Hai venduto un immobile e l’Agenzia delle Entrate ti contesta di non aver dichiarato la plusvalenza realizzata? In alcuni casi la cessione di un immobile genera un reddito imponibile che deve essere dichiarato, e l’omissione può comportare accertamenti fiscali pesanti con imposte, sanzioni e interessi. Ma non sempre la plusvalenza è dovuta: ci sono situazioni in cui il Fisco sbaglia o interpreta in modo eccessivo la normativa.
Quando la plusvalenza è tassata
La plusvalenza immobiliare è tassata se la vendita riguarda:
– Immobili acquistati o costruiti da meno di 5 anni (salvo prima casa adibita ad abitazione principale per la maggior parte del periodo)
– Terreni edificabili, indipendentemente dal periodo di possesso
– Immobili ricevuti in donazione e rivenduti entro 5 anni, salvo esenzioni particolari
– Cessioni con prezzo di vendita superiore al costo di acquisto o di costruzione rivalutato
Quando la plusvalenza non è imponibile
– Se l’immobile è stato adibito ad abitazione principale del venditore o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo di possesso
– Se l’immobile è stato acquistato per successione ereditaria (le plusvalenze non si tassano)
– Se la vendita avviene oltre 5 anni dall’acquisto o dalla costruzione (salvo terreni edificabili)
– Se il prezzo di vendita non ha generato un effettivo guadagno rispetto al costo di acquisto
Cosa rischi in caso di omissione
– Recupero delle imposte sulla plusvalenza non dichiarata
– Sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta accertata
– Addebito di interessi di mora
– Possibile contestazione di dichiarazione infedele se superi determinate soglie
– Avvio di azioni esecutive in caso di mancato pagamento delle somme richieste
Come difendersi da una contestazione per omissione di plusvalenza
– Dimostrare che l’immobile era prima casa e quindi esente da tassazione
– Produrre documenti che attestino la data di acquisto o costruzione e la durata del possesso
– Dimostrare che non vi è stata alcuna plusvalenza effettiva (assenza di guadagno reale)
– Contestare eventuali errori di calcolo dell’Agenzia delle Entrate
– Richiamare le norme e la giurisprudenza favorevole sulle esenzioni e sulle esclusioni
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento della pretesa
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’atto di vendita e l’accertamento notificato dal Fisco
– Valutare se la plusvalenza è effettivamente imponibile
– Raccogliere e organizzare la documentazione difensiva (atti notarili, certificati di residenza, spese di ristrutturazione deducibili)
– Contestare le presunzioni eccessive o i calcoli errati dell’Agenzia delle Entrate
– Difendere il contribuente in giudizio per ridurre o annullare le somme richieste
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione di imposte, sanzioni e interessi applicati
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di pagare solo quanto realmente dovuto
⚠️ Attenzione: non tutte le vendite di immobili generano plusvalenze imponibili. Molte contestazioni del Fisco si basano su presunzioni che possono essere ribaltate con prove concrete e una difesa tecnica ben impostata.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare una contestazione per omissione di plusvalenza immobiliare e come difenderti in modo efficace.
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Introduzione
L’omissione di una plusvalenza immobiliare – ovvero la mancata dichiarazione del guadagno ottenuto dalla vendita di un immobile – può esporre il contribuente a contestazioni fiscali e sanzioni molto pesanti. In Italia, la cessione di un fabbricato o terreno può generare una plusvalenza tassabile come reddito diverso ai fini IRPEF, a meno che non ricorrano specifiche condizioni di esenzione (come nel caso dell’abitazione principale o di beni pervenuti per successione) . Ommettere di dichiarare questo reddito significa esporsi ad accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, a sanzioni amministrative pecuniarie elevate e, nei casi più gravi, perfino a responsabilità penali per reati tributari.
Questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – offre un’analisi dettagliata della normativa italiana sulle plusvalenze immobiliari, con un taglio pratico e giuridico pensato per avvocati, professionisti, imprenditori e privati. Verranno esaminati i casi tipici (vendita di prima casa, seconde case, terreni edificabili, immobili strumentali ecc.), distinguendo tra plusvalenze realizzate da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa e plusvalenze da soggetti IVA (imprese o professionisti). Dal punto di vista del contribuente (il “debitore” d’imposta) vedremo come difendersi: quali sono le norme applicabili, le più recenti sentenze autorevoli che chiariscono i principi, le possibili sanzioni (anche penali), nonché le strategie di difesa e le tecniche di contenzioso tributario utilizzabili.
La guida è organizzata con un linguaggio tecnico-giuridico ma divulgativo. Troverete tabelle riepilogative per sintetizzare i concetti chiave, sezioni di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti, oltre a casi pratici e simulazioni basate sulla normativa vigente in Italia. L’obiettivo è fornire un quadro completo e aggiornato su come individuare, prevenire o contestare efficacemente un accertamento per plusvalenze immobiliari non dichiarate.
Nota: Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono aggiornate al 2025. In particolare, si terrà conto delle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 (ad esempio l’estensione della tassazione per immobili ristrutturati con Superbonus) , nonché delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione in materia (come la sentenza n. 11786/2025 sull’irrilevanza dell’intento speculativo ). Ogni affermazione rilevante è corredata da riferimenti a fonti ufficiali o giurisprudenziali, così da garantire la massima affidabilità delle informazioni.
Normativa di riferimento sulle plusvalenze immobiliari
Prima di esaminare le strategie difensive, è fondamentale delineare il quadro normativo che disciplina le plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili. In Italia, la tassazione di tali plusvalori è regolata principalmente dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986). Le disposizioni chiave sono contenute nell’art. 67 (che classifica le plusvalenze immobiliari tra i redditi diversi) e nell’art. 68 (che ne disciplina il calcolo) . A queste si affiancano norme speciali (come quelle introdotte dalle Leggi di Bilancio 2023 e 2024) e i chiarimenti forniti dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate e dalla giurisprudenza.
Di seguito, riepiloghiamo i principi fondamentali:
- Plusvalenza immobiliare come reddito diverso: la differenza positiva tra il prezzo di vendita di un immobile e il costo di acquisto (comprensivo dei costi inerenti) costituisce, in linea generale, un reddito imponibile da dichiarare ai fini IRPEF . Questa regola vale per le persone fisiche che vendono beni immobili al di fuori di attività d’impresa (quindi non come parte della gestione di un’azienda). La ratio è tassare i guadagni di natura speculativa derivanti da transazioni immobiliari.
- Cessioni tassabili solo entro certi limiti temporali: secondo la norma ordinaria (art. 67, co.1, lett. b, TUIR), sono imponibili le plusvalenze realizzate dalla vendita di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni . Il legislatore presume infatti che rivendere un immobile entro cinque anni dall’acquisto integri un’operazione potenzialmente speculativa (presunzione assoluta di intento speculativo) . Viceversa, le cessioni che avvengono oltre il quinquennio dall’acquisto sono considerate fisiologiche (frutto di esigenze personali, cambio residenza, ecc.) e non generano materia imponibile ai fini IRPEF.
- Eccezioni importanti – successione e abitazione principale: la stessa disposizione prevede due eccezioni fondamentali in cui, pur vendendo entro 5 anni, non si applica la tassazione. Sono esclusi: (a) gli immobili acquisiti per successione ereditaria, e (b) le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo tra l’acquisto (o costruzione) e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari . In altre parole, ereditare un immobile e rivenderlo anche poco dopo non genera plusvalenza tassabile (il legislatore ha ritenuto che l’incremento di valore in tal caso non costituisca reddito tassabile) . Allo stesso modo, se l’immobile venduto era la prima casa del contribuente (dimora abituale) per la maggior parte del tempo in cui ne è stato proprietario, l’eventuale guadagno è esente da IRPEF . Su quest’ultimo aspetto è bene evidenziare che conta l’uso fattuale come abitazione principale, a prescindere dalla residenza anagrafica: la Cassazione ha chiarito che ai fini dell’esenzione rileva la dimora abituale comprovata, e non necessariamente la residenza ufficiale nei registri comunali . Ciò significa che è possibile dimostrare con prove concrete di aver adibito a propria abitazione principale un immobile anche se la residenza anagrafica risultava altrove – e viceversa, il Fisco può contestare l’esenzione se, pur in presenza di residenza formale, l’uso abitativo effettivo non c’è stato .
- Terreni edificabili: un caso peculiare è quello dei terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria. Tali beni, infatti, generano plusvalenze tassabili “in ogni caso”, indipendentemente dal periodo di possesso . La stessa lett. b) dell’art. 67 TUIR, dopo aver menzionato gli immobili ceduti entro cinque anni, aggiunge che sono soggette a tassazione anche le plusvalenze realizzate dalla vendita di terreni che hanno acquisito potenzialità edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti (anche se posseduti per oltre 5 anni). Il presupposto è che la valorizzazione di un’area divenuta edificabile costituisce un arricchimento imponibile per il proprietario al momento della vendita. Nota: se però il terreno era stato acquistato prima dell’entrata in vigore della normativa (ante 1976), possono applicarsi regole transitorie di esenzione; tuttavia, per le transazioni attuali questo caso è raro e da valutare con attenzione alla luce di eventuali rivalutazioni o rideterminazioni del costo (vedi oltre).
- Contesto d’impresa o lavoro autonomo: le plusvalenze realizzate nell’esercizio di impresa commerciale, arti o professioni non rientrano tra i redditi diversi ex art. 67 , poiché in tal caso il bene è parte dei cespiti dell’attività. Ad esempio, se una società immobiliare vende un immobile, il relativo utile confluisce nel reddito d’impresa ordinario (assoggettato a IRES/IRPEF) e non soggiace ai limiti quinquennali sopra descritti. Analogamente, se un professionista vende uno studio professionale di sua proprietà, l’eventuale plusvalore può concorrere al reddito professionale (salvo eccezioni) e non è disciplinato da art. 67 ma dalle regole del reddito di lavoro autonomo. Approfondiremo oltre le differenze tra regime privato e regime d’impresa.
Novità normative recenti (2024-2025)
La disciplina sopra delineata ha subito di recente alcune importanti novità, di cui bisogna tenere conto per gli anni d’imposta 2024 e successivi. In particolare:
- Estensione del periodo di rilevanza a 10 anni per immobili ristrutturati con Superbonus: La Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2023, commi 64-67) ha introdotto una nuova ipotesi di tassazione per chi vende immobili oggetto di interventi agevolati con Superbonus (riqualificazione energetica 110% o simili) entro 10 anni dalla fine dei lavori. In pratica, dal 1° gennaio 2024, se si cede un immobile su cui sono stati eseguiti interventi agevolati col Superbonus terminati da non oltre dieci anni, la plusvalenza diventa imponibile come reddito diverso . Si è quindi esteso da 5 a 10 anni il periodo in cui la vendita genera tassazione, ma solo per questi immobili ristrutturati con bonus edilizi. L’obiettivo dichiarato è contrastare operazioni speculative che sfruttano gli incentivi: il legislatore presume che rivendere l’immobile ristrutturato grazie al Superbonus in tempi relativamente brevi realizzi un guadagno in parte dovuto al beneficio fiscale ottenuto, guadagno che viene così in parte “restituito” al fisco . Va sottolineato che restano ferme le eccezioni: se l’immobile è stato ereditato o se è adibito ad abitazione principale per la maggior parte del periodo (che qui diventa di 10 anni), la plusvalenza non è tassabile neppure in questa nuova ipotesi . Dunque, ad esempio, la vendita di una casa ristrutturata col Superbonus dopo 6 anni è imponibile, ma non se il venditore l’ha utilizzata come propria abitazione principale per almeno 4 di quei 6 anni (i “due terzi” del periodo) o se l’aveva ricevuta per successione. Questa novità è stata definita “plusvalenza potenziata” nella prassi, ed è stata oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 13/E del 13 giugno 2024 e diverse risposte a interpello) . Approfondiremo più avanti i dettagli applicativi, inclusi i casi esclusi (ad es. immobili acquistati da impresa con Sismabonus acquisti, per i quali l’Agenzia ha escluso l’applicazione della plusvalenza potenziata alle rivendite successive) .
- Adeguamento aliquota imposta sostitutiva: sempre sul finire del 2019 è stato previsto l’aumento al 26% (dal previgente 20%) dell’aliquota dell’imposta sostitutiva opzionale sulle plusvalenze immobiliari . Dal 1° gennaio 2020, chi vende un immobile tassabile può chiedere al notaio l’applicazione dell’imposta secca al 26% sul gain, in luogo della tassazione IRPEF ordinaria. Su questo aspetto torneremo nel paragrafo dedicato, con indicazione di quando conviene utilizzarla e dei casi in cui non è ammessa (ad esempio, non si può applicare alla vendita di terreni edificabili) .
- Riforma e chiarimenti su terreni donati e ricevuti in donazione: si segnala infine che la riforma fiscale in discussione (delega al Governo per la revisione dell’IRPEF e IRES) prevede modifiche riguardo ai terreni ricevuti per donazione. In particolare, a partire dal 2025 dovrebbe essere confermato per legge che, in caso di vendita di terreni edificabili donati, il costo fiscale da considerare è quello originario del donante (aumentato di eventuale imposta di donazione pagata) . Ciò significa eliminare ogni incertezza: attualmente, già per prassi l’Agenzia applica il principio di continuità dei valori (conta la data e il costo di acquisto del donante, così da impedire che la donazione “azzzeri” la plusvalenza maturata) , ma l’intervento normativo consoliderebbe questa regola, impedendo artifici elusivi. In sintesi, donare un immobile non fa perdere rilevanza fiscale alle plusvalenze latenti: se il donante lo possedeva da meno di 5 anni, il quinquennio continua a decorrere dal suo acquisto e il donatario che vende prima del termine complessivo subirà la tassazione sul plusvalore maturato . Viceversa, se il donante aveva già superato i 5 anni, la vendita da parte del donatario resterà esente (perché la condizione temporale è soddisfatta fin dalla provenienza).
Questi aggiornamenti normative e interpretativi saranno ripresi nei paragrafi specifici. Dopo aver definito il quadro generale, passiamo ora ad analizzare dettagliatamente le diverse casistiche e come determinare la plusvalenza nei vari scenari (persona fisica vs impresa, tipologia di immobile, ecc.), per poi affrontare le sanzioni e le strategie difensive.
Plusvalenze di persone fisiche vs. plusvalenze in attività d’impresa
Un primo fondamentale distinguo è tra le plusvalenze generate da persone fisiche al di fuori dell’esercizio d’impresa o arte/professione e quelle che sorgono invece nell’ambito di attività imprenditoriali o professionali. Questo influisce sia sul modo in cui il reddito viene tassato, sia sulle regole di determinazione e sulle eventuali omissioni.
Persone fisiche (regime “privatistico”)
Le persone fisiche non imprenditori seguono la disciplina illustrata in precedenza, dettata dall’art. 67 TUIR. In sintesi:
- Quando scatta la tassazione: se vendono un immobile (fabbricato o terreno non edificabile) entro 5 anni dall’acquisto/costruzione, realizzano una plusvalenza tassabile come reddito diverso (salvo esenzione prima casa/successione). Se vendono dopo oltre 5 anni, nessuna imposizione IRPEF. Per i terreni edificabili, ogni vendita è potenzialmente rilevante (anche oltre 5 anni), perché la norma li considera sempre come fonte di plusvalore imponibile .
- Modalità di tassazione: la plusvalenza rientra tra i redditi soggetti a IRPEF. Il contribuente ha però l’opzione di richiedere al rogito notarile l’applicazione di un’imposta sostitutiva (un’imposta secca) al 26% sulla plusvalenza calcolata . Se esercita questa opzione, il notaio provvede a trattenere e versare la somma allo Stato, e il venditore non dovrà indicare nulla nella dichiarazione dei redditi (quella plusvalenza risulterà già tassata a titolo definitivo). Se invece non si opta per la sostitutiva, il contribuente dovrà inserire il gain nel quadro RL (Redditi Diversi) della propria dichiarazione dei redditi e verrà tassato con le aliquote IRPEF ordinarie (che, ricordiamo, sono progressive per scaglioni dal 23% fino al 43%). Approfondiremo più avanti come scegliere l’opzione migliore.
- Calcolo del quinquennio: per stabilire se sono passati più o meno di 5 anni, si considera in genere la data di acquisto e quella di rivendita dell’immobile. Attenzione: in alcune situazioni complesse (es. acquisti pro-quota in tempi diversi, frutto di eventi particolari come una divisione ereditaria o una sentenza di separazione) il quinquennio va conteggiato separatamente per ogni quota acquisita. Ad esempio, come chiarito di recente dall’Agenzia delle Entrate, se un contribuente possedeva già il 50% di un immobile da molti anni e nel 2023 acquisisce il restante 50% a seguito di divorzio, poi rivende tutto nel 2025, la plusvalenza sarà tassabile solo sulla quota ricevuta nel 2023 (perché per quella quota il quinquennio non è trascorso) . Il 50% originario, invece, essendo detenuto da più di cinque anni, non genera alcun reddito tassabile . Questo principio – confermato dalla Risposta a interpello n. 153/2025 – ribadisce che ogni trasferimento “a titolo oneroso” fa decorrere un nuovo periodo di sorveglianza quinquennale .
- Redditi esclusi: se la plusvalenza deriva già da altre categorie reddituali, non si applica l’art. 67. È il caso, ad esempio, di un privato che effettui operazioni occasionali qualificabili come attività commerciale: superati certi limiti, il Fisco potrebbe riqualificare l’operazione come reddito d’impresa occasionale. Tuttavia, nella prassi delle plusvalenze immobiliari ciò accade di rado, salvo situazioni estreme (es. privato che compravende molti immobili in breve tempo, configurando di fatto un’attività speculativa professionale).
In generale, per le persone fisiche non esercenti impresa, vige la presunzione oggettiva di tassabilità sulle rivendite infra-quinquennali: non rileva se il contribuente “non aveva intento speculativo”. La Cassazione ha di recente sancito che l’assenza di volontà di lucro non evita la tassa: la legge considera comunque speculativa la cessione di un immobile entro 5 anni se non era abitazione principale . In una sentenza del 2025 la Suprema Corte ha affermato chiaramente che la norma configura una presunzione assoluta di finalità speculative per queste vendite, rendendo irrilevanti le motivazioni soggettive del venditore . Ne consegue che l’imposta si applica sempre, a meno che non si rientri nelle esenzioni previste espressamente (successione o abitazione principale effettiva) .
Soggetti in regime d’impresa o professionale
Passiamo ora al caso di imprese (società o ditte individuali) e di professionisti (lavoratori autonomi titolari di partita IVA) che cedono immobili. In queste situazioni, la plusvalenza assume natura di reddito d’impresa o di reddito di lavoro autonomo, non più di reddito diverso. Le differenze principali sono:
- Tassabilità indipendentemente dal periodo di possesso: le cessioni di immobili strumentali da parte di imprese sono tassabili senza limiti temporali. Anche se una società possedeva un immobile da decenni, al momento della vendita l’eventuale plusvalore confluisce nel reddito d’impresa (non esistono esenzioni tipo “5 anni”). Allo stesso modo, se un imprenditore individuale o una società agricola vende un terreno edificabile o un fabbricato facente parte dei beni aziendali, l’utile realizzato è reddito d’impresa tassabile. Non si applicano le eccezioni prima casa o altro, che riguardano solo le persone fisiche private. (Nota: nel caso in cui l’imprenditore individuale utilizzi personalmente l’immobile come abitazione, potrebbero esservi distinzioni civilistiche sul bene “promiscuo”, ma ai fini fiscali un bene strumentale o merce rientra comunque nell’attività).
- Categoria reddituale diversa: una plusvalenza immobiliare d’impresa viene determinata secondo l’art. 86 TUIR. Per le società di capitali andrà a formare l’imponibile IRES (aliquota ordinaria 24%) e, se dovuta, l’IRAP. Per le imprese individuali e le società di persone, confluirà nel reddito imponibile IRPEF dei titolari/soci (con le aliquote progressive), a meno che non si tratti di società semplici non commerciali (caso particolare: le società semplici non svolgono attività commerciale, quindi se vendono un immobile proprio potrebbero ricadere nella disciplina delle plusvalenze da redditi diversi per i soci – discorso complesso, ma fuori scope di questa guida avanzata focalizzata su imprese commerciali e privati).
- Determinazione della plusvalenza d’impresa: la plusvalenza si calcola come differenza tra il corrispettivo di vendita e il valore contabile netto del bene (costo storico meno ammortamenti, se l’immobile era ammortizzabile, oppure il valore rivalutato se sono state fatte rivalutazioni civilistiche/fiscali). Ad esempio, se una S.r.l. comprò un capannone a 200.000 € e in bilancio il valore contabile al momento della vendita è 150.000 € (dopo ammortamenti o rivalutazioni), e vende a 210.000 €, la plusvalenza d’impresa è di 60.000 €. Essa concorre interamente al reddito dell’esercizio salvo possibilità di rateizzazione (vedi punto seguente). Non si parla di “5 anni” perché le regole d’impresa tassano comunque il differenziale.
- Possibilità di tassazione differita (rateazione quinquennale): una peculiarità del regime d’impresa è la facoltà, prevista dall’art. 86, comma 4, TUIR, di rateizzare la plusvalenza in caso di beni immobili (o beni mobili ammortizzabili) posseduti da oltre 3 anni. In tal caso la plusvalenza, anziché essere tutta imponibile nell’anno di vendita, può – su opzione – essere spalmata in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, fino a un massimo di cinque esercizi. Questa dilazione riduce l’impatto immediato sul reddito imponibile. Attenzione però: per fruire di questa rateazione occorre indicarla correttamente già nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno della cessione. Se l’impresa omettesse di dichiarare la plusvalenza, difficilmente poi potrebbe vedersi riconosciuta la possibilità di rateizzarla in sede di accertamento (poiché l’opzione va esercitata in dichiarazione). È quindi fondamentale rispettare gli adempimenti per non perdere i benefici fiscali.
- Immobili merce: se l’immobile venduto costituisce “merce” per l’impresa (tipicamente, il caso di società di costruzione o trading immobiliare che vendono unità abitative costruite o ristrutturate per la vendita), allora il ricavato della vendita non genera una “plusvalenza” in senso tecnico, bensì rappresenta un ricavo di esercizio (mentre i costi di costruzione/acquisto dell’immobile erano stati imputati a rimanenze). In tal caso, l’utile sulla vendita è semplicemente dato da ricavi meno costi di produzione e viene tassato come reddito d’impresa ordinario. Anche qui, se per ipotesi l’operazione non venisse dichiarata, si avrebbe un omesso ricavo, con sanzioni diverse (la sanzione per dichiarazione infedele è la medesima in percentuale, ma concettualmente l’accertamento riguarderebbe ricavi non dichiarati più che plusvalenze). Il concetto di plusvalenza è tecnicamente rilevante quando l’immobile è un cespite immobilizzato (non merce).
- IVA e imposte indirette: Un’impresa o un professionista potrebbero dover considerare, oltre alle imposte dirette, anche l’IVA o l’imposta di registro sulla vendita. Ad esempio, la vendita di un immobile nuovo da parte di un’impresa costruttrice è spesso soggetta a IVA; se però il cedente omette completamente di dichiarare la vendita, probabilmente avrà omesso sia l’IVA dovuta sia la plusvalenza. In questa guida ci concentriamo sugli aspetti reddituali (plusvalenze e IRPEF/IRES), ma è chiaro che un’operazione non dichiarata potrebbe implicare anche violazioni IVA, con relative sanzioni ed eventualmente profili penali (es. omessa fatturazione).
- IRAP: se il soggetto è tenuto all’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive), bisogna chiedersi se la plusvalenza vi rientra. Per le società di capitali e le imprese commerciali, normalmente sì: la plusvalenza, come componente di reddito di impresa, entra nel conto economico civilistico e quindi nel valore della produzione IRAP, a meno che non si tratti di bene escluso (es. per le holding immobiliare talvolta c’è dibattito, ma in generale il principio è che se l’utile concorre al reddito d’impresa, concorre anche all’IRAP). La Cassazione ha affrontato anche temi particolari, ad esempio ribadendo che la cessione frazionata di beni strumentali comporta comunque imponibilità IRAP della plusvalenza, non essendo un fatto occasionale estraneo all’attività . Un professionista invece in teoria non paga IRAP (salvo autonoma organizzazione); se la paga (perchè ha dipendenti ecc.), una plusvalenza su un immobile strumentale potrebbe o meno rilevare nel calcolo IRAP a seconda del tipo di contabilità adottata. Sono dettagli tecnici oltre lo scopo principale qui, ma da notare per completezza.
In sintesi, dal punto di vista difensivo, un’impresa che omette di dichiarare la plusvalenza di una vendita ha meno scappatoie “tecniche” rispetto a un privato: non esistono soglie temporali o esenzioni per cui possa dire “non era tassabile”. L’unica difesa di merito possibile è contestare la quantificazione (ad es. sostenere che non c’è plusvalore perché il valore di carico era più alto, o che l’atto era una cessione a valore contabile in regime di neutralità – situazioni particolari come conferimenti, fusioni, ecc.). Diversamente, si tratta di reddito omesso a tutti gli effetti.
Nei prossimi paragrafi focalizzeremo soprattutto le casistiche tipiche del regime privatistico, poiché è lì che sorgono spesso dubbi su quando si paga la plusvalenza e come difendersi (prima casa, successione, terreni, ecc.). Tuttavia, dedicheremo anche attenzione agli aspetti penal-tributari che possono riguardare sia i privati sia gli amministratori di società, nonché alle strategie di difesa comuni (ravvedimento, contenzioso) applicabili in entrambi i contesti.
Tipologie di immobili e casi pratici di plusvalenza (quando si paga e quando no)
Vediamo ora nel dettaglio come operano le regole sopra descritte nelle varie tipologie di cessione immobiliare, con particolare attenzione a quelle situazioni che più frequentemente sono oggetto di contestazione o chiarimenti. Per ciascuna tipologia (prima casa, seconda casa, terreno edificabile, immobile ereditato, ecc.) indicheremo se e quando la vendita genera plusvalenza tassabile, come si calcola, e quali possibili motivi esonerativi esistono. Questo è essenziale anche per individuare possibili linee difensive: ad esempio, se si riceve un avviso di accertamento per una plusvalenza non dichiarata, uno dei primi passi è verificare se per caso l’operazione rientrava in un’esenzione che l’ufficio non ha considerato (ad es. perché l’immobile era prima casa e magari non è stato adeguatamente documentato).
Di seguito una tabella riepilogativa iniziale sulle principali casistiche, che poi approfondiremo:
Tipologia di vendita | Plusvalenza tassabile? | Note/Esenzioni |
---|---|---|
Abitazione principale venduta entro 5 anni | NO, esente se abitata dal proprietario per la maggior parte del periodo di possesso . | Occorre dimostrare l’uso come dimora abituale (es. residenza, bollette). Se l’uso abitativo effettivo non è prevalente, SÌ tassabile. |
Seconda casa (immobile non prima casa) venduta entro 5 anni | SÌ, plusvalenza imponibile IRPEF come reddito diverso . | Nessuna esenzione, irrilevante l’intento non speculativo . Fa eccezione solo il caso di vendita in perdita (nessuna plusvalenza da dichiarare). |
Immobile (qualsiasi) venduto dopo oltre 5 anni | NO, decorso il quinquennio la cessione è fuori dal campo di applicazione IRPEF . | Attenzione: verificare data di acquisto e vendita esatte. Anche seconda casa oltre 5 anni è esente. (Superbonus: vedi caso dedicato infra). |
Immobile acquisito per successione (rivenduto anche entro 5 anni) | NO, esente. La legge esclude gli immobili ereditati . | L’esenzione vale anche se si vende subito. Caso misto: se ereditato in parte e in parte acquistato, tassabile solo la quota acquistata . |
Immobile ricevuto in donazione venduto entro 5 anni dal precedente acquisto del donante | SÌ, tassabile se il donante lo aveva acquistato da ≤5 anni (la legge considera la data e il costo originari) . | Il quinquennio decorre dall’acquisto del donante. Se però il donante lo possedeva >5 anni, la vendita del donatario è esente (come successione). |
Terreno agricolo non edificabile venduto entro 5 anni | SÌ, tassabile come reddito diverso (equivalente a seconda casa) . | Nessuna esenzione (salvo successione/donazione come sopra). Se venduto dopo 5 anni, esente. |
Terreno edificabile venduto (in qualsiasi momento) | SÌ, sempre tassabile ai fini IRPEF (redditi diversi) . | Può non esserci plusvalenza se venduto in perdita rispetto al costo rivalutato. Imposta sostitutiva non ammessa . |
Immobile di una impresa (bene strumentale) venduto (tempo indifferente) | SÌ, sempre tassabile come plusvalenza d’impresa nel reddito IRES/IRPEF . | Possibile rateazione in 5 anni se posseduto >3 anni. Nessuna esenzione prima casa (non rilevante per l’impresa). |
Immobile merce (impresa costruttrice) venduto | SÌ, ma come ricavo d’impresa (non “plusvalenza” tecnica). | Tassazione ordinaria di tutto l’utile di vendita. |
Immobile con lavori Superbonus venduto entro 5 anni dalla fine lavori (norma 2024) | SÌ, plusvalenza tassabile (se non prima casa o eredità) . | Novità 2024: per immobili con Superbonus terminato <10 anni, vendite nei primi 5 anni già tassabili per regola generale. L’imposta sostitutiva al 26% si applica regolarmente (entro 5 anni). |
Immobile con Superbonus venduto tra 5 e 10 anni | SÌ, nuova tassazione introdotta dal 2024: diventa imponibile la plusvalenza anche se venduto dopo il 5° ma prima del 10° anno . | Tassazione con aliquota 26% (sostitutiva) sul plusvalore dovuto ai lavori . Escluso se prima casa per > metà del periodo o se pervenuto per successione . Non colpisce rivendite successive se l’incremento da bonus è già “assorbito” nella prima vendita . |
Legenda: per “abitazione principale” si intende l’abitazione dove il contribuente o suoi familiari dimorano abitualmente (concetto di dimora abituale) . Il periodo “maggior parte” significa oltre la metà del tempo intercorso tra acquisto e vendita. Esempio: immobile posseduto 4 anni, serve che sia stato abitazione principale per almeno 2 anni + 1 giorno per ottenere l’esenzione.
Esaminiamo ora singolarmente i casi più rilevanti.
Vendita dell’abitazione principale prima dei 5 anni
Principio generale: La vendita dell’immobile adibito ad abitazione principale del contribuente per la maggior parte del tempo di possesso è esente da tassazione, anche se avviene entro il quinquennio . Questa è un’espressa previsione di legge volta a non penalizzare chi vende la propria prima casa per necessità (ad esempio, cambio di lavoro, ampliamento famiglia, ecc.).
Cosa si intende per “abitazione principale”: Non è necessario che l’immobile abbia goduto delle agevolazioni “prima casa” in sede di acquisto (concetto legato alle imposte di registro/IVA). Ai fini delle plusvalenze conta l’uso effettivo come dimora abituale del venditore o dei suoi familiari. Lo status anagrafico (residenza) è un indizio ma non è decisivo: la Cassazione ha chiarito che ciò che conta è la situazione di fatto, potendo il contribuente provare che l’immobile (anche se in altro Comune) era di fatto la sua abitazione, così come l’Amministrazione finanziaria può contestare l’uso abitativo se, ad esempio, l’utenza elettrica e altre evidenze mostrano che non vi risiedeva stabilmente .
Esempio: Tizio acquista nel 2022 un appartamento e ci vive stabilmente (trasferendo residenza e domicilio lì). Nel 2024 vende l’immobile con un guadagno di 50.000 €. Nonostante siano passati solo 2 anni, non dovrà pagare alcuna imposta sulla plusvalenza, purché possa dimostrare che per la maggior parte di quei 2 anni l’immobile è stato sua abitazione principale. Il fatto che abbia trasferito la residenza anagrafica lì e abbia ad esempio le bollette della luce che mostrano consumi costanti è già un buon supporto. L’Agenzia delle Entrate potrebbe chiedere chiarimenti, ma in base all’art. 67 TUIR il presupposto d’imposta in questo caso manca.
Attenzione: Se invece l’immobile non è stato abitazione principale per la maggior parte del periodo, l’esenzione non spetta. Ad esempio, Caio acquista casa nel gennaio 2020, vi risiede solo un anno e nel 2022 la affitta a terzi (quindi smette di abitarvi), poi la vende nel 2024: avendola usata come propria abitazione solo per 1 anno su 4 (ben meno della metà del periodo di possesso), la plusvalenza sarà tassabile. Non conta che inizialmente fosse “prima casa”; ciò che conta è l’utilizzo prevalente nell’intero periodo . In questa situazione, Caio potrebbe essere colto di sorpresa dall’accertamento se pensava fosse esente: dovrà pagare imposta e sanzioni a meno che non riesca a contestare che in realtà l’uso abitativo è stato prevalente (cosa difficile con l’immobile affittato).
Prova dell’abitazione principale: In sede di eventuale contenzioso, l’onere di provare l’esenzione in genere grava sul contribuente (che invoca l’esimente). Mezzi di prova possono includere: certificati di residenza, stato di famiglia (per familiari), bollette e consumi, testimonianze, documenti che attestino che l’altro domicilio era temporaneo (es. per lavoro). La Cassazione ammette la prova per testi e presunzioni dell’effettiva dimora abituale . L’ente impositore, d’altro canto, può usare presunzioni semplici per contestare, come ad esempio l’esiguità dei consumi di acqua/luce (indizio che la casa non era effettivamente abitata) .
Conclusione pratica: Dal punto di vista difensivo, se ricevete un accertamento per plusvalenza su vendita della vostra (asserita) prima casa entro 5 anni, verificate subito se l’ufficio ha riconosciuto l’esenzione. In caso negativo e riteniate di averne diritto, raccogliete tutte le prove dell’utilizzo come abitazione principale e contestate l’atto spiegando che manca il presupposto impositivo. La legge è dalla vostra parte purché possiate dimostrare l’effettività dell’abitazione.
Vendita di seconde case entro 5 anni (assenza di esenzioni)
La vendita di una “seconda casa” (o comunque di un immobile non abitazione principale) entro 5 anni dall’acquisto è il caso classico di plusvalenza tassabile. Qui non ci sono agevolazioni soggettive: il legislatore presume la natura speculativa dell’operazione e quindi l’IRPEF è dovuta sul guadagno, a prescindere dalle intenzioni.
Esempio tipico: Sempronio acquista nel 2021 un appartamento al mare (casa vacanze) a 150.000 € e nel 2024 lo rivende a 200.000 €. Ha realizzato 50.000 € di plusvalenza. Non avendo mai adibito quell’immobile a sua abitazione principale (lo utilizzava solo per le vacanze), e non essendo un bene ricevuto per successione, la plusvalenza di 50.000 € è integralmente imponibile. Sempronio dovrà inserirla nella dichiarazione dei redditi 2025 (redditi 2024) e pagarci sopra l’IRPEF, oppure – soluzione spesso preferibile in questi casi – poteva chiedere al notaio in sede di rogito di applicare la tassazione separata al 26% su quei 50.000 €. Se lo fa, versa 13.000 € di imposta sostitutiva e chiude la partita. Se non lo fa, pagherà IRPEF su 50.000 € che, cumulati agli altri suoi redditi, potrebbero scontare un’aliquota anche superiore (supponiamo abbia già altri redditi che lo pongono nel 38% o 43%, pagherebbe di più).
Omissione frequente: Può capitare che, per ignoranza o per malconsiglio, un contribuente non dichiari la plusvalenza della seconda casa pensando magari che “tanto ho già pagato le tasse dal notaio” (confondendo le imposte di registro/ipotecarie versate in atto con la tassazione sul reddito) . Ma quelle sono imposte diverse. Se non ha optato espressamente per l’imposta sostitutiva, il notaio non trattiene nulla per IRPEF, e dunque la plusvalenza va autoliquidata in dichiarazione. La mancata dichiarazione espone sicuramente ad accertamento, perché l’Agenzia incrocia i dati delle compravendite (Notaio, Catasto, registro immobili) con le dichiarazioni dei redditi. Sempronio quindi rischia, se omette, di ricevere un accertamento con richiesta di imposta, interessi e sanzione del 90% sull’imposta non versata (vedremo le sanzioni più avanti).
Intento speculativo irrilevante: Sottolineiamo di nuovo – supportati anche dalla Cassazione 2025 – che l’eventuale “buona fede” del contribuente (es. ha venduto per bisogno di liquidità, non per guadagnare) non rileva giuridicamente . Non c’è modo di evitare la tassa in base a motivi personali. È una scelta di politica fiscale: ogni cessione infraquinquennale di un bene diverso dall’abitazione principale è considerata produttiva di reddito imponibile in modo oggettivo, per presunzione di legge (che la Corte ha definito assoluta) .
Difese possibili in caso di contestazione: Sono limitate. Essenzialmente si può verificare: – Errore nel calcolo: l’Agenzia potrebbe aver calcolato male la plusvalenza (ad esempio, dimenticando di considerare spese incrementative documentate, vedi sezione calcolo). In tal caso si può far valere l’errore per ridurre l’imponibile. – Decorrenza dei 5 anni: a volte c’è disputa se il periodo è proprio inferiore a 5 anni. Si conta “acquisto a cessione” escludendo il giorno iniziale. Ad esempio, acquisto 2/2/2019, rivendita 2/2/2024: sono esattamente 5 anni? In realtà no, perché si considera che non siano trascorsi più di cinque anni. In genere, perché sia esente, la vendita dovrebbe avvenire dal 3/2/2024 in poi (ovvero dopo il compimento del quinto anno). Piccoli dettagli temporali possono fare la differenza. Se la vendita è avvenuta a cavallo del termine, vale la pena controllare. – Immobile inidoneo all’uso abitativo: una linea di difesa talvolta tentata (ma raramente vincente) è sostenere che l’immobile non era “immobile” ai fini della norma, ad esempio cessioni di ruderi, unità collabenti, ecc. Tuttavia la norma parla in generale di beni immobili. Solo se tecnicamente non fosse configurabile una “cessione a titolo oneroso di bene immobile” (casi molto specifici) si potrebbe eccepire l’inapplicabilità. In pratica, una strada poco percorribile.
In assenza di questi appigli, se la seconda casa è stata venduta entro 5 anni, la plusvalenza va dichiarata e tassata. L’unica via per mitigare è utilizzare il ravvedimento operoso se non lo si è fatto (pagare spontaneamente prima di controlli, per ridurre sanzioni – ne parleremo).
Vendita oltre il quinquennio (nessuna plusvalenza imponibile)
Se un immobile (che non sia terreno edificabile) viene venduto dopo oltre 5 anni dal suo acquisto o costruzione, non c’è imposizione sul capital gain. Questo è un punto fermo. In tal caso, non occorre dichiarare nulla nella dichiarazione dei redditi, perché il presupposto impositivo non sussiste.
Esempio: Mario acquista una seconda casa nel 2010 per €100.000. La rivende nel 2021 per €180.000. Sono passati 11 anni, quindi la plusvalenza di €80.000 è fuori dal campo IRPEF. Mario non deve inserirla in dichiarazione (sarebbe un reddito esente) e non deve pagare alcuna imposta su quel guadagno. L’Agenzia non dovrebbe nemmeno contestare nulla, a meno di errori.
Eccezione superbonus 10 anni: Come già introdotto, da gennaio 2024 fa eccezione il caso in cui l’immobile abbia beneficiato di Superbonus: in tal caso, se venduto tra il 6º e il 10º anno dal termine lavori, scatta la nuova imposizione potenziata. Esempio: immobile acquistato nel 2012, ristrutturato con Superbonus nel 2020 (fine lavori 2021), venduto nel 2028. Normalmente sarebbero 16 anni dall’acquisto, quindi esente. Ma siccome la vendita avviene entro 10 anni dalla fine dei lavori agevolati (2021-2028 = 7 anni), la plusvalenza è tassabile in base alla nuova disciplina . Se invece la vendita fosse avvenuta nel 2033 (oltre 10 anni da fine lavori), allora nessuna tassazione (quinquennio e decennio superati) .
Accertamenti su vendite oltre 5 anni: Di norma il fisco non contesta plusvalenze su vendite ultraquinquennali, a meno che sospetti che la data formale sia artefatta (ma trattandosi di atti pubblici notarili, ciò è improbabile) oppure che si tratti in realtà di un terreno edificabile (dove il limite 5 anni non vale). Dunque, se avete venduto dopo più di 5 anni, in un’eventuale verifica basterà documentare le date e l’origine dell’immobile. Ad esempio, se l’ufficio vi scrive ritenendo tassabile la vendita, controllate: potrebbe aver considerato erroneamente come “acquisto” una data diversa (a volte capita con provenienze particolari: es. un immobile ricevuto in donazione 3 anni fa ma che il donante possedeva da 20 anni – l’ufficio potrebbe sbagliare a non applicare la continuità). Oppure potrebbe non aver riconosciuto che era da successione. In tutti i casi, se i 5 anni erano trascorsi, la vostra difesa è semplice: presentare le prove (rogiti, volture catastali) delle date di acquisto e cessione e chiedere l’annullamento dell’accertamento in autotutela per insussistenza del fatto imponibile, o vincere agevolmente in contenzioso.
Nota bene: Il quinquennio riguarda l’acquisto a titolo oneroso o costruzione. Se l’immobile è stato costruito dal contribuente, la data iniziale è la fine dei lavori (collaudo, accatastamento). Se un immobile è stato oggetto di atti particolari (fusione di usufrutto, ecc.), occorre vedere cosa integra “acquisto”. In caso di dubbi, la prassi di solito considera l’acquisto originario dei diritti reali completi.
Immobili ricevuti per successione ereditaria
Regola d’oro: Gli immobili acquisiti per causa di morte (successione ereditaria) non generano plusvalenza tassabile quando vengono rivenduti . L’art. 67, comma 1, lett. b) TUIR lo dice espressamente (“esclusi quelli acquisiti per successione”). Ciò vale indipendentemente dal tempo intercorso: che si venda dopo un mese o dopo 10 anni dalla successione, nessuna tassazione sul capital gain.
Rationale: La norma presume che chi eredita un immobile non lo faccia a scopo speculativo (non c’è un acquisto a titolo oneroso volontario) e che sarebbe iniquo tassare un erede per l’aumento di valore maturato sul patrimonio del de cuius. Inoltre, gli immobili ereditati spesso hanno già scontato l’imposta di successione (se dovuta, anche se in Italia per la prima casa tra genitori/figli è in franchigia) e l’incremento di valore fino alla data del decesso si “monetizza” nella dichiarazione di successione in termini di valore di mercato.
Esempio: Maria eredita dal padre una casa nel 2024 e la vende nel 2025 ottenendo €100.000 di plusvalore rispetto al valore dichiarato in successione. Tale somma non è soggetta a IRPEF come plusvalenza. In dichiarazione dei redditi Maria non deve inserire nulla. L’Agenzia, qualora intercetti la vendita, dovrebbe riconoscere che trattasi di bene ereditato (fa fede la provenienza nell’atto notarile: “pervenuto per successione a…”). In caso di errata contestazione, basterà esibire la dichiarazione di successione e l’atto di provenienza.
Caso di beni misti (successione + acquisto): Poniamo il caso di fratelli coeredi: Luca eredita il 50% di una casa dalla madre, e acquista l’altro 50% dall’altro erede. Se Luca vende l’intero immobile entro 5 anni, la plusvalenza sarà tassabile solo sulla quota acquisita a titolo oneroso (il 50% comprato dal fratello) . La quota ereditata resta esente. Su questo punto la risposta AE n. 208/2024 ha chiarito che l’esenzione per successione opera proporzionalmente alla parte ereditata . Dunque in situazioni miste, l’accertamento dovrebbe eventualmente riguardare solo la porzione imponibile.
Attenzione ai terreni edificabili ereditati: C’è un aspetto importante: la non tassabilità per successione vale anche per i terreni edificabili? La norma letteralmente esenta “immobili acquisiti per successione” senza distinguere. Quindi sì, anche un terreno edificabile ereditato sarebbe esente se venduto dall’erede. Tuttavia, occorre fare una distinzione: ai fini della plusvalenza redditi diversi, quell’incremento di valore non è tassato, ma ai fini dell’imposta di successione magari il terreno edificabile è stato valorizzato di più e ha scontato quell’imposta. In ogni caso, se arriva una contestazione su vendita di terreno edificabile ereditato, si può invocare l’esclusione. Ad esempio, la già citata Risposta 208/2024 riguardava proprio un immobile in parte acquisito per eredità e in parte ristrutturato, dove l’Agenzia ha confermato che la parte ereditata non va tassata neanche nel regime “superbonus 10 anni” .
In sintesi difensivo: Chi vende immobili ereditati non deve pagare IRPEF sulla plusvalenza. Se dovesse ricevere un avviso, quasi certamente è un errore o una mancata informazione da parte del sistema: con una buona documentazione (atto di successione, atto di acquisto che cita la successione) la questione si risolve. È comunque buona norma, in sede di eventuale istanza di adesione o ricorso, quantificare la parte ereditata per evitare che l’ufficio insista su tutto. Ad esempio, se non era chiaro all’atto, esplicitare “immobile proveniente al 100% da successione di Tizio deceduto il…, denuncia di successione n…”.
Immobili ricevuti in donazione
La donazione di un immobile, diversamente dalla successione, non esonera in modo definitivo dalla tassazione di una successiva plusvalenza. La legge non esclude affatto gli immobili donati dalla tassazione (esclude solo quelli da successione). L’approccio del Fisco è: la donazione è un acquisto a titolo gratuito, ma per evitare abusi, si considera la data e il costo originario del donante. Dunque:
- Se il donante aveva acquistato l’immobile da più di 5 anni, la plusvalenza latente era già fuori campo per lui; il donatario che vende, pur vendendo subito, può considerare come data di “acquisto” quella originaria del donante: essendo >5 anni fa, non c’è plusvalenza tassabile . In pratica, la donazione “mantiene” l’esenzione maturata.
- Se invece il donante aveva acquistato da meno di 5 anni e il donatario vende prima che scada il quinquennio calcolato dalla data originaria, allora la plusvalenza è tassabile come se il donante avesse venduto lui entro i 5 anni . La donazione non “lava” il carattere speculativo secondo il Fisco.
Il costo fiscale da usare è quello che aveva il donante (prezzo d’acquisto originario) aumentato di eventuali imposte pagate (imposta di donazione, ipotecaria-catastale) e oneri dal donatario. Questo è avallato anche da pronunce (in passato c’era qualche incertezza sul se considerare il valore dichiarato nell’atto di donazione, ma la regola confermata è la continuità col costo storico) . Come anticipato, una norma di riforma fiscale in arrivo prevede di scriverlo nero su bianco.
Esempio: Paolo acquista una seconda casa nel 2023 a 200.000 €. Nel 2024 la dona alla figlia Chiara. Chiara vende l’immobile nel 2025 a 250.000 €. Il periodo da considerare è l’acquisto di Paolo (2023) al sale di Chiara (2025): meno di 5 anni. Ci sarà una plusvalenza tassabile di 50.000 € a carico di Chiara. Il costo di acquisto per Chiara da considerare è 200.000 € (quello speso dal padre) e la data di acquisto il 2023 . Se Chiara non dichiara questa plusvalenza, rischia un accertamento. Se invece Paolo avesse comprato l’immobile nel 2010 e donato nel 2024, Chiara che vende nel 2025 non subisce tassazione perché son passati 15 anni dall’acquisto originario.
Difese possibili: Con immobili donati le contestazioni possono nascere se il contribuente pensa erroneamente che valga lo stesso discorso della successione (“me l’ha regalato papà, quindi non pago”). Invece non è così, tranne che il papà lo possedeva da oltre 5 anni. L’Agenzia può facilmente vedere la data di acquisto del donante dalla nota di trascrizione (spesso riportata nell’atto di donazione stesso). Quindi la difesa consiste nel calcolo esatto: se effettivamente i 5 anni erano trascorsi per il donante, evidenziarlo all’ufficio. Se no, c’è poco da fare: la legge, per quanto non esplicita sul punto, è interpretata in modo costante dall’amministrazione e dalla giurisprudenza a favore dell’imponibilità (salvo casi di incertezza pregressa che la nuova legge sanerà).
Un caveat: se la donazione è molto risalente (es. donazione avvenuta decenni fa, magari prima che la norma plusvalenze esistesse), ci si potrebbe chiedere se il quinquennio parte dalla donazione in mancanza di un “acquisto oneroso”. Su questo, l’Agenzia di solito direbbe: se l’acquisto oneroso manca perché il bene è posseduto da generazioni ed era ante 1976, è fuori campo (infatti la norma plusvalenze immobiliari è stata introdotta per acquisti dal 1976 in poi). Dunque per beni antichi probabilmente non si applica. Ma sono casi davvero particolari.
Terreni edificabili e terreni agricoli
I terreni edificabili meritano un’attenzione specifica. Come già detto, la cessione di un terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria genera plusvalenza tassabile in ogni caso, a prescindere dal periodo di possesso . Ciò significa che non c’è l’esenzione quinquennale. Questa regola fu introdotta per evitare che persone fisiche potessero acquistare terreni agricoli, attendere la loro riclassificazione come edificabili, rivenderli magari dopo 6-7 anni senza tasse (in quanto oltre 5 anni): il legislatore ha quindi previsto che il “realizzo” di valore derivante dall’edificabilità sia sempre tassato (a meno che il terreno non provenga da successione, come detto, o se non c’è plusvalenza per altre ragioni, ad esempio se il valore di acquisto rivalutato supera il prezzo di vendita).
Identificazione del terreno edificabile: Non è sempre banale. Si considera edificabile un terreno che risulta tale dagli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione . Ad esempio, un terreno classificato dal PRG comunale come edificabile (zona residenziale, industriale, ecc.) è tale anche se il proprietario non vi ha costruito nulla. Un terreno agricolo che non ha potenzialità edificatorie (se non la casetta rurale) non rientra in questa categoria e quindi segue la regola del quinquennio come gli immobili in genere. Ma attenzione: ci sono stati contenziosi su terreni “in via di lottizzazione” o soggetti a convenzioni col comune. La Cassazione ha chiarito che se viene venduto un fabbricato con contestuale convenzione col Comune per demolizione e ricostruzione, occorre distinguere se tassare come terreno edificabile o no. In generale, se c’è un fabbricato già esistente, la cessione è di un fabbricato (non terreno) – Cass. 24972/2021 ha escluso che la presenza di una convenzione edificatoria trasformi la vendita di un fabbricato in vendita di area edificabile . Dunque i contorni a volte sono sfumati, ma nei casi normali di terreni privi di fabbricati destinati all’edilizia, la norma è chiara.
Calcolo della plusvalenza per terreni: La plusvalenza è la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto (eventualmente rivalutato). Per i terreni, spesso i proprietari utilizzano la facoltà di rideterminare il valore ai fini fiscali tramite perizia giurata e pagamento di un’imposta sostitutiva (spesso l’11%): questo consente di elevare il costo fiscale ed abbattere o azzerare la plusvalenza. Se il contribuente ha fatto questo (ci sono state aperture periodiche di questa opzione, l’ultima nel 2020-2021), in sede di difesa conviene ricordarlo: se la perizia è asseverata e l’imposta pagata, l’Agenzia dovrebbe tenerne conto (la plusvalenza sarà vendita – valore periziato). Se l’ufficio contesta che la perizia era gonfiata, beh, in linea di principio non può ridiscutere la perizia se formalmente corretta, salvo casi di frode.
Terreni agricoli non edificabili: Questi seguono la regola ordinaria: se venduti entro 5 anni, generano plusvalenza tassabile, se oltre 5 anni no . Di solito i terreni agricoli di scarso valore non sono oggetto di molta attenzione fiscale perché le plusvalenze tendono ad essere basse, ma se ad esempio uno ha comprato un grande terreno agricolo e lo rivende dopo 3 anni con guadagno, deve dichiararlo.
Donazione di terreni edificabili: Come accennato, c’è stata discussione interpretativa. La regola attuale (e futura formalizzata) è continuità col costo del donante . Però attenzione: se un terreno edificabile fu acquisito prima che esistesse la norma (anni ‘60 o primi ‘70) e poi donato, potrebbe essere un buco normativo: in teoria per quell’immobile il plusvalore fino al 2000 non era tassabile affatto. Ma questo esula: per i casi in esame (difendersi oggi) di solito parliamo di acquisiti recenti.
Strategie difensive per terreni: – Contestare l’edificabilità: Se c’è margine, provare a sostenere che il terreno ceduto non era effettivamente edificabile. Ad esempio, terreni con vincoli assoluti, oppure dove il piano regolatore non era ancora approvato definitivamente. Ci sono cause in cui si discute se un terreno era solo futuramente edificabile o già edificabile. Se riuscite a ricondurre il vostro caso a “terreno non edificabile”, allora la plusvalenza non è tassabile oltre 5 anni. Ad esempio, se vendete un terreno che durante il possesso è diventato edificabile al 100%, difficilmente vincerete su questo. Ma se era in una zona con vincolo e sostenete che quell’edificabilità era teorica, potreste portare documenti urbanistici e normative locali a supporto. – Verificare i costi incrementativi: se sul terreno avete fatto spese (bonifiche, recinzioni, frazionamenti), includetele nel costo. – Rivalutazione: se avete fatto la perizia e pagato l’imposta sostitutiva di rivalutazione, assicuratevi che il fisco l’abbia recepita. In accertamento a volte “si dimenticano” o il contribuente non ha inviato la perizia. In sede di difesa, presentate copia della perizia asseverata e F24 dell’imposta pagata, chiedendo il ricalcolo della plusvalenza con quel costo.
Infine, un promemoria: l’imposta sostitutiva del 26% non è applicabile ai terreni edificabili . Quindi se vendete un terreno edificabile, dovrete per forza dichiarare la plusvalenza a IRPEF (o se persona giuridica, reddito d’impresa). Questo spiega perché le plusvalenze su terreni sono spesso elevate (aliquote marginali alte) e i contribuenti ricorrono alle rivalutazioni.
Immobili “strumentali” per natura o destinazione (uso promiscuo, ecc.)
Un immobile strumentale è, in ambito fiscale, un immobile utilizzato per l’esercizio di impresa, arte o professione. Ad esempio: – L’ufficio di un avvocato o il negozio di un commerciante individuale. – Il capannone iscritto tra le immobilizzazioni di una S.r.l. – Un immobile posseduto da un imprenditore ma dato in uso all’attività.
Questi casi non rientrano nel regime dei redditi diversi ma in quello d’impresa/professionale. Tuttavia, per completezza: – Se un professionista individuale (soggetto IRPEF) vende l’immobile strumentale che aveva acquistato da meno di 5 anni, come si comporta? La plusvalenza è reddito di lavoro autonomo occasionale. Il TUIR all’art. 54 prevede che le plusvalenze dei beni strumentali concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo se realizzate (calcolo simile a impresa: differenza tra corrispettivo e costo non ammortizzato). Non c’è una franchigia temporale, è sempre tassata se c’è un plusvalore. Quindi se l’avesse posseduto da molti anni, comunque paga? In realtà per i professionisti la questione è meno dettagliata in legge, ma la prassi è tassare sempre. L’eccezione è se l’immobile non era dedotto (ma se non era dedotto forse era bene personale, e allora rientra in art.67; qui bisogna stare attenti: un professionista potrebbe decidere di non inserire il suo studio tra i cespiti dedotti per tenerselo come bene privato e magari cercare di godere del quinquennio per non pagare plusvalenza. Il Fisco potrebbe contestare che se era usato solo per lavoro andava considerato strumentale, ma non ci sono meccanismi automatici come per impresa). – Se un immobile strumentale è ad uso promiscuo (casa+ufficio del professionista), la cessione ad IRPEF forse seguirebbe pro-quota? Non chiarissimo. Tendenzialmente se un bene è promiscuo, il Fisco potrebbe tassare metà come reddito diverso e metà come plusvalenza di lavoro autonomo. Non c’è molta casistica pubblica su questo.
In termini di difesa, questi casi ibridi vanno valutati bene con un esperto, perché se l’Agenzia scopre la vendita di un immobile usato per attività, deciderà se seguirla come reddito diverso (tassazione quinquennale) o come reddito d’impresa/professione (tassazione integrale). Il contribuente in contenzioso potrebbe cercare la via più favorevole (ad es. se sono passati >5 anni e quell’immobile professionale non era mai stato dedotto come costo, conviene sostenere che era un bene personale e quindi la plusvalenza è esente). Viceversa, se l’immobile era completamente dedotto e rivenduto in breve, l’ufficio lo tasserebbe come componente del reddito professionale.
In definitiva: per i beni strumentali vale quanto già detto per i soggetti IVA. Non esistono esenzioni temporali e le omissioni sono equiparate a redditi non dichiarati d’impresa/lav. autonomo. L’unica peculiarità è la possibilità di spalmare il gain (se impresa) e il calcolo con costi ammortizzati.
Casi particolari: cessioni a seguito di separazione o divorzio
Abbiamo già in parte trattato questo tema, ma lo estrapoliamo perché è assai frequente e spesso genera fraintendimenti: i trasferimenti immobiliari tra coniugi (o ex coniugi) in occasione di separazione o divorzio sono esenti da imposte indirette per legge (art. 19 L.74/1987) e avvengono normalmente “a titolo gratuito” (nel senso che uno cede all’altro senza pagamento, per sistemare i rapporti patrimoniali). Tuttavia, se il coniuge beneficiario poi rivende l’immobile entro 5 anni da quando ne è divenuto proprietario esclusivo, la plusvalenza può essere tassata.
Molti pensano che poiché il trasferimento tra coniugi è esente e “senza corrispettivo”, allora anche la successiva vendita sia esente. Errore! Come ha chiarito l’Interpello 153/2025, il trasferimento da coniuge a coniuge è considerato a titolo oneroso ai fini delle plusvalenze perché avviene in attuazione di accordi patrimoniali (scambio con la rinuncia ad altri diritti) . Dunque, la data di decorrenza quinquennio è la sentenza di separazione/divorzio.
Esempio riepilogativo: Due coniugi in comunione dei beni possiedono casa al 50%. In sede di divorzio, il Giudice assegna il 100% della casa alla moglie, senza conguagli in denaro (fa parte degli accordi di separazione). La moglie, divenuta proprietaria al 100% nel 2023, rivende la casa nel 2024. Risultato: la plusvalenza è tassabile sulla quota del 50% acquisita dal coniuge nel 2023, perché venduta entro 5 anni . In pratica pagherà IRPEF sul 50% del gain. L’altro 50% lo possedeva da prima (lo aveva già), per quella parte niente imposta . Il quinquennio parte “da capo” per la quota acquisita in sede di divorzio .
Questo concetto era stato in passato poco noto, ma ora è chiarissimo. Anche le riviste di settore e commenti (es. Sole 24 Ore – NT+ Fisco) hanno evidenziato: “Il quinquennio scatta dalla data della sentenza di separazione” e la plusvalenza va calcolata solo sulla porzione nuova, assumendo come costo il valore indicato negli accordi per quella quota .
Strategie di prevenzione/difesa: Se assistete un coniuge che riceve casa in un divorzio, avvertitelo di questo meccanismo: se rivende subito, avrà tasse. Può pianificare di attendere 5 anni per vendere, se possibile, così da evitare la plusvalenza (oppure, se va venduta subito, considerate quell’onere nel piano economico del divorzio). Dal lato difensivo, se un ex coniuge riceve un accertamento perché ha rivenduto prima di 5 anni senza dichiarare, c’è poca difesa di merito: l’Agenzia ha ragione in base alla norma. L’unico appiglio potrebbe essere invocare l’esenzione “abitazione principale” se la casa era la sua abitazione – e spesso lo è, perché magari ha continuato a viverci dopo il divorzio. Quindi se la ex moglie dell’esempio sopra continua ad abitare in quella casa per un paio d’anni e poi vende, potrebbe invocare l’esenzione abitazione principale (purché l’ha usata come tale per la maggior parte del periodo dal 2023 al 2024, il che magari non è il caso se vende subito, ma se vendesse nel 2026 e vi avesse abitato fino ad allora, potrebbe non pagare grazie a questo). L’AE nella risposta 153/2025 disse che nel caso concreto il contribuente non aveva nemmeno chiesto la valutazione dell’esimente prima casa, quindi non l’hanno considerata . Ma hanno lasciato intendere che se applicabile andrebbe considerata. Quindi, come suggerito anche dagli esperti, occhio alla pianificazione post-separazione: se il coniuge che riceve l’immobile ci vive stabilmente, faccia in modo che quell’immobile sia la sua abitazione principale il più a lungo possibile; se poi lo vende entro 5 anni, almeno avrà quell’argomento da spendere per non pagare la plusvalenza .
In conclusione, nei casi di trasferimenti familiari: – Successione: esente. – Donazione: occhio alla continuità quinquennio. – Divorzio/separazione: tassabile come acquisto oneroso nuovo.
Altre casistiche particolari
Ci sono ulteriori situazioni che possono emergere, ad esempio: – Permuta di immobili: La permuta è trattata fiscalmente come due cessioni separate. Se un privato permuta casa con un’altra, ciascuno è considerato che venda il proprio immobile e acquisti l’altro. Quindi può generare plusvalenze tassabili per entrambe le parti, secondo le regole normali. Data la complessità, in genere si fanno simultanee e la plusvalenza è data dalla differenza di valori. Dal lato difesa, nessuna differenza: se è prima casa, esente, se no, tassabile se entro 5 anni. – Esproprio: Le somme percepite per esproprio di terreno edificabile generano plusvalenza tassabile (in passato c’erano norme transitorie con aliquote ridotte, oggi equiparato a cessione). Un esproprio è comunque cessione a titolo oneroso. Non approfondiamo qui, ma chi subisce un esproprio e riceve indennità farebbe bene a consultare un fiscalista perché potrebbe dichiararle come reddito diverso se del caso. – Case popolari riscattate: se un inquilino riscatta la casa popolare e rivende entro 5 anni, la plusvalenza c’è (nessuna regola speciale salvo agevolazioni per prima casa). – Immobili all’estero: la regola art. 67 vale anche per immobili situati all’estero di un residente italiano . Quindi se un contribuente italiano vende una casa in un altro paese entro 5 anni, deve dichiarare plusvalenza (salvo prima casa). Non importa che magari in quel paese estero era esente (es. in UK se prima casa esente, ma per l’Italia conta la nostra legge). C’è semmai da considerare eventuali trattati per evitare doppie imposizioni (ma solitamente i capital gain immobiliari sono tassabili solo nello Stato dove l’immobile è situato o solo nello Stato di residenza a seconda dei casi, bisogna vedere convenzione OCSE). In ogni caso, l’art. 67 non fa distinzione: “cessione di beni immobili” ovunque situati. Una Risposta AE n. 122/2023 ha confermato che l’esenzione per abitazione principale si applica anche a immobili all’estero se effettivamente abitati come dimora principale dal contribuente . Quindi il principio rimane lo stesso.
Dopo questa rassegna di casi, passiamo al calcolo della plusvalenza e agli aspetti operativi: come si determina l’importo imponibile e quali opzioni ha il contribuente (IRPEF vs imposta sostitutiva), perché ciò incide anche sulle possibili omissioni.
Calcolo della plusvalenza e modalità di tassazione (IRPEF o imposta sostitutiva)
Come si calcola esattamente la plusvalenza immobiliare imponibile? La formula base, stabilita dall’art. 68 TUIR, è:
Plusvalenza = Prezzo di vendita – (Prezzo di acquisto/costo di costruzione + Costi inerenti deducibili) .
Vediamo i singoli elementi:
- Prezzo di vendita: È il corrispettivo pattuito per la cessione, dichiarato nell’atto notarile. In genere, per vendite tra privati, coincide col valore su cui si pagano le imposte di registro (salvo il meccanismo “prezzo-valore” per gli acquirenti privati). Importante: se nell’atto è stato indicato un valore catastale inferiore (per pagare meno registro, come consentito per le abitazioni non lusso), formalmente quel valore non modifica il corrispettivo ai fini reddituali – il corrispettivo reale pagato è comunque il prezzo effettivamente pattuito, che dovrebbe essere dichiarato a parte. Se però atto e pagamenti riportano solo il valore catastale, il Fisco potrebbe presumere che quello sia il prezzo (a meno di prove contrarie). Diciamo che è un’area grigia: usare il “prezzo-valore” non autorizza a mentire sul prezzo, è solo un modo di calcolare l’imposta di registro. Ma poiché è legale, di fatto molti dichiarano solo valore catastale. Questo può portare ad evasione di plusvalenza se c’è differenza (perché il venditore incassa magari più di quanto appare). Dal punto di vista legale, l’Agenzia potrebbe contestare, ma servono evidenze (es. scoprono bonifici extra, o dichiarazioni del compratore). In questa sede assumiamo che prezzo atto = prezzo effettivo.
- Vicende successive: Come da Cass. 13965/2024, se il prezzo pattuito non viene pagato integralmente o il contratto viene risolto dopo, non importa: il fatto generatore del reddito è la stipula del contratto efficace con trasferimento . Quindi se vendete e dopo l’acquirente non vi paga e vi fate restituire il bene, intanto il Fisco direbbe che la plusvalenza andava dichiarata (poi in caso di risoluzione forse si potrà correggere, ma è complicato). Il principio è che contano gli effetti giuridici iniziali, non gli accidenti successivi .
- Cessione a titolo gratuito: Se non c’è prezzo (donazione, divisione senza conguagli, etc.), non c’è plusvalenza perché manca cessione onerosa (ma se uno riceve altro in cambio, come nel divorzio, allora concettualmente un corrispettivo c’è, anche se non in denaro, come abbiamo visto).
- Prezzo/costo di acquisto: È quanto effettivamente pagato per acquistare l’immobile, comprensivo di imposte di acquisto? In base all’art. 68, sì, nel costo possono essere inclusi i tributi pagati sul trasferimento e altre spese inerenti all’acquisizione. Se l’immobile è stato costruito dal contribuente, il costo è dato dalle spese di costruzione sostenute (documentate). Se l’immobile è stato acquisito in modi particolari:
- Donazione: il costo è quello che fu del donante, come discusso.
- Successione: formalmente non c’è costo d’acquisto (l’hai avuto gratis). Ma tanto è esente quindi non serve calcolarlo.
- Assegnazione da cooperativa o costruzione in economia: il costo è quello versato a cooperativa o le spese in economia.
- Casi di conversione di usufrutto in piena proprietà: se uno aveva un usufrutto e poi per legge diventa proprietario (usufrutto si riunisce), ci sono norme specifiche: di solito non generano plusvalenza di per sé, solo la successiva vendita sì, con costi derivati dalla somma dei costi (ma dettagli tecnici omessi qui).
- Costi inerenti: Rientra qui tutto ciò che è stato speso per il bene e che per legge è considerato aggiuntivo al costo. Ad esempio:
- Spese notarili e tasse pagate per l’acquisto (onorario notaio, imposta registro, IVA se nuova, etc.): sono costi di acquisizione, quindi sommabili al costo d’acquisto .
- Spese di intermediazione immobiliare (provvigione agenzia) relative sia all’acquisto che alla vendita: quelle dell’acquisto vanno nel costo iniziale; quelle pagate per la vendita potrebbero essere decurtabili dal corrispettivo ottenuto, in quanto costi inerenti alla vendita (il risultato è lo stesso: se vendo a 200 e pago 5 all’agenzia, il netto effettivo è 195, è come se abbassassi il prezzo di vendita a 195).
- Spese di ristrutturazione, manutenzione straordinaria, miglioramenti: se documentate (fatture intestate al proprietario, bonifici) e non già detratte fiscalmente altrove (es. detrazioni ristrutturazioni – c’è dibattito se si possono sommare al costo anche se si è avuta la detrazione fiscale; la logica direbbe che si può sommare solo la parte non “rimborsata” tramite bonus, per evitare doppio beneficio). L’Agenzia Entrate nelle sue guide indica che i costi incrementativi (pavimenti, impianti nuovi, ecc.) sono aggiungibili. La Circolare 23/E/2020 ricorda proprio che vanno inclusi “ogni altro costo inerente” al bene sostenuto durante la detenzione .
- Costi per perizie e stime se finalizzate alla vendita (ad es. spese per accatastamento, frazionamento di un terreno, etc.).
- Eventuali indennizzi pagati per liberare l’immobile da inquilini o altri diritti (se ad esempio per vendere libero si indennizza l’inquilino, potrebbe considerarsi costo inerente).
- Nota: Non sono inerenti le spese di manutenzione ordinaria (tipo tinteggiatura, pulizia) che non aumentano valore, né interessi passivi su mutui, né imposte patrimoniali (IMU) – queste non si sommano.
Esempio di calcolo: Torniamo a Sempronio con la casa al mare venduta. Acquisto €150.000 + notaio €3.000 + agenzia €5.000 = costo base €158.000. Vendita €200.000 – agenzia vendita €6.000 = incasso netto €194.000. Plusvalenza = 194.000 – 158.000 = €36.000. Questo è il reddito diverso imponibile. Non dichiararlo significherebbe evadere su 36.000. Se scoperto, pagherà imposta + ~90% di 36.000*aliquota di sanzione (dopo vedremo).
Opzione imposta sostitutiva 26%: Come detto, il venditore persona fisica può, contestualmente all’atto, chiedere l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% . In pratica, comunica al notaio la volontà; il notaio calcola la plusvalenza lì per lì (a volte si fa stimare al commercialista) e la indica nell’atto. Ad esempio: “le parti dichiarano che il prezzo di acquisto nel 2019 fu X, dunque la plusvalenza è Y e il venditore opta per l’imposta sostitutiva ai sensi di L. 266/2005”. Il notaio poi riscuote l’importo (o lo fa versare) e provvede al versamento allo Stato (tramite F24 con apposito codice tributo). Questa imposta sostitutiva sostituisce l’IRPEF su quel reddito. I pro: – Aliquota fissa 26%, che può essere conveniente se il venditore è in scaglioni IRPEF alti (oltre 26%). – Pagamento immediato ma chiusura della questione: niente dichiarazione complicata dopo. – Riduce il rischio di errori dichiarativi successivi (e quindi niente sanzioni future su quell’importo, in quanto già assolto).
I contro: – Se il venditore ha reddito basso, l’IRPEF su quella plusvalenza poteva essere magari inferiore a 26% (es. plusvalenza modesta che cade in scaglione 23%). In tal caso pagherebbe un po’ di più optando per il 26%. Bisogna fare i conti prima. – Una volta opzionata, non si può più cambiare idea (se scopre dopo che aveva spese in più per abbassare plusvalenza, ormai ha versato). – Non è ammessa in alcuni casi: fabbricati o terreni non edificabili entro 5 anni sì , terreni edificabili no . Inoltre non è mai per soggetti impresa.
Importante: se si opta per l’imposta sostitutiva, quell’importo non va dichiarato affatto. Il contribuente spesso in dichiarazione troverà un campo dove indicare eventualmente per conoscenza, ma non concorre a reddito. Dunque, se un contribuente è accertato per “omessa plusvalenza” ma in realtà lui aveva optato e pagato la sostitutiva, può essere un errore dell’AdE (magari i database non hanno incrociato). In difesa, presentare la copia F24 pagato dal notaio e l’atto con l’opzione per far annullare l’accertamento.
Tassazione IRPEF ordinaria: Se non si è scelto 26% dal notaio, la plusvalenza va in dichiarazione dei redditi (Modello REDDITI PF o 730, se il 730 lo contempla tramite intermediario). Sarà tassata con l’aliquota media/marginale del contribuente. Si può anche optare, in dichiarazione, per la tassazione separata ai sensi art. 17 TUIR? Alcune plusvalenze patrimoniali potrebbero avervi diritto (in passato plusvalenze “ultraquinquennali” di terreni divenuti edificabili a seguito di piani, ecc., erano in tassazione separata). Ma per questi casi standard (plusvalenze art. 67) normalmente vanno a tassazione ordinaria, salvo l’opzione dei 26% all’atto.
Casistica: Un contribuente che non ha altri redditi potrebbe preferire IRPEF perché magari sta sotto la no tax area. Ma attenzione: le plusvalenze immobiliari non beneficiano di deduzioni per abitazione principale, familiari, ecc.: sono redditi diversi “puri”. Quindi anche se uno ha solo plusvalenza 10k e nient’altro, paga IRPEF su 10k (niente no tax area, perché la no tax si applica solo a redditi da lavoro/pensione). Però ha diritto all’aliquota 23% sui primi ~15k. Quindi 23% di 10k = 2300, mentre 26% se avesse optato era 2600. Piccole differenze ma contano.
Riepilogo operazioni possibili per evitare omissioni: – Se si sceglie imposta sostitutiva: assicurarsi che il notaio la versi. Poi conservare documenti. Nessun ulteriore obbligo. – Se non si sceglie: tenere nota di tutti i costi inerenti, preparare il calcolo e dichiarare nella sezione RL (o farlo fare al commercialista). Meglio pagare eventuale saldo IRPEF dovuto entro giugno-luglio per evitare interessi.
Molte omissioni nascono perché il contribuente non era seguito da un fiscalista e magari aveva redditi da solo 730 (dipendente) e non sapeva di dover presentare un Modello Redditi separato per la plusvalenza. In effetti, il 730 non ha un campo facile per redditi diversi di questo tipo: bisogna usare un modulo aggiuntivo, e non tutti i CAF lo chiedono. Questo è un punto su cui insistere: se vendete case prima di 5 anni e non avete usato imposta secca, dovete presentare la dichiarazione Redditi Persone Fisiche, anche se di solito facevate solo il 730. Altrimenti la plusvalenza rimane non dichiarata.
Focus sulle fonti ufficiali aggiornate: La Risposta AE 208/2024 e la Circolare 13/E/2024, citate prima, affrontano anche la determinazione del corretto ammontare della plusvalenza in contesti di Superbonus e comproprietà . In particolare, la Risp. 208 (caso: immobile per metà ereditato e metà acquistato, poi ristrutturato e venduto) conferma: – Si calcola separatamente la plusvalenza su parte eredità (esclusa) e parte acquistata (imponibile). – Nel calcolo della plusvalenza imponibile si sommano le spese di ristrutturazione sostenute (che però in quel caso erano state coperte in parte da Superbonus come cessione del credito: l’Agenzia ha chiarito che la modalità di fruizione del bonus – es. cessione – non incide sulla tassazione della rivendita) . Ciò significa che se ho speso 100k per lavori e poi ho ceduto il credito, posso comunque aggiungere 100k al mio costo? Parrebbe di sì, la logica è che il costo rimane sostenuto anche se è stato recuperato tramite bonus. Questo punto potrebbe essere controverso (rischio di doppio beneficio), ma l’Agenzia pare permetterlo, tant’è che dice che la cessione del credito non modifica il regime fiscale della rivendita .
Tutto ciò per dire: in sede di difesa, se avete fatto lavori, rivenduto e l’ufficio non vi ha considerato quei costi perché magari aveva interpretato diversamente, potete citare la Risp. 208/2024 e la Circ. 13/E/2024 che li includono.
Con il calcolo definito, passiamo ora al cuore del problema: cosa succede se la plusvalenza non viene dichiarata e come difendersi, ovvero l’analisi delle sanzioni, reati e strumenti deflativi.
Conseguenze dell’omissione: accertamento, sanzioni amministrative e penali
Se un contribuente omette di dichiarare una plusvalenza immobiliare dovuta, l’Amministrazione finanziaria prima o poi se ne accorgerà. Le vendite di immobili sono infatti tracciate: i notai registrano gli atti e comunicano i dati al fisco, il catasto e la conservatoria evidenziano i trasferimenti, e i pagamenti di imposte di registro forniscono ulteriori indizi. Esiste un apposito riscontro chiamato “monitoraggio compravendite” che l’Agenzia utilizza per confrontare i rogiti con le dichiarazioni.
Vediamo quindi l’iter tipico e le conseguenze:
- Avvio del controllo e accertamento: In caso di omessa dichiarazione di una plusvalenza, può avvenire in due modi:
- Se il contribuente ha comunque presentato la dichiarazione dei redditi per quell’anno (magari per altri redditi) ma non ha incluso la plusvalenza, si configura una dichiarazione infedele (art. 1, co. 2 D.Lgs. 471/97 in termini sanzionatori). L’Agenzia delle Entrate, spesso tramite un controllo automatizzato o un accertamento parziale, notificherà un avviso di accertamento per il recupero della maggiore IRPEF (o IRES) dovuta su quella plusvalenza non dichiarata.
- Se il contribuente non ha proprio presentato la dichiarazione (magari perché quella plusvalenza era l’unico reddito e pensava di non dover fare niente, errore comune), allora si tratta di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000 a livello penale, e sanzione amministrativa art. 1 D.Lgs. 471/97). L’ufficio emetterà un avviso di accertamento d’ufficio per determinare l’imposta evasa.
In entrambi i casi, l’atto indicherà l’ammontare della plusvalenza, l’imposta dovuta (calcolata applicando l’aliquota marginale IRPEF che risulta dai redditi noti – tipicamente quella massima se il contribuente aveva già altri redditi alti, o comunque considerando quell’importo in aggiunta agli altri redditi dichiarati) e le sanzioni.
Dal punto di vista procedurale, se l’immobile venduto era all’estero, potrebbe attivarsi un diverso tipo di controllo, ma il succo non cambia.
- Sanzioni amministrative: La violazione commessa è una infedele dichiarazione (se c’era dichiarazione presentata) o omessa dichiarazione (se nessuna dichiarazione inviata) ai fini delle imposte sui redditi.
- Dichiarazione infedele: la sanzione base è il 90% della maggiore imposta dovuta, elevabile fino al 180% in caso di elevata gravità (di solito resta 90% se non ci sono aggravanti) . Esempio: plusvalenza €50.000, IRPEF evasa €13.000, sanzione = €11.700 (90% di 13k). Questa sanzione può essere ridotta a 1/3 se il contribuente paga senza ricorrere (acquiescenza) o ulteriormente ridotta se definisce con adesione, ecc. Inoltre, se c’è un ravvedimento operoso (prima dell’accertamento) la sanzione si riduce moltissimo come vedremo.
- Omessa dichiarazione (quadro Redditi): la sanzione base è più alta, pari al 120% – 240% dell’imposta dovuta (minimo €250) . Però spesso l’Agenzia qualifica come infedele se comunque il contribuente aveva presentato qualcos’altro. Omessa dichiarazione si contesta se proprio quell’anno non fu inviato nessun modello, e c’era obbligo di farlo per via della plusvalenza. In tal caso, sanzione minima 120%. Esempio: IRPEF evasa €10.000, sanzione = da €12.000 a €24.000 (spesso applicano la mediana, 150%).
- Interessi di mora: su ogni imposta evasa si applicano gli interessi legali (attualmente intorno al 5% annuo, variabili per anno) dal giorno in cui andava pagata (generalmente dal 30 giugno dell’anno successivo al realizzo, o dal termine per acconto se rilevante). Gli interessi sono dovuti per legge e non sono riducibili.
Le sanzioni amministrative, se l’atto viene impugnato in giudizio, possono essere ridotte dal giudice entro i minimi edittali se ci sono circostanze attenuanti (collaborazione, condizioni economiche difficili, ecc.). Ma in generale sono dovute.
- Profili penali tributari: L’omessa dichiarazione di plusvalenze può costituire reato in certi casi. Bisogna rifarsi al D.Lgs. 74/2000:
- Reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs.74/2000): scatta se l’imposta evasa supera €100.000 e gli elementi attivi sottratti (o passivi fittizi) superano il 10% del reddito dichiarato o comunque €2.000.000 . Nel caso di plusvalenza omessa, l’“elemento attivo sottratto” è proprio l’importo della plusvalenza non dichiarata. Quindi, se uno ha omesso 300.000 € di plusvalenza e l’imposta evasa è 120.000 €, la soglia è superata (120k > 100k, e 300k > 2M? No, 300k < 2M, ma se il 300k è oltre il 10% del reddito dichiarato – se aveva dichiarato 0 o poco, certamente sì – la seconda condizione del 10% è soddisfatta). Le pene per dichiarazione infedele vanno da 2 a 4 anni e 6 mesi di reclusione . Tuttavia, questo reato richiede il dolo specifico di evadere, e spesso per un privato che ha venduto una casa può essere dibattuto (potrebbe dire “ignoravo di dover dichiarare”). La giurisprudenza comunque non è tenera: la Cassazione penale ha affermato che l’entità dell’omissione può di per sé provare il dolo di evasione . Quindi attenzione: plusvalenze grosse omesse possono portare a denunce penali.
- Reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs.74/2000): scatta se non è stata presentata la dichiarazione dovuta e l’imposta evasa supera €50.000 . Quindi, se Tizio non ha proprio presentato Unico perché aveva solo la plusvalenza di 60.000 € su cui doveva 15.000 € di IRPEF, allora supera €50.000 di imposta? 15k > 50k no, quindi niente reato; se la plusvalenza era 300k con IRPEF 100k, allora sì, reato di omessa (anche di infedele volendo, ma se non c’è dichiarazione prevale omessa). La pena per omessa dichiarazione è la reclusione da 2 a 5 anni. Non importa l’importo evaso oltre la soglia minima, la pena è unica. Aggrava se erano tributi EU (IVA).
- Reato di dichiarazione fraudolenta: di solito non c’entra con plusvalenze omesse, perché quello si ha quando si usano fatture false o artifici. Nel nostro contesto, a meno che uno non abbia simulato vendite a prezzi diversi o creato documenti falsi, non si configura. Un esempio di potenziale frode sarebbe se uno vende a 300k ma fa due atti: uno con 200k e uno finto di altra cosa per 100k, per occultare il prezzo. Lì entriamo nella frode mediate artifici. Ma è raro e complesso provare.
In sintesi, quando la plusvalenza è molto grande, oltre a soldi ci si gioca la fedina penale. Per fortuna, i reati hanno soglie alte, quindi una persona fisica normale che vende una casa con guadagno di 80k non incorre in soglia penale (tassa evasa ~20k, sotto soglia). Ma vendite di terreni edificabili o più immobili insieme potrebbero portare sopra.
Va segnalato che l’effettivo avvio di procedimenti penali in questi casi dipende anche dall’atteggiamento dell’ufficio: se l’importo è di poco sopra soglia e il contribuente paga subito, talvolta si “soprassiede”. Formalmente però l’Agenzia delle Entrate ha obbligo di segnalazione alla Procura se riscontra reati.
- Causa di non punibilità penale per pagamento del debito: Importante per chi rischia il penale: l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede che per alcuni reati dichiarativi (infedele e omessa inclusi, dopo le modifiche del 2019) sia esclusa la punibilità se il contribuente paga integralmente i debiti tributari (imposta, sanzioni, interessi) prima dell’apertura del dibattimento di primo grado . Tradotto: se prima che il processo penale entri nel vivo tu hai saldato tutto con il fisco, non vieni punito penalmente. Questa è una norma di favore introdotta per incentivare il pagamento. In più, se paghi prima che ti contestino (ravvedimento prima di eventuali controlli), non solo non c’è reato ma neppure si applicano sanzioni amministrative piene (vedi dopo). Quindi, un consiglio fondamentale: se ti accorgi di aver omesso una plusvalenza e l’importo è consistente, agisci subito per regolarizzare, perché puoi evitare sia sanzioni salate che un procedimento penale.
Oltre a ciò, va ricordato che per poter patteggiare o accedere a riti alternativi nei reati fiscali occorre aver pagato il dovuto (o almeno concordato il pagamento) . Dunque, dal punto di vista difensivo penale, la strategia quasi sempre è: correre a pagare (magari utilizzando anche la stessa cartella esattoriale con sanzioni per far risultare tutto saldato) e far valere la causa di non punibilità.
Riassumendo le sanzioni amministrative vs penali in una tabella:
Violazione | Sanzione Amministrativa | Reato penale (se condizioni) |
---|---|---|
Dichiarazione infedele (plusvalenza non dichiarata in Mod. Redditi presentato) | 90% dell’imposta non versata (range 90-180%) . Riducibile con ravvedimento o definizione. | Scatta se imposta evasa > €100.000 e plusvalenza > 10% reddito o > €2 mln . Pena 2–4 anni e 6 mesi reclusione . Non punibile se paghi tutto prima del dibattimento . |
Omessa dichiarazione (nessuna presentazione) | 120%–240% dell’imposta dovuta (min. €250) . Ravvedimento non ammesso oltre 90gg dal termine . | Scatta se imposta evasa > €50.000 . Pena 2–5 anni reclusione. Non punibile se paghi tutto prima dibattimento. |
Altre eventuali (frode) | (n/a – casi particolari) | Se uso artifici per occultare plusvalenza (es. prezzo fittizio), potrebbe configurare dichiarazione fraudolenta (pene più alte 3–8 anni). Caso raro per persone fisiche normali. |
Ora, sapere questo quadro sanzionatorio è essenziale per impostare la difesa. Vediamo dunque quali strumenti ha il contribuente per rimediare o contestare l’accertamento, e in che modo eventualmente far valere attenuanti o regolarizzare la propria posizione.
Strategie difensive e tecniche di contenzioso tributario
Affrontare un’accusa di “omessa plusvalenza” richiede un approccio multidisciplinare: tecnico-fiscale (per il merito della tassazione), procedurale (per verificare vizi formali dell’accertamento) e in certi casi anche penalistico. Di seguito esaminiamo le principali strategie di difesa dal punto di vista del contribuente, distinguendo tra la fase preventiva/di ravvedimento e quella di contenzioso vero e proprio dopo la notifica di un avviso.
Ravvedimento operoso e altre sanatorie spontanee
Il ravvedimento operoso è, per così dire, la “prima linea di difesa” – o meglio, di auto-correzione – che il contribuente ha a disposizione. Consente di sanare spontaneamente violazioni tributarie beneficiando di sanzioni ridotte proporzionalmente alla tempestività. Nel caso di plusvalenza omessa: – Se ci si accorge prima che l’Agenzia avvii controlli (quindi prima di ricevere qualunque comunicazione di accertamento o anche un semplice invito al contraddittorio), è possibile presentare una dichiarazione integrativa per l’anno in questione, includendo la plusvalenza dimenticata, e pagare la maggiore imposta dovuta con sanzioni ridotte e interessi. – Le riduzioni delle sanzioni vanno da 1/10 a 1/5 o 1/6 del minimo, a seconda di quanto ritardo accumulato: – Entro 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione: sanzione infedele ridotta ad 1/10 del 90% (quindi 9% dell’imposta) . – Oltre 90 giorni ma entro 1 anno dall’omissione: riduzione a 1/9 (10% del 90% ≈ 10%) . – Entro 2 anni: 1/8 (≈11.25%). – Oltre 2 anni: 1/7 (≈12.86%). – Dopo avviso formale (PVC) ma prima di accertamento: 1/6 (15%) . – Dopo ricevuta la “lettera di compliance” o “invito” ma prima dell’accertamento: c’è la nuova riduzione 1/6 introdotta da normative recenti nel 2023. – Nota: per omessa dichiarazione (nessuna presentata), il ravvedimento è ammesso solo entro 90 giorni dalla scadenza. Dopo 90 giorni, quella è omessa insanabile come ravvedimento e resta solo da attendere accertamento (si potrà semmai definire in adesione). Quindi se proprio non avevate presentato nulla, la finestra è stretta. Se l’avete saltata, comunque presentare tardiva entro 90gg conviene (sanzione fissa ridotta a 1/10).
In pratica, se Tizio nel luglio 2025 si accorge di non aver dichiarato una plusvalenza nel 2024, può: 1. Fare la dichiarazione integrativa 2024 (redditi 2023) includendo la plusvalenza. 2. Calcolare l’IRPEF dovuta in più e i relativi interessi. 3. Pagare la sanzione ridotta: supponendo siano passati meno di 12 mesi dal termine, la sanzione è ridotta a 1/9 del 90% = 10%. Così al posto di 90% paga 10%. Un bel risparmio. 4. Dormire relativamente tranquillo perché a quel punto difficilmente ci sarà un accertamento (possono contestare al limite piccole differenze di calcolo, ma di solito accettano il ravvedimento).
Ravvedimento speciale: Nel 2023 (Legge di Bilancio 2023) era stata prevista una sorta di ravvedimento speciale per violazioni di periodi precedenti con sanzione 1/18 e pagamento rateale. Potrebbe esserci stato qualche regime agevolato anche nel 2024/2025 (ad esempio DL 84/2025 citava un’estensione di ravvedimento per soggetti ISA). Sono strumenti una tantum che, se disponibili, vanno valutati. Nel caso specifico di plusvalenze, rientravano potenzialmente nel ravvedimento speciale 2023 per le dichiarazioni 2021 e precedenti non corrette, pagando 1/18 della sanzione. Se, ipotizziamo, Caio aveva omesso plusvalenza nel 2019 e ancora era nei termini 2023, poteva fare ravvedimento speciale con sanzione 5% (1/18 di 90%). Questi istituti devono essere colti al volo quando attivi.
Conclusione sul ravvedimento: Dal punto di vista difensivo, il miglior modo di difendersi è attaccare per primi: se ti accorgi, ravvediti. Si evita anche il penale, come visto, se fatto prima di verifiche. Dunque, consulenti e CAF dovrebbero sempre chiedere ai clienti: “Hai venduto immobili negli ultimi anni? Bisogna vedere se c’era plusvalenza!” prima di far dichiarazioni.
Verifica della legittimità formale dell’accertamento
Se l’Agenzia ha già emesso l’avviso di accertamento (quindi la fase di ravvedimento è superata o non colta), occorre esaminare l’atto con attenzione per eventuali vizi formali o procedurali che possano inficiarlo. Alcuni punti da controllare:
- Termini di decadenza: l’accertamento per redditi 2020, ad esempio, può essere notificato entro il 31 dicembre 2025 (5 anni dopo l’anno di presentazione della dichiarazione, che era 2021) se la dichiarazione è stata presentata, oppure entro 7 anni (31 dicembre 2027) se omessa. Questi termini sono per imposte dirette attuali (post riforma 2016). Se l’avviso arriva tardivamente, è impugnabile perché decaduto. Quindi verificare anno di imposta e data notifica.
- Notifica valida: controllare che la notifica dell’atto sia avvenuta secondo legge (posta raccomandata, PEC, consegna a persona giusta, ecc.). Vizi di notifica possono far annullare l’atto se il ricorso viene presentato tempestivamente facendo valere il vizio.
- Motivazione dell’atto: l’avviso deve contenere i presupposti e le motivazioni, cioè spiegare perché ritengono dovuta quell’imposta (es: “dalla vendita dell’immobile X risulta non dichiarata plusvalenza €…, imponibile ai sensi art 67…”). Se mancasse completamente la motivazione o fosse generica, potrebbe essere nullo per difetto di motivazione (art. 7 L.212/2000). Nel nostro caso, data la semplicità, solitamente la motivazione c’è ed è chiara.
- Contraddittorio endo-procedimentale: per i tributi “non armonizzati” (IRPEF è non armonizzato) non vi è obbligo generale di contraddittorio prima dell’atto, salvo in verifiche complesse. Un accertamento su plusvalenza di solito deriva da controlli automatici, per cui in genere non c’è contraddittorio preventivo obbligatorio (che invece sarebbe obbligatorio, ad esempio, per accertamenti fiscali in materia doganale o per adesione su richiesta).
- Errore nei calcoli: banale ma succede. Ricontare l’imposta. L’ufficio potrebbe aver applicato un’aliquota IRPEF errata (es. tassato tutto al 43% senza considerare scaglioni), oppure non aver considerato deduzioni che il contribuente aveva. Anche se la plusvalenza è reddito diverso, concorre con gli altri redditi: se uno aveva soli 10k di reddito e plusvalenza 50k, i primi 15k totali sono 23%, i successivi 20k a 25% e ultimi 25k a 35% (ipotizzando scaglioni in vigore, faccio esempio). L’Agenzia a volte semplifica al massimo scaglione. Si può quindi contestare l’imposta chiedendo ricalcolo preciso. In contenzioso, se dimostri che l’imposta contestata è eccessiva, otterrai riduzione.
Se ci sono vizi formali seri (decadenza, notifica nulla), si può puntare all’annullamento integrale dell’avviso senza nemmeno discutere del merito.
Difesa di merito: contestare il presupposto o il quantum
La difesa di merito significa attaccare la sostanza della pretesa. Le possibili linee: – Non c’era plusvalenza tassabile: come analizzato nei paragrafi precedenti, forse l’ufficio ha ignorato una causa di esclusione. Esempi: – L’immobile era un’abitazione principale e l’Agenzia non l’ha riconosciuto. In ricorso si porta evidenza che invece lo era (contratti di utenze, residenza, testimonianze). Il fine è far dichiarare che l’art. 67 lett. b esclude quell’operazione, quindi zero imposta. – L’immobile proveniva da successione (o in parte, come quell’esempio 50%). Se l’atto di vendita non lo menzionava chiaramente, l’Agenzia magari non ha colto. Si allegano i documenti e si chiede stralcio della plusvalenza su quella parte. – Il quinquennio era superato (magari contestazione su date come dicevamo). Si dimostra con precisione che erano 5 anni + 1 giorno, quindi oltre il limite. Ci sono sentenze CTR/Cassazione su casi analoghi (il conteggio giorni). – Il terreno non era edificabile: si allegano certificati urbanistici, eventuali delibere, per far vedere che al rogito era ancora agricolo (se così). – Oppure il bene rientrava in altra previsione: ad esempio, se vendi una quota di società semplice con dentro immobili, l’Agenzia magari ha tassato come plusvalenza immobiliare, ma in realtà potrebbe essere cessione partecipazione (caso borderline, ma giusto per dire). – Plusvalenza calcolata male: qui l’ufficio spesso semplifica. Azioni: – Presentare documenti di costo che l’ufficio non aveva. Esempio: fatture di ristrutturazione che aumentano il costo deducibile, riducendo la plusvalenza. Se il contribuente non le aveva prodotte prima, può farlo in sede di adesione o contenzioso (nel processo tributario i nuovi documenti sono ammessi, mentre nuovi motivi di ricorso no dopo certi termini). – Mostrare che il prezzo di vendita considerato dal fisco non è quello effettivo nel senso di perimetro soggetto a imposta. Un caso: vendi un immobile insieme ad alcuni beni mobili pertinenziali (tipo vendi casa con cucina arredata per un extra 5k). Se nel rogito c’era distinzione (casa 200k, mobilio 5k), la plusvalenza va sul prezzo casa 200k, i 5k non c’entrano. Se l’ufficio erroneamente ha calcolato su 205k, va contestato. O analogamente, se dall’atto risulta parte del corrispettivo afferente a risarcimenti, o canoni pregressi, ecc. – Questione detrazioni fiscali lavori: se uno ha detratto al 50% delle spese, può includere nel costo il 100%? L’Agenzia come detto sembra di sì. Quindi assolutamente includere spese piene. Se contestano dicendo “hai già avuto detrazione”, si può replicare con la loro stessa circolare 13/E/2024 dove non hanno fatto scomputi, e con il principio che la norma non prevede di ridurre il costo per crediti d’imposta fruiti (a differenza delle plusvalenze partecipazioni rivalutate, dove si sottrae l’imposta di rivalutazione). – Errore di qualificazione giuridica: raramente, il difensore potrebbe sostenere che quell’operazione non era una cessione imponibile ai sensi di quella norma. Ad esempio, in passato c’era discussione se l’assegnazione di un immobile ai soci di società di persone comportava plusvalenza per i soci (oggi diremmo di no, la plusvalenza l’ha la società semmai). Oppure se il trasferimento in trust comportava plusvalenza (il fisco inizialmente diceva di sì, Cassazione poi ha detto di no in molti casi). Quindi se capitano fattispecie atipiche (es. trasferimento a seguito di provvedimento giudiziario non di separazione, ma ad esempio usucapione? L’usucapione non è cessione onerosa, quindi niente plusvalenza – se erroneamente l’AdE la tassasse, si impugna). – Applicazione di convenzioni internazionali: se immobile all’estero, alcuni paesi tassano il capital gain e l’Italia potrebbe dover concedere credito d’imposta o esenzione secondo trattato. Esempio: un italiano vende casa negli USA, paga tasse USA sul gain, poi Italia vorrebbe IRPEF. La convenzione dice in genere che gli immobili sono tassabili nel paese dove si trovano; l’Italia di solito in quei casi concede il credito. Se l’Agenzia pretende l’intera IRPEF, difesa: applicare art. 23 TUIR + convenzione, esentare o ridurre.
La difesa di merito andrà sostenuta con documenti (atti notarili, ricevute, perizie) e con precedenti (circolari, risoluzioni, sentenze). Per esempio, citare la Cass. 11786/2025 se il caso è simile e a proprio vantaggio (in quell’occasione era a favore fisco per dire che lo scopo speculativo non conta, quindi la citerei se sono difensore dell’Agenzia, non del contribuente). Viceversa, citare Cass. su abitazione principale (ce ne sono di favorevoli ai contribuenti che provarono l’abitabilità effettiva).
Strumenti deflativi: adesione, acquiescenza, mediazione e conciliazione
Prima di arrivare davanti al giudice, il contribuente ha opportunità di risolvere la lite con l’ufficio in modo deflattivo, riducendo sanzioni: – Accertamento con adesione: dopo aver ricevuto l’avviso (o anche prima su invito) il contribuente può presentare istanza di adesione, sedersi a tavolino con l’Agenzia e trovare eventualmente un accordo sull’imponibile. Ad esempio, può portare i documenti di costi e convincere l’ufficio ad abbassare la plusvalenza accertata. Se trovano un accordo, si firma un atto di adesione. Vantaggio: la sanzione si riduce di 1/3 (da 90% a 60% ad esempio). Inoltre, si può rateizzare il dovuto in 8 rate trimestrali (12 se oltre 50k debito). L’adesione interrompe anche i termini per ricorrere, etc. – Nel contesto plusvalenze, l’adesione è utile se ci sono questioni di quantum (riduzione), mentre se il contribuente ritiene proprio di non dover pagare nulla (abitazione principale), l’ufficio probabilmente non cederà su un principio di legge e l’adesione fallirà. – Comunque, tentare l’adesione spesso conviene: se anche va a vuoto, non preclude di fare ricorso dopo, e intanto si è avuto un confronto che aiuta a capire le posizioni. – Acquiescenza: se non si vuole o non c’è margine di contestare, pagando l’accertamento entro i 60 giorni (senza ricorrere) si ha diritto a sanzioni ridotte ad 1/3 (lo stesso beneficio dell’adesione) . Quindi se la sanzione era 90%, pagando subito si paga 30%. Questo è alternativo all’adesione. – Mediazione tributaria: per gli atti con valore contestato fino a €50.000 (soglia recentemente elevata forse a €50k) è obbligatorio, prima del ricorso, presentare reclamo/mediazione all’Agenzia. Nel contesto plusvalenze, gli importi possono eccedere, ma se l’imposta + sanzioni è sotto 50k, occorre farlo. L’ufficio può accogliere parzialmente e abbassare la pretesa; se accoglie, sanzioni ridotte del 35% (o meglio, ridotte a 1/3 come acquiescenza? In mediazione, se chiusa, credo applichino 1/3). – Conciliazione giudiziale: se si arriva in Commissione Tributaria (ora rinominata Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado) e durante il giudizio le parti vogliono accordarsi, possono conciliare la causa con un accordo che normalmente prevede il pagamento di un importo concordato. In caso di conciliazione le sanzioni sono ridotte ad 1/3 del minimo se conciliazione fuori udienza o 1/2 se in udienza. Tipicamente si mira a 1/3. Questo è l’ultimo stadio per chiudere bonariamente.
L’opportunità di definire in via amministrativa va valutata rispetto alla forza delle proprie ragioni: se il contribuente ha ottime prove di esenzione e magari importi grossi, può valere la pena combattere in giudizio per non pagare nulla. Se invece la questione è solo di quantificazione o piccola, può convenire chiudere con sconto sanzioni.
Contenzioso tributario
Se non si trova accordo, si passa al contenzioso vero e proprio, presentando ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) competente. Alcuni suggerimenti in questa fase: – Impostare bene il ricorso introduttivo, sollevando tutti i motivi (di merito e di diritto) sin da subito, specie se valori oltre 50k (dove non c’è mediazione e non potrai integrare motivi dopo 60gg). – Chiedere eventualmente la sospensione dell’esecutività dell’atto se l’importo da pagare immediatamente (1/3 in pendenza di ricorso) crea danno grave. I giudici tributari spesso concedono sospensione se c’è fumus boni iuris (ragionevole motivo) e periculum (difficoltà a pagare). – In udienza, insistere sulle prove documentali. Se il giudice appare poco convinto su esenzione prima casa, magari chiedere CTU (consulenza tecnica) per dimostrare che l’immobile aveva utenze attive ecc. Non sempre la ammettono, ma tentare. – Tenere presente che ora il processo tributario consente la testimonianza scritta (novità 2022) in certi casi, ma ancora non per provare circostanze di fatto come la residenza (queste restano delicate, ma se entrambe parti concordano, la testimonianza potrebbe entrare). Comunque, la prova testimoniale diretta resta tendenzialmente non ammessa (se non scritta e su circostanze specifiche). – Citare giurisprudenza di Cassazione pertinente. Es: Cass. n. 11786/2025 se serve evidenziare interpretazioni (anche se in quel caso era contro il contribuente). Cass. nn. 928/2014 e 25691/2015 su abitazione principale (queste parlavano della irrilevanza residenza formale). Cass. su terreni: ce ne sono varie (ad es. Cass. 2552/2018 su edificabilità ai fini plusvalenze). – Far valere eventuali vizi procedurali anche in ricorso (purché siano stati sollevati come motivi). – Prepararsi anche al secondo grado e Cassazione se il valore è alto, perché l’Agenzia tipicamente appella se perde in primo grado su questioni di principio (non cede facilmente su plusvalenze quando crede di aver ragione).
Fortunatamente, molte cause su plusvalenze non arrivano fino in fondo perché spesso il contribuente, vedendo l’evidenza, preferisce definire o l’ufficio stesso se vede di aver sbagliato magari annulla in autotutela parziale (può capitare).
Un altro aspetto: se la plusvalenza contestata è molto elevata e c’è il rischio penale pendente, occorre coordinare la difesa tributaria con quella penale. In genere, la definizione del tributo (pagamento) aiuta enormemente nel penale, come detto causa di non punibilità. Quindi se il contribuente può pagare, spesso il consiglio è: paga (magari con adesione per sconto sanzioni) così il penale viene archiviato. Questo però toglie chance al contenzioso tributario (perché definendo adesione, rinunci al ricorso). Bisogna quindi scegliere la battaglia: se la posizione fiscale è chiaramente perdente ma c’è un vizio formale, si potrebbe voler portare la questione in giudizio per annullare l’atto e quindi far venire meno anche il penale per mancanza di accertamento definitivo (ma attenzione, nel penale non serve l’accertamento definitivo: il giudice penale decide autonomamente se c’è imposta evasa).
La coordinazione penale-tributario: – Se c’è un procedimento penale in corso, di solito conviene informare la Procura che si sta contestando in sede tributaria la pretesa. Talvolta il giudice penale sospende in attesa dell’esito tributario se la materia è complessa e decisiva (non vincolato però). – Come detto, pagando e ravvedendo il debito prima del dibattimento penale, scatta la non punibilità per legge (art. 13). Quindi questa è la difesa penale preferita. – Ovviamente se si sceglie di combattere in tributario senza pagare, il penale può andare avanti: in quel caso la difesa punterà a negare il dolo (es. “errore scusabile, materia complessa, mi avevano detto che non serviva”), oppure contestare il calcolo dell’imposta evasa sotto soglia (diminuendola, se possibile). Ma sono difese incerte.
Esempi concreti di difesa
Per rendere concreti i concetti, ecco alcune simulazioni pratiche su come un contribuente potrebbe difendersi:
Caso 1: Plusvalenza su seconda casa non dichiarata – importo modesto
– Scenario: Luigi vende nel 2022 un appartamento (non prima casa) dopo 3 anni dall’acquisto, con plusvalenza €20.000. Dimentica di dichiararla. Nel 2024 riceve avviso per €20k imponibile, €5k IRPEF evasa, €4.5k sanzioni (90%). Totale ~€9.5k.
– Difesa: Luigi riconosce l’errore, nessuna esenzione applicabile. Importo non altissimo. Potrebbe fare acquiescenza entro 60gg pagando imposta + 1/3 sanzione (€5k + €1.5k = €6.5k circa) evitando ricorsi e chiudendo. Se non ha soldi liquidi, può chiedere rate (fino a 8 rate trimestrali se >€5k).
– Esito: Luigi paga colloquiando con l’ufficio per la rateazione. Nessun reato (5k < 50k soglia omessa). Finisce lì.
Caso 2: Plusvalenza su terreno edificabile – contestazione parziale
– Scenario: Maria vende nel 2021 un terreno diventato edificabile. Aveva un costo d’acquisto €50k, venduto €150k. Non dichiara la plusvalenza €100k. Nel 2025 l’AdE accerta €100k imponibile, €43k IRPEF evasa, €38.7k sanzione (90%). Totale circa €81.7k. Maria però aveva effettuato nel 2020 una perizia di rivalutazione del terreno stimandolo €120k e versato imposta sostitutiva 11% (€13.2k).
– Difesa: In questo caso Maria ha sbagliato a non dichiarare, ma ha un’arma: la perizia. La plusvalenza andrebbe calcolata su €150k – €120k = €30k, non €100k. L’ufficio non ha considerato la rivalutazione (forse Maria non l’aveva allegata).
– Maria avvia un accertamento con adesione: presenta la perizia asseverata e la ricevuta F24 dell’imposta sostitutiva pagata. L’ufficio verifica che la rivalutazione era valida (norma consentiva fino 2020) e concorda di ridurre la plusvalenza imponibile a €30k. L’imposta dovuta diventa circa €12k, sanzione base €10.8k. Su queste Maria ottiene riduzione 1/3 per adesione: sanzione €7.2k. Quindi dovrà pagare €12k + €7.2k + interessi ridotti.
– Maria accetta e firma l’adesione. Paga (anche qui rate se serve).
– Esito: L’ufficio incassa meno ma evita causa. Maria paga molto meno di 81k: magari ~20k totali. Nessun rilievo penale (43k > 100k? No, era 43k imposta evasa inizialmente, soglia infedele 100k non raggiunta, comunque pagando adesione di fatto la cosa si chiude in ogni senso).
Caso 3: Vendita prima casa contestata – vittoria del contribuente
– Scenario: Antonio vende nel 2019 la sua prima casa dopo 2 anni (guadagno €40k). L’AdE non crede fosse sua abitazione principale perché la residenza anagrafica di Antonio era rimasta presso i genitori, altrove, e quindi nel 2023 lo accerta: €40k imponibili, €12k IRPEF, €10.8k sanzioni. Antonio però aveva effettivamente vissuto in quella casa, pur non spostando la residenza per motivi burocratici.
– Difesa: Antonio propone istanza di autotutela allegando copie di bollette elettriche e gas 2017-2019 a lui intestate presso l’immobile, contratti internet attivati lì, e una dichiarazione dell’amministratore di condominio che conferma che lui abitava lì stabilmente. Chiede annullamento dell’accertamento per difetto presupposto (abitazione principale esente).
– L’Agenzia però non annulla (magari per rigidità). Antonio allora presenta ricorso in Commissione Tributaria, ribadendo che la norma esenta dimora abituale e cita Cass. 18239/2018 e Cass. 11786/2025 nelle parti che dicono che conta la dimora effettiva, non la residenza anagrafica . Allegati: bollette, lettera amministratore, foto della casa con suoi effetti personali datate, ecc.
– In udienza, il difensore sottolinea che l’Agenzia non ha alcuna prova che quella non fosse la sua abitazione principale, se non la diversa residenza anagrafica, e ciò è irrilevante in base alla giurisprudenza .
– Esito: La Commissione accoglie il ricorso riconoscendo l’esenzione prima casa (appare evidente dalle prove che la casa era abitata da Antonio). L’accertamento è annullato, Antonio non deve nulla. (L’Agenzia potrebbe appellare, ma se le prove sono solide, difficilmente spenderà risorse per €12k).
Caso 4: Omissione enorme con reato – soluzione negoziata
– Scenario: Società Alfa (SRL immobiliare) vende nel 2020 un grande immobile commerciale con plusvalenza da bilancio €3 milioni, ma mediante artifici contabili non la dichiara interamente (simula costi). Evade IRES su €3M (24% = €720k). Omette anche IVA sull’operazione (ma restiamo sul reddito). Nel 2023 scoperto, l’AdE contesta €720k imposte, €864k sanzioni (120% perché ritengono omessa o addirittura frode). Parte anche un procedimento penale per dichiarazione fraudolenta o infedele (di sicuro sopra soglia).
– Difesa: La società, essendo una persona giuridica, non risponde penalmente ma l’amministratore sì. L’amministratore, consigliato dai legali, decide di patteggiare in penale: per farlo deve aver pagato il debito. Quindi Alfa avvia un accertamento con adesione con l’AdE, negoziando magari qualche punto (ma qui c’è poco da negoziare perché è evasione conclamata; forse discutono su sanzioni e interessi).
– Si raggiunge un accordo: Alfa paga tutto il dovuto (magari sanzione ridotta a 1/3 = 288k). Totale circa €1.008.000 + interessi.
– L’amministratore versa e ottiene in sede penale l’applicazione dell’art. 13: il reato è dichiarato non punibile per intervenuto pagamento integrale . In pratica, niente carcere. Probabilmente patteggiano una pena minima sospesa giusto per formalità.
– Esito: Dal punto di vista tributario Alfa ha pagato moltissimo (3M di plusvalenza avrebbero comportato tasse comunque, semplicemente le ha pagate ora con sanzioni). Ma ha salvato l’amministratore dal penale. Se non avesse concorciato, l’amm.re rischiava 2-4 anni di reclusione. Questa è stata dunque una strategia di difesa negoziata globale.
Come si nota dai casi, ogni situazione va valutata individualmente, ma i principi comuni sono: conoscere bene le norme sostanziali (per contestare quando non è dovuta imposta), sfruttare le proceduralità (ravvedimento, adesione, riduzioni sanzioni) per limitare i danni, e in ultimo ricorrere al giudice quando si ha un buon argomento da far valere.
Domande frequenti (FAQ) sulle plusvalenze immobiliari omesse
Di seguito una sezione Domande & Risposte che riassume molti dei dubbi ricorrenti in materia, utile per chiarire concetti specifici in forma breve.
D: Ho venduto la prima casa entro 5 anni e realizzato un guadagno. Devo dichiararlo e pagare tasse?
R: Se la casa venduta è stata effettivamente la tua abitazione principale per la maggior parte del tempo in cui l’hai posseduta, no, la plusvalenza è esente (art. 67 TUIR). Non devi dichiararla. Se però non l’hai utilizzata come dimora abituale in misura prevalente, allora sì: la plusvalenza va dichiarata come reddito diverso e tassata. Ad esempio, se hai acquistato col bonus “prima casa” ma poi di fatto non ci hai abitato quasi mai, l’esenzione IRPEF non si applica automaticamente solo per aver avuto la residenza anagrafica: conta l’uso effettivo .
D: Ho venduto una seconda casa dopo 4 anni dall’acquisto. È vero che c’è una tassa del 26% da pagare?
R: La vendita di una seconda casa entro 5 anni genera una plusvalenza tassabile. Puoi scegliere due modalità: – In sede di rogito notarile, chiedere di pagare un’imposta sostitutiva secca del 26% sul gain . Il notaio calcolerà l’importo e lo verserà, così non dovrai dichiarare nulla dopo. – Oppure, pagare l’IRPEF ordinaria inserendo la plusvalenza nella dichiarazione dei redditi. In questo caso la tassazione segue le tue aliquote IRPEF (potrebbe essere meno o più del 26% a seconda degli altri redditi). Se non hai fatto nulla di tutto ciò, devi al più presto regolarizzare (dichiarando e pagando) altrimenti l’Agenzia recupererà l’imposta dovuta più una sanzione pari al 90% di essa .
D: Ho venduto un terreno edificabile nel 2025, ma lo possedevo da 20 anni. Devo comunque pagare la plusvalenza?
R: Sì, i terreni edificabili sono sempre soggetti a tassazione sulle plusvalenze, indipendentemente dagli anni di possesso . L’unico caso di esenzione è se il terreno ti è pervenuto per successione ereditaria . Dovrai quindi calcolare la plusvalenza (prezzo vendita – costo storico/rivalutato) e dichiararla. Puoi rivalutare il terreno prima della vendita (se il legislatore riapre i termini) pagando un’imposta sostitutiva sull’intero valore: questo alza il costo fiscalmente riconosciuto e riduce la plusvalenza tassabile. Ma se hai già venduto, devi dichiarare il gain nella dichiarazione dei redditi dell’anno di vendita. La sostitutiva 26% dal notaio non si può applicare ai terreni edificabili (vale solo per fabbricati e terreni agricoli) .
D: Ho ereditato una casa da mio padre e l’ho venduta dopo pochi mesi ricavando €100.000 di plusvalore. È tassabile?
R: No, le plusvalenze derivanti da immobili acquisiti per successione non sono imponibili . Quindi la vendita della casa ereditata è esente, anche se avviene entro cinque anni. Non devi dichiarare nulla in IRPEF. Tieni però a disposizione la documentazione che prova la provenienza ereditaria (dichiarazione di successione, atto di provenienza) in caso di controlli. Se l’Agenzia per errore ti contestasse la plusvalenza, potrai fare istanza di annullamento allegando tali documenti.
D: Ho ricevuto in donazione da mio zio un appartamento (che lui aveva comprato 2 anni prima) e l’ho rivenduto dopo 1 anno. Devo pagare la plusvalenza?
R: Sì, in caso di donazione si fa riferimento alla data e al costo di acquisto originari del donante. Poiché tuo zio lo aveva comprato da 2 anni, non è trascorso il quinquennio. La tua rivendita a 1 anno dalla donazione genera plusvalenza tassabile . Dovrai calcolarla usando come costo quello che sostenne tuo zio per acquistarlo (più eventuali imposte e spese di donazione). Se invece tuo zio lo avesse posseduto da oltre 5 anni prima di donartelo, la tua vendita sarebbe stata esente (il quinquennio sarebbe decorso). Quindi, nel tuo caso specifico, sì: devi dichiarare la plusvalenza.
D: Ho venduto un immobile nel 2024 su cui avevo fatto lavori con Superbonus 110% terminati nel 2021. Ero convinto di non pagare nulla perché erano passati più di 5 anni dall’acquisto originario (2018-2024), ma mi dicono che c’è una nuova tassa. È vero?
R: Sì, la Legge di Bilancio 2024 ha introdotto una novità: se l’immobile ha beneficiato di Superbonus (o bonus analoghi) e viene venduto entro 10 anni dalla fine dei lavori incentivati, la plusvalenza è tassata come reddito diverso . Anche se erano passati oltre 5 anni dall’acquisto, conta il fatto che la vendita avviene entro 10 anni dai lavori. Questa è la cosiddetta “plusvalenza potenziata”. Quindi nel tuo caso (fine lavori 2021, vendita 2024, entro 3 anni), la plusvalenza è imponibile. Si possono però applicare comunque le esenzioni classiche: ad esempio, se per la maggior parte del periodo 2021-2024 l’immobile è stato tua abitazione principale, non pagherai nulla . Oppure, se una parte l’avevi ereditata, quella parte è esclusa . La quota imponibile, se c’è, sarà soggetta a tassazione IRPEF o a imposta sostitutiva 26% (entro 5 anni dalla fine lavori comunque ci rientri nei 5 anni classici). Oltre 5 anni dall’acquisto ma entro 10 dai lavori, pagherai col meccanismo nuovo (aliquota 26% sul gain relativo ai lavori).
D: Ho venduto un capannone aziendale di mia proprietà (sono ditta individuale) dopo 10 anni. Devo dichiarare plusvalenza?
R: Sì, perché in quanto bene relativo all’impresa la cessione genera plusvalenza d’impresa, indipendentemente dal tempo. Tuttavia, se lo possedevi da oltre 3 anni, puoi rateizzare la plusvalenza in 5 quote annuali . Dovrai includerla nel tuo reddito d’impresa IRPEF. Non c’è imposta sostitutiva qui. Se però il capannone era al di fuori dell’attività (es. bene personale affittato alla ditta, situazione anomala), allora sarebbe regime privato con regola 5 anni. Ma supponiamo fosse nel libro cespiti: pagherai su quella plusvalenza come reddito d’impresa. Se non l’hai dichiarata, è un omesso ricavo/plusvalenza d’impresa: ti conviene ravvederti subito.
D: Cosa rischio se ho omesso di dichiarare una plusvalenza e non faccio nulla?
R: Se non corri ai ripari, l’Agenzia Entrate quasi certamente ti notificherà un avviso di accertamento con la richiesta dell’imposta evasa, interessi e una sanzione pari al 90% dell’imposta evasa (se avevi presentato la dichiarazione, altrimenti 120-240% se non l’avevi proprio presentata). Ad esempio, su €10.000 di IRPEF non pagata, la sanzione sarà attorno a €9.000 (che può salire fino a 18.000 in casi gravi). Inoltre, se l’imposta evasa supera certe soglie (€50.000 se non hai presentato dichiarazione, €100.000 se l’hai presentata), rischi anche un procedimento penale per reato tributario . In concreto: ti potrebbe arrivare un decreto di citazione a giudizio con l’accusa di dichiarazione infedele o omessa, punibile con reclusione (fino a 4-5 anni a seconda del caso). Ovviamente, prima di arrivare a tanto, avrai opportunità di pagare: pagando integralmente il dovuto prima del processo penale, la legge prevede la non punibilità del reato . Quindi, rischi multe salate e potenzialmente il penale. Meglio evitare: se ti accorgi ora, fai un ravvedimento operoso e sistema la situazione pagando una sanzione ridotta (molto minore del 90%).
D: L’Agenzia delle Entrate mi ha contestato una plusvalenza ma io penso abbiano sbagliato i calcoli (o la legge). Posso difendermi? Come?
R: Sì, hai diritto di difenderti. Per prima cosa, entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento puoi presentare ricorso alla Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria). Prima di arrivare in giudizio, puoi anche tentare un accertamento con adesione: ti presenti in Agenzia, mostri i tuoi calcoli o documenti, e provi a trovare un accordo. Se l’accordo riesce, pagherai il concordato (con sanzioni ridotte di 1/3). Se invece l’Agenzia non riconosce i tuoi argomenti, puoi portare la questione in giudizio. Il giudice tributario esaminerà la documentazione. È fondamentale portare prove: ad esempio, fatture di ristrutturazione se contesti l’ammontare del costo, certificati di residenza/utilizzo se contesti che fosse prima casa, perizie se contestate i valori, ecc. In giudizio puoi far valere sia questioni di merito (non è dovuta l’imposta per X motivo) sia di forma (l’atto è arrivato tardi, o è motivato male, ecc.). Se hai ragione, il giudice annullerà in tutto o in parte l’atto. Ricorda che se l’importo in gioco è sotto €50.000, prima del ricorso devi fare un tentativo di mediazione/reclamo con l’Agenzia, che spesso porta a riduzioni sanzioni se trovate un accordo. In ogni caso, conviene farsi assistere da un esperto (commercialista/avvocato tributarista) se le cifre non sono piccole, perché la materia è tecnica.
D: Posso utilizzare la plusvalenza immobiliare per fare compensazioni o perdite?
R: No, la plusvalenza immobiliare come reddito diverso non può essere compensata con perdite d’impresa o di altre categorie (tranne eventuali minusvalenze di altre operazioni della stessa natura in certi casi, ma in generale no). Non è come per i titoli o i redditi d’impresa. Va dichiarata e tassata “stand-alone”. Non puoi dire “ho una perdita su un altro immobile” e sottrarla (ogni cessione si valuta separatamente; eventuali minusvalenze immobiliari non sono deducibili, salvo nel regime d’impresa dove fanno gioco a sé). Nemmeno puoi destinare quella plusvalenza a investimenti per non farla tassare – non esiste il meccanismo di reinvestimento con esenzione per privati (esisteva solo per imprese con riserva in 2 anni in passato, ma per privati no). Dunque, se c’è plusvalenza, va pagata secondo regole viste. L’unica pianificazione lecita è la rivalutazione preventiva pagando l’11% o simile, oppure posticipare la vendita oltre 5/10 anni se vuoi evitare imposta.
Conclusione: La materia delle plusvalenze immobiliari è complessa ma con regole precise. Dal punto di vista del contribuente, conoscere queste regole consente di evitare errori costosi e, qualora si incappi in contestazioni, di impostare una difesa efficace. In sintesi: – Pianificare le operazioni (tempi di detenzione, opzioni fiscali dal notaio). – Tenere documentazione di tutti i costi e condizioni (residenza, etc.) per poter dimostrare il proprio diritto a eventuali esenzioni. – Non esitare a sanare spontaneamente una dimenticanza tramite ravvedimento – conviene sempre rispetto ad aspettare l’accertamento. – E se ci si trova a doversi difendere, valutare con lucidità se puntare su accordi (adesione, acquiescenza) o su un contenzioso, in base alla solidità delle proprie ragioni giuridiche.
Affrontare l’“omissione di plusvalenza” richiede quindi un mix di conoscenza normativa, attenzione alle procedure e, quando necessario, capacità di negoziazione col fisco. Seguendo le indicazioni di questa guida, il contribuente – assistito dal proprio consulente – potrà gestire al meglio la situazione, minimizzando l’impatto economico e legale di eventuali errori dichiarativi.
Fonti:
- Testo Unico Imposte sui Redditi, art. 67 comma 1, lett. b) e successive modifiche
- Corte di Cassazione, Sez. V, sent. n. 11786 del 5/05/2025 (plusvalenza infraquinquennale e irrilevanza intento speculativo)
- Agenzia delle Entrate – Risposta a interpello n. 153/2025 (trasferimento immobile da divorzio e decorrenza quinquennio)
- Agenzia delle Entrate – Risposta a interpello n. 208/2024 (immobile con Superbonus parzialmente ereditato, calcolo plusvalenza)
- Circolare AE n. 23/E del 2020 (chiarimenti sul regime delle plusvalenze immobiliari infraquinquennali)
- Legge di Bilancio 2024 (L.197/2023, commi 64-67) – Introduzione “plusvalenza potenziata” per immobili post Superbonus
- Notariato – Studio CNN 2024 sulle imposte sostitutive (imposta sostitutiva 26%, esclusione terreni edificabili)
- D.Lgs. 74/2000, artt. 4-5 e 13 – Reati tributari di dichiarazione infedele/omessa e causa di non punibilità per pagamento
- CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 settembre 2021, n. 24972
- Circolare del 29/07/2020 n. 23 – Agenzia delle Entrate
Hai venduto un immobile e l’Agenzia delle Entrate ti contesta di non aver dichiarato la plusvalenza? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai venduto un immobile e l’Agenzia delle Entrate ti contesta di non aver dichiarato la plusvalenza?
Vuoi capire quando la tassazione è dovuta e come puoi difenderti da questa contestazione?
La plusvalenza immobiliare è il guadagno che deriva dalla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto (o il costo di costruzione). Non sempre, però, è imponibile: la normativa prevede numerose esenzioni e casi particolari.
👉 Una contestazione di omissione di plusvalenza non è automatica: occorre verificare se davvero esiste l’obbligo di dichiararla.
⚖️ Quando la plusvalenza è tassata
- Vendita di immobili acquistati o costruiti da meno di 5 anni;
- Cessioni di terreni edificabili, indipendentemente dal tempo di possesso;
- Immobili ricevuti per donazione se il donante li aveva acquistati da meno di 5 anni;
- Operazioni speculative, cioè prive di giustificazione personale o familiare.
📌 Quando la plusvalenza NON è tassata
- Vendita di immobili acquistati o costruiti da più di 5 anni;
- Immobile adibito a abitazione principale per la maggior parte del periodo di possesso;
- Cessione di immobili ricevuti in eredità;
- Prezzo di vendita uguale o inferiore al costo d’acquisto rivalutato.
🔍 Conseguenze della contestazione
- Recupero dell’imposta non versata, calcolata come reddito diverso;
- Sanzioni e interessi per omessa dichiarazione;
- Possibile applicazione di accertamenti bancari per verificare i flussi finanziari collegati.
🛡️ Come difendersi
- Verifica la data di acquisto e vendita: se sono passati più di 5 anni, la plusvalenza non è tassata.
- Dimostra l’uso come abitazione principale: certificati di residenza, bollette, contratti di utenze.
- Documenta eventuali eredità o donazioni: in molti casi non si genera tassazione.
- Contesta errori di calcolo del Fisco: spesso non considera rivalutazioni o costi incrementativi (ristrutturazioni).
- Predisponi memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la contestazione e verifica se la plusvalenza era davvero imponibile;
- 📌 Ricostruisce i costi e i tempi di possesso per escludere o ridurre l’imposta;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi fondati su prove concrete;
- ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta soluzioni alternative, come adesione o definizione agevolata per ridurre sanzioni.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in accertamenti fiscali su plusvalenze immobiliari;
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa patrimoniale;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
La contestazione per omissione di plusvalenza da vendita di immobile non sempre è fondata: la normativa prevede numerose esenzioni che il Fisco spesso trascura.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare l’inesistenza dell’obbligo fiscale, ridurre o annullare la pretesa e proteggere il tuo patrimonio.
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