporto di lavoro pubblico. Sul piano disciplinare, dipende. In generale, l’evasione fiscale in sé non è motivo di licenziamento per un dipendente pubblico (non rientra esplicitamente nel codice disciplinare). Tuttavia, se violi il divieto di dare lezioni a studenti del tuo istituto (art. 508 T.U. Scuola) potresti essere soggetto a sanzioni disciplinari. Ad esempio, c’è un caso di una docente sospesa per un giorno per aver dato lezioni a propri alunni: la Cassazione nel 2018 ha annullato la sanzione perché nel caso specifico non c’era lucro e altre circostanze attenuanti , ma il principio è che insegnare privatamente ai propri studenti è illecito disciplinare. Inoltre, non aver chiesto l’autorizzazione al Dirigente per l’attività extra scolastica potrebbe costituire violazione amministrativa (la legge richiede la comunicazione all’amministrazione di appartenenza) . Difficilmente si arriva a conseguenze gravi come il licenziamento per questo, a meno che l’attività extra interferisca pesantemente col servizio o configuri reati. Ovviamente, se l’evasione fiscale è enorme e diventa un caso di cronaca, anche l’amministrazione scolastica potrebbe prendere provvedimenti per danno d’immagine, ma sono casi eccezionali. Quindi: rischi più dal Fisco (multe) che dal datore di lavoro. Però attenzione a rispettare le regole di incompatibilità e a non coinvolgere i propri alunni per evitare grane.
D: In caso di accertamento, conviene farsi assistere da un avvocato/tributarista?
R: Sì, decisamente. Appena la situazione si complica (ricezione di un PVC o avviso), consultare un esperto è molto utile. Un dottore commercialista o avvocato tributarista può aiutarti a: – valutare la bontà dell’accertamento e le chance di vittoria, – impostare una strategia (adesione o battaglia legale), – preparare l’istanza di adesione o il reclamo in modo efficace, – rappresentarti in giudizio (necessario se il valore supera €3.000). Considera che le norme e le procedure sono tecniche; un errore formale (es. mancare una scadenza, o non presentare un’eccezione in tempo) può compromettere i diritti di difesa. Inoltre, spesso i professionisti sanno trattare con gli uffici: ad esempio in sede di adesione possono interlocuire in linguaggio fiscale, far valere circolari, giurisprudenza, e magari convincono l’ufficio a ridurre la pretesa. I costi dell’assistenza vanno bilanciati col beneficio: se in ballo ci sono somme importanti o principi per te fondamentali (non voler passare da evasore se ritieni di aver ragione), il supporto tecnico è quasi obbligato. Se la cifra è piccola (pochi centinaia di euro) potresti anche fare da te, ma attenzione che la controparte (Agenzia) ha funzionari preparati e avvocati interni, quindi da solo rischi di trovarti spiazzato. Molti professionisti offrono consulenze iniziali a forfait per inquadrare la questione: investire qualcosa per capire come muoversi può farti risparmiare molto di più in sanzioni evitate.
D: La legge prevede sanatorie o condoni per chi ha fatto lezioni private in nero?
R: Non c’è una sanatoria specifica per lezioni private. Nel 2019, con l’introduzione della flat tax 15% per docenti, non fu previsto alcun condono sul pregresso (semmai, era un incentivo da lì in avanti). Ogni tanto il legislatore introduce condoni o definizioni agevolate: ad esempio nel 2023 c’è stata la definizione delle liti pendenti (possibilità di chiudere le cause tributarie in corso pagando una percentuale se si era vinto in primo grado, ecc.), o il “saldo e stralcio” di cartelle sotto certi importi. Ma non c’è mai stato un condono mirato sui redditi da ripetizioni. La via per mettersi in regola spontaneamente è il ravvedimento operoso di cui parlavamo: quello è individuale e sempre possibile (finché non sei sotto controllo). In linea teorica, se in futuro lo Stato facesse un condono tombale sui redditi non dichiarati fino a una certa data, allora chi ha lezioni in nero pregresse potrebbe aderire pagando una quota ridotta. Ma allo stato attuale (agosto 2025) non c’è un provvedimento del genere aperto. Il consiglio è: non fare affidamento sulla speranza di un condono, meglio agire con gli strumenti esistenti caso per caso.
D: Ho ricevuto un avviso di accertamento per redditi da lezioni private che non ho mai svolto – c’è un errore di persona. Cosa devo fare?
R: In questo caso sei in una posizione relativamente forte, perché puoi dimostrare che l’accertamento è infondato in fatto (scambio di identità, omonimia, oppure l’ufficio ha interpretato male qualche dato). La prima cosa da fare è presentare una istanza di autotutela immediata all’Agenzia delle Entrate spiegando l’errore (allegando documenti utili, es. “il codice fiscale indicato non è il mio” oppure “io in quegli anni vivevo all’estero e non potevo materialmente dare lezioni”). Spesso, di fronte a errori evidenti, l’ufficio annulla in autotutela l’atto . In parallelo, per sicurezza, prepara il ricorso (o reclamo) entro 60 giorni, nel caso l’autotutela non venga accolta in tempo utile. Nel ricorso esponi chiaramente i fatti con tutte le prove (es: se ti contestano redditi a Milano ma tu avevi la residenza e lavoravi in un’altra città, allega certificati, contratti di lavoro di quell’anno altrove, etc.). In situazioni di scambio di persona, allega magari l’ID fiscale della persona con cui ti confondono se lo conosci. Insomma, rendi inequivoco al giudice che l’Agenzia ha preso un granchio. Quasi certamente l’ufficio stesso in sede di controdeduzioni riconoscerà l’errore e potrà chiedere al giudice l’annullamento in via di autotutela dell’atto. La chiave è agire tempestivamente e fornire prove chiare. Da notare: se è proprio un caso di omonimia con codici fiscali diversi, l’autotutela è risolutiva. Se invece l’Agenzia pensava che tu facessi lezioni, confondendoti magari con un parente, devi convincerli che non le facevi: potrebbe volerci più dibattimento, ma resti favorito perché l’onere della prova in ultima analisi spetta a loro – e se tu effettivamente non facevi quell’attività, loro non avranno prove solide (e tu puoi portare testimoni a dire “no, non ha mai dato lezioni a mio figlio, l’avviso è sbagliato”).
D: Se un insegnante aveva diritto alla flat tax 15% ma non l’ha applicata, può chiederla dopo per pagare meno sull’evaso?
R: Formalmente, l’opzione per l’imposta sostitutiva va esercitata in dichiarazione. Se non l’hai indicata e non hai pagato nulla, sei in una situazione di omissione. Tuttavia, come discusso, la norma dice che l’imposta sostitutiva si applica a quei compensi salvo opzione contraria . Quindi, in sede di accertamento puoi sostenere che va applicata la tassazione del 15% (più favorevole) perché tu non hai mai optato per l’ordinario. L’Agenzia molto probabilmente lo farà già, perché richiedere il 15% è più aderente alla legge (e inoltre evita contestazioni). Se così non fosse – ad esempio, se l’ufficio ti tassasse progressivamente al 27% – devi assolutamente contestare invocando la L. 145/2018 e la circ. 8/E 2019 che la spiega . In genere, gli accertatori applicano il regime più favorevole solo se è automatico per legge. Nel nostro caso lo è, per i docenti: quindi sì, anche dopo puoi rivendicare il regime, purché tu rientri nelle condizioni (docente di ruolo, compensi da lezioni private). Discorso diverso: se non eri docente di ruolo (es. studente universitario che dà ripetizioni), il 15% speciale non ti spetta comunque; potresti al massimo aprire P.IVA e forfettario per il futuro, ma sul pregresso pagherai IRPEF ordinaria.
D: Cosa succede se ignoro un avviso di accertamento e non faccio nulla?
R: Se trascorrono 60 giorni dalla notifica senza che tu abbia né pagato né presentato ricorso, l’accertamento diventa definitivo. A quel punto l’importo accertato diventa un debito iscritto a ruolo: l’Agenzia Entrate-Riscossione emetterà una cartella esattoriale (o utilizzerà direttamente l’avviso come titolo esecutivo, viste le norme recenti) per riscuotere le somme. Pagare dopo sarà più oneroso perché si aggiungeranno le spese di riscossione e gli interessi di mora. Inoltre, perderai la chance di avere le sanzioni ridotte a 1/3 (quella valeva solo se pagavi entro 60 gg per acquiescenza). Quindi ti troverai a dover versare l’intero, con sanzioni piene al 90% (o 120%). Se continui a non pagare, scatteranno le consuete azioni di riscossione coattiva: fermo amministrativo su veicoli, pignoramenti su conto corrente o stipendio, etc., a seconda dell’importo. In sintesi, non ignorare un avviso: se non vuoi/pensi di poterlo impugnare, almeno valuta l’acquiescenza entro i 60gg per ridurre le sanzioni. Ignorare significa accettare tacitamente, ma al massimo delle conseguenze economiche. Inoltre, perdere il termine di ricorso ti chiude definitivamente la possibilità di contestare l’accertamento, anche se fosse viziato: non potrai più difenderti nel merito (salvo rarissimi casi di rimessione in termini). Quindi, a meno che tu non sia d’accordo totale e disposto a pagare il 100%, ti conviene attivarti.
D: Quali prove può portare il contribuente per vincere una causa su ripetizioni non dichiarate?
R: Prove documentali: ricevute, agende, calendari delle lezioni, comunicazioni scritte con i clienti, estratti conto evidenziando che certi importi erano già dichiarati o estranei. Prove testimoniali (ora ammesse in forma scritta): dichiarazioni di genitori/allievi su quanti soldi ti hanno pagato o se ti hanno pagato affatto (magari qualcuno può attestare “gli ho dato solo un pensierino, non un pagamento”). Prove logiche: ad esempio, se ti imputano 100 ore di lezione in un periodo in cui tu non eri nemmeno in Italia (presenti timbri sul passaporto, biglietti aerei per un soggiorno all’estero). Perizie o analisi tecniche: potrebbe essere raro, ma poniamo che contestino che hai prelevato tanto materiale di cancelleria e quindi deducono avessi tanti studenti; tu potresti far fare una perizia da un tecnico che spiega che quel materiale serviva per un progetto scolastico, non per lezioni private. In generale, bisogna smontare le presunzioni dell’ufficio: ogni elemento che rende meno probabile la ricostruzione del Fisco è utile. Se l’Agenzia porta, ad esempio, testimonianze di 2 studenti che dicono di averti pagato in nero, tu potresti portarne 10 che dicono “ci ha aiutato gratuitamente” o “non abbiamo mai preso lezioni da lui” per ridurre l’attendibilità delle prime (anche se uno solo resta comunque una prova). In ultimo, la tua attendibilità: se vieni interrogato (in tributario di solito no, ma potresti allegare una tua dichiarazione giurata), assicurati di risultare coerente e preciso. I giudici valutano molto la coerenza: se la tua versione regge e quella del Fisco ha buchi, tendono a darti ragione col beneficio del dubbio. Viceversa, se ti contraddici, perdi credibilità. Quindi prepara con il tuo difensore un memoriale dettagliato cronologico di cosa hai fatto e non fatto, per dare al giudice un quadro chiaro che smentisca la tesi accusatoria.
Conclusioni
L’accertamento per omissione di compensi da lezioni private è una situazione affrontabile con gli strumenti giuridici e le conoscenze appropriate. Questa guida ha mostrato che: – Conoscere la normativa è il primo passo: molti docenti non sanno di dover aprire partita IVA o dichiarare anche piccole somme. Abbiamo chiarito obblighi fiscali e possibilità agevolative (flat tax 15% docenti, regime forfettario) . – Prevenire è sempre meglio: tenere tracce, dichiarare il possibile, regolarizzarsi spontaneamente con ravvedimento può evitare sanzioni gravose. – Se l’accertamento arriva, esistono vie deflattive per ridurre sanzioni e trovare un accordo (adesione, mediazione) e vie contenziose per far valere le proprie ragioni davanti a un giudice, citando anche la giurisprudenza più recente che spesso tutela i contribuenti quando il Fisco procede con troppa disinvoltura presuntiva . – Dal punto di vista del contribuente (debitore), è fondamentale assumere un atteggiamento proattivo e informato: né farsi prendere dal panico e pagare importi non dovuti, né ignorare il problema sperando scompaia. Ogni fase ha le sue strategie ottimali.
In conclusione, difendersi è possibile: anche un cittadino che ha commesso un’irregolarità (magari in buona fede o per necessità) ha diritto a far valere le proprie ragioni e a ottenere, se non l’annullamento, almeno un trattamento sanzionatorio equo e proporzionato. Le Commissioni Tributarie, specie in tempi recenti, hanno mostrato attenzione verso i piccoli contribuenti che svolgono attività integrative, purché questi mostrino trasparenza e collaborazione. Ad esempio, come abbiamo visto, c’è chi è riuscito a dimostrare che il Fisco aveva scambiato un hobby per un lavoro in nero e ha vinto la causa .
Naturalmente, ogni caso è a sé: questa guida fornisce un quadro avanzato e aggiornato al 2025, ma consigliamo sempre di consultare un esperto fiscale per adattare la strategia alla situazione concreta. Con un buon supporto documentale e legale, affrontare un accertamento fiscale – per quanto stressante – può risolversi in maniera gestibile, tutelando sia i diritti del contribuente sia l’interesse erariale in modo bilanciato.
Fonti:
- DPR 917/1986 (TUIR), artt. 53 e 67 – Definizione di redditi di lavoro autonomo e diversi, occasionalità vs abitualità .
- DPR 633/1972 (IVA), art. 5 e art. 10 n.20 – Soggettività IVA (abitualità) e esenzione per lezioni private .
- Legge 30/12/2018 n.145, commi 13-16 – Imposta sostitutiva 15% per docenti su lezioni private .
- Circolare Agenzia Entrate 8/E del 10/04/2019 §1.8 – Chiarimenti sull’imposta sostitutiva docenti .
- Risposta a Interpello Agenzia Entrate n. 63 dell’8/3/2024 – Obbligo di partita IVA per docente part-time con lezioni private abituali .
- Cass. 16440/2016 – Onere della prova su movimenti bancari per liberi professionisti (no presunzione automatica) .
- C.G.T. II grado Trento n.107/2017 – Annullato accertamento sintetico a docente per mancanza di prova certa di attività extra .
- C.T.P. Asti n.100/1/14 – Docente con hobby restauro, accertamento annullato per presunzioni semplici non gravi .
- Art. 6 D.Lgs. 472/97 – Casi di non punibilità per obiettiva incertezza normativa.
- D.Lgs. 74/2000, artt. 4-5 – Reati di dichiarazione infedele e omessa (soglie €100k e €50k) .
- D.Lgs. 471/97 e 472/97 – Sanzioni tributarie (omessa/incompleta dichiarazione 90%-180%/120%-240%) .
- D.Lgs. 218/97 – Accertamento con adesione, acquiescenza (sanzioni 1/3) .
- D.Lgs. 546/92 art.17-bis – Reclamo e mediazione (sanzioni 35% in mediazione) .
- Sentenza n. 1129/2022 pubbl. il 14/06/2022 RG n. 9496/2019
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver dichiarato i compensi derivanti da lezioni private o ripetizioni? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ti accusano di non aver dichiarato i compensi derivanti da lezioni private o ripetizioni?
Vuoi capire quali sono le conseguenze e come puoi difenderti da questa situazione?
I compensi da lezioni private o ripetizioni, che si tratti di insegnanti di scuola, liberi professionisti o altri soggetti, costituiscono reddito imponibile e devono essere dichiarati. Dal 2019 esiste anche un regime agevolato per i docenti titolari di cattedra, che possono optare per una imposta sostitutiva del 15%.
Il Fisco può avviare un accertamento incrociando informazioni da segnalazioni, bonifici, pagamenti elettronici o controlli su piattaforme digitali.
👉 Non ogni omissione è evasione volontaria: spesso si tratta di errori, mancata conoscenza delle regole o importi di modesta entità.
⚖️ Perché scatta l’accertamento
- Pagamenti per lezioni private non dichiarati in dichiarazione dei redditi;
- Segnalazioni di movimenti bancari o pagamenti tramite piattaforme online;
- Differenze tra i compensi percepiti e quelli dichiarati;
- Insegnanti che non hanno optato per l’imposta sostitutiva del 15%;
- Sospetti di attività professionale svolta senza Partita IVA.
📌 Conseguenze possibili
- Recupero delle imposte non versate;
- Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta evasa;
- Interessi di mora;
- Nei casi più rilevanti, rischio di accertamenti retroattivi fino a 7 anni;
- Possibili contestazioni previdenziali se l’attività viene qualificata come professionale continuativa.
🔍 Come difendersi
- Verifica i dati contestati: controlla importi, anni di riferimento e prove usate dal Fisco.
- Recupera la documentazione: ricevute, bonifici, pagamenti digitali, corrispondenza con gli studenti.
- Dimostra la natura delle somme: distinguere rimborsi spese da compensi effettivi.
- Contesta eventuali errori dell’Agenzia: importi gonfiati, duplicazioni, presunzioni non fondate.
- Predisponi memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, se l’accertamento è ingiustificato.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’accertamento ricevuto e individua i punti critici;
- 📌 Ricostruisce i compensi effettivi percepiti, riducendo la pretesa fiscale;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi fondati su prove concrete;
- ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta soluzioni alternative, come ravvedimento o definizione agevolata, per ridurre sanzioni e interessi.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su redditi non dichiarati;
- ✔️ Specializzato in fiscalità dei lavoratori autonomi e dei docenti;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un accertamento per omissione di compensi da lezioni private e ripetizioni non è una condanna definitiva.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la reale entità dei redditi percepiti, contestare presunzioni non fondate e ridurre le pretese del Fisco.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti su compensi da lezioni private inizia qui.