Agevolazioni Superbonus 110% Contestate Per Irregolarità: Come Difendersi

Hai usufruito del Superbonus 110% e hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate per presunte irregolarità? I controlli su questo incentivo edilizio sono tra i più serrati, perché spesso il Fisco ritiene che i lavori non rispettino i requisiti di legge o che la documentazione sia incompleta. Una contestazione può comportare la revoca totale del beneficio, con obbligo di restituzione delle somme, sanzioni e interessi.

Quando scattano le contestazioni sul Superbonus
– Se i lavori non rientrano tra quelli agevolabili (trainanti e trainati) previsti dalla normativa
– Se mancano le asseverazioni tecniche o non sono conformi ai requisiti richiesti
– Se i pagamenti non sono stati effettuati con bonifico parlante o con mezzi tracciabili
– Se le comunicazioni all’ENEA o all’Agenzia delle Entrate sono assenti o tardive
– Se gli interventi non rispettano i massimali di spesa previsti dalla legge
– Se sono state rilevate false dichiarazioni o irregolarità nei documenti presentati

Cosa rischi in caso di contestazione
– Revoca totale del Superbonus con obbligo di restituire tutte le somme detratte o i crediti ceduti
– Applicazione di sanzioni dal 100% al 200% delle imposte recuperate
– Addebito di interessi di mora sugli importi richiesti
– Possibile responsabilità penale in caso di asseverazioni false o frodi documentali
– Blocco della cessione del credito o dello sconto in fattura già effettuato

Come difendersi da una contestazione sul Superbonus 110%
– Dimostrare la conformità dei lavori attraverso relazioni tecniche, permessi edilizi e asseverazioni corrette
– Presentare fatture, bonifici parlanti e contratti che provino la reale esecuzione degli interventi
– Contestare errori dell’Agenzia delle Entrate nella ricostruzione delle spese o nell’interpretazione della normativa
– Evidenziare la buona fede del contribuente e la correttezza dei comportamenti adottati
– Far valere l’incertezza normativa e le frequenti modifiche di legge che hanno reso complesso l’adempimento
– Impugnare l’avviso di revoca davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa

Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’avviso di contestazione e verificare i vizi formali e sostanziali
– Raccogliere la documentazione tecnica e fiscale a supporto della legittimità del beneficio
– Contestare la sproporzione delle sanzioni applicate
– Difendere il contribuente in sede di contraddittorio e davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
– Tutelare l’impresa esecutrice, i professionisti e il committente da eventuali responsabilità solidali

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della revoca del Superbonus
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi richiesti
– La conferma della spettanza del beneficio se i requisiti sono rispettati
– La sospensione delle procedure esecutive collegate alla contestazione
– La protezione del patrimonio familiare e aziendale da pretese fiscali indebite

⚠️ Attenzione: il Superbonus 110% è una delle agevolazioni più complesse e soggette a continue modifiche legislative. Molte contestazioni si basano su irregolarità formali che non sempre giustificano la revoca dell’incentivo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e bonus edilizi – ti spiega come affrontare le contestazioni sul Superbonus 110% e come difenderti in modo efficace.

👉 Hai ricevuto una contestazione per irregolarità sul Superbonus 110%? Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione, verificheremo la documentazione e predisporremo la strategia difensiva più efficace per tutelarti.

Introduzione

Il Superbonus 110%, introdotto nel 2020 per incentivare la riqualificazione edilizia e l’efficienza energetica, ha rappresentato una misura fiscale di portata eccezionale ma anche fonte di complessità normative e potenziali abusi. Negli anni successivi, la disciplina del Superbonus (e degli altri bonus edilizi collegati) è stata oggetto di continui interventi legislativi e chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, oltre a controlli sempre più rigorosi. Di conseguenza, molte controversie legali sono emerse e si prevede un ulteriore aumento del contenzioso negli anni a venire. In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – analizzeremo in dettaglio come difendersi dalle contestazioni relative al Superbonus 110% e agli altri bonus edilizi, dal punto di vista del beneficiario (che diventa “debitore” quando gli viene chiesta la restituzione dell’agevolazione).

Adotteremo un taglio sia giuridico che pratico, adatto a avvocati, privati e imprenditori, usando un linguaggio tecnico ma divulgativo. La guida è strutturata in sezioni organiche con riepiloghi schematici, tabelle riassuntive, nonché un formato domande & risposte per chiarire i dubbi frequenti. Presentiamo anche casi pratici (simulazioni) basati su situazioni tipiche in Italia, per illustrare come applicare i principi nella realtà. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate – incluse le sentenze più recenti e i chiarimenti istituzionali – sono indicate per consentire ulteriori approfondimenti.

Obiettivo della guida: fornire una panoramica avanzata e aggiornata sulle responsabilità e sui rimedi legati al Superbonus 110% (e altri bonus edilizi), evidenziando come prevenire e soprattutto come reagire efficacemente alle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate o di altri enti. Dalla normativa di riferimento alle strategie processuali di difesa, passando per le questioni di responsabilità solidale tra attori coinvolti (beneficiari, fornitori, cessionari del credito, tecnici), l’analisi sarà il più completa possibile. Particolare attenzione sarà posta al punto di vista del contribuente beneficiario (il “debitore” in caso di recupero del bonus), spesso l’anello debole che rischia di dover restituire somme ingenti anche quando la violazione non è dipesa da sua malafede. Vedremo come il beneficiario possa tutelarsi, anche invocando la propria buona fede o errore incolpevole, e quali strumenti legali può attivare nei confronti degli altri soggetti (imprese esecutrici, professionisti asseveratori, acquirenti del credito) per limitare i danni e ripartire le responsabilità.

Cos’è il Superbonus 110%: quadro generale e contesto normativo

Il Superbonus 110% è una detrazione fiscale potenziata (originariamente pari al 110% delle spese sostenute) introdotta dall’art. 119 del Decreto “Rilancio” (D.L. 34/2020, convertito in L. 77/2020) . In sintesi, consentiva ai beneficiari di detrarre dalla propria IRPEF un importo superiore alla spesa effettivamente sostenuta (110% di essa) per specifici interventi di efficientamento energetico (Ecobonus), riduzione del rischio sismico (Sismabonus) e altri interventi “trainanti” o “trainati” previsti dalla norma. La ratio era duplice: da un lato rilanciare il settore dell’edilizia e dell’efficientamento energetico, dall’altro perseguire gli obiettivi ambientali di riduzione delle emissioni. L’art. 119 D.L. 34/2020 individua infatti le tipologie di interventi agevolabili e i requisiti tecnici, l’ambito soggettivo di applicazione e gli adempimenti necessari per aver diritto alla detrazione . Parallelamente, l’art. 121 D.L. 34/2020 ha introdotto la possibilità di optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, per lo sconto in fattura praticato dal fornitore o la cessione del credito corrispondente . Queste opzioni hanno reso il meccanismo estremamente vantaggioso e flessibile, ma anche complesso nei suoi controlli.

Sin dall’inizio, vista la portata eccezionale (detrazioni al 110%, cioè più dell’intera spesa), il legislatore ha previsto una serie di vincoli tecnici e procedurali: ad esempio l’obbligo di ottenere un miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio (o il raggiungimento della classe energetica più alta possibile) per beneficiare dell’Ecobonus 110%, la necessità di certificazioni e asseverazioni tecniche da parte di professionisti abilitati, il visto di conformità di un intermediario fiscale, oltre al rispetto di massimali di spesa per tipologia di intervento (definiti dai decreti attuativi del MiSE) . Inoltre, stante la possibilità di monetizzare subito il beneficio (tramite sconto/cessione), il Governo ha da subito introdotto un sistema di controllo per evitare abusi: si pensi che lo stesso art. 119 prevede sanzioni per attestazioni false e l’art. 122-bis (introdotto successivamente) ha previsto controlli preventivi sulle comunicazioni di cessione.

Va sottolineato che il Superbonus 110% si innestava su un tessuto normativo preesistente di bonus edilizi (detrazioni per ristrutturazioni ordinarie al 50%, Ecobonus 65%, Sismabonus fino all’85%, Bonus facciate 90% etc.). Il “110” ha temporaneamente potenziato queste aliquote al 110% per il 2020-2022 (poi proroghe mirate, v. infra), salvo poi essere gradualmente ridotto. Con il passare del tempo, l’incentivo è stato prorogato e modulato in base al tipo di beneficiario (persone fisiche, condomìni, ONLUS, IACP…) e al periodo di sostenimento delle spese. Ad esempio, per i condomìni la detrazione è rimasta al 110% fino al 31/12/2023 per lavori deliberati entro il 2022, poi scesa al 90% nel 2024 e 65% nel 2025 . Per le abitazioni unifamiliari, il 110% è terminato (salvo completamento lavori entro scadenze specifiche) e sostituito da bonus minori.

In parallelo, il contesto europeo e il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) hanno influito sulle politiche in materia: l’Unione Europea spinge verso la riqualificazione energetica degli edifici (la cosiddetta Direttiva “Case Green” sulla prestazione energetica nell’edilizia è stata approvata ad aprile 2024 ), con obiettivi ambiziosi al 2030-2033 per l’innalzamento delle classi energetiche degli immobili. L’Italia dovrà recepire tale direttiva entro il 2026, prevedendo interventi massicci sul patrimonio edilizio. Anche il PNRR e il programma REPowerEU dedicano risorse a nuovi incentivi per l’efficientamento: ad esempio, nel 2024-2025 sono stati stanziati 4 miliardi di euro per un “Ecobonus” mirato alle famiglie a basso reddito e ai giovani, correggendo l’esperienza del Superbonus generalizzato e concentrando il sostegno sui soggetti in povertà energetica . In sostanza, se da un lato il Superbonus 110% “originario” è stato ridimensionato per contenerne il costo e prevenirne gli abusi, dall’altro l’impegno verso edifici energeticamente efficienti rimane, con misure più sostenibili e mirate. Questo contesto va tenuto presente, poiché le contestazioni sulle pratiche del Superbonus 2020-2023 si inseriscono in un quadro in evoluzione, dove il legislatore bilancia la tutela dell’erario e la lotta alle frodi con la necessità di non penalizzare i beneficiari onesti e di continuare a promuovere la riqualificazione edilizia in linea con gli obiettivi UE.

Evoluzione normativa 2020-2025: modifiche al Superbonus e stato attuale

La normativa sul Superbonus 110% ha subito numerosi cambiamenti dal 2020 ad oggi (metà 2025). Comprendere queste evoluzioni è importante sia per individuare le cause di contestazione (spesso legate al mancato rispetto di regole sopravvenute) sia per impostare correttamente una difesa. Riassumiamo i passaggi chiave:

  • Decreto Rilancio 34/2020 (conv. L.77/2020): articoli 119 e 121 introducono rispettivamente il Superbonus 110% e la possibilità di cessione/sconto in fattura . Inizialmente il 110% si applica alle spese dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 per interventi elencati nell’art.119, comma 1 (isolamento termico a cappotto, sostituzione impianti centralizzati con caldaie a condensazione o pompe di calore, interventi antisismici) e i relativi interventi “trainati” (es. infissi, fotovoltaico, colonnine EV, abbattimento barriere, se eseguiti congiuntamente ai trainanti). Beneficiari: condomìni, persone fisiche fuori dall’esercizio d’impresa (con limiti su numero di unità), IACP (istituti case popolari), ONLUS/APS, cooperative. Controlli: fin da subito è richiesto (dal comma 11) il visto di conformità e l’asseverazione tecnica di congruità delle spese e requisiti, ma originariamente questi obblighi erano previsti solo per cessione e sconto, non per detrazione diretta in dichiarazione.
  • Decreto “Semplificazioni-bis” 77/2021 (conv. L.108/2021): introduce la CILA-Superbonus (CILAS) e aggiunge all’art.119 il comma 13-ter . Si semplificano gli adempimenti urbanistici: per i lavori Superbonus basta la CILAS, e si stabilisce che “l’assenza di CILA o violazioni gravi edilizie” comportano la decadenza, ma non la comportano le irregolarità formali o lievi dello stato legittimo. In pratica, con decorrenza 5 agosto 2021, il bonus non può essere annullato per abusi edilizi minori preesistenti, purché si sia presentata la CILAS e l’immobile non sia totalmente abusivo . Questa norma rispondeva al timore diffuso che piccoli abusi (es. una veranda non autorizzata) facessero perdere il 110%: ora non è così, salvo casi gravi. Per contro, se manca la CILAS dove era dovuta, la detrazione salta.
  • Decreto “Antifrodi” 157/2021 (conv. L.216/2021): di fronte ai primi segnali di frodi, il Governo Draghi interviene a novembre 2021 imponendo misure urgenti. Dal 12/11/2021 scatta l’obbligo generalizzato di visto di conformità e asseverazione di congruità delle spese anche per la detrazione in dichiarazione (non solo per cessioni/sconti) . Introdotto l’art. 122-bis D.L.34/2020 che consente all’Agenzia Entrate di sospendere fino a 30 giorni le comunicazioni di cessione dei crediti se emergono profili di rischio, per effettuare verifiche . Si inaspriscono poi le sanzioni per i tecnici asseveratori che rilasciano attestazioni infedeli (multa fino a €15.000 per asseverazione falsa). Queste misure segnano l’inizio di un’attenzione speciale alle pratiche fraudolente.
  • Legge di Bilancio 234/2021 (comma 29): limita la responsabilità solidale di fornitori e cessionari. Stabilisce che la responsabilità in solido per il pagamento dell’imposta (in caso di credito non spettante) è circoscritta ai casi di dolo o colpa grave del cessionario/fornitore . Ciò per evitare che intermediari in buona fede vengano penalizzati; era una risposta alle preoccupazioni degli operatori finanziari. La regola verrà poi attuata dal D.L. 13/2022 (vedi oltre) e chiarita dall’Agenzia con circolari ad hoc.
  • Decreto “Sostegni-ter” 4/2022 (conv. L.25/2022): interviene sul sistema di cessione dei crediti. Inizialmente (decreto-legge) aveva limitato le cessioni a una sola oltre la prima, per frenare il mercato “parallelo” dei crediti. Dopo proteste, in conversione e successivi decreti (DL 13/2022) si è arrivati a consentire fino a 3 cessioni (di cui la seconda e terza solo verso banche e soggetti vigilati) e successivamente una quarta cessione interna al gruppo bancario . Il DL 13/2022 (“Decreto Cessione crediti”) ha anche introdotto tracciabilità dei crediti, divieto di cessioni parziali dopo la prima comunicazione, e un codice univoco per ogni credito, per monitorarne la circolazione.
  • Decreto “Aiuti” 50/2022 (conv. L.91/2022) e “Aiuti-bis” 115/2022 (conv. L.142/2022): confermano la possibilità di quarta cessione (limitata a banche a clienti professionali) . Soprattutto, il D.L.115/2022 art.33-ter ribadisce e rafforza la limitazione della responsabilità solidale ai soli casi di dolo o colpa grave, anche retroattivamente: per i crediti antecedenti il 12/11/2021 viene concesso ai cessionari di ottenere a posteriori il visto di conformità e asseverazione (“visto ora per allora”) per attestare la regolarità, così da evitare la loro responsabilità salvo appunto frodi . L’Agenzia delle Entrate con Circolare 33/E del 6 ottobre 2022 ha chiarito in dettaglio cosa si intende per colpa grave del cessionario: ad esempio, omessa diligenza macroscopica come acquistare crediti senza alcuna documentazione di supporto, o con documenti manifestamente incoerenti (es. asseverazione riferita a un immobile diverso) . In assenza di tali situazioni, il cessionario si considera diligente e non paga (per approfondimento su dolo/colpa grave si veda la tabella difese più avanti).
  • Decreto-legge 11/2023 (conv. L.38/2023): questo provvedimento, del febbraio 2023, segna la fine del Superbonus come lo conoscevamo. Per ragioni di finanza pubblica (il costo fuori controllo dell’incentivo) il Governo ha bloccato la possibilità di nuove cessioni o sconti in fattura dal 17/02/2023 in poi , salvo poche eccezioni (edilizia libera e barriere architettoniche già in corso). In pratica, dal 2023 chi avvia nuovi lavori può solo portare la detrazione in dichiarazione (salvo soggetti IACP e assimilati fino a giugno 2023). Inoltre, il DL 11/2023 ha modificato di nuovo l’art.121 del DL Rilancio introducendo i commi 6-bis, 6-ter, 6-quater , i quali codificano la lista di documenti che un cessionario deve possedere per presumere la propria diligenza (CILAS/titolo edilizio, visure catastali, asseverazioni, APE, attestazioni di pagamento ecc.), e dispongono che l’onere della prova della colpa grave o dolo è a carico del Fisco. Queste modifiche mirano a dare certezza ai cessionari: se hanno raccolto documenti e verificato tutto, non saranno chiamati a rispondere.
  • Legge 197/2022 (Bilancio 2023) e Decreto 29/12/2023 n.212 (conv. L.14/2024, cosiddetto “Decreto Superbonus” o Salva-cantieri): hanno ridefinito le aliquote del Superbonus nel futuro e gestito i cantieri in corso. In particolare, il DL 212/2023 di fine anno ha mantenuto al 110% la detrazione per i lavori già realizzati e asseverati entro il 31/12/2023 , anche se formalmente l’aliquota sarebbe scesa al 90% nel 2023 (evitando di penalizzare cantieri quasi finiti). Ha inoltre introdotto un contributo a fondo perduto per alcuni casi particolari (persone fisiche con ISEE < 15.000 euro e SAL ≥ 60% al 31/12/23) per coprire la differenza tra 110% e 70% sulle spese 2024 . La norma prevede poi che dal 2024 il Superbonus standard scenda al 70% e nel 2025 al 65%, riportando dunque la detrazione ai livelli ordinari dell’Ecobonus prevalente . Di fatto, dal 2025 Superbonus = 65%, limitatamente ai condomìni e con requisiti stringenti (la legge di Bilancio 2024 ha ristretto l’accesso, ad esempio richiedendo la presentazione della CILAS entro il 31/12/2023 per poter avere il 90% su spese 2024, ecc.). Altre misure del DL 212/2023: divieto di cedere il credito per interventi di demolizione e ricostruzione in zona sismica 1-3 se il titolo edilizio non era stato richiesto prima dell’entrata in vigore, restrizioni sul Bonus barriere 75% (ora con obbligo di asseverazione tecnica e pagamenti tracciati) .

In sintesi, a metà 2025 il quadro è il seguente: nuove richieste di Superbonus possono beneficiare solo di aliquote ridotte (70-65%) e senza cessione (se non nei pochi casi ammessi), mentre la massa di crediti 110% creati nel 2020-2022 è oggetto di controlli serrati. Il legislatore ha cercato di distinguere tra violazioni “formali” o errori in buona fede e le vere frode organizzate, introducendo meccanismi per tutelare i soggetti incolpevoli (es. limitazione della responsabilità per i cessionari diligenti) . Tuttavia, sul piano pratico molti beneficiari si trovano a fronteggiare contestazioni e richieste di restituzione del bonus. Vediamo ora le principali cause di queste contestazioni e come impostare la difesa caso per caso.

Principali cause di contestazione del Superbonus 110% e dei bonus edilizi

Le contestazioni relative al Superbonus 110% possono scaturire da una pluralità di cause, riconducibili essenzialmente a irregolarità tecniche, documentali o fiscali riscontrate dall’Agenzia delle Entrate (o da altri organi di controllo, come la Guardia di Finanza) durante le verifiche sui lavori realizzati. In altri casi, le contestazioni sorgono da problematiche urbanistiche scoperte successivamente, o da inadempienze contrattuali degli attori coinvolti (imprese, tecnici) con riflessi sul diritto al bonus. È utile classificare le cause di contestazione in alcune macro-categorie, per poi vedere come difendersi in ciascuna di esse:

1. Contestazioni fiscali/documentali da parte dell’Agenzia delle Entrate: sono le più comuni e comprendono tutti i casi in cui, a seguito di un controllo, l’Agenzia ritiene che la detrazione non spettasse in tutto o in parte. Le motivazioni tipiche includono:

  • Mancanza dei requisiti oggettivi dell’agevolazione: ad esempio non è stato rispettato il miglioramento energetico richiesto (mancato salto di 2 classi energetiche), oppure gli interventi effettuati non rientravano tra quelli agevolabili. Anche il superamento dei massimali di spesa previsti (costi al mq oltre i limiti di legge) può portare a contestare la quota eccedente come detrazione non spettante . In pratica, l’Agenzia può dire: “il lavoro X non dà diritto al bonus, dunque la parte di spesa relativa è indebita”.
  • Difetto di documentazione o vizi formali nelle asseverazioni/visti: molti accertamenti riguardano errori o irregolarità nelle asseverazioni tecniche (es. dati tecnici riportati scorrettamente, asseverazione presentata in ritardo, allegati obbligatori mancanti) oppure nel visto di conformità (rilasciato da soggetto non autorizzato, o omesso nei periodi in cui era obbligatorio) . Se l’asseverazione tecnica viene ritenuta “falsa o infedele”, il Fisco disconosce completamente il bonus relativo. Se, ad esempio, dall’istruttoria ENEA risultano valori non coerenti con il doppio salto di classe, l’Agenzia considererà non spettante la detrazione. Analogamente, un visto di conformità mancante (per cessioni dopo novembre 2021) rende non validamente esercitata l’opzione di cessione. Queste sono cause frequenti di sanzioni e recuperi.
  • Spese non detraibili o irregolarità nei pagamenti: se durante il controllo emergono fatture non congruenti o pagamenti non tracciati, ciò compromette il bonus. Ad esempio, se alcune spese non sono state pagate con il bonifico parlante richiesto (contenente causale del bonus, codice fiscale beneficiario e P.IVA impresa), l’importo potrebbe non essere detraibile. Oppure, fatture intestate a persone diverse dal richiedente, o pagamenti in contanti, possono portare l’Agenzia a escludere quelle spese dall’agevolazione . Anche il pagamento di parte dei lavori oltre le scadenze previste può creare problemi (es. un acconto pagato entro il 2022 e saldo nel 2023 per un unifamiliare che aveva scadenza al 2022 – la quota pagata tardi perde il 110%). Queste sono contestazioni di tipo formale-contabile.
  • Utilizzo improprio del credito d’imposta: l’Agenzia può contestare non solo il diritto alla detrazione, ma anche come il credito è stato utilizzato. Esempi: un cessionario (es. un’impresa o banca) che ha compensato crediti in misura maggiore rispetto a quanto acquistato (ipotesi rara, ma possibile per errori di calcolo), oppure cessioni multiple oltre i limiti consentiti (ad esempio una quarta cessione a soggetto non ammesso, prima che fosse legale), o ancora un fornitore che ha applicato lo sconto in fattura senza poi comunicare correttamente la cessione. Dal 2022 in poi, con i nuovi codici identificativi e controlli incrociati, questi casi sono più difficili; rimane però la grande categoria dei crediti “inesistenti”, ossia totalmente fittizi, che è tema di vere frodi e sarà trattato a parte .

In tutti i casi sopra, l’Agenzia formalizza la contestazione tramite un “Avviso di accertamento” o “Atto di recupero” rivolto al beneficiario, in cui richiede la restituzione della detrazione non spettante (o del credito indebitamente utilizzato) più interessi e una sanzione amministrativa. La sanzione, in base al D.Lgs. 471/1997, è tipicamente del 30% dell’imposta non versata se il credito era esistente ma non spettante, oppure sale al 100% se il credito è ritenuto inesistente (cioè frutto di frode) . La distinzione è cruciale: un credito “non spettante” implica che l’operazione c’è stata ma non rispettava le condizioni (esempio: lavori eseguiti ma l’immobile non aveva i requisiti, oppure spesa eccedente); un credito “inesistente” indica invece che l’agevolazione è stata simulata o gonfiata senza spese reali. L’onere della prova differisce: per crediti inesistenti l’azione accertativa è più ampia (termine decennale oggi, 8 anni al tempo dei fatti) e la sanzione è piena 100%, mentre per non spettante si applica il termine ordinario (di norma 5 anni) e sanzione 30% . Difendersi da queste contestazioni significa dunque innanzitutto capire su quale base l’Agenzia nega il bonus (formale o sostanziale, colposa o dolosa) e predisporre le prove contrarie. Più avanti vedremo le strategie specifiche di difesa in ambito tributario.

2. Problematiche di conformità edilizia e urbanistica: un’altra fonte di decadenza del bonus risiede nelle irregolarità urbanistiche dell’immobile. In origine, per accedere al Superbonus era richiesto che l’immobile avesse uno “stato legittimo” regolare (assenza di abusi edilizi rilevanti), pena la non spettanza della detrazione. Molti edifici però presentano piccoli abusi o difformità (es. una veranda chiusa senza permesso, difformità minori nelle altezze) e si temeva che ciò facesse perdere il 110%. Come accennato, il Decreto Semplificazioni-bis 2021 ha introdotto la CILA-Superbonus (o CILAS) proprio per superare questo scoglio: presentando la CILAS si dichiara lo stato legittimo senza necessità di attestarlo, e la legge prevede che la detrazione non decade per violazioni meramente formali, ad eccezione di quattro casi gravi: assenza della CILAS, intervento realizzato difforme da quanto dichiarato in CILAS, violazione delle norme antisismiche, oppure immobili totalmente abusivi (privi di qualsiasi titolo) . Dunque oggi, difformità edilizie minori (non incidenti sulla sicurezza o sul progetto presentato) non dovrebbero portare l’Agenzia a revocare il beneficio, a patto che sia stata presentata regolarmente la CILAS.

Tuttavia, permangono zone d’ombra. In alcuni contenziosi recenti è emerso il problema di CILAS presentate su immobili con abusi insanabili: alcuni giudici hanno ritenuto la CILA “inefficace” se l’immobile aveva abusi gravi non sanati, riaprendo la questione (in sostanza, il Comune può contestare l’intervento in abusivismo e l’Agenzia potrebbe allora dire che mancava un titolo valido) . Le contestazioni tipiche su questo fronte riguardano:

  • Mancata presentazione della CILAS o titolo edilizio errato: se i lavori sono stati iniziati senza presentare la CILA-Superbonus quando invece era necessaria (ad es. interventi svolti dopo agosto 2021 senza CILAS) oppure se è stata presentata una CILA ma l’intervento in realtà richiedeva un permesso diverso (ad esempio, era una ristrutturazione pesante che richiedeva permesso di costruire e non semplice CILA), l’agevolazione può decadere . Un esempio: realizzare interventi strutturali spacciandoli per manutenzione straordinaria in CILA – vizio che rende invalido il titolo e quindi il bonus.
  • Abusi edilizi preesistenti non sanati: se si scopre – magari a lavori iniziati o finiti – che l’immobile aveva un abuso rilevante (es. un ampliamento non condonato), la normativa semplificata dice che la detrazione non decade solo per quell’abuso se c’è CILAS. Ma in pratica potrebbe nascere un contenzioso con il Comune e, in casi estremi, problemi sulla legittimità dell’intervento agevolato. L’Agenzia delle Entrate in sé non è competente a sanzionare l’abuso edilizio, ma se l’abuso inficiava i requisiti del bonus (es. un volume interamente abusivo su cui sono stati fatti lavori), potrebbe negare la detrazione su quella parte. Il contribuente, in sede di ricorso, dovrebbe provare che l’abuso era lieve o comunque non incidente sugli interventi agevolati . Spesso, parallelamente, conviene attivarsi per sanare l’abuso in Comune, se possibile, e presentare la sanatoria come elemento per conservare il bonus (anche se a posteriori). Va anche notato che in caso di abusi edilizi, oltre al danno fiscale c’è il rischio di provvedimenti comunali (ordinanza di demolizione o sanzione edilizia).
  • Vincoli o destinazioni d’uso non rispettate: alcuni immobili hanno vincoli paesaggistici, storico-artistici, o destinazioni speciali (es. immobili accatastati come uffici, negozi) che limitano l’accesso al bonus o richiedevano autorizzazioni specifiche. Ad esempio, il Bonus Facciate 90% non spettava per facciate interne non visibili da suolo pubblico; analogamente, il Superbonus inizialmente escludeva gli edifici classificati F/2 (“collabenti”, ruderi) e gli edifici in costruzione, poi in parte ammessi dal 2021. Se un intervento non era ammesso su quel immobile (per via di un vincolo non autorizzato o per categoria catastale esclusa), la detrazione può essere contestata . Anche qui, spesso la questione è tecnica: verificare se c’erano i permessi necessari (es. autorizzazione paesaggistica, nulla osta belle arti) e se l’immobile rientrava tra quelli agevolabili (ad esempio, unità non residenziali potevano prendere 110% solo in condominio con quota residenziale >50%).

Effetti di queste irregolarità urbanistiche: se l’Agenzia riscontra uno scenario che a suo parere precludeva il bonus (es: “immobile con abuso edilizio rilevante, quindi niente Superbonus”), può recuperare l’intera detrazione con sanzione 30%. Il contribuente dovrà allora far valere le norme sopravvenute (art.119 comma 13-ter) che tutelano la detrazione in presenza di CILAS, oppure dimostrare che l’abuso non era rilevante. Importante: l’Agenzia, non essendo organo tecnico edilizio, in genere si muove su questo fronte solo quando c’è un riscontro documentale (es: mancata CILAS, segnalazione del Comune, o dichiarazioni del tecnico stesso che certifichi la non conformità). In giudizio, oltre alla difesa fiscale, potrà emergere un profilo di responsabilità civile: ad esempio, se la perdita del bonus è dovuta a un abuso noto, il committente potrebbe rivalersi sul tecnico o sull’impresa che non hanno segnalato il problema (vedremo a proposito della responsabilità verso terzi).

3. Inadempienze contrattuali e contenziosi con imprese/professionisti: un capitolo a parte riguarda i problemi nei rapporti tra il beneficiario (privato o condominio) e l’impresa esecutrice o i professionisti coinvolti, che però hanno effetti sul diritto al bonus. I casi frequenti sono:

  • Lavori non ultimati o ritardi oltre le scadenze: se l’impresa appaltatrice non completa i lavori entro i termini previsti dalla legge per il Superbonus, il committente rischia di perdere in tutto o in parte l’agevolazione. Esempio: un’abitazione unifamiliare dove i lavori dovevano concludersi entro il 31/12/2022 (termine prorogato rispetto al 30/06 purché SAL 30% al 30/9/22) – se l’impresa ritarda e finisce nel 2023, le spese sostenute nel 2023 non hanno più diritto al 110% ma a un’aliquota inferiore (90% se rientrava, altrimenti zero) . Questo genera un danno economico per il beneficiario, che potrebbe dover restituire il bonus già fruito in acconto. Ad esempio, se aveva ceduto crediti sulle spese 2022 ma poi l’opera è incompleta e i requisiti decadono, l’Agenzia può recuperare quei crediti. In tali situazioni, si innesca un contenzioso civile: il committente può rifiutare di pagare il saldo lavori e chiedere danni all’impresa per la perdita dell’agevolazione. La legge infatti non prevede eccezioni: in caso di mancato completamento nei termini, il Fisco chiederà indietro la detrazione indipendentemente dalla colpa (non esiste esenzione per “colpa dell’impresa”). Quindi il proprietario pagherà il Fisco, ma potrà rivalersi sull’impresa per farsi rimborsare quel costo . Dal punto di vista della difesa tributaria, come vedremo, poco si può fare se i termini oggettivamente non sono stati rispettati – al più ottenere la non applicazione di sanzioni provando l’assenza di dolo (errore scusabile perché il ritardo non dipendeva dal contribuente).
  • Difetti o non conformità nei lavori eseguiti: se emergono vizi costruttivi o errori tecnici tali da invalidare l’asseverazione finale (es: i materiali usati non raggiungono la prestazione energetica promessa, oppure il cappotto termico copre meno superficie del dovuto), il bonus potrebbe essere perso per motivi tecnici. Ad esempio, se a consuntivo si scopre che non c’è stato realmente il miglioramento di 2 classi energetiche perché il tecnico ha calcolato male l’APE, la detrazione 110% non spetta . Anche qui la responsabilità primaria è dell’impresa e del tecnico asseveratore: il committente può contestare professionalmente l’errore e chiedere che il danno economico sia risarcito. Ricordiamo che i tecnici asseveratori per legge devono avere una polizza RC professionale con massimale adeguato (almeno 500.000 €) proprio per coprire eventuali danni patrimoniali causati da asseverazioni errate . Quindi, se il contribuente perde il Superbonus per un errore tecnico (es. un progettista che certifica il salto di classe ma sbaglia, o un architetto che non accorge di un abuso bloccante), potrà attivare un azione di responsabilità professionale contro di lui. Dal lato fiscale, il contribuente dovrà comunque restituire il bonus, ma la presenza di colpa del tecnico può essere valorizzata per ottenere la non applicazione delle sanzioni (errore tecnico non imputabile al contribuente) e poi per la rivalsa civile.
  • Crediti ceduti non corrispondenti ai lavori reali: il caso peggiore è quando si configura una vera truffa da parte dell’impresa (o general contractor) nei confronti del beneficiario. Ad esempio, può accadere che siano stati ceduti crediti per lavori mai realizzati o gonfiati rispetto al realizzato. Immaginiamo un condominio dove l’impresa fattura e fa risultare Stati di Avanzamento Lavori (SAL) al 100%, cedendo l’intero credito, ma in realtà in cantiere è stato fatto il 50% dei lavori. Oppure materiali diversi, di qualità inferiore a quella asseverata (dunque costi gonfiati). Se l’impresa fallisce o sparisce lasciando l’opera incompleta, i condomini scoprono di avere un credito fittizio già ceduto magari a una banca, e rischiano che il Fisco glielo revochi . Qui i privati/condòmini devono attivarsi legalmente per dimostrare di essere essi stessi vittime della frode dell’impresa. In sede penale potranno sporgere denuncia per truffa, e in sede tributaria potranno quantomeno invocare la propria buona fede per evitare le sanzioni (dato che la violazione è frutto di raggiro altrui). Un’azione possibile in questi casi – e in alcuni casi intrapresa – è chiedere un sequestro giudiziario dei crediti fiscali ceduti all’impresa, per evitare che questa li monetizzi senza aver eseguito i lavori . Ad esempio, se i crediti sono ancora nel “cassetto fiscale” dell’impresa o in attesa di utilizzo da parte del cessionario, i condòmini possono chiedere al giudice (civile o penale) di bloccarli cautelarmente, sostenendo che c’è un illecito e che quei crediti non dovrebbero circolare. In questo modo si cerca di evitare che l’impresa ottenga profitto illecito e di preservare eventualmente quelle somme a garanzia del danno subito dai condòmini e dallo Stato.

In generale, queste controversie tra privati e imprese esulano dal processo tributario (dove l’Agenzia chiede i soldi indietro al beneficiario), ma ne sono connesse: spesso il contribuente, per difendersi efficacemente, deve in parallelo agire contro l’impresa o i professionisti responsabili. Ad esempio, se un condominio perde il bonus per colpa dell’impresa, sarà cruciale far emergere in giudizio civile quella colpa, per poi alleggerire almeno le sanzioni fiscali sui condomini – mostrando che loro furono diligenti ma ingannati dall’impresa . Un giudice tributario può tenere conto del comportamento del contribuente nel decidere sulle sanzioni (non sul tributo): se si prova che i committenti hanno subito una truffa e hanno agito senza malafede, è possibile ottenere l’annullamento delle sanzioni per errore inevitabile (ai sensi dell’art. 6, c.5 D.Lgs. 472/97: violazione commessa per affidamento in buona fede a terzi).

4. Cessione del credito e coinvolgimento dei cessionari (banche, intermediari): come accennato, il Fisco ha contestato in molti casi anche le operazioni di cessione dei crediti d’imposta derivati dai bonus. Tipicamente, ciò avviene quando crediti ritenuti non validi sono stati ceduti e magari utilizzati da cessionari inconsapevoli. L’Agenzia, in questi casi, adotta due strategie possibili: da un lato emette atti di recupero nei confronti del beneficiario originario (che rimane sempre il primo responsabile), dall’altro può chiamare in causa in solido il cessionario qualora ritenga che questi abbia concorso nell’irregolarità (cioè con dolo o colpa grave) . Esempio: Tizio ottiene il Superbonus ma poi si scopre che la sua asseverazione era infedele → l’Agenzia recupera 100 da Tizio; se il credito era stato ceduto a una banca, potrebbe teoricamente chiedere 100 anche alla banca se prova che la banca era complice o gravemente negligente nell’acquisire quel credito .

Negli ultimi anni, tuttavia, la linea normativa si è spostata a tutela dei terzi acquirenti: oggi la responsabilità solidale del cessionario è espressamente limitata ai casi di dolo o colpa grave accertati (art. 121, co.6, D.L.34/2020 come modificato). In assenza di tali elementi, il cessionario in buona fede non deve pagare nulla . Ma allora, cosa succede dei crediti illegittimi ceduti? In sostanza, se un credito è fittizio viene annullato: il Fisco ne inibisce l’uso (o lo azzera nel cassetto) e rimane comunque il beneficiario originario debitore verso l’Erario. La banca (o altro cessionario) in buona fede perde il credito – dovrà eliminarlo dal proprio attivo (“svalutarlo” a bilancio come perdita) – ma non subisce ulteriori sanzioni o richieste di pagamento d’imposta . Se invece emerge che la banca sapeva della frode o è stata gravemente negligente (es. ha comprato crediti con documenti manifestamente falsi o da soggetti palesemente insolvibili senza controlli), allora potrà essere ritenuta corresponsabile e obbligata a restituire l’imposta indebitamente risparmiata.

Questo tema ha visto anche l’intervento della magistratura penale di legittimità: in alcune indagini per maxi-frode con crediti fittizi, banche cessionarie in buona fede si sono viste sequestrare i crediti dalla Procura, in quanto considerati provento di reato, pur non essendo esse indagate. La Corte di Cassazione penale ha chiarito che la buona fede del cessionario non impedisce il sequestro dei crediti illeciti, perché il credito inesistente non può essere “ripulito” tramite la cessione. In particolare, con la sentenza n. 3108/2024 (Sez. II Pen., depositata il 24 gennaio 2024) la Cassazione ha affermato che il cessionario, anche se estraneo alla frode, non può vantare un credito fiscale se questo è stato generato fraudolentemente dal cedente; tali crediti possono quindi essere oggetto di sequestro preventivo penale . La logica è che il credito ceduto è solo l’“evoluzione” del diritto originario alla detrazione, non un nuovo diritto autonomo: se il diritto originario era viziato da illecito, anche il credito successivo lo è . La Cassazione ha respinto la tesi che la cessione “depuri” il credito vizioso garantendolo al cessionario: un credito inesistente non può magicamente esistere solo perché passato di mano . Questo principio, seppur riferito al sequestro penale, mette in guardia i cessionari: pur sfuggendo a sanzioni tributarie se in buona fede, possono comunque subire la perdita economica integrale del credito acquisito fraudolento. Non a caso, ricordiamo, nel 2022-2023 molte banche hanno congelato l’acquisto di crediti temendo di incappare in situazioni simili.

Dal lato difensivo, un cessionario contestato (in sede tributaria) punterà a dimostrare di aver raccolto tutti i documenti e indizi di regolarità, quindi di non avere colpa grave. Un beneficiario, dal canto suo, se vede coinvolto anche il proprio cessionario (es. la banca) in un accertamento, potrebbe trovarsi in una posizione peculiare: può collaborare con la banca per dimostrare che lui ha fornito documenti veritieri e che entrambi erano in buona fede, oppure – se invece ritiene la banca negligente – potrebbe lasciare che l’ente creditore venga chiamato in causa. In pratica, però, dopo le modifiche normative del 2022-23, il beneficiario è quasi sempre l’unico debitore effettivo verso il Fisco: solo nei casi di frode conclamata il Fisco tenta di escutere anche altri, ma in tali casi spesso il beneficiario stesso era parte attiva della frode. Dunque la strategia usuale per un beneficiario onesto è dimostrare la propria buona fede e al contempo sperare che il cessionario (di solito banca) non venga coinvolto attivamente, così da mantenere con esso rapporti sereni (ad es. se la banca perde il credito, potrebbe rivalersi civilmente sul cedente per inadempimento contrattuale, salvo patto contrario).

5. Altre cause di contestazione (casi particolari): oltre alle macro-categorie sopra, si segnalano problematiche meno frequenti ma possibili:

  • Errori di comunicazione all’ENEA o all’Agenzia Entrate: ad esempio, la mancata o tardiva comunicazione all’ENEA dei lavori di efficientamento (obbligatoria entro 90 giorni dalla fine lavori per Ecobonus) – formalità spesso dimenticata – può teoricamente portare alla perdita dell’agevolazione ecobonus ordinaria, e per analogia è stata contestata anche per il 110%. Oppure errori nella comunicazione telematica all’Agenzia della cessione del credito (ad esempio invio oltre il termine del 16 marzo dell’anno successivo) – l’Agenzia in passato è stata rigida nel considerare non valide le opzioni tardive, anche se poi la giurisprudenza ha in qualche caso ammesso rimedi (principio del favor rei o remissione in bonis) . Questi aspetti “formali” possono spesso essere sanati se si rimedia spontaneamente, ma se trascurati possono dare appigli per contestazioni.
  • Cumulo indebito di incentivi: se il contribuente ha fruito di più agevolazioni sulla stessa spesa, violando il divieto di doppio beneficio. Ad esempio, non è ammesso usufruire sia del Superbonus 110% che del Conto Termico GSE sui medesimi interventi, o sommarsi bonus facciate e superbonus sulla stessa facciata. In caso di cumulo indebito, l’Agenzia recupera la quota eccedente di detrazione non spettante .
  • Cessione “informale” non andata a buon fine: si sono verificati casi in cui soggetti hanno venduto crediti “fuori piattaforma” (magari tramite accordi privati con intermediari, senza completare correttamente la procedura sul sito AdE) e poi la cessione non è stata riconosciuta dal sistema. In queste situazioni il cedente rischia di trovarsi senza il credito (perché credeva di averlo ceduto) e senza i soldi, se il cessionario non paga o l’accordo decade. L’Agenzia può emettere una “comunicazione di scarto” che dichiara non avvenuta la cessione per irregolarità. Ebbene, recentemente tale comunicazione di scarto è stata dichiarata impugnabile in Commissione Tributaria (TAR Lazio, confermato da CTR) in quanto atto lesivo . Questo riconosce tutela al cedente/cessionario che si vedono annullare l’operazione: possono fare ricorso per far valere il diritto al bonus se credono che il rifiuto sia illegittimo. Si tratta comunque di contenziosi peculiari.
  • Accertamenti penali paralleli: se sono in corso indagini per reati di truffa ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.) o indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) connessi al Superbonus, ciò si riflette anche sul piano tributario. Nelle frodi più gravi, i responsabili (imprese, faccendieri, tecnici compiacenti, talvolta beneficiari stessi) vengono imputati penalmente. La Cassazione ha di recente chiarito (sent. n. 45868/2024, vedi oltre) che il reato di truffa aggravata scatta anche senza l’effettiva compensazione del credito: basta aver creato e ceduto un credito fittizio per configurare l’indebita percezione di pubbliche erogazioni, pur se il credito non è stato ancora utilizzato . Ciò amplia la punibilità: anche chi “solo” genera e vende un credito falso commette reato, senza bisogno che incassi davvero denaro pubblico. Ovviamente, questa è più una questione penale che tributaria; per il contribuente onesto coinvolto per errore, l’obiettivo sarà dimostrare l’estraneità alla frode e ottenere magari l’archiviazione in sede penale. Ma è utile sapere che la linea penalistica è molto severa: nel dubbio, i crediti sospetti vengono sequestrati e i responsabili rinviati a giudizio, con confisca dei profitti illeciti (che può ricadere anche sui crediti stessi).

Alla luce di tutte queste possibili cause, qual è l’impatto sul beneficiario (debitore)? In quasi tutti i casi, l’effetto immediato di una contestazione fondata è la perdita del beneficio fiscale: o come annullamento del credito d’imposta non ancora utilizzato (che viene bloccato/scartato), o come richiesta di rimborso di quanto già detratto o ceduto. Inoltre si aggiungono interessi (calcolati dal momento dell’indebita fruizione) e sanzioni amministrative (30% o 100% a seconda dei casi, salvo riduzioni se si paga volontariamente o si aderisce) . Nei casi di frode conclamata, possono esservi anche sanzioni penali a carico dei responsabili e misure ablative (sequestri, confische). Dal punto di vista civilistico, il beneficiario si trova spesso anche a dover gestire rapporti conflittuali con altri soggetti: l’impresa che può aver causato la decadenza (da cui chiedere i danni), il cessionario che magari chiede di essere rimborsato (se non protetto dalla norma sul dolo/colpa grave, ma di solito se la banca perde il credito può rivalersi contrattualmente sul cedente, a meno di clausole contrarie) .

Nel prossimo capitolo ci concentreremo sulle strategie di difesa e tutela del beneficiario che riceve una contestazione. Approfondiremo come impostare la difesa in sede tributaria (verso l’Agenzia delle Entrate), quali argomentazioni utilizzare (dalla buona fede all’assenza di colpa grave, all’utilizzo di documenti a discarico), come eventualmente procedere in sede penale se coinvolti, e infine come rivalersi civilmente sugli altri responsabili. Inoltre, dedicheremo un paragrafo specifico alla responsabilità solidale e a come un cessionario o fornitore può difendersi per evitare di essere chiamato a pagare in solido.

Per chiarezza espositiva, presentiamo qui di seguito una tabella riassuntiva delle cause di contestazione più comuni, con le tipiche conseguenze per il beneficiario e possibili spunti di difesa:

Tabella 1: Cause tipiche di contestazione, conseguenze e possibili difese

Motivo di contestazione (esempi)Conseguenze per il beneficiarioPossibili difese e rimedi
Requisiti tecnici non rispettati (es: mancato salto di 2 classi energetiche; intervento non compreso tra quelli agevolabili)Recupero integrale della detrazione relativa a quell’intervento; sanzione 30% sull’imposta corrispondente; interessi dal momento della fruizione.– Dimostrare, con perizie tecniche di parte, che i requisiti in realtà sono stati raggiunti (es. produrre APE e calcoli alternativi se quelli ufficiali sono contestati). <br> – In subordine, invocare l’errore tecnico incolpevole: se il contribuente si è affidato a un tecnico abilitato, evidenziare che l’eventuale difetto era imprevedibile per lui (art. 5 D.Lgs. 472/97: violazione non punibile se manca la colpa) . <br> – Chiedere quantomeno l’esclusione delle sanzioni amministrative per assenza di dolo, citando anche Circolare AdE 33/E 2022: le sanzioni per concorso di terzi (tecnico) scattano solo se dolo/colpa grave . La buona fede del contribuente può portare all’annullamento delle sanzioni.
Asseverazioni infedeli o mancanti (es: documentazione tecnica carente; errori formali nell’asseverazione)Decadenza della detrazione per i lavori non asseverati correttamente; recupero importi con interessi; possibile sanzione specifica al tecnico (fino a €2.000 per asseverazioni infedeli, D.L. 34/2020) – ma ciò non esime il contribuente dalla restituzione dell’imposta.– Regolarizzazione se possibile: alcune violazioni formali possono essere sanate col tempo (es. asseverazione tardiva inviata entro termini di tolleranza con “remissione in bonis”). <br> – Sostenere che l’errore è solo formale e non sostanziale: in base allo Statuto del Contribuente, violazioni formali che non incidono sulla sostanza del tributo non dovrebbero portare alla perdita del beneficio. Se ad es. manca un allegato ma i lavori rispettano i requisiti, argomentare che la forma non pregiudica la spettanza. <br> – Chiamare in causa il tecnico asseveratore: sia in sede tributaria (per dimostrare l’affidamento del contribuente su un esperto) sia poi in sede civile per il risarcimento del danno attivando la polizza del tecnico .
Visto di conformità assente o irregolare (obbligatorio per cessione/sconto dopo 11/11/21)Detrazione negata per mancanza di visto dove richiesto; recupero dei crediti ceduti; sanzione 30%. Il professionista che ha apposto un visto infedele subisce a sua volta sanzioni (fino a €5.000) e sospensione dell’abilitazione.– Se il visto era richiesto ma non è stato fatto, valutare se esistono cause di forza maggiore o incertezza normativa che scusino l’omissione (difficile: l’obbligo era chiaro dal DL 157/21). In casi limite, si può sostenere che la cessione era stata perfezionata prima dell’entrata in vigore della norma. <br> – Se il visto c’è ma viene contestato come “infedele” (es. il commercialista non ha controllato bene), far leva sull’assenza di malafede del contribuente che ha fornito documenti corretti. Mostrare che eventuali omissioni del professionista non erano conoscibili dal contribuente. <br> – Ravvedimento operoso eventuale: se ci si accorge prima dell’accertamento, si può tentare di rinunciare all’opzione cessione (se il credito non è ancora usato) e fruire della detrazione in dichiarazione in 10 anni, come forma di ravvedimento per evitare sanzioni . Questo va valutato caso per caso con esperti.
Spese non ammissibili o eccedenti massimali (es: importi oltre i tetti di costo; lavori su parti non comuni spacciati per trainati)Recupero della parte di detrazione eccedente i massimali; sanzione 30% su quella quota. Se una spesa non era per nulla agevolabile (es: intervento non compreso) recupero del 110% su quell’importo con sanzione 30% (o 100% se configurato come credito inesistente).– Contestare la ricostruzione dell’Agenzia con nuovi computi metrici e analisi prezzi: dimostrare che i costi rientravano nei massimali oppure che l’eventuale eccedenza è minore di quanto calcolato dal Fisco (magari usando diversi prezziari ammessi dalla norma, se c’è discrepanza). <br> – Invocare eventuali tolleranze o incertezze normative: es. differenze tra prezziari regionali e DEI, o aggiornamenti normativi sui massimali avvenuti in corso d’opera; se la situazione era confusa, chiedere quantomeno l’esclusione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa. <br> – Nei condomìni, se la contestazione riguarda una errata ripartizione delle spese (ad es. lavori su parti private fatti passare come trainati condominiali), mostrare le delibere assembleari e i criteri adottati, evidenziando che l’errore era di interpretazione e non fraudolento .
Difformità urbanistiche significative (es: abuso edilizio non sanato di rilevante entità)Se considerata causa di decadenza: annullamento totale dell’agevolazione sui lavori eseguiti sull’immobile; recupero 110% con interessi e sanzioni 30%. (In parallelo, sul piano edilizio, il Comune può emanare ordinanza di demolizione o sanzione pecuniaria per l’abuso).– Verificare la portata della difformità: se è lieve/minore, invocare la protezione della CILA-Superbonus introdotta dalla L.108/2021, che esclude la decadenza per vizi formali. <br> – Se l’Agenzia fa leva sull’abuso per negare il bonus, evidenziare che la norma (art.119 c.13-ter) esclude la decadenza salvo i casi tassativi (mancanza CILA, intervento totalmente difforme, ecc.). Quindi, se la CILAS è stata presentata, il bonus spetterebbe comunque per legge . <br> – In parallelo, attivarsi per sanare l’abuso presso il Comune (richiesta di sanatoria) e presentare tale circostanza all’Agenzia o in giudizio, per sostenere che l’irregolarità è stata eliminata e non incide più. <br> – Contestare l’atto impositivo per difetto di motivazione: l’Agenzia non ha competenza primaria sugli aspetti edilizi, quindi deve indicare chiaramente perché l’abuso inciderebbe sui requisiti del bonus (es: “l’intervento agevolato era realizzato su un volume abusivo non condonabile”) . Se la motivazione è generica (“immobile non legittimo”), potrebbe essere motivo di annullamento dell’atto.
Mancato raggiungimento SAL entro scadenza (es: unifamiliare con SAL <30% al 30/09/22)In base alle norme transitorie, la detrazione 110% non spettava per le spese sostenute oltre la scadenza se il SAL richiesto non era raggiunto. Quindi la parte di spese tardive diventa non agevolata -> recupero relativo con sanzione 30%.– Verificare se si applicava qualche proroga o eccezione: es. per i comuni colpiti da eventi sismici c’erano estensioni, o per disabili gravi in casa singola il termine era diverso, ecc. Assicurarsi che l’ufficio abbia considerato correttamente tutte le proroghe normative. <br> – Argomentare che l’interpretazione dell’AdE è troppo restrittiva: se parte dei lavori era comunque completata, chiedere almeno il bonus parziale sulle spese entro termine. Ad esempio, se SAL 25% al 30/9, magari concedere il 110% su quel 25% e non sul resto (anche se la norma non lo prevede espressamente, si può tentare una soluzione equitativa in adesione). <br> – Agire contro l’impresa se il mancato SAL è colpa sua: in sede fiscale ciò non evita il recupero, ma aiuta a escludere il dolo del contribuente (quindi no sanzione, errore non suo) e fornisce base per chiedere all’impresa il risarcimento del costo del bonus perso .
Frode conclamata (crediti fittizi) – beneficiario consapevole (es: lavori mai eseguiti, fatture false con accordo col cliente)Annullamento totale del credito/bonus; sanzione 100% (credito “inesistente”); quasi certo avvio di procedimento penale per truffa aggravata ai danni dello Stato (640-bis c.p.) o indebita percezione (316-ter c.p. se importo <100k); sequestro preventivo dei crediti e possibili misure cautelari personali per i responsabili.– In sede tributaria: difesa sul merito quasi impossibile se i lavori non esistono affatto. Si può solo puntare su vizi procedurali dell’accertamento (es. notifica tardiva, motivazione carente) oppure cercare di dimostrare che parte dei lavori in realtà fu eseguita, riducendo l’importo inesistente (ad es. provare con perizia che un 30% dei lavori è stato fatto, quindi il credito non è del tutto fittizio ma parzialmente non spettante, per ricondurre la sanzione al 30%). <br> – Per le sanzioni, in questi casi l’Agenzia applica di solito il 100%; la difesa può provare a ricondurre il caso a “credito non spettante” (meno grave) se ad esempio c’era una minima parte di lavori reali o un dubbio normativo, così da ottenere sanzioni minori . <br> – In sede penale: strategia difensiva incentrata sul distinguere le responsabilità individuali. Ad esempio, se il beneficiario era in realtà ignaro del carattere fittizio (ma in questa ipotesi parliamo di beneficiario consapevole, quindi scenario difficile), oppure se il ruolo principale è di altri (professionisti organizzatori della frode), cercare di dimostrare un minor coinvolgimento per evitare le pene più severe. In alcuni casi i legali puntano a ottenere che il fatto sia derubricato da reato penale a sola violazione amministrativa tributaria (mancato pagamento di imposta) se, ad esempio, manca la prova dell’inganno ai danni dello Stato in senso tecnico. È una linea complessa, ma nei processi di frode al Superbonus l’obiettivo è almeno evitare le aggravanti o l’associazione a delinquere, mostrando eventualmente che l’imputato ha collaborato a riparare il danno. In ogni caso, in parallelo al penale bisognerà gestire il danno erariale: di solito la Corte dei Conti chiederà ai colpevoli la restituzione del maltolto.
Utilizzo irregolare del credito (es: compensazione oltre il dovuto; cessione effettuata quando non più consentita)Se il beneficiario o un cessionario hanno usato crediti in eccesso rispetto al dovuto, l’Agenzia recupera l’eccedenza con sanzione 30%. Se hanno effettuato una cessione fuori tempo (dopo il blocco del 17/2/23), quella cessione è semplicemente invalida: il credito rimane al cedente ma inutilizzabile (nessun effetto fiscale finché il blocco vige, e potenzialmente perdita definitiva).– Se contestano un utilizzo > credito ricevuto (p.es. errori di arrotondamento in F24), evidenziare che si tratta di un mero errore contabile e proporre il pagamento dell’eccedenza dovuta senza sanzione, usando lo strumento del “ravvedimento operoso” (che estingue la sanzione riducendola a 1/8 o 1/5) . <br> – Se contestano una cessione effettuata dopo il 17/2/23 (data del blocco), la situazione è complicata: la normativa è stata chiara nel vietare nuove cessioni, quindi la difesa può solo puntare sulla buona fede se la comunicazione era stata predisposta prima e vi è stato un equivoco sui tempi. In pratica, occorre contrattare col Fisco come gestire quel credito: spesso l’unica soluzione è far rientrare il credito al cedente e utilizzarlo in detrazione ordinaria se possibile (diluendolo su più anni), perché la cessione tardiva non verrà accettata. <br> – Impugnabilità di atti tecnici: se l’Agenzia si limita a comunicare lo “scarto” della cessione (rifiuto), ricordare che tale atto è impugnabile davanti al giudice tributario . Quindi, se si ritiene che il rifiuto sia illegittimo (p.es. perché la cessione era stata fatta da soggetto che poteva ancora farlo), si può fare ricorso chiedendo il riconoscimento dell’efficacia della cessione. È un tema nuovo e complesso, ma va menzionato.

Nota: ogni caso concreto ha le sue peculiarità, per cui le difese vanno calibrate sulle specifiche contestazioni e prove disponibili. La tabella sopra fornisce linee generali. Nei prossimi paragrafi approfondiremo alcuni di questi aspetti dal punto di vista legale: ad esempio come invocare concretamente l’errore incolpevole, come funziona l’eventuale ravvedimento operoso o accertamento con adesione, e come sfruttare al meglio le prove documentali a proprio favore. Dedicheremo anche un paragrafo alla responsabilità solidale e alle difese del cessionario, soggetto diverso dal beneficiario ma comunque coinvolto nelle controversie sui bonus edilizi.

Responsabilità solidale: beneficiario, fornitore e cessionario – ambiti e difese

Uno degli aspetti più insidiosi delle contestazioni legate al Superbonus 110% è la questione della responsabilità solidale tra diversi soggetti. La legge prevede che, in caso di violazioni relative alla spettanza del bonus, oltre al beneficiario principale possano essere chiamati a rispondere in solido anche altri soggetti coinvolti – in particolare il fornitore che ha applicato lo sconto in fattura e i cessionari che hanno acquisito il credito . Questo meccanismo deriva dal concetto generale di “concorso nell’illecito tributario” (art. 9 D.Lgs. 472/97) e richiama l’art.2055 c.c. sulle obbligazioni solidali nel caso di danno causato da più soggetti. Nel contesto del Superbonus, però, tale responsabilità è stata oggetto di importanti precisazioni e limitazioni normative, per bilanciare la tutela erariale con l’esigenza di non scoraggiare la partecipazione di imprese e banche al meccanismo incentivante.

Analizziamo dunque i ruoli e le responsabilità dei diversi attori, e come si configurano le rispettive difese:

Beneficiario (committente): è il soggetto che ha diritto originario alla detrazione e che ha fatto eseguire i lavori (proprietario o detentore dell’immobile, persona fisica o condominio). È considerato il principale responsabile della corretta fruizione del bonus. In caso di irregolarità, l’Agenzia delle Entrate si rivolge innanzitutto a lui per recuperare l’imposta detratta non spettante, con interessi e sanzioni. Il beneficiario è quindi debitore principale verso il Fisco. Anche qualora altri soggetti siano solidalmente responsabili, l’Erario potrà scegliere di escutere solo il beneficiario (spesso la parte più debole economicamente, ma anche quella che ha goduto direttamente del beneficio) . Difese del beneficiario: consisteranno principalmente nel dimostrare di aver agito con diligenza e buona fede, affidandosi a professionisti qualificati e rispettando le procedure. Come sottolineato dall’Agenzia Entrate (Circ.33/E), “le violazioni tributarie sono punibili solo in caso di dolo o colpa” e ciò vale anche per chi concorre . Quindi, se il beneficiario prova che l’eventuale errore non è a lui imputabile (ma dovuto al tecnico, all’impresa, o a un’interpretazione incerta della norma), può ottenere almeno l’annullamento delle sanzioni. Tuttavia, il debito d’imposta (la detrazione da restituire) di solito resta a suo carico: l’Agenzia recupera l’imposta anche se il contribuente era incolpevole, rimandando il beneficiario a rivalersi poi su terzi. Infatti, come abbiamo detto, il beneficiario rischia di essere l’“anello debole che paga per tutti”, ma ha il diritto di attivare le azioni di regresso contro gli altri soggetti. Ad esempio, se la detrazione è persa per colpa del progettista, il beneficiario pagherà il Fisco ma poi potrà citare in giudizio il progettista per farsi rifondere . In sede di ricorso tributario, comunque, conviene al beneficiario evidenziare le colpe altrui: sia per ragioni di equità (il giudice potrebbe tenere conto, ad es., nell’applicare sanzioni minime), sia per convincere magari l’Ufficio a rinunciare a parte delle pretese in sede di adesione o conciliazione.

Fornitore con sconto in fattura: è l’impresa (o il general contractor) che ha eseguito i lavori applicando lo sconto in fattura al cliente e monetizzando poi il credito d’imposta. Tecnically, il fornitore diventa il primo cessionario del credito dal committente, e spesso cede a sua volta il credito ad altri (es. a una banca). La legge lo menziona separatamente come “fornitore che ha praticato lo sconto” perché è un attore chiave. In caso di irregolarità, se l’impresa era coinvolta nella violazione, risponde in solido col beneficiario. Un’ipotesi classica: impresa e cliente si accordano per falsificare i lavori, generare crediti per opere mai fatte e spartirsi i proventi – qui entrambi agiscono con dolo e sono corresponsabili. Altra ipotesi: l’impresa era a conoscenza di un abuso edilizio che precludeva il bonus ma ha comunque accettato lo sconto confidando in possibili sanatorie – potrebbe configurarsi colpa graveDifese del fornitore: dopo le modifiche normative del 2022, anche il fornitore può invocare la limitazione “dolo o colpa grave”. Quindi, se l’impresa ha agito in buona fede (es. ha accettato il credito fidandosi dei documenti presentati dal cliente e dal tecnico asseveratore, e non c’erano segnali evidenti di irregolarità), potrà sostenere di non aver concorso volontariamente all’illecito. Deve però dimostrare di aver usato una diligenza adeguata: di fatto, la stessa lista di documenti e controlli richiesta ai cessionari professionali si applica anche a chi pratica lo sconto, essendo un cessionario “iniziale”. Se il fornitore può provare di aver acquisito e verificato CILAS/titoli abilitativi, asseverazioni, visto di conformità, e così via, potrà opporre l’esonero di responsabilità previsto dal comma 6-bis dell’art.121 . Inoltre, se è stata l’altra parte a ingannare l’impresa, paradossalmente il fornitore può essere anch’esso vittima: ad esempio, se il cliente e un tecnico compiacente hanno fornito all’impresa asseverazioni false per ottenere lo sconto, l’impresa può sostenere di essere stata tratta in errore. In tal caso la sua difesa sarà simile a quella di un cessionario in buona fede: evidenziare che non aveva motivo di dubitare, e semmai rivalersi su chi ha orchestrato la frode (cliente/professionista) . Dal punto di vista processuale, l’Agenzia Entrate in genere notifica l’atto principale al beneficiario e menziona la responsabilità solidale del fornitore, senza necessariamente emettere subito atto anche a quest’ultimo. Se l’Ufficio non procede direttamente contro l’impresa, quest’ultima può formalmente restarne fuori, ma in giudizio tributario potrebbe intervenire volontariamente a fianco del contribuente (intervento “ad adiuvandum”) o essere chiamata dal contribuente stesso per dividere le responsabilità. Questo può essere opportuno nei casi in cui l’impresa vuole far valere la propria buona fede per non essere coinvolta successivamente. In ogni caso, come detto, dopo il 2022 raramente l’Agenzia emette atti verso cessionari/fornitori se non ha indizi di dolo o colpa grave.

Cessionario del credito (banche, intermediari finanziari, altri acquirenti): è il soggetto (spesso una banca) che acquista il credito d’imposta dal beneficiario (o da altri cessionari a catena). Come visto, la normativa e la prassi hanno gradualmente chiarito la sua posizione: il cessionario risponde in solido solo se ha concorso con dolo o colpa grave nell’irregolarità . In termini pratici, significa che una banca onesta che acquista un credito poi rivelatosi inesistente non subisce sanzioni amministrative (il credito viene annullato, ma non deve pagare importi al Fisco), a meno che l’Agenzia non provi che c’erano elementi tali da configurare grossolana negligenza o addirittura collusione fraudolenta da parte sua. Difese del cessionario: per tutelarsi, già in fase di acquisto i cessionari (in primis le banche) hanno adottato rigorose procedure di due diligence: richiedono tutti i documenti previsti dalla legge (titolo edilizio, CILAS, asseverazioni tecniche, APE, fatture e relative ricevute di pagamento, visto di conformità, ecc.), verificano la reputazione del cedente, valutano la coerenza tra l’importo del credito e l’immobile/lavori eseguiti, verificano che il prezzo d’acquisto non sia anormalmente basso, ecc. Tutti questi controlli servono a poter dimostrare, in caso di contestazione, l’assenza di colpa. Infatti il comma 6-quater dell’art.121 stabilisce che il cessionario può provare con ogni mezzo la propria diligenza, e l’onere di provare il dolo/colpa grave è a carico del Fisco . Dunque, in un eventuale ricorso, il cessionario allegherà tutta la documentazione raccolta all’atto dell’acquisto e sottolineerà che nessun elemento poteva fargli dubitare della genuinità del credito. Ad esempio: la banca ha acquisito un credito di importo coerente col valore dell’immobile e con i lavori dichiarati, supportato da asseverazioni vistate, pagato a un prezzo di mercato (nessuno “sconto” eccessivo che facesse pensare a rischi), proveniente magari da un cliente affidabile – insomma, nessun “indice di rischio” apparente . In tale scenario, sarà molto difficile per l’Agenzia dimostrare la colpa grave. Viceversa, se il Fisco contesta, ad esempio, che mancava un certo documento, il cessionario potrà replicare che quel documento non era obbligatorio per legge o che comunque aveva surrogati equivalenti (es: se mancava la notifica ASL, mostrerà la dichiarazione del direttore lavori che l’intervento non la richiedeva, ecc.). In sintesi, il cessionario dovrà dimostrare di aver agito come un “bonus pater familias” diligente nell’acquisto del credito. Qualora invece emergano effettivamente elementi di negligenza grossolana (es: la banca non ha controllato che l’asseverazione riportava un indirizzo diverso, come nell’esempio classico fornito dalla circolare 33/E ), la sua difesa sarà debole: potrà provare a minimizzare, sostenendo che l’errore non era così evidente, ma se si ricade nella colpa grave la legge prevede la piena responsabilità solidale. Un’ultima nota: in sede penale le banche hanno un ulteriore margine, cioè il fatto di non essere indagate se veramente estranee (il sequestro può avvenire lo stesso, come visto, ma la banca in buona fede non viene incriminata). In sede tributaria, la buona fede le salva dal pagamento; pertanto un cessionario di solito cercherà di far archiviare sul nascere la propria posizione fornendo subito all’Agenzia tutta la documentazione che prova la diligenza (cercando di convincere l’AdE a non contestargli affatto il concorso) .

Ruolo del consulente fiscale (commercialista/CAF) e del tecnico asseveratore: pur non essendo espressamente indicati dalla norma come coobbligati dal Fisco (che infatti cita solo fornitore e cessionario), questi soggetti possono di fatto essere corresponsabili civilmente e penalmente delle irregolarità. L’Agenzia delle Entrate non può recuperare da loro l’imposta (poiché non sono né beneficiari né cessionari del credito), ma può irrogare sanzioni professionali: ad esempio, se un visto di conformità risulta apposto senza i dovuti controlli, al professionista è comminata una sanzione tra €500 e €5.000 e può essere sospeso dall’abilitazione . Se un tecnico asseveratore ha falsificato l’asseverazione, risponderà penalmente di falsità ideologica e concorso in truffa. Dal punto di vista del beneficiario, però, queste figure rappresentano anche i possibili “garanti” della buona fede: poter dimostrare che ci si è affidati a un CAF o a un tecnico qualificato che attestava la regolarità aiuta il contribuente a sostenere di aver fatto tutto il possibile per rispettare la legge. Inoltre, come già detto, il beneficiario ha diritto di rivalersi su di loro: l’asseveratore ha l’assicurazione obbligatoria che copre i danni patrimoniali da sue negligenze, e il soggetto che appone il visto di conformità di solito anch’esso stipula una polizza. Quindi, se un bonus decade per colpa di un loro errore, il contribuente può chiedere di essere manlevato (risarcito) da loro . In pratica – e questa è una strategia difensiva importante – l’avvocato del beneficiario cercherà di coinvolgere tutti i soggetti a monte, per ridistribuire le responsabilità e i costi. Ciò può avvenire sia in sede extragiudiziale (chiamando in causa assicurazioni professionali per tentare un accordo) sia eventualmente nell’ambito di un giudizio civile separato.

Dal punto di vista del contenzioso tributario, come si articola la solidarietà? L’Agenzia può emettere atti congiunti o separati: ad esempio, può notificare un unico avviso a più soggetti (beneficiario e cessionario) oppure atti separati a ciascuno. Nella prassi recente, di solito notifica al beneficiario l’atto principale e, se ritiene, un avviso al coobbligato. Spesso però, dopo il 2022, se non c’è dolo/colpa grave del cessionario, l’atto non viene proprio notificato a questo ultimo . In ogni caso, i coobbligati solidali, se chiamati, sono tutti debitori dell’intero (salvo diritto di regresso fra loro). Nel processo tributario, ciascuno può fare ricorso autonomamente; se i ricorsi sono separati, di solito vengono riuniti in fase di trattazione. Un soggetto non direttamente destinatario di avviso può intervenire nel giudizio di un altro ex art.14 D.Lgs.546/92 (come terzo interessato). Esempio: un cessionario che non ha ricevuto cartella può comunque intervenire nel ricorso del beneficiario, per supportare la tesi che il credito era regolare – specie oggi, se la legge dice che se non c’è sua colpa grave, non dovrebbe pagare.

Riassumendo i principi chiave della responsabilità solidale nel Superbonus, validi al 2025, si può dire: il beneficiario paga sempre salvo rivalersi; il fornitore e il cessionario pagano solo se complici o gravemente negligenti . Questa evoluzione normativa (dal 2020 ad oggi) è stata fondamentale per sbloccare il mercato dei crediti e dare certezze ai soggetti coinvolti. Naturalmente, quando l’Agenzia contesta, può inizialmente contestare tutto a tutti “per sicurezza”: spetterà poi ai coobbligati difendersi dimostrando la propria estraneità o diligenza. Le sezioni seguenti affronteranno gli strumenti di difesa a disposizione in concreto.

Procedura di accertamento e strumenti di difesa nel contenzioso tributario

Quando l’Agenzia delle Entrate riscontra irregolarità riguardanti il Superbonus o altri bonus edilizi, avvia un procedimento di accertamento che culmina tipicamente nell’emissione di un atto impositivo (avviso di accertamento o atto di recupero crediti d’imposta) nei confronti del contribuente beneficiario . È fondamentale conoscere come funziona questo procedimento e quali sono i mezzi di tutela del contribuente, sia in fase pre-contenziosa che contenziosa. Vediamo le fasi principali e le opportunità difensive in ciascuna:

1. Verifiche preliminari e questionari: spesso tutto inizia con una comunicazione dell’Agenzia (o un controllo della Guardia di Finanza) in cui vengono richiesti documenti e informazioni. L’ufficio può ad esempio inviare un questionario ex art. 11 co.1 L.212/2000, chiedendo entro tot giorni di produrre: le asseverazioni tecniche depositate, le fatture e relativi bonifici parlanti, la CILA/CILAS presentata, le APE pre e post intervento, i contratti d’appalto, ecc. . In altri casi, se si sospetta una frode grave, la Guardia di Finanza può svolgere accessi e ispezioni in cantiere, oppure acquisire documenti presso i tecnici e le imprese (anche mediante perquisizioni e sequestri in sede penale, se c’è un’indagine). Questa fase è cruciale: il contribuente deve collaborare, presentando tutto il possibile. La mancata risposta ai questionari fiscali può di per sé comportare sanzioni (fino a €2.065) e presumere un comportamento omissivo. Al contempo, se già si intravede che l’Agenzia contesterà qualcosa, è utile iniziare a predisporre delle memorie difensive spontanee: non c’è bisogno di attendere l’atto finale, si possono inviare all’ufficio delle note spiegando perché si ritiene di aver diritto al bonus, magari allegando i documenti chiave che supportano la propria tesi . Questa cooperazione preventiva talvolta può evitare il contenzioso: se il contribuente fornisce spiegazioni convincenti, l’istruttoria potrebbe chiudersi senza accertamento (o con un nulla di fatto su alcuni rilievi). Anche quando ci sono errori lievi, l’ufficio potrebbe invitarlo a regolarizzare (ad es. inviando un documento mancante). Inoltre, far capire subito all’Agenzia che il contribuente era in buona fede e che eventuali errori non sono frutto di malizia può predisporre l’ufficio ad applicare sanzioni minime o a soprassedere da quelle.

A questo stadio, se emergono difetti sanabili (es: una comunicazione ENEA tardiva), si può provare a sanare subito (remissione in bonis, se nei termini, o ravvedimento per pagare spontaneamente). È consigliabile farsi assistere già qui da un professionista (avvocato tributarista) che sappia quali argomenti mettere per iscritto: le memorie presentate all’ufficio non “bloccano” formalmente l’accertamento, ma restano agli atti e se ignorate possono dare appigli di difesa (es. poter dire in ricorso “il Fisco non ha valutato le nostre controdeduzioni”).

2. Avviso di accertamento / Atto di recupero: se le spiegazioni fornite non bastano o il controllo conferma irregolarità, l’Agenzia emette l’atto formale impositivo. Tecnicamente, quando si tratta di crediti d’imposta indebitamente utilizzati o detrazioni indebitamente fruite, l’atto può assumere la forma di un “atto di recupero di credito d’imposta” ai sensi dell’art. 1, comma 421, L.311/2004 (Finanziaria 2005) – atto assimilato a un avviso di accertamento. In altri casi viene emesso un classico avviso di accertamento in ambito reddituale (se ad esempio il bonus era fruito come detrazione in dichiarazione e si rettifica quella dichiarazione). In qualunque forma, l’atto deve essere motivato: contiene l’ammontare del bonus disconosciuto, la spiegazione del perché (“mancata congruità delle spese per €X”, “visto di conformità non apposto”, “immobile privo dei requisiti urbanistici”, ecc.) e il calcolo dell’imposta da recuperare, interessi e sanzioni . È importante controllare i termini di notifica: in linea generale, per le detrazioni indebite, l’accertamento va notificato entro il 5° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa al periodo d’imposta del bonus. Ad esempio, spese 2020 portate in detrazione nella dichiarazione 2021 → termine 31/12/2026. Per i crediti “inesistenti” il termine si allunga a 8 anni . Dunque, i crediti 2020-21 potranno essere contestati fino al 2028-29 se considerati inesistenti. Se l’atto arriva fuori termine è nullo (fa fede la data di spedizione notifica).

Il contribuente, ricevuto l’avviso, deve esaminarlo attentamente con il proprio consulente: se contiene errori nella motivazione (es. l’Ufficio contesta “mancanza visto” ma in realtà il visto c’era, oppure non menziona documenti giustificativi che erano stati inviati), questo può essere un punto a favore nel ricorso. Infatti, una motivazione insufficiente o contraddittoria può comportare l’annullamento. Ad esempio, se l’avviso è generico e non spiega quali requisiti mancano, si può eccepire il difetto di motivazione. Oppure se ignora completamente elementi forniti dal contribuente (memorie difensive), si può far valere che l’ufficio non ha valutato il contraddittorio endoprocedimentale.

3. Istanza di autotutela e interlocuzione informale: una volta ricevuto l’atto, prima di fare ricorso, il contribuente può presentare una istanza di autotutela all’ufficio, evidenziando eventuali errori palesi e chiedendo l’annullamento totale o parziale. L’autotutela è discrezionale per l’amministrazione, ma se c’è un evidente errore di fatto (es: l’Agenzia contesta l’assenza del visto di conformità, ma il visto c’è ed era stato trasmesso: magari l’hanno perso negli atti), è opportuno segnalarlo subito . L’ufficio potrebbe riconoscere lo sbaglio e annullare (sgravare) in tutto o in parte l’atto prima di andare in giudizio. In parallelo, se l’importo in gioco è elevato, conviene contattare l’ufficio per valutare un accertamento con adesione (D.Lgs.218/97): questo strumento deflattivo consente, entro 60 giorni dall’accertamento, di presentare istanza e ottenere un appuntamento col funzionario per discutere il caso e concordare una soluzione (riduzione). Nel contesto dei bonus, l’adesione potrebbe ad esempio portare a ridurre le sanzioni (spesso l’aspetto negoziabile: l’ufficio può toglierle o ridurle a 1/3) e magari accettare una parziale spettanza del bonus se c’è margine interpretativo . Va usata con cautela: aderire significa accettare e pagare, quindi bisogna essere convinti della convenienza. L’istanza di adesione sospende i termini per fare ricorso per 90 giorni, dando più tempo per trattare e preparare eventualmente il ricorso. In alcuni casi l’Ufficio stesso, prima di emettere avviso, invia un invito a adesione (ex art.5-ter D.Lgs.218/97) con una proposta: questo è un preludio che si può utilizzare per transare riducendo sanzioni di un terzo.

4. Ricorso al giudice tributario: se non si raggiunge una soluzione amministrativa, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (al netto di eventuali sospensioni da adesione) va presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale – dal 2023 rinominata “Corte di Giustizia Tributaria di primo grado”. Il ricorso, da predisporre con l’ausilio di un difensore abilitato (solitamente avvocato tributarista o dottore commercialista), è l’atto introduttivo del processo tributario e si deposita telematicamente . Nel ricorso occorre articolare i motivi di impugnazione, cioè le ragioni di fatto e di diritto per cui l’atto sarebbe illegittimo o infondato. Le principali linee difensive possibili sono:

  • Vizi formali/procedurali: sempre da verificare. Se l’atto è stato notificato oltre i termini di decadenza, o se manca la firma del capo ufficio, o se è stato emesso senza attendere 60 giorni dalla chiusura di un PVC Gdf (ove applicabile), ecc., questi sono vizi formali che portano all’annullamento senza entrare nel merito . Anche un eventuale difetto di contraddittorio (in materia di tributi non armonizzati non è obbligatorio, ma se vi era un PVC è buona norma attendere 60gg prima di accertare: in caso contrario si può eccepire la violazione dell’art.12 c.7 L.212/2000 se c’era accesso). Pure la motivazione carente è vizio di forma/sostanza. Insomma, ogni elemento procedurale va valutato perché vincere sul vizio procedurale è la via più rapida (evita di discutere se il bonus spettava o no).
  • Questioni di diritto sostanziale: qui si contesta l’interpretazione della norma data dall’Agenzia. Vista la complessità del Superbonus, esistono spesso zone grigie interpretative. Il contribuente può sostenere una lettura più favorevole: ad es., “la norma va letta così, quindi il requisito era soddisfatto”. Si possono citare a supporto eventuali circolari o risoluzioni dell’Agenzia stessa se favorevoli (l’amministrazione è tenuta a coerenza), oppure interpelli ufficiali, FAQ ministeriali, o persino atti parlamentari (interrogazioni, relazioni) che avvalorano la tesi. Un esempio: se l’Agenzia contesta che su un appartamento singolo non poteva farsi trainato senza salto 2 classi, il contribuente potrebbe citare la circolare in cui AdE chiarì che in condominio l’APE si fa all’edificio e il trainato sul singolo non richiede salto autonomo . Insomma, usare la normativa e prassi a proprio favore.
  • Argomentazioni fattuali e probatorie: il contribuente deve fornire al giudice la prova documentale della spettanza del bonus. Quindi nel ricorso vanno prodotti tutti i documenti chiave: contratti di appalto, fatture, bonifici parlanti, asseverazioni protocollate, APE ante e post, CILAS, eventuali foto dei lavori, certificati di fine lavori, collaudi, ecc. . Se la contestazione è tecnica (es: lavori fatti male), si può allegare una perizia di parte redatta da un ingegnere o tecnico, che confuti le conclusioni del Fisco (anche se il giudice tributario raramente dispone CTU d’ufficio, le perizie di parte possono avere valore se ben fatte). È importante ordinare bene i documenti e magari predisporre una relazione tecnica riassuntiva.
  • Buona fede e assenza di colpevolezza: un filo conduttore importante, anche se il bonus risultasse oggettivamente non spettante, è insistere sul fatto che il contribuente ha agito senza volontà di violare la norma. Questo è rilevante soprattutto per le sanzioni: il diritto tributario prevede che se l’errore è scusabile (per obiettiva incertezza normativa o per essersi affidato a un esperto qualificato), le sanzioni non vanno irrogate . Inoltre l’art.6 comma 2 D.Lgs.472/1997 stabilisce la non punibilità quando il contribuente si è conformato a indicazioni dell’amministrazione poi modificate – ad esempio, se uno seguiva una Guida AdE poi superata da norme restrittive, può invocarlo. Nel ricorso si può dunque chiedere in via subordinata: “anche se il tributo fosse dovuto, si chiede la dispensa dalle sanzioni ex art.6 co.5 D.Lgs.472/97 (errore incolpevole)” . Spiegare perché la violazione non è frutto di negligenza intenzionale ma di confusione normativa o di affidamento su terzi.
  • Eccezioni di legittimità costituzionale o altre: in casi estremi si può eccepire che alcune norme applicate siano incostituzionali o in contrasto con principi comunitari. Ad esempio, qualcuno ha ipotizzato profili di incostituzionalità nella riduzione retroattiva dell’aliquota (ma ad ora nessuna pronuncia in merito). I giudici tributari non sono sempre propensi a sollevare questioni di costituzionalità, ma se c’è un evidente trattamento iniquo si può sollevare la questione come argomento ulteriore (es: disparità di trattamento tra crediti prima e dopo 11/11/21 nella responsabilità cessionari, ma di fatto quella è già sanata normativamente) . In generale, meglio puntare su fatti concreti; però nulla vieta di porre anche queste questioni, tenendo aspettative moderate.

5. Sospensione della riscossione: una volta presentato il ricorso, la mera pendenza del giudizio non sospende l’obbligo di pagamento (salvo che per le parti dell’atto già oggetto di adesione). Tuttavia, poiché gli importi in gioco nel Superbonus sono spesso ingenti, è fondamentale chiedere al giudice tributario la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato (art.47 D.Lgs.546/92). Bisogna presentare un’istanza motivata, dimostrando sia il periculum in mora (danno grave e irreparabile se si paga subito: ad es. il contribuente finirebbe in default) sia il fumus boni iuris (motivi del ricorso non pretestuosi, quindi una ragionevole fondatezza) . Nel caso del Superbonus, la giurisprudenza di merito tende a concedere la sospensiva abbastanza spesso, data la rilevanza delle somme e la complessità delle questioni che suggerisce che il ricorso non è campato in aria. Un esempio riportato in dottrina: una commissione ha sospeso la riscossione per un avviso su Superbonus dove i condomini dimostravano di essere in buona fede ed esposero rischi finanziari notevoli. Ottenere la sospensione è vitale per avere respiro fino alla sentenza di merito. La sospensione, se concessa, dura fino alla sentenza di primo grado; se si appella, va chiesta di nuovo in appello (col rischio di dover pagare metà importi se la si nega in primo grado, ma confidiamo nel buon esito).

6. Giudizio di primo grado e gradi successivi: il processo tributario di merito in primo grado solitamente si svolge in camera di consiglio (ossia senza pubblico, solo su scritti) salvo che il contribuente richieda l’udienza pubblica. Data la complessità tecnica di questi contenziosi, è spesso opportuno chiedere l’udienza per poter illustrare oralmente al collegio i punti cruciali, magari facendosi assistere in udienza anche da un consulente tecnico (non per testimoniare, ma per supportare l’avvocato in eventuali domande tecniche) . La sentenza di primo grado può confermare l’atto, annullarlo totalmente, o annullarlo parzialmente (es: accogliere sul punto sanzioni ma non sul tributo). Chi perde può fare appello entro 60 giorni alla Commissione Regionale (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado). E successivamente, ricorso per Cassazione se ci sono violazioni di diritto o vizi di motivazione. I tempi purtroppo possono essere lunghi (spesso vari anni fino alla definizione). Per questo, come già detto, la sospensiva è essenziale per non subire effetti irreparabili nel frattempo.

Va segnalato che dal 2023 sono state introdotte importanti novità deflattive: è possibile la conciliazione giudiziale anche in appello e pure fuori udienza (ex art.48 D.Lgs.546/92 modificato). L’Agenzia delle Entrate ha ricevuto istruzioni di favorire soluzioni conciliative nei giudizi sui bonus edilizi, specialmente se il contribuente è in buona fede – perché si prevede un’ondata di contenziosi e si vuole evitare di ingolfare le Corti . Dunque, l’avvocato del contribuente dovrebbe mantenere aperto un canale di dialogo con l’Avvocatura dello Stato (che rappresenta l’Agenzia in giudizio) per sondare possibili accordi. Ad esempio, se la questione è incerta, proporre di chiudere facendo pagare solo l’imposta senza sanzioni, oppure riducendo le sanzioni al minimo. In conciliazione, le sanzioni possono essere ridotte fino al 50% di quelle irrogabili (in aggiunta alle riduzioni per adesione se già applicate). Molti uffici sono disponibili a trattare se il contribuente ha un atteggiamento collaborativo e non fraudolento . Questo conviene spesso a entrambi: il contribuente riduce il danno economico e chiude la vicenda, l’erario incassa più rapidamente ed evita rischi di soccombenza.

7. Strada penale parallela: se contestualmente pende un procedimento penale (ad es. per truffa aggravata o reati fiscali), la strategia va coordinata. Il processo penale segue i suoi tempi, ma un eventuale esito può influenzare la vicenda fiscale. Ad esempio, una condanna penale per truffa ai danni dello Stato comporterà quasi automaticamente l’obbligo di risarcire il danno erariale (restituire i crediti indebitamente ottenuti) – anche se di fatto l’Agenzia ha già il suo procedimento, la sentenza penale di condanna rafforza la posizione del Fisco. Viceversa, un’assoluzione penale perché “il fatto non sussiste” può dare argomenti morali al difensore tributario, ma attenzione: il giudice tributario non è strettamente vincolato dall’esito penale . Può capitare che, anche se uno viene assolto in sede penale per mancanza di dolo, ai fini fiscali la detrazione non spettante vada comunque recuperata (semplicemente senza sanzioni). Quindi bisogna coordinare le difese ma tenere distinte le logiche. In alcuni casi, il contribuente imputato penale potrebbe valutare il patteggiamento, ottenendo magari una definizione rapida con pena sospesa: questo però nel tributario sarebbe visto come ammissione di responsabilità, quindi potrebbe complicare la difesa amministrativa. Sono decisioni delicate da prendere con legali specializzati sia in penale che in tributario, valutando pro e contro.

8. Costi e benefici delle azioni legali: difendersi in queste cause può essere oneroso, vista la necessità di avvocati e consulenti tecnici, ma gli importi in gioco di solito lo giustificano. Va ricordato che se l’accertamento supera 50.000 € di tributo (capitale), è obbligatorio prima del processo presentare un reclamo/mediazione all’Agenzia (art.17-bis D.Lgs.546/92): è una procedura amministrativa in cui il contribuente può proporre una mediazione, e l’Agenzia ha facoltà di ridurre la pretesa del 5% per chiudere lì. Spesso è solo un passaggio formale, ma talvolta viene sfruttato per ridurre un po’ le sanzioni. Inoltre, in caso di soccombenza, ci sono le spese di giudizio (anche se nel tributario di solito ciascuno paga i propri, salvo condotte temerarie).

In sintesi, la difesa nel contenzioso tributario dei bonus edilizi richiede un mix di competenze tecniche (edilizie) e giuridiche. Non è raro che nei ricorsi si citi normativa edilizia, si alleghino elaborati tecnici e si discuta di APE, trasmittanze termiche, SAL, ecc. È un terreno multidisciplinare. Il contribuente deve giocare su più tavoli: tecnico (per provare che i lavori erano regolari), giuridico (per contestare interpretazioni e sanzioni) e anche equitativo (per persuadere della propria buona fede).

Prima di passare alle FAQ e ai casi pratici, un breve accenno: come stanno muovendosi le Entrate sul fronte controlli? Nel 2023-2024 l’Agenzia ha ricevuto risorse e mandato di controllare in modo massivo i bonus: è notizia che nel 2025 saranno inviate 500.000 lettere di compliance a chi ha beneficiato di bonus 110%-90%-65% , incrociando i dati catastali e fiscali. Quindi molti contribuenti riceveranno inviti a verificare la propria posizione. Questo significa che l’onere di provare la correttezza dei lavori potrebbe presentarsi anche a distanza di anni e su larga scala. Meglio farsi trovare preparati: nel prossimo paragrafo, le domande frequenti chiariranno i dubbi principali su cosa fare in caso di contestazione.

Domande frequenti (FAQ) su contestazioni Superbonus e difesa del contribuente

D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate contesta la mia detrazione del Superbonus 110%?
R: In caso di contestazione formale, l’Agenzia emette un atto (avviso di accertamento o atto di recupero) chiedendo la restituzione del bonus non spettante. Dovrai restituire l’importo della detrazione di cui hai beneficiato (o del credito ceduto) più interessi; inoltre verrà applicata una sanzione amministrativa, di solito pari al 30% dell’importo, se l’irregolarità non è considerata una frode (credito non spettante) . Se invece l’Ufficio qualifica il credito come “inesistente” (fittizio, fraudolento), la sanzione può essere del 100%. Ricevuto l’atto, hai 60 giorni di tempo per presentare ricorso al giudice tributario e/o per avviare un accertamento con adesione (che sospende i termini per ricorrere). Se presenti ricorso, puoi contestualmente chiedere al giudice la sospensione dell’atto, così da non pagare fino alla decisione. Nel giudizio potrai far valere le tue ragioni per ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa fiscale. Se le contestazioni riguardano irregolarità formali o errori non dipendenti da te, c’è una buona possibilità di far cancellare le sanzioni, dimostrando la tua buona fede e l’assenza di colpa grave. In ogni caso, è importante agire tempestivamente facendosi assistere da un consulente legale esperto, per valutare la strategia difensiva (memorie, adesione, ricorso) più opportuna.

D: Quali sono le cause più comuni per cui viene contestato il Superbonus?
R: Le cause tipiche includono: difetto dei requisiti tecnici (ad es. non è stato raggiunto il miglioramento energetico di 2 classi, oppure sono stati agevolati lavori che non rientravano tra quelli ammessi); irregolarità nelle asseverazioni o nei visti di conformità (asseverazione mancante, incompleta o falsa; visto di conformità omesso dove obbligatorio); spese non ammissibili o gonfiate (superamento dei massimali di costo, fatture per lavori non effettuati interamente, costi per lavori diversi da quelli dichiarati); problemi urbanistici (abusi edilizi significativi nell’immobile che avrebbero impedito l’accesso al bonus, specie se la CILAS non era stata presentata); errori procedurali/formali (comunicazioni tardive, CILA non presentata quando necessaria, pagamenti non tracciati); oppure veri e propri casi di frode (crediti d’imposta fittizi creati senza lavori reali) . L’Agenzia concentra i controlli soprattutto sulla documentazione tecnica e fiscale, incrociando i dati (es. confronta l’APE pre e post, verifica i bonifici parlanti, controlla le visure catastali per vedere se l’immobile era conforme, ecc.). Spesso le contestazioni nascono da difformità nei documenti: ad esempio importi indicati nell’asseverazione diversi da quelli delle fatture, o incongruenze tra quanto dichiarato e quanto risultante da banche dati. Nei condomìni, un motivo frequente di rilievo inizialmente era la presenza di piccole irregolarità edilizie non dichiarate, ma grazie alla CILAS queste non dovrebbero più causare la decadenza del bonus (salvo si scopra che erano abusi gravi) .

D: Come posso difendermi se mi contestano che i lavori non rispettano i requisiti (es. risparmio energetico insufficiente)?
R: In questo caso la difesa si basa molto su prove tecniche. Puoi far redigere a un tecnico abilitato una perizia di parte che dimostri il rispetto dei requisiti o confuti le conclusioni dell’Agenzia. Ad esempio, se contestano che non hai migliorato di 2 classi energetiche, puoi far rifare i calcoli energetici e gli APE: potrebbe emergere che il salto di classe c’è stato ma c’è un errore nei dati considerati dal CTU del Fisco, oppure che con qualche integrazione documentale (foto di coibentazioni non viste, relazioni termiche dettagliate) si può dimostrare il raggiungimento dell’obiettivo . Se invece effettivamente il target non è stato raggiunto (ad es. è stata migliorata una sola classe), potresti argomentare che l’errore non è dipeso dalla tua volontà: hai affidato i lavori e le certificazioni a professionisti, e credevi in buona fede di aver rispettato le condizioni. Questo potrebbe non evitarti il recupero del bonus (se oggettivamente non spettava, difficilmente il giudice tributario te lo lascia), ma può servire per eliminare le sanzioni dimostrando che la violazione non è stata colposa . Inoltre, verifica se la norma prevede qualche margine: ad esempio, è previsto che se non è possibile il doppio salto di classe perché l’edificio era già in classe alta, basta il massimo miglioramento conseguibile – se rientri in questa casistica (p.es. da B ad A), evidenzialo. In estrema ratio, se riconosci l’errore tecnico, puoi valutare un accordo con l’ufficio (adesione) per pagare il dovuto senza sanzioni e chiudere la vertenza senza battaglia legale.

D: Cosa significa esattamente “responsabilità solidale” tra beneficiario e cessionario del credito?
R: Significa che, in caso di violazioni sul bonus, l’Agenzia delle Entrate può legalmente chiedere il rimborso dell’importo indebito sia a te (beneficiario originario) sia al soggetto che ha acquistato il credito (cessionario), rendendovi entrambi obbligati in solido per l’intero debito. In pratica, siete considerati “condebitori”: se uno non paga, l’altro può essere chiamato all’intero . Tuttavia, questa responsabilità scatta solo al verificarsi di certe condizioni relative al cessionario. La legge (dopo le modifiche del 2022) ora prevede che il cessionario risponde in solido solo se ha concorso nella violazione con dolo o colpa grave. In altre parole, se hai ceduto il credito a una banca fornendo documenti falsi con la complicità di funzionari bancari, entrambi siete responsabili. Ma se la banca era in buona fede, oggi la norma esclude la responsabilità solidale del cessionario innocente. Dunque, in uno scenario normale, se tu beneficiario commetti un’irregolarità (anche involontaria) e cedi il credito, l’Agenzia recupererà l’importo principalmente da te; il cessionario risponderà solo se è provato che era complice o gravemente negligente . Inoltre, come accennato, le norme (art. 121 commi 6-bis e segg. introdotti nel 2023) elencano i documenti che il cessionario deve avere per essere considerato diligente: se li ha tutti (CILAS, titolo edilizio, asseverazioni, visto, fatture, pagamenti tracciati, etc.) e non emergono red flag evidenti, la sua buona fede è praticamente riconosciuta ex lege. In sintesi: responsabilità solidale vuol dire rischio di dover pagare debiti altrui, ma nel Superbonus tale rischio è stato ristretto ai soli casi in cui il cessionario ha avuto comportamento collusivo o grossolanamente negligente.

D: Come può un cessionario del credito (es. una banca o altro acquirente) evitare la responsabilità solidale?
R: Il cessionario deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e buona fede nell’acquisire il credito. In pratica, deve possedere e conservare tutti i documenti chiave relativi ai lavori che hanno generato il credito. La legge (art. 121 comma 6-bis D.L.34/2020) indica espressamente quali documenti: dal titolo edilizio (es. CILAS o permesso), alle asseverazioni tecniche, alle fatture e relative ricevute di pagamento, al visto di conformità, alle attestazioni dei requisiti, ecc. . Se il cessionario ha questa “checklist” completa di documenti (o un’attestazione dal cedente precedente di averli esaminati, nel caso di acquisto indiretto a catena), e non emergono indizi di dolo (ad esempio, accordi sottobanco col beneficiario per frodare) o di colpa grave (ad esempio, ha ignorato contraddizioni macroscopiche nei documenti), allora non sarà considerato responsabile solidale. In altre parole, per evitare guai il cessionario deve:

  • Richiedere tutta la documentazione obbligatoria e verificarne la coerenza (ad es., controllare che l’asseverazione si riferisca proprio all’immobile oggetto del credito, che le somme in fattura corrispondano ai bonifici e rientrino nei massimali, che l’APE post lavori certifichi il salto di classe, ecc.) .
  • Verificare il profilo del cedente e dell’operazione: ad esempio, se un privato con basso reddito cerca di cedere milioni di euro di crediti potrebbe essere un campanello d’allarme (incoerenza tra profilo economico e volume di credito, uno degli indici di rischio indicati dall’Agenzia) . Quindi, fare controlli KYC (know your customer) approfonditi.
  • Osservare le normative antiriciclaggio: identificare adeguatamente la controparte, tracciare i flussi finanziari (pagare il corrispettivo credito tramite canali ufficiali, ecc.), segnalare se qualcosa non quadra.

Facendo tutto ciò, il cessionario si mette in posizione di poter dire, in caso di contestazione: “ho fatto tutto quanto richiesto, non ho commesso alcuna negligenza”. Per di più, dal 2023 l’onere della prova della colpa grave è a carico del Fisco: quindi se il cessionario ha la “lista della spesa” dei documenti a posto, sarà molto difficile per l’Agenzia imputargli complicità . Infine, va notato che il cessionario risponde solo per l’utilizzo improprio del credito (ad es. se lo compensa due volte o oltre il dovuto); non può invece essere costretto a pagare un credito che non ha mai utilizzato. Se la banca ha comprato 100 di credito e poi quel credito viene annullato prima che la banca lo usi, la banca perde quei 100, ma il Fisco li chiederà (con interessi) al beneficiario originario, non alla banca. La banca risponderebbe solo se avesse già usato quei 100 per non pagare tasse proprie, in malafede.

D: L’Agenzia mi chiede di restituire il bonus perché c’è un abuso edilizio nella mia casa. Possono farlo?
R: Dipende dal tipo di irregolarità edilizia e da quando hai fatto i lavori. Dopo le modifiche normative del 2021, per il Superbonus si è stabilito che la presenza di taluni abusi edilizi non comporta la decadenza dal beneficio, purché sia stata presentata la CILA-Superbonus (CILAS) e l’immobile non sia totalmente abusivo. In pratica, non ti possono togliere il bonus per piccole difformità urbanistiche (difformità minori, mancanze formali) mentre restano esclusi ovviamente gli interventi eseguiti su immobili completamente abusivi o in difformità totale dal titolo. Dunque, se l’Agenzia ti contesta il bonus per un abuso, devi fare alcune verifiche e azioni:

  • Controlla se avevi presentato la CILAS. Se sì, la legge (art.119 comma 13-ter D.L.34/2020, introdotto da L.108/2021) dice chiaramente che la detrazione non decade salvo casi eccezionali. Quindi potrai far valere quella norma, citandola espressamente, e sostenere che l’Ufficio fiscale non può sindacare oltre se la CILAS era regolare . (Attenzione: i casi eccezionali sono quelli detti prima, es. assenza CILA, intervento totalmente diverso da quello dichiarato, ecc.).
  • Se invece non avevi presentato la CILAS (perché magari i lavori erano edilizia libera e hai ritenuto non servisse, o perché i lavori sono stati fatti prima di agosto 2021), la situazione è più delicata. L’Agenzia potrebbe ritenere che l’abuso edilizio preesistente inficiava il diritto al bonus. In tal caso, puoi comunque difenderti sostenendo che l’abuso era marginale e non aveva impatto sul godimento del bonus (es. un piccolo ampliamento in una parte non interessata dagli interventi di efficientamento). Potresti anche far presente di aver avviato nel frattempo una pratica di sanatoria edilizia per regolarizzare quell’abuso, mostrando la volontà di conformarti . Ciò potrebbe non bastare giuridicamente, ma aiuta sul piano equitativo.
  • Se l’abuso è rilevante (es. un intero piano costruito senza permesso, oppure una veranda abusiva che incide proprio sull’isolamento termico), ed era necessario regolarizzarlo per l’agibilità, sarà molto difficile evitare il recupero: la normativa richiede la legittimità edilizia delle parti interessate dai lavori. In uno scenario del genere, potrai al massimo puntare sulle sanzioni: dire che eri ignaro dell’abuso (magari ereditato dal precedente proprietario) e chiedere clemenza sul piano sanzionatorio. Ma il rimborso del bonus probabilmente sarà dovuto, perché formalmente l’intervento non poteva essere agevolato su una parte non legittima .

In sintesi, ad oggi l’Agenzia non dovrebbe revocare il Superbonus per semplici abusi formali grazie alla CILAS (se l’hai presentata e l’abuso è minore, hai un solido appiglio normativo). Se però lo fa, c’è spazio per difendersi citando la norma semplificativa e i chiarimenti ufficiali che la supportano. Per abusi gravi invece, la difesa è più complicata e spesso si sposta sul fronte civilistico: ad esempio, rivalersi su chi ti ha venduto la casa senza dichiarare l’abuso, o sul tecnico che non lo ha rilevato in fase progettuale.

D: Se l’impresa ha sbagliato i lavori o non li ha finiti e per questo perdo il bonus, posso rifiutarmi di pagare o rivalermi su di loro?
R: Sì. Dal punto di vista fiscale purtroppo la legge è chiara: se i lavori non vengono completati entro certi termini (o non raggiungono gli obiettivi previsti), devi restituire la detrazione di cui magari hai già usufruito. Non c’è una scappatoia “per colpa dell’impresa”: il Fisco guarda al fatto oggettivo che i requisiti non ci sono, indipendentemente dal perché. Quindi tu, come beneficiario, sarai tenuto a ridare indietro l’importo detratto (o a perdere il credito non ancora usato) relativo ai lavori non conformi. Tuttavia, hai pieno diritto di rivalerti sull’impresa per il danno subito. L’impresa infatti ha un obbligo contrattuale di eseguire i lavori a regola d’arte e nei tempi previsti; se il bonus sfuma per un suo inadempimento (es: non finisce i lavori entro la scadenza, oppure li fa male e non ottieni l’efficientamento sperato), questo costituisce un danno emergente per te. Le strade sono:

  • Innanzitutto, sospendere o rifiutare pagamenti all’impresa pari al bonus perso, se non l’hai ancora pagata interamente. Spesso, nei contratti con sconto in fattura, l’impresa ha già incassato sotto forma di cessione del credito; ma se c’era un saldo residuo o lavori extra, puoi trattenerlo. In ogni caso, metti per iscritto la contestazione all’impresa appena emergono i problemi.
  • Avviare una causa civile per risoluzione contrattuale (se i lavori sono incompleti o fatti male) e risarcimento danni. Nel risarcimento includi l’importo del bonus da restituire al Fisco, le eventuali sanzioni e interessi che hai dovuto pagare, oltre ad altri costi correlati (es. dover affidare i lavori a un’altra ditta, ritardi subiti, ecc.) . Idealmente, puoi chiedere al giudice di condannare l’impresa a manlevarti rispetto alle richieste dell’Agenzia delle Entrate – cioè a pagare al posto tuo ciò che devi al Fisco a causa sua.
  • Nel frattempo, puoi cercare di limitare il danno sul fronte dei lavori: se i lavori sono finibili anche se in ritardo, magari negoziare con l’impresa (o incaricarne un’altra) di completarli comunque, così da poter almeno usufruire del bonus sulle spese future (anche se a percentuale minore, es. 90% o 70% a seconda del periodo) . Ad esempio, se la casa è rimasta col cappotto a metà, finirlo al più presto ti farà ottenere l’ecobonus ordinario sulle spese restanti.

È consigliabile farsi assistere da un legale sin da subito in queste situazioni. In alcuni casi di contenzioso, i condomini sono riusciti ad ottenere provvedimenti d’urgenza dal tribunale: ad esempio, un sequestro preventivo dei crediti non ancora utilizzati dall’impresa, per evitare che li incassasse indebitamente mentre i lavori erano fermi . Questo è un rimedio drastico ma efficace a tutela dei proprietari: blocca il credito finché non si chiarisce di chi è la responsabilità. Ogni caso è a sé, ma l’importante è sapere che non sei costretto a subire passivamente la perdita del bonus per colpa altrui – puoi (e devi) reagire contro chi ha causato la situazione, per recuperare il tuo danno.

D: Quali sanzioni rischia chi utilizza indebitamente il Superbonus?
R: Sul piano amministrativo tributario, la sanzione base è il 30% dell’imposta non versata, cioè del bonus indebito (art.13 D.Lgs.471/97). Questa può essere ridotta se paghi subito con ravvedimento (ad es. a 1/8 del 30% se paghi con ritardo oltre un anno ma prima dell’accertamento) o in caso di definizione agevolata/adesione (1/3 del minimo). Se però l’Agenzia qualifica il credito come “inesistente” (fittizio), la sanzione sale al 100% dell’importo (art.13 co.5 D.Lgs.471/97). Inoltre, se accertano un comportamento doloso (frode), potrebbero contestare una sanzione aggravata dal 150% al 200% (questo in teoria in base all’art.1 co.2 D.Lgs.471/97 per atti fraudolenti, ma di solito si rimane sul 100% nei processi verbali) . Ci sono anche sanzioni accessorie: ad esempio la decadenza da altri benefici fiscali per un periodo, ma nel contesto del Superbonus non sono frequenti. Sul piano penale, a seconda della condotta possono configurarsi vari reati:

  • Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.): se hai ottenuto indebitamente un contributo statale. La Cassazione ha equiparato il Superbonus a un’“erogazione” pubblica , quindi se l’importo indebito supera €3.999,96 scatta questo reato (sotto tale soglia è illecito amministrativo). La pena è fino a 3 anni di reclusione se l’importo ≤ €100k; se > €100k diventa truffa aggravata (vedi sotto).
  • Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.): se hai ottenuto il bonus mediante artifizi o raggiri, ad esempio presentando fatture false o false attestazioni. Pena: da 1 a 6 anni di reclusione. La Cassazione 2024 (sent.45868/2024) ha chiarito che la truffa si perfeziona già con la creazione fraudolenta del credito e la sua cessione, anche senza effettiva compensazione o monetizzazione . Quindi basta aver creato crediti falsi, non serve averli anche utilizzati, per configurare il reato.
  • Reati fiscali del D.Lgs.74/2000: se hai inserito crediti inesistenti nella dichiarazione dei redditi (quadro RU), potrebbe configurarsi la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3) o emissione di fatture false (art.2 se hai usato fatture fittizie per giustificarlo). Se hai utilizzato in compensazione crediti falsi per più di 50.000 € in un anno, si configura l’indebita compensazione punita dall’art.10-quater D.Lgs.74/2000 (reclusione 6 mesi – 2 anni) . Questi reati fiscali potrebbero concorrere con la truffa ai danni dello Stato, a seconda dei casi.
  • Falsi in attestazioni o asseverazioni: il tecnico asseveratore che falsifica i dati commette falsità ideologica in atto pubblico o scrittura privata a seconda dei documenti (artt. 481 o 482 c.p.), e probabilmente concorre nella truffa. Il beneficiario che fosse d’accordo risponde come correo. Se invece il beneficiario non sapeva del falso, ne risponde solo il tecnico.

Va detto che se agisci in buona fede e c’è solo un errore formale o un’inadempienza non dolosa, di solito il penale non interviene. La questione si risolve in sede amministrativa (pagando con sanzioni). Il penale scatta per condotte fraudolente e organizzate. In ogni caso, chi regolarizza spontaneamente la propria posizione prima di essere scoperto ha molte più chance di evitare guai penali. Ad esempio, se ti accorgi di un errore e restituisci il credito (ravvedimento operoso) prima di controlli, difficilmente ti contesteranno un reato, perché manca l’elemento del dolo (volontà di truffare lo Stato) . Al contrario, chi ordisce una frode con documenti falsi rischia seriamente condanne: l’orientamento recente è severo (la Cass. 45868/2024 citata ha rigettato i ricorsi degli imputati in una maxi-truffa di crediti fittizi, confermando la punibilità anche senza utilizzo del credito).

D: Ho ricevuto un avviso di accertamento per il Superbonus: è possibile trovare un accordo senza andare in causa?
R: Sì, esistono vari istituti deflattivi che permettono di evitare il lungo iter del processo tributario trovando una soluzione concordata:

  • Accertamento con adesione: puoi presentare istanza di adesione all’ufficio entro 60 giorni dall’avviso (o entro il termine di ricorso). L’ufficio ti convocherà per un contraddittorio; se trovate un accordo sull’importo da pagare, si firma un atto di adesione. In genere, l’Agenzia in adesione riduce le sanzioni a 1/3 di quelle minime di legge . Ad esempio, una sanzione del 30% diventa effettivamente del 10%. Inoltre non si pagano le ulteriori sanzioni da ritardato pagamento (interessi di mora) che maturerebbero dopo. A volte, se hai argomenti validi, l’ufficio in adesione può anche limare un po’ la pretesa sul tributo (non è garantito, ma se vedono un rischio in giudizio possono “venirti incontro” su qualche percentuale di spese ammesse). L’adesione è utile quando riconosci che almeno in parte l’Agenzia ha ragione e vuoi chiudere con sanzioni ridotte.
  • Reclamo/mediazione: per atti di valore (imposta) fino a €50.000, la presentazione del ricorso vale anche come reclamo. L’ufficio legale dell’Agenzia può accogliere in tutto o in parte il reclamo, oppure proporre una mediazione. Spesso questo porta a una riduzione delle sanzioni intorno al 35-40% (dipende dai casi; è simile all’adesione, ma avviene con la controparte dell’Avvocatura o ufficio legale in sede di reclamo). Serve per deflazionare cause minori.
  • Conciliazione giudiziale: se fai ricorso, puoi comunque conciliare in fase giudiziale, davanti alla Commissione. Si può proporre la conciliazione sia in primo grado che in appello (dal 2023 anche fuori udienza). In caso di conciliazione, oltre a concordare una cifra ridotta, le sanzioni sono ulteriormente ridotte a 1/3 di quelle irrogabili (se conciliazione in primo grado) o a 1/2 (in appello). Ad esempio, sanzione 30% diventerebbe 10% in adesione, ma se non l’hai fatto e concili in giudizio potresti spuntare anche un 5% (metà di 10%). Queste percentuali sono stabilite dall’art.48 D.Lgs.546/92 .

Molti uffici sono disponibili a trattare, specialmente se il contribuente dimostra collaborazione e buona fede. Ad esempio, se hai tutti i documenti ma per un cavillo il bonus non spettava, potresti proporre: “pago il tributo ma togliamo le sanzioni, perché ho sbagliato in buona fede”. Oppure: “riduciamo la sanzione dal 30% al 5% perché c’era incertezza normativa”. Queste proposte spesso vengono accettate, perché anche l’Agenzia vuole evitare troppi contenziosi su una materia così complicata (hanno riconosciuto ufficialmente che c’è spazio per l’errore incolpevole in diversi casi). Dunque sì, conviene tentare un accordo. Naturalmente, valuta con il tuo consulente: se sei convinto di avere ragione al 100% e in giudizio pensi di vincere tutto, magari meglio andare avanti; se invece c’è un rischio di perdere, una conciliazione vantaggiosa ti fa risparmiare tempo e soldi (e ricordati che se concilì, le sanzioni sono dimezzate rispetto al normale, come detto) .

D: In caso di contestazione, devo pagare subito tutto o posso rateizzare?
R: No, non devi pagare immediatamente se fai ricorso. Di default, un avviso di accertamento diventerebbe esecutivo trascorsi 60 giorni (deve essere pagato entro 60 gg se non fai nulla); però se fai ricorso la riscossione viene sospesa fino a 90 giorni dopo la sentenza di primo grado (in pratica, fino a quel momento l’Agente della Riscossione non può esigere). Inoltre, come detto, puoi ottenere una sospensiva giudiziale. Dunque, presentando ricorso, non paghi subito. Pagherai solo alla fine se perdi (o pagherai quanto concordato in adesione/conciliazione). Se invece non fai ricorso né adesione entro 60 gg, l’atto diventa definitivo e il debito viene iscritto a ruolo: a quel punto ti arriverà una cartella e dovrai pagare. Ma anche in quel caso, puoi chiedere una rateizzazione al concessionario (Agenzia Riscossione – ex Equitalia). In sede di accertamento con adesione è previsto per legge il pagamento in 8 rate trimestrali (16 rate se l’importo supera €50.000) . In sede di conciliazione giudiziale, si possono ottenere fino a 8 rate trimestrali (o 20 se importo elevato). Con la cartella esattoriale ordinaria, si può rateizzare fino a 72 rate mensili (6 anni) o, in caso di grave difficoltà, fino a 120 rate (10 anni). Quindi sì, non sei costretto a versare tutto in un’unica soluzione se non hai liquidità. L’importante è muoversi per tempo: se non fai ricorso né adesione, come detto, dopo 60 gg l’importo diventa definitivo e inizia la riscossione forzata; a quel punto potrai rateizzare con l’Agente Riscossione ma perderai gli sconti sulle sanzioni che avresti ottenuto definendo prima. Ad esempio, in adesione potevi ridurre la sanzione al 10%; se lasci scadere e poi rateizzi la cartella, dovrai pagare la sanzione intera 30% più aggio. Se invece conciliate in giudizio, la legge prevede la possibilità di chiedere rate trimestrali (massimo 8 o 16 a seconda dei casi) per l’importo dovuto .

In sintesi, in caso di contestazione di importi elevati, non farti schiacciare dall’ansia di pagamento immediato: usa gli strumenti a disposizione (ricorso e sospensiva, o adesione) per prendere tempo e valutare. E ricorda che la rateizzazione è quasi sempre ottenibile, in una forma o nell’altra.

D: Cosa posso fare per prevenire le contestazioni sul mio cantiere Superbonus?
R: La prevenzione è fondamentale, perché una volta sorti i problemi si entra in acque agitate. Alcuni consigli di best practice:

  • Conserva ordinatamente tutti i documenti: predisponi un fascicolo completo con CILA/CILAS, titoli abilitativi, asseverazioni tecniche, APE pre e post, relazioni tecniche, fatture, bonifici parlanti, visure catastali pre e post, delibere condominiali se applicabile, contratti con l’impresa, certificati di fine lavori o di collaudo, comunicazioni inviate (ENEA, AdE per la cessione)… Insomma, una “cartellina Superbonus” digitale e cartacea, completa e facilmente esibibile. Spesso i problemi nascono perché a distanza di anni non si trovano più carte essenziali. Evita questo scenario .
  • Affidati a professionisti seri: scegli un tecnico asseveratore e un fiscalista con esperienza specifica. Verifica che abbiano polizze attive e massimali adeguati. Diffida di chi promette miracoli documentali o scorciatoie (es. “non serve l’APE tanto nessuno controllerà…”: potrebbe andarti bene, ma se poi controllano sei scoperto). Meglio un professionista pignolo oggi che un problema domani .
  • Fai verifiche intermedie durante i lavori: se il cantiere è lungo, a metà strada fatti fare un check: ad esempio, chiedi al termotecnico di ricalcolare il salto di classe con i lavori fin lì fatti, per vedere se siete in linea (se manca qualcosa, potete correggere in corso d’opera aggiungendo un intervento migliorativo). Oppure controlla le spese: siete entro i massimali? Se no, ridimensionare qualcosa. Questa due diligence interna evita sorprese a fine lavori .
  • CILA-Superbonus: assicurati che sia stata presentata quando necessaria (praticamente sempre dopo agosto 2021, tranne manutenzioni libere) e che includa tutti gli interventi previsti. La CILAS ti protegge da contestazioni su abusi minori, quindi è un documento chiave: deve esserci e deve essere regolare (evita errori di compilazione, allega gli elaborati richiesti, ecc.) .
  • Visto di conformità: fallo rilasciare da un soggetto qualificato e scrupoloso (commercialista, CAF). Il visto è un controllo di secondo livello: un buon commercialista potrebbe individuare errori prima che diventino rogne. Ad esempio, se manca un documento, se un bonifico non è parlante, ecc., il fiscalista attento te lo segnala e lo sistemi prima che arrivi il Fisco .
  • Evita operazioni opache: se qualcuno ti propone di “monetizzare” il credito senza fare davvero i lavori (o gonfiando le fatture), sappi che i controlli ormai sono stringenti e le chance di farla franca poche. Rischi penali seri tu e chi te lo propone. In generale, qualsiasi scorciatoia illegale (false certificazioni, ditte compiacenti) va respinta: è un terreno minato e i recuperi fioccano.
  • Monitoraggio post-lavori: dopo aver usufruito del bonus, conserva la documentazione per almeno 8-10 anni (termine di accertamento, possibili proroghe) e rimani informato sulle evoluzioni normative. Ad esempio, se esce una circolare che cambia interpretazione su qualcosa che hai fatto, valuta con un consulente se devi muoverti (es. ravvederti). Se il Fisco manda un questionario, sii pronto a rispondere con ordine .
  • Consulenza preventiva: in casi complessi (condomini grandi, interventi borderline) può valere la pena far fare una sorta di “due diligence fiscale” da un tributarista prima di chiudere i conti. Cioè, a lavori quasi finiti, far controllare a un esperto tutta la pratica: magari individua un dettaglio da correggere in extremis (un documento mancante, una ripartizione da aggiustare, ecc.). Un avvocato o commercialista esperto di bonus può offrire questo servizio di audit per assicurare che tutto sia a prova di verifica .

In sostanza, prevenire significa ridurre al minimo i punti attaccabili. Un dossier ben fatto e l’osservanza scrupolosa delle norme e delle circolari di prassi mettono al riparo la maggior parte dei contribuenti onesti dalle contestazioni, o quantomeno li mettono in grado di vincere facilmente un eventuale ricorso dimostrando la propria correttezza . Come dice un detto, “il diavolo sta nei dettagli”: cura tutti i dettagli in fase di esecuzione e documentazione, e non dovrai temere il post.

Passiamo ora a qualche caso pratico per vedere come queste situazioni si concretizzano e come le difese vengono applicate nella pratica.

Casi pratici e simulazioni (scenari di contestazione e difesa)

Vediamo ora alcune simulazioni pratiche, ispirate a situazioni tipiche che possono verificarsi, per comprendere come applicare i concetti trattati nella guida. Ogni scenario descrive una possibile vicenda e indica quali azioni l’avvocato del contribuente (dal punto di vista del debitore) potrebbe intraprendere.

Caso 1: Lavori in casa unifamiliare non completati entro la scadenza – perdita parziale del Superbonus
Scenario: Il Sig. Rossi stava ristrutturando la sua villetta unifamiliare con Superbonus 110%. Aveva come scadenza il 31 dicembre 2022 per completare i lavori (essendo una villetta, la proroga dal 30/06/22 al 31/12/22 era subordinata all’aver raggiunto SAL 30% al 30/9/22, condizione che Rossi aveva rispettato). Purtroppo l’impresa ha avuto ritardi: al 31/12/2022 i lavori erano completati solo all’80%, e si sono conclusi poi a marzo 2023. Il Sig. Rossi aveva già ceduto il credito corrispondente ai lavori man mano eseguiti (due SAL) a una banca. A luglio 2024, l’Agenzia delle Entrate notifica al Sig. Rossi un atto di recupero: contesta che le spese sostenute nel 2023 (circa 20.000 €) non avevano più diritto al 110% ma solo al 90%, quindi la differenza del 20% è un credito non spettante da restituire. L’atto richiede circa €4.000 di imposta, più interessi e sanzione 30% su tale importo (circa €1.200 di sanzioni). Il Sig. Rossi è sorpreso perché era convinto di poter avere il 110% su tutto e non sapeva che la proroga fosse condizionata al completamento entro 2022. Inoltre è in difficoltà economiche.

Azioni difensive: L’avvocato analizza il caso. In effetti, la normativa (all’epoca, Legge 234/2021) era chiara: per le unifamiliari serviva SAL 30% al 30/9/22 per estendere il 110 fino al 31/12/22; dopo tale data, le spese vanno al 90% nel 2023 (salvo il Decreto Aiuti-quater di fine 2022 che ha introdotto un 90% per il 2023 per le villette con prima casa e soglia reddito). Il Sig. Rossi aveva SAL 30% ok, ma non ha terminato entro il 2022, quindi le spese 2023 erano al 90%. Difficile contestare il merito: l’Agenzia è nel giusto sul recupero di quel 20%. Tuttavia, il legale individua alcuni elementi per attenuare il danno e tutelare Rossi:

  • Sottolinea la buona fede del contribuente: Rossi non era un “furbetto”, è vittima del ritardo dell’impresa e di una comprensibile ignoranza della complicazione normativa. Non c’è stato intento elusivo da parte sua, ha iniziato i lavori confidando di farcela.
  • Chiede di non applicare sanzioni (o ridurle al minimo): trattandosi di una errata fruizione per motivi tecnici e tempistici, invoca l’errore incolpevole ex art.6 co.5 D.Lgs.472/97 (norma sulle sanzioni) e la buona fede di Rossi. Evidenzia che Rossi aveva SAL 30% come richiesto e non ha colpe nel ritardo oltre il 2022.
  • Fa presente che il Sig. Rossi rientra nei potenziali beneficiari del Fondo perduto “Salva Superbonus” introdotto a fine 2023 per i meno abbienti: Rossi ha un ISEE di 14.000 € e lavori con SAL≥60% a fine 2023, quindi per le spese 2024 avrebbe diritto al contributo che copre la differenza tra 110% e 70%. Qui però c’è un problema: le spese contestate sono del 2023, e il fondo copre quelle 2024. L’avvocato comunque cita questo elemento in via equitativa, per far vedere che il legislatore è intervenuto per situazioni analoghe (anche se non applicabile letteralmente al 2023) . È un argomento creativo più che giuridico, ma serve a evidenziare l’iniquità del dover pagare quella differenza, dato il contesto di tutela dei meno abbienti.
  • Proposta di accordo all’ufficio: l’avvocato propone all’Agenzia un accertamento con adesione: il Sig. Rossi è disposto a pagare quel 20% di differenza (4.000 € + interessi), ma chiede sanzione zero dato il contesto. L’ufficio, preso atto della situazione (anche supportata da documenti: lettera dell’impresa che ammette ritardi, ISEE basso di Rossi, ecc.), in sede di adesione accetta di eliminare le sanzioni. Si accordano quindi su €4.000 + interessi modesti, rateizzabili, con sanzione ridotta a un importo simbolico (es. 5%, cioè €200) .
  • L’avvocato inoltre consiglia al Sig. Rossi di valutare un’azione contro l’impresa: anche se i lavori sono poi finiti, il ritardo gli è costato €4.000 di tasca sua. Nel contratto c’era probabilmente una data di fine lavori (o quantomeno l’implicita diligenza nel rispettare la scadenza del bonus). Si può chiedere quel danno all’impresa, magari in via di negoziazione senza arrivare a causa – ad esempio, l’impresa potrebbe rinunciare a qualche extra o fare uno sconto finale di importo pari al danno subito da Rossi . In questo caso, Rossi in realtà aveva ceduto tutto il credito alla banca, quindi non doveva nulla all’impresa; tuttavia, potrebbe chiedere un risarcimento per le conseguenze del ritardo (questo in pratica si risolverebbe nel non intraprendere azioni legali contro l’impresa in cambio di un accordo transattivo forfettario). Rossi comunque, essendo la ditta locale e volendo mantenere buoni rapporti, decide di non inasprire la questione: la vicenda si chiude col Fisco senza un lungo contenzioso, grazie all’adesione.

Caso 2: Contestazione di credito inesistente per lavori fantasma – beneficiario truffato dall’impresa
Scenario: Un condominio di 8 famiglie affida nel 2021 i lavori del Superbonus 110% a una ditta “Alpha Srl” che si propone come general contractor e pratica lo sconto in fattura integrale. La ditta esegue alcuni interventi iniziali, poi abbandona il cantiere a metà 2022, ma nel frattempo aveva già emesso fatture come se avesse completato tutto e ceduto i crediti a una finanziaria. I condomini si ritrovano nel 2023 con la facciata solo parzialmente rifatta, l’impianto di riscaldamento centralizzato non completato, e Alpha Srl irreperibile (di fatto fallita). A marzo 2023, la Guardia di Finanza avvia indagini: risulta che Alpha Srl ha frodato diversi condomìni allo stesso modo, creando crediti fittizi per lavori non eseguiti. La Procura fa sequestrare il “cassetto fiscale” con i crediti residui ancora non usati dalla finanziaria (fortunatamente una parte non era stata ancora compensata). Nel 2024, l’Agenzia Entrate emette atti di recupero verso ciascun condòmino per l’intero importo del bonus indebitamente fruito (nel condominio erano stati fatturati €500.000 di lavori, quindi a ciascuna delle 8 famiglie arrivano avvisi per la loro quota, es. €62.500 ciascuna più sanzioni e interessi). I condomini sono scioccati: loro pensavano che l’impresa stesse eseguendo i lavori (seppur in ritardo) e di aver ceduto regolarmente il credito. Ora rischiano di dover pagare in totale circa €400.000 in 8 famiglie, per lavori mai goduti.

Azioni difensive: I condomini incaricano un legale di fiducia (o più legali, ma ipotizziamo un’azione coordinata). La difesa si muove su più fronti paralleli:

  • Penale: c’è già un procedimento per truffa a carico dei titolari di Alpha Srl. I condomini si costituiscono parte civile nel processo penale, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali (in primis quanto dovranno restituire al Fisco) e anche danni morali per lo stress subito. Puntano ad ottenere in sede penale una condanna degli imputati con obbligo di risarcire. Questo è fondamentale perché, se gli imputati hanno beni sequestrati, al termine del processo quelle somme potranno andare a ristorare le vittime. Nel frattempo, segnalano al PM la posizione della finanziaria cessionaria affinché valuti se c’è stata colpa grave anche di quest’ultima (per ora la finanziaria risulta persona offesa anch’essa, avendo acquistato crediti falsi).
  • Tributario: si preparano ricorsi contro gli avvisi di accertamento notificati ai condòmini. La strategia è dimostrare che i condomini erano totalmente in buona fede e anzi vittime essi stessi della frode dell’impresa. Nei ricorsi si espone dettagliatamente la vicenda: si allegano il contratto d’appalto con Alpha Srl, le ricevute di eventuali acconti versati (alcuni condomini avevano pagato anticipi per lavori extra), la corrispondenza con l’impresa che rassicurava sull’andamento dei lavori, le diffide inviate quando i lavori si fermarono, e soprattutto la denuncia querela presentata contro l’impresa appena emersa la sparizione. Si sostiene che i condomini non avevano alcuna volontà di indebito arricchimento: i crediti sono “inesistenti” per colpa dell’impresa, non perché i condomini abbiano dichiarato il falso consapevolmente . Obiettivo nel ricorso: quantomeno eliminare le sanzioni (100%) invocando l’errore inevitabile e la buona fede. Si cita la circolare AdE che dice che le sanzioni non si applicano se manca colpa, e l’art.6 co.5 D.Lgs.472/97. Inoltre, si cerca di ridurre l’importo contestato: se parte dei lavori in realtà fu eseguita (es. cappotto termico messo al 50% sulle facciate prima che l’impresa scappasse), allora una parte del credito era legittima. A tal fine, si commissiona una CTP (consulenza tecnica di parte) ingegneristica: un tecnico certifica che, a fronte di €500.000 fatturati, in realtà lavori per €250.000 sono stati effettivamente realizzati (basandosi su misurazioni sul campo). Quindi si sostiene che il credito non era interamente inesistente, ma solo per il 50% non spettante. Se il giudice accoglie questa impostazione, la pretesa fiscale può essere ridotta a metà e le sanzioni scenderebbero dal 100% al 30% su quella metà (perché diventerebbe credito non spettante anziché inesistente) . Non è scontato che passi, ma è una linea da provare per mitigare il danno. Realisticamente, il giudice potrebbe dire: i lavori non completati non danno diritto al bonus, quindi l’intero 110% è da restituire; però se c’è prova di lavori parziali fatti, magari riconosce il diritto al bonus per quella parte (questo dipende anche se quei lavori parziali hanno raggiunto gli obiettivi minimi, difficile a metà).
  • Responsabilità solidale cessionario: in questo caso la finanziaria cessionaria appare estranea al raggiro (anzi, vittima anche lei), ma forse un po’ di colpa grave c’è (ha comprato crediti da una piccola impresa senza troppo controllo?). Ad ogni modo, l’Agenzia ha scelto di colpire solo i condomini, non avendo evidenza di dolo della finanziaria. I condomini però valutano azioni verso la finanziaria: nel ricorso tributario potrebbero chiamarla in causa come terzo, chiedendo che, se mai dovessero pagare loro, venga riconosciuta la possibilità di rivalersi sul cessionario per arricchimento senza causa. Questo però nel processo tributario non è di competenza del giudice (il giudice tributario non può ripartire il debito tra coobbligati, decide solo sull’atto impugnato). Forse più efficace è agire in sede civile: i condomini fanno scrivere un atto di citazione contro la finanziaria, sostenendo che essa ha beneficiato (o avrebbe beneficiato) di crediti fasulli e avrebbe dovuto controllare meglio. Si ipotizza una responsabilità extracontrattuale o un indebito arricchimento. Non è una causa facile, ma magari serve a portare la finanziaria al tavolo delle trattative. In alcuni casi analoghi, le banche cessionarie per tutelare la reputazione hanno rinunciato a parte dei crediti acquistati, pur non avendo obbligo legale, pur di chiudere la vicenda. Qui l’ipotesi: la finanziaria aveva ancora €100k di crediti sequestrati non usati; i condomini potrebbero negoziare che la finanziaria rinunci a utilizzarli definitivamente, lasciandoli allo Stato, riducendo così il danno erariale complessivo (che scenderebbe da 500k a 400k) e magari contribuendo con un fondo di €50k a transigere il tutto (sono ipotesi). Comunque, in sede di ricorso, i condomini sottolineano la negligenza del cessionario come fattore esterno per mitigare la loro colpa grave .
  • Misure cautelari nel ricorso: l’avvocato presenta subito istanza di sospensione degli atti in Commissione, evidenziando che €50k a famiglia è un danno grave e irreparabile (fallimento personale) e c’è fumus boni iuris perché la frode è opera dell’impresa, come risulta dall’indagine penale in corso (allega la denuncia e il sequestro disposto dal PM). La sospensiva viene concessa abbastanza agevolmente visto lo scenario e la pendenza del penale. Questo toglie l’assillo immediato ai condomini, in attesa della causa.
  • Epilogo ipotetico: immaginiamo che con un buon lavoro difensivo, i condomini ottengano in primo grado l’annullamento delle sanzioni e magari il riconoscimento che una parte di lavori reali c’era (riducendo il debito d’imposta). Quindi, poniamo, la Commissione riconosce che il 50% di lavori era realmente eseguito → concede il bonus pro-quota su quelli (250k restano bonus valido, 250k no), e annulla le sanzioni sul resto per buonafede. I condomini si trovano a dover restituire €250k invece di 500k, senza sanzioni, rateizzabili. Nel frattempo, il penale condanna Alpha Srl a risarcirli ma quella è fallita, quindi recupereranno poco nulla (forse qualche bene sequestrato, ma spesso i truffatori hanno svuotato). La finanziaria, per evitare pubblicità negativa, accetta un accordo: rinuncia a pretendere 100k di crediti ancora non compensati (che erano sotto sequestro) destinandoli a ridurre il debito dei condomini – in pratica, lo Stato incamera quei 100k e i condomini pagano solo 150k residui (questo è un scenario di fantasia, ma non impossibile se la finanziaria vuole chiudere, magari in conciliazione tributaria) . In sostanza, comunque i condomini perdono un bel po’ di soldi, ma grazie alla difesa hanno evitato di pagare doppio (niente sanzioni) e hanno individuato i veri responsabili su cui rivalersi.

Caso 3: Contestazione in condominio per vizio formale risolta in autotutela
Scenario: Un condominio ha effettuato interventi 110% (cappotto, infissi) nel 2021. Tutto regolare, crediti ceduti a una banca. Nel 2022 l’Agenzia invia un questionario chiedendo vari documenti. L’amministratore risponde, ma omette di allegare la copia della CILAS, pensando non fosse necessaria perché i lavori erano iniziati prima dell’obbligo (in realtà la CILAS era già stata introdotta a luglio 2021, quindi serviva). L’ufficio, non trovando la CILA, conclude che i lavori sono stati fatti senza un titolo edilizio valido e a fine 2022 notifica un avviso di recupero dell’intero bonus (€300k) per “mancata presentazione CILA = detrazione non spettante”. In realtà la CILAS era stata presentata regolarmente all’epoca, solo che l’amministratore non l’aveva allegata per errore nella risposta.

Azioni: Appena ricevuto l’avviso, i condomini tramite avvocato presentano subito una istanza di autotutela all’Agenzia, allegando la CILAS protocollata e approvata a suo tempo, spiegando che c’è stato un fraintendimento. Chiedono l’annullamento dell’atto perché il motivo del recupero (assenza CILA) è insussistente: la CILA c’è ed è allegata . Contestualmente, per sicurezza, depositano ricorso in Commissione (entro 60gg) con richiesta di sospensione, nel caso l’ufficio non risponda. L’Agenzia, verificato il documento, riconosce l’errore e annulla in autotutela l’atto prima ancora dell’udienza di sospensione. Caso risolto rapidamente. (Questo scenario mostra l’importanza di rispondere in modo completo ai questionari: un piccolo errore – non allegare la CILA – ha rischiato di costare caro, ma per fortuna era sanabile con dialogo) .

Caso 4: Responsabilità solidale contestata a banca per credito falso
Scenario: La banca BETA ha acquistato vari lotti di crediti fiscali da intermediari nel 2021. Uno di questi lotti (per €1 milione) si rivela nel 2022 completamente fittizio: lavori mai eseguiti, beneficiario irreperibile (classica frode). L’Agenzia Entrate annulla quei crediti e li classifica come inesistenti. BETA non è riuscita ad utilizzarli in compensazione (erano bloccati nel cassetto), quindi subisce la perdita economica ma nessuna imposta è stata effettivamente non versata allo Stato. Successivamente però, l’Agenzia individua che in quella frode la banca è stata forse troppo disinvolta: nota che BETA ha comprato a 70 cent/€ crediti da una piccola impresa edile con capitale minimo, senza nemmeno acquisire l’asseverazione tecnica (si era fidata di un mediatore). Quindi l’ufficio ritiene la banca gravemente negligente e contesta a BETA la responsabilità solidale per quei crediti: vorrebbe recuperare l’importo dalla banca, applicando sanzioni e minacciando anche la segnalazione per concorso penale.

Azione difensiva: Gli avvocati di BETA preparano una memoria difensiva robusta da presentare all’Agenzia (oppure una difesa in sede di adesione se c’è invito):

  • Dimostrano che BETA aveva comunque delle procedure di controllo interne: presentano i protocolli interni KYC, e-mail scambiate col mediatore in cui chiedevano documenti (in cui però il mediatore li rassicura). È vero che alcuni documenti mancavano (l’asseverazione), ma la banca riteneva che l’intermediario l’avesse verificata. Invocano la norma del 2022: dolo o colpa grave. Qui non c’è dolo, e per la colpa grave contestano che l’assenza di asseverazione fosse stata occultata fraudolentemente dal mediatore (forse il mediatore aveva fornito un riassunto con dati falsi). Quindi la banca sostiene di essere stata ingannata anch’essa .
  • Evidenziano i principi della Cassazione penale 2024 che abbiamo visto: la buona fede non “depura” il credito ma sul piano penale la banca non è colpevole. Puntano a evitare guai penali evidenziando che hanno collaborato con la Procura: infatti BETA ha denunciato il mediatore per truffa non appena scoperto l’inganno. Allegano la denuncia, insomma mostrano che la banca è proattiva contro la frode .
  • Nel procedimento tributario, sottolineano che la banca non ha mai utilizzato quei crediti, quindi non c’è un danno erariale effettivo: nessuna imposta è stata compensata. Ergo, secondo loro, non dovrebbe essere sanzionato un “utilizzo” che non c’è stato; al massimo, c’è stato un tentativo di frode da parte del beneficiario (che già è perseguito). In pratica, chiedono che non venga emessa alcuna cartella, perché la situazione si è risolta con l’annullamento del credito e lo Stato non ha perso gettito .
  • Citano magari una ipotetica circolare 16/2023 (inventata) dell’Agenzia che spiega l’applicazione dei commi 6-bis e 6-ter: affermano di aver oramai acquisito tutti i documenti anche retroattivamente (hanno recuperato dal Comune l’attestazione che non c’era mai stato un titolo edilizio – scoperta tardiva, ma non potevano saperlo prima). Insomma, provano a dire che avrebbero fatto tutto giusto se le informazioni fornite non fossero state false .
  • Risultato: l’Agenzia, percependo che la banca darebbe battaglia dura (e la questione giuridica è complessa: i sei indici di rischio non erano eclatanti, magari 4 su 6 erano ok), decide di non perseguire oltre BETA sul piano tributario, concentrandosi sui veri frodatori. Forse fanno un atto di archiviazione interna, o magari la banca patteggia solo una sanzione ridotta per “diligenza non impeccabile” con un atto di adesione (tipo: paga 50k per chiuderla qui, senza riconoscimento di responsabilità). La banca salva così la reputazione e evita un precedente pericoloso .

(Questo caso illustra come un cessionario può difendersi mostrando i propri controlli e sfruttando la normativa a suo favore, e come l’Agenzia può desistere se vede che è arduo provare la colpa grave).

Caso 5: Contestazione per difformità lieve risolta con interpretazione favorevole
Scenario: Mario, proprietario di un appartamento in condominio, ha beneficiato del 110% trainato (ha cambiato infissi e caldaia nella sua unità) grazie a un intervento trainante condominiale (cappotto termico sulle facciate). Tutto ok, crediti ceduti. Nel 2023, l’Agenzia gli contesta che il suo appartamento aveva una veranda abusiva chiusa sul balcone, e quindi l’immobile non era pienamente legittimo urbanisticamente, per cui il bonus non sarebbe spettato. Importo detrazione sua: €15.000. Mario in effetti aveva ereditato quella veranda dal precedente proprietario ed era un abuso minore, mai sanato.

Difesa: L’avvocato di Mario impugna l’avviso sottolineando che:

  • La veranda è ante 1967 (o comunque una difformità minore tollerabile). Con la CILAS presentata per il condominio, lo stato legittimo non doveva essere attestato unità per unità, quindi per legge quell’abuso non comporta decadenza. Viene citato l’art.119 comma 13-ter e le circolari esplicative: la veranda, pur non autorizzata, non incide sulle parti strutturali e non impediva i lavori condominiali .
  • Si evidenzia che probabilmente l’Agenzia ha ignorato la norma semplificatoria. Si cita la legge e magari documenti (es. FAQ del MiSE) che chiariscono che piccoli abusi non precludono il bonus se c’è CILAS. Si argomenta che la veranda non aveva alcuna attinenza con cappotto e infissi sostituiti (era sul balcone interno).
  • Si aggiunge che Mario ha presentato domanda di condono/sanatoria per la veranda non appena saputo della contestazione, mostrando la volontà di regolarizzare. Questo per rafforzare l’idea che è un abuso minore e rimediabile .
  • Risultato atteso: la Commissione annullerà l’atto perché la normativa esclude la decadenza in casi simili. Se l’Agenzia fosse ostinata, magari il giudice decide in via equitativa che il bonus spetta comunque perché la veranda non c’entra nulla con cappotto e infissi e rientra nelle tolleranze edilizie. Mario quindi conserva integralmente il suo bonus, evita di pagare sanzioni, e si premura di regolarizzare poi la veranda per evitare future questioni .

Questi esempi mostrano come, di volta in volta, la difesa richiede di combinare normativa fiscale e elementi fattuali, con creatività e rigore. Nel caso 1 abbiamo visto una soluzione transattiva; nel caso 2 una difesa multi-livello data la frode subita; nel caso 3 un errore formale risolto fuori dal giudizio; nel caso 4 la posizione di un cessionario trattata in sede precontenziosa; nel caso 5 l’uso di norme semplificative a favore del contribuente. Il ruolo dell’avvocato esperto Superbonus è proprio quello di orientare il cliente attraverso questo complesso panorama, valutando rischi, possibili soluzioni e coordinate normative applicabili.

Conclusione

Difendersi efficacemente da contestazioni relative al Superbonus 110% e agli altri bonus edilizi richiede un mix di conoscenza normativa aggiornata, capacità tecnico-probatorie e strategia legale. Abbiamo visto come il quadro normativo italiano abbia evoluto gli strumenti per tutelare i soggetti in buona fede (limitando la responsabilità solidale ai casi di dolo/colpa grave, offrendo sanatorie per cantieri in corso, ecc.), ma al contempo sia diventato più stringente nei controlli di legittimità. Dal punto di vista del debitore – ossia del beneficiario che rischia di dover restituire l’agevolazione – i punti chiave da portare avanti in ogni difesa sono:

  • Dimostrazione della propria diligenza e buona fede: un contribuente che può esibire tutti i documenti, che ha seguito le procedure previste (CILA, visti, asseverazioni) e che si è affidato a professionisti qualificati, parte già avvantaggiato. In diritto tributario, ciò può tradursi nell’annullamento delle sanzioni amministrative per assenza di colpevolezza . Nei casi migliori, può persino convincere l’Agenzia a desistere da pretese formali (come nell’esempio della CILAS mancante, poi trovata).
  • Uso sapiente delle norme a favore del contribuente: ad esempio quelle che limitano la decadenza del bonus in presenza di CILAS, oppure le opportunità di definizione agevolata (ravvedimento, adesione). Un avvocato esperto sa individuare le “scappatoie” legali che permettono di ridurre l’impatto delle contestazioni. Ad esempio, qualificare un errore come “credito non spettante” invece che “inesistente” dimezza la sanzione; invocare l’obiettiva incertezza di una norma (magari cambiata più volte) può portare all’annullamento delle sanzioni . Insomma, conoscere i dettagli normativi può fare la differenza.
  • Cooperazione e dialogo con l’Amministrazione: salvo situazioni di frode conclamata, spesso è possibile trovare soluzioni condivise col Fisco. Questo riflette anche un orientamento moderno dell’Agenzia: ad esempio, se un contribuente è disponibile a pagare il dovuto mostrando di non aver avuto dolo, l’Ufficio può concordare la rinuncia alle sanzioni o un pagamento rateale sostenibile. D’altronde, imporre a famiglie e imprese oneste oneri insostenibili non conviene a nessuno – si rischierebbe un’ondata di contenziosi e di insolvenze . Quindi, mantenere aperto un canale di confronto civile con l’Agenzia (presentare memorie, partecipare agli inviti, valutare l’adesione o la conciliazione) è spesso premiate con soluzioni più miti.
  • Tutela dei diritti del contribuente anche contro terzi: non bisogna dimenticare la dimensione privatistica. Il beneficiario che subisce un danno (perdita del bonus) non è privo di rimedi verso chi ha concorso a causarlo. Le imprese appaltatrici, i progettisti, i fiscalisti, i cessionari – ciascuno nel proprio ruolo – rispondono delle proprie condotte. Come evidenziato, un approccio olistico prevede di attivare, parallelamente alla difesa tributaria, le dovute azioni civili (o denunce penali) per spostare il peso economico su chi effettivamente ha sbagliato o frodato. In questo modo, il contribuente può aspirare a non rimanere l’unico “anello debole che paga per tutti” . Ciò richiede tempi e sforzi, ma è spesso necessario per non soccombere finanziariamente.
  • Importanza della consulenza preventiva e della compliance: infine, questa guida – rivolta a professionisti e utenti avanzati – vuole sottolineare come evitare le contestazioni sia la miglior difesa. Nel contesto futuro, con aliquote ridotte (65%) e maggiori vincoli, chi intende ancora fruire di bonus edilizi dovrà farlo con una pianificazione attenta: verifiche urbanistiche preliminari, studio puntuale dei requisiti normativi e un monitoraggio costante dell’evoluzione legislativa. Un avvocato esperto in materia, affiancato da tecnici qualificati, può offrire un servizio di audit e consulenza per assicurare che l’operazione di ristrutturazione sia il più possibile impermeabile a contestazioni del Fisco . Ciò include, ad esempio, controllare tutti i documenti prima dell’invio, simulare un controllo ex-post, correggere eventuali sviste subito, ecc.

In conclusione, il Superbonus 110% ha rappresentato una sfida senza precedenti per il diritto tributario e per l’edilizia in Italia. Ha aperto opportunità notevoli, ma anche zone d’ombra sfruttate da alcuni disonesti. Oggi, a metà 2025, possiamo dire di aver tratto molte lezioni: il legislatore è intervenuto (talvolta in ritardo) per colmare lacune e punire gli abusi; la giurisprudenza sta via via delineando principi chiari (come sul sequestro di crediti in mano ai terzi o sulla punibilità di condotte incomplete) . Per i professionisti legali, ciò si traduce in un corpus di conoscenze specialistiche da tenere costantemente aggiornato e da applicare caso per caso. Per i cittadini e imprenditori, il messaggio è duplice: da un lato approfittare con prudenza di queste agevolazioni, dall’altro non scoraggiarsi se insorgono contestazioni, perché esistono mezzi legali validi per far valere le proprie ragioni.

Come abbiamo visto, spesso la differenza tra perdere un bonus o conservarlo (o almeno evitare sanzioni) sta tutta nell’approccio difensivo: organizzato, documentato e sostenuto dai riferimenti normativi e giurisprudenziali corretti. In tal senso, speriamo che questa guida – con le sue fonti aggiornate, tabelle riepilogative, FAQ e simulazioni pratiche – sia servita a chiarire il quadro e a fornire strumenti utili sia al professionista legale che voglia orientarsi nel “labirinto Superbonus”, sia al privato cittadino o imprenditore che, trovandosi dalla parte del debitore contestato, voglia capire come difendere efficacemente i propri diritti e interessi.

In estrema sintesi, difendersi da contestazioni sui bonus fiscali edilizi significa: conoscere le regole, raccogliere le prove, usare la legge a proprio favore e, non ultimo, perseguire equità (far emergere la differenza tra chi ha cercato di rispettare la legge e chi l’ha deliberatamente violata). Così facendo, il contribuente onesto potrà difendersi con successo e “uscire indenne” – o almeno limitare i danni – anche dal più severo degli accertamenti sul Superbonus 110%.

Fonti

  • Agenzia delle Entrate – Circolare 33/E del 6 ottobre 2022: chiarimenti sulla responsabilità in solido di fornitori e cessionari, limitata ai casi di dolo o colpa grave . Include esempi pratici di cosa costituisce colpa grave (omessa diligenza macroscopica, es. acquisto crediti senza documentazione) .
  • Agenzia delle Entrate – Circolare 23/E del 23 giugno 2022: individuazione di “indici di rischio” per valutare la diligenza del cessionario (coerenza importo immobile, provenienza, documenti disponibili, ecc.) .
  • Decreto-Legge 34/2020 (“Decreto Rilancio”), convertito con L. 77/2020: art. 119 (Superbonus 110% requisiti) e art. 121 (cessione/sconto in fattura). Articolo 119 ha introdotto la detrazione 110% e fissato i requisiti tecnici ; articolo 121 ha introdotto opzioni alternative alla detrazione (sconto/cessione) e la responsabilità solidale originaria (comma 6).
  • Legge 108/2021 (conv. DL 77/2021 “Semplificazioni-bis”): ha introdotto il comma 13-ter all’art.119 D.L.34/2020, ovvero la CILA-Superbonus, stabilendo che la detrazione non decade per irregolarità formali edilizie salvo casi gravi (mancanza CILA, intervento difforme, abusi totali) .
  • Decreto-Legge 157/2021, conv. L. 216/2021 (DL “Antifrodi”): ha introdotto l’obbligo di visto di conformità e asseverazione costi per tutte le detrazioni Superbonus dal 12/11/2021, anche per utilizzo diretto . Ha inserito l’art. 122-bis D.L.34/2020 (controlli preventivi dell’Agenzia e possibilità di sospendere per 30 gg le cessioni in caso di rischi) .
  • Decreto-Legge 50/2022, conv. L. 91/2022 (DL “Aiuti”): art. 14 DL 50/22 e successive modifiche – ha introdotto la quarta cessione (limitata a banche verso clienti professionali) . Inoltre, il successivo DL 176/2022 (“Aiuti-quater”) ha ridotto l’aliquota unifamiliari 2023 al 90% con condizioni.
  • Decreto-Legge 115/2022, conv. L. 142/2022 (DL “Aiuti-bis”): art. 33-ter – ha formalizzato la limitazione della responsabilità solidale dei cessionari ai casi di dolo/colpa grave; ha introdotto la possibilità di apporre visto e asseverazione ora per allora per crediti ante 11/11/21 (sanatoria documentale) .
  • Decreto-Legge 11/2023, conv. L. 38/2023 (DL “Cessioni” 2023): stop generalizzato a cessione/sconto dal 17/2/2023; art. 2 DL 11/23 ha modificato art.121 D.L.34/20 inserendo commi 6-bis, 6-ter, 6-quater, che elencano i documenti la cui presenza esclude la colpa grave del cessionario (CILAS, titoli, asseverazioni, visto, ecc.), prevedono che la mancanza di qualcuno non implica automaticamente colpa grave se il cessionario prova comunque la diligenza, e pongono l’onere della prova del dolo/colpa grave a carico del Fisco .
  • Decreto-Legge 29/12/2023 n. 212, conv. L. 14/2024: misure urgenti su Superbonus – mantenimento 110% per lavori realizzati e asseverati al 31/12/23; contributo a fondo perduto per soggetti con ISEE <15k e SAL ≥ 60% al 31/12/23 (per compensare la differenza dal 110 al 70% sulle spese 2024); riduzione aliquote: 2024 al 70%, 2025 al 65%; divieto di cessione per demolizione-ricostruzione in zone sismiche 1-3 se il titolo non era richiesto prima; restrizioni Bonus barriere 75% (limiti casistiche, obbligo asseverazione e pagamenti tracciati) .
  • Cassazione Penale, Sez. II, sent. n. 3108/2024 (deposito 24 gennaio 2024): principio del “dissociamento tra buona fede del cessionario e sequestro dei crediti”. La Corte ha affermato che il cessionario in buona fede non evita il sequestro preventivo dei crediti fiscali fittizi, poiché il credito rimane inesistente e correlato al reato originario . Chiarito che la cessione non crea un nuovo credito “pulito”, ma è solo un’evoluzione del diritto del beneficiario; se il credito originario era viziato da reato, lo rimane anche dopo la cessione . (Riferimenti: Tribunale di Treviso, frode su opere mai eseguite con SAL fittizi e cessione a banche; la Cassazione ha confermato sequestro crediti in mano a banche, ribadendo il concetto).
  • Cassazione Penale, Sez. II, sent. n. 45868/2024 (deposito 13 dicembre 2024): stabilito che la truffa aggravata scatta anche senza effettiva compensazione del credito, basta l’ottenimento fraudolento del credito stesso . Confermata condanna per associazione a delinquere finalizzata a frode Superbonus, rigettando la tesi difensiva che mancava il danno allo Stato perché i crediti non erano stati usati. La Corte ha affermato che il reato si perfeziona con la sola creazione del credito fittizio mediante opzione di cessione a terzi, a prescindere dal successivo utilizzo . (Caso: ordinanza Tribunale di Messina, arresti per truffe con crediti 110; la Cassazione ha fissato il principio).
  • Norme tributarie rilevanti: art. 13 D.Lgs. 472/1997 (ravvedimento operoso: riduzione sanzioni se si regolarizza spontaneamente); art. 6 co.2 e co.5 D.Lgs. 472/97 (non punibilità per obiettiva incertezza normativa e per errore incolpevole: basi per chiedere annullamento sanzioni in caso di buone ragioni); D.Lgs. 74/2000 (reati tributari: art.2 dichiarazione fraudolenta con fatture false; art.3 dichiarazione fraudolenta altri artifici; art.10-quater indebita compensazione crediti non spettanti >50k; art.13 causa di non punibilità se prima del dibattimento il debito tributario è estinto con interessi e sanzioni amministrative); Codice Penale art. 316-ter (indebita percezione di erogazioni a danno Stato, soglia 4000€) e art. 640-bis (truffa aggravata per erogazioni pubbliche) – tutti pertinenti ai profili penali collegati alle frodi sui bonus.
  • Giurisprudenza di merito / Commissioni tributarie: es. Commissione Tributaria Regionale del Lazio che ha affermato l’impugnabilità della comunicazione di “scarto” di cessione come atto autonomamente impugnabile (TAR per il Lazio n. 4542/2022, poi confermato dal Consiglio di Stato, ha ritenuto che il rifiuto di accettare la cessione è lesivo e quindi contestabile in CT); sentenze di merito sulla non applicazione di sanzioni per errore scusabile o buona fede (richiamate da vari autori, es. Villani, sulla scorta di art.6 co.2 e 5 citati). Queste pronunce confermano un orientamento di favore verso il contribuente che dimostra di aver fatto il possibile per rispettare la norma. Ad esempio, CTR Lombardia 30/2022 ha annullato sanzioni su bonus facciate indebitamente fruito, riconoscendo la confusione normativa.

(Le fonti istituzionali citate includono norme pubblicate in Gazzetta Ufficiale, documenti dell’Agenzia delle Entrate e decisioni giurisprudenziali, per garantire autorevolezza e aggiornamento delle informazioni esposte.)

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che le spese sostenute per il Superbonus 110% non rispettino i requisiti previsti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che le spese sostenute per il Superbonus 110% non rispettino i requisiti previsti?
Temi di dover restituire le detrazioni o i crediti d’imposta già utilizzati?

Il Superbonus 110% è stato uno dei più importanti incentivi fiscali degli ultimi anni, ma anche uno dei più complessi e soggetti a controlli. L’Agenzia delle Entrate, insieme ad ENEA e Guardia di Finanza, sta verificando migliaia di pratiche per individuare irregolarità tecniche o fiscali.

👉 Non sempre, però, le contestazioni sono fondate: molte derivano da errori formali o da interpretazioni controverse delle norme.


⚖️ Perché scatta la contestazione

  • Asseverazioni tecniche incomplete o non conformi;
  • CILA o titoli edilizi mancanti o non corretti;
  • Pagamenti senza bonifico parlante o con dati incompleti;
  • Spese non ammissibili o eccedenti i massimali;
  • Errori nella cessione del credito o nello sconto in fattura;
  • Irregolarità dei professionisti asseveratori o mancanza delle coperture assicurative richieste.

📌 Conseguenze possibili

  • Revoca del Superbonus con recupero integrale delle somme già detratte;
  • Annullamento dei crediti ceduti con obbligo di restituzione;
  • Applicazione di sanzioni e interessi;
  • Responsabilità solidale di contribuenti, imprese e professionisti coinvolti;
  • Nei casi più gravi, indagini penali per truffa o dichiarazioni mendaci.

🔍 Come difendersi

  1. Esamina attentamente la contestazione: individua i motivi precisi indicati dal Fisco.
  2. Recupera la documentazione: fatture, bonifici parlanti, asseverazioni tecniche, attestati di prestazione energetica, titoli edilizi.
  3. Dimostra la regolarità delle procedure: anche piccoli errori formali possono essere corretti.
  4. Contesta le interpretazioni eccessive: la normativa sul Superbonus è complessa e spesso cambiata negli anni.
  5. Predisponi memorie difensive o ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, se la revoca è infondata.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • 📂 Analizza la contestazione sul Superbonus e individua le criticità reali;
  • 📌 Verifica la completezza della documentazione e raccoglie le prove a sostegno;
  • ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per ridurre o annullare la pretesa;
  • ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
  • 🔁 Valuta anche soluzioni alternative, come regolarizzazioni o definizioni agevolate.

🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

  • ✔️ Avvocato esperto in Superbonus e bonus edilizi;
  • ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa da revoche fiscali;
  • ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.

Conclusione

Le contestazioni sul Superbonus 110% possono avere conseguenze pesanti, ma non sempre sono definitive.
Con una difesa legale mirata puoi dimostrare la regolarità degli interventi, salvaguardare i crediti d’imposta e ridurre le pretese del Fisco.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sul Superbonus inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!