Contestazioni Su Spese Di Ristrutturazione Non Detraibili: Come Difendersi

Hai usufruito delle detrazioni fiscali per ristrutturazioni edilizie e hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune spese sono state considerate non detraibili? I controlli su questi bonus sono sempre più severi e spesso il Fisco contesta la mancanza di documenti o l’assenza dei requisiti richiesti. Se la detrazione viene revocata, rischi di dover restituire le somme con sanzioni e interessi.

Quali spese di ristrutturazione sono detraibili
La normativa consente la detrazione IRPEF per:
– Interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo
– Ristrutturazioni edilizie su singole unità immobiliari e parti comuni di edifici
– Spese per impianti elettrici, idraulici, riscaldamento, climatizzazione e sicurezza
– Interventi per migliorare l’efficienza energetica collegati alla ristrutturazione
– Acquisto di materiali se fatturati dall’impresa esecutrice dei lavori

Quando scattano le contestazioni del Fisco
– Se le spese non rientrano tra quelle previste dalla legge come agevolabili
– Se mancano le fatture, i bonifici parlanti o i documenti giustificativi
– Se i titoli edilizi (CILA, SCIA, DIA, permessi) non sono stati presentati o risultano irregolari
– Se i pagamenti sono stati effettuati in contanti o con mezzi non ammessi
– Se non è stata rispettata la connessione tra lavori effettuati e spese dichiarate

Cosa rischi in caso di contestazione
– Perdita totale o parziale della detrazione per le spese contestate
– Recupero delle imposte con sanzioni dal 90% al 180% e interessi di mora
– Estensione dei controlli ad altri bonus collegati (ecobonus, bonus mobili, superbonus)
– Possibile segnalazione per false dichiarazioni in caso di documentazione non veritiera

Come difendersi da una contestazione sulle spese di ristrutturazione
– Presentare le fatture, i bonifici parlanti e la documentazione edilizia che provi la spettanza della detrazione
– Dimostrare la natura degli interventi con relazioni tecniche e certificazioni dei professionisti
– Contestare eventuali errori di valutazione dell’Agenzia delle Entrate
– Evidenziare la buona fede del contribuente in caso di irregolarità formali
– Impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se la pretesa è infondata

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la contestazione e verificare la legittimità della revoca
– Raccogliere la documentazione a supporto della detrazione
– Contestare le sanzioni sproporzionate e richiedere l’applicazione dei principi di proporzionalità
– Redigere memorie difensive e ricorsi davanti al giudice tributario
– Tutelare il contribuente da ulteriori controlli e contestazioni collegate

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– Il riconoscimento delle spese effettivamente agevolabili
– L’annullamento totale o parziale della contestazione
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi richiesti
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La protezione del patrimonio familiare e personale

⚠️ Attenzione: molte contestazioni derivano da semplici errori formali (bonifici compilati in modo errato, titoli edilizi incompleti, documenti non allegati). In questi casi una difesa documentale ben costruita può salvare la detrazione.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e bonus edilizi – ti spiega come affrontare le contestazioni sulle spese di ristrutturazione non detraibili e quali strategie adottare per tutelarti.

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Introduzione

Le detrazioni fiscali sulle spese di ristrutturazione edilizia rappresentano una delle agevolazioni più utilizzate dai contribuenti italiani negli ultimi decenni. La normativa italiana consente infatti, a determinate condizioni, di detrarre dall’IRPEF una percentuale significativa delle spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio (ristrutturazioni, manutenzioni straordinarie, restauro conservativo, ecc.) . A partire dagli anni 2010, l’aliquota detraibile è stata elevata dal 36% al 50% su un importo massimo di €96.000 per unità immobiliare, misura confermata più volte e resa di fatto strutturale fino al 2024 . Dal 2025 sono inoltre entrate in vigore nuove regole: per le spese sostenute nell’anno 2025 la detrazione base torna al 36% (fino a €96.000) – elevata al 50% solo per l’abitazione principale – mentre per il 2026 e 2027 scenderà rispettivamente al 30% (36% per le prime case) .

Nonostante l’ampia diffusione del cosiddetto “bonus ristrutturazioni”non mancano le contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Spesso il Fisco disconosce la detrazione, ritenendo che alcune spese non siano detraibili per carenza dei requisiti sostanziali o formali. Tali contestazioni possono portare a avvisi di accertamento, cartelle di pagamento a seguito di controlli formali, o altre richieste di versamento di imposte, sanzioni e interessi. Dal punto di vista del contribuente (il debitore dell’obbligazione tributaria), è fondamentale conoscere come difendersi: sia attivando gli strumenti amministrativi (richieste in autotutela, interpelli, accordi con l’ufficio) sia preparando un’adeguata difesa in sede contenziosa (ricorsi alle Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, l’ex CTP e CTR).

In questa guida avanzata, rivolta a professionisti legali, contribuenti privati e imprenditori, esamineremo in dettaglio la normativa italiana aggiornata ad agosto 2025, le cause più frequenti di contestazione relative alle detrazioni per ristrutturazione edilizia, e illustreremo come impostare una difesa efficace. Adotteremo un linguaggio giuridico ma chiaro, fornendo riferimenti a fonti ufficiali e giurisprudenza recente (anche di legittimità e di merito) e includendo tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte. L’obiettivo è fornire un quadro completo delle tutele a disposizione del contribuente per far valere il proprio diritto alla detrazione o, quantomeno, per ridurre l’impatto di eventuali accertamenti fiscali.

Normativa di riferimento sulle detrazioni per ristrutturazione

Per comprendere come difendersi, occorre partire dal quadro normativo che disciplina le detrazioni sulle spese di ristrutturazione edilizia, distinguendo anche il caso di persone fisiche (detrazioni IRPEF) da quello di imprese e professionisti (deducibilità dei costi nel reddito d’impresa).

Le fonti normative principali e l’evoluzione fino al 2025

La detrazione per interventi di recupero edilizio è stabilmente inserita nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) all’art. 16-bis del DPR 917/1986. Tale norma prevede che “dall’imposta lorda si detrae un importo pari al 36% delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare” sostenute dal contribuente sugli immobili posseduti o detenuti . Questa era la misura “a regime” prevista originariamente. In via temporanea, a partire dal 2012, l’aliquota e il massimale sono stati aumentati (50% su €96.000 per unità) e tali maggiorazioni sono state reiteratamente prorogate nelle successive leggi di bilancio . La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto una rimodulazione graduale: per le spese sostenute nel 2025 la detrazione è del 36% (elevata al 50% se trattasi di abitazione principale), con limite €96.000; per il 2026 e 2027 l’aliquota sarà rispettivamente del 30% (36% per prime case) . In altre parole, nel 2025 si distingue tra prima casa (50%) e altri immobili (36%), mentre dal 2028 il bonus ristrutturazioni dovrebbe stabilizzarsi al 30% (salvo interventi normativi futuri) .

Le disposizioni attuative e di dettaglio sono contenute in vari provvedimenti: il riferimento cardine per le categorie di interventi agevolati è l’art. 3 del DPR 380/2001 (Testo Unico Edilizia), richiamato dall’art.16-bis TUIR. Inoltre, il Decreto Legge 63/2013 (conv. L.90/2013) e successive modifiche hanno regolato proroghe e adempimenti (come l’obbligo di comunicazione all’ENEA per alcuni interventi energetici, di cui parleremo infra). L’Agenzia delle Entrate ha fornito numerosi documenti di prassi: tra i principali si segnalano le Circolari esplicative (es. Circ. n. 19/E/2020, Circ. n. 7/E/2021, Circ. n. 28/E/2022), oltre alla più recente Circolare n. 8/E del 19 giugno 2025 che ha commentato le novità della L. di Bilancio 2025 . Vi sono poi le Guide dell’Agenzia per i contribuenti (ad es. la Guida “Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali”, aggiornata a ottobre 2022, e successive FAQ sul sito istituzionale).

È importante sottolineare che la detrazione per ristrutturazioni è riservata ai contribuenti IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) . Non rileva ai fini IRES, sebbene esistano incentivi paralleli per imprese (come il “Superammortamento” in passato, o il Superbonus 110% per taluni interventi fino al 2022-2023). In ogni caso, ogni qual volta un soggetto utilizza la detrazione 50% in dichiarazione dei redditi, deve rispettare pedissequamente i requisiti previsti dalla legge e conservare la documentazione, pena il possibile disconoscimento in sede di controllo.

Soggetti che possono beneficiare della detrazione

Hanno diritto alla detrazione IRPEF sulle spese di recupero edilizio i contribuenti residenti e non residenti che possiedono o detengono l’immobile oggetto degli interventi in base a un titolo idoneo (proprietà, nuda proprietà, usufrutto, locazione, comodato, ecc.) . La norma infatti parla di contribuenti che “possiedono o detengono” l’immobile; ciò include sia il proprietario (o titolare di altro diritto reale), sia il semplice inquilino o comodatario, purché sostenga le spese.

Oltre a costoro, la prassi e la giurisprudenza hanno esteso il beneficio anche ai familiari conviventi del possessore/detentore. In base all’art. 1 della L. 449/1997 (richiamato dalle circolari) e alla prassi (Risoluzione MinFinanze n.184/E/2002), sono ammessi alla detrazione anche il coniuge, i parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado conviventi con il possessore dell’immobile, purché siano loro a sostenere le spese e che la convivenza sussista fin dall’avvio dei lavori . Ad esempio, un figlio convivente che paga i lavori nella casa di proprietà del genitore ha diritto alla detrazione. Questo principio, talora contestato dal Fisco, è stato ribadito dalla Corte di Cassazione“il titolo che legittimava il contribuente alla detrazione era costituito dall’essere un familiare convivente con l’intestataria dell’immobile, prescindendo dalla verifica di un contratto di detenzione registrato” . In una vicenda del 2022, la Cassazione ha così dato ragione a un contribuente al quale l’Agenzia negava la detrazione perché l’immobile ristrutturato era intestato alla suocera e non vi era un contratto registrato tra le parti; è stato invece riconosciuto sufficiente lo status di convivente, senza necessità di comodato scritto . Dunque, in sede difensiva il contribuente può opporre tale orientamento giurisprudenziale quando l’Agenzia eccepisce la mancanza di un formale titolo di possesso.

Ulteriori soggetti ammessi sono: gli soci di cooperative divise o indivise (per interventi su immobili assegnati ai soci), i soci di società semplici (per la quota di spesa a loro imputata) e gli imprenditori individuali, ma solo per gli immobili che non rientrano fra i beni strumentali o merce. Ciò significa che un immobile abitativo che fa parte dell’impresa (ad es. dato in locazione a terzi nell’esercizio d’impresa) non dà diritto alla detrazione IRPEF del 50%, mentre se l’imprenditore individua l’immobile nella sfera privata può beneficiarne (ferma restando la distinzione tra spese personali e spese d’impresa, di cui oltre).

Eredità e trasferimenti: In caso di decesso dell’avente diritto, le rate residue di detrazione si trasferiscono all’erede che conserva la detenzione materiale e diretta del bene. In caso di vendita dell’immobile, la regola generale è che il diritto alle detrazioni non utilizzate si trasferisce all’acquirente (persona fisica) dell’unità immobiliare, salvo diverso accordo fra le parti (art. 16-bis, comma 8 TUIR). Pertanto, il venditore e l’acquirente possono pattuire nell’atto di vendita che la detrazione restante rimanga al venditore; in mancanza di pattuizione specifica, l’Agenzia attribuirà le rate rimanenti all’acquirente . Questa previsione può generare contestazioni se non c’è chiarezza: ad esempio, un contribuente che ha venduto l’immobile ma continua erroneamente a detrarre le rate potrebbe subire un recupero d’imposta. In sede difensiva, solo se vi è un accordo scritto registrato nel rogito si potrà eccepire la spettanza al venditore, altrimenti la pretesa fiscale sarà legittima.

Interventi agevolati: quali spese sono detraibili e quali no

La detrazione del 50% (36% a regime) copre un ventaglio di interventi edilizi elencati nella legge. In particolare, l’art. 16-bis, comma 1 TUIR richiama le lettere a), b), c), d) dell’art. 3 DPR 380/2001 per definire gli interventi agevolabili . Possiamo sintetizzare così:

  • Manutenzione ordinaria – solo su parti comuni condominiali (lett. a) art.3 DPR 380). Esempi: tinteggiatura delle facciate comuni, rifacimento di tetti e scale in edifici condominiali. Non spetta invece per manutenzioni ordinarie sulle singole unità abitative private (es. tinteggiare le pareti interne di casa propria, rifare il bagno senza modifiche impiantistiche rilevanti), salvo che rientrino in un intervento più ampio di natura superiore.
  • Manutenzione straordinaria (lett. b) art.3 DPR 380) – su singole unità residenziali e su parti comuni. Comprende opere e modifiche non rientranti nell’ordinaria manutenzione, ad esempio il rifacimento integrale di impianti idraulici/elettrici, sostituzione infissi con tipologia diversa, realizzazione di divisori interni, ecc.
  • Restauro e risanamento conservativo (lett. c) art.3) – interventi mirati a conservare l’immobile e assicurarne la funzionalità, rispettandone gli elementi tipologici (es. restauro di facciate storiche, recupero elementi architettonici).
  • Ristrutturazione edilizia (lett. d) art.3) – interventi più incisivi che possono alterare l’assetto dell’immobile (fusione o frazionamento unità, spostamento di cubature, modifiche della facciata, realizzazione di servizi igienici aggiuntivi, ecc.), fino alla demolizione e ricostruzione con stessa volumetria. Se la demolizione/ricostruzione comporta ampliamenti volumetrici non consentiti, l’intervento esula dalla definizione agevolabile (divenendo “nuova costruzione”).

Oltre a questi interventi principali, la normativa include espressamente nella detrazione anche spese per: ricostruzione post eventi calamitosi (lett. c) comma 1 art.16-bis TUIR) , eliminazione di barriere architettoniche (es. installazione ascensori, montascale) , adozione di misure anti-intrusione (antifurti, porte blindate – ricomprese tra le spese di sicurezza), cablatura e riduzione inquinamento acusticorisparmio energetico non rientrante nell’ecobonus (es. infissi su abitazioni, coibentazioni – inizialmente agevolati al 36% poi inglobati nell’ecobonus 65%, ma la coesistenza delle norme è complessa). Sono detraibili anche le spese per progettazione e prestazioni professionali, perizie e sopralluoghi, nonché oneri di urbanizzazioneNon sono invece detraibili: gli interessi passivi del mutuo (che godono di detrazione separata 19%), i costi che non rientrano in alcuna categoria agevolata (es. arredamento, salvo il Bonus Mobili separato al 50% su €8.000/5.000 annui), e in generale gli interventi nuova costruzione o di mera voluttuarietà non riconducibili al recupero edilizio.

Una tabella riepilogativa semplifica la distinzione tra alcuni interventi ammissibili e non:

InterventoDetraibile?Note/Riferimenti
Tinteggiatura pareti interne appartamento❌ NoManutenzione ordinaria su singola unità (non agevolata)
Tinteggiatura facciata condominiale✅ SìManutenzione ordinaria su parti comuni
Rifacimento impianto elettrico in abitazione✅ SìManutenzione straordinaria (lett. b art.3 TUE)
Realizzazione secondo bagno in casa✅ SìRistrutturazione edilizia (trasformazione dell’immobile)
Costruzione di nuova veranda ampliando volume❌ NoNuova costruzione (esula da “ristrutturazione”)
Installazione ascensore interno per disabili✅ SìEliminazione barriere architettoniche (lett. e art.16-bis)
Installazione allarme antifurto✅ SìMisura anti-crimine (agevolata da legge 449/97)
Acquisto mobili/elettrodomestici per casa ristrutturata✅ Sì (bonus mobili)Detrazione 50% separata, su max €8.000 (2023) / €5.000 (2024), legata a intervento edilizio agevolato in corso

(Legenda: TUE = D.P.R. 380/2001 Testo Unico Edilizia; le lettere indicate si riferiscono all’art.3 TUE richiamato da art.16-bis TUIR.)

È fondamentale che l’intervento eseguito rientri tra quelli agevolati dalla norma: in caso contrario la detrazione è indebitamente fruita e l’Agenzia delle Entrate, in sede di controllo, procederà al recupero integrale dell’imposta con sanzioni. Ad esempio, se un contribuente ha detratto spese di ampliamento non consentite spacciandole per “ristrutturazione”, difficilmente potrà difendersi nel merito, essendo l’intervento oggettivamente escluso dal bonus (salvo puntare su aspetti formali del provvedimento).

Adempimenti formali: pagamenti tracciati, documentazione e comunicazioni

Per fruire della detrazione sulle ristrutturazioni è necessario rispettare una serie di adempimenti formali, il cui mancato rispetto può compromettere (in tutto o in parte) il diritto al bonus. I principali obblighi sono:

  • Pagamento tramite bonifico “parlante” – Tutti i pagamenti delle spese detraibili devono avvenire tramite lo speciale bonifico bancario o postale dedicato alle ristrutturazioni (ovvero tramite il bonifico per cessione/sconto in fattura nei casi di opzione alternativa). Il bonifico parlante deve riportare: la causale con riferimento normativo (es. “Bonifico per detrazione art.16-bis DPR 917/86”), il codice fiscale del beneficiario della detrazione e la partita IVA (o CF) del fornitore destinatario della somma . L’obbligo di bonifico vale anche per l’acquisto di materiali in caso di lavori in economia (fatti in proprio): anche l’acquisto di piastrelle, vernici, ecc. deve essere pagato con bonifico parlante, se si vuole detrarre la spesa . La mancata effettuazione del bonifico parlante è uno dei motivi di contestazione più frequenti e con esito purtroppo sfavorevole per il contribuente. La Cassazione ha recentemente ribadito che senza il bonifico parlante non spetta alcun beneficio fiscale, neppure se i lavori sono stati effettivamente eseguiti e pagati da un familiare convivente . In un caso del 2025, un contribuente che aveva ricevuto in donazione un immobile ristrutturato dalla madre si è visto negare la detrazione perché i pagamenti della madre non erano stati eseguiti con bonifico parlante; la Suprema Corte ha rigettato il suo ricorso, confermando il recupero dell’imposta . Il motivo è che, in assenza del bonifico, manca quel collegamento tracciabile tra pagamento e intervento agevolato richiesto espressamente dalla normativa, come già affermato anche dalla giurisprudenza di merito (CTR Lazio n. 3880/2018: “non sono sufficienti le fatture né la prova dell’effettivo svolgimento dei lavori: in mancanza del bonifico parlante, viene meno il collegamento tra pagamento e agevolazione, requisito sostanziale richiesto dalla normativa” ). Difendersi dal disconoscimento della detrazione per mancato bonifico parlante è estremamente difficile: la linea rigorosa della Cassazione (ord. n. 18768/2025) conferma che si tratta di un adempimento essenziale e non sanabile a posteriori . L’unica ipotesi di salvezza potrebbe essere un errore formale del bonifico (ad es. causale incompleta) se il contribuente dimostra che comunque la ritenuta d’acconto dell’8% è stata operata dalla banca e che la spesa è identificabile: in passato l’Agenzia ha ammesso che errori formali nel bonifico non precludono il bonus, purché i dati siano recuperabili (Circolare 43/E/2016). Ma la mancanza totale di bonifico dedicato resta un vizio difficilmente superabile, non rientrando tra quelli per cui è ammessa la remissione in bonis.
  • Fatture e ricevute – Occorre farsi rilasciare regolare fattura da ogni ditta esecutrice dei lavori o fornitrice di beni e servizi. Le fatture devono intestate al soggetto che vuole detrarre e descrivere adeguatamente la natura dei lavori. Anche le semplici ricevute (per piccoli acquisti di materiale) vanno conservate. In caso di controllo formale (art.36-ter DPR 600/1973) l’Agenzia chiederà copia di tutte le fatture e relativi bonifici.
  • Abilitazioni amministrative – Per lavori che richiedono una CILA/SCIA o altro titolo edilizio, occorre aver presentato tale pratica al Comune prima di iniziare i lavori. Se i lavori sono classificati come attività edilizia libera, è sufficiente una dichiarazione sostitutiva indicante la data di inizio lavori e attestante che rientrano tra quelli agevolabili. Inoltre, quando previsto dalle norme sulla sicurezza dei cantieri, va inviata (di regola a cura dell’impresa o del committente) la comunicazione preventiva all’ASL competente, con indicazione dell’impresa esecutrice. La mancata comunicazione ASL (dove obbligatoria) in passato precludeva la detrazione; successivamente la legge ha allentato questo vincolo, prevedendo una sanzione (art. 1, comma 387 L. 228/2012 convertito in L. 147/2013) di €258 per omissione comunicazione, ma senza più perdere il diritto alla detrazione se si adempie tardivamente versando la sanzione.
  • Comunicazione ENEA – Per taluni interventi volti al risparmio energetico (es. installazione caldaie a condensazione, infissi con taglio termico, coibentazioni) che usufruiscono della detrazione “bonus ristrutturazioni” 50% o dell’Ecobonus 65%, è previsto l’obbligo di trasmettere all’ENEA (Agenzia nazionale per l’energia) i dati dell’intervento entro 90 giorni dalla fine lavori. Questo adempimento, di natura più statistica, ha creato contenzioso sull’ecobonus: inizialmente si riteneva che la tardiva o omessa comunicazione ENEA comportasse la decadenza dall’ecobonus (v. Cass. 34151/2022), ma la Cassazione più recente ha cambiato orientamento. Con la sentenza n. 7657 del 21 marzo 2024, si è stabilito che l’omesso invio all’ENEA non fa perdere il diritto alla detrazione, poiché tale comunicazione ha finalità statistiche e di monitoraggio, non è elemento costitutivo dell’agevolazione . La Suprema Corte ha annullato una cartella di pagamento emessa contro una contribuente che non aveva inviato la comunicazione per lavori del 2008, evidenziando che la norma primaria non prevede la decadenza per tale inadempimento . Ha anche richiamato che la stessa Agenzia delle Entrate, con Risoluzione 46/E/2019, aveva escluso il diniego della detrazione in caso di omessa comunicazione ENEA . Questo precedente rafforza la posizione del contribuente: se l’Ufficio contesta solo la mancata comunicazione ENEA ma le spese sono reali e documentate, si può far valere che si tratta di un adempimento non sanzionato con la perdita del bonus (soprattutto alla luce di Cass. 7657/2024 e della successiva evoluzione normativa, che ha introdotto la possibilità di sanare tardivamente l’invio ENEA tramite remissione in bonis entro la dichiarazione successiva). Va notato che la comunicazione ENEA è richiesta anche per il bonus ristrutturazioni, limitatamente agli interventi di efficienza energetica (dal 2018 in poi). Nel 2025 è stato aggiornato il portale ENEA per inviare i dati sia per ecobonus che per bonus ristrutturazioni, con termine 90 giorni e regime transitorio per lavori conclusi a inizio 2025 . Anche in questo caso, il mancato rispetto del termine non dovrebbe far perdere il 50%, trattandosi dello stesso adempimento di natura conoscitiva.
  • Altri documenti da conservare – Ricevute dei bonifici, domanda di accatastamento (per immobili non ancora censiti), dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori (se chi detrae è detentore e non proprietario), eventuale delibera assembleare e tabella millesimale di ripartizione spese (per lavori su parti comuni condominiali), copia della comunicazione all’ASL (se dovuta), certificazioni dei fornitori (es. per materiali isolanti, serramenti) e copie delle eventuali abilitazioni amministrative (CILA/SCIA, permesso a costruire). Inoltre, dal 2021 è richiesto il visto di conformità fiscale e l’asseverazione tecnica solo per il Superbonus 110% e per alcuni casi di opzione di cessione/sconto per bonus minori (dopo il DL Anti-frode 157/2021), ma non per la semplice detrazione in dichiarazione dei redditi del 50%. Tali documenti potrebbero tuttavia rilevare in contenzioso indiretto (ad esempio, se c’è una contestazione di abuso edilizio, la mancanza di titoli o asseverazioni potrebbe far considerare l’intervento non agevolabile per difetto dei requisiti sostanziali).

Riepilogo adempimenti: la seguente tabella elenca gli adempimenti chiave e le conseguenze della loro omissione:

Adempimento richiestoObbligatorio?Effetti in caso di omissione
Pagamento con bonifico parlanteSì (per tutti)Perdita del diritto alla detrazione . Nessuna sanatoria ammessa ex post.
Fatture intestate al beneficiarioDetrazione negata se mancano fatture o non intestate. (Possibile esibire in giudizio se non mostrate prima, salvo preclusioni)
Titolo abilitativo edilizio (CILA/SCIA)Sì, se richiesto per leggeSe lavori eseguiti abusivamente senza titolo dove serviva, l’agevolazione è negata (spese non riconoscibili).
Comunicazione preventiva ASLSì, se cantieri soggettiNessuna decadenza, ma sanzione amministrativa di €258 (sanabile). Detrazione salva se si regolarizza pagamento sanzione.
Comunicazione ENEA (per interventi energ.)Sì (90 gg fine lavori)Nessuna decadenza per omesso/tardivo invio (finalità statistica) . Remissione in bonis possibile pagando €250 entro termini dichiarazione successiva.
Delibera condominiale + ripartizioneSì, se parti comuniSe assente, il singolo condomino può detrarre comunque se dimostra pagamento quota e intervento deliberato dalla maggioranza.
Visto di conformità e asseverazioniSolo per Superbonus 110% (salvo opzioni cessione crediti)Non richiesti per bonus 50% in detrazione diretta (quindi non applicabile).

(Note: la remissione in bonis consente di sanare alcuni obblighi formali omessi, pagando una sanzione minima, ma si applica solo se la violazione non è già stata contestata. Attualmente è ammessa, ad esempio, per l’invio tardivo all’ENEA e per certificazioni non inviate, ma non può sanare un pagamento non effettuato con bonifico parlante.)

Il caso delle imprese: deducibilità delle spese di ristrutturazione nel reddito d’impresa

Finora abbiamo trattato della detrazione IRPEF del 50% riservata ai privati (o soci di società fiscamente trasparenti). Ma il titolo di questa guida fa riferimento a imprenditori e società: occorre quindi considerare come si atteggiano le spese di ristrutturazione edilizia per le imprese e in che modo possono sorgere contestazioni anche in tale ambito.

Le imprese (soggette a IRES o IRPEF come ditte individuali) non usufruiscono della detrazione 50% IRPEF, che è personale. Tuttavia, se un’impresa sostiene costi per ristrutturare immobili utilizzati nell’attività, tali costi possono essere dedotti dal reddito d’impresa secondo le regole ordinarie sulle spese. Le problematiche in questo contesto riguardano soprattutto: (a) l’inerenza del costo all’attività d’impresa, (b) la qualificazione del costo come spesa di manutenzione deducibile subito oppure come costo incrementativo da capitalizzare (deducibile tramite ammortamento), e (c) il rispetto di eventuali limiti quantitativi fissati dal TUIR.

In linea generale, le spese per interventi su beni immobili strumentali all’impresa si distinguono in: spese di manutenzione ordinariaspese di manutenzione straordinaria e spese incrementative (che aumentano il valore del bene). L’art. 102, comma 6, TUIR prevede che le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione su beni materiali strumentali, eccedenti quelle ordinariamente deducibili, siano deducibili entro il limite annuo del 5% del costo complessivo di tutti i beni ammortizzabili (al netto degli ammortamenti) e l’eccedenza sia capitalizzata . In pratica, per le manutenzioni su beni di proprietà dell’impresa, si possono dedurre nell’esercizio solo le spese ordinarie fino a quel plafond del 5%; le spese eccedenti (tipicamente straordinarie) devono essere capitalizzate in aumento del cespite e dedotte mediante quote di ammortamento negli esercizi successivi.

Per le spese su immobili di terzi in uso all’impresa (es: locali in affitto o in leasing su cui l’impresa esegue lavori), la disciplina fiscale è stata dibattuta. Oggi, in base all’art. 108, comma 4, TUIR, le spese relative a più esercizi su beni di terzi sono deducibili in quote costanti nel periodo di durata della locazione o del contratto (o quota quinquennale se più breve). Tuttavia, la giurisprudenza ha riconosciuto che non vi è un divieto di deduzione immediata se trattasi di costi inerenti all’attività. In particolare, la Cassazione a Sezioni Unite n.11533/2018 aveva affermato (in tema di IVA) il principio per cui è ammessa la detrazione IVA per lavori su immobili di terzi, se c’è un nesso di strumentalità con l’attività, anche se poi l’attività non è proseguita . Questo principio è stato esteso al campo delle imposte dirette con la recente Cass. sez. V, sent. n. 15248 del 31/5/2024 . In tale decisione, che riguardava una società di capitali, la Suprema Corte ha sancito che “l’esercente attività d’impresa o professionale può dedurre dai redditi d’impresa i costi occorsi per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di un immobile condotto in locazione, anche se si tratta di un bene di proprietà di terzi, purché sussista il requisito dell’inerenza, avente valenza qualitativa, e quindi da intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l’attività svolta” . La Corte ha dunque censurato la CTR che aveva negato la deducibilità ad una SRL per lavori su un immobile in affitto ritenendo che ne beneficiasse solo il locatore; al contrario, se il bene è (anche solo potenzialmente) strumentale all’attività d’impresa, le spese sono inerenti e deducibili .

Pertanto, dal lato delle imprese, una contestazione frequente dell’Agenzia è dichiarare “indeducibili” per difetto di inerenza le spese di ristrutturazione sostenute su immobili che, secondo il Fisco, non sono effettivamente utilizzati dall’impresa o non sono necessari all’attività. Ad esempio, se una società ripartisce spese per ristrutturare l’abitazione dell’amministratore (spacciandole magari per spese di rappresentanza) oppure un immobile non strumentale, l’Ufficio potrebbe contestare l’inerenza e riprendere a tassazione i relativi costi. In difesa, grazie anche a Cass. 15248/2024, il contribuente societario può far valere l’ampia nozione di inerenza qualitativa: è sufficiente che l’immobile fosse destinato (anche potenzialmente) all’attività d’impresa. Naturalmente, l’onere della prova dell’inerenza spetta al contribuente, che dovrà documentare l’utilizzo aziendale del bene (es. contratto di locazione commerciale, svolgimento in loco di attività o allocazione a dipendenti, ecc.).

Un’altra area di contendere è la qualificazione della spesa: se l’impresa deduce interamente in un anno costi che il Fisco ritiene essere capitalizzabili, l’Ufficio può contestare un’indebita deduzione. Ad esempio, se una ditta individuale proprietaria di un capannone effettua una ristrutturazione integrale del capannone e deduce tutto nell’anno come “manutenzione ordinaria”, il Fisco potrebbe invece qualificare l’opera come manutenzione straordinaria eccedente il plafond, da ammortizzare in 5 anni. In tal caso emanerà un avviso di accertamento recuperando la quota dedotta in più. La difesa qui verte su questioni tecniche: bisogna dimostrare che l’intervento non ha incrementato valore o vita utile del bene ma era finalizzato a mantenere l’ordinaria efficienza (in tal caso può essere spesa corrente deducibile). La giurisprudenza ha affrontato anche questo tema: ad esempio la Cass. ord. n.7532/2020 ha confermato che le spese di manutenzione straordinaria sono capitalizzabili nei limiti del valore recuperabile del bene, richiamando il principio che prima della modifica normativa (Dlgs 147/2015) vigeva il limite 5% per deduzione immediata . È dunque essenziale valutare cronologicamente la normativa applicabile (oggi il 5% rimane per le ordinarie su proprietà, mentre le straordinarie su beni propri si capitalizzano se eccedenti il 5%; su beni di terzi ci si attiene alla durata del contratto ex art.108 TUIR, ma con possibilità di deduzione integrale se inerenza provata).

Anche in ambito IVA le imprese possono avere problemi con le ristrutturazioni: il diritto alla detrazione IVA sui lavori su beni di terzi è stato oggetto di scontro, risolto dalle Sez.Unite 11533/2018 a favore del contribuente (IVA detraibile se bene strumentale anche se di terzi) . Questo può riflettersi in casi in cui l’Agenzia nega l’IVA a credito per interventi su immobili non di proprietà. La Cassazione n.7691/2022 ha ribadito che la detraibilità IVA e la deducibilità dei costi non dipendono dalla proprietà del bene, purché vi sia strumentalità con l’attività (caso di lavori su immobile in comodato) . Si può citare tale giurisprudenza per contrastare eventuali recuperi IVA su questa base.

Riassumendo per le imprese: una spesa di ristrutturazione è deducibile se e solo se inerente all’attività. Va poi rispettata la corretta imputazione temporale (immediata nei limiti consentiti o per quota negli esercizi futuri se capitalizzata). L’Agenzia può contestare costi ritenuti personali o di utilità dei soci/amministratori (in tal caso non inerenti) oppure costi dedotti troppo velocemente (violazione del principio di competenza). Le sanzioni, qui, riguardano dichiarazioni infedeli (30% dell’imposta). Nella difesa occorre spesso produrre documentazione tecnica e contrattuale per dimostrare l’uso imprenditoriale dell’immobile o la natura manutentiva vs incrementativa delle opere.

Contestazioni frequenti e motivi di disconoscimento delle detrazioni

Esaminiamo ora in concreto quali sono le contestazioni più comuni che l’Agenzia delle Entrate solleva riguardo alle spese di ristrutturazione e relative detrazioni, distinguendo tra persone fisiche (detrazioni IRPEF) e soggetti d’impresa (deducibilità costi). Per ciascuna situazione, vedremo anche gli appigli difensivi possibili, alla luce della normativa e della giurisprudenza richiamate.

Contestazioni verso persone fisiche (privati)

  1. Mancato utilizzo del bonifico parlante – Come già approfondito, questa è probabilmente la contestazione più immediata e difficile da vincere per il contribuente. L’Agenzia rileva dai controlli (spesso incrociando i dati comunicati dalle banche sulle ritenute d’acconto) che il pagamento non è avvenuto con bonifico agevolato. Ad esempio, il contribuente ha pagato con assegno, contanti, carta di credito, oppure con bonifico ordinario non contenente i dati richiesti. In tali casi, la prassi dell’Agenzia (e ormai la giurisprudenza consolidata) è di negare totalmente la detrazione su quella spesa . Il contribuente può tentare di difendersi eccependo che la sostanza dell’intervento è comprovata, ma i giudici tributari si allineano sul fatto che la tracciabilità mediante bonifico specifico è requisito sostanziale previsto dalla legge . Uniche eccezioni: a) se la spesa non poteva per legge essere pagata con bonifico (es. oneri di urbanizzazione da versare al Comune, pagati con F24 o bollettino: questi importi sono detraibili anche se pagati diversamente, purché documentati); b) errori formali nel bonifico (ad esempio codice fiscale errato) sanati tramite dichiarazione sostitutiva del fornitore che attesti l’avvenuto pagamento della ritenuta. In ogni caso, l’orientamento 2025 di Cassazione (ord. 18768/2025) non lascia scampo: senza bonifico parlante, “non può esserci alcun beneficio fiscale” .
  2. Intervento non rientrante tra quelli agevolati – Il Fisco può contestare che i lavori effettuati non fossero detraibili perché di natura diversa da quelle previste dalla legge. Esempi: manutenzione ordinaria su abitazione privata non nell’ambito di lavori straordinari; ampliamento volumetrico; costruzione ex novo di fabbricato. In questi casi la difesa nel merito è quasi impossibile, poiché se l’opera non è agevolata normativamente, la pretesa è fondata. L’attenzione allora va spostata su aspetti procedurali: verificare se l’accertamento è stato notificato tempestivamente, se il controllo formale è avvenuto nei termini, se l’atto è motivato adeguatamente. Si può anche verificare se parte delle spese fossero invece agevolabili (scomponendo il progetto): ad esempio, se un ampliamento includeva anche una ristrutturazione della parte preesistente, cercare di salvare almeno le spese relative a quest’ultima. In giudizio, potrebbe essere necessaria una perizia tecnica che distingua le due componenti.
  3. Spese non tracciate o documentazione mancante – Oltre al bonifico parlante, l’Agenzia può contestare la mancanza di adeguata documentazione: fatture non esibite, o pagamenti che non trovano riscontro. In sede di controllo formale (36-ter) il contribuente riceve tipicamente una richiesta di invio documenti; se non li invia o li invia parzialmente, l’Ufficio procede a scartare la detrazione. In giudizio, tuttavia, è possibile produrre i documenti non esibiti prima (salvo i limiti dell’art.32 DPR 600/73, che preclude però solo i documenti a favore del contribuente non esibiti su richiesta dell’ufficio accertatore e non quelli chiesti in sede di controllo formale) . Quindi, se la detrazione è disconosciuta per mancato invio documenti, l’importante è presentare al giudice le fatture e i bonifici comprovanti la spesa. La Commissione tributaria valuterà la sostanza, potendo riammettere il bonus se c’è evidenza piena del diritto. Un limite sorge se l’Agenzia eccepisce la preclusione probatoria: ad esempio, nel caso in cui ci sia stato un invito formale a esibire documenti in sede istruttoria ai sensi dell’art.32 DPR 600/73 e il contribuente abbia taciuto, allora i documenti prodotti solo in contenzioso potrebbero essere dichiarati inammissibili. Tuttavia, recenti orientamenti limitano tale preclusione ai documenti non esibiti relativi a componenti positivi non dichiarati, mentre per provare oneri detraibili già indicati in dichiarazione non dovrebbe operare (questo punto è tecnico, ma può essere argomentato). In sostanza: se la contestazione è dovuta a carenza di documenti, la priorità della difesa è colmare quella carenza presentando tutto il necessario (possibilmente evidenziando che non si tratta di nuovi elementi “a sorpresa” ma di prove del già dichiarato).
  4. Soggetto non legittimato alla detrazione – L’Agenzia verifica lo status di chi ha fruito del bonus. Se la persona non era né proprietaria né detentrice né convivente, può negare lo sgravio. Un caso tipico: spese su casa intestata ai figli, pagate dal genitore non convivente. Il genitore in questione non rientra tra i soggetti ammessi (non essendo convivente né titolare di diritti reali o di godimento sull’immobile), quindi la detrazione non spetta. La difesa qui è impossibile sul piano del diritto se davvero manca uno dei requisiti soggettivi. Tuttavia, si può talvolta “aggiustare” la situazione ex post: ad esempio, se esiste un contratto di comodato d’uso non registrato, si può provare (come nel caso di Cass. 5584/2022) che di fatto vi era una convivenza o almeno una detenzione qualificata (purché la registrazione non fosse obbligatoria, tenendo conto che i comodati verbali di immobili urbanità sarebbero soggetti a registrazione se enunciati in atti pubblici). In linea generale, l’unica scappatoia è dimostrare che il contribuente ricade in una delle categorie previste – in particolare la convivenza può essere dimostrata con certificati anagrafici storici o altre prove di coabitazione. Come visto, la Cassazione ha considerato sufficiente l’essere familiare convivente anche senza contratto scritto . Se ciò non è proprio il caso (es. genitore che paga per casa del figlio dove non ha mai vissuto), la chance di vittoria è purtroppo remota.
  5. Errori nei requisiti temporali o di importo – Altri motivi di contestazione: superamento del tetto di spesa (€96.000 per unità immobiliare) o ripartizione in quote annuali non corretta. Ad esempio, se un contribuente ha erroneamente fruito di una quota maggiore in un anno (dovendo detrarre in 10 anni, avrebbe diritto a 1/10 annuo, ma magari ne ha detratto di più), il controllo formale lo rileverà. Oppure, se due comproprietari sostengono le spese ma uno detrae il 100% ignorando l’altro. Sono situazioni più rare, di solito dovute a errori materiali in dichiarazione. La difesa in questi casi consiste nel rettificare: se l’errore è del contribuente, ad esempio ha detratto il doppio di quanto doveva, conviene riconoscerlo e semmai chiedere la possibilità di rateizzare l’importo dovuto. Se invece la contestazione è sbagliata (può capitare che l’Agenzia calcoli male il tetto in caso di più interventi su parti comuni e private), allora occorre spiegare chiaramente il calcolo. Trattandosi di questioni aritmetiche o formali, spesso si risolvono in sede di autotutela o adesione (vedi oltre) senza neanche arrivare al giudice.
  6. Decadenza dal diritto per vendita o altri eventi – Come accennato, se l’immobile viene venduto e la detrazione passa all’acquirente, il venditore non può più detrarre. Può capitare che per disguidi entrambi (venditore e acquirente) portino in detrazione le rate, oppure che il venditore continui a detrarre in buona fede. L’Agenzia qui contesterà al venditore le detrazioni post vendita (che spettano semmai all’acquirente). La difesa: se c’era un patto contrario (detrazione trattenuta al venditore) va documentato nell’atto; altrimenti, conviene cedere e magari avvisare l’altro soggetto di verificare che non stia detraendo due volte la stessa cosa. Similmente, in caso di morte del contribuente, solo l’erede che detiene l’immobile può proseguire: se un coerede senza possesso ha detratto, è indebito. Anche qui la norma è chiara e difficilmente contestabile.

In sintesi, per le persone fisiche le contestazioni vertono soprattutto su errori formali/adempimentali e sul perimetro oggettivo/soggettivo dell’agevolazione. La Tabella 1 sottostante riepiloga alcuni casi tipici di contestazione e l’orientamento prevalente su ciascuno, con indicazione delle possibili difese:

Motivo contestazione (PF)Esito potenzialeRiferimenti e difesa
Mancato bonifico parlanteDetrazione negata (recupero imposta al 100%)Formale essenziale: Cass. 18768/2025 rigetta ricorso del contribuente senza bonifico . Difesa debole; da tentare solo se errore formale e ritenuta operata.
Omessa/tardiva comunicazione ENEADetrazione confermata se spesa realeAdempimento non costitutivo: Cass. 7657/2024 . Difendere citando finalità statistica e Ris. 46/E/2019 .
Intervento non agevolabile (es. nuova costruz.)Detrazione negata (non spettante ex lege)Insistere su eventuale diversa qualificazione tecnica dei lavori. Altrimenti puntare su vizi procedurali dell’atto.
Contribuente non legittimato (non proprietario/convivente)Detrazione negata se manca titoloSe convivente familiare: far valere Cass. 5584/2022 . Altrimenti, difficilmente difendibile.
Spese non documentate o parzialmente documentateDetrazione negata pro quota (importi non provati)Presentare in giudizio fatture/bonifici mancanti. Eccepire ammissibilità ex art.32 DPR 600 solo per oneri già indicati in dichiarazione (non nuovi).
Superamento limite €96.000 o ripartizione errataDetrazione ridotta al limite (eccedenza negata)Se errore contribuente, valutare accertamento con adesione per ridurre sanzioni. Se errore ufficio, fornire calcoli e provare che il limite è rispettato.
Mancato invio comunicazione ASL (se dovuta)Nessuna decadenza (solo sanzione €258)Richiamare norma L. 147/2013: no perdita bonus per omessa comunicazione sicurezza. Pagare sanzione se contestata.

Contestazioni verso imprese e professionisti

Nel caso di imprese individuali, società o lavoratori autonomi, le contestazioni sulle spese di ristrutturazione assumono una natura diversa, poiché non riguardano una “detrazione IRPEF” (che questi soggetti non utilizzano, salvo riflessi per soci persone fisiche) ma la deducibilità dal reddito di determinati costi. Alcune tipiche contestazioni del Fisco in questo ambito:

  1. Inerenza del costo – L’ufficio può ritenere che la spesa di ristrutturazione non sia inerente all’attività. Ad esempio, se una SRL ha spesato nei costi aziendali i lavori di ristrutturazione in un appartamento dato in uso all’amministratore (uso promiscuo o personale), l’Agenzia potrebbe contestare che trattasi di spesa non inerente (o addirittura di utilità per l’amministratore, quindi da tassare come compenso in natura a quest’ultimo). L’esito è il recupero a tassazione del costo con sanzione. Difesa: dimostrare l’inerenza, cioè che l’immobile era effettivamente utilizzato nell’impresa (sede operativa, foresteria per dipendenti, ecc.). Portare contratti, documentazione fotografica dell’uso commerciale, testimonianze se ammesse. La Cassazione, come visto, ha ampliato il concetto di inerenza anche a un’utilità potenziale , ma se l’evidenza mostra un utilizzo esclusivamente personale, sarà difficile convincere i giudici. In casi dubbi (es. immobile uso promiscuo), potrebbe essere riconosciuta solo una parziale deducibilità proporzionale all’uso business.
  2. Spesa capitalizzabile dedotta interamente – Esempio: una società possiede un negozio e nel 2023 ha effettuato una ristrutturazione straordinaria importante (rifacimento impianti, spostamento pareti) per €100.000. In contabilità ha imputato tutto a conto economico come “manutenzione”, deducendo l’intero importo, magari perché entro il 5% del plafond. L’AdE invece ravvisa che l’intervento ha aumentato valore e vita utile del bene, quindi avrebbe dovuto essere capitalizzato e dedotto via ammortamento (ad esempio su 18 anni, se immobile). Allora emette accertamento recuperando gran parte del costo (eccedente il 5% annuo). Difesa: argomentare che le spese erano necessarie a ripristinare condizioni normali del bene, senza incrementarne il valore rispetto all’originario – in altri termini, rientravano nella manutenzione ordinaria/straordinaria di natura ricorrente deducibile subito. Si può produrre una perizia tecnico-contabile per sostenere che il valore dell’immobile non è aumentato grazie a quei lavori (difficile se i lavori erano consistenti). In subordine, se c’è errore, conviene negoziare in adesione (vedi oltre) per almeno ridurre le sanzioni a 1/3.
  3. Superamento dei limiti di deducibilità su beni di terzi – Caso: un’impresa in affitto in un capannone di terzi spende €50.000 per adattarlo e li deduce in 2 anni (durata residua del contratto). Il Fisco potrebbe dire: no, dovevi dedurli in 5 anni (vecchia regola ante 2014) oppure – se ritiene che alcuni siano spese non incrementative – contestare l’eccessiva deduzione. Questo ambito è un po’ complesso, perché la normativa è variata e la Cassazione 2024 (citata sopra) sembra dare apertura alla deduzione integrale se inerente. La difesa qui può sfruttare proprio Cass. 15248/2024: se la CTR locale avesse seguito vecchi schemi rigidi, in Cassazione si potrebbe far valere il principio che tutti i costi inerenti sono deducibili, al di là di rigidi frazionamenti temporali . Attenzione però: quella pronuncia Cass riguarda più l’an della deducibilità (se ammettere o no il costo su bene altrui), non necessariamente il quantum temporale (che è disciplinato dalla legge). Quindi se la legge (art.108) impone di ripartire su tutta la durata residua del contratto, l’impresa doveva farlo. In difetto, il recupero è tecnicamente corretto. Meglio tentare un accordo con l’Ufficio per dedurre l’importo su più anni (se ancora possibile correggere in futuro) oppure, nuovamente, puntare a minimizzare le penalità.
  4. Costi per immobili non strumentali o eccedenti necessità – Pensiamo a una società immobiliare che deduce costi di ristrutturazione su un immobile-merce (destinato alla vendita): lì l’Agenzia potrebbe dire che vanno a incremento del valore dell’immobile e non dedotti come costo di periodo. Oppure un professionista (es. medico) che deduce lavori in una stanza di casa adibita a studio: l’Ufficio potrebbe ammetterne solo una quota (dato che per i professionisti l’uso promiscuo casa/ufficio consente deduzione al 50% delle spese, art. 54 TUIR, se l’immobile è anche abitazione). In questo caso difendersi significa dimostrare la percentuale di utilizzo effettivo a fini professionali: ad esempio se l’intero appartamento viene usato come studio e non come abitazione, si può pretendere deduzione totale (magari contraddicendo l’assunto dell’AdE). Servono riscontri (destinazione catastale, utenze, clientela ricevuta lì, ecc.).
  5. IVA indetraibile per mancanza requisiti – Anche se esula dal tema IRPEF/IRES, val la pena menzionare: il Fisco potrebbe contestare che l’IVA su certe spese non era detraibile (ad esempio se l’immobile è promiscua uso privato: l’IVA andrebbe scissa pro-quota, art.19 DPR 633/72). Difesa: analogamente, provare che era tutto per attività economica, oppure accettare la ripartizione se corretta.

In generale, per le imprese ogni contestazione su costi di ristrutturazione segue le regole ordinarie del contenzioso tributario sui redditi d’impresa. Non essendoci “bonus” in senso proprio, non c’è rischio di decadenza da agevolazione, ma semplicemente un disconoscimento di costi con maggior reddito tassato. Il contribuente potrebbe anche valutare strumenti deflativi (es. definizioni agevolate se previste da normative temporanee, come quelle talvolta introdotte per liti pendenti, o ravvedimento operoso in caso di errore riconosciuto).

Tabella 2 – Alcuni esempi di contestazioni per imprese/professionisti e spunti difensivi:

Motivo contestazione (Imprese)NaturaDifesa e riferimenti
Costo non inerente (immobile ad uso privato di soci)IndeducibilitàProvare utilizzo strumentale (contratti, foto, testimonianze). Se comprovato: citare Cass. 15248/2024 su inerenza qualitativa . Se non provabile, valutare transazione su utilità ai soci (eventuale tassazione in capo a loro per fringe benefit).
Costo capitalizzabile dedotto come manutenzioneViolazione competenzaArgomentare che intervento non ha incrementato valore oltre stato originario (manutenzione). Se evidenza contraria, optare per accertamento con adesione per spalmare recupero e sanzioni ridotte.
Superamento limite deducibilità 5% (art.102)Eccedenza indeducibileVerificare calcolo: se l’azienda aveva margine nel 5% su altri beni. Difesa limitata (la norma è chiara), puntare a minima sanzione (ravvedimento se possibile).
Spese su immobile di terzi dedotte interamente subitoRiparto non correttoRichiamare principio di inerenza: costo comunque deducibile (Cass. 15248/24) , ma proporre eventuale diluizione su anni residui. Se l’AdE applica art.108 TUIR, difficile opporsi sul merito.
Lavori su immobile non strumentale (merce)Errata classificazioneSe “immobile-merce”: costo va a incremento rimanenze, non deducibile a CE. Difesa: sostenere che l’immobile in realtà era patrimonio/strumentale temporaneamente (se possibile). Altrimenti, concordare ripresa senza sanzione (errore contabile).
Uso promiscuo professionale/abitativoEccedenza 50% indeducibileFar rilevare effettivo utilizzo prevalente per lavoro (se vero). Se no, adeguarsi a percentuale forfettaria di legge (spese per immobile studio/abitazione deducibili 50%).

Le contestazioni d’impresa spesso si risolvono prima del giudizio tramite il confronto con l’Ufficio (anche perché le cifre in gioco possono essere alte e c’è interesse reciproco a evitare un lungo contenzioso). Nel prosieguo vedremo gli strumenti deflativi come l’accertamento con adesione, utili a tal fine.

Strumenti di difesa in sede amministrativa (fase pre-contenziosa)

Quando un contribuente riceve una contestazione dal Fisco (che sia una comunicazione di irregolarità, un esito di controllo formale, un avviso di accertamento o una cartella), la prima linea di difesa consiste spesso nel tentare di risolvere la questione senza arrivare al giudice, se possibile. La normativa tributaria italiana mette a disposizione diversi strumenti deflativi del contenzioso, che consentono di trovare una soluzione in via amministrativa o di ottenere la rettifica dell’atto prima (o in alternativa) al ricorso. Di seguito analizziamo i principali strumenti difensivi in sede amministrativa utili nei casi di contestazione su detrazioni non riconosciute.

Istanza di autotutela (annullamento o correzione dell’atto da parte dell’ufficio)

L’autotutela è il potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria di annullare, revocare o rettificare i propri atti riconosciuti come illegittimi o infondati, anche d’ufficio o su richiesta del contribuente, senza necessità di attendere un giudice . In materia tributaria, l’autotutela trova fondamento nei principi di buon andamento e imparzialità della PA (art. 97 Cost.) e oggi è disciplinata nello Statuto del Contribuente (L.212/2000) agli articoli 10-quater e 10-quinquies, introdotti dal D.Lgs. 219/2023 (delega fiscale) e attuati dalla Circolare AE 21/E del 7 novembre 2024 . Questa recente riforma ha distinto due categorie di autotutela:

  • Autotutela obbligatoria (art. 10-quater L.212/2000): l’ufficio è obbligato ad annullare o rettificare l’atto viziato in presenza di specifiche condizioni tassative di “manifesta illegittimità”. La circolare 21/E elenca tali casi, tra cui ad esempio: errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; doppia imposizione; mancata considerazione di pagamenti già effettuati; errore sul presupposto dell’imposta; ecc. . Se ricorre una di queste situazioni, l’ufficio deve intervenire in autotutela, anche senza istanza del contribuente.
  • Autotutela facoltativa (art. 10-quinquies): al di fuori dei casi sopra, l’amministrazione conserva la facoltà discrezionale di annullare atti viziati per altri motivi di legittimità o merito, su istanza del contribuente oppure d’ufficio . È il tradizionale potere di autotutela come esercitato finora, ma con linee guida uniformi.

In pratica, se un atto di contestazione su detrazioni di ristrutturazione presenta errori evidenti (es.: è stato emesso verso la persona sbagliata; oppure richiede imposte già versate; o applica due volte la stessa imposta), si può richiedere l’annullamento in autotutela obbligatoria citando l’art.10-quater. Un esempio: l’Agenzia notificasse due avvisi identici per lo stesso recupero di detrazione – la doppia imposizione è causa di autotutela obbligatoria , l’ufficio dovrà annullare uno dei due.

Nei casi più borderline – ad esempio, contestazione di detrazione ritenuta illegittima dall’ufficio ma che il contribuente reputa invece valida – non c’è obbligo per l’ufficio di annullare (non è errore manifesto, ma questione interpretativa). Tuttavia, presentare una istanza di autotutela facoltativa può comunque essere utile: occorre indirizzarla all’ufficio che ha emesso l’atto, indicando gli estremi dell’atto e motivando perché è errato, allegando documenti probanti . Ad esempio, se l’avviso contesta la mancanza del bonifico parlante ma il contribuente lo aveva effettuato correttamente ed è l’ufficio ad aver perso il riscontro, allegare copia del bonifico all’istanza di autotutela può portare a un annullamento rapido. Oppure, se viene negata la detrazione per asserita mancanza di convivenza, ma si dispone di certificato di residenza storico che prova la convivenza all’epoca dei fatti, presentare tale documento in autotutela potrebbe convincere l’ufficio a fare marcia indietro senza dover ricorrere.

Va sottolineato che l’autotutela è un potere dell’amministrazione, non un diritto azionabile in giudizio per il contribuente. Ciò significa che: – Il contribuente può chiedere l’autotutela (istanza) ma non può costringere l’ufficio a esercitarla se questo ritiene di non farlo. Il diniego o silenzio sull’istanza di autotutela non è impugnabile autonomamente davanti al giudice (salvo casi eccezionali di rifiuto espresso su errori evidenti). – La presentazione di un’istanza di autotutela non sospende i termini per fare ricorso né le altre scadenze del procedimento . Dunque, se si è prossimi alla scadenza dei 60 giorni per impugnare un accertamento, non si può attendere l’esito dell’autotutela rischiando di far decadere il ricorso. In pratica conviene comunque predisporre il ricorso nei termini, eventualmente ritirandolo se l’ufficio annulla l’atto.

Con la circolare 21/E/2024, l’Agenzia ha chiarito che l’autotutela deve essere esercitata in modo uniforme e tempestivo, e ha delineato procedure interne per gestirla (ad esempio, tempi per l’istruttoria, comunicazione dell’esito al contribuente ). È prevista anche una sorta di “corsia preferenziale” per i casi obbligatori. In ottica difensiva, quindi, vale la pena sfruttare l’autotutela quando si riscontrano errori oggettivi nell’atto fiscale: spesso una buona istanza, ben documentata, può risolvere il problema più rapidamente e senza costi aggiuntivi.

Esempi dove l’autotutela può risolvere nelle contestazioni di ristrutturazione: – Avviso di liquidazione che nega la detrazione per importo eccedente ma non considera che il contribuente ha presentato dichiarazione integrativa riducendo l’importo: qui c’è un pagamento già eseguito (o una correzione) non considerato , quindi l’ufficio deve correggere. – Cartella per controllo formale in cui mancano all’appello alcuni bonifici, ma il contribuente li aveva regolarmente inviati via PEC e l’ufficio li ha persi: se si prova l’invio (protocollo), è errore dell’ufficio – annullamento doveroso. – Doppio invio della stessa comunicazione di irregolarità (può succedere per errore informatico): errore palese, da annullare in autotutela obbligatoria (doppia imposizione).

Come presentare l’istanza: oggi l’istanza di autotutela può essere presentata tramite i canali telematici dell’Agenzia (CIVIS, PEC all’ufficio competente, oppure anche via raccomandata o consegna a mano). È bene indicare nell’oggetto che si tratta di “Istanza di autotutela ex art.10-quater L.212/2000” e allegare copia dell’atto contestato e dei documenti probatori. L’ufficio dovrebbe rispondere (non c’è un termine perentorio di legge, ma di norma entro 60 giorni tendono a farlo). Se l’ufficio accoglie l’autotutela, notificherà un provvedimento di annullamento/sgravio e la vicenda si chiude lì. Se la respinge (o non risponde entro un tempo ragionevole), il contribuente dovrà decidere se procedere con altri strumenti (ricorso, adesione, ecc.).

In conclusione, l’autotutela è il primo strumento da tentare quando si individuano errori lampanti o facilmente dimostrabili nell’atto fiscale impugnato. Non costa nulla, può essere attivata subito, e spesso risolve situazioni che altrimenti intaserebbero inutilmente le Corti tributarie.

L’interpello all’Agenzia delle Entrate (prevenire le contestazioni prima dei lavori)

Uno strumento che andrebbe utilizzato prima di eseguire i lavori o di utilizzare la detrazione, quando si hanno dubbi sull’interpretazione delle norme, è l’interpello. L’interpello non è un rimedio contro un atto già emesso, ma una procedura preventiva: il contribuente formula un quesito all’Amministrazione finanziaria per ottenere una risposta ufficiale su una fattispecie concreta e personale (art. 11, c.1, L.212/2000) . Ad esempio, si può chiedere all’Agenzia delle Entrate se un determinato intervento edilizio che si intende effettuare rientra tra quelli detraibili al 50%, oppure se il proprio status soggettivo consente la detrazione.

Perché l’interpello è importante ai fini difensivi? Perché la risposta dell’Agenzia (interpello ordinario), se favorevole, vincola l’amministrazione nei confronti di quel contribuente su quella questione . Ciò significa che se l’Agenzia risponde positivamente, poi non potrà legittimamente emettere un avviso di accertamento in contrasto con la soluzione fornita (eventuali atti difformi sarebbero annullabili per violazione di legge) . Viceversa, se la risposta è negativa (cioè l’Agenzia non avvalla la detraibilità per esempio), il contribuente può ancora decidere di non seguire quella risposta, ma se lo fa si espone a sanzioni e dovrà poi eventualmente impugnare l’atto contenzioso cercando di far prevalere la propria tesi sul giudice (cosa complessa). Se invece l’Agenzia non risponde entro il termine (90 giorni, prorogabili in caso di integrazioni, con sospensione ad agosto) , vale la regola del “silenzio-assenso”: il silenzio equivale ad accoglimento della soluzione proposta dal contribuente . Quindi l’assenza di risposta tutela il contribuente che ha prospettato correttamente il caso.

Nel campo delle ristrutturazioni, l’interpello è spesso usato per questioni quali: – Determinare se un intervento edilizio atipico rientra tra quelli agevolati (esempio: “la demolizione e ricostruzione con ampliamento parziale consente almeno la detrazione sulla parte di volume preesistente?” – domanda complessa in cui vi è obiettiva incertezza). – Chiedere se un soggetto può fruire della detrazione in un caso particolare (es: “sono comodatario non convivente, posso detrarre?” – qui in realtà la prassi era chiara nel dire di no, ma si poteva tentare un interpello). – Dubbi sull’applicazione di nuovi vincoli normativi (ad es. la modulazione 36%-50% dal 2025 per prima/seconda casa – un contribuente potrebbe chiedere se un certo immobile è considerabile “abitazione principale” ai fini della maggior aliquota, magari perché ne ha due per motivi familiari).

L’interpello va presentato prima di adottare il comportamento fiscale (o al più contestualmente, ma non dopo). Nel contesto, prima di iniziare a detrarre nelle dichiarazioni. Dunque, non è uno strumento per chi ha già ricevuto un accertamento (lì ormai è tardi e non si può fare interpello su una cosa già fatta).

Dal 2024 l’art.11 L.212/2000 è stato modificato (D.Lgs. 156/2015 e poi D.Lgs. 209/2022) introducendo tra l’altro un contributo da versare per presentare interpello . Il MEF deve fissarne l’importo con decreto (variabile secondo il contribuente e la complessità). Questo per evitare abusi dello strumento. Al momento, il contributo non risulta ancora quantificato precisamente, ma la norma è in vigore: “la presentazione dell’istanza di interpello è subordinata al versamento di un contributo […] la cui misura e modalità sono individuate con DM” . È un elemento da tener presente, anche se per questioni rilevanti può valere la pena pagare (si vociferava di cifre intorno ai 250 euro per interpello ordinario per grandi contribuenti, ma attendiamo i decreti attuativi).

In sede difensiva, l’interpello può tornare utile anche a posteriori in un certo senso: se il contribuente aveva presentato interpello e ottenuto risposta favorevole, quello è un asso nella manica inoppugnabile a suo favore. Se invece non l’aveva fatto e si trova in contenzioso, può al massimo citare interpretazioni ufficiali in circolari o risoluzioni (non vincolanti come la risposta al proprio interpello, ma comunque utili). Ad esempio, una difesa tipica è: “L’Agenzia delle Entrate in situazioni analoghe (Risoluzione n.X/E) ha affermato che… quindi l’ufficio locale sbaglia a negare”. Questo non vincola formalmente il giudice, ma può influenzarlo.

In conclusione, interpello è uno strumento di “difesa preventiva”: consultare il Fisco prima per evitare di sbagliare e trovarsi con detrazioni contestate. Non sempre è utilizzabile (serve incertezza oggettiva, non questioni chiaramente disciplinate) , e ha un costo in termini di tempo (fino a 3-4 mesi per la risposta) e ora anche monetario. Ma per questioni di ampio impatto conviene. Una volta ricevuta la risposta, se positiva il contribuente è al sicuro; se negativa, almeno sa che quel comportamento sarebbe rischioso e può decidere di adeguarsi evitando future sanzioni.

L’accertamento con adesione (definizione concordata dell’accertamento)

Quando l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento (ad esempio recuperando detrazioni non spettanti per più anni, con sanzioni e interessi) il contribuente può valutare l’uso dell’accertamento con adesione per evitare il contenzioso o ridurre l’impatto sanzionatorio. L’accertamento con adesione, regolato dal D.Lgs. 218/1997, è una procedura che consente al contribuente e all’ufficio di raggiungere un accordo sulle imposte dovute, prima che il contribuente presenti ricorso. In pratica, è una negoziazione: il contribuente rinuncia a impugnare, e l’ufficio riquantifica l’imposta in base al dialogo, applicando sanzioni ridotte.

Come funziona: ricevuto l’avviso di accertamento (o anche un invito a comparire, o un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza), il contribuente può presentare istanza di adesione all’ufficio, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (o 30 giorni dal PVC). L’istanza sospende automaticamente il termine per il ricorso per 90 giorni . L’ufficio convocherà il contribuente per un contraddittorio orale. Nel caso delle detrazioni, supponiamo un avviso che recupera €5.000 di IRPEF più sanzioni 90% = €4.500, totale €9.500 più interessi. In sede di adesione, il contribuente può far valere le proprie ragioni: magari portare documenti non valutati, spiegare alcune spese. Spesso l’ufficio, se comprende che c’è margine, può proporre uno sconto parziale dell’imposta o soprattutto delle sanzioni. Ad esempio, potrebbe riconoscere qualche spesa, riducendo l’imponibile, e applicare la sanzione ridotta a 1/3 (che è quella prevista per chi definisce con adesione). Se si trova un accordo, viene redatto un atto di adesione con le nuove somme dovute. Le sanzioni, per legge, in caso di adesione sono dimezzate e poi ridotte a 1/3 (quindi di fatto 1/3 del minimo). Nel nostro esempio: invece di €4.500, si pagherebbero €1.500 di sanzioni. Inoltre si può chiedere un pagamento rateale fino a 8 rate trimestrali (o 16 se importo oltre 50.000 €). Il vantaggio è chiaro: evitare il contenzioso e pagare sanzioni molto minori.

Nel contesto ristrutturazioni, l’adesione è utile quando il contribuente riconosce in parte la fondatezza della contestazione, oppure quando, pur convinto di avere ragione, vuole eliminare il rischio di causa lunga e di dover pagare magari importi maggiori. Ad esempio, se la questione è la mancanza del bonifico parlante per metà delle spese, il contribuente sa di essere in difetto su quel punto: può giocarsi in adesione magari un riconoscimento di qualche spesa in più documentata e ottenere uno sconto sanzioni.

Va però valutato che l’adesione comporta la rinuncia al ricorso: una volta firmato l’accordo, l’atto non è più impugnabile e le somme vanno pagate (pena decadenza dei benefici se non si paga la prima rata). Dunque, se il contribuente ritiene di avere ottime chance in giudizio di vincere su tutta la linea (ad esempio, ha un precedente di Cassazione identico a suo favore), potrebbe scegliere di non aderire e fare ricorso. Viceversa, se il terreno è incerto o sfavorevole (es. bonifico mancante), l’adesione conviene.

Da notare: se la contestazione è emersa in un processo verbale della Guardia di Finanza (PVC) prima che esca l’avviso, c’è la possibilità di adesione anticipata al PVC (entro 30gg dal rilascio). Questo evita proprio l’emissione dell’atto. Nel nostro contesto, è raro perché di solito le detrazioni vengono controllate direttamente dall’Agenzia con procedure automatizzate, più che da verifiche complesse GdF.

Durante l’adesione, il contribuente può farsi assistere da un professionista (avvocato tributarista, commercialista, ecc.) che tratta con l’ufficio. C’è libertà sul contenuto dell’accordo (possono accordarsi su importi, qualificazioni, ecc.), ma ovviamente l’ufficio ha direttive interne sul non scendere sotto certi limiti.

Se l’adesione fallisce (non c’è accordo o il contribuente non si presenta), l’ufficio può eventualmente ridurre da sé qualcosa e notificare un nuovo avviso (atto integrativo), oppure lasciare l’atto com’era. A quel punto il contribuente ha 60 giorni dalla fine dei 90 sospesi per fare ricorso.

In conclusione, l’accertamento con adesione è uno strumento molto utile di difesa in via amministrativa, perché permette di contenere i danni. Nel caso di contestazioni su ristrutturazioni, è fortemente consigliato se si tratta di plurimi aspetti (dove magari si può transigere su alcuni) e soprattutto per abbattere le sanzioni. Ad esempio, in un contenzioso su €10.000 di detrazioni non spettanti, le sanzioni al 90% sarebbero €9.000; definendo in adesione, possono scendere a €3.000 o meno, che è un risparmio notevole, senza contare i costi e l’incertezza di un giudizio.

Il reclamo e la mediazione tributaria

Un ulteriore strumento deflattivo, applicabile però dopo l’emissione dell’atto e contestuale alla fase iniziale del processo, è l’istituto del reclamo/mediazione (art. 17-bis D.Lgs. 546/1992). Questo istituto prevede che per le liti di valore non elevato – attualmente fino a €50.000 di valore della controversia – il contribuente deve prima presentare un reclamo all’ufficio, il quale ha 90 giorni per eventualmente accogliere (totalmente o parzialmente) o proporre una mediazione, prima che la causa vada in giudizio vero e proprio.

In pratica, se la contestazione su detrazioni ha un valore (imposta + interessi + sanzioni) sotto 50mila, il ricorso che il contribuente predispone vale anche come istanza di mediazione e va presentato alla Direzione provinciale dell’AE competente. L’ufficio centrale esaminerà il caso e, se ritiene, può formulare una proposta di mediazione con riduzione delle pretese (in genere sulle sanzioni, ma a volte anche sull’imponibile). Se il contribuente accetta, si chiude la lite con un accordo di mediazione che comporta sanzioni ridotte al 35% (ulteriore beneficio rispetto all’adesione, dove erano 1/3 = ~33%). Se invece l’ufficio rigetta il reclamo o non risponde entro 90 giorni, il reclamo si “trasforma” in ricorso e la causa prosegue in Commissione tributaria.

Perché è rilevante? Perché in molte contestazioni sulle detrazioni il valore non è altissimo (spesso sotto 50k) e quindi la mediazione è un passaggio obbligatorio. Il contribuente dovrebbe impostare bene sin dal reclamo la sua difesa, ma anche far capire all’ufficio che è disposto a conciliare. A volte, l’ufficio preferisce mediare per evitare un giudizio dal cui esito incerto avrebbe comunque una sanzione ridotta se perde. Ad esempio, su €10.000 di imposta e €9.000 di sanzioni, potrebbe proporre di chiudere facendo pagare magari €10.000 + €3.150 di sanzioni (35%). Per il contribuente è paragonabile all’adesione come effetto, ma interviene dopo l’instaurazione formale del contenzioso (anche se prima dell’udienza).

Mediazione e adesione possono coesistere? In teoria no: o l’una o l’altra. Se il contribuente presenta istanza di adesione entro 60gg, sospende i termini; se poi non conclude e vuole andare avanti col ricorso, e l’importo è <50k, dovrà comunque passare per la mediazione in fase di ricorso. Quindi potenzialmente ci sono due fasi di confronto possibili.

In ogni caso, la mediazione tributaria è un altro momento in cui portare argomenti e magari cedere su qualcosa per chiudere la vicenda con sanzioni ridotte. È bene affrontarla con uno spirito propositivo (ad esempio, allegando pareri o sentenze favorevoli, ma anche mostrando apertura a pagare il dovuto se la legge non consente alternative, chiedendo solo clemenza sulle sanzioni). Spesso gli uffici hanno direttive per accogliere in parte i reclami quando c’è incertezza normativa o rischio di soccombenza.

Altri strumenti: acquiescenza e ravvedimento operoso

Acquiescenza: è la scelta di accettare integralmente l’avviso di accertamento, beneficiando di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (se si paga entro 60 giorni) . Può sembrare strano citarla tra le “difese”, ma talvolta difendersi significa scegliere la battaglia: se il contribuente riconosce l’errore e vuole evitare aggravi, fare acquiescenza è sensato. Ad esempio, se l’atto contesta giustamente €2.000 di imposta con sanzione 90% (€1.800), pagando in acquiescenza paga €2.000 + €600 (1/3 di 1.800) + interessi. Se facesse ricorso e perdesse, pagherebbe €2.000 + €1.800 + interessi, oltre a eventuali spese di giudizio. Quindi l’acquiescenza è come un “patteggiamento” unilaterale: si paga subito ma sanzione ridotta. Non c’è contraddittorio; basta pagare e comunicare all’ufficio l’avvenuto pagamento integrale.

Ravvedimento operoso: questo in verità entra in gioco prima che il Fisco contesti. Se il contribuente si accorge di aver erroneamente fruito di una detrazione non spettante (ad es. scopre di aver sbagliato aliquota, o di non aver pagato con bonifico), può correggere la dichiarazione (dichiarazione integrativa) e versare la maggiore imposta dovuta con sanzione ridotta (5% se ravvede entro due anni, 10% oltre due anni, o 3,75% se entro 90gg dalla scadenza originaria) più interessi. In questo modo anticipa l’Amministrazione evitando un futuro accertamento più oneroso. Certo, nel caso del bonifico mancante, non è che sanandolo può tornare a detrarre: se il termine di presentazione integrativa non è scaduto, potrebbe addirittura restituire quella detrazione e fine. Il ravvedimento è più che altro uno strumento per limitare i danni quando si sa di aver torto. Se ormai è arrivata la contestazione, non si può più ravvedere su quell’anno (il ravvedimento è precluso quando vi è formale conoscenza di controlli sull’errore).

Conciliazione giudiziale: una volta in giudizio, c’è un ulteriore possibilità di accordo: la conciliazione in udienza (o fuori udienza). È simile alla mediazione, ma può avvenire anche per liti oltre 50k e in ogni grado (in appello però sanzioni ridotte al 50% anziché 40% del minimo). In pratica, davanti al giudice, contribuente e ufficio possono proporre di chiudere la lite con un accordo (magari riconoscendo una parte del diritto). Questo strumento è meno usato nelle detrazioni perché spesso o si ha diritto o no; però, ad esempio, in caso di più annualità contestate, si potrebbe conciliare riconoscendo il bonus per un anno e cedendo su un altro. Vale la pena ricordarlo come ultima spiaggia prima che il giudice decida.

Riassumiamo in Tabella 3 i principali strumenti difensivi pre-contenzioso e le loro caratteristiche:

Strumento difensivoQuando usarloVantaggiSvantaggi/Note
Autotutela (istanza annullamento)Subito, appena ricevuto atto (errori evidenti)Gratuito; rapido; l’atto può essere annullato totalmente dall’ufficio .Discrezionale (se non obbligatorio); non sospende termini ricorso ; diniego non impugnabile autonomo.
Interpello (ordinario)Prima di iniziare iter fiscale (prima lavori o prima di detrarre)Chiarisce dubbi interpretativi con risposta ufficiale vincolante ; evita errori e futuri contenziosi.Va presentato prima; attesa 90 gg; dal 2024 soggetto a contributo economico ; se risposta sfavorevole, rivela in anticipo la posizione AE.
Accertamento con adesioneDopo ricezione avviso accertamento (entro 60 gg)Sospende termini ricorso 90 gg; dialogo diretto con ufficio; sanzioni ridotte a 1/3 ; possibilità di accordo con importi rivisti; rateizzabile in 8 rate.Implica rinuncia al ricorso se accordo raggiunto; richiede compromesso (si paga almeno parte imposte); se fallisce, ricorso da fare comunque.
Reclamo/MediazioneAll’atto di predisporre ricorso (obbligatorio per liti ≤ €50.000)Possibile definizione ante giudizio con sanzioni al 35%; evita costi processo; proposta può includere riduzione imponibile.Tempi 90 gg; esito incerto (ufficio può rigettare); se esito negativo, si procede comunque col contenzioso.
Acquiescenza (pagamento con sanzione ridotta)Entro 60 gg da notifica avviso, se si concorda totalmente con attoSanzioni ridotte a 1/3 (come adesione) senza dover negoziare; chiude subito la pendenza.Bisogna pagare integralmente imposte + sanzioni ridotte in tempi brevi; nessuna possibilità di ulteriore riduzione o rateazione (oltre 60 gg).
Ravvedimento operosoPrima di qualsiasi atto dell’AE (quando ci si accorge dell’errore)Sanzioni ridotte in base alla tempestività (es. 1/10 del minimo se entro 1 anno); dimostra buona fede; evita del tutto l’accertamento.Ammissibile solo prima di notifica avvisi/carte sulla violazione; comporta il versamento spontaneo dell’imposta dovuta + interessi e sanzioni (anche se ridotte).
Conciliazione giudizialeDurante il processo tributario (anche in appello)Ultima chance di accordo con sanzioni ridotte (40% in primo grado, 50% in appello); chiusura più rapida del giudizio con risparmio di tempo e spese.Serve accordo tra le parti in causa; se fallisce, si va a sentenza; riduzione sanzioni inferiore rispetto a mediazione (in appello 50%).

Come si vede, il panorama difensivo in via amministrativa offre molteplici vie. Un contribuente accorto, preferibilmente assistito da un professionista, valuterà il mix migliore. Ad esempio: ha ricevuto un accertamento –> presenta istanza di adesione per trattare; intanto fa anche istanza di autotutela su un errore di calcolo contenuto; se l’adesione va male e la lite è sotto soglia –> imposterà un reclamo/mediazione ben argomentato; oppure, se riconosce di aver torto marcio su tutto –> opta per acquiescenza subito e chiude la partita con sanzione ridotta.

Nel capitolo seguente passiamo alla fase giudiziale vera e propria, da intraprendere se l’accordo con il Fisco non è stato possibile o soddisfacente.

Difesa in sede giudiziaria: il contenzioso tributario

Se la fase amministrativa non risolve la controversia, il contribuente ha la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi agli organi della Giustizia Tributaria (le ex Commissioni Tributarie, oggi Corti di giustizia tributaria). Il processo tributario si articola su due gradi di merito – primo grado presso la Corte di giustizia tributaria di primo grado (ex CTP) e secondo grado presso la Corte di giustizia tributaria di secondo grado (ex CTR) – ed eventualmente un giudizio di legittimità in Cassazione.

Affrontare il contenzioso richiede una buona conoscenza delle regole processuali e una strategia basata su prove documentali solide e argomentazioni giuridiche persuasive. Di seguito esaminiamo i punti salienti della difesa in giudizio nei casi di contestazione di detrazioni per ristrutturazione.

Ricorso in primo grado (Corte di giustizia tributaria di I grado)

Il ricorso tributario è l’atto introduttivo del giudizio e va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnabile (avviso di accertamento, cartella, rifiuto di rimborso, ecc.). Nel nostro contesto, l’atto tipicamente impugnato sarà o un avviso di accertamento che recupera le detrazioni indebitamente fruite, oppure direttamente una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo formale (art.36-ter) qualora il contribuente non abbia fornito adeguata documentazione durante il controllo.

Il ricorso deve essere notificato all’ente impositore (di regola l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale competente) tramite posta elettronica certificata (PEC) oppure mediante consegna alle direzioni, oppure tramite ufficiale giudiziario. Dal 2023, il processo tributario è telematico e la notifica via PEC è lo standard . Una volta notificato, entro 30 giorni va costituito il fascicolo presso la segreteria della Corte tributaria (deposito telematico attraverso il SIGIT).

Requisiti formali: Il ricorso deve contenere l’indicazione dell’atto impugnato, dei motivi di fatto e diritto su cui si fonda l’opposizione, l’esposizione dei fatti, le prove di cui ci si intende avvalere, l’eventuale istanza di discussione in pubblica udienza (se nulla viene chiesto, oggi si presume trattazione scritta, introdotta dalla riforma 2022). Nel caso di controversie < €3.000 era ammessa l’autodifesa del contribuente (senza assistenza tecnica); dal 2023 però la soglia per il patrocinio obbligatorio è stata abbassata a €1.000 e in prospettiva sarà obbligatorio l’assistenza di un difensore tecnico qualificato (avvocato, commercialista o altro abilitato) anche per importi modesti. Dato il taglio avanzato di questa trattazione, presumiamo comunque che ci sia un consulente a redigere l’atto.

Nel ricorso occorre sviluppare i motivi di ricorso, cioè le censure all’atto impugnato. Tali motivi possono essere di legittimità (vizi procedurali, errori nella motivazione, decadenza dei termini) e di merito (contestazione del fondamento dell’imposta richiesta). Ad esempio, motivi classici in questa materia: – Violazione di legge: ad es. applicazione errata di una norma, come l’art.16-bis TUIR, da parte dell’ufficio. Oppure il non aver considerato la circolare ministeriale X che chiariva un punto a favore. – Errata qualificazione dei fatti: es. l’ufficio ha considerato l’intervento come “nuova costruzione” mentre è ristrutturazione; oppure ha negato la convivenza quando i documenti attestano il contrario. – Difetto di motivazione dell’atto: se l’avviso non spiega compiutamente le ragioni del disconoscimento della detrazione (questo raramente porta all’annullamento ormai, perché la motivazione di solito c’è; ma va segnalato se insufficiente). – Errore di calcolo: se l’ufficio ha sbagliato i conteggi (caso fortunato per il ricorrente). – Travisamento delle prove: es. l’ufficio sostiene “niente bonifico”, invece il bonifico c’era ma forse intestato al coniuge – occorre chiarire e allegare le prove. – Eccezioni procedurali: notifica invalida, firma non autorizzata dell’atto, decadenza dal potere di accertamento (di solito 31/12 del quinto anno successivo per imposte dirette se dichiarazione; 7° se omessa). Per un controllo formale 36-ter, va contestata entro il 31/12 del secondo anno successivo a presentazione dichiarazione (ad es. 2020 per redditi 2018): se la cartella arriva oltre, è tardiva. Individuare questi aspetti è cruciale.

Il ricorso può contenere anche istanze cautelari: la richiesta di sospensione dell’atto impugnato, se dall’esecuzione deriverebbe un danno grave e irreparabile. Nel caso di recuperi di detrazione, se gli importi sono elevati e il contribuente rischia esecuzione forzata (fermo, ipoteca, ecc.), si può chiedere al giudice di sospendere la riscossione fino alla decisione. Serve provare sia il fumus boni iuris (cioè che il ricorso non è pretestuoso, c’è una ragionevole fondatezza) sia il periculum in mora (danno grave nel tempo del processo, es: difficoltà economiche, rischio fallimento, ecc.). Le commissioni sono abbastanza attente a concessioni di sospensiva se l’importo è rilevante rispetto al reddito del ricorrente. In caso di cartelle da controllo formale, però, l’iscrizione a ruolo è automatica e 1/3 dell’imposta è dovuta anche se si fa ricorso, salvo sospensione. Infatti per gli avvisi di accertamento “esecutivi” emessi dal 2011 in poi, dopo 60 giorni se non c’è pagamento, l’atto vale anche come precetto per la riscossione di 1/3 delle imposte contestate . Il restante 2/3 si sospende fino a sentenza di primo grado. Quindi presentare ricorso non blocca la richiesta di quel 1/3 (a meno di sospensiva). È un dettaglio importante da spiegare al contribuente: fare ricorso non evita di dover pagare subito una parte, a meno che si ottenga la sospensiva dal giudice.

La difesa in primo grado consisterà nella produzione di tutti i documenti utili: copie di bonifici, fatture, visure anagrafiche, contratti, normative (spesso si allegano le stesse circolari del Fisco a sostegno se tornano a proprio favore), sentenze di Cassazione pertinenti. A tal fine, per cause complesse, può essere opportuno un indice delle produzioni ben organizzato.

Durante il processo, l’ufficio resisterà con controdeduzioni scritte (memoria) e potrà depositare anch’esso documenti (es. il PVC se c’è stato, o le richieste inviate). Il giudice in primo grado deciderà con sentenza che può accogliere (annullare in tutto o parte l’atto) oppure respingere il ricorso (confermando l’atto) o altre statuizioni intermedie (annullamento parziale, o anche decisione equitativa sulle sanzioni, ecc.).

Una volta ottenuta la sentenza di primo grado, se favorevole, l’atto è annullato (totale o parziale). Se il contribuente aveva pagato 1/3 in pendenza di giudizio, può chiederne il rimborso (se vittorioso su tutto) oppure conguaglio se vittorioso parziale. Se la sentenza invece conferma l’operato del Fisco, il contribuente dovrà valutare l’appello.

Durata: un processo di primo grado in materia tributaria può durare da pochi mesi (nei casi più semplici e con udienze rapide) fino a 1-2 anni a seconda del carico della Corte e della complessità (anche di più in certe regioni). Riforme recenti puntano a velocizzare (obiettivo 2023: decisioni entro 6 mesi dal ricorso, ma non sempre realizzabile).

Appello in secondo grado (Corte di II grado)

Sia il contribuente che l’ente impositore possono appellare la sentenza di primo grado se soccombenti (anche parzialmente). L’appello va proposto entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado (se la controparte la notifica) o entro 6 mesi dalla pubblicazione se non notificata. Proceduralmente è simile al ricorso, va depositato telematicamente, con propri motivi di impugnazione (es. contestare errori in cui è incorsa la CTP).

Nel nostro caso, se il contribuente ha perso in primo grado ma ritiene che i giudici non abbiano valutato bene prove (o vuole fare valere un nuovo precedente favorevole magari uscito nel frattempo), può appellare. Attenzione: dal 2023 l’appello tributario non è più revisio prioris instantiae ma tende ad essere limitato ai motivi di censura specifici della sentenza di primo grado (un po’ più vicino al modello civile). Tuttavia, è ancora un giudizio di merito. Si possono anche produrre nuove prove in appello, ma solo se si dimostra di non aver potuto produrle prima per cause non imputabili (il processo tributario è ampiamente documentale sin dal primo grado; le nuove prove sono ammissibili con restrizioni, ad es. prove sopravvenute o che non si potevano ottenere prima).

Un punto importante: se il contribuente in primo grado aveva vinto totalmente, l’Agenzia delle Entrate per fare appello oggi deve depositare una garanzia (cauzione/fideiussione) per 50% delle imposte in contestazione, altrimenti l’appello è improcedibile. Questo è un correttivo introdotto dalla riforma (L.130/2022) per scoraggiare appelli pretestuosi del Fisco. Viceversa, il contribuente per appellare non deve fornire garanzie ma se aveva ottenuto sospensione in primo grado, quella non si estende automaticamente all’appello (bisogna chiederla ex novo in appello).

In appello, non c’è più mediazione obbligatoria (vale solo per primo grado), ma è sempre possibile la conciliazione. Se la causa verte su questioni ormai di puro diritto (es: interpretazione normativa) e di valore non altissimo, talvolta l’AE può rinunciare all’appello (specie se ci sono sentenze di Cassazione pro contribuente, l’ufficio può non impugnare la sconfitta). Difatti nel 2023 è stata introdotta la figura dell’“accordo di conciliazione rafforzato” per rinuncia all’appello da parte dell’Agenzia in cambio di sanzioni ridotte a 1/18, ma è uno strumento particolare applicabile su iniziativa dell’AE per deflazionare.

La sentenza di secondo grado definisce il merito in via definitiva (fatti e diritto). Da qui in poi, eventuale ricorso è solo per Cassazione, limitatamente a vizi di diritto.

Ricorso per Cassazione (legittimità)

La Corte di Cassazione è il terzo ed ultimo livello, cui si accede però solo se vi sono questioni di legittimità (violazione di legge, vizi di motivazione “apparente” dopo la riforma, etc.). Non è un terzo grado di merito: la Cassazione non rivede i fatti, ma solo se la sentenza di CTR ha applicato correttamente la norma o se c’è nullità del procedimento. Ad esempio, se la CTR ha ignorato una chiara disposizione di legge o una consolidata giurisprudenza di legittimità, oppure ha motivato in modo contraddittorio e incomprensibile, allora c’è spazio per il ricorso per Cassazione.

Nel contesto specifico, ipotizziamo che la CTR abbia confermato la tesi dell’Agenzia sulla necessità del bonifico parlante. Il contribuente potrebbe tentare Cassazione sostenendo, ad esempio, un motivo di diritto: “Violazione dell’art.16-bis TUIR e DM attuativo, per avere la CTR ritenuto causa di decadenza un adempimento non previsto espressamente come tale, in contrasto con Cass.7657/2024 sul principio di tassatività delle cause di decadenza”. Oppure, se avesse vinto sul punto ENEA e l’Agenzia facesse ricorso, quest’ultima potrebbe lamentare violazione di legge perché la CTR non ha applicato la vecchia ordinanza 34151/2022; ma nel frattempo c’è il nuovo orientamento quindi la Cassazione potrebbe rigettare l’AE richiamando se stessa del 2024.

In Cassazione è obbligatorio il patrocinio di un avvocato cassazionista iscritto nell’albo speciale (non bastano i normali difensori tributari se non abilitati alle giurisdizioni superiori). I tempi sono molto lunghi mediamente (2-3 anni o più per la definizione), anche se la riforma sta cercando di smaltire con filtri, ecc.

Spesso il contribuente arriva stremato prima: se in CTR ha perso, magari preferisce valutare definizioni agevolate (quando con le varie pace fiscali lo Stato offre sconti su liti pendenti) o transare. Ma se c’è un principio importante, si prosegue.

La Cassazione se accoglie può decidere nel merito se non servono ulteriori accertamenti, altrimenti rinvia ad altra sezione della CTR per nuovo esame conforme ai principi di diritto enunciati.

Prove e onere della prova nel contenzioso sulle detrazioni

Un aspetto trasversale: chi deve provare cosa. In generale, nelle cause tributarie: – L’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla detrazione spetta al contribuente (ad esempio, deve provare di aver sostenuto la spesa, che il lavoro era agevolabile, etc.). Se rivendica un’agevolazione, deve documentarne i presupposti . – L’Amministrazione deve però provare l’esistenza dei presupposti della maggiore imposta che chiede. Nelle detrazioni, una volta che il contribuente ha prodotto fatture e bonifici, spetta al Fisco eventualmente dimostrare che sono falsi o che l’intervento non era agevolabile (ad esempio mediante sopralluogo, perizia, ecc.). Altrimenti, quei documenti fanno fede. – Se c’è un verbale tecnico (mettiamo dei verificatori che hanno constatato che l’immobile in realtà è stato demolito e ampliato oltre il consentito), quello è un elemento probatorio a favore dell’AE e starà al contribuente contestarlo con perizia di parte contraria, etc.

Il processo tributario è tendenzialmente documentale: raramente vi sono testimoni (ammessi solo in casi eccezionali su questioni marginali, e comunque per lo più no in materia tributaria per il divieto di prova testimoniale, art. 7 D.Lgs.546/92, recentemente attenuato per giuramento estimatorio e poco altro). Dunque i documenti fanno il processo: aver conservato e prodotto tutto è determinante.

Esiti possibili e riflessi post-sentenza

Se il contribuente vince, ottiene l’annullamento del carico fiscale. Dovrà assicurarsi che l’Agenzia esegua lo sgravio (o il rimborso se ha pagato, con interessi in genere al tasso legale dal giorno del pagamento). Se vince in parte, dovrà pagare la parte restante eventualmente rideterminata.

Se il contribuente perde, l’atto diventa definitivo ed esecutivo per intero. Dovrà pagare l’imposta, sanzioni e interessi. Spesso aveva versato 1/3 iniziale; dovrà versare i 2/3 residui più le sanzioni. In mancanza, l’Agente della Riscossione procederà con la riscossione coattiva (fermi auto, ipoteche, pignoramenti). A volte, se l’importo è alto e il contribuente in difficoltà, si possono ottenere dilazioni anche in fase di riscossione con rateazione delle cartelle (fino a 72 rate standard, o 120 in casi gravi). Oppure, in situazioni estreme, valutare definizioni agevolate (se previste da nuove norme) o chiedere la remissione in termini se c’è qualche novità legislativa. Ma di base, dopo due gradi persi, la via è il pagamento o la Cassazione (se motivi validi).

Spese di giudizio: Oggi le sentenze possono condannare la parte soccombente alle spese (a discrezione del giudice, ma la regola è chi perde paga le spese di controparte, salvo compensazione per reciproca soccombenza o novità questioni). Quindi se il contribuente perde, potrebbe dover rimborsare all’ufficio le spese di difesa (che di solito sono limitate ai minimi tariffari quando l’AE vince). Viceversa, se vince, può chiedere le spese. Non sono mai cifre enormi nel tributario minore, ma vanno considerate.

Impatto penale: Di solito, l’indebita fruizione di detrazioni fiscali non comporta conseguenze penali perché non si configura il reato di dichiarazione infedele se l’imposta evasa è sotto determinate soglie (e inoltre c’è incertezza spesso). Solo se fossero importi evasi ingenti (>100k imposta) e condotte fraudolente (dichiarare cose non vere, o usare documenti falsi) si potrebbe teorizzare un reato tributario. Ma per bonus ristrutturazioni, casi di penale emergono più col Superbonus 110% (in cui false attestazioni possono portare a truffa ai danni dello Stato, ecc.). Per il 50%, raramente una contestazione porta strascichi penali, a meno di frodi grosse (tipo fatture false per bonus casa). Diciamo che nel 99% dei casi sarà solo questione amministrativa.

Giurisprudenza recente e casi pratici rilevanti

Nel corso dell’esposizione abbiamo già citato diverse sentenze aggiornate che rappresentano riferimenti importanti per difendersi in materia di detrazioni per ristrutturazione. In questa sezione riepiloghiamo i principali orientamenti giurisprudenziali recenti (2022-2025) che l’avvocato del contribuente dovrebbe conoscere e citare all’occorrenza, organizzandoli per tema.

  • Mancato invio della comunicazione ENEA – niente decadenza: Cassazione 7657/2024 (Sez. V, 21/03/2024) – Ha stabilito che l’omessa (o tardiva) comunicazione all’ENEA dei dati sui lavori di riqualificazione energetica non comporta la perdita del diritto alla detrazione Ecobonus, in quanto adempimento di natura statistica e non sostanziale . Questa pronuncia, innovando rispetto a un precedente contrario del 2022, allinea la giurisprudenza alla prassi AE (Risoluzione 46/E/2019) . Rilevanza: i principi espressi si possono applicare per analogia anche al Bonus Ristrutturazioni 50% in ambito di efficienza energetica, rafforzando la difesa dei contribuenti in caso di piccoli inadempimenti formali non espressamente sanzionati.
  • Mancato utilizzo del bonifico parlante – perdita dell’agevolazione: Cassazione 18768/2025 (Ordinanza Sez. VI, 9/07/2025) – Ha confermato la linea rigorosa: senza bonifico parlante non spetta alcun bonus ristrutturazione, anche se i lavori sono stati eseguiti e pagati da un familiare, e anche per l’acquisto di materiali in caso di lavori in proprio . Il caso riguardava un immobile donato da madre a figlio, con lavori pagati dalla madre in contanti/mezzi non tracciati: l’Agenzia ha recuperato la detrazione che il figlio tentava di usufruire, e tutti i gradi di giudizio hanno concordato col Fisco . Rilevanza: è un precedente negativo per i contribuenti, da tenere presente – difficilmente la Cassazione farà retromarcia su questo aspetto, data la chiarezza della norma che impone il pagamento tracciato.
  • Detraibilità spese di ristrutturazione per familiare convivente senza titolo di possesso: Cassazione 5584/2022 (Ordinanza Sez. V, 21/02/2022) – Ha riconosciuto il diritto alla detrazione al contribuente che era familiare convivente della proprietaria dell’immobile (suocera), pur non avendo un contratto di comodato registrato . La CTR Toscana aveva già dato ragione al contribuente e la Cassazione ha convalidato: la convivenza di fatto, risultante dai fatti accertati, è titolo sufficiente a legittimare la detrazione da parte del familiare, senza bisogno di ulteriori vincoli giuridici . Rilevanza: consolida un orientamento favorevole iniziato con Cass. 238/2020 e altre, utile per difendere parenti conviventi che si vedano negare il bonus con l’argomento “non sei intestatario né conduttore”.
  • Deducibilità per l’impresa di costi su immobili di terzi (inerenza): Cassazione 15248/2024 (Sentenza Sez. V, 31/05/2024) – Principio di diritto: le spese di ristrutturazione o manutenzione su un immobile detenuto in locazione dall’impresa, anche se di proprietà altrui, sono deducibili dal reddito d’impresa purché inerenti, cioè con nesso di strumentalità (anche solo potenziale) con l’attività esercitata . In pratica, la Corte ha censurato la CTR che aveva negato deducibilità ritenendo che il beneficio andasse solo al proprietario: ciò è errore, in quanto l’inerenza non è esclusa dal fatto che l’immobile sia di terzi . Rilevanza: molto importante per imprese e professionisti – si può dedurre costi su beni di terzi se funzionali all’attività. Un’arma in difesa contro contestazioni su costi di affitto migliorativo.
  • IVA su lavori edilizi su beni di terzi: Cassazione a Sezioni Unite 11533/2018 e successive (es. Cass. 7691/2022) – Anche se attiene all’IVA, merita menzione: le SS.UU. hanno sancito che l’IVA sulle spese di ristrutturazione di immobili di terzi è detraibile se c’è inerenza (strumentalità) con l’attività d’impresa . La Cassazione più recente ha mantenuto tale linea, chiarendo che non occorre la proprietà per la detrazione IVA . Rilevanza: in contenziosi misti (IRPEF e IVA) per imprese, si richiama per rafforzare il concetto di inerenza e coerenza tra imposte dirette e indirette.
  • CTR Lazio n. 3880/2018 e altre sentenze di merito sul bonifico parlante: queste pronunce ribadiscono che senza bonifico dedicato non c’è corrispondenza spesa-detrazione, neppure se esistono fatture e prove del lavoro . Anche CTR Lombardia n.2330/2017 e CTP Torino n.122/2019, citate negli articoli, vanno nello stesso senso . Rilevanza: indicano che anche i giudici di merito sul territorio applicano la regola restrittiva, utile da sapere per valutare la convenienza di fare ricorso su casi di bonifico mancante (poche chances, come visto).
  • Cassazione 34151/2022 (interpello ENEA): prima del revirement del 2024, questa ordinanza aveva detto che la comunicazione ENEA era presupposto necessario e la tardività causava decadenza. Ora superata dalla n.7657/2024 . Rilevanza: attenzione che qualche ufficio potrebbe aver emesso atti basandosi su questo vecchio orientamento; in giudizio si deve evidenziare che è ormai superato e isolato.
  • Cassazione 29164/2019 (Sez. VI): statuì che la mancata indicazione in fattura del costo della manodopera (come richiedeva una norma del 2004 poi abrogata) non faceva perdere il diritto alla detrazione ristrutturazioni. È un precedente utile per sottolineare la tendenza a distinguere tra adempimenti formali non essenziali e requisiti sostanziali. Anche se specifico, mostra come la Cassazione riconosca il bonus se la sostanza (la spesa per ristrutturazione) c’è, anche se il contribuente non ha dettagliato alcune voci come chiedeva la norma secondaria.

In uno scenario di simulazione pratica, immaginiamo qualche caso per vedere come applicare queste regole:

  • Caso 1: Tizio detrae spese per €10.000 per lavori di restauro conservativo nel 2023. Nel 2024 riceve lettera controllo formale: mancano due bonifici su tre. – Se Tizio ha semplicemente dimenticato di inviarli ma li ha fatti, potrà produrli in sede di autotutela o ricorso e la cosa si risolve (il controllo 36-ter viene annullato mostrando i bonifici). Se invece proprio non li ha fatti (pagò in contanti i materiali), perderà la parte relativa. Probabilmente conviene in adesione riconoscere quell’importo come indebita e salvare il resto con sanzioni ridotte. In giudizio sarebbe perso, perché le fonti giurisprudenziali sono contrarie (Cass.18768/25).
  • Caso 2: Caio, imprenditore individuale, deduce nel 2022 €20.000 di costi per ristrutturare un ufficio in affitto. L’ufficio chiude nel 2023 e Caio non rinnova il contratto. – Accertamento AE 2025: contesta deduzione integrale, dicendo che doveva ripartirli su più anni o che non c’è inerenza perché ha chiuso l’attività lì. Difesa: Caio può richiamare Cass.15248/24 sostenendo che all’epoca l’intervento era strumentale (anche se poi l’attività è cessata, l’inerenza c’era potenzialmente) . Inoltre, le norme (post 2014) direbbero di dedurli sulla durata residua del contratto: in questo caso il contratto è cessato anticipatamente, quindi al limite dedurli in due anni (2022 e 2023) non è fuori legge. Bisognerà far leva su queste interpretazioni per evitare la ripresa. Possibile esito: accordo in adesione magari dimezzando la sanzione.
  • Caso 3: Sempronio, genero convivente, paga i lavori nella casa intestata al suocero e detrae. Gli notificano un accertamento perché “lei non è possessore né detentore, quindi non aveva diritto”. – Difesa di Sempronio: presentare certificato di residenza storico che lo vede convivente col suocero da prima dei lavori; citare Risoluzione 64/E/2016 e Cass.5584/2022 che confermano il diritto per il convivente. Probabile vittoria del contribuente in CTP già, visto il solido appiglio normativo (Statuto contrib. art.1 c.1 L.449/97 richiamata) e giurisprudenziale.
  • Caso 4: Imputazione di plusvalenza su vendita immobile ristrutturato in quanto l’AE considera indebitamente detratte certe spese e dunque riduce il costo fiscalmente riconosciuto. – Questo è trasversale: se l’AE vince nel dire che quelle spese non erano detraibili, potrebbe anche non riconoscerle nel costo. Diventa più complicato: andrebbero fatte contestazioni incrociate anche su quell’aspetto. È un esempio di come una questione di detrazione IRPEF può influire su altri tributi (in questo caso Irpef su plusvalenza). Il giudice però tendenzialmente dovrebbe attenersi all’atto impugnato (se è su detrazioni, decide su quello; se poi c’è atto su plusvalenza, quello sarebbe altro giudizio).

In definitiva, tenersi aggiornati sulla giurisprudenza è essenziale: le norme cambiano e la loro interpretazione pure. Nel 2022 si pensava che la comunicazione ENEA facesse decadere – nel 2024 la Cassazione ha detto il contrario . Un avvocato tributarista deve quindi verificare sempre le ultime pronunce (specie di Cassazione) prima di consigliare se fare ricorso e come argomentare.

Domande frequenti (FAQ) su detrazioni ristrutturazioni e contenzioso

Di seguito una serie di domande comuni che ci si pone in materia di contestazione di spese di ristrutturazione non detraibili, con risposte concise basate su quanto esposto finora:

D: Quali spese di ristrutturazione non sono detraibili?
R: Non sono detraibili le spese che non rientrano nelle categorie previste dalla legge (art.16-bis TUIR e norme collegate). Ad esempio, manutenzioni ordinarie su immobili privati (tinteggiatura interna, rifacimento intonaci interni, riparazioni di rubinetterie) sono escluse , così come le spese per nuove costruzioni o ampliamenti che aumentano la volumetria originaria. Sono inoltre escluse dal bonus ristrutturazioni le spese non documentate o pagate in nero, le spese per immobili non residenziali (il bonus ristrutturazioni è per edifici residenziali, salvo parti comuni condominiali anche se il condominio include unità non abitative) e spese per pure forniture di mobili/elettrodomestici non legate a una ristrutturazione (in quel caso c’è semmai il Bonus Mobili dedicato). Voci come progetti edilizi, autorizzazioni, oneri urbanizzazione sono invece detraibili se inerenti all’intervento agevolato.

D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate contesta una detrazione per ristrutturazione?
R: In genere il contribuente riceverà un avviso di accertamento (se la contestazione emerge da controlli sull’intera dichiarazione) oppure una comunicazione di irregolarità seguita da una cartella (se è controllo formale 36-ter mirato alle detrazioni). A quel punto, come visto, il contribuente può difendersi presentando documenti mancanti, chiedendo autotutela all’ufficio se c’è un errore, o attivando l’accertamento con adesione per trovare un accordo. Se non si risolve, dovrà presentare ricorso al giudice tributario entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. È importante non ignorare la contestazione: se non si fa nulla, l’atto diventa definitivo e l’importo contestato verrà iscritto a ruolo per la riscossione forzata.

D: Ho scoperto di non aver usato il bonifico parlante per alcuni pagamenti: posso rimediare in qualche modo per non perdere la detrazione?
R: Purtroppo, se il pagamento è già stato effettuato con modalità non idonee (es. bonifico ordinario privo di causale fiscale, assegno o contanti), non esiste un vero rimedio retroattivo per renderlo “parlante”. Non è possibile, ad esempio, rifare il pagamento a posteriori e annullare il precedente. L’unica speranza è che si tratti di un errore formale sanabile: ad esempio, se il bonifico è stato fatto ma senza indicare il codice fiscale o con causale incompleta, alcuni uffici accettano una dichiarazione integrativa del fornitore che attesti la riconducibilità del pagamento ai lavori agevolati (e la ritenuta d’acconto bancaria è stata comunque applicata). Questo tipo di sanatoria rientra nel concetto di errore formale non impeditivo. Ma se proprio il bonifico dedicato manca, la detrazione su quella spesa non spetta . In sede di controllo, l’Agenzia recupererà l’imposta relativa e le sanzioni. Il consiglio, se si è in tempo (es. non ancora presentata la dichiarazione dei redditi con quella detrazione), è di non detrarre affatto quella spesa irregolare, oppure di sanare l’errore presentando una dichiarazione integrativa e versando il dovuto (ravvedimento) prima che venga contestato, per evitare sanzioni piene.

D: Ho dimenticato di inviare la comunicazione ENEA per acquisto elettrodomestici/climatizzatore collegato a ristrutturazione: rischio di perdere la detrazione?
R: No, attualmente non dovresti perdere la detrazione. Come chiarito da ultimo dalla Cassazione, la comunicazione all’ENEA ha scopo di monitoraggio e non è un requisito tassativo per il bonus . Inoltre l’Agenzia stessa, con la Risoluzione 46/E/2019, ha confermato che l’omissione o ritardo non comporta il diniego del beneficio . Ciò detto, è sempre meglio inviarla anche tardivamente (remissione in bonis): oggi è consentito inviare i dati in ritardo entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi successiva, pagando una sanzione di €250 (remissione in bonis) per mettersi in regola formalmente. Questa procedura sanante mette al riparo da qualsiasi contestazione sull’ENEA.

D: Posso detrarre le spese se la casa su cui ho fatto i lavori non è intestata a me?
R: Sì, ma solo in alcuni casi molto specifici. Puoi detrarre se sei detentore dell’immobile (affittuario o comodatario) e sostieni tu le spese, oppure se sei un familiare convivente di chi possiede/detiene l’immobile (coniuge, parente entro terzo grado, affine entro secondo grado) e paghi tu i lavori . Fuori da queste ipotesi, no. Ad esempio, fidanzati non conviventi: se uno paga lavori su casa dell’altro, non c’è diritto. Un genitore che paga lavori su casa del figlio non convivente: non spetta (a meno che il genitore non abbia un diritto di abitazione/usufrutto su quella casa). Nel tuo caso devi valutare: se sei convivente (risulti nello stesso stato di famiglia anagrafico al momento dei lavori) allora sì, puoi beneficiare della detrazione come familiare convivente . Se invece non lo eri, l’unica è fare intestare le fatture e i bonifici al proprietario e lasciare che sia lui a detrarre. Attenzione: se l’immobile è in comodato d’uso verbale, per l’Agenzia tu saresti detentore solo se il contratto di comodato è registrato. La Cassazione però, come detto, ha soprasseduto su questo formalismo in casi di convivenza di fatto .

D: Dopo aver iniziato a detrarre le quote, ho venduto la casa. Posso continuare a detrarre io le rate residue?
R: Non automaticamente. La regola generale (art.16-bis co.8 TUIR) è che la detrazione non utilizzata si trasferisce all’acquirente dell’immobile per le rate rimanenti. Solo se nell’atto di vendita hai concordato per iscritto che il diritto alle detrazioni residue resti a te venditore, allora puoi continuare tu a detrarre . Tale clausola va inserita nel rogito. Se non l’hai fatto, dal momento del rogito in poi le quote spettano all’acquirente. Quindi, se hai continuato a detrarre indebitamente, l’Agenzia te le contesterà. In quel caso, potrai solo cercare di rifarti eventualmente sull’acquirente (se da qualche parte nel prezzo avevate tenuto conto di questo beneficio – ma spesso l’acquirente neanche sa e non le sta nemmeno detraendo). Se invece c’è la clausola di accordo diverso, in sede di contenzioso dovrai esibirla per provare il tuo diritto a proseguire con le detrazioni.

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento che mi toglie il bonus ristrutturazioni e mi chiede imposte e sanzioni. Devo pagarle subito?
R: Non immediatamente l’intero importo, ma attenzione ai tempi. Entro 60 giorni puoi: – presentare istanza di accertamento con adesione, sospendendo il pagamento finché dura la procedura (max 90 gg); – oppure fare ricorso (ed eventualmente reclamo/mediazione).

Trascorsi i 60 giorni senza che tu abbia né pagato né impugnato, l’accertamento diventa definitivo ed esecutivo, e l’Agenzia lo manderà a riscossione coattiva. Se fai ricorso, l’accertamento è esecutivo comunque per 1/3 delle imposte contestate anche in pendenza di giudizio (questo 1/3 va di regola pagato dopo i 60 gg, a meno tu ottenga dal giudice una sospensione provvisoria). Il restante 2/3 viene “congelato” fino alla sentenza di primo grado. Quindi in pratica, se ricorri e non hai la sospensiva, dovrai versare il 30% circa del totale contestato. Se poi vincerai, ti sarà restituito con interessi. Se perdi, dovrai pagare il resto più interessi. Le sanzioni in genere non sono dovute finché la sentenza non le conferma (perché l’1/3 riguarda solo le imposte). Però dal 2022 c’è la possibilità anche di sospendere l’esecutività dell’atto presentando garanzie, ma sono opzioni poco usate dai privati. In sintesi: verifica bene con un professionista se chiedere la sospensiva al giudice (se l’importo e la tua situazione lo giustificano) e mettiti nell’ordine di idee di pagare almeno parzialmente in corso di causa. Se invece trovi un accordo in adesione, dovrai pagare quanto concordato (di solito rateizzabile).

D: L’importo contestato è basso (circa €3.000). Posso difendermi da solo o mi serve per forza un avvocato?
R: Attualmente, per cause di valore fino a €3.000 (al netto di sanzioni e interessi) era consentito stare in giudizio senza assistenza tecnica, presentando il ricorso personalmente. Dal 2023, la riforma ha abbassato questa soglia a €1.000 e con prospettiva di eliminarla (nel senso di richiedere sempre un difensore tecnico). Dato che €3.000 > €1.000, formalmente dovresti farti assistere da un difensore abilitato (avvocato, commercialista, consulente del lavoro nelle materie di competenza, ecc.). Considera però che spesso per importi piccoli conviene tentare tutte le vie amministrative (autotutela, mediazione) che magari risolvono senza arrivare all’udienza. Inoltre, esistono modalità “semplificate” di ricorso: alcune Direzioni permettono di inviare osservazioni in autotutela e risolvono casi bagatellari. In ogni caso, se decidi di fare da solo, rischi di non formulare bene i motivi in diritto. Valuta il costo di un professionista rispetto al beneficio: su €3.000 magari il commercialista che ti ha fatto il 730 può aiutarti a predisporre il ricorso per un costo contenuto.

D: Sono un professionista: posso detrarre (in realtà dedurre) le spese di ristrutturazione dello studio?
R: Sì, ma con alcune differenze rispetto ai privati. Tu non avrai diritto al bonus 50% come credito IRPEF (che è solo per immobili abitativi), ma potrai dedurre come costo le spese di ristrutturazione dell’immobile adibito a studio professionale, secondo le regole del TUIR per i redditi di lavoro autonomo. Se lo studio è in un immobile di tua proprietà esclusivamente destinato all’attività, le spese di manutenzione straordinaria sono deducibili al 100%, ma vanno ripartite in più anni se di importo elevato (criteri analoghi a quelli d’impresa, anche se il TUIR non disciplina dettagliatamente il caso dei professionisti – spesso si applica per analogia la regola del 5% su immobili strumentali). Se lo studio è in casa tua (uso promiscuo abitazione/ufficio), allora il TUIR (art. 54) consente di dedurre solo il 50% delle spese relative all’immobile. Quindi se rifai l’impianto elettrico nella stanza studio di casa, potrai dedurre metà del costo. Attenzione che per i professionisti non vige l’obbligo del bonifico parlante ai fini della deducibilità (quello serve per le detrazioni IRPEF che tu non fruisci), ma comunque per motivi di tracciabilità e IVA ti conviene pagare con mezzi tracciati. In caso di controllo, dovrai dimostrare l’inerenza dei lavori all’attività: se ristrutturi l’intero appartamento ma solo una stanza è studio, l’Agenzia potrebbe contestare una deduzione maggiore del dovuto. Quindi magari suddividi le fatture (lavori area studio vs area casa) o predisponi una percentuale ragionevole e coerente.

D: In caso di esito negativo del contenzioso, rischio anche sanzioni penali?
R: Nel contesto di detrazioni fiscali su ristrutturazioni, difficilmente si configura un reato tributario, a meno di situazioni eccezionali. I reati come la dichiarazione infedele scattano se l’imposta evasa supera soglie alte (oltre €100.000 per dichiarazione infedele) e se l’ammontare degli elementi attivi sottratti supera il 10% del reddito dichiarato e comunque più di €2 milioni. Una detrazione di ristrutturazione indebitamente usata di solito comporta qualche migliaio di euro di IRPEF evasa, difficilmente oltre 100k, quindi non rientra nel penale. Diverso sarebbe se avessi falsificato documenti (es. fatture false per lavori mai fatti, o attestazioni mendaci): lì potrebbe configurarsi una truffa ai danni dello Stato o altri reati, specialmente in ambito di crediti ceduti (pensiamo alle frodi sul Superbonus). Ma se parliamo di un contribuente che in buona fede o per errore ha detratto spese non spettanti, la questione rimane amministrativa. Le sanzioni sono solo economiche (generalmente il 90% dell’imposta, riducibile se definisci come visto). Quindi, niente panico: perdere la causa ti costerà soldi, ma non ti porterà in galera. Assicurati solo di pagare poi il dovuto, per non aggravare la posizione con aggiunta di interessi di mora e strumenti coattivi.

D: Quali sono le principali fonti ufficiali da consultare per capire se una spesa è detraibile?
R: Oltre alla norma di legge (art.16-bis TUIR e relative proroghe in Leggi di Bilancio), ti consiglio: – la Guida dell’Agenzia delle Entrate “Ristrutturazioni edilizie – Le agevolazioni fiscali”, disponibile sul sito AE (in pdf, aggiornata periodicamente; l’ultima edizione completa è Ottobre 2022, più eventuali aggiornamenti con inserti per novità 2023-25). È scritta in modo divulgativo ma corretto, e include FAQ. – Le Circolari esplicative, in particolare la Circolare 13/E/2019 (che era una guida 2019 alle dichiarazioni con un capitolo sul 50%), la 7/E/2021 (guida spese familiari), la 28/E/2022 e la Circular 8/E/2025 sulle novità della manovra 2025 . – Le Risoluzioni e risposte ad interpello su casi specifici: ad esempio la Risoluzione 64/E/2016 sul familiare convivente, la Risposta interpello 524/2021 su casi di vendita immobili, ecc. Si trovano sul sito dell’Agenzia (sezione “Normativa e Prassi” > interpelli). – Il sito della Giustizia Tributaria – Portale delle Corti dove a volte sono pubblicate massime di sentenze. E ovviamente le banche dati giuridiche per cercare sentenze di Cassazione (anche il sito istituzionale della Corte di Cassazione permette ricerche per numero di sentenza). – Infine, riviste specializzate e siti di aggiornamento fiscale (Il Sole 24 Ore – Quotidiano Fisco, Eutekne.info, FiscoOggi – la rivista online Entrate, etc.) che commentano le novità giurisprudenziali. Ad esempio articoli come quello di FiscoOggi 10/04/2024 sul caso ENEA o di Immobiliare.it 16/07/2025 sul bonifico parlante sono utili per capire l’orientamento.

D: Ho vinto in Commissione (Corte) Tributaria in primo grado, l’Agenzia ha fatto appello ma mi ha proposto di conciliare offrendomi una piccola riduzione della sanzione. Che faccio?
R: Dipende. Se hai vinto completamente in primo grado, sei in una posizione favorevole: statisticamente oltre il 70% delle volte la sentenza di primo grado viene confermata se non ci sono errori macroscopici. Inoltre ora l’Agenzia, per appellare, avrà dovuto depositare garanzia del 50% dell’imposta , segno che anche per loro c’è un impegno. La proposta di conciliazione comporta che tu rinunci comunque a una parte di ciò che hai ottenuto (pagando magari una quota di imposta o sanzione). Valuta: se la somma in gioco non è alta e vuoi chiudere per non avere più pensieri, può andar bene accettare la conciliazione (magari trattando per migliorare l’offerta, ad es. sanzioni quasi azzerate, pagamento solo imposta senza interessi, ecc.). Se invece sei convinto di avere diritto al 100% e la controparte ti offre briciole, allora tanto vale andare avanti: se vinci anche in appello, finisce lì (è raro che l’Agenzia vada in Cassazione per importi modesti, a meno che non ci sia un principio di diritto fondamentale da chiarire). Considera anche i tempi: accettando conciliazione avrai definito la questione subito (e dovrai pagare il pattuito entro 20 giorni dall’accordo). Proseguendo, magari attendi altri 1-2 anni per l’appello e poi forse Cassazione. Spesso chiudere prima, anche cedendo qualcosina, conviene in termini di stress e tempo. Un ultimo elemento: in caso di vittoria definitiva, puoi chiedere il rimborso delle spese legali allo Stato (di solito liquidate dal giudice qualche centinaio di euro). Nella conciliazione di solito ciascuno le tiene a proprio carico. Non sono quasi mai elevate comunque. In sintesi: se la proposta è equa e ti dà serenità, accetta; se ti penalizza ingiustamente rispetto alla solidità del tuo caso, prosegui fiducioso.

Conclusione: Le contestazioni su spese di ristrutturazione possono intimorire, ma con un’adeguata preparazione normativa e documentale è spesso possibile difendersi efficacemente. Il debitore-contribuente deve innanzitutto conoscere le regole del gioco (cosa è detraibile e come) per evitare errori; in caso di contestazione, deve muoversi tempestivamente usando tutti gli strumenti a disposizione – dal dialogo con l’ufficio finanziario agli eventuali rimedi giudiziari. Questa guida ha fornito un quadro avanzato e aggiornato ad agosto 2025 delle normative, prassi e sentenze in materia, utile sia al professionista che assiste il contribuente, sia al privato cittadino o imprenditore che voglia capire i propri diritti e doveri. Come sempre in ambito tributario, la chiave è documentare tutto, rispettare le formalità (specie il famigerato bonifico parlante) e, se sorgerà un contenzioso, non improvvisare ma farsi assistere da esperti, portando davanti al Fisco o al giudice fatti concreti e fonti normative/giurisprudenziali a supporto . Con un approccio consapevole, molte insidie possono essere affrontate e risolte, assicurandosi di usufruire dei benefici fiscali spettanti senza incorrere in sanzioni.

Fonti: – D.P.R. 22 dic. 1986 n.917, art. 16-bis (detrazione recupero edilizio) .
– Agenzia Entrate, Circolare 21/E/2024 (Autotutela tributaria obbligatoria/facoltativa) .
– Corte di Cassazione, sez. V, ord. n. 18768/2025 – obbligo del bonifico parlante per detrazioni edilizie .
– Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 7657/2024 – omessa comunicazione ENEA non causa decadenza Ecobonus .
– Corte di Cassazione, sez. V, ord. n. 5584/2022 – detrazione spettante al familiare convivente senza titolo di detenzione registrato .
– Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 15248/2024 – deducibilità per l’impresa di costi di ristrutturazione su immobile locato, inerenza come criterio .
– AA.VV., prassi Agenzia Entrate e dottrina citate nel testo (Circolari, Risoluzioni, Guide).
– Ordinanza della Corte di Cassazione n. 7532 del 26.03.20.
– CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2022, n. 7691
– Agenzia delle Entrate: istruzioni operative sull’autotutela tributaria (Circolare n. 21/E)
– LEGGE 27 luglio 2000, n. 212
– Legge – 27/07/2000 – n. 212 art. 11 – (Interpello) 1 2 3 (A).

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune spese di ristrutturazione indicate nella tua dichiarazione dei redditi sono state ritenute non detraibili? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché alcune spese di ristrutturazione indicate nella tua dichiarazione dei redditi sono state ritenute non detraibili?
Vuoi sapere quali sono i motivi più frequenti e come puoi difenderti senza perdere l’agevolazione?

Il bonus ristrutturazioni è una delle agevolazioni fiscali più utilizzate, ma anche una delle più controllate. L’Agenzia delle Entrate verifica che le spese siano realmente ammesse dalla normativa e che siano rispettati tutti i requisiti formali.

👉 Una contestazione non significa automaticamente perdere il diritto alla detrazione: spesso si tratta di errori sanabili o di interpretazioni restrittive.


⚖️ Perché scattano le contestazioni

  • Spese non collegate a interventi agevolabili (es. arredi, lavori di manutenzione ordinaria su immobili non condominiali);
  • Mancanza di titolo edilizio (CILA, SCIA, permesso a costruire) quando richiesto;
  • Pagamenti effettuati senza bonifico parlante;
  • Fatture incomplete o intestate a soggetti diversi dal beneficiario;
  • Errori nella dichiarazione dei redditi o importi non coerenti con la documentazione presentata.

📌 Conseguenze possibili

  • Recupero delle detrazioni già fruite;
  • Sanzioni e interessi sulle somme contestate;
  • Possibile estensione dei controlli ad altri bonus edilizi collegati (ecobonus, bonus mobili, superbonus).

🔍 Come difendersi

  1. Analizza l’atto di contestazione: individua quali spese sono state escluse.
  2. Raccogli la documentazione: fatture, bonifici parlanti, titoli edilizi, certificazioni tecniche.
  3. Dimostra la riconducibilità dei lavori a interventi agevolati dalla normativa.
  4. Contesta eventuali errori dell’Agenzia: a volte le spese vengono escluse ingiustamente per formalismi.
  5. Presenta memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se la revoca è illegittima.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza le spese contestate e individua le motivazioni della revoca;
  • 📌 Ricostruisce la documentazione necessaria per dimostrare la spettanza della detrazione;
  • ✍️ Redige memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare le somme richieste;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Valuta soluzioni alternative, come regolarizzazioni o definizioni agevolate.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in bonus ristrutturazioni e agevolazioni edilizie;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa da revoche fiscali;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le contestazioni sulle spese di ristrutturazione non detraibili sono sempre più frequenti, ma non sempre fondate.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la correttezza delle spese sostenute, ridurre le pretese del Fisco e mantenere il beneficio.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sulle spese di ristrutturazione inizia qui.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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