Operazioni Sospette Su Criptovalute Accertate Dal Fisco: Come Difendersi

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per operazioni sospette su criptovalute? Con l’aumento dell’utilizzo di Bitcoin, Ethereum e altri asset digitali, il Fisco ha intensificato i controlli, sfruttando segnalazioni bancarie, scambi di informazioni internazionali e dati trasmessi dagli exchange. In molti casi, le contestazioni si basano su presunzioni di redditi non dichiarati. Sapere come difendersi è essenziale per evitare imposte non dovute, sanzioni e conseguenze penali.

Quando scattano le contestazioni fiscali sulle criptovalute
– Se non è stato compilato il quadro RW per il monitoraggio fiscale delle valute virtuali detenute su wallet o exchange esteri
– Se le movimentazioni non sono coerenti con i redditi dichiarati
– Se non sono stati dichiarati i redditi da cessione a titolo oneroso (plusvalenze) derivanti dal trading
– Se i trasferimenti da e verso conti correnti italiani risultano anomali o non giustificati
– Se le autorità segnalano operazioni sospette per riciclaggio o autoriciclaggio

Cosa rischi in caso di accertamento
– Recupero delle imposte sulle plusvalenze non dichiarate
– Sanzioni dal 3% al 15% per l’omesso monitoraggio delle criptovalute detenute all’estero (fino al 30% in Paesi non collaborativi)
– Interessi di mora sulle somme non versate
– Contestazione di reati tributari (dichiarazione infedele o omessa dichiarazione) se vengono superate le soglie penali
– Possibile sequestro preventivo dei wallet o dei conti correnti utilizzati per le operazioni

Come difendersi da contestazioni sulle criptovalute
– Dimostrare l’origine lecita dei fondi utilizzati per acquistare le criptovalute
– Presentare estratti degli exchange, wallet e piattaforme di trading per ricostruire le operazioni
– Contestare gli errori di calcolo dell’Agenzia delle Entrate sulle plusvalenze effettive
– Dimostrare che le operazioni non hanno generato redditi imponibili (ad esempio trasferimenti tra wallet personali)
– Richiamare la normativa e le interpretazioni che hanno spesso cambiato nel tempo, dimostrando l’eventuale incertezza normativa
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini previsti dalla legge

Il ruolo dell’avvocato in queste contestazioni
– Analizzare le operazioni contestate e verificare la legittimità dell’accertamento
– Predisporre un dossier difensivo con documenti bancari e digitali a supporto
– Contestare le presunzioni arbitrarie del Fisco e richiedere una ricostruzione aderente alla realtà
– Difendere il contribuente sia in sede tributaria che, se necessario, in sede penale
– Negoziare con l’Agenzia delle Entrate eventuali soluzioni conciliative per ridurre sanzioni e interessi

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale delle contestazioni fiscali
– La riduzione delle sanzioni grazie alla dimostrazione della buona fede o all’incertezza normativa
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio digitale e dei beni personali da sequestri e pignoramenti
– La possibilità di pagare solo quanto realmente dovuto, senza aggravi indebiti

⚠️ Attenzione: il regime fiscale delle criptovalute è stato oggetto di continui cambiamenti. Molte contestazioni si basano su interpretazioni retroattive o poco chiare, che possono essere ribaltate con una difesa ben documentata.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in fiscalità internazionale e difesa tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni fiscali legate alle criptovalute e come difenderti in modo efficace.

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Introduzione

Le criptovalute (o cripto-attività) sono giuridicamente inquadrate come “rappresentazioni digitali di valore” basate su tecnologie di registro distribuito (blockchain). La normativa antiriciclaggio italiana ha introdotto dal 2017 una definizione di “valuta virtuale” nel D.Lgs. 231/2007 (modificato dal D.Lgs. 90/2017) intesa come: «rappresentazione digitale di valore, non emessa da banca centrale o autorità pubblica, utilizzata come mezzo di scambio o a fini di investimento, e trasferibile, archiviata elettronicamente» . In altre parole, pur non avendo corso legale (non sono moneta avente corso forzoso), le criptovalute possiedono valore economico e possono fungere da mezzo di pagamento tra privati. Anche a livello UE il Regolamento 2023/1114 (MiCA – Markets in Crypto-Assets) riconosce le cripto-attività come attività digitali meritevoli di regolazione, imponendo obblighi di trasparenza sugli operatori .

Evoluzione normativa fiscale: Fino al 2022 in Italia mancava una disciplina positiva specifica sulle criptovalute. In assenza di norme ad hoc, l’Amministrazione finanziaria applicava per analogia le regole previste per valute estere e attività finanziarie tradizionali . Già con la Circolare 38/E/2013 l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che le attività estere detenute fuori dal circuito bancario italiano vanno indicate nel Quadro RW (monitoraggio fiscale) . Tale principio è stato di fatto esteso anche alle criptovalute detenute su exchange esteri o in wallet privati già prima di un’esplicita previsione di legge. Sul piano della tassazione dei redditi, fino al 2022 i profitti da trading di criptovalute venivano assimilati ai redditi diversi su valute estere, con applicazione della relativa soglia valutaria di esenzione: erano tassabili le plusvalenze solo se la giacenza media dei depositi in valuta virtuale superava l’equivalente di €51.645,69 per almeno 7 giorni nel periodo d’imposta . In pratica, sotto tale soglia le eventuali plusvalenze crypto erano considerate esenti, per analogia con le valute straniere . Questa mancanza di chiarezza normativa ha portato molti contribuenti a interpretazioni difformi dei propri obblighi fiscali, aprendo la strada a possibili contenziosi.

La situazione è cambiata con le ultime Leggi di Bilancio. La Legge n. 197/2022 (Bilancio 2023) ha introdotto nel TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi) una disciplina dedicata alle cripto-attività. In particolare è stata inserita la lettera c-sexies) al comma 1 dell’art. 67 TUIR, qualificando formalmente le plusvalenze da criptovalute come redditi diversi di natura finanziaria (soggetti a imposta sostitutiva) . Viene fornita anche una definizione legislativa di “cripto-attività” intesa come: «rappresentazione digitale di valore o di diritti, che può essere trasferita e archiviata elettronicamente, utilizzata come strumento di investimento o di scambio, diversa da moneta avente corso legale e da strumenti finanziari» . Questa definizione normativa ha colmato il vuoto, distinguendo le cripto-attività dagli strumenti finanziari tradizionali ma assoggettandole a regole fiscali analoghe.

Dal punto di vista regolatorio, chiunque offra servizi relativi a valute virtuali in Italia (es. exchange, fornitori di wallet custodial, cambiavalute in crypto) è tenuto ad iscriversi in un apposito registro tenuto dall’OAM (Organismo Agenti e Mediatori) come “prestatori di servizi di valuta virtuale” . Questo obbligo, introdotto dal D.Lgs. 90/2017 e attuato con DM 13 gennaio 2022, mira a garantire tracciabilità e compliance antiriciclaggio degli operatori crypto sul territorio nazionale. Inoltre, con il recepimento della “Travel Rule” europea (Reg. UE 2023/1113) tramite D.Lgs. 204/2024, dal giugno 2024 gli intermediari cripto devono trasmettere alle autorità i dati identificativi del mittente e destinatario di ogni trasferimento di criptovaluta sopra €1.000 . In sintesi, oggi le criptovalute in Italia sono oggetto di attenzione normativa sia sul fronte fiscale sia su quello antiriciclaggio e di vigilanza finanziaria.

Regime fiscale delle criptovalute (aggiornato al 2025)

Tassazione delle plusvalenze: La Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha stabilito che ogni cessione di criptovalute che genera una plusvalenza – sia una vendita contro euro, uno scambio crypto-fiat, oppure l’utilizzo di crypto per acquistare beni o servizi – costituisce un reddito imponibile per le persone fisiche residenti . In altri termini, spendere crypto per comprare qualcosa equivale a cedere un asset e realizzare un reddito tassabile. La plusvalenza si calcola come differenza tra il corrispettivo ottenuto (valore di realizzo) e il costo di acquisto delle criptovalute cedute . Fino al 2022, come visto, si applicava in via interpretativa la soglia sulle valute estere. Dal 2023 è entrata in vigore la nuova disciplina: per le annualità 2023 e 2024 era prevista una soglia di esenzione di €2.000: se le plusvalenze complessive annue non superavano 2.000 euro, non era dovuta imposta; oltre tale importo, l’intero ammontare delle plusvalenze realizzate diveniva tassabile al 26% . In realtà, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che si tratta di una franchigia di €2.000 annui, nel senso che sono imponibili solo i gain eccedenti tale importo . Ad esempio, se nel 2024 un contribuente acquista crypto per €10.000 e rivende tutto a €18.000, realizza una plusvalenza di €8.000; applicando la franchigia di €2.000, rimangono €6.000 imponibili tassati al 26%, cioè €1.560 di imposta dovuta .

La Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) ha modificato questo regime. Dal periodo d’imposta 2025 è stata eliminata la soglia dei €2.000, rendendo quindi imponibili tutte le plusvalenze indipendentemente dall’ammontare . L’aliquota dell’imposta sostitutiva resta al 26% per il 2025, ma è già previsto il suo innalzamento al 33% dal 2026 in avanti . In sintesi, il regime attuale e prospettico per le persone fisiche è il seguente:

  • Fino al 2024: imposta sostitutiva 26% sulle plusvalenze da cripto, esenti se i guadagni annui ≤ €2.000 (franchigia globale per periodo d’imposta) .
  • Anno 2025: imposta sostitutiva 26% su tutte le plusvalenze (soglia di esenzione abolita) .
  • Dal 2026: imposta sostitutiva 33% su tutte le plusvalenze (nuovo regime a regime stabilizzato) .

Le plusvalenze su cripto devono essere indicate nella dichiarazione dei redditi annuale (quadro RT del Modello Redditi PF) e l’imposta sostitutiva dovuta si versa con le stesse scadenze dell’IRPEF . Eventuali minusvalenze da investimenti in criptovalute sono compensabili con le plusvalenze della stessa natura (redditi diversi finanziari), secondo le regole generali: si possono compensare perdite e profitti nello stesso anno e, se le perdite eccedono i profitti, la differenza può essere riportata nei quattro anni successivi . Nota: le minusvalenze sono utilizzabili in compensazione solo se indicate nell’apposito quadro della dichiarazione (RT) dell’anno in cui si realizzano . Non è invece possibile usare perdite crypto per ridurre redditi di altra natura (es. redditi di lavoro) .

Oltre alle plusvalenze da compravendita, la legge include tra i redditi imponibili di natura finanziaria anche gli “altri proventi” derivanti da operazioni aventi a oggetto cripto-attività . Ciò significa che rientrano nell’imponibile anche i guadagni diversi dalle plusvalenze tradizionali, ad esempio: ricavi ottenuti dalla cessione di un token NFT, i “premi” derivanti dallo staking di criptovalute, gli interessi o altri rendimenti in criptovaluta, ecc. Questi proventi sono tassati anch’essi al 26% come redditi diversi finanziari, salvo rientrare in categorie di reddito di capitale in casi particolari. Ad esempio, la vendita di un’opera digitale tramite NFT genera reddito tassabile, così come i reward ottenuti validando blocchi in una blockchain proof-of-stake costituiscono redditi imponibili . La Corte di Cassazione (sent. n. 8269/2025) ha confermato che i proventi ottenuti in cripto – ad esempio tramite la vendita di opere digitali NFT – sono redditi imponibili in Italia anche se non convertiti in euro . Per il Fisco, infatti, la criptovaluta ricevuta in pagamento ha un controvalore economico obiettivamente determinabile in euro al momento della transazione, e va dichiarata come corrispettivo ricevuto. Non si tratta di una mera potenzialità non imponibile, ma di un pagamento in natura valutabile in denaro . Nel caso specifico esaminato dalla Cassazione, un artista che aveva ceduto opere digitali via NFT ricevendo pagamenti in Ether sosteneva di non dover dichiarare nulla finché non avesse convertito gli Ether in euro; la Suprema Corte ha invece ritenuto subito imponibile il corrispettivo in criptovaluta, equiparando il caso alla vendita di opere dell’ingegno pagate in natura (qui asset digitali) il cui valore va immediatamente stimato in valuta legale . Dunque la mancata conversione in fiat non esclude l’obbligo fiscale di dichiarazione del reddito in crypto .

Va evidenziato che se l’attività in criptovalute sconfina in un’attività abituale di tipo imprenditoriale o professionale, i relativi guadagni non godono del regime “privatistico” dei redditi diversi sopra descritto. In tali casi si applicano le regole ordinarie del reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Ad esempio, una società di mining o un trader sistematico su crypto dovrà tassare i profitti come reddito d’impresa (aliquota IRES 24% + eventuale IRAP), potendo però dedurre i costi correlati (es. energia elettrica, attrezzature) . Invece un privato che svolge mining o staking in modo non organizzato in forma d’impresa sarà generalmente tassato nel regime dei redditi diversi: le criptovalute “minate” da un privato sono assimilate a beni autoprodotti, il cui valore diviene plusvalenza tassata solo al momento della cessione a titolo oneroso . L’Agenzia delle Entrate, in varie risposte a interpello, ha chiarito che il mining non configura una prestazione di servizi verso un committente identificabile (non c’è un rapporto sinallagmatico diretto), dunque non rileva ai fini IVA; tuttavia, ai fini delle imposte dirette, le criptovalute acquisite via mining hanno natura di ricavo per il miner . Per un piccolo miner privato, tali “ricavi” si concretizzano solo al momento della vendita dei token generati (realizzando plusvalenze eventualmente tassabili al 26%); se però l’attività è svolta in forma organizzata e con carattere abituale (es. una mining farm gestita da un’impresa), i token generati sono considerati ricavi d’esercizio immediatamente imponibili e vanno contabilizzati a magazzino (valutati al minore tra costo di produzione e valore di mercato) .

Regimi opzionali e misure di emersione: Per agevolare la transizione al nuovo regime fiscale, la normativa ha previsto misure transitorie. In particolare:

  • La possibilità di “rivalutare” (step-up) il costo fiscale delle cripto detenute a una certa data, pagando un’imposta sostitutiva: la L. 197/2022 ha consentito di affrancare il valore al 1° gennaio 2023 pagando il 14% entro il 30/6/2023, mentre la L. 207/2024 offre una nuova rivalutazione al 1° gennaio 2025 pagando il 18% entro il 30/11/2025 (in tre rate annue con interesse 3%) . Pagando questa imposta, il contribuente può rideterminare il costo di acquisto fiscale delle sue cripto, così che le plusvalenze maturate fino a quella data non saranno tassate in futuro. È importante notare che queste rivalutazioni onerose non sono ammesse se il contribuente non era in regola con gli obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW) relativi a quelle cripto . Bisogna quindi aver dichiarato il possesso delle criptovalute affinché lo step-up sia utilizzabile.
  • Una procedura di regolarizzazione per il passato (sanatoria una tantum): la L. 197/2022 (commi 138-143) ha previsto per i contribuenti che non avevano dichiarato le cripto detenute (quadro RW) e/o i redditi da esse derivanti, la possibilità di presentare un’istanza di emersione entro il 30 novembre 2023 . Occorreva versare una sanzione ridotta per l’omessa indicazione in RW e, nel caso in cui le cripto avessero prodotto redditi, un’imposta sostitutiva del 3,5% del valore delle cripto detenute (al termine di ogni anno o al momento del realizzo), oltre a un’ulteriore somma dello 0,5% per ciascun anno a titolo di interessi e sanzioni . In sostanza, pagando il 4% circa annuo si poteva regolarizzare spontaneamente il passato evitando contestazioni più onerose. Il modello per aderire a questa sanatoria (Provv. AdE n. 290480/2023) richiedeva anche una relazione con la documentazione probatoria sull’origine delle criptovalute . Sebbene il termine sia scaduto, questa misura segnala l’orientamento delle autorità verso favorire l’emersione volontaria.
  • Regime del risparmio amministrato/gestito: dal 2023 la riforma ha aperto la possibilità per gli intermediari non qualificati (come gli operatori crypto iscritti all’OAM, pur se non banche) di fungere da sostituti d’imposta per i propri clienti, applicando direttamente la ritenuta del 26% sulle plusvalenze crypto. Similmente a quanto avviene per titoli e azioni con le banche, in futuro è plausibile che alcuni exchange o broker crypto italiani offrano ai clienti un regime amministrato, in cui calcolano e versano loro le imposte sulle operazioni dei clienti. Ciò ovviamente semplificherebbe gli adempimenti per i contribuenti, ma richiede intermediari dotati di tale servizio. Al 2025, il regime è previsto dalla norma ma deve trovare attuazione pratica.

Obblighi di monitoraggio fiscale (Quadro RW)

Oltre alla tassazione dei redditi, la normativa italiana impone ai detentori di cripto-attività estere un obbligo di monitoraggio fiscale tramite il Quadro RW della dichiarazione dei redditi. Il Quadro RW serve a comunicare al Fisco il possesso di investimenti e attività finanziarie estere da parte di soggetti residenti in Italia, ai fini della sorveglianza sui capitali detenuti all’estero e dell’eventuale applicazione di imposte patrimoniali (IVAFE).

Le criptovalute detenute da residenti sono state espressamente assoggettate a monitoraggio fiscale a partire dal periodo d’imposta 2023 . Infatti l’art. 4 del D.L. 167/1990 (decreto sul monitoraggio, conv. in L. 227/1990) è stato modificato per includere le cripto-attività tra quelle da indicare in RW . Già prima del 2023, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate considerava de facto tale obbligo esistente per le criptovalute, equiparandole ad attività finanziarie estere sulla base di interpelli e prassi (Risoluzione 72/E 2016, ad esempio) . In assenza di indicazioni specifiche, i contribuenti diligenti compilavano il Quadro RW per le cripto detenute su exchange non residenti o in wallet privati, indicando generalmente il controvalore in euro delle monete virtuali al 31 dicembre di ciascun anno. Ora che l’obbligo è nero su bianco, vanno dichiarate tutte le criptovalute possedute all’estero (cioè al di fuori di intermediari italiani) dal contribuente a fine anno, indipendentemente dagli importi. Non vi è infatti una soglia minima di esenzione per il monitoraggio: anche detenzioni modeste devono essere indicate (salvo il caso di importi complessivi inferiore a €15.000 per cui non si applica l’IVAFE, vedi oltre). L’obbligo sussiste anche se le cripto non hanno prodotto alcun reddito nell’anno – il monitoraggio riguarda il possesso, non solo i redditi .

Sanzioni per omissione RW: La mancata indicazione nel Quadro RW di attività finanziarie estere (incluse cripto-attività) espone a una sanzione amministrativa dal 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato . Se le attività erano detenute in paesi a fiscalità privilegiata (c.d. black list), la sanzione è raddoppiata (6% – 30%) . Tuttavia, dal 2023 in poi, la sanzione per le cripto non è soggetta al raddoppio black list in quanto le criptovalute non sono riconducibili a un preciso Stato estero oppure perché il legislatore ha escluso questa maggiorazione per le cripto-attività . In ogni caso, l’importo minimo della sanzione RW è €258 (nei casi in cui la dichiarazione omessa venga presentata entro 90 giorni dal termine) . È possibile regolarizzare spontaneamente l’omissione attraverso il ravvedimento operoso, beneficiando di una riduzione delle sanzioni (ad esempio pagando circa 0,5% per ciascun anno non dichiarato, pari a 1/6 del minimo, se ci si ravvede dopo più di un anno) .

Importante: la semplice omissione del quadro RW, di per sé, non costituisce reato tributario. La Corte di Cassazione ha escluso la rilevanza penale della mancata compilazione del RW se non vi sono redditi sottratti a tassazione . In altre parole, omettere di indicare criptovalute detenute (senza aver occultato plusvalori imponibili) non configura né dichiarazione infedele né omessa dichiarazione ai fini penal-tributari. Si tratta comunque di una violazione sostanziale in ambito amministrativo, soggetta a sanzione, ma non di un reato . Ciò non toglie che l’omissione RW possa essere un indizio che spinge il Fisco ad approfondire, ma la sanzione resta pecuniaria.

Oltre al monitoraggio, dal 2023 le criptovalute estere sono state assoggettate anche all’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere), equivalente alla “bollatura” annuale che già colpisce i conti correnti e depositi esteri. La Legge 197/2022 ha infatti esteso l’IVAFE (aliquota dello 0,2%) anche alle valute virtuali detenute all’estero . Pertanto, sulle consistenze in crypto al 31/12 di ogni anno va calcolato lo 0,2% del valore e versato come IVAFE (salvo che il valore medio di giacenza dei conti crypto sia sotto €5.000, soglia sotto la quale per i conti esteri non è dovuta l’IVAFE; inoltre per importi esigui sotto €12 di imposta, l’IVAFE non è dovuta per arrotondamento). Anche questo tributo, se omesso, può essere recuperato con sanzioni, ma rientra nelle stesse dinamiche di monitoraggio.

Esoneri particolari: L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non vanno indicate in RW le cripto-attività a cui il contribuente non può più accedere per cause oggettive, a condizione di poterlo provare. Ad esempio, se si sono smarrite le chiavi private o si è subito un furto informatico dei wallet, bisogna presentare denuncia alle autorità di Pubblica Sicurezza: in tal caso quelle criptovalute non vanno dichiarate finché rimangono irrecuperabili . Analogamente, se si detenevano crypto su un exchange fallito o divenuto inaccessibile, e ciò è documentabile (ad es. con atti ufficiali della procedura fallimentare), si può omettere il RW finché non se ne rientra in possesso . È comunque prudente conservare tutta la documentazione (denunce, comunicazioni del curatore fallimentare, screenshot etc.) per esibirla in caso di controlli.

Segnalazioni antiriciclaggio e controlli del Fisco

L’uso diffuso delle criptovalute ha attirato l’attenzione sia dell’UIF (Unità di Informazione Finanziaria) per l’Italia sia della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. In ottica antiriciclaggio, i soggetti obbligati (banche, istituti di pagamento, intermediari finanziari, operatori in criptovalute, professionisti, ecc.) devono inviare alla UIF le segnalazioni di operazioni sospette (SOS) ai sensi del D.Lgs. 231/2007. Tali segnalazioni scattano quando un’operatività finanziaria presenta indizi di riciclaggio, evasione fiscale, finanziamento del terrorismo o altri reati finanziari. Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio boom di SOS legate alle cripto-attività: nel 2024 la UIF ha ricevuto 6.255 segnalazioni attinenti a criptovalute, con un aumento del 25% rispetto al 2023 . Il trend prosegue nel 2025, tant’è che nel primo trimestre 2025 sono già pervenute 2.166 SOS su cripto . Questo incremento è dovuto in gran parte ai nuovi segnalanti del comparto crypto: dal 2022-2023, infatti, molti VASPs (Virtual Asset Service Provider) come exchange e wallet provider, si sono registrati presso l’OAM in Italia e hanno iniziato a inviare SOS in autonomia . Nel 2024, per la prima volta, la maggioranza delle segnalazioni sospette su cripto è arrivata direttamente da operatori crypto anziché dalle banche tradizionali . Ciò ha aumentato il flusso di informazioni a disposizione dell’UIF e, di riflesso, delle autorità inquirenti.

Le segnalazioni SOS vengono analizzate dalla UIF e, se ritenute fondate, trasmesse agli organi investigativi competenti (Guardia di Finanza, DIA, autorità giudiziaria) . In molti casi, l’UIF elabora indicatori e schemi d’anomalia specifici per le criptovalute (es. movimenti ingenti verso exchange esteri appena registrati, frazionamento di acquisti crypto con contanti, transazioni con mixer o tumbler, ecc.) e quando una segnalazione evidenzia possibili violazioni fiscali, questa viene condivisa con il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della GdF e con l’Agenzia delle Entrate . Dalla segnalazione può quindi scaturire un accertamento fiscale o un’indagine penale per riciclaggio. Anche società e imprese sono soggette a questo circuito: gli operatori finanziari devono segnalare operazioni sospette anche di clienti persone giuridiche (ad es. un’azienda che trasferisce liquidità verso conti crypto non giustificati dal business potrebbe far scattare una SOS).

Oltre alle segnalazioni antiriciclaggio, il Fisco può scoprire cripto non dichiarate attraverso vari canali. Primo: lo scambio automatico di informazioni finanziarie internazionali (Common Reporting Standard) permette all’Agenzia delle Entrate di ricevere dati sui conti esteri detenuti da residenti italiani . Se un exchange estero presso cui un italiano ha un conto viene considerato “financial institution” ai fini CRS, invierà annualmente al suo paese (e quindi all’Italia) il saldo e i movimenti di quel conto, analogamente a un conto bancario. Secondo: dal 2024, come detto, gli operatori crypto italiani sono tenuti a inviare all’OAM (e in parte alla UIF) una serie di dati sulle operazioni e sui clienti, anche in attuazione della Travel Rule . Ciò significa che esiste una base di dati nazionale sulle transazioni crypto effettuate tramite prestatori di servizi registrati, a cui l’Agenzia delle Entrate e la GdF possono attingere in caso di controlli. Terzo: la Guardia di Finanza dispone di unità specializzate in indagini informatiche sulla blockchain. Utilizzando software di blockchain analysis, i militari possono associare indirizzi pubblici a soggetti noti, incrociando dati ottenuti da exchange (dove il cliente ha fatto KYC) o informazioni forensi ricavate da indagini . Ad esempio, se emerge da un’indagine bancaria un certo indirizzo Bitcoin, la GdF può richiedere alle società di exchange tracing di risalire alla provenienza e destinazione di quei fondi, costruendo catene di trasferimenti e identificando i wallet collegati. Esistono già casi in cui, tramite queste analisi, la Finanza è riuscita a identificare contribuenti che pensavano di operare anonimamente su DEX o tramite mixer. Quarto: i tradizionali movimenti bancari possono svelare operazioni crypto. Se un contribuente invia bonifici dal suo conto verso exchange esteri, o riceve accrediti significativi da piattaforme crypto, tali movimenti possono emergere dalle comunicazioni bancarie e generare richieste di chiarimenti dall’Agenzia (le banche segnalano all’Archivio dei Rapporti Finanziari operazioni atipiche, e l’Agenzia può chiedere al contribuente la provenienza di certe somme) . Infine, a livello UE è in arrivo la DAC8, una direttiva che dal 2026 obbligherà tutti i fornitori di servizi crypto a segnalare periodicamente alle autorità fiscali le transazioni dei clienti UE, con successivo scambio di queste informazioni tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri . Entro il 2027, quindi, ogni compravendita di cripto effettuata tramite intermediari sarà con buona probabilità nota al Fisco.

In sintesi, l’era dell’anonimato facile nelle criptovalute volge al termine: non è prudente fare affidamento sul segreto garantito dalla blockchain. Le tracce informatiche che lasciamo (sui registri distribuiti, sui conti bancari, sulle piattaforme) e la crescente cooperazione internazionale rendono sempre più tracciabili anche i patrimoni digitali occultati . Emblematico è il dato che nel 2024-2025 la Guardia di Finanza ha sequestrato oltre 73 milioni di euro in valute digitali nell’ambito di indagini finanziarie . Ciò significa che le autorità non solo riescono a individuare i soggetti, ma anche a colpire i relativi asset crypto (ad esempio ottenendo dai custodi l’oscuramento o il trasferimento forzoso dei fondi illeciti). La stessa GdF si avvale sempre di più di investigatori con competenze tecniche avanzate: come ha dichiarato il Gen. Luigi Vinciguerra, “il finanziere del terzo millennio deve essere anche un esperto di tecnologia e un analista, per leggere i segnali invisibili dell’economia digitale” . Dunque, il contribuente farebbe bene a non confidare nell’invisibilità delle proprie operazioni in criptovaluta, perché gli strumenti del Fisco per “vedere” questi movimenti sono in costante aumento.

Tipologie di violazioni fiscali sulle cripto-attività

Quando il Fisco avvia un accertamento sulle criptovalute non dichiarate, le possibili violazioni contestate rientrano in alcune fattispecie principali. Vediamole dal punto di vista del contribuente (debitore) e le relative conseguenze:

  • Omessa indicazione nel Quadro RW: come già detto, omettere di dichiarare le proprie criptovalute detenute all’estero costituisce una violazione di monitoraggio. È una violazione formale-sostanziale (non è un semplice errore materiale, ma nemmeno un’evasione di per sé). La sanzione è 3% – 15% del valore non dichiarato (con raddoppio 6% – 30% se si trattasse di paesi non collaborativi, salvo esclusione per cripto dal 2023) . Non comporta alcun reato penale, a meno che si accerti che dietro l’omissione RW c’era in realtà occultamento di redditi (in tal caso la contestazione principale diverrebbe l’infedele dichiarazione sui redditi). Ad esempio, se Tizio deteneva €100.000 in Bitcoin su un exchange estero e non lo ha indicato in RW, riceverà una sanzione tra €3.000 e €15.000; ma se da quei Bitcoin aveva tratto €10.000 di plusvalenze non dichiarate, allora oltre alla multa RW il Fisco gli contesterà la relativa imposta evasa sul reddito . Le sanzioni RW e sulle imposte evase sono cumulative (riguardano violazioni diverse) , anche se in sede di definizione spesso l’Agenzia Entrate tende a “concordare” un importo forfettario onnicomprensivo. Nel caso di più annualità non dichiarate, in genere si applica il cumulo giuridico per il quadro RW (viene irrogata un’unica sanzione calcolata sull’anno più grave, aumentabile fino al doppio).
  • Dichiarazione infedele (redditi crypto non dichiarati): consiste nell’aver presentato la dichiarazione dei redditi omettendo di indicare dei redditi imponibili derivanti da cripto-attività (plusvalenze, interessi, altri proventi). È un illecito sostanziale assai più grave del precedente, perché implica imposte dovute non pagate. L’Agenzia recupererà innanzitutto le imposte evase (26% delle plusvalenze) con relativi interessi; in aggiunta, applicherà una sanzione amministrativa dal 90% al 180% dell’imposta evasa . Ciò significa che, ad esempio, se Caio ha omesso di dichiarare €10.000 di imposte su profitti crypto, rischia una sanzione tra €9.000 e €18.000, oltre ovviamente a dover versare i €10.000 e gli interessi di mora . La sanzione può essere ridotta con ravvedimento operoso: ad esempio, se Caio si autodenuncia poco dopo la scadenza, può pagare 1/9 della sanzione (ossia il 10% del tax evaso) entro 90 giorni . Sul piano penale, la dichiarazione infedele costituisce reato ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. 74/2000 solo al superamento di determinate soglie: precisamente se l’imposta evasa supera €100.000 e contemporaneamente i ricavi non dichiarati superano il 10% del totale dichiarato (oppure in valore assoluto superano €2.000.000) . Se entrambe le condizioni sono soddisfatte, scatta il reato di infedele dichiarazione, punito con la reclusione da 2 a 4 anni e 6 mesi . Ad esempio, non dichiarare €500.000 di guadagni crypto, pari a circa €130.000 di tasse evase, integra il reato (perché l’imposta evasa >100k e i redditi occultati >2 mln in questo caso) . Viceversa, omettere €30.000 di plusvalenze (tasse evase €7.800) è illecito solo amministrativo. In caso di processo penale, la confisca delle somme evase è sempre prevista (v. oltre su sequestro). Ricordiamo anche che se per occultare questi redditi il contribuente ha usato artifici, ad esempio false fatture o documenti falsi, il fatto potrebbe aggravarsi in dichiarazione fraudolenta (art. 2 o 3 D.Lgs. 74/2000) che ha soglie diverse e pene fino a 6 anni . Nella pratica crypto, casi di frode potrebbero configurarsi se uno crea schemi di false vendite o utilizza società schermo per giustificare entrate, ma sono situazioni estreme.
  • Omessa presentazione della dichiarazione (con redditi crypto non dichiarati): se un contribuente non presenta affatto la dichiarazione annuale pur avendo realizzato redditi (inclusi redditi da criptovalute), la violazione è ancora più grave. Si applica una sanzione amministrativa del 120% dell’imposta dovuta (fino a un massimo del 240% in casi più gravi) con minimo €250 . Se però in concreto non c’era alcuna imposta dovuta (caso raro, perché se non vi erano redditi non c’era obbligo di dichiarazione), si applica una sanzione fissa da €250 a €1.000. Anche qui il ravvedimento è possibile: se il contribuente presenta la dichiarazione omessa entro 90 giorni, la sanzione fissa si riduce a €25. Sul piano penale, l’omessa dichiarazione è reato ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 74/2000 se l’imposta evasa supera €50.000 . La pena va da 2 a 5 anni di reclusione . Quindi, ad esempio, se un contribuente non presenta il Modello Redditi e vengono accertati €60.000 di imposte non versate su cripto-profitti, verrà denunciato penalmente; se erano €30.000, avrà solo sanzioni amministrative. Anche per l’omessa dichiarazione vige la causa di non punibilità penale in caso di pagamento integrale spontaneo (art. 13, vedi oltre).

Va osservato che le sanzioni amministrative sopra descritte (RW 3-15%, infedele 90-180%, omessa 120-240%) sono cumulabili tra loro se un medesimo contribuente commette più violazioni (es. non dichiara né i valori in RW né i redditi prodotti). In particolare, omettere RW e non dichiarare i redditi porta a due sanzioni distinte . Ad esempio, se Sempronio non indica €100.000 di criptovalute su un exchange estero (violazione RW) che hanno prodotto €10.000 di plusvalenze non tassate (violazione infedele), potrà subire sia la multa RW (€3.000-15.000) sia la multa sul tax evaso (€2.340-4.680, calcolata come 90-180% di €2.600 di imposta evasa) . In sede di accertamento, però, è frequente che l’Agenzia applichi il cumulo giuridico per violazioni commesse con un’unica azione o omissione nello stesso periodo d’imposta (art. 12 D.Lgs. 472/97): in pratica si irroga la sanzione più grave aumentata fino al doppio, invece di sommarle integralmente. Inoltre strumenti deflattivi come l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale consentono spesso di ridurre le sanzioni a 1/3 del minimo . In ogni caso, resta fermo che le imposte evase vanno versate e vanno corrisposti anche gli interessi legali, indipendentemente dalle sanzioni.

Di seguito una tabella riepilogativa che confronta le principali violazioni, sanzioni e soglie applicabili (situazione aggiornata ad agosto 2025):

Tabella 1 – Violazioni fiscali sulle criptovalute, sanzioni e soglie (regime Italia, 2025)

ViolazioneSanzione amministrativaProfilo penale
Omessa indicazione in Quadro RW (monitoraggio attività estere)– Multa 3% – 15% del valore non dichiarato (raddoppiata a 6% – 30% se Paese black list, ma dal 2023 niente raddoppio per cripto) .<br>- Minimo €258 se la dichiarazione è presentata con ritardo ≤90 gg.<br>- Ravvedimento: riduzioni da 1/8 a 1/6 del minimo a seconda del ritardo (es. ~0,5% annuo per ravvedimento molto tardivo).Non costituisce reato autonomo. La mancata compilazione RW da sola non integra infedele dichiarazione né omessa dichiarazione . È sanzionata solo in via amministrativa, salvo concorrere con reati se connessa a evasione di imposte.
Dichiarazione infedele (omessi redditi da crypto in dichiarazione)– Recupero dell’imposta evasa + interessi.<br>- Sanzione 90% – 180% dell’imposta evasa (riducibile per adesione o conciliazione fino a 1/3).<br>- Ravvedimento operoso: sanzione ridotta es. a 1/9 (≈11%) se si paga entro 90 gg, 1/8 se entro 1 anno, ecc. .Reato (art. 4 D.Lgs. 74/2000) se imposta evasa > €100.000 e redditi occultati > 10% del dichiarato o > €2.000.000 . Pena reclusione 2 – 4 anni e 6 mesi + pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, ecc.). Non punibile penalmente se il contribuente paga tutto il dovuto prima dell’accertamento o comunque prima che inizi il processo (vedi art. 13) .
Omessa presentazione dichiarazione (con redditi crypto non dichiarati)– Sanzione 120% dell’imposta dovuta (fino a 240% in casi gravi secondo la norma previgente) ; minimo €250.<br>- Se non c’è imposta dovuta (casi marginali): multa fissa €250 – €1.000.<br>- Ravvedimento: se si presenta la dichiarazione entro 90 gg, sanzione ridotta a €25 (1/10 del minimo) .Reato (art. 5 D.Lgs. 74/2000) se imposta evasa > €50.000 . Pena reclusione 2 – 5 anni . Non punibile se si presenta la dichiarazione mancante entro il termine dell’anno successivo e si versa tutto spontaneamente prima di controlli (art. 13) .
Altri reati tributari correlati (ipotesi aggravate)– (sanzione amministrativa inclusa nelle precedenti, ove applicabile)In ipotesi di comportamenti fraudolenti può configurarsi la dichiarazione fraudolenta (es. uso di false fatture o artifici per occultare cripto) punita più severamente (art. 2 o 3 D.Lgs. 74/2000, reclusione fino a 6 anni) . Non approfondito qui poiché richiede dolo specifico di inganno.

Note: Le soglie penali indicate si riferiscono a ciascun periodo d’imposta e per singola imposta (IRPEF, addizionali, etc.). Le sanzioni amministrative si sommano agli interessi legali e al recupero dell’imposta evasa. In caso di definizione agevolata (adesione, acquiescenza, conciliazione), le sanzioni amministrative possono essere ridotte (es. 1/3 del minimo in adesione). Le cause di non punibilità penale ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 richiedono il pagamento integrale di imposte + sanzioni + interessi entro i termini previsti (di norma prima dell’inizio formale delle indagini o, se già avviate, entro l’apertura del dibattimento in tribunale) .

Profili penali e rischi di sequestro

Come visto, non tutte le violazioni fiscali in materia di criptovalute comportano un reato. Solo nei casi di evasione rilevante scatta il profilo penale. Riassumendo:

  • La dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000) è reato se l’imposta evasa > €100.000 e i redditi sottratti > 10% del dichiarato o > €2 milioni . Questo reato è punito con la reclusione 2–4 anni e 6 mesi . Ad esempio l’ordinanza Cass. n. 8269/2025 ha confermato la rilevanza penale per un contribuente che aveva omesso di dichiarare ingenti corrispettivi in criptovaluta derivanti dalla vendita di NFT, superando i limiti di legge . In quel caso la Cassazione ha qualificato quei proventi come reddito di lavoro autonomo non dichiarato e dunque rientranti nell’art.4 (infedele) .
  • L’omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) è reato se l’imposta evasa > €50.000 , punito con reclusione 2–5 anni . Tipicamente potrebbe riguardare chi, avendo solo redditi crypto, decide di non presentare affatto il Modello Redditi per nasconderli.
  • L’omessa compilazione del quadro RW in sé non è prevista come reato, come chiarito da Cass. 19849/2021 . Tuttavia, se si supera la soglia penale di imposta evasa, difficilmente l’omissione RW sarà l’unica violazione: ci sarà quantomeno un reato di infedele o omessa dichiarazione. Dunque la distinzione è teorica: la mancata indicazione RW è penalmente irrilevante solo se non si sono superate le soglie di reddito/imposta evasa.

In caso di accertamento penale, oltre al processo vi sono misure cautelari come il sequestro preventivo dei beni dell’indagato, finalizzato alla confisca in caso di condanna. Nei reati tributari il “profitto” del reato è costituito in genere dall’imposta evasa. Pertanto, i sequestri mirano a bloccare beni di valore corrispondente all’imposta evasa, per assicurare il successivo recupero dell’erario. Si distingue tra sequestro diretto (del profitto stesso) e sequestro per equivalente (di altri beni di valore equivalente al profitto). Su questo tema è intervenuta la Cassazione di recente: con sentenza n. 1760 del 15 gennaio 2025 la Terza Sezione Penale ha stabilito che i Bitcoin non possono essere qualificati come profitto diretto del reato tributario, trattandosi di valuta virtuale e non di denaro avente corso legale . In quel caso, a un indagato per dichiarazione infedele erano stati sequestrati circa 1,88 BTC ritenendoli “profitto” dell’evasione fiscale, ma la Cassazione ha annullato il sequestro . Ha osservato che il profitto del reato consiste nell’ammontare dell’imposta evasa (quindi una somma in euro), mentre i bitcoin sono un bene differente – un asset digitale – il cui valore può semmai essere oggetto di sequestro per equivalente, ma non di sequestro diretto quale corpo del reato . In pratica, i BTC dell’indagato rappresentavano un valore equivalente al profitto (l’imposta non pagata), ma non erano essi stessi l’imposta evasa. Dunque la Corte ha stabilito che si può sequestrare criptovaluta solo come misura equivalente, non perché essa costituisca il diretto provento dell’evasione . Questo principio è importante nella difesa: significa che eventuali sequestri di criptovalute disposti in modo generico possono essere contestati se motivati come se la crypto fosse “il profitto del reato”. Resta ovviamente possibile per la Procura sequestrare beni (incluse criptovalute) fino a concorrenza del valore dell’imposta evasa, ma deve essere chiaro che si tratta di un sequestro per equivalente. Alla fine, in caso di condanna, il giudice disporrà la confisca dei beni/valori equivalenti all’imposta evasa. Pertanto il contribuente a rischio penale deve mettere in conto che una parte delle sue criptovalute (o altri averi) possa essere confiscata dallo Stato a titolo di recupero del maltolto fiscale.

È bene ricordare che la legge offre una via di uscita dal penale tributario tramite il pagamento del dovuto: l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la non punibilità per i reati di infedele e omessa dichiarazione se il contribuente paga integralmente imposte, sanzioni e interessi prima che il procedimento penale prenda piede . In particolare, per infedele o omessa dichiarazione non si procede penalmente se il contribuente: (a) presenta il dichiarativo omesso e paga il dovuto entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva (quindi entro un anno) oppure (b) esegue il ravvedimento operoso pagando tutto, prima che gli sia formalmente notificato un controllo o un’ispezione fiscale . In pratica, chi si autodenuncia e salda spontaneamente il debito tributario prima di essere scoperto evita del tutto il processo penale. Anche dopo l’avvio delle indagini c’è un’ultima chance: fino alla soglia dell’apertura del dibattimento in tribunale, il reo può ottenere l’estinzione del reato pagando il dovuto (il giudice può concedere un termine fino a 3 mesi, prorogabile, per perfezionare il pagamento completo) . Dunque, pagare quanto dovuto è la strada maestra per uscire puliti o attenuare fortemente le conseguenze penali.

Come difendersi dagli accertamenti fiscali sulle criptovalute

Dal punto di vista del contribuente (soprattutto se privo di dolo iniziale ma magari semplicemente mal consigliato o inconsapevole), è fondamentale adottare tempestivamente strategie di difesa per tutelare il proprio patrimonio e la propria libertà in caso di contestazioni del Fisco. Ecco alcuni consigli e strumenti di tutela:

  • Prevenzione e ravvedimento operoso: La miglior difesa è anticipare il problema. Chi sa di non aver dichiarato criptovalute (nel quadro RW e/o i relativi redditi) farebbe bene a regolarizzare spontaneamente la propria posizione prima di ricevere un accertamento. Il ravvedimento operoso consente di presentare una dichiarazione integrativa e pagare imposte e sanzioni ridotte, evitando così l’irrogazione delle multe piene e, soprattutto, azzerando il rischio di sanzioni penali se fatto per tempo . Ad esempio, se un contribuente nel 2022-2023 non ha dichiarato nulla, può ancora presentare le dichiarazioni integrative per quei periodi e versare il dovuto con sanzioni attenuate: così facendo, quando il Fisco lo scoprirà (ad es. tramite le nuove info exchange), troverà che si è già ravveduto e difficilmente procederà penalmente. Allo stesso modo, per l’omessa indicazione RW ci si può ravvedere versando la sanzione minima ridotta (circa 0,5% annuo per ogni anno di ritardo, come visto). Il tempismo è cruciale: ravvedersi prima di ricevere qualunque comunicazione evita sia le sanzioni piene sia il processo penale (ex art.13 D.Lgs.74/2000).
  • Documentare la buona fede e l’origine dei fondi: In sede di verifica fiscale, il contribuente deve fornire quante più informazioni possibili per giustificare le proprie operazioni in crypto. È fondamentale conservare traccia documentale di tutte le transazioni, investimenti e conversioni effettuate. Ciò include estratti conto degli exchange, ricevute di acquisto, screenshot delle operazioni, registro dei movimenti tra wallet, e così via. Questi documenti servono sia a dimostrare il costo d’acquisto delle criptovalute (così da calcolare correttamente le plusvalenze evitando che il Fisco assuma costo zero) sia a provare che certe entrate non sono redditi tassabili ma magari trasferimenti da altri wallet propri o rientri di capitale già tassato. Ad esempio, se arrivano €50.000 sul conto corrente da un exchange, poter mostrare che provengono dalla vendita di crypto acquistate anni prima con redditi già tassati (o ereditati, ecc.) aiuta a sostenere che non c’è evasione oltre l’eventuale capital gain. Cooperare con l’ufficio fornendo i dati richiesti – magari tramite il proprio commercialista – mostra buona fede e a volte induce l’Agenzia a chiudere l’accertamento con sole sanzioni amministrative minimali. Al contrario, l’atteggiamento ostruzionistico o l’assenza di documentazione insospettiscono di più il verificatore e irrigidiscono la sua posizione.
  • Contestare errori di calcolo o interpretazione: Il contribuente ha il diritto di contestare la ricostruzione del Fisco se la ritiene errata. In materia crypto vi sono vari aspetti tecnici su cui si può discutere. Ad esempio, la determinazione del valore delle criptovalute: l’ufficio potrebbe prendere prezzi di fine anno non corretti, o non considerare commissioni e costi di transazione che invece vanno dedotti dal realizzo. Oppure, potrebbero considerare come plusvalenze tassabili anche operazioni che per legge sono non imponibili, come le permute tra cripto di ugual natura e funzione (l’art. 67 c-sexies esenta le permute “aventi eguali caratteristiche e funzioni”) . Se il contribuente ha scambiato Bitcoin con Ethereum, si potrebbe discutere se quella permuta rientra nell’esenzione (sono entrambe criptovalute fungibili) oppure no – la norma è ambigua e la Cassazione nel caso NFT ha detto che quell’esenzione non si applicava perché l’NFT e la crypto sono disomogenei . Quindi esistono margini interpretativi. Ancora: si può invocare l’obiettiva incertezza normativa per gli anni pre-2023, data l’assenza di norme chiare. Se il contribuente dimostra che a causa del vuoto normativo aveva ragionevolmente interpretato diversamente (es. ritenendo di non dover dichiarare crypto-to-crypto o di non dover compilare RW per wallet non custodial), potrebbe ottenere in contenzioso l’annullamento delle sanzioni amministrative per colpa lieve. Anche alcuni giudici tributari hanno riconosciuto che prima del 2022-2023 la disciplina fosse poco chiara, giustificando la non applicazione di sanzioni in casi concreti (soprattutto per il quadro RW). Vale la pena quindi, con l’aiuto di legali, contestare formalmente in sede di risposta all’avviso o in ricorso le eventuali interpretazioni errate o non supportate dalla legge adottate dall’Ufficio.
  • Difesa in sede amministrativa e contenzioso: Quando arriva un avviso di accertamento, il contribuente può attivare strumenti deflattivi: presentare istanza di accertamento con adesione per discutere con l’ufficio e magari ottenere uno sconto su sanzioni o imponibili, oppure proporre un’istanza di autotutela se ci sono errori macroscopici. Se il risultato non è soddisfacente, si può presentare ricorso alla Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria) entro 60 giorni. Nel ricorso occorre ben articolare le proprie ragioni, eventualmente facendo leva su precedenti favorevoli (sentenze di altri casi) e su aspetti tecnici. Ad esempio, si può sostenere l’applicazione della franchigia €2.000 se l’Agenzia l’avesse disconosciuta per il 2023-24, oppure contestare il calcolo delle plusvalenze chiedendo di provare il costo storico delle crypto con metodi alternativi (se non si hanno tutte le evidenze, si può negoziare un imponibile inferiore invece di subirne uno forfettario pieno). Nel processo tributario, il contribuente può anche chiedere la disapplicazione delle sanzioni per esimente di incertezza normativa o buona fede. Ad esempio, se per gli anni antecedenti al 2023 l’obbligo RW non era esplicito, si può tentare di far annullare la multa RW per mancanza di dolo o per dubbio oggettivo sulla norma. Una difesa ben preparata, con perizie tecniche se necessario (es. per ricostruire i movimenti su blockchain), può spesso convincere i giudici a ridurre l’imponibile accertato o le sanzioni.
  • Tutela penale e sequestro: In caso sia scattato anche il procedimento penale, è imprescindibile farsi assistere da un avvocato penalista esperto in reati tributari. Come visto, c’è la possibilità di estinguere il reato pagando il dovuto (art.13), quindi il legale valuterà subito con il cliente la fattibilità di saldare tutti i debiti fiscali. Se ciò avviene, si può chiedere l’archiviazione al PM o in sede di udienza preliminare far valere la causa di non punibilità. Se invece il processo prosegue, la strategia difensiva potrebbe puntare a dimostrare l’assenza di dolo evasivo (magari l’imputato pensava seriamente di non dover pagare tasse sulle crypto, vista la confusione normativa, e ciò potrebbe escludere il dolo richiesto per il reato). Oppure a contestare i calcoli dell’imposta evasa, tentando di far scendere l’evasione sotto le soglie penali. Anche in sede penale, richiamare le sentenze di Cassazione aiuta a definire i confini: ad esempio si potrà far presente che l’omessa compilazione RW in sé non è reato , o che certe interpretazioni dell’Agenzia erano dubbie. Sul fronte sequestri, come detto, il difensore potrà fare riesame se ritiene il sequestro irregolare: ad esempio, dopo la sentenza 1760/2025, un sequestro diretto di Bitcoin potrà essere annullato dai giudici se il PM non ha qualificato correttamente la misura come “per equivalente” . Anche questo fa parte della difesa tecnica.
  • Assistenza professionale qualificata: Data la complessità della materia, il contribuente sotto accertamento farebbe bene ad affidarsi a consulenti esperti di fiscalità internazionale e crypto. Un avvocato tributarista con esperienza in criptoevasione saprà individuare eventuali falle nell’operato del Fisco e far valere i diritti del contribuente (ad es. vizi formali dell’avviso, notifica intempestiva, carenza di prove documentali da parte dell’Agenzia, ecc.). Un commercialista esperto in criptovalute potrà ricalcolare da zero la posizione fiscale del cliente, fornendo al Fisco o al giudice una ricostruzione alternativa più favorevole (ad esempio distinguendo correttamente tra depositi e prelievi, tra trasferimenti interni e cash-out tassabili). Inoltre, in caso di analisi su blockchain, può servire coinvolgere tecnici forensi specializzati, per verificare l’effettiva attribuzione di certi wallet al contribuente o per spiegare tecnicamente operazioni erroneamente interpretate dall’accertatore. Tutto ciò aumenta le chance di ottenere un esito positivo, sia esso un accordo bonario col Fisco (spesso preferibile per chiudere rapidamente la vicenda) sia una vittoria in giudizio.

In conclusione, “prevenire è meglio che curare”: chi investe in cripto dovrebbe adottare un approccio di massima trasparenza e compliance fiscale, tenendo scrupolosamente traccia di tutte le operazioni e dichiarando il dovuto nei modi previsti . Per situazioni pregresse già irregolari, la parola d’ordine è ravvedersi il prima possibile, approfittando magari di eventuali sanatorie se disponibili. Se invece il controllo fiscale è già in corso, niente panico: è fondamentale conoscere i propri diritti, analizzare nel dettaglio le contestazioni e affidarsi a esperti qualificati. Spesso ciò può fare la differenza tra una soluzione gestibile (pagamento ridotto, archiviazione penale) e un incubo fiscale-penale . Le criptovalute offrono nuove opportunità finanziarie, ma richiedono anche una nuova consapevolezza degli obblighi fiscali: con conoscenza e pianificazione si possono evitare problemi e godere dei benefici dell’innovazione senza incappare nelle maglie della legge.

Domande frequenti (FAQ)

Domanda: Devo dichiarare le criptovalute anche se non le ho mai convertite in euro?
Risposta: Sì. Il possesso di criptovalute va sempre indicato nel Quadro RW a fine anno, a prescindere dalla conversione in valuta fiat . Inoltre, se hai realizzato proventi in crypto (ad esempio vendendo token, ricevendo interessi o altre ricompense in criptovaluta), questi costituiscono redditi imponibili da dichiarare, anche se non li hai mai convertiti in moneta legale . La Cassazione ha confermato che la mancata conversione non esclude l’obbligo di dichiarare il reddito in cripto, perché ha comunque un valore economico tassabile in euro (vedi caso NFT pagati in Ether sopra discusso).

Domanda: Quali sanzioni rischio se non dichiaro al Fisco i miei redditi da criptovalute?
Risposta: Se ometti di dichiarare redditi (plusvalenze, interessi, ecc.) derivanti da crypto, l’Agenzia Entrate ti recupererà l’imposta evasa (26% dei redditi non dichiarati) più una sanzione amministrativa dal 90% al 180% dell’imposta stessa . Ad esempio, per €10.000 di imposta non dichiarata, la sanzione va da €9.000 a €18.000 . Dovrai poi pagare anche gli interessi di mora. Se invece non hai proprio presentato la dichiarazione, la sanzione è ancora maggiore: dal 120% al 240% delle imposte dovute (minimo €250) . Oltre alle sanzioni pecuniarie, se gli importi evasi sono molto rilevanti scattano anche conseguenze penali: in caso di superamento delle soglie di legge, si rischia la denuncia e la reclusione (vedi domanda seguente).

Domanda: Quando l’omissione legata alle criptovalute diventa un reato penale?
Risposta: Diventa reato penale quando l’evasione fiscale supera determinate soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000. In particolare: scatta il reato di dichiarazione infedele (art. 4) se l’imposta evasa eccede €100.000 e i redditi non dichiarati superano il 10% del totale dichiarato o comunque €2.000.000 . Ad esempio, non dichiarare €500.000 di guadagni crypto (circa €130.000 di imposte evase) integrerebbe il reato . Se invece non si presenta affatto la dichiarazione, scatta il reato di omessa dichiarazione (art. 5) se l’imposta evasa supera €50.000 . Sotto tali soglie, l’illecito resta amministrativo (multa) ma non penale. Nota: le soglie valgono per singola imposta e per singolo anno d’imposta; non si sommano importi di anni diversi ai fini penali .

Domanda: Posso evitare il processo penale se mi metto in regola dopo?
Risposta: Sì, la legge prevede una sorta di “scudo” penale se il contribuente paga tutto il dovuto prima che il procedimento penale entri nel vivo. In base all’art. 13 D.Lgs. 74/2000, per i reati di infedele o omessa dichiarazione non si procede penalmente se vengono pagate integralmente imposte, sanzioni e interessi tramite ravvedimento operoso oppure presentando la dichiarazione omessa entro l’anno successivo, purché ciò avvenga prima che il contribuente abbia formale conoscenza di verifiche o indagini a suo carico . In pratica, se ti autodenunci e saldi tutto prima che ti scoprano, non vieni punito penalmente. Anche dopo l’avvio di un procedimento, hai tempo fino all’apertura del dibattimento in tribunale per estinguere il debito ed evitare la condanna: il giudice può concederti qualche mese di tempo se dimostri di stare rateizzando e pagando . Insomma, pagare il dovuto è la via maestra per uscire pulito (o quantomeno ottenere pene minime e sospensione condizionale in caso di patteggiamento).

Domanda: Se ho perso l’accesso ai miei wallet (chiavi private smarrite), devo comunque dichiararli in RW?
Risposta: No, a certe condizioni. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, non vanno indicate in RW le cripto-attività di cui il contribuente non ha disponibilità per fatto involontario, a condizione di poterlo provare . Occorre presentare denuncia di smarrimento o furto delle chiavi private presso le autorità (Polizia/Postale) e conservare copia della denuncia. Finché le chiavi sono perdute e i wallet inaccessibili, quei valori non vanno monitorati. Lo stesso vale per cripto bloccate su exchange falliti: se puoi documentare l’impossibilità di disporne (ad esempio con documenti della procedura fallimentare), non sei tenuto a dichiararle finché restano irrecuperabili . È comunque prudente tenere tutta la documentazione di questi eventi pronta, per esibirla in caso di controlli futuri.

Domanda: I proventi da staking vanno dichiarati? E come sono tassati?
Risposta: Sì, i “premi” o interessi ricevuti dallo staking di criptovalute sono redditi imponibili. In base alle interpretazioni attuali, rientrano negli “altri proventi” da cripto-attività tassati come redditi diversi finanziari. Sono quindi soggetti a imposta sostitutiva 26% (fino al 2024 con franchigia di €2.000, dal 2025 sempre imponibili dal primo euro) . L’Agenzia delle Entrate, in risposta ad interpelli, ha assimilato lo staking a una forma di reddito di capitale o di reddito diverso a seconda dei casi: se c’è un rapporto contrattuale identificabile (es. staking tramite una piattaforma che corrisponde un interesse in crypto), può configurarsi reddito di capitale; se invece il premio è generato dalla semplice partecipazione alla validazione della blockchain (come avviene nel Proof of Stake “puro”), viene comunque considerato un provento tassabile come reddito diverso . In pratica, per l’utente medio, poco cambia: in ogni caso va indicato in dichiarazione nel quadro RL/RT. Non c’è IVA sullo staking (non è una prestazione di servizi verso un committente individuabile), ma ai fini delle imposte dirette è un reddito tassabile a tutti gli effetti. Quindi dovrai sommare i token ricevuti come reward, valutarli in euro al momento in cui li hai ottenuti, e applicare il 26% sull’importo (con le regole temporanee: per 2023-24 l’eventuale esenzione per i primi €2.000 di proventi complessivi) . Se poi li rivendi immediatamente, di fatto l’imponibile coinciderà col valore di vendita; se li trattieni, hai comunque realizzato un reddito in natura al momento della percezione (che andrà tassato, e la successiva vendita genererà eventualmente una plus/minusvalenza ulteriore da dichiarare separatamente).

Domanda: Come può il Fisco scoprire le mie criptovalute non dichiarate?
Risposta: I canali attraverso cui il Fisco può venire a conoscenza di cripto-attività non dichiarate sono sempre più numerosi. Primo, lo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Stati (Common Reporting Standard) fornisce ogni anno all’Agenzia Entrate dati su conti esteri di residenti italiani, e ciò include conti presso exchange se questi sono assimilabili a conti finanziari . Secondo, dal 2024 gli operatori crypto italiani (registrati OAM) devono trasmettere all’OAM/UIF dati periodici sulle operazioni effettuate e sull’identità dei clienti, anche in attuazione della Travel Rule europea . Terzo, la Guardia di Finanza si avvale di strumenti di blockchain forensics: può analizzare gli indirizzi sulle blockchain pubbliche e, incrociando con i dati ottenuti da exchange (KYC) o da investigazioni, può collegare determinati wallet a persone fisiche . Se, ad esempio, in un accertamento bancario emergono bonifici verso un exchange estero, la GdF può chiedere all’exchange i dettagli del conto crypto associato e quindi risalire alle transazioni effettuate on-chain. Quarto, i movimenti bancari tradizionali spesso rivelano la presenza di crypto: versamenti e prelievi in entrata/uscita da conti riconducibili a piattaforme crypto destano attenzione e possono indurre l’Agenzia a chiedere spiegazioni o far partire controlli finanziari . Quinto, a livello UE la nuova Direttiva DAC8 (in vigore dal 2026) obbligherà tutti i fornitori di servizi di crypto-asset a inviare alle autorità fiscali informazioni dettagliate sulle transazioni dei clienti (acquisti, vendite, scambi), e tali dati saranno scambiati tra le Amministrazioni finanziarie europee entro il 2027 . Tutto ciò significa che l’era in cui si poteva confidare nell’anonimato delle crypto sta finendo: già oggi il Fisco “vede” molto di più di un tempo. Basti pensare che nel 2024 l’UIF ha ricevuto oltre 6.200 segnalazioni di operazioni sospette legate a cripto e che la Guardia di Finanza tra 2024 e 2025 ha sequestrato oltre 73 milioni in crypto durante indagini su evasione e riciclaggio . Insomma, confidare nel segreto delle proprie criptovalute è molto rischioso: meglio dichiararle e dormire sonni tranquilli, perché l’Amministrazione finanziaria avrà sempre più mezzi per individuarle .

Domanda: Posso compensare perdite e profitti tra diverse criptovalute?
Risposta: Sì, entro certi limiti. Le regole di compensazione delle plusvalenze e minusvalenze da criptovalute sono quelle generali dei redditi diversi di natura finanziaria. Le minusvalenze derivanti da cessioni di cripto-attività possono compensare le plusvalenze della stessa categoria realizzate nello stesso periodo d’imposta . Se in un anno hai più perdite che guadagni, la parte di perdita eccedente può essere riportata in diminuzione dei redditi diversi finanziari dei quattro anni successivi . Ad esempio, se nel 2024 realizzi -€5.000 da una vendita in perdita e +€3.000 da un’altra operazione in utile, non pagherai imposte per il 2024 e riporterai €2.000 di minusvalenza utilizzabile dal 2025 al 2028 . È importante indicare correttamente le minusvalenze nel quadro RT della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui si sono generate, altrimenti non potrai riportarle . Nota che le minusvalenze su crypto non possono compensare redditi di altra natura (es. non possono ridurre il reddito da lavoro dipendente o d’impresa) . Possono solo compensare plusvalenze appartenenti allo stesso “monte” dei redditi diversi finanziari (che include plusvalenze da titoli, valute, metalli preziosi, ecc., oltre alle crypto).

Domanda: Le sanzioni per quadro RW e quelle per imposte evase possono cumularsi?
Risposta: Sì, sono violazioni distinte e le relative sanzioni si cumulano (salvo riduzioni in sede di conciliazione). La mancata indicazione di attività estere in RW comporta la sanzione dal 3% al 15% del valore non dichiarato, mentre l’eventuale evasione d’imposta sui redditi generati da quelle attività comporta la separata sanzione del 90-180% sull’imposta evasa . Quindi, ad esempio, se non hai dichiarato €100.000 di cripto su un exchange estero e non hai dichiarato €10.000 di plusvalenze da esse derivanti, potresti subire sia la multa RW (3-15% di 100k = €3k-€15k) sia la multa per infedele (90-180% su ~€2.600 di imposta evasa = €2.340-€4.680) . In pratica sono sanzioni per due violazioni differenti. Tuttavia, se le violazioni sono commesse con un’unica azione omissiva, la legge consente di applicare il cumulo giuridico: in sede di pagamento potresti vederti applicare la sanzione più grave aumentata entro il doppio, invece della somma aritmetica di entrambe . Inoltre, se trovi un accordo con l’Agenzia (adesione) o transi in giudizio (conciliazione), spesso si negozia una riduzione complessiva delle sanzioni. Resta comunque il fatto che, giuridicamente, le due sanzioni sono dovute entrambe inizialmente , perché puniscono aspetti diversi (violazione valutaria vs evasione d’imposta).

Tabelle riepilogative

Di seguito alcune tabelle riassuntive dei punti chiave trattati nella guida, per una rapida consultazione.

Tabella 2 – Evoluzione della tassazione delle cripto-attività (persone fisiche)

PeriodoRegime fiscale delle plusvalenze cryptoRiferimenti normativi
Fino al 2022Nessuna norma specifica. Applicazione di fatto delle regole sulle valute estere:<br>plusvalenze tassabili solo se la giacenza media dei depositi > €51.645,69 per >7 giorni, altrimenti esenti. Aliquota 26% (redditi diversi IRPEF).<br>Obbligo di monitoraggio RW basato su interpretazioni di prassi (crypto assimilate ad attività finanziarie estere fuori circuito italiano).Prassi AdE (es. Circ. 38/E/2013; Risoluz. 72/E/2016).<br>Art. 67(1)(c-ter) TUIR (valute estere) in combinato disposto con DL 167/1990 (monitoraggio).
2023 – 2024Introdotto regime ad hoc dalla L. 197/2022:<br>- Definizione di cripto-attività in legge.<br>- Plusvalenze e altri proventi da cripto tassati al 26% come redditi diversi finanziari.<br>- Franchigia €2.000 annui complessivi: esenti se ≤2.000, tassabili oltre tale importo (inizialmente interpretata come soglia “on/off”, poi chiarita come franchigia) .<br>- Prevista rivalutazione facoltativa al 1/1/2023 (step-up pagando 14% entro 30/6/2023).<br>- Obbligo monitoraggio esteso espressamente a tutte le cripto dal 2023 (modifica art. 4 DL 167/90).<br>- IVAFE 0,2% introdotta sulle cripto detenute all’estero dal 2023.L. 29/12/2022 n. 197 (Bilancio 2023), commi 126–133 (regime fiscale cripto: art. 67(1)(c-sexies) TUIR; definizione cripto-attività) , 138–139 (IVAFE valute virtuali estere) , 140–147 (regolarizzazione e step-up).<br>Art. 4 D.L. 167/1990 modificato (obbligo RW per cripto) .
2025 (transitorio)– Aliquota sostitutiva confermata al 26%.<br>- Abolita la soglia di esenzione €2.000: tutte le plusvalenze diventano imponibili dal primo euro .<br>- Prevista nuova rivalutazione opzionale al 1/1/2025 (imposta sostitutiva 18% entro 30/11/2025, rateizzabile).<br>- Obblighi di monitoraggio invariati.<br>NB: Nel 2025 gli intermediari OAM possono iniziare ad operare da sostituti d’imposta (risparmio amministrato) se attrezzati.L. 30/12/2024 n. 207 (Bilancio 2025), commi 23–29 (eliminazione soglia €2.000 dal 2025; step-up 2025 al 18%) .
Dal 2026– Aliquota sostitutiva 33% su plusvalenze e proventi da cripto (a regime).<br>- Nessuna soglia esente (già eliminata).<br>- Regime “a regime” stabilizzato su modello rendite finanziarie tradizionali (26% sale a 33%).L. 30/12/2024 n. 207, commi 23–25 (aliquota 33% dal 2026) .

Nota: Resta ferma la distinzione tra attività svolta a titolo privato e attività svolta in forma d’impresa o professionale. Se il contribuente agisce come impresa (es. società di trading o mining), i proventi crypto sono inquadrati come reddito d’impresa o di lavoro autonomo (tassati con aliquote IRES/IRPEF ordinarie) e non come redditi diversi finanziari. Le plusvalenze crypto per soggetti IRPEF non imprenditori non concorrono al reddito complessivo IRPEF ma sono soggette a imposta sostitutiva separata (regime “capital gain”). L’imposta sostitutiva va autoliquidata dal contribuente, salvo che intervenga un intermediario come sostituto d’imposta. Dal 2023 il contribuente può optare, se disponibile, per il regime del risparmio amministrato/gestito presso intermediari crypto abilitati, delegando a loro il calcolo e pagamento dell’imposta.

Conclusioni

L’emersione fiscale delle criptovalute rappresenta una sfida nuova sia per i contribuenti che per l’Amministrazione finanziaria. Il legislatore italiano, a partire dal 2023, ha finalmente messo ordine nella tassazione dei crypto-asset, chiarendo obblighi e imponibilità. Ciò è avvenuto però dopo anni di vuoto normativo, durante i quali molti investitori hanno operato in un’area grigia seguendo interpretazioni talora discordanti. Oggi chi detiene o investe in criptovalute deve essere consapevole che esistono precisi obblighi dichiarativi: vanno dichiarati sia i redditi generati sia il semplice possesso (monitoraggio RW), e che le sanzioni per l’omissione possono essere severe, arrivando nei casi più gravi a implicazioni penali .

Dal punto di vista del contribuente – spesso inizialmente privo di malafede, ma magari solo disinformato – è fondamentale agire per tempo. Regolarizzare spontaneamente eventuali omissioni conviene sotto tutti i profili: gli strumenti del ravvedimento operoso e delle sanatorie (quando offerte) permettono di sanare la posizione con costi sostenibili e, soprattutto, di azzerare il rischio penale, proteggendo la propria libertà personale e la propria reputazione . Al contrario, ignorare il problema sperando nell’invisibilità digitale è un azzardo: come abbiamo visto, le tracce informatiche e la cooperazione tra Stati rendono sempre più tracciabili le ricchezze virtuali occultate .

Abbiamo analizzato come la Cassazione si sia già espressa in materia (plusvalenze in crypto equiparate a redditi imponibili, NFT tassabili subito, omissione RW non penalmente rilevante di per sé, limiti ai sequestri diretti di bitcoin, ecc.), fornendo principi che guidano procure e tribunali . Ciò dà maggiore prevedibilità al diritto tributario applicato alle crypto. Chi dovesse trovarsi sotto accertamento o indagine non è però privo di difese: esistono margini di contestazione (su valutazioni, interpretazioni, prove) e la stessa legge penal-tributaria offre vie d’uscita per chi adempie ai propri doveri (art. 13 D.Lgs.74/2000) . Con un’adeguata assistenza professionale – da parte di avvocati tributaristi, commercialisti esperti in crypto e tecnici forensi – è spesso possibile ridurre i danni, raggiungere accordi col Fisco o ottenere esiti processuali favorevoli, evitando conseguenze devastanti .

In conclusione, la parola chiave è consapevolezza. Le criptovalute possono offrire nuove opportunità finanziarie, ma comportano anche una nuova responsabilità nei confronti del Fisco. Conoscere le regole (in continua evoluzione), pianificare correttamente gli adempimenti e avvalersi di consulenti esperti all’occorrenza consente di evitare problemi e di godere dei benefici dell’innovazione finanziaria senza inciampare nelle maglie della legge .

Fonti principali: Circolare Agenzia Entrate 30/E-2023 ; Legge 197/2022 (commi 126-147) ; Legge 207/2024 (commi 23-29) ; D.Lgs. 74/2000 (artt. 4,5,13) ; D.L. 167/1990 (monitoraggio fiscale) ; Cass. Pen. sez. III n.1760/2025 ; Cass. Pen. sez. III n.8269/2025 ; Cass. Pen. sez. VI n.19849/2021 ; UIF – Newsletter 4/2025 ; Guardia di Finanza – dati 2024/25 . (Si veda il dettaglio dei riferimenti nel testo per ciascun argomento).

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Le criptovalute (Bitcoin, Ethereum e altre) sono ormai sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate. Movimenti su exchange esteri, mancate dichiarazioni in quadro RW o guadagni da trading non tassati possono far scattare segnalazioni e controlli fiscali.

👉 Non ogni movimento in criptovalute è evasione: il contribuente può difendersi dimostrando la liceità dei fondi e la corretta gestione fiscale.


⚖️ Quando scattano le contestazioni

  • Mancata compilazione del quadro RW per il monitoraggio fiscale delle valute virtuali detenute su wallet o exchange esteri;
  • Prelievi o bonifici ingenti da exchange senza chiara giustificazione;
  • Mancata dichiarazione delle plusvalenze da cessione di criptovalute sopra la soglia prevista dalla legge;
  • Operazioni qualificate come sospette dalle banche o dagli intermediari finanziari, segnalate all’UIF;
  • Movimenti che fanno pensare a riciclaggio o autoriciclaggio.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero delle imposte non dichiarate sulle plusvalenze;
  • Sanzioni e interessi per omessa dichiarazione RW o redditi da cripto-attività;
  • Accertamenti retroattivi fino a 7 anni;
  • Sequestro dei wallet o dei conti collegati nei casi di sospetto riciclaggio;
  • Procedimenti penali tributari nei casi più gravi.

🔍 Come difendersi

  1. Analizza la contestazione: individua se riguarda monitoraggio, tassazione delle plusvalenze o operazioni sospette.
  2. Raccogli la documentazione: estratti degli exchange, report delle transazioni, ricevute dei bonifici, wallet history.
  3. Dimostra la provenienza lecita dei fondi: stipendi, risparmi, attività già tassate.
  4. Verifica la normativa applicabile: le regole fiscali sulle criptovalute sono cambiate negli anni, e il contribuente può far valere l’incertezza normativa.
  5. Presenta memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, contestando sanzioni sproporzionate o accertamenti illegittimi.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la tua posizione fiscale in criptovalute e i motivi della contestazione;
  • 📌 Ricostruisce la cronologia delle operazioni su wallet ed exchange;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi contro gli avvisi di accertamento;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Elabora strategie di regolarizzazione per ridurre sanzioni e chiudere le pendenze.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in fiscalità delle criptovalute e accertamenti fiscali digitali;
  • ✔️ Specializzato in contestazioni su operazioni sospette e antiriciclaggio;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le operazioni sospette su criptovalute possono generare accertamenti fiscali molto pesanti, ma non sempre sono illegittime o evasive.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la correttezza delle operazioni, ridurre le sanzioni e proteggere il tuo patrimonio digitale.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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