Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per aver usufruito delle detrazioni per figli a carico? Questo beneficio fiscale è tra i più richiesti dai contribuenti, ma anche tra i più controllati. Se il Fisco ritiene che i requisiti non siano rispettati, può revocare la detrazione e chiedere il recupero delle somme, con sanzioni e interessi.
Chi sono i figli a carico ai fini fiscali
Un figlio è considerato fiscalmente a carico se:
– Ha un reddito annuo non superiore alla soglia prevista dalla legge (attualmente 2.840,51 euro, elevata a 4.000 euro per i figli fino a 24 anni)
– È minorenne, oppure maggiorenne ma senza redditi propri sufficienti
– È residente in Italia o all’estero, purché il genitore dichiari i suoi redditi in Italia
– È mantenuto dal genitore, anche se non convivente
Quando scattano le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate
– Se il figlio ha superato i limiti di reddito previsti dalla legge
– Se mancano i documenti che provano il rapporto di parentela o il mantenimento
– Se entrambi i genitori hanno applicato la detrazione senza rispettare i criteri di ripartizione
– Se il figlio risulta a carico di un altro soggetto fiscale
– Se vi sono incongruenze tra i dati dichiarati e quelli in possesso del Fisco (es. certificazioni uniche, redditi da lavoro o da borse di studio non dichiarati)
Cosa rischi in caso di contestazione
– Perdita del beneficio fiscale con recupero delle somme già detratte
– Applicazione di sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta recuperata
– Addebito di interessi di mora
– Ulteriori controlli su altre detrazioni o agevolazioni familiari (spese scolastiche, mediche, universitarie)
Come difendersi da una contestazione sulle detrazioni per figli a carico
– Dimostrare con certificati anagrafici o autocertificazioni il rapporto di parentela
– Presentare documentazione che attesti il mantenimento effettivo del figlio (spese, trasferimenti bancari, rette scolastiche)
– Verificare i redditi effettivi del figlio e dimostrare che rientrano nei limiti di legge
– Contestare eventuali errori del Fisco nell’incrocio dei dati (es. borse di studio esenti, redditi non imponibili)
– Dimostrare la corretta ripartizione della detrazione tra i genitori secondo la normativa
– Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria se la contestazione non è fondata
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare la contestazione e verificare la legittimità dell’atto
– Raccogliere e organizzare la documentazione a sostegno del diritto alla detrazione
– Contestare gli errori di calcolo e le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate
– Redigere memorie difensive e ricorsi per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa
– Tutelare il contribuente da ulteriori accertamenti collegati
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– Il riconoscimento della detrazione per figli a carico e l’annullamento della contestazione
– La riduzione delle sanzioni grazie alla dimostrazione della buona fede
– La sospensione delle procedure esecutive connesse
– La tutela del patrimonio familiare da richieste indebite
– La certezza di pagare solo quanto effettivamente dovuto
⚠️ Attenzione: molte contestazioni sulle detrazioni per figli a carico derivano da semplici errori di calcolo o da redditi del figlio non correttamente considerati. Con la giusta documentazione e una difesa ben impostata è possibile ribaltare la contestazione.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria – ti spiega come affrontare le contestazioni sulle detrazioni per figli a carico e come difenderti dalle pretese ingiuste del Fisco.
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Introduzione
Introduzione: Le detrazioni fiscali per figli a carico rappresentano un importante beneficio IRPEF per i contribuenti con famiglia, riducendo l’imposta dovuta in proporzione al numero di figli che non producono redditi sufficienti. Tuttavia, può accadere che l’Agenzia delle Entrate contesti la spettanza di queste detrazioni, ad esempio tramite controlli automatizzati o formali sulla dichiarazione dei redditi. In questi casi il contribuente si trova nella posizione di “debitore” verso il Fisco, e deve sapere come difendersi efficacemente: dall’analisi della normativa applicabile (in continua evoluzione, con novità rilevanti fino ad agosto 2025) fino alle strategie da adottare in sede amministrativa e contenziosa.
In questa guida approfondita (oltre 10.000 parole, livello avanzato, taglio operativo per avvocati tributaristi, ma comprensibile anche a privati e imprenditori esperti) illustreremo:
- La normativa italiana vigente sulle detrazioni per figli a carico (requisiti, limiti di età e di reddito, novità introdotte di recente), con riferimenti a fonti autorevoli e alle ultime sentenze in materia.
- Le modalità di controllo adottate dal Fisco (controlli automatizzati ex art. 36-bis DPR 600/73, controlli formali ex art. 36-ter, richieste di documentazione, ecc.) che possono dar luogo a contestazioni sulle detrazioni.
- Le differenze nelle contestazioni e nelle tutele a seconda che il contribuente sia un privato lavoratore dipendente/pensionato oppure un titolare di reddito d’impresa o lavoro autonomo (partita IVA).
- I profili sanzionatori connessi alle detrazioni non spettanti (sanzioni amministrative, recenti riforme che ne hanno ridotto l’entità , ed eventuali profili penali nelle ipotesi più gravi).
- Le strategie difensive a disposizione del contribuente: come reagire all’arrivo di una comunicazione di irregolarità o di un avviso di accertamento (dalla presentazione di documenti in autotutela al ricorso innanzi alla nuova Corte di Giustizia Tributaria, ex Commissione Tributaria ).
- Tabelle riepilogative e casi pratici simulati per chiarire in modo schematico gli aspetti più complessi (ad esempio, riepilogo di limiti e importi delle detrazioni, confronto tra controlli 36-bis e 36-ter, tempistiche e sanzioni nelle varie fasi).
- Una sezione finale di Domande e Risposte (FAQ), per rispondere ai quesiti più frequenti: “Cosa succede se entrambi i genitori hanno detratto al 100% lo stesso figlio?”, “Quali documenti devo presentare se l’Agenzia chiede prove sul figlio a carico?”, “Posso fare ricorso subito contro l’avviso bonario?”, ecc.
Nota bene: Questa guida fornisce un orientamento generale, ma ogni situazione concreta presenta peculiarità proprie. In caso di contestazioni fiscali significative è consigliabile farsi assistere da un professionista qualificato sin dalle prime fasi. Inoltre, le norme e procedure descritte sono aggiornate ad agosto 2025, tenendo conto delle riforme introdotte fino a tale data. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate in calce, così che possiate verificare e approfondire ogni aspetto.
Normativa vigente: requisiti e limiti delle detrazioni per figli a carico (aggiornato 2025)
Prima di esaminare come difendersi dalle contestazioni, è fondamentale riepilogare chi ha diritto alle detrazioni per figli a carico e a quali condizioni, alla luce delle ultime modifiche normative. La disciplina di riferimento è l’art. 12 del TUIR (DPR 917/1986), più volte riformato negli ultimi anni. Ecco i punti chiave:
1. Nozione di “figlio fiscalmente a carico”: un figlio (naturale, adottivo, affiliato o affidato) si considera a carico di un genitore se nell’anno d’imposta il suo reddito complessivo annuo non supera una certa soglia prevista dalla legge . Tale soglia è attualmente:
- €2.840,51 di reddito annuo lordo, se il figlio ha 24 anni o più;
- €4.000,00 di reddito annuo, se il figlio ha meno di 24 anni (soglia più elevata introdotta dalla L. 205/2017 a partire dal 2019) .
Esempio: se nel 2024 un figlio ventenne ha percepito €3.500 di reddito (es. lavoretto estivo), rimane sotto il limite di €4.000 e può essere considerato a carico; se invece un figlio trentenne ha percepito €3.500, supera il limite di €2.840,51 e non è fiscalmente a carico, pur trattandosi di cifra modesta. Non rileva il fatto che il figlio sia economicamente autosufficiente o meno: ciò che conta è solo il dato formale del reddito annuo sotto soglia . La Corte di Cassazione ha chiarito che “non è necessario accertare se il reddito del familiare consenta o meno l’autosufficienza economica dello stesso, essendo la detrazione agganciata a un dato formale, quale il possesso di redditi inferiori alla soglia di legge” . In altre parole, anche un figlio maggiorenne convivente e disoccupato è a carico se il suo reddito annuo rientra nei limiti di legge, mentre un figlio che guadagna anche poco più di tali soglie non può essere considerato a carico (e quindi nessuna detrazione spetta per lui).
2. Limiti di età e impatto dell’Assegno Unico (2022): fino al 2021 la detrazione per figli a carico spettava per tutti i figli indipendentemente dall’età, purché rispettato il limite di reddito. Dal 1º marzo 2022, con l’entrata in vigore dell’Assegno Unico Universale (AUU) per i figli, la situazione è cambiata: non spettano più detrazioni IRPEF per i figli di età inferiore a 21 anni, poiché tale beneficio è stato assorbito dall’assegno unico erogato dall’INPS . In particolare, la Circolare Agenzia Entrate n. 4/E del 18.02.2022 ha chiarito che “dal 1° marzo 2022 cessano di avere efficacia le detrazioni fiscali per figli a carico minori di 21 anni, ivi incluse le maggiorazioni per figli minori di tre anni e per figli con disabilità, nonché la detrazione per famiglie numerose (almeno quattro figli)” . Dunque:
- Per figli under 21 (20 anni o meno) dal 2022 non si applicano più le detrazioni art. 12 TUIR, a fronte dell’introduzione dell’Assegno Unico mensile.
- Fanno eccezione eventuali periodi prima di marzo 2022: ad esempio, nei primi due mesi del 2022 era ancora riconosciuta la detrazione in busta paga per i figli, poi sostituita dall’assegno unico da marzo in avanti (come previsto dalla normativa transitoria ).
- Le detrazioni per figli di 21 anni o più sono rimaste in vigore anche dopo il 2022 (in quanto tali figli non beneficiano dell’Assegno Unico).
3. Novità 2025 – età massima e requisiti di cittadinanza: con la Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) il legislatore ha ulteriormente ristretto l’ambito delle detrazioni per figli a carico. In particolare, dall’1 gennaio 2025 l’art. 12 TUIR, comma 1, lett. c) è stato modificato così :
- Le detrazioni per figli a carico sono riconosciute solo per i figli di età pari o superiore a 21 anni ma inferiore a 30 anni (21–29 anni) e per i figli di età pari o superiore a 30 anni se disabili ai sensi della L. 104/1992 . Ciò significa che un figlio non disabile con 30 o più anni d’età non dà più diritto ad alcuna detrazione, anche se privo di reddito e convivente. Prima di questa modifica, non c’era un limite massimo di età (era teoricamente possibile avere a carico anche figli ultratrentenni se senza reddito): dal 2025 invece la soglia di 30 anni viene introdotta come limite (salvo disabilità).
- Inoltre, viene inserito un nuovo comma 2-bis nell’art. 12 TUIR che esclude il diritto alle detrazioni per i contribuenti cittadini di Paesi extra-UE/SEE in relazione ai familiari residenti all’estero . In pratica, dal 2025 un contribuente non italiano/UE che ha figli a carico ma li ha lasciati nel Paese d’origine non potrà più godere delle detrazioni (questa norma recepisce un orientamento restrittivo già applicato in via amministrativa). Se invece i familiari risiedono in Italia o in UE/SEE, o se il contribuente è cittadino UE, la detrazione spetta alle condizioni ordinarie.
Per ricapitolare chi può beneficiare delle detrazioni per figli a carico a partire dal 2025, la tabella seguente illustra i requisiti anagrafici e reddituali:
Categoria di figlio | Età nel 2025 | Detrazione IRPEF spettante? | Soglia di reddito annuo figlio |
---|---|---|---|
Figlio minorenne (0–20 anni) | < 21 anni | ❌ NO (Assegno Unico in sostituzione) | non rileva ai fini IRPEF |
Figlio maggiorenne giovane | 21–24 anni | ✅ SÌ (dal mese in cui compie 21 anni) | €4.000 (soglia elevata < 24 anni) |
Figlio adulto (non disabile) | 25–29 anni | ✅ SÌ (se a carico) | €2.840,51 annui |
Figlio adulto (non disabile) | ≥ 30 anni | ❌ NO (limite 30 anni introdotto dal 2025) | – (nessuna detrazione spettante) |
Figlio con disabilità (qualsiasi età) | < 21 anni | ❌ NO (Assegno Unico anche per minori disabili) | non rileva ai fini IRPEF |
Figlio con disabilità (qualsiasi età) | ≥ 21 anni | ✅ SÌ (sempre, senza limiti di età) | €2.840,51 annui (o €4.000 se <24 anni) |
Nota: Il limite di reddito di €2.840,51 è fisso dal 2015 (equivalente a 2.840.000 lire, mai aggiornato all’inflazione), mentre quello di €4.000 si applica dal 2019 per i figli under-24. Le soglie vanno considerate al lordo degli oneri deducibili ed includono la quasi totalità dei redditi (compresi redditi esenti percepiti da organismi internazionali, Vaticano, ecc., come specificato nell’art. 12 TUIR ). Pertanto, se un figlio percepisce, ad esempio, borse di studio esenti o redditi esteri, bisognerà valutarli attentamente ai fini del limite.
4. Importi teorici della detrazione per ciascun figlio: l’art. 12 TUIR fissa l’ammontare massimo della detrazione spettante per ogni figlio a carico. Tali importi base, dopo le modifiche 2025, sono:
- €950 per ciascun figlio a carico (nell’ambito 21–29 anni, o ≥30 se disabile) . Questo è l’importo “pieno” della detrazione per figlio.
- Maggiorazioni che erano previste in passato (ad esempio +€200 per famiglie numerose con ≥4 figli, +€400 per figli <3 anni, ecc.) non sono più applicabili dal 2022, essendo anch’esse confluite nell’Assegno Unico . Ad esempio la maggiorazione per i figli <3 anni è stata assorbita dall’assegno unico, così come il bonus per famiglie numerose.
Va sottolineato che i €950 per figlio sono teorici: la detrazione effettivamente usufruibile da ciascun genitore dipende dal suo reddito complessivo annuale. In base alla norma, l’importo di €950 si riduce all’aumentare del reddito del contribuente, seguendo una formula di proporzionalità inversa. In particolare, la detrazione totale per figli (ripartita tra i genitori) spetta per intero fino a €95.000 di reddito familiare di riferimento, e si azzera oltre tale soglia, con un meccanismo di scaling. Il calcolo semplificato è:
Detrazione effettiva per ciascun figlio = €950 × (95.000 – Reddito complessivo genitore) / 95.000 (se si ha più di un figlio, la soglia di €95.000 aumenta di €15.000 per ogni figlio oltre il primo ).
Ad esempio, un genitore con reddito di €40.000 annui, avendo diritto teoricamente a €950, vedrà la sua detrazione ridotta a circa: €950 × (95.000–40.000)/95.000 ≈ €550 . Oltre €95.000 di reddito (per un solo figlio), la formula darebbe risultato negativo e quindi la detrazione si considera zero. Se però il genitore ha due figli a carico, la soglia sale a €110.000, permettendo di usufruire ancora di qualcosa anche con reddito >95k. Questo meccanismo favorisce le famiglie numerose, evitando che con redditi medio-alti perdano completamente il beneficio.
5. Ripartizione tra genitori (caso genitori coniugati o conviventi): in situazione “normale” (genitori non separati), la detrazione per ciascun figlio va ripartita al 50% tra i due genitori aventi diritto, salvo diverso accordo. La legge consente infatti, in caso di genitori coniugati o conviventi, di attribuire l’intera detrazione ad uno solo dei due, a patto che l’altro vi rinunci. Tipicamente, si opta per attribuirla al 100% al genitore con reddito più elevato (quindi con imposta lorda maggiore, per massimizzarne l’utilizzo) . Negli appositi moduli o in dichiarazione dei redditi, questa scelta viene indicata specificando la “percentuale di detrazione spettante” a ciascun genitore (100%-0% oppure 50%-50%). Se non viene indicato nulla, l’Agenzia presume una ripartizione 50/50.
Caso di entrambi i genitori con reddito: se entrambi lavorano e pagano IRPEF, possono decidere liberamente come suddividersi le detrazioni per i figli, purché la somma non superi il 100%. Ad esempio, potrebbero fare 50/50, oppure 100% a uno e 0% all’altro (opzione frequente se uno dei due coniugi ha reddito basso e non riesce a sfruttare tutta la detrazione).
Questa flessibilità, però, può dar adito a errori e contestazioni: se entrambi i genitori indicano erroneamente “100%” nelle rispettive dichiarazioni o moduli al sostituto, il Fisco se ne accorgerà e contesterà che hanno fruito di una detrazione doppia. In tali casi di doppia detrazione indebita, in genere l’Agenzia rettifica riconoscendo a ciascuno il 50% e richiedendo la differenza a chi ha ecceduto. Vedremo oltre come difendersi in queste situazioni.
6. Ripartizione in caso di genitori separati o divorziati: qui le regole differiscono leggermente. Se i genitori sono legalmente ed effettivamente separati (o divorziati), la detrazione per i figli spetta, in mancanza di accordo diverso, al 50% ciascuno (anche se i figli risiedono prevalentemente con uno dei due). Tuttavia, se vi è un affidamento esclusivo dei figli ad un genitore, la normativa prevede che tutta la detrazione spetti a quest’ultimo, salvo accordo contrario . Quindi:
- Affidamento esclusivo ad un genitore: detrazione al 100% a quel genitore (a meno che l’altro, pur non affidatario, contribuisca al mantenimento e si concordi di ripartire in altra misura).
- Affidamento congiunto/condiviso: detrazione 50% ciascuno, a meno di accordo per attribuire al genitore con reddito più alto (anche tra separati è possibile accordarsi per il 100% a uno).
Un problema pratico sorge quando un genitore separato ha reddito talmente basso da non poter usufruire della detrazione (ad esempio, perché incapiente). In tali casi sarebbe logico far utilizzare interamente la detrazione all’altro genitore che sostiene effettivamente l’onere di mantenimento. La Cassazione ha affrontato la questione: nella sent. n. 18392/2018 ha cassato la decisione di un giudice tributario che aveva negato al padre la detrazione al 100% nonostante la madre non avesse redditi. Gli Ermellini hanno ricordato che già il vecchio art. 12 TUIR (vigente nel 2004) prevedeva la ripartizione “in proporzione all’effettivo onere sostenuto da ciascuno” ; e nella normativa odierna (affidamento congiunto) si conferma che, in mancanza di accordo diverso, è 50% ciascuno, ma ciò presuppone che entrambi i genitori abbiano oneri e redditi. Nel caso di specie la madre non lavorava e non contribuiva economicamente: la Cassazione ha dunque riconosciuto che la detrazione spetta interamente al padre, unico ad aver sostenuto il mantenimento . Questo principio può essere invocato dal contribuente in sede di ricorso se l’Ufficio rigidamente applica il 50%-50% in situazioni palesemente squilibrate.
Un’altra questione risolta di recente riguarda il passaggio alla maggiore età dei figli in famiglie separate: serve un nuovo accordo tra i genitori quando il figlio compie 18 anni? Secondo alcuni uffici, raggiunta la maggiore età decadrebbe automaticamente l’assetto precedente (es. madre affidataria che usufruiva al 100%) e occorrerebbe ridiscutere la ripartizione. La Cassazione, ordinanza n. 15224/2025, ha invece chiarito che nessuna norma impone un nuovo accordo alla maggiore età: in assenza di diverso accordo, resta valida la percentuale precedentemente applicata . Nel caso deciso, la madre con affidamento esclusivo aveva continuato a detrarre al 100% anche dopo i 18 anni dei figli; l’Agenzia contestava che senza accordo successivo avrebbe dovuto prendere solo il 50%. La Suprema Corte ha dato ragione alla contribuente, sottolineando che la prassi dell’Agenzia stessa (Circ. 15/E/2007 e 34/E/2008) confermava tale continuità . Dunque, nessuna automatica variazione al 50% quando i figli diventano maggiorenni: se prima uno dei due genitori detraeva al 100% per decisione (o per affidamento esclusivo), continua così finché non intervenga eventualmente un nuovo accordo o cambi l’affidamento.
7. Spese detraibili per i figli a carico: oltre alla detrazione “base” per figlio, ricordiamo brevemente che esistono molte spese detraibili o deducibili legate ai figli (es. spese mediche, spese di istruzione, attività sportive, assicurazioni, contributi colf/baby sitter, ecc.). Queste seguono regole proprie (art. 15 TUIR per le detrazioni al 19%, art. 10 per deduzioni, ecc.) e spettano anch’esse solo se il figlio è fiscalmente a carico. Ad esempio: le spese universitarie del figlio sono detraibili al 19%, ma solo se il figlio ha reddito sotto €2.840/4.000; se il figlio non è a carico, i genitori non possono portarle in detrazione. Su questo tema è interessante notare una pronuncia della Cassazione che ha tutelato il genitore che paga spese per il figlio a carico ma non figura come beneficiario della detrazione base art. 12. Nello specifico, la Cass. ord. 34344/2019 ha statuito che il diritto alla detrazione di tali oneri (es. spese sanitarie e di istruzione) spetta al genitore che ha sostenuto la spesa nell’interesse del figlio a carico, a prescindere dal fatto che quel genitore abbia fruito o meno della detrazione per carichi di famiglia (art. 12) . In altre parole, anche se in dichiarazione un genitore non aveva indicato il figlio tra i suoi carichi (perché magari la detrazione base era stata presa al 100% dall’altro coniuge), ciò non gli preclude di detrarre le spese se è lui ad averle pagate. La prova si dà tramite l’intestazione dei documenti di spesa: se la ricevuta/fattura è intestata al genitore, la detrazione spetta a lui; se intestata al figlio, va ripartita tra i due in proporzione al sostenimento effettivo (o 50/50 in mancanza di indicazioni) . Questa sentenza è utile da conoscere perché l’Agenzia in sede di controllo formale ex 36-ter a volte negava la detrazione di spese mediche sull’assunto che “il figlio non risultava a carico del padre al 50%”. Ora è chiaro che conta solo la condizione sostanziale (figlio con reddito sotto soglia) e la prova di chi ha pagato – non l’aver fruito o meno della detrazione base .
Riassumendo sul piano normativo: dopo il 2022 le detrazioni per figli sono fortemente ridimensionate (riservate ai figli over 21, e dal 2025 solo fino a 30 anni se non disabili). È importante per il contribuente conoscere questi limiti, sia per evitare errori in dichiarazione (ad es. non indicare figli che non danno più diritto, come i minorenni dopo marzo 2022 o i figli ultra30enni dal 2025), sia per capire se una contestazione del Fisco è fondata oppure no. Ad esempio, se nel 2023 un padre ha erroneamente inserito un figlio di 10 anni tra i carichi, la contestazione sarà difficilmente difendibile, in quanto quella detrazione non spettava ex lege (il figlio minorenne rientra nell’assegno unico, non nel TUIR). Diverso è il caso di un figlio ventiduenne: lì la detrazione spetta se il reddito del figlio è entro i limiti e se si è seguita la corretta ripartizione tra genitori – una contestazione su un figlio 22enne potrebbe invece dipendere da un controllo dei redditi (magari il figlio ha superato €4.000 di reddito) o da doppia fruizione (entrambi i genitori al 100%). Per inquadrare bene le possibili contestazioni, passiamo ora a esaminare come operano i controlli dell’Agenzia.
Controlli fiscali e contestazioni: automatizzati (36-bis) vs formali (36-ter)
Le contestazioni sulle detrazioni per figli a carico emergono tipicamente a seguito di due tipologie di controllo sulla dichiarazione dei redditi: il controllo automatizzato e il controllo formale. Entrambi sono disciplinati dal DPR 600/1973 (rispettivamente agli artt. 36-bis e 36-ter) e mirano a verificare la correttezza delle dichiarazioni presentate, ma con modalità e finalità diverse. Comprendere come nascono queste contestazioni aiuta il contribuente a individuare la strategia difensiva più efficace.
Controllo automatizzato (art. 36-bis DPR 600/1973): si tratta di un controllo effettuato dall’Agenzia delle Entrate tramite procedure informatiche, subito dopo l’elaborazione della dichiarazione dei redditi (sia mod. 730 che Redditi PF). Non vi è un intervento umano valutativo, bensì un sistema che incrocia i dati dichiarati con quelli presenti nell’Anagrafe Tributaria e verifica la correttezza formale e matematica. Nel caso dell’IRPEF, il sistema controlla ad esempio: i calcoli dell’imposta, gli importi dei pagamenti F24 effettuati, i dati delle Certificazioni Uniche dei sostituti d’imposta (per redditi di lavoro/pensione), eventuali doppie indicazioni di codici fiscali, ecc. .
- Per quanto riguarda le detrazioni per familiari a carico, il controllo automatizzato può far emergere incongruenze quali: doppia fruizione della stessa detrazione (es. figlio indicato a carico al 100% su due dichiarazioni diverse con CF coincidente), oppure sforamento dei limiti di reddito del figlio (perché il sistema incrocia il CF del figlio con eventuali dichiarazioni presentate dallo stesso figlio o con CU attestanti redditi a lui erogati). Ad esempio, se Tizio padre dichiara il figlio Caio a carico, ma il sistema trova che Caio ha presentato egli stesso un 730 con reddito di €6.000, allora la detrazione non spetta e verrà segnalata un’imposta inferiore versata. Oppure, se moglie e marito indicano entrambi il figlio al 100%, il sistema calcolerà che le detrazioni totali superano il massimo consentito e individuerà l’anomalia.
- L’esito del controllo automatizzato è la predisposizione di una “comunicazione di irregolarità” (nota anche come avviso bonario). In essa l’Agenzia elenca le differenze riscontrate rispetto al dichiarato e riliquida l’imposta dovuta di conseguenza. Queste comunicazioni sono inviate al contribuente (per raccomandata A/R o PEC, o rese disponibili nel cassetto fiscale) e non costituiscono ancora atti impositivi definitivi, bensì inviti a regolarizzare. Difatti la legge (D.Lgs. 462/1997) prevede che il contribuente abbia un termine (30 giorni, ora esteso a 60 giorni dal 2025 ) per pagare le somme o segnalare errori. Il carattere “bonario” sta proprio nel fatto che, in questa fase, le sanzioni sono ridotte per incentivare la definizione (tipicamente, solo il 10% dell’imposta invece del 30% , vedi oltre sezione sanzioni).
- Un aspetto cruciale: l’invio della comunicazione è un passaggio obbligato in caso di “incertezze” o “irregolarità” riscontrate con 36-bis. La mancata preventiva comunicazione rende nulla la successiva cartella di pagamento, per violazione del diritto al contraddittorio . La Cassazione (sent. n. 12023/2015) ha stabilito che se c’è incertezza (ad es. una detrazione dubbia), l’omesso invio dell’avviso bonario non permette di applicare subito la sanzione piena in cartella . Quindi l’Agenzia deve inviare l’avviso bonario 36-bis e attendere il termine prima di iscrivere a ruolo le somme; se ciò non avvenisse (caso raro, ma possibile per errore), il contribuente potrebbe eccepire la nullità della cartella per omessa attivazione del contraddittorio.
In sintesi, il controllo automatizzato genera contestazioni “standardizzate”, spesso relative a errori palesi o incroci di dati. La difesa del contribuente in questa fase consiste nel verificare l’effettiva fondatezza aritmetico-formale della pretesa: talvolta l’errore può essere dell’Agenzia (es.: un pagamento F24 non abbinato correttamente, un codice fiscale letto male, ecc.) e basta segnalarlo perché venga annullato senza sanzioni. Altre volte il sistema applica rigidamente la regola (es.: figlio con reddito €2.900 → nessuna detrazione) ma il contribuente potrebbe avere elementi da far valere (es.: quel reddito era esente per legge, quindi non andrebbe contato). Approfondiremo più avanti come interloquire con l’Agenzia in questa fase.
Controllo formale (art. 36-ter DPR 600/1973): è un secondo livello di controllo, effettuato da funzionari dell’Agenzia su un campione di dichiarazioni, con lo scopo di verificare la correttezza documentale dei dati dichiarati. In pratica, l’ufficio può chiedere al contribuente di esibire o trasmettere la documentazione che prova il diritto a deduzioni, detrazioni o crediti indicati in dichiarazione. Tra le verifiche tipiche ex 36-ter ci sono quelle su: spese mediche (scontrini, fatture), interessi mutuo, spese ristrutturazione (bonifici), e in generale tutte le spese detraibili. Per quanto riguarda i figli a carico, i controlli formali mirano a confermare che effettivamente il contribuente aveva diritto alla detrazione indicata. Ad esempio, possono consistere nel richiedere: certificati di stato di famiglia o autocertificazioni per verificare il legame familiare, certificazioni di reddito del figlio per controllare che non abbia superato la soglia, eventuali accordi di separazione per capire la percentuale spettante, certificati di invalidità se si è usufruito di detrazioni per figlio disabile, ecc. Spesso il 36-ter su questo tema è conseguente a un 36-bis: se il sistema ha segnalato un’anomalia e non è stata risolta in fase bonaria, l’ufficio avvia il controllo formale chiedendo i documenti giustificativi prima di emettere la rettifica.
- Proceduralmente, l’ufficio invia al contribuente un invito a fornire documenti (di norma entro 30 giorni). È importante rispondere puntualmente, perché in caso di mancata risposta o documentazione insufficiente, l’ufficio procederà a disconoscere le detrazioni non supportate da prove . Ad esempio, se erano state dichiarate detrazioni per figli e il contribuente non fornisce nulla, l’Agenzia potrebbe presumere che i requisiti mancassero (figlio non a carico) e calcolare l’imposta senza quelle detrazioni.
- Al termine del controllo formale, l’esito viene comunicato con un avviso di irregolarità analogo a quello del 36-bis (ma riferito al controllo formale). Anche qui il contribuente riceve una comunicazione di esito del controllo con l’indicazione delle somme da versare. Il termine per pagare o opporsi è uguale (30 giorni, ora 60 dal 2025) , e valgono le stesse sanzioni ridotte in caso di pagamento tempestivo. In genere, la comunicazione 36-ter è molto dettagliata, riportando quali oneri sono stati disconosciuti e perché (es.: “detrazione per figlio Caio non spettante per redditi del figlio superiori a €X”).
- Se il contribuente fornisce i documenti richiesti e questi risultano in regola, l’ufficio confermerà le detrazioni e non procederà oltre. Se invece i documenti rivelano che la detrazione era parzialmente o totalmente indebita, verrà calcolata la differenza d’imposta. Importante: anche per il controllo formale la legge impone il contraddittorio anticipato: l’ufficio deve comunicare l’esito e attendere 30 (ora 60) giorni prima di iscrivere a ruolo, similmente al 36-bis . Pertanto, il contribuente ha sempre la chance di pagare con sanzione ridotta o di contestare i risultati prima che si arrivi alla cartella.
Uno scenario frequente di controllo formale su figli a carico è quando due genitori hanno entrambi beneficiato al 100%: l’ufficio può chiedere copia della dichiarazione dell’altro coniuge o un’attestazione per capire come mai entrambi hanno dichiarato la stessa cosa. Oppure se un figlio ha presentato egli stesso dichiarazione (magari con un piccolo reddito) e il genitore l’ha comunque indicato a carico, il controllo formale serve a confermare i redditi del figlio. In alcuni casi viene proprio notificata una contestazione formale (avviso 36-ter) che riduce dal 100% al 50% la detrazione e recupera la differenza . È il caso tipico delle coppie separate: se uno ha preso il 100% ma dall’accordo risultava affido condiviso, l’Agenzia tende a rettificare a 50% ciascuno (a meno di dimostrare che l’altro non aveva diritto perché incapiente, come visto sopra).
Differenze principali tra 36-bis e 36-ter (riassunto):
- Il 36-bis (controllo automatizzato) verifica errori materiali e incroci di dati, senza chiedere documenti al contribuente. Produce una comunicazione di irregolarità con calcolo matematico. È sostanzialmente un ricalcolo dell’imposta dichiarata confrontata con pagamenti e dati noti.
- Il 36-ter (controllo formale) invece richiede documentazione al contribuente per giustificare le voci dichiarate. Vi è un intervento umano che valuta le pezze giustificative e decide se qualcosa non spettava. È più mirato e approfondito.
- Entrambi prevedono un avviso bonario e la possibilità di definire con sanzioni ridotte . Entrambi se ignorati portano poi a un’iscrizione a ruolo e cartella di pagamento.
- Dal punto di vista dei tempi, il controllo automatizzato avviene di solito entro pochi mesi dalla presentazione della dichiarazione (spesso entro l’anno successivo); il controllo formale può arrivare più tardi, fino al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione (ad es., dichiarazione 2022 presentata nel 2023, controllo formale fino a fine 2026). Il 36-bis invece deve essere concluso entro il secondo anno successivo (dic. 2025 nell’esempio) – altrimenti la cartella sarebbe fuori termine di decadenza.
- Dal punto di vista delle impugnazioni, formalmente nessuno dei due avvisi bonari è immediatamente impugnabile (vedremo meglio più avanti), ma il contribuente può far valere le proprie ragioni: con istanza di autotutela all’ufficio in questi 30/60 giorni oppure, in casi particolari, anche con ricorso diretto (la Cassazione ha aperto a questa possibilità, se l’avviso contiene una pretesa compiuta , ma molti giudici di merito la rifiutano ).
Ecco una tabella riepilogativa sulle caratteristiche dei due controlli:
Caratteristica | Controllo automatizzato (36-bis) | Controllo formale (36-ter) |
---|---|---|
Oggetto | Verifica aritmetico-formale automatica (dati dichiarazione vs dati in Anagrafe: versamenti, CU, ecc.) . | Verifica documentale di oneri e detrazioni dichiarati, su richiesta di documenti . |
Ambito errori rilevati | Errori di calcolo, omessi versamenti, detrazioni/deduzioni duplicate o oltre limiti noti (es. doppio figlio a carico) . | Spese non spettanti per mancanza di documenti idonei, mancanza requisiti sostanziali (es. reddito figlio sopra soglia) emersi da documentazione. |
Interazione col contribuente | Nessuna richiesta preventiva di documenti; elaborazione informatica e invio diretto di comunicazione di irregolarità. | Richiesta di documenti al contribuente (entro 30 gg) prima di concludere il controllo. Contraddittorio più dialogico. |
Esito | Comunicazione di irregolarità (avviso bonario) con ricalcolo imposte, interessi e sanzione ridotta (1/3 o ora 1/5) . | Comunicazione di esito controllo formale (avviso bonario) con dettaglio dei documenti non accolti e somme dovute, sanzione ridotta. |
Termine per definire | 30 giorni dal ricevimento (estesi a 60 gg per avvisi emessi dal 2025 ; +30 gg se inviato via intermediario) . | 30 giorni (estesi a 60 dal 2025 analogamente) per pagare o fornire controdeduzioni/documenti integrativi. |
Sanzione in fase bonaria | Ridotta a 1/3 (cioè 10% se piena 30%; ~8,33% se piena 25% dal 2024) . Se avviso emesso entro 1 anno dalla scadenza, interessi ridotti (no moratori). | Ridotta a 1/3 (similmente). In caso di pagamento entro termini, nessuna ulteriore sanzione aggiuntiva. |
Fase successiva se non definito | Iscrizione a ruolo delle somme (imposta + interessi + sanzione intera, 30% o 25% ) e notifica Cartella di pagamento (atti dell’Agente Riscossione). | Idem: emissione del ruolo e Cartella esattoriale, contenente gli importi non pagati con sanzione piena e interessi di mora. |
Decadenza accertamento | 31 dicembre del 2° anno successivo a presentazione dich. (oltre, cartella nulla per decadenza). | 31 dicembre del 3° anno successivo (un anno in più per formalizzare l’esito). |
Atto impugnabile | La comunicazione in teoria non è tra atti impugnabili ex art.19 D.Lgs 546/92, salvo orient. Cassazione (ricorso anticipato possibile ma non sempre accolto) . Normalmente si impugna la cartella. | Idem: l’avviso bonario 36-ter di per sé non è atto impositivo definitivo. Il contribuente può attendere la cartella per il ricorso, oppure tentare ricorso immediato (con rischi). |
Particolarità | – Dal 2025, termine bonario 60gg uniformato a cartella . <br> – Se omesso invio avviso bonario in caso di incertezza, cartella nulla (Cass. 12023/15) . | – 36-ter spesso usato per richiedere prova delle detrazioni figli. <br> – Obbligo motivazione: se la cartella segue un 36-ter, deve riportare o allegare le ragioni (v. oltre) . |
Questa panoramica evidenzia come le contestazioni possano sorgere in modi diversi. In pratica:
- Se ricevete una comunicazione di irregolarità 36-bis, probabilmente l’errore contestato è di tipo “meccanico” (doppia detrazione, figlio non a carico per supero soglia, ecc.) e l’importo richiesto è in genere immediatamente chiaro e quantificato. Avete la possibilità di pagare una cifra relativamente contenuta (sanzione ridotta) o di segnalare all’Agenzia eventuali errori di calcolo. Se nulla viene fatto, seguirà una cartella con sanzione piena.
- Se ricevete una richiesta di documenti 36-ter riguardante i figli a carico, siete ancora in una fase istruttoria: è un’occasione per presentare tutte le prove a vostro favore (certificati, autocertificazioni, ecc.) per convincere l’ufficio che la detrazione era legittima. Qualora l’ufficio non si convinca, arriverà un avviso bonario formale, simile a quello automatizzato ma basato sulle evidenze (o mancate evidenze) documentali. Anche qui potete pagare o far valere le vostre ragioni (eventualmente contestando la valutazione fatta, ad esempio se i documenti li avevate inviati ma non sono stati considerati).
Controlli ulteriori (accertamenti veri e propri): Va segnalato che, al di fuori dei controlli automatizzati/formali, l’Agenzia può ovviamente svolgere accertamenti più ampi (es: verifica fiscale, accertamento analitico, ecc.) che includano anche le detrazioni per figli tra le voci contestate. Ciò però avviene di solito solo in casi di evasione più rilevante o situazioni complesse. Nella stragrande maggioranza dei casi, le contestazioni sulle detrazioni familiari avvengono in sede di 36-bis/36-ter. Un esempio di accertamento “oltre” il 36-ter potrebbe essere: il Fisco scopre che un contribuente ha dichiarato un figlio a carico che in realtà non è suo figlio (magari ha indicato un nipote spacciandolo per figlio), allora potrebbe configurare dichiarazione infedele e procedere con un avviso di accertamento ad hoc, con sanzioni ben più alte anche sul piano penale. Ma situazioni del genere sono residuali. Per questa guida, assumeremo che le contestazioni siano quelle tipiche post-dichiarative riscontrate dai controlli automatizzati o formali.
Focus: spesso il contribuente riceve la comunicazione di irregolarità e si chiede “Perché mi contestano proprio questo importo?”. Nel caso dei figli a carico, alcune contestazioni tipiche sono:
- Figlio non spettante per reddito: viene richiesto l’importo di imposta corrispondente alla detrazione fruita, poiché il figlio non aveva diritto a essere a carico (es: soglia superata di €1000 -> circa €95-285 di detrazione non spettante a seconda del reddito del genitore).
- Figlio già considerato dall’altro genitore: se entrambi hanno avuto la detrazione piena, all’uno o ad entrambi viene richiesto quanto indebitamente usufruito. Spesso l’Agenzia ricalcola spettando 50%-50% e quindi notifica a ciascuno un conguaglio.
- Detrazione non più prevista dalla legge: ad esempio, detrazione per figlio minorenne nel 2022 oltre febbraio – l’Agenzia la annulla in toto perché “cessata efficacia dal 1/3/2022”, richiedendo l’intero importo fruito.
- Maggiorazione non spettante: se il contribuente avesse comunque applicato vecchie maggiorazioni (tipo 4 figli) dopo che non c’erano più, verrebbe recuperata.
- Errori di ripartizione: es. contribuente dichiara erroneamente 100% ma doveva essere 50%: allora la metà detrazione è considerata non spettante e viene recuperata.
- Figlio duplicato nella stessa dichiarazione: caso raro, ma se per errore un figlio fosse inserito due volte, il sistema toglierebbe la duplicazione.
Chiarito il perché delle contestazioni, affrontiamo ora il come difendersi nelle varie fasi: cosa fare subito dopo aver ricevuto l’avviso bonario, come gestire la fase amministrativa e, se necessario, quella del contenzioso tributario.
Cosa fare se arriva una contestazione: difesa in fase amministrativa (avviso bonario)
Quando il contribuente riceve la comunicazione di irregolarità (sia essa derivante da controllo automatizzato o formale), è fondamentale agire tempestivamente entro i termini indicati. In questa fase amministrativa si hanno essenzialmente due opzioni: regolarizzare pagando quanto richiesto (magari dopo aver verificato la fondatezza) oppure contestare i rilievi fornendo chiarimenti e documenti all’Agenzia. Vediamo entrambe le ipotesi dal punto di vista pratico.
Caso A: La contestazione è fondata – conviene pagare subito (adesione con sanzioni ridotte)
Se, dopo attenta verifica, riconoscete che l’Agenzia ha ragione (ad esempio: effettivamente vostro figlio ha superato il reddito e vi siete sbagliati a considerarlo a carico, oppure vi siete accorti che sia voi che l’altro genitore avete fruito della stessa detrazione), pagare l’importo entro il termine bonario è quasi sempre la scelta consigliabile. I motivi sono:
- Sanzioni ridotte in misura molto vantaggiosa: pagando entro i 30/60 giorni dell’avviso bonario usufruite della riduzione della sanzione (che in sede di comunicazione è pari a 1/3 del minimo, ossia circa il 10% dell’imposta dovuta, oppure ~8,33% per violazioni 2024 in poi con sanzione base 25%) . Al contrario, se lasciate scadere l’avviso e attendete la cartella, vi verrà applicata la sanzione intera (30% o 25%). L’impatto è notevole: es. su €1.000 di IRPEF da versare per detrazioni non spettanti, pagare entro il termine comporta €100 di sanzione (10%), mentre dopo si salirebbe a €300 (30%) . Anche ipotizzando la sanzione ridotta a 25% dal 2024, pagare subito significherebbe circa €83 invece di €250 . Insomma, si risparmia un importo significativo.
- Evitare interessi di mora e riscossione coattiva: l’avviso bonario richiede gli interessi solo fino alla data di elaborazione, che di solito sono modesti (interessi giornalieri dal giorno successivo al saldo IRPEF di quell’anno, spesso pochi mesi). Se si ignora e si arriva alla cartella esattoriale, scatteranno gli interessi di mora dal 61º giorno dopo la notifica del ruolo, ad un tasso non trascurabile (circa il 5% annuo attualmente) , e soprattutto gli aggi di riscossione (ulteriore 3-6% a favore dell’Agente della Riscossione) . Inoltre, la cartella se non pagata entro 60 gg espone a misure come fermi amministrativi, pignoramenti, ecc. Tutti costi e rischi che si evitano definendo subito la pendenza in via bonaria .
- Chiusura immediata della questione, senza contenzioso: pagando l’avviso bonario, la posizione si regolarizza automaticamente e l’Agenzia non emetterà ulteriori atti su quella contestazione . Non sarà necessario imbarcarsi in un ricorso tributario con tempi lunghi, costi (contributo unificato, eventuali spese legali) e incertezza dell’esito. Dopo il pagamento (in unica soluzione o dell’ultima rata, se rateizzato) l’irregolarità è sanata; è bene conservare le ricevute e verificare nel proprio cassetto fiscale che lo stato risulti “definito”.
Dunque, se “si ha torto”, l’adesione immediata conviene. Come si paga un avviso bonario? In genere la comunicazione stessa contiene i modelli F24 precompilati con gli importi dovuti, suddivisi per tributo, sanzione ridotta e interessi, da versare in un’unica soluzione oppure indicando la prima rata se si opta per la rateazione . Si può utilizzare direttamente quei modelli (o riportarne i codici e importi su un F24 ordinario, avendo cura di indicare il codice atto). Se la comunicazione arriva via PEC, spesso c’è un PDF riepilogativo con gli estremi per pagare. L’importante è rispettare la scadenza indicata per non perdere la definizione agevolata. Il pagamento può anche essere fatto online tramite il servizio dell’Agenzia (sezione pagamenti con codice atto).
Rateazione: la legge consente di dilazionare l’importo se è elevato. Pagando tempestivamente la prima rata entro il termine, si attiva automaticamente la rateizzazione ex D.Lgs. 462/1997 . Le regole principali:
- Se le somme dovute (imposta + interessi + sanzione ridotta) non superano €5.000, si può ottenere fino a 8 rate trimestrali (due anni) .
- Se superano €5.000, fino a 20 rate trimestrali (5 anni) . L’Agenzia di solito indica nel prospetto di calcolo il piano massimo ammesso e l’importo di ciascuna rata. Ad esempio, un debito totale di €11.000 può essere rateizzato in 20 trimestri da ~€550 ciascuno (più interessi legali sulle rate successive) oppure in un numero minore a scelta.
- Sulle rate successive alla prima si pagano interessi al tasso legale (3,5% annuo nel 2023, salito al 5% dal 2024) , calcolati dal giorno successivo alla scadenza della prima rata. Sono importi contenuti (qualche decina di euro su base annua, variabili col tasso).
- Decadenza della rateazione: se non si paga una rata entro la scadenza della successiva, la rateazione salta e l’intero residuo diventa esigibile in una volta (verrà iscritto a ruolo con sanzioni piene, detraendo quanto già pagato) . Quindi, è fondamentale non saltare le rate.
Esempio: Caio riceve un avviso bonario per detrazioni non spettanti con €10.000 tra imposte+interessi e €1.000 di sanzioni ridotte (totale €11.000). Può chiedere fino a 20 rate, ma decide per 8 rate trimestrali: paga ~€1.375 come prima rata entro 60 gg, e poi altre 7 rate da €1.375 ogni 3 mesi . Se paga puntualmente tutte, fine dei problemi; se invece saltasse una rata, l’Agenzia iscriverà a ruolo il residuo con sanzioni intere (30% sull’imposta residua, detraendo le sanzioni già pagate in sede bonaria pro quota) . Quindi attenzione a pianificare bene i pagamenti.
Ravvedimento operoso: talvolta ci si chiede se, avendo ricevuto l’avviso bonario, sia possibile evitare la sanzione del 10% facendo ravvedimento operoso (che di per sé potrebbe ridurre la sanzione a percentuali anche più basse, es. 1/8 del minimo = 3,75%). La risposta è no: quando l’irregolarità è già stata constatata dall’ufficio (avviso bonario inviato), non è più ammesso il ravvedimento per quella violazione . Il ravvedimento è uno strumento di regolarizzazione spontanea, possibile solo “finché l’irregolarità non sia stata constatata o non siano iniziati accessi/ispezioni” (art. 13 D.Lgs. 472/97) . Nel momento in cui l’Agenzia vi comunica formalmente l’esito del controllo, la violazione è conclamata e occorre seguire la procedura ex D.Lgs. 462/97, ovvero pagare con la sanzione già ridotta a 1/3 (che è meno conveniente delle ipotesi di ravvedimento super-anticipato, ma purtroppo non più accessibili) . In sintesi: dopo l’avviso bonario, niente ravvedimento. L’unica eccezione può essere: se prima di ricevere la comunicazione vi eravate accorti dell’errore (es.: figlio non a carico) e avete presentato una dichiarazione integrativa e pagato con sanzioni ridotte, allora l’avviso bonario eventualmente non arriverà o potrà essere annullato provando di aver già sanato.
Caso B: La contestazione è (in tutto o in parte) infondata – come contestarla e chiarire all’Agenzia
Capita spesso che il contribuente non condivida i rilievi dell’Agenzia. Ad esempio: vi contestano che il figlio non era a carico, ma voi sapete che il suo reddito era sotto soglia (magari l’Agenzia ha considerato un reddito che in realtà era esente, o ha fatto confusione di codici fiscali); oppure contestano la doppia fruizione ma in realtà avevate un accordo col coniuge e l’altro ha rinunciato formalmente; o ancora, vi hanno tolto la detrazione per affidamento condiviso al 50% ma l’ex coniuge non avendo reddito vi aveva lasciato il 100%. In tutti questi casi bisogna attivarsi per far correggere o annullare la pretesa.
Gli strumenti a disposizione in questa fase sono principalmente:
- Invio di chiarimenti e documenti all’ufficio (istanza di autotutela o risposta all’avviso bonario stesso).
- Richiesta di annullamento/rettifica in autotutela se l’errore è palese.
- Eventualmente, impugnazione immediata dell’avviso bonario (ma, come vedremo, è un percorso insidioso, da valutare con cautela).
a) Rispondere all’Agenzia nei 30/60 giorni: in ogni comunicazione di irregolarità è indicato come comunicare con l’ufficio (PEC, servizi online, call center o appuntamento in ufficio locale). È buona norma, se si ritiene sbagliata la contestazione, inviare entro il termine una memoria con i dovuti chiarimenti e documenti. Ad esempio, se vi contestano che il figlio ha superato il reddito per €100, ma quel figlio percepiva una borsa di studio esente, potete produrre la documentazione che lo attesta, spiegando che quel reddito andava escluso dal computo e quindi la detrazione spettava. Oppure, nel caso di doppia detrazione con il coniuge: produrre una dichiarazione firmata dall’altro genitore in cui questi dichiara di aver erroneamente fruito anche lui dell’agevolazione e che siete d’accordo nell’attribuirla interamente a voi (o viceversa). O ancora, se l’Agenzia contesta che “dopo la maggiore età serviva nuovo accordo”, si può allegare copia delle Circolari 15/E 2007 e 34/E 2008 e la recente Cassazione 2025 per dimostrare che non è richiesta alcuna variazione e chiedere l’annullamento del rilievo.
In altri termini, dialogare con l’ufficio in questa fase può portare a:
- Un annullamento totale dell’avviso bonario, se fornite prove convincenti che la pretesa era infondata (l’ufficio può emettere una comunicazione di sgravio).
- Una riduzione parziale degli importi, se ad esempio alcuni rilievi erano giusti e altri no. In tal caso, potreste accordarvi per pagare la parte dovuta e far rettificare il resto. È possibile infatti definire parzialmente l’avviso bonario: pagare la quota su cui siete d’accordo, lasciando contestata la restante. Se fate ciò entro i termini, l’Agenzia poi iscriverà a ruolo solo la parte non pagata, con sanzioni piene su quella, e potrete fare ricorso su quella parte . Un esempio: avviso chiede €4.000 per due rilievi; uno da €3.000 lo riconoscete giusto, l’altro da €1.000 no. Potete pagare €3.000 (comprensivo di imposte, interessi, sanzioni ridotte su quel rilievo) entro 60 gg, e non pagare il restante €1.000 . L’Agenzia a quel punto iscriverà a ruolo solo l’importo non pagato, con sanzione intera su di esso, e potrete impugnare la cartella limitatamente a quella parte . Attenzione: in caso di pagamento parziale è fondamentale versare esattamente gli importi corrispondenti ad uno dei rilievi (imposta + interessi + sanzioni relative), altrimenti il sistema potrebbe considerare l’intero avviso non definito e iscrivere comunque a ruolo differenze minime residue . Conviene in questi casi coordinarsi con l’ufficio per avere conferma di come attribuire correttamente il pagamento. Comunque, la legge consente la definizione parziale (art.2 comma 2 D.Lgs. 462/97).
- Se l’ufficio ignora o rigetta i vostri chiarimenti e non pagate, l’avviso bonario decorsi i 30/60 gg sfocerà in cartella. A quel punto difenderete le vostre ragioni in sede di ricorso. Però aver inviato chiarimenti può giocare a vostro favore: intanto l’ufficio ne era a conoscenza (potrebbe decidere in extremis di sgravare in autotutela prima della cartella, se li rivaluta); inoltre, in giudizio potrete mostrare di aver subito segnalato l’errore all’Agenzia senza esito, rafforzando la vostra posizione.
b) Autotutela: è in parte sovrapponibile al punto a). Significa chiedere formalmente all’Amministrazione di annullare in tutto o in parte l’atto perché viziato da errore. Nel contesto dell’avviso bonario, più che un atto da impugnare è una fase pre-contenziosa: la vostra risposta con documenti può essere vista come un’istanza di autotutela. L’Agenzia ha facoltà (non obbligo) di accogliere l’istanza e annullare/ridurre l’importo se riconosce l’errore. Spesso, se l’errore è oggettivo e documentato, l’autotutela viene accolta. Ad esempio, se dimostrate che il CF del figlio era stato indicato male e in realtà il figlio giusto non aveva redditi, l’ufficio annullerà la contestazione. L’autotutela può essere invocata anche per vizi procedurali (es: comunicazione inviata a indirizzo sbagliato, ecc.), ma su quelli l’ufficio tende a dire “li valuterà il giudice, noi andiamo avanti”. Comunque tentar non nuoce: presentate sempre le vostre ragioni all’ufficio prima di arrivare al ricorso.
c) Impugnare subito l’avviso bonario? In generale, la comunicazione di irregolarità non è un atto impugnabile (non è un avviso di accertamento né una cartella, ex art.19 D.Lgs. 546/92). Negli ultimi anni però la Cassazione ha aperto uno spiraglio: ha detto che se l’avviso bonario contiene già una pretesa definita e non vi sono altri atti da emanare, può essere impugnato immediatamente come atto lesivo . Ad esempio Cass. 25297/2014 e altre sentenze hanno ritenuto ammissibile il ricorso anticipato contro l’avviso bonario 36-bis. Tuttavia, questa strada è rischiosa per due motivi:
- Non tutte le Commissioni/Corti di Giustizia Tributaria di primo grado seguono l’indirizzo della Cassazione. Alcune potrebbero dichiarare inammissibile il ricorso, sostenendo che l’atto non era impugnabile . Ci si ritroverebbe così ad aver fatto un ricorso inutile, con rischio di dover poi pagare anche le spese di giudizio.
- Il ricorso contro avviso bonario non sospende automaticamente la riscossione . L’ufficio, decorso il termine di 30/60 gg, tenderà comunque a iscrivere a ruolo se non ha visto il pagamento, anche se sa del ricorso (non essendo un atto sospensivo). Dovreste quindi contestualmente chiedere al giudice una sospensiva cautelare, con esito incerto e aggravio di procedura.
In sintesi, l’impugnazione immediata dell’avviso bonario è un’extrema ratio, consigliabile solo se: l’importo è molto alto, l’ufficio non vuole sentire ragioni in autotutela, e avete una chiara posizione giuridica da far valere. Ad esempio, c’è stato chi ha impugnato subito un avviso sostenendo la nullità dell’atto per difetto di motivazione e ha vinto (quando l’Agenzia non aveva spiegato le ragioni del rilievo). Ma nella prassi comune, la via normale è attendere la cartella e impugnare quella, se non si trova soluzione bonaria.
Ricapitolando: se ritenete il rilievo infondato, usate il periodo bonario per fornire ogni elemento utile a convincere l’ufficio. Questo spesso evita proprio di dover poi litigare in giudizio. Solo se l’ufficio rimane sulle sue e siete certi del vostro diritto, allora preparatevi ad impugnare l’atto successivo (o in casi specifici, l’avviso stesso come detto).
Nei paragrafi seguenti entreremo nella fase contenziosa, cioè cosa fare quando si arriva alla cartella di pagamento o all’atto formale da impugnare, e quali difese si possono opporre davanti al giudice tributario, con particolare attenzione ai profili sanzionatori e ai vizi degli atti che spesso conducono all’annullamento delle pretese fiscali.
Difendersi in contenzioso: ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e strategie difensive
Se la fase amministrativa non ha risolto la contestazione (cioè se il contribuente non ha pagato per nulla o ha pagato solo in parte e rimane una pretesa pendente), l’Agenzia delle Entrate procederà a rendere esigibile il credito attraverso la notifica di un atto della riscossione. Nel contesto dei controlli 36-bis/36-ter, questo atto è normalmente la Cartella di pagamento, emessa dall’Agente della Riscossione (AdER, ex Equitalia) su iscrizione a ruolo dell’importo dovuto comunicato dall’Agenzia. Talvolta, soprattutto se sono scaduti i termini per il controllo formale, l’Agenzia potrebbe notificare un avviso di accertamento in rettifica immediatamente esecutivo in luogo della cartella, ma per le detrazioni minori è raro. In ogni caso, cartella o avviso di accertamento, ci troviamo davanti a un atto impositivo definitivo, contro cui è possibile (e necessario, se si vuole contestare) presentare ricorso alla neonata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione dal 2023 delle Commissioni Tributarie Provinciali).
Vediamo come impostare la difesa in giudizio:
1. L’atto da impugnare e i termini: la cartella di pagamento va impugnata entro 60 giorni dalla notifica (termine perentorio stabilito dall’art. 21 D.Lgs. 546/92) . Lo stesso termine vale per un eventuale avviso di accertamento. Se l’importo contestato (solo tributo, senza sanzioni/interessi) non supera una certa soglia – attualmente €50.000 – la presentazione del ricorso introduce automaticamente una fase di reclamo/mediazione obbligatoria : in pratica, il ricorso viene prima trattato dall’ufficio per 90 giorni per tentare un accordo, e solo se non si concilia diventa processo vero e proprio. È utile saperlo: ad esempio, se contestate €1.000 di IRPEF su un figlio a carico, il vostro ricorso sarà prima esaminato dall’Agenzia stessa; in quella sede potete magari ottenere una riduzione sanzioni o un annullamento parziale tramite mediazione. Importante: le cartelle da controllo automatizzato rientrano tra gli atti “mediabili” , quindi se fate ricorso su una cartella derivante da 36-bis, aspettatevi un tentativo di mediazione (che potete anche sollecitare offrendo una soluzione, es. pagamento imposta senza sanzioni).
Se l’importo supera €50.000 o la mediazione fallisce, si andrà davanti al giudice tributario (CGT) in contraddittorio. È sempre possibile, anche in corso di causa, trovare un accordo con l’ufficio tramite conciliazione giudiziale, che comporta riduzione delle sanzioni al 50% (o 1/3 se conciliazione fuori udienza, dipende dai casi). Nel nostro contesto, però, se si arriva a contenzioso spesso è perché il contribuente ritiene di aver ragione piena, e punterà quindi all’annullamento totale.
2. Motivi di ricorso: nel ricorso introduttivo occorre indicare tutti i motivi di impugnazione, distinguendo tra vizi di legittimità (formali/procedurali) e vizi di merito (sostanziali). Nel caso di detrazioni figli a carico, i motivi tipici possono includere:
- Errore di diritto o di fatto sull’applicazione della norma: es. l’ufficio ha disconosciuto la detrazione ma il figlio rientrava nei requisiti di legge. Oppure, l’ufficio ha preteso un accordo per la maggiore età dei figli che la legge non richiede . O ancora, non ha considerato che il figlio era disabile quindi senza limiti di età . Questi sono motivi di merito: il giudice dovrà verificare se la norma è stata applicata correttamente.
- Violazione del diritto al contraddittorio o procedimento errato: ad esempio, mancato invio dell’avviso bonario prima della cartella, in presenza di incertezza sui presupposti (violazione art. 6, c.5 Statuto Contribuente). Cassazione e giurisprudenza ormai convergono che la cartella è nulla se l’avviso bonario era dovuto e non è stato inviato . Nel caso di specie, se la detrazione figlio poteva essere dubbia, il mancato contraddittorio è vizio.
- Difetto di motivazione della cartella: la cartella di pagamento che scaturisce da un controllo 36-ter deve contenere l’indicazione chiara delle ragioni del recupero o allegare l’avviso bonario precedentemente inviato . Se così non è, si configura un difetto di motivazione. Ad esempio, Cass. 22489/2015 ha annullato una cartella dove la “succinta parte descrittiva delle ragioni” non era ritenuta adeguata . In particolare, la legge impone che se la cartella fa riferimento ad un atto precedente non conosciuto dal contribuente, questo atto va allegato (art. 7 L. 212/2000, art. 42 DPR 600/73) . Se quindi uno non ha mai ricevuto l’avviso bonario (magari smarrito) e la cartella non allega nulla né spiega, è nulla per carenza di motivazione . Nel nostro caso, supponiamo che Tizio non abbia ricevuto la comunicazione 36-ter perché inviata ad un vecchio indirizzo: la cartella arriva e dice solo “controllo formale anno X, importo Y”. Questo è vago e illegittimo – ottimo motivo di ricorso.
- Errata identificazione del contribuente o del familiare: casi rari ma possibili, ad esempio se per errore l’ufficio ha invertito codici fiscali di due figli e disconosciuto una detrazione spettante. Questo sarebbe un errore di fatto da far valere (di solito però si risolve in autotutela).
- Inosservanza di esoneri o cause di non punibilità: ad esempio, si può invocare l’art. 6, comma 2 del D.Lgs. 472/97 (nessuna sanzione per obiettive condizioni di incertezza normativa) se la situazione era davvero ambigua. Oppure il principio del “favor rei” se nel frattempo la sanzione è stata ridotta per legge (come è avvenuto col D.Lgs. 87/2024 che ha abbassato la sanzione dal 30 al 25% dal 1/9/2024 ). In tal caso, anche se il fatto sanzionabile era precedente, il giudice deve applicare la sanzione più favorevole. Perciò, se siete in causa per una cartella con sanzione 30%, potete chiedere al giudice di ridurla al 25% in base alla nuova norma sopravvenuta (favor rei) .
Nel predisporre il ricorso, occorre allegare le prove. Trattandosi di questioni documentali, è fondamentale depositare tutti i documenti che attestano la vostra tesi: ad esempio dichiarazioni dei redditi del figlio (o certificazione sostitutiva di cui all’art. 4 co. 1 lett. c DPR 600/73) per mostrare che il reddito era entro soglia; stato di famiglia o autocertificazione per provare il rapporto di parentela; sentenza di separazione per l’affidamento; circolari Agenzia o risoluzioni se avvalorano la vostra interpretazione (sono fonte di prassi, il giudice non è vincolato ma aiutano). Le controversie su detrazioni familiari sono di solito decise “in punta di documenti”, senza bisogno di testimonianze o altri mezzi.
Il processo tributario attuale è in buona parte scritturale, ma si può chiedere udienza pubblica per spiegare meglio. Nel nostro caso, se avete depositato tutti i certificati e le norme a favore, spesso il giudice decide in camera di consiglio. Importante: se avete nuovi documenti non prodotti prima all’ufficio, potete comunque produrli in giudizio (la Cassazione considera il giudizio tributario come estensione del contraddittorio anche per prove sopravvenute). Ad esempio, se in sede di risposta al 36-ter vi eravate dimenticati di allegare un documento, potete farlo ora con il ricorso: il giudice lo valuterà.
3. Effetti del ricorso su pagamenti e riscossione: presentare ricorso non sospende automaticamente la riscossione della cartella. Per evitare di dover pagare subito (o subire azioni esecutive), ci sono due possibilità:
- Pagare e poi eventualmente chiedere rimborso se vincete (opzione onerosa, specie se somme alte).
- Chiedere al giudice una sospensione dell’esecuzione (istanza di sospensione da proporre col ricorso o separatamente, art. 47 D.Lgs. 546/92). Dovete però dimostrare sia il fumus boni iuris (motivi fondati) sia il periculum (danno grave in caso di pagamento). Nei casi di importi non elevatissimi, talvolta i giudici respingono la sospensiva dicendo che non c’è pericolo grave; comunque tentare è opportuno se la somma è per voi difficile da pagare.
Segnalo però una tutela introdotta di recente: se fate ricorso e ne date comunicazione all’Agente della Riscossione (AdER) allegando copia, la riscossione viene comunque sospesa ex lege per 180 giorni dopo la sentenza di primo grado (art. 15 del DL 146/2021 conv. L. 215/2021). Ciò serve ad evitare pignoramenti durante il giudizio di primo grado. Quindi, depositato il ricorso, conviene inviare subito ad AdER istanza di sospensione per ricorso pendente (moduli disponibili sul sito AdER): la legge obbliga l’Agente a non procedere fino a 180 giorni dalla decisione di primo grado . Questo è utile se il processo dura qualche anno – vi mette al riparo da azioni esecutive nel frattempo, anche se non avevate ottenuto sospensione dal giudice.
4. Esito del giudizio: se vincete, la detrazione viene riconosciuta e l’atto annullato: nulla dovrete (o vi sarà rimborsato se avevate pagato). Se perdete, dovrete versare quanto dovuto (imposta, sanzione piena, interessi, spese di giudizio se liquidate a favore dell’ufficio). Potrete appellare in secondo grado (Corte Giustizia Tributaria di secondo grado, ex CTR) entro 60 gg. Considerate però costi e tempi: per importi modesti, fare appello può non convenire.
Profili penali: vale la pena accennare brevemente: l’indebita fruizione di detrazioni per figli a carico raramente configura reati tributari, a meno che gli importi siano molto alti. Il reato di dichiarazione infedele (art. 4 DLgs 74/2000) scatta se l’imposta evasa supera €50.000 e l’omessa indicazione (o indicazione di indebiti) supera il 10% del reddito dichiarato. Difficile che solo una detrazione figli generi oltre 50k di imposta evasa! (Vorrebbe dire aver detratto decine di figli inesistenti). Tuttavia, in combinazione con altre violazioni, non è impossibile. Se mai dovesse emergere un profilo penale (es. il Fisco contesta che avete “inventato” figli a carico inesistenti per evadere), quella sarebbe una situazione seria: potreste subire un procedimento penale parallelo. È un caso limite e patologico – per famiglie reali con figli reali, anche se eccedete una detrazione, al massimo è una sanzione amministrativa. Comunque, va segnalato che la riforma fiscale in itinere tende a escludere punibilità penale se il contribuente si ravvede o coopera in buona fede . Quindi, cooperare con il Fisco riduce anche eventuali rischi penali. Nel 99% dei casi, difendersi sulla contestazione detrazioni resterà confinato al piano tributario.
Conclusione della fase contenziosa: se avete seguito tutti i passi – prima provando a chiarire, poi ricorrendo – auspicabilmente arriverete a una decisione. Molte controversie su detrazioni familiari si risolvono con conciliazioni o rinunce: spesso l’Agenzia può cedere su sanzioni durante la mediazione, oppure il contribuente, vedendo l’orientamento del giudice, può accettare di pagare solo l’imposta. È sempre una valutazione caso-per-caso.
Ad esempio, se vi hanno contestato €500 di imposta + €150 sanzioni e siete incerti sull’esito, potreste chiudere in mediazione pagando €500 + sanzione dimezzata €75. Valutate i costi del giudizio: anche se vincete, se la cifra è bassa potrebbe non valere la pena portarla fino in Cassazione. D’altro canto, se c’è un principio importante (magari una questione di diritto che riguarda tanti, o una somma per voi significativa), proseguite tenacemente.
Abbiamo così visto il ventaglio di difese: dal merito (provare che il figlio era a carico legittimamente) al procedurale (contestare difetti dell’operato dell’ufficio). Nella prossima sezione, illustreremo alcuni casi pratici simulati di contestazioni su detrazioni per figli a carico e come sono stati risolti, per calare nella realtà i principi esposti sinora.
Casistiche pratiche e simulazioni
Di seguito presentiamo alcune simulazioni pratiche di contestazioni frequenti riguardanti le detrazioni per figli a carico, con l’indicazione di come il contribuente può difendersi in ciascun scenario. Questi esempi aiutano a capire l’applicazione concreta delle regole esposte:
Caso 1: Figlio under 21 erroneamente indicato a carico nel 2023 – Il sig. Rossi, dipendente, presenta il modello 730/2023 indicando il figlio di 17 anni come familiare a carico (erroneamente, perché dal marzo 2022 non spettano più detrazioni per minorenni). L’Agenzia, in fase di liquidazione automatica, ignora quella detrazione e calcola un minor rimborso di 300€. Rossi riceve a ottobre 2023 una comunicazione di irregolarità 36-bis che segnala “Detrazione figli a carico non spettante: €300 di IRPEF da versare”. Difesa: In questo caso la legge è chiara: la detrazione non spettava (figlio minorenne). Rossi non ha molto margine di difesa sul merito. Può solo verificare il calcolo (è corretto: presumibilmente aveva un’imposta lorda da cui aveva sottratto 300€ per il figlio). La cosa più conveniente è pagare entro 30 giorni la somma richiesta, approfittando della sanzione ridotta al 10%. Infatti la contestazione è fondata e insistere porterebbe solo a una cartella con +30% di sanzione. Rossi paga dunque circa €330 (300 di imposta + 30 di sanzione) entro la scadenza, chiudendo la pendenza. Nel 2024 aggiornerà la sua situazione ricordando che la figlia continuerà a non dare diritto a detrazioni finché non avrà 21 anni.
Caso 2: Figlio ventitreenne con reddito oltre soglia – La sig.ra Bianchi ha un figlio di 23 anni, studente universitario che nel 2022 ha svolto un tirocinio percependo €5.000. Nonostante ciò Bianchi lo indica a carico nella dichiarazione dei redditi 2023 (erroneamente, poiché la soglia per under24 è €4.000). A metà 2024 riceve un avviso bonario 36-bis: “Reddito figlio superiore a €4.000 – detrazione non spettante: IRPEF €190, sanzione €19, interessi €5”. Bianchi inizialmente è sorpresa perché il figlio vive con lei ed è mantenuto da lei. Dopo consulto, capisce l’errore: la soglia è stata superata. Difesa: Anche qui la contestazione è legittima. Bianchi potrebbe obiettare che €5.000 di reddito non rendono autosufficiente il figlio; ma la Cassazione ha chiarito che non conta l’autosufficienza, conta la soglia formale . Dunque non c’è argomento giuridico valido. L’unica possibilità – se volesse essere indulgente il Fisco – potrebbe essere verificare se quei 5.000 includevano magari una borsa di studio esente (ma supponiamo di no, erano redditi imponibili). Quindi si procede come nel caso 1: pagare entro i termini €214 (190+19+5). NB: Bianchi dovrebbe anche correggere per il futuro: nel 2024 non indicherà più il figlio a carico finché la sua condizione di reddito non rientrerà sotto soglia in un anno (ad es. se nel 2023 il figlio non ha lavorato, potrà di nuovo considerarlo a carico per il 2024).
Caso 3: Genitori non sposati, detrazione fruita al 100% dal padre senza accordo – Mario e Carla convivono e hanno un figlio. Nella dichiarazione Mario si prende il 100% della detrazione figli, Carla 0%, ma senza aver formalizzato nulla (né modulo al datore di lavoro, né accordo scritto). L’Agenzia riscontra dalle CU che Mario ha fruito di tutta la detrazione mentre Carla, anche lei lavoratrice, avrebbe avuto diritto alla metà. Così, tramite controllo formale 36-ter, invia a Mario una richiesta di documenti sull’accordo di ripartizione. Mario non risponde (era disattento e non capisce la lettera). L’ufficio allora notifica a Mario e Carla una comunicazione di irregolarità ciascuno: a Mario chiede il rimborso del 50% di detrazione indebitamente fruita (€475 + sanzioni/interessi), a Carla eventualmente comunica che avrebbe diritto alla sua metà (ma se Carla non l’ha mai chiesta, di fatto non c’è rimborso per lei, semmai una “perdita” di beneficio). Difesa: In realtà la legge consente la libera ripartizione , quindi Mario e Carla avrebbero potuto benissimo concordare il 100% a Mario. L’errore è non averlo comunicato ufficialmente. Mario ora può correre ai ripari: entro 30 gg dall’avviso bonario invia all’Agenzia una dichiarazione firmata con Carla in cui entrambi attestano che era volontà comune attribuire a Mario l’intera detrazione (come peraltro risulta dal fatto che Carla non l’ha mai usufruita) . Richiamano la facoltà prevista dall’art. 12 TUIR. L’ufficio, ricevuto ciò, dovrebbe archiviare la posizione (nessun indebito: la detrazione presa da Mario è giustificata dall’accordo, che seppur tardivo è ora formalizzato). Se invece l’ufficio facesse orecchie da mercante, Mario dovrà fare ricorso evidenziando che l’altro genitore non ha fruito della detrazione (quindi il Fisco non ha perso nulla) e che la norma non impone una forma scritta ad substantiam dell’accordo – ergo l’accordo può ben risultare ex post. Cass. 34344/2019, citata prima, dà man forte: stabilisce che il beneficio spetta al genitore che ha sostenuto la spesa anche se non aveva indicato la percentuale in dichiarazione . Il giudice presumibilmente annullerà la pretesa, riconoscendo la spettanza a Mario per intero. Questo caso insegna: è importante comunicare per tempo la scelta di ripartizione (ad es. compilando correttamente il quadro familiari a carico nella dichiarazione) per evitare fraintendimenti.
Caso 4: Separazione con affidamento congiunto, madre senza reddito – I coniugi Tizio e Caia si separano; i figli sono affidati congiuntamente e vivono con la madre Caia, che però non lavora. Tizio versa assegno di mantenimento per i figli. Nei fatti, Caia non avendo IRPEF, lascia che Tizio detragga al 100% i figli. Nella dichiarazione Tizio indica 100%, Caia 0%. L’Agenzia però (magari incrociando i codici fiscali) vede affidamento congiunto e suppone andasse al 50% a testa, quindi con controllo formale 36-ter invia a Tizio un avviso di irregolarità recuperandogli il 50% delle detrazioni. Difesa: Questo è esattamente il caso deciso dalla Cassazione nel 2018 . Tizio dovrà presentare ricorso esponendo che Caia non potendo usufruirne (reddito zero) non ha sostenuto oneri per i figli, mentre lui li ha sostenuti al 100%. Quindi, in base al principio di proporzionalità all’onere effettivamente sostenuto, la detrazione compete interamente a lui. Allegherà la sentenza di separazione (che magari tace sulla ripartizione fiscale, ma attesta l’assegno a suo carico) e citerà Cass. 18392/2018 . È molto probabile che l’Agenzia stessa, ricevuto il ricorso, desista in mediazione (sanno che la Cassazione su questo dà ragione al contribuente) oppure che il giudice gli dia ragione, annullando la pretesa. Caia nel frattempo non avrà alcuna cartella, perché non avendo fruito di nulla non c’è nulla da recuperare (semmai avrebbe potuto chiederla a suo tempo, ma non l’ha fatto per incapacità). Questo esempio dimostra che la sostanza economica prevale: se uno dei due genitori non ha capienza fiscale, l’altro può legittimamente prendere il 100%, anche se formalmente sarebbe affidamento condiviso.
Caso 5: Cartella per controllo formale non motivata adeguatamente – Il sig. Verdi si vede recapitare nel 2025 una cartella di pagamento da €800 riferita alla dichiarazione 2021, con causale “controllo formale art.36-ter – detrazioni familiari non spettanti”. Verdi però non aveva mai ricevuto prima alcuna comunicazione dall’Agenzia su questa questione (magari aveva cambiato indirizzo e l’avviso bonario è tornato indietro). La cartella inoltre non allega nessun dettaglio né copia di eventuali avvisi: riporta solo in un prospetto “Imposta 600, sanzioni 150, interessi 50” senza spiegare quali familiari a carico siano stati contestati e perché. Difesa: il sig. Verdi impugna immediatamente la cartella deducendo due motivi forti: (i) omesso contraddittorio preventivo – essendo un controllo formale su detrazioni, l’ufficio doveva inviargli la comunicazione ex art.36-ter comma 4 e attendere 30 gg . La mancata ricezione (non notificata correttamente) rende nulla la cartella . (ii) Difetto di motivazione – la cartella non contiene la “causa petendi” sufficiente: non è stato allegato l’atto presupposto né spiegato in dettaglio quali detrazioni sarebbero non spettanti. Ciò viola l’obbligo di motivazione (art. 42 DPR 600 e art.7 L.212/2000) . Verdi chiede quindi l’annullamento integrale della cartella. In giudizio, l’Agenzia potrebbe ribattere che aveva spedito l’avviso bonario (magari esibisce una lettera tornata). Ma se la notifica non è andata a buon fine e non hanno provveduto a rinotificarla, la giurisprudenza è dalla parte del contribuente: la Cass. n. 22489/2015 e molte altre dicono che la cartella deve contenere gli elementi essenziali, specie se l’avviso non è conosciuto . È probabile quindi che la Corte accolga il ricorso per vizio di motivazione, senza nemmeno entrare nel merito se la detrazione fosse spettante o no. Verdi in tal modo vince per motivi procedurali (legittimità), e non dovrà pagare nulla. Nota: se l’Agenzia ci tiene, potrebbe ancora emettere un nuovo avviso di accertamento rispettando le forme (entro la decadenza – ma essendo anno 2021, a fine 2024 scadeva; nel 2025 ormai decaduta la possibilità). Quindi Verdi in questo caso la fa franca del tutto, a prescindere avesse ragione o torto sul figlio a carico. Questo scenario insegna che è sempre cruciale controllare come sono redatti gli atti: vizi formali come la carente motivazione spesso salvano il contribuente.
Caso 6: Figlio disabile di 28 anni contestato come “non a carico” – La sig.ra Neri ha un figlio disabile di 28 anni che percepisce solo una pensione di invalidità di €3.000 annui. Lo considera a carico e fruisce delle detrazioni. L’Agenzia erroneamente ritiene che per i disabili valgano limiti di età inferiori e tramite controllo automatizzato contesta la detrazione (ipotizzando che oltre i 24 anni con quell’importo non spettasse). Difesa: qui il contribuente è nel giusto: per i figli con disabilità non c’è limite di età e il reddito di €3.000 è sotto la soglia di €2.840,51? (Attenzione: la pensione di invalidità è imponibile IRPEF? Dipende dal tipo: alcune indennità possono essere esenti. In ogni caso, qui siamo sotto soglia). La sig.ra Neri, ricevuto l’avviso bonario, invia subito un’istanza di annullamento in autotutela citando la norma (art. 12 comma 1 c) TUIR come modificato) che include espressamente i figli disabili senza limite di età . Allegherà copia del verbale legge 104 del figlio. L’ufficio riconoscerà l’errore e annullerà l’addebito. Se per ipotesi non lo facesse, in giudizio la sig.ra vincerebbe facile mostrando che la legge prevede la detrazione per figlio disabile a prescindere dall’età .
Caso 7: Contribuente estero con figlio residente all’estero – Il sig. X, cittadino extra-UE residente in Italia, nel 2025 indica a carico il figlio che però vive nel suo Paese d’origine. La nuova legge 207/2024 vieta ai non cittadini UE di detrarre familiari residenti all’estero . L’Agenzia, in sede di controllo, gli toglie la detrazione. Difesa: purtroppo la normativa è esplicita e, salvo eccezioni (accordi bilaterali che equiparino lo status, non risultano per ora), il sig. X non può far valere il figlio. Dovrà quindi subire la contestazione. L’unico margine potrebbe essere invocare il principio di non discriminazione se quel figlio fosse comunque a suo carico: ma essendo norma interna recente, finché non viene eventualmente dichiarata incostituzionale o contraria a trattati, il giudice tributario dovrà applicarla. Quindi in questo scenario difendersi è praticamente impossibile sul merito. X può solo pagare con sanzione ridotta ed eventualmente attivarsi in altre sedi (ricorso per incostituzionalità? difficile). Questo caso evidenzia come certe novità normative possano creare disparità: l’extracomunitario con famiglia a carico all’estero dal 2025 perde un beneficio che prima (se produceva documenti di spesa e mantenimento) poteva in parte avere.
Questi esempi non coprono tutte le situazioni possibili, ma i più ricorrenti sì. Bisogna sempre adattare la difesa alle particolarità del caso concreto, tenendo presente i principi cardine emersi: conoscere i requisiti normativi aggiornati, conservare e produrre la documentazione necessaria, far valere eventuali irregolarità procedurali e usare gli strumenti deflattivi (autotutela, mediazione) prima di arrivare allo scontro in giudizio.
Passiamo ora a una sezione di Domande e Risposte sintetiche, per fissare i punti principali e chiarire i dubbi frequenti.
Domande frequenti (FAQ)
D1: Cosa significa esattamente “figlio fiscalmente a carico”?
R: Significa che il figlio, pur magari maggiorenne, non supera un certo reddito annuo e quindi può essere considerato a carico dei genitori ai fini IRPEF. Il limite generale è €2.840,51 di reddito lordo annuo, elevato a €4.000 se il figlio ha meno di 24 anni . Inoltre dal 2025 il figlio non deve aver compiuto 30 anni (salvo sia disabile) . In pratica: se tuo figlio guadagna poco o nulla (entro quelle soglie) e rientra nelle età previste (21–29 anni, oppure qualsiasi età se disabile, o fino al 2021 anche minorenne), puoi indicarlo come familiare a carico e ottenere la relativa detrazione fiscale. Non conta che viva con te o che tu lo mantenga effettivamente (anche se spesso coincide), conta il suo reddito basso e il rapporto di figlio. Ad esempio, uno studente senza reddito è a carico; un figlio che guadagna €5.000 l’anno non è a carico, anche se spende tutto e tu lo aiuti.
D2: Mio figlio ha avuto un lavoro estivo guadagnando 3.000€ a 22 anni – perde lo status di a carico per quell’anno?
R: No, 3.000€ è sotto la soglia di 4.000€ prevista per i figli under 24, quindi rimane fiscalmente a tuo carico per l’intero anno . Importante: il calcolo è annuale, non mensile. Ciò significa che non si “pro-rata” i mesi a carico: o lo è per tutto l’anno (se il totale redditi anno ≤ soglia) oppure non lo è affatto (se supera anche di poco). Il momento in cui il reddito è prodotto non rileva . Quindi, nel tuo caso, anche se ha lavorato alcuni mesi, avendo totalizzato 3.000€ (≤4.000) puoi considerarlo a carico per tutto l’anno. Se invece avesse guadagnato, poniamo, 4.500€, niente detrazione per quell’intero anno d’imposta.
D3: Ho dimenticato di comunicare al datore di lavoro l’accordo col coniuge per prendere al 100% le detrazioni dei figli, ora il Fisco mi chiede indietro la metà. Posso sistemare ex post?
R: Sì, puoi far valere che c’era un accordo tra coniugi per attribuire l’intera detrazione a te, anche se non lo avevi segnalato nel modulo inizialmente. È opportuno procurarsi una dichiarazione firmata da entrambi in cui l’altro coniuge conferma di aver rinunciato alla propria quota . Tale accordo è del tutto legittimo per legge. Presentando questo documento in risposta alla comunicazione (o in ricorso) l’Agenzia dovrebbe riconoscerlo e annullare la richiesta. La Cassazione ha confermato che la detrazione spetta interamente al genitore che sostiene l’onere, indipendentemente da “chi l’ha indicata” in dichiarazione . Naturalmente, devi assicurarti che l’altro genitore non abbia fruito a sua volta della detrazione (se no sarebbe doppia fruizione). Se l’altro non l’ha presa, non c’è danno erariale e l’accordo 100%-0% è accettabile.
D4: Cosa rischio se ho usufruito di una detrazione per figli non spettante?
R: Principalmente una sanzione amministrativa del 30% sull’imposta non versata a causa di quella detrazione indebita , oltre al recupero dell’imposta stessa e relativi interessi. Esempio: hai dedotto €500 che non spettavano, dovrai restituire quei €500 e pagare €150 di sanzione, più pochi euro di interessi. La buona notizia è che in sede di avviso bonario la sanzione è ridotta a 1/3, quindi pagheresti circa il 10% (€50) se paghi subito . Inoltre, dal 2024 la sanzione piena è stata abbassata al 25% (quindi in futuro, 1/3 di 25 = ~8.3% in sede bonaria) . Penalmente, casi del genere non configurano reato salvo importi enormemente alti: il reato scatta oltre €50.000 di imposta evasa, difficile da raggiungere con sole detrazioni figli. Quindi, in pratica, il rischio è economico, non penale.
D5: L’Agenzia delle Entrate mi ha chiesto via lettera raccomandata di inviare documenti per controllare i figli a carico che ho dichiarato. Devo rispondere?
R: Assolutamente sì. Quella lettera è un invito nell’ambito di un controllo formale (36-ter). Hai 30 giorni (estesi a 60 se la lettera è arrivata nel 2025) per fornire quanto richiesto. Generalmente ti chiederanno: certificati di stato di famiglia o autocertificazione del rapporto di parentela, eventuali codici fiscali dei figli, e – se sospettano redditi – magari un’attestazione sui redditi del figlio. Fornisci tutto ciò che può provare il tuo diritto: ad esempio, se il figlio ha redditi bassi, potresti allegare una sua autodichiarazione o documenti fiscali suoi; se sei separato, la sentenza di separazione per far vedere l’affido, ecc. Non ignorare la richiesta: se non rispondi, dopo 30 giorni l’ufficio procederà a disconoscere le detrazioni e ti manderà direttamente un addebito. Inviare i documenti è la tua chance di convincerli e magari evitare il pagamento. Puoi spedire via PEC o consegnare all’ufficio locale, seguendo le istruzioni nella lettera.
D6: Ho ricevuto una “Comunicazione di irregolarità” dall’Agenzia, ma dicono che non posso fare ricorso perché non è un atto impugnabile. È vero?
R: Formalmente sì, la comunicazione di irregolarità (avviso bonario) non è uno degli atti tassativamente impugnabili (che sono avvisi di accertamento, cartelle, rifiuti di rimborso, ecc.). Quindi la prassi normale è: se non risolvi col bonario, impugnerai poi la cartella di pagamento. Tuttavia la Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile in alcuni casi il ricorso immediato contro l’avviso bonario , per evitare al contribuente di dover aspettare la cartella. È però una procedura avanzata e rischiosa: non tutti i giudici la accettano , e intanto la riscossione non è sospesa (dovresti chiedere tu la sospensiva). Quindi, a meno che tu abbia una chiara ragione di urgenza, conviene usare la fase bonaria per dialogare con l’ufficio e solo se ne esci sconfitto aspettare la cartella e fare ricorso su quella (che è sicuramente impugnabile). Ricapitolando: di norma l’avviso bonario non si impugna, ma non perché non abbia effetto – se non fai nulla produce la cartella dopo 60gg. Si impugnerà quest’ultima.
D7: Se ignoro la comunicazione e aspetto la cartella, pago qualcosa in più?
R: Sì. Se non definisci in sede bonaria, quando arriverà la cartella dovrai pagare la sanzione intera (30% o 25%) invece che ridotta , più gli interessi di mora maturati nel frattempo e l’aggio di riscossione (ulteriore 3-6%). Quindi sì, economicamente costa di più. Inoltre, perdi la possibilità di rateizzare comodamente l’avviso (la cartella si può rateizzare ma con regole diverse e tassi di interesse moratori più alti). A meno che tu intenda fare ricorso perché hai ottime chance di vittoria, ignorare passivamente l’avviso bonario è sconsigliabile. Meglio rispondere o pagare. Solo se sei convinto al 100% che sia sbagliato e vuoi giocartela in giudizio, allora puoi lasciarlo scadere (ma avverti magari l’ufficio che non paghi perché ritieni infondato, provando ancora a farli recedere).
D8: Posso rivolgermi al Garante del Contribuente o ad altri per evitare il contenzioso?
R: Il Garante del Contribuente può intervenire in caso di irregolarità, ma non ha potere di annullare atti. Può al massimo sollecitare l’ufficio a riesaminare la posizione. Puoi scrivergli se ritieni ci siano state scorrettezze (es: comportamenti dilatori dell’ufficio, mancata risposta), ma è un’azione di persuasione morale. Strumenti più efficaci: l’autotutela presso l’ufficio (come detto), e la mediazione tributaria se fai ricorso per importi fino a 50k: in sede di mediazione l’ufficio può accogliere parzialmente le tue ragioni senza andare in giudizio vero e proprio . Quindi, sì usa questi meccanismi. Anche segnalare al difensore civico tributario (se esistente a livello regionale) potrebbe aiutare a smuovere le acque in autotutela. Ma in sostanza o l’ufficio si convince, o dovrai rivolgerti al giudice tributario.
D9: Ho vinto il ricorso, l’Agenzia mi deve restituire i soldi che avevo pagato?
R: Sì, se avevi pagato in pendenza di giudizio (ad esempio, hai pagato l’avviso bonario ma poi hai fatto ricorso per ottenere rimborso, oppure hai pagato la cartella per evitare problemi), in caso di sentenza a tuo favore l’amministrazione è tenuta a rimborsarti l’imposta indebitamente versata e le sanzioni, con interessi. Spesso lo fa d’ufficio, altrimenti devi presentare istanza di rimborso allegando la sentenza passata in giudicato. Tieni presente che se hai definito in sede bonaria pagando con sanzioni ridotte, di solito poi non fai ricorso (perché definendo bonariamente rinunci al contenzioso). Ma può capitare di pagare e contestare solo la sanzione: in tal caso, se vinci sulla sanzione, ti ridanno quella parte. Inoltre, se il giudice ha compensato le spese legali, ognuno paga il proprio avvocato; se invece le ha poste a carico dell’Agenzia e tu avevi un legale, l’Agenzia dovrà pagarti le spese come da liquidazione.
D10: La detrazione per figli a carico è compatibile con l’Assegno Unico? Posso avere entrambi?
R: Attualmente, per i figli under 21 percepisci l’Assegno Unico e non hai diritto a detrazione IRPEF (sono stati eliminati, per evitare doppio beneficio) . Quindi per i figli minorenni o fino a 20 anni, prendi solo l’Assegno Unico dall’INPS, niente detrazione in dichiarazione. Per i figli dai 21 anni in su (fino a 30 non disabili, o senza limiti se disabili), non c’è assegno unico ma c’è la detrazione fiscale, se rispettano i requisiti di reddito. Quindi i due strumenti sono mutuamente esclusivi per lo stesso figlio nello stesso periodo. Nota: c’era un regime transitorio nei primi due mesi 2022 in cui di fatto si godeva di entrambe (gen/gen 2022 detrazioni in busta paga, da mar 2022 assegno), ma era transitorio. Oggi la regola è quella detta.
D11: Mio figlio compie 21 anni a luglio 2025 – posso iniziare a detrarmi qualcosa da luglio a dicembre?
R: Sì. La norma dice che le detrazioni per figli a carico sono calcolate su base mensile: spettano dal mese in cui si verificano le condizioni . Quindi se a luglio il figlio compie 21 anni, da luglio in poi hai diritto alla detrazione (sempre che il suo reddito sia sotto €2.840,51 per il 2025). Ovviamente per i mesi precedenti hai percepito l’Assegno Unico (fino a giugno). Nella dichiarazione dei redditi 2025 indicherai quel figlio a carico per 6 mesi su 12, e il calcolo terrà conto del semestre. (Molti software di solito fanno in automatico il prorata in base ai mesi indicati). Quindi sì, dal 21º compleanno in avanti torni ad avere la detrazione IRPEF, che sostituisce l’assegno unico (che infatti cessa al 21º anno non disabile). Questo anche per i figli disabili: compiono 21 anni, dal mese dopo c’è detrazione (oltre all’assegno unico che però per i disabili continua fino a 21 e oltre in misura ridotta – ma questa è un’altra storia di INPS, ai fini fiscali conti la detrazione).
D12: Devo conservare dei documenti particolari per comprovare il diritto alle detrazioni figli?
R: Sì, è buona norma conservare: lo stato di famiglia o certificato anagrafico che attesti il legame di parentela (anche se dal 2019 l’Agenzia ha l’Anagrafe nazionale e spesso non lo chiede più); eventuali certificati di studio se il figlio maggiorenne studia (non obbligatorio per legge fiscale, ma utile per giustificare perché non ha reddito); soprattutto documentazione relativa ai redditi del figlio: se il figlio presenta dichiarazione propria, conservala; se non la presenta, ma lavora magari con ritenuta, fatti dare una certificazione del totale percepito. In caso di verifica, poter dimostrare che il figlio non ha superato la soglia è cruciale (l’Agenzia altrimenti presumerà magari che l’abbia superata se vede movimenti sospetti). Se il figlio è disabile, conserva il verbale di legge 104/1992 o certificazione medica che attesti l’invalidità, per eventuali maggiorazioni o per l’assenza di limiti di età. In caso di genitori separati, tieni copia della sentenza di separazione/divorzio perché spesso serve a capire l’affidamento e la misura di contributo. Infine, conserva copia di eventuali comunicazioni fatte al datore di lavoro sulle detrazioni (modulo detrazioni): non è un documento fiscale, ma se sorge contestazione, poter mostrare “io l’avevo comunicato così” può essere utile.
D13: Se l’Agenzia mi contesta una detrazione e ho paura di dover pagare subito, posso bloccare la riscossione in attesa del giudizio?
R: Puoi chiedere al giudice tributario una sospensione dell’esecuzione quando presenti ricorso (devi motivare perché il pagamento immediato ti danneggerebbe in modo grave e perché hai probabilità di vittoria). Se il giudice la concede, la riscossione è bloccata fino alla sentenza di primo grado. In aggiunta, come detto prima, c’è la sospensione automatica di 180 giorni dopo la sentenza di primo grado se presenti istanza all’AdER . Se invece non fai nulla, la cartella va pagata entro 60 giorni dalla notifica anche se hai presentato ricorso (pena avvio di procedure coattive). Quindi è importante o pagare col 10% bonario, oppure se decidi di fare ricorso e non pagare, contestualmente chiedi sospensione. Nel caso di sole detrazioni figli, gli importi di solito non sono giganteschi, perciò i giudici a volte negano la sospensiva dicendo che non c’è pericolo di danno grave (a torto o a ragione). Valuta tu: se si tratta di poche centinaia di euro, forse meglio pagare e poi fare ricorso per ottenere rimborso (evitando sanzioni maggiori). Se invece è un principio, vai di sospensiva.
D14: Ho un dubbio: i nonni possono considerare “a carico” i nipoti?
R: Solo se ne hanno l’affidamento fiscale perché ad esempio i genitori non ne hanno redditi. La detrazione per altri familiari (ascendenti, e in certi casi i nipoti a carico dei nonni) è prevista ma con criteri diversi e importo diverso (€750 per ogni ascendente a carico convivente dal 2025) . I nipoti possono essere considerati “altri familiari a carico” se conviventi e se i genitori non li prendono a carico (magari perché senza redditi imponibili i genitori). È una situazione particolare e occorrerebbe approfondire caso per caso. Comunque, i figli a carico sono di norma riferiti ai genitori. Se un nonno volesse detrarsi il nipote, dovrebbe essere a carico suo perché i genitori non possono – ma c’è bisogno della convivenza e di dimostrare che il nonno provvede al sostentamento. È una detrazione diversa (non rientra in quell’art.12 lettera c) ma nella lettera d) ascendenti e altri) e l’Agenzia è molto severa su questi casi, chiedendo la prova della convivenza e del mantenimento.
D15: Come incide la riduzione delle sanzioni dal 30% al 25% introdotta dal D.Lgs. 87/2024?
R: Per le contestazioni relative a violazioni commesse dal 1° settembre 2024, la sanzione per insufficiente versamento è del 25% invece che 30% . Ciò significa che, ad esempio, su un importo di imposta di €1.000 da recuperare, la sanzione piena sarà €250 invece di €300. In sede di avviso bonario, 1/3 di €250 fa circa €83 . Quindi pagheresti il 8,33% invece del 10%. Questo vale per il futuro. Se però sei in contenzioso per anni passati (quando era 30%), puoi invocare il favor rei per farti applicare la sanzione minore anche retroattivamente . Spesso gli uffici lo fanno d’ufficio in fase di eventuale conciliazione o sentenza. È un dettaglio, ma può risparmiarti un po’ di soldi. Quindi nel 2025 in poi le sanzioni saranno leggermente meno pesanti per chi sbaglia in buona fede. Inoltre la riforma prevede altre attenuanti (come nessuna sanzione se c’è errore scusabile, ma sono valutazioni discrezionali). Ad ogni modo, resta fondamentale pagare in fase bonaria per sfruttare le riduzioni, che portano la sanzione effettiva a livelli molto bassi (10% o meno).
Fonti consultate: Questa guida ha fatto riferimento a: Testo Unico Imposte sui Redditi, art. 12 (detrazioni per carichi di famiglia) e relative modifiche introdotte dalla L. 234/2021 e L. 207/2024 ; DPR 600/1973, artt. 36-bis e 36-ter (controlli automatizzati e formali sulle dichiarazioni) e D.Lgs. 462/1997 sulle comunicazioni di irregolarità ; Statuto del Contribuente, L. 212/2000 (in particolare art. 6 e 7 sul contraddittorio e motivazione ); Circolari Agenzia Entrate 15/E/2007 e 34/E/2008 (sulle detrazioni in caso di separazione) e 4/E/2022 (sull’Assegno Unico e cessazione detrazioni under21) ; Messaggio INPS 26/2/2025 n. 698 (illustra modifiche alle detrazioni dal 2025) . Sul piano giurisprudenziale, si sono citate diverse sentenze di Cassazione: n. 18392/2018 (ripartizione detrazioni tra genitori separati) , n. 34344/2019 (detrazione spese per figli a carico anche se l’altro genitore ha preso deduzione famiglia) , n. 34186/2021 (soglia reddito familiare formale) , n. 15224/2025 (nessun nuovo accordo dopo 18 anni) , nonché la n. 22489/2015 (motivazione cartella dopo controllo formale) e altre sul contraddittorio . Tali fonti confermano e dettagliano i principi esposti.
In conclusione, difendersi dalle contestazioni sulle detrazioni per figli a carico è possibile e spesso fruttuoso, a patto di conoscere i propri diritti e doveri, di agire con tempestività (prima pagando o chiarendo, poi eventualmente ricorrendo) e di supportare le proprie ragioni con prove documentali e norme. Con un approccio informato, il contribuente può evitare di pagare somme non dovute e far valere le agevolazioni a cui ha diritto, oppure, se è in difetto, limitare l’esborso beneficiando delle definizioni agevolate. In ogni caso, la trasparenza e collaborazione con il Fisco, unite alla fermezza nel far valere i propri diritti, rappresentano la miglior strategia.
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Bibliografia & Fonti Normative/Giurisprudenziali:
- Art. 12, D.P.R. 917/1986 (TUIR) – Detrazioni per carichi di famiglia, come modificato da ultime leggi .
- Art. 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/1973 – Controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.
- D.Lgs. 462/1997, art. 2 – Sanzioni ridotte e pagamenti in sede di comunicazione di irregolarità .
- L. 212/2000 (Statuto dir. contribuente), artt. 6 e 7 – Contraddittorio e obbligo di motivazione .
- Circolare AE 4/E del 18/02/2022, §1.3 – Chiarimenti su Assegno Unico e detrazioni .
- Messaggio INPS n. 698/2025 – Novità detrazioni figli 2025, requisiti cittadinanza e ascendenti .
- Cass. civ. Sez. Trib. n. 18392/2018 – Detrazioni figli in caso di coniugi separati: spettanza al 100% se uno solo sostiene l’onere .
- Cass. ord. n. 34344/2019 – Legittimazione a detrarre spese per figli a carico anche se non si è fruito della detrazione base art.12 .
- Cass. Sez. VI n. 34186/2021 – Soglia di reddito familiare formale per carico familiare, irrilevanza autosufficienza .
- Cass. ord. n. 15224/2025 – Detrazioni per figli maggiorenni in famiglie separate: nessun nuovo accordo richiesto .
- Cass. Sez. Trib. n. 22489/2015 – Necessità di motivazione adeguata delle cartelle da controllo formale; obbligo di allegazione atti presupposti .
- Cass. n. 12023/2015 – Contraddittorio preventivo e nullità cartella se omessa comunicazione in controlli automatizzati .
- Cass. n. 25297/2014 – Impugnabilità avviso bonario 36-bis.
- Entrate – Circ. n. 4/E del 18.02.2022 : Riforma della tassazione IRPEF – chiarimenti
- LEGGE 30 dicembre 2024, n. 207
- CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 dicembre 2019, n. 34344 – La legittimazione alla detrazione, sotto il profilo soggettivo del contribuente, viene determinata, a prescindere dalla fruizione della deduzione di cui all’art. 12, ai sensi dell’art. 15 con riferimento al genitore contribuente che ha effettivamente sostenuto il relativo esborso nell’interesse del figlio a carico, con conseguente onere probatorio da assolvere tramite l’intestazione della spesa nel documento che la certifica.
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate sulle detrazioni per figli a carico riportate nella tua dichiarazione dei redditi? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate sulle detrazioni per figli a carico riportate nella tua dichiarazione dei redditi?
Vuoi sapere perché è successo e come puoi difenderti senza perdere il beneficio?
Le detrazioni per figli a carico sono un’agevolazione fiscale importante, ma l’Agenzia delle Entrate effettua controlli per verificare che sussistano i requisiti previsti dalla legge.
Molte contestazioni nascono da errori formali o da dati non aggiornati, non sempre da irregolarità sostanziali.
👉 Una contestazione non significa automaticamente dover restituire le somme: ci sono strumenti per dimostrare la correttezza della propria posizione.
⚖️ Perché scattano le contestazioni
- Mancanza della dichiarazione dei redditi del figlio o superamento della soglia di reddito previsto per essere a carico;
- Errori di compilazione nella dichiarazione (ripartizione tra genitori, percentuali non corrette);
- Mancata presentazione di documenti come stato di famiglia, certificazioni scolastiche o universitarie;
- Situazioni familiari particolari non aggiornate (separazioni, affidi, convivenze);
- Disallineamenti con le banche dati INPS o anagrafiche.
📌 Conseguenze possibili
- Recupero delle detrazioni fruite in maniera ritenuta indebita;
- Sanzioni e interessi sulle somme recuperate;
- Possibile estensione dei controlli anche ad altre agevolazioni collegate alla situazione familiare.
🔍 Come difendersi
- Verifica la contestazione: individua con precisione i motivi indicati dall’Agenzia delle Entrate.
- Raccogli la documentazione necessaria: stato di famiglia, certificati di iscrizione scolastica/universitaria, dichiarazioni dei redditi del figlio, eventuali provvedimenti di separazione o affido.
- Dimostra la soglia di reddito: prova che il figlio non ha superato il limite per essere considerato a carico.
- Contesta errori formali: correggi con dichiarazioni integrative o memorie difensive.
- Presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria se la pretesa è infondata.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza l’avviso di contestazione e individua eventuali errori o incongruenze;
- 📌 Ricostruisce la tua situazione familiare e reddituale per dimostrare il diritto alle detrazioni;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre la pretesa;
- ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta soluzioni agevolate, come definizioni o correzioni spontanee, per chiudere rapidamente la controversia.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario su detrazioni e agevolazioni familiari;
- ✔️ Specializzato in fiscalità delle persone fisiche e diritto di famiglia in ambito tributario;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni sulle detrazioni per figli a carico spesso derivano da errori formali o dati non aggiornati.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la sussistenza dei requisiti, mantenere il beneficio e ridurre o annullare le pretese del Fisco.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sulle detrazioni familiari inizia qui.