Hai usufruito di bonus edilizi (ristrutturazioni, ecobonus, superbonus, sismabonus, bonus facciate) e hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate? I controlli sui bonus edilizi sono sempre più frequenti e mirati, perché negli ultimi anni questi incentivi sono stati spesso utilizzati in modo improprio. Se il Fisco ritiene che non avessi diritto al beneficio, può revocarlo e chiedere la restituzione delle somme con sanzioni e interessi.
Quando scattano le contestazioni sui bonus edilizi
– Se i lavori non rientrano tra quelli previsti dalla normativa
– Se mancano le asseverazioni tecniche o le certificazioni richieste
– Se i pagamenti non sono stati effettuati con bonifico parlante o con mezzi tracciabili
– Se i titoli abilitativi edilizi (CILA, SCIA, permessi) non risultano conformi o non sono stati presentati
– Se le comunicazioni all’ENEA non sono state inviate nei tempi previsti
– Se la cessione del credito o lo sconto in fattura non sono stati eseguiti secondo le regole
Cosa rischi in caso di contestazione
– Revoca del bonus con obbligo di restituire le somme detratte o i crediti ceduti
– Applicazione di sanzioni dal 100% al 200% delle somme non spettanti
– Addebito di interessi di mora
– Estensione dei controlli ad altri bonus collegati (bonus mobili, ecobonus, sismabonus)
– Possibile responsabilità penale in caso di documentazione falsa o asseverazioni mendaci
Come difendersi da una contestazione sui bonus edilizi
– Dimostrare che i lavori rispettano i requisiti previsti dalla legge con documenti tecnici e pratiche edilizie complete
– Presentare fatture, bonifici parlanti e ricevute che provano l’effettivo pagamento delle spese
– Dimostrare la correttezza delle asseverazioni e delle certificazioni depositate
– Contestare errori dell’Agenzia delle Entrate in fase di ricostruzione dei dati
– Evidenziare la buona fede del contribuente in caso di incertezza normativa o interpretazioni controverse
– Impugnare l’avviso di recupero davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini di legge
Il ruolo dell’avvocato nella difesa
– Analizzare l’atto di contestazione e individuare vizi formali e sostanziali
– Valutare la correttezza della procedura seguita e dei documenti richiesti
– Redigere memorie difensive e ricorsi per ottenere l’annullamento della revoca
– Contestare le sanzioni sproporzionate e dimostrare la buona fede del contribuente
– Difendere il contribuente anche in sede penale se contestati reati collegati
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale della revoca del bonus
– La riduzione delle sanzioni e degli interessi richiesti
– La conferma del diritto a beneficiare delle detrazioni o del credito ceduto
– La sospensione delle procedure esecutive collegate
– La protezione del patrimonio familiare da richieste indebite
⚠️ Attenzione: molte contestazioni sui bonus edilizi derivano da irregolarità formali (errori nei bonifici, pratiche incomplete, ritardi nelle comunicazioni) più che da veri illeciti. Con la giusta difesa documentale è possibile evitare di perdere l’agevolazione.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa tributaria e bonus edilizi – ti spiega cosa fare se l’Agenzia delle Entrate contesta bonus edilizi non spettanti e come difenderti in modo efficace.
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Introduzione
Negli ultimi anni l’Italia ha introdotto una serie di bonus fiscali edilizi (dal Superbonus 110% alle detrazioni per facciate, ristrutturazioni, ecobonus, sismabonus, ecc.) per incentivare la riqualificazione degli immobili. Queste misure, di portata eccezionale, hanno però generato complessità normative e numerosi controlli fiscali, con un crescente contenzioso tra contribuenti e Agenzia delle Entrate. In particolare, molti beneficiari (privati, condomìni, imprese) si trovano oggi a dover rispondere a contestazioni del Fisco che chiedono la restituzione di bonus edilizi ritenuti indebitamente fruiti, spesso con sanzioni pesanti al seguito.
In questa guida avanzata – aggiornata ad agosto 2025 – analizzeremo in dettaglio come difendersi dalle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate relative ai bonus edilizi (Superbonus e agevolazioni analoghe), adottando il punto di vista del contribuente beneficiario (il “debitore” in caso di recupero del bonus). L’obiettivo è fornire una panoramica aggiornata della normativa italiana di riferimento e delle strategie difensive, con un taglio giuridico ma divulgativo. La guida è pensata per avvocati, professionisti ma anche per privati e imprenditori informati: utilizzeremo un linguaggio tecnico chiaro, citando fonti normative e le più recenti sentenze per supportare ogni affermazione. La trattazione comprende sezioni organiche con tabelle riepilogative, un formato domande & risposte per chiarire i dubbi più frequenti, e alcune simulazioni pratiche basate su casi reali tipici in Italia. Particolare attenzione sarà posta alle tutele del beneficiario onesto, spesso l’anello debole che rischia di dover restituire somme ingenti pur avendo agito senza malafede. Vedremo come il contribuente può difendersi invocando la propria buona fede o l’errore scusabile, e quali strumenti legali può attivare anche verso gli altri soggetti coinvolti (imprese esecutrici, tecnici asseveratori, acquirenti del credito) per condividere le responsabilità e i danni economici.
Panoramica dei bonus edilizi e quadro normativo
Per bonus edilizi si intendono varie agevolazioni fiscali riconosciute ai contribuenti per interventi sulla casa o sugli edifici. In particolare, le principali misure includono:
- Superbonus 110%: detrazione potenziata (fino al 110% delle spese) introdotta nel 2020 per interventi di efficientamento energetico e antisismici (art. 119 del Decreto Rilancio D.L. 34/2020, conv. L. 77/2020). Era inizialmente prevista per spese dal 1º luglio 2020 al 31 dicembre 2021, poi prorogata e rimodulata negli anni successivi (vedi oltre). Ha permesso di detrarre più del 100% della spesa o, in alternativa, di optare per sconto in fattura o cessione del credito. Data l’aliquota eccezionale e la possibilità di monetizzare i crediti, il Superbonus ha attivato un ampio coinvolgimento di operatori economici e, purtroppo, anche alcune condotte fraudolente.
- Ecobonus ordinario: detrazione dal 50% al 65% (fino al 75% per i condomìni) per interventi di risparmio energetico (isolamento termico, impianti efficienti, infissi, etc.) prevista originariamente dalla L. 296/2006 e successive proroghe. Continua ad essere fruibile ogni anno, con aliquote e massimali variabili a seconda dei lavori.
- Sismabonus: detrazione dal 50% all’85% per interventi di messa in sicurezza antisismica degli edifici in zone a rischio sismico (introdotto dal 2013 e potenziato dalla L. 232/2016). L’aliquota sale al 70-80% (75-85% per condomìni) se si consegue il miglioramento di una o due classi di rischio sismico. Anche questo bonus prosegue tuttora con aliquote ordinarie intorno al 50-75%.
- Bonus Facciate: detrazione originariamente al 90% (poi 60%) per il rifacimento delle facciate esterne degli edifici, prevista per le spese negli anni 2020-2021 (90%) e 2022 (60%) dalla Legge di Bilancio 2020 (L. 160/2019). Non è stata prorogata oltre il 2022, ma restano in gestione le detrazioni già avviate. Era caratterizzata dall’assenza di massimale di spesa, il che ha attirato molti interventi (e alcuni abusi con fatture gonfiate).
- Bonus Ristrutturazioni: storica detrazione del 50% (precedentemente 36%) fino a €96.000 per unità immobiliare, per lavori di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia (introdotta dagli anni ‘90 e prorogata di anno in anno, attualmente stabilizzata fino al 2024 con aliquota 50% e poi in calo). È disciplinata dall’art. 16-bis TUIR e da varie leggi di bilancio.
- Altri bonus “casa”: esistono ulteriori agevolazioni come il Bonus Mobili (detrazione 50% per acquisto di arredi ed elettrodomestici efficienti legati a una ristrutturazione), il Bonus Verde (36% per sistemazione di giardini e verde urbano), il Bonus Barriere 75% (introdotto nel 2022 per l’abbattimento delle barriere architettoniche), ecc. Molti di questi bonus minori hanno massimali specifici e scadenze annuali di proroga.
Ciascun bonus ha le proprie condizioni normative: ad esempio il Superbonus richiedeva miglioramenti energetici documentati da APE e asseverazioni, il Sismabonus richiede l’attestazione della riduzione del rischio sismico, il Bonus Facciate era limitato a edifici in certe zone urbane e con facciate opache visibili dalla strada, etc. Tuttavia, dal punto di vista dei controlli fiscali presentano dinamiche comuni. In tutti i casi, se l’Agenzia delle Entrate riscontra che il contribuente non aveva diritto in tutto o in parte all’agevolazione, può procedere al recupero del beneficio (cioè delle imposte non pagate grazie alla detrazione, o del credito d’imposta indebitamente utilizzato/ceduto), unitamente a interessi e sanzioni. I crediti d’imposta legati ai bonus edilizi – Ecobonus, Sismabonus, Bonus facciate, Superbonus 110%, Bonus mobili, ecc. – rientrano espressamente tra quelli che il Fisco può controllare e recuperare con appositi atti.
Di seguito forniremo un quadro normativo dell’evoluzione di queste agevolazioni dal 2020 ad oggi, perché conoscere quali regole erano in vigore al momento dei lavori è fondamentale per capire se una contestazione sia fondata e come difendersi. In secondo luogo, esamineremo le cause tipiche delle contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate e la differenza giuridica tra un “credito non spettante” ed un “credito inesistente”, concetti chiave introdotti dalla giurisprudenza e recentemente codificati in legge. Successivamente, affronteremo le fasi del procedimento di accertamento e i relativi strumenti difensivi a disposizione del contribuente – dalla fase pre-contenziosa (risposte a questionari, richieste di chiarimenti, istanze in autotutela, adesione) alla fase contenziosa (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, sospensione, appello, ecc.), senza tralasciare i possibili profili penali nelle ipotesi di frode grave. Una sezione FAQ fornirà risposte sintetiche ai quesiti più comuni. Infine, alcune simulazioni pratiche illustreranno scenari concreti di contestazione e le relative strategie di difesa, prima di concludere con i principi generali da tenere a mente per tutelare al meglio i propri diritti.
Evoluzione normativa 2020-2025: tappe principali dei bonus edilizi
Per comprendere come difendersi, è essenziale inquadrare le numerose modifiche normative che si sono susseguite in materia di bonus edilizi. Dal 2020 al 2025 il legislatore è intervenuto ripetutamente sia estendendo o riducendo i bonus, sia introducendo nuovi obblighi e controlli anti-frode, modificando anche le regole sulla responsabilità di chi cede o acquisisce i crediti. Ecco un riepilogo delle tappe principali (con riferimenti ai provvedimenti chiave), utile a contestualizzare le possibili contestazioni in base al periodo di riferimento:
- 2020 – Introduzione del Superbonus 110%: il Superbonus debutta con il Decreto Rilancio (D.L. 34/2020, art. 119 e 121, conv. L. 77/2020) a metà 2020. Inizialmente l’aliquota è fissata al 110% per spese dal 1º luglio 2020 al 31 dic. 2021 (poi estesa) e sono ammessi come beneficiari soprattutto condomìni e persone fisiche (fuori attività di impresa). Viene da subito prevista la possibilità alternativa di sconto in fattura o cessione del credito a terzi (banche, intermediari) in luogo della detrazione diretta. La norma originaria (art. 121 D.L. 34/2020) stabilisce che, qualora l’Agenzia accerti la mancata sussistenza dei requisiti per la detrazione, essa procede al recupero degli importi nei confronti del beneficiario, ferma restando la responsabilità in solido di fornitori e cessionari in caso di concorso nella violazione. (Nella formulazione del 2020 non era ancora esplicitato che tale concorso dovesse avvenire con dolo o colpa grave – questa limitazione verrà introdotta più avanti nel 2022). Sul finire del 2020, il Decreto Legge 104/2020 (Decreto Agosto) estende inoltre l’obbligo del visto di conformità fiscale per poter cedere il credito o ottenere lo sconto in fattura, a garanzia del controllo documentale.
- 2021 – Semplificazioni e prime misure anti-frode: due interventi significativi marcano il 2021. Il Decreto Semplificazioni-bis (D.L. 77/2021, conv. L. 108/2021) introduce da giugno 2021 la CILAS (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata Superbonus) per snellire le pratiche edilizie: non è più necessario attestare lo stato legittimo dell’immobile per accedere al 110%, evitando così la decadenza del bonus per eventuali vecchi abusi minori. Viene infatti previsto per legge che la perdita del beneficio avviene solo in quattro casi gravi (mancata presentazione della CILA, interventi difformi dalla CILA, mancata attestazione dei dati urbanistici nella CILA, false attestazioni), mentre le irregolarità edilizie formali non comportano la decadenza. Ciò ha messo al riparo i contribuenti da decadenze totali per vizi minori, in deroga alla disciplina ordinaria sull’abuso edilizio (art. 49 DPR 380/2001). Nello stesso anno, a novembre, il Governo vara il Decreto Antifrodi (D.L. 157/2021, conv. L. 216/2021) a fronte dei primi scandali di abusi sui bonus: estende obbligatoriamente il visto di conformità e l’asseverazione di congruità dei costi a tutte le opzioni di cessione/sconto per bonus edilizi, non più solo al Superbonus. In pratica, dal 12 novembre 2021 ogni cessione del credito o sconto in fattura (anche per Ecobonus, ristrutturazioni, facciate, ecc.) richiede il visto di un commercialista o CAF e un’asseverazione tecnica dei costi congrui, a pena di nullità. Inoltre, viene introdotto l’art. 122-bis D.L. 34/2020 che consente all’Agenzia Entrate di sospendere fino a 30 giorni le comunicazioni di cessione dei crediti per effettuare controlli preventivi in presenza di profili di rischio (cantieri sospetti, importi anomali, ecc.). Queste misure segnano un inasprimento dei controlli già a fine 2021, avviando quella che sarà poi una vera “stretta” antifrode.
- 2022 – Proroghe e responsabilità limitata per cessionari: la Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021) proroga la durata del Superbonus per i condomìni fino al 2025 ma con aliquote decrescenti: 110% fino al 2023, poi 70% nel 2024 e 65% nel 2025. Per le villette unifamiliari, conferma il termine al 31 dic. 2022 solo per chi al 30/6/22 aveva completato almeno il 30% dei lavori (SAL), altrimenti il 110% non spetta sulle spese successive. Nel corso del 2022 il legislatore interviene più volte per contrastare le frodi e sbloccare il mercato dei crediti: con il Decreto Aiuti (D.L. 50/2022 conv. L. 91/2022) viene permessa una quarta cessione dei crediti (dalla banca al cliente professionale); con il Decreto Aiuti-bis (D.L. 115/2022 conv. L. 142/2022) si chiarisce definitivamente la responsabilità solidale di fornitori e cessionari, limitandola ai soli casi di dolo o colpa grave. In sede di conversione dell’Aiuti-bis, infatti, viene inserito l’art. 33-ter che modifica l’art. 14 del DL Aiuti n. 50/2022, stabilendo che la responsabilità in solido “scatta solo in presenza di concorso nella violazione con dolo o colpa grave”. Ciò significa che, ad esempio, una banca o un’impresa che hanno acquisito crediti poi risultati indebiti non risponderanno se hanno agito in buona fede e senza negligenza grave. Inoltre, per i crediti antecedenti al 12/11/2021 (cioè prima del decreto Antifrodi), la stessa legge impone – per esonerare da responsabilità solidale – di acquisire “ora per allora” il visto di conformità e l’asseverazione tecnica, sanando retroattivamente la documentazione dei crediti vecchi. L’Agenzia delle Entrate ha successivamente emanato importanti circolari esplicative: la Circolare 23/E del 23 giugno 2022 ha definito i sei “indici di rischio” da valutare per misurare la diligenza del cessionario nel verificare i crediti (ad es. incoerenza tra reddito del cedente e importo ceduto, presenza di fornitori o tecnici con precedenti irregolarità, sproporzione nei valori degli immobili, ecc.). La successiva Circolare 33/E del 6 ottobre 2022 ha fornito esempi pratici di cosa costituisce dolo o colpa grave da parte dei cessionari o fornitori: ad esempio, dolo se il cessionario era consapevole della falsità del credito (accordandosi col beneficiario per creare crediti fittizi, oppure ignorando segnali lampanti di irregolarità); colpa grave se ha omesso in modo macroscopico la diligenza, ad esempio acquistando crediti senza alcuna documentazione di supporto o ignorando contraddizioni evidenti nei documenti (come un’asseverazione riferita a un immobile diverso da quello dei lavori). In sostanza, nel 2022 si è cercato un equilibrio: da un lato contrastare le frodi, dall’altro non paralizzare il mercato dei crediti legittimi. Si rassicurano i cessionari onesti (limitando la loro responsabilità ai soli casi di dolo/colpa grave e fornendo criteri chiari per la diligenza richiesta), ma al contempo si mettono in guardia gli operatori con esempi di comportamenti gravemente negligenti punibili.
- 2023 – Stop alle cessioni e ulteriore tutela per i cessionari in buona fede: il 2023 vede un giro di vite finale sul sistema dei crediti. Con il Decreto Cessioni (D.L. 11/2023, febbraio 2023, conv. L. 38/2023) il Governo blocca la possibilità di nuove cessioni dei crediti d’imposta e di sconti in fattura per quasi tutti i bonus edilizi a partire dal 17 febbraio 2023. Da quella data in poi, i nuovi lavori agevolati non possono più generare crediti cedibili (salvo poche eccezioni per interventi già avviati o per il bonus barriere 75% fino a fine 2025). Si chiude dunque il meccanismo di circolazione dei crediti fiscali, nel tentativo di contenere l’esposizione finanziaria dello Stato. Parallelamente, lo stesso DL 11/2023 rafforza le norme sulla responsabilità solidale di chi acquista crediti: vengono introdotti nell’art. 121 del DL 34/2020 i commi 6-bis, 6-ter e 6-quater, che elencano puntualmente i documenti che un cessionario deve ottenere a corredo del credito per poter presumere la propria diligenza ed esentarsi da responsabilità in caso di violazioni del beneficiario. L’elenco comprende 9 voci (lettere da a ad i): ad esempio, il titolo edilizio abilitativo o, se i lavori non lo richiedono, una dichiarazione del tecnico; la notifica preliminare ASL (o dichiarazione che non era dovuta); la visura catastale ante-operam; le fatture e relativi bonifici “parlanti”; tutte le asseverazioni tecniche obbligatorie con ricevuta di deposito; la delibera condominiale di approvazione lavori con tabella di ripartizione delle spese; i documenti specifici per l’ecobonus (APE ante e post intervento, relazione ex DM 6/8/2020) o un’autodichiarazione se non dovuti; il visto di conformità regolarmente rilasciato; e un’attestazione di adempimento degli obblighi antiriciclaggio da parte dell’intermediario che ha gestito la transazione. Se il cessionario dimostra di aver acquisito il credito possedendo tutta questa documentazione, non si considera concorso nella violazione (salvo che emergano elementi di dolo). È inoltre previsto che, in caso di cessionari “indiretti” (ad es. un’azienda che compra il credito dalla banca), sia sufficiente un’attestazione della banca cedente che certifichi di aver raccolto essa tutti i documenti richiesti. Importante: la mancanza di parte dei documenti non costituisce di per sé prova di colpa grave, potendo comunque il cessionario dimostrare la propria diligenza con altri mezzi; l’onere di provare l’eventuale dolo o colpa grave del cessionario è espressamente posto a carico del Fisco (comma 6-quater). In definitiva, dal 2023 il quadro normativo definisce chiaramente che un cessionario in buona fede e diligente non è chiamato a rispondere in solido, restringendo la responsabilità ai soli casi di coinvolgimento doloso o negligenza grossolana. Ciò è fondamentale anche per i beneficiari: se il cessionario (banca, intermediario) risulta esente da colpe, difficilmente questi sarà chiamato a pagare e quindi la pretesa fiscale ricadrà interamente sul beneficiario senza possibilità di “scaricarla” su altri – analizzeremo oltre le implicazioni di questo nei rapporti di rivalsa tra le parti.
Nota aliquote: il blocco delle cessioni nel 2023 non ha modificato le aliquote di detrazione, che erano già destinate a scendere per disposizioni precedenti: per le spese del 2023 il Superbonus era generalmente al 90% (con eccezioni in cui è rimasto al 110%, es. villette prima casa con reddito entro 15.000 € in base al nuovo criterio di “quoziente familiare”), per le spese del 2024 al 70%, e per il 2025 al 65%. Anche altri bonus hanno visto nuovi limiti: ad esempio dal 2023 il bonus 110% per villette è stato ristretto ai soli soggetti con requisiti di reddito, e come vedremo nel DL di fine 2023 sono stati introdotti ulteriori correttivi.
- Fine 2023 – “Decreto Salva-Superbonus” e Leggi di Bilancio 2024-2025: con la fine del 2023 si è praticamente conclusa l’era del Superbonus 110%. Il Governo è intervenuto con il D.L. 29 dicembre 2023 n. 212 (conv. L. 14/2024, noto come “decreto Salva-Superbonus”) per salvaguardare i cantieri in corso e attenuare l’impatto sui soggetti più deboli. In particolare, si è stabilito che l’aliquota 110% resta applicabile alle spese sostenute entro il 31/12/2023 per tutti i lavori effettivamente realizzati e asseverati entro tale data, anche se l’intervento complessivo non è stato ancora ultimato o non ha ancora conseguito il miglioramento energetico di due classi previsto. Ciò significa che non ci sarà recupero del 110% già fruito se i lavori eseguiti entro il 2023 sono stati asseverati, anche se i risultati finali (ad es. l’APE post-operam con due classi miglioramento) non si sono ancora pienamente realizzati. Per le spese dal 1º gennaio 2024 in avanti, si applicano invece le aliquote ridotte vigenti (70% nel 2024, 65% nel 2025). Inoltre, è stato istituito un Fondo “poveri” per aiutare i contribuenti a basso reddito che avevano cantieri in corso: chi ha ISEE sotto 15.000 € e al 31/12/2023 ha raggiunto un SAL ≥ 60%, può ottenere un contributo a fondo perduto che copre la differenza tra il vecchio 110% e il nuovo 70% sulle spese sostenute nel 2024 (fino al 31/10/2024). Ciò per evitare che famiglie meno abbienti rimangano con costi imprevisti a loro carico (in pratica il fondo copre quel 40% di agevolazione “persa” scendendo dal 110 al 70). Contestualmente, il DL 212/2023 ha vietato la cessione del credito (e lo sconto in fattura) per gli interventi di demolizione e ricostruzione in zone sismiche 1, 2 e 3 se il relativo titolo edilizio non era stato richiesto prima dell’entrata in vigore del decreto. Questa misura ha bloccato sul nascere possibili abusi in quelle aree (evitando che si attivino bonus per demolizioni speculative all’ultimo momento). Inoltre c’è stata una stretta sul Bonus Barriere 75%: dal 2024 è stato limitato ad alcuni interventi specifici (ascensori, montascale) con obbligo di pagamenti tracciati e asseverazione tecnica, e vietando anche per esso lo sconto/cessione in taluni casi.
La Legge di Bilancio 2024 (L. 197/2023) ha in buona parte recepito e consolidato queste novità. La successiva Legge di Bilancio 2025 ha ulteriormente rivisto il panorama dei bonus edilizi, ormai riconfigurati verso aliquote standard più basse e mirate. In particolare, per il 2025 il tradizionale Bonus ristrutturazioni dovrebbe calare al 30% (restando al 50% solo per la prima casa), con massimali di spesa dimezzati; l’Ecobonus ordinario è destinato a scendere al 36-50% (in base agli interventi); il residuo Superbonus varrà 65% al massimo, limitatamente ai lavori già avviati entro fine 2024. Inoltre, dal 2025 dovrebbero entrare in vigore limiti di reddito per fruire delle detrazioni: chi ha redditi alti vedrà un tetto annuo all’importo detraibile (ad es. €8.000 annui detraibili per redditi sopra 100k, €14.000 per redditi 75-100k, dati indicativi soggetti a conferma). Queste restrizioni segnano la fine dell’era del 110% e un ritorno a bonus più contenuti e selettivi. Per chi legge questa guida nel 2025 significa che non ci saranno nuovi Superbonus 110%, ma rimangono da gestire tutte le conseguenze dei Superbonus passati: cantieri in regime transitorio e, soprattutto, accertamenti fiscali su lavori svolti nel periodo 2020-2023.
In sintesi, dall’evoluzione normativa emergono alcuni punti chiave utili anche in ottica difensiva:
- Le regole applicabili dipendono dall’anno e dal tipo di intervento: in caso di contestazione, occorre sempre verificare quali aliquote, scadenze e adempimenti erano in vigore al momento dei fatti contestati. Spesso le contestazioni riguardano interventi del 2020-2021-2022, quando la normativa era diversa da quella attuale: ad esempio, prima di novembre 2021 il visto di conformità non era obbligatorio per molte detrazioni, quindi contestarne la mancanza su annualità precedenti sarebbe infondato. Allo stesso modo vanno considerati i “salvagente” normativi introdotti successivamente: ad esempio, la norma del 2023 che mantiene il 110% per i lavori asseverati entro fine 2023 potrebbe evitare il recupero su spese inizialmente non completate in tempo. In altre parole, bisogna argomentare in base alla normativa pro tempore, senza lasciarsi confondere dai cambiamenti successivi, sfruttando anche eventuali sanatorie sopravvenute.
- Il legislatore ha progressivamente circoscritto la responsabilità solidale di fornitori e cessionari negli indebiti: prima (2020) erano responsabili in ogni caso di “concorso” nella violazione; poi (2022) solo in caso di dolo/colpa grave; infine (2023) si è introdotto un elenco di documenti la cui presenza esonera da colpa grave e si è messo in capo al Fisco l’onere di provare il dolo/colpa del cessionario. Ciò oggi offre ai cessionari e intermediari onesti strumenti solidi di difesa. Viceversa, per il beneficiario che subisce un recupero, diventa più difficile provare colpe altrui: se la banca o l’impresa dimostrano di essere state diligenti (hanno raccolto tutti i documenti, ecc.), il contribuente rimarrà il principale obbligato. In sede di difesa, dunque, il beneficiario potrà sì agire separatamente contro l’impresa o altri (ne parleremo), ma nel giudizio tributario non potrà invocare come esimente la semplice esistenza di altri soggetti coinvolti. Approfondiremo oltre il tema della responsabilità solidale e delle possibili azioni di rivalsa.
- La chiusura delle cessioni nel 2023 implica che molte contestazioni future riguarderanno crediti già ceduti in passato. La gestione di questi contenziosi è più complessa perché coinvolge più parti: il beneficiario originario, l’eventuale fornitore che ha applicato lo sconto, i cessionari (banche o altri) che hanno acquisito il credito. Ognuno di essi ha potenzialmente posizioni difensive diverse. Ad esempio, la banca potrebbe difendersi sostenendo la propria buona fede e cercare di evitare la responsabilità solidale, mentre l’Agenzia cercherà comunque di recuperare l’imposta da qualcuno dei condebitori. È importante quindi avere chiaro che il contenzioso tributario sui bonus edilizi può assumere un carattere “multi-parte”, con la necessità di coordinare le difese (e di valutare interventi o chiamate in causa nel processo tributario, nei limiti di ammissibilità) per evitare che il contribuente finale resti l’unico a pagare il conto.
Principali cause di contestazione dei bonus edilizi
Per poter impostare una difesa efficace, bisogna innanzitutto capire per quali motivi tipicamente l’Agenzia delle Entrate contesta la spettanza di un bonus edilizio. Dall’esperienza maturata sui controlli finora, le contestazioni relative a Superbonus 110% e bonus analoghi scaturiscono essenzialmente da alcune macro-categorie di irregolarità:
- Difetto dei requisiti tecnici dell’intervento: ad esempio non è stato raggiunto il miglioramento di 2 classi energetiche richiesto per il Superbonus, oppure i lavori eseguiti non rientravano tra quelli agevolabili (interventi diversi da quelli previsti dalla legge). In altri casi, nel Sismabonus può essere contestato che i lavori non abbiano effettivamente ridotto la classe di rischio sismico. Insomma, viene eccepito che l’obiettivo tecnico del bonus non è stato centrato.
- Irregolarità nelle asseverazioni o nei visti di conformità: casi frequenti sono l’asseverazione tecnica omessa, incompleta o infedele, oppure il visto di conformità mancante dove invece era obbligatorio. Ad esempio, diverse contestazioni riguardano l’asseverazione tardiva o contenente errori nei computi metrici, oppure il mancato deposito della relazione ENEA nei termini per l’Ecobonus. In taluni casi gravi si riscontrano asseverazioni false (tecnici compiacenti che attestano lavori mai eseguiti) o visti di conformità apposti da soggetti privi di requisiti. Queste irregolarità documentali minano la validità formale dell’agevolazione.
- Spese non ammissibili o sovrastimate: ad esempio, costi che eccedono i massimali previsti (il Fisco contesta la parte eccedente come non detraibile), oppure fatture emesse per lavori in realtà non completati o in misura inferiore. In alcuni casi di frode, le fatture sono del tutto false (lavori fantasma) – in tal caso si configura un credito d’imposta inesistente (fittizio). Senza arrivare all’ipotesi estrema, rientrano in questa categoria anche spese prive di bonifico parlante o pagate in contanti (violazione delle modalità di pagamento), spese per beni non agevolabili (es. elettrodomestici spacciati per lavori edili) o altri errori contabili.
- Problemi urbanistici e abusi edilizi significativi: la presenza di abusi edilizi sull’immobile, se rilevante, può comportare la decadenza dal beneficio. Ad esempio, l’Agenzia può contestare il Superbonus se scopre che l’immobile aveva ampliamenti non condonati o difformità gravi che avrebbero impedito il titolo edilizio. Fino a metà 2021 vigeva la regola generale che qualsiasi difformità urbanistica comportava la perdita di ogni agevolazione (immobile non “legittimo” non può godere di bonus). Con l’introduzione della CILAS semplificata, però, è stato sancito che le piccole difformità non causano la decadenza. Restano cause di esclusione gli abusi gravi (immobili totalmente abusivi, aumento di superficie non sanato, opere non consentite in zona vincolata, ecc.). In concreto, oggi le contestazioni su questo fronte riguardano casi come: mancata presentazione della CILAS dove era invece obbligatoria, difformità sostanziali tra i lavori dichiarati e quelli realizzati, oppure omessa indicazione dei dati urbanistici nella CILAS (il famoso “Quadro F” del modulo) – omissione considerata dalla norma un vizio sostanziale che comporta la decadenza. Ad esempio, lasciare vuoto il campo relativo al titolo edilizio o alla dichiarazione che l’immobile è ante-1967 rende nullo il bonus, anche se l’immobile era in realtà legittimo (come confermato dall’Agenzia stessa in una recente risposta a interpello). D’altra parte, se la CILAS è stata presentata e conteneva tutti i dati richiesti, la legge esclude la decadenza per difformità minori: eventuali piccoli abusi non dichiarati non dovrebbero far perdere il Superbonus. (In caso di contestazione su questo punto, il contribuente potrà far valere l’art. 119 comma 13-ter D.L. 34/2020 introdotto nel 2021). Insomma, la materia è delicata: occorre distinguere caso per caso tra vizi formali e sostanziali.
- Errori procedurali e adempimenti omessi: rientrano qui tutte quelle sviste o mancanze nella gestione burocratica del bonus. Esempi: comunicazioni tardive (es. invio in ritardo della comunicazione ENEA per Ecobonus), errori nella compilazione dei moduli (dati catastali errati, omissione di un documento), invio della comunicazione di opzione (cessione/sconto) oltre i termini, mancata indicazione del credito nella dichiarazione dei redditi, ecc. Molte di queste sono violazioni formali che, come vedremo, non dovrebbero di per sé causare la perdita del beneficio – piuttosto possono comportare sanzioni fisse. Tuttavia l’Agenzia può comunque contestare l’agevolazione se ritiene che l’adempimento omesso fosse richiesto a pena di decadenza. Ad esempio, nel 2022 sono stati contestati alcuni Bonus Facciate perché il contribuente non aveva indicato il relativo importo nel quadro RP della dichiarazione dei redditi: in teoria è una dimenticanza formale sanabile, ma alcuni uffici hanno inizialmente tentato di far decadere il diritto. Va ricordato che dal 2024 è in vigore una norma di chiarimento secondo cui “la mancata indicazione in dichiarazione dei crediti d’imposta spettanti non comporta la decadenza dal beneficio”: un appiglio in più per difendersi in casi simili.
- Crediti d’imposta fittizi o frodi conclamate: questa è l’ipotesi più grave, in cui si configurano veri e propri reati. Parliamo di lavori mai eseguiti ma fatturati al solo scopo di generare crediti d’imposta da monetizzare, oppure sovrafatturazioni d’accordo tra impresa e committente per gonfiare il bonus, o ancora l’utilizzo di soggetti prestanome (persone senza reddito o imprese farlocche) per creare crediti falsi da rivendere. In tali situazioni, l’Agenzia delle Entrate contesta un credito “inesistente”, cioè privo di reale fondamento, e ne chiede il recupero integrale con sanzioni ben più elevate (fino al 200% dell’importo, come vedremo, oltre alle eventuali conseguenze penali). Spesso questi casi emergono da indagini della Guardia di Finanza, che incrociano dati e scoprono cantieri fantasma o documenti falsi. La difesa in questi frangenti è particolarmente complessa, perché il Fisco tipicamente considera il contribuente parte attiva della frode. Tuttavia, come vedremo, può capitare che anche contribuenti in buona fede restino coinvolti in frodi orditi da terzi (es. condomìni truffati da imprese che abbandonano i lavori): in quei casi, se si prova di essere vittime inconsapevoli, è possibile evitare le sanzioni, fermo restando che il bonus indebito dovrà essere restituito.
Come si vede, le possibili cause di contestazione sono numerose. Spesso, in pratica, le verifiche del Fisco partono dal riscontro di difformità documentali o anomalie nei dati. Ad esempio, l’Agenzia incrocia i dati delle asseverazioni tecniche con quelli delle comunicazioni di cessione e delle dichiarazioni dei redditi: se nota che l’ammontare dei lavori dichiarato nell’asseverazione non coincide con il credito comunicato, scatta la richiesta di chiarimenti. Oppure, se in Catasto non risulta nessuna variazione per un immobile che avrebbe subito una ristrutturazione importante, si insospettisce. Molte contestazioni nascono proprio da incongruenze evidenti nella documentazione (importi, date, protocolli, ecc.). È quindi fondamentale, nella fase preventiva, curare ogni dettaglio documentale (conservare tutti i certificati, assicurarsi che i dati coincidano, aggiornare Catasto se dovuto, ecc.) – la miglior difesa è evitare di offrire appigli formali.
Violazioni formali vs. violazioni sostanziali
Un principio generale che tutela i contribuenti è la distinzione fra irregolarità meramente formali e irregolarità sostanziali. L’art. 119 comma 5-bis del D.L. 34/2020 (introdotto nel 2021) ha stabilito espressamente che “le violazioni meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo non comportano la decadenza delle agevolazioni fiscali” . In altri termini, errori od omissioni formali – ad esempio un dato compilato in modo inesatto su un modulo, un timbro mancante, una comunicazione tardiva ma spontanea – non fanno perdere il bonus se non ostacolano i controlli del Fisco. Al più potranno essere sanzionate in via amministrativa (spesso con una sanzione fissa di 250 € se si rimedia entro certi termini), ma l’agevolazione rimane valida.
Di contro, le violazioni sostanziali, cioè quelle che incidono sui requisiti fondamentali per il bonus, comportano la decadenza dal beneficio relativamente alle unità o agli interventi irregolari. Anche qui vige però un principio di proporzionalità: la decadenza (ossia la revoca del bonus) si applica limitatamente al singolo intervento viziato, e non necessariamente all’intera pratica. Ad esempio, se in un condominio un appartamento non aveva diritto al trainato per un abuso edilizio proprio di quell’unità, si perderà il bonus solo per quell’unità, non per tutto il condominio. Questo è esplicitamente previsto dalla norma e tutela contro decadenze integrali e sproporzionate dovute magari a un vizio circoscritto.
La legge individua poi quattro cause tassative di decadenza legate alla CILA Superbonus (art. 119 comma 13-ter): (a) mancata presentazione della CILAS; (b) interventi realizzati in difformità dalla CILAS; (c) assenza dell’attestazione dei dati urbanistici nel modulo CILAS; (d) non veridicità delle attestazioni o asseverazioni. Fuori da questi casi, per gli interventi effettuati con CILAS l’agevolazione non può essere revocata: “la presentazione della CILAS non comporta attestazione dello stato legittimo dell’immobile”, ergo piccole irregolarità edilizie pregresse non inficiano il bonus. Questo orientamento è stato confermato anche dalla prassi ministeriale e dalle FAQ dell’Agenzia Entrate. Dunque, se vi contestano la perdita del bonus per un presunto abuso edilizio minore, verificate subito se avevate presentato la CILAS e richiamate la norma semplificativa del 2021. Nella sezione FAQ affronteremo un caso specifico su questo punto.
Riassumendo: non tutte le irregolarità sono uguali. Molte contestazioni dell’Agenzia possono essere ridimensionate sostenendo che si tratta di violazioni formali, non preclusive del bonus. Ad esempio, la Cassazione ha affermato il principio dell’errore scusabile del contribuente, derivante anche dall’affidamento in indicazioni dell’amministrazione o dall’incertezza normativa: in tali casi non andrebbero applicate sanzioni. È importante dunque, in sede difensiva, separare gli eventuali vizi formali (da sanare o già sanati) dai possibili vizi sostanziali, concentrando il dibattito solo su questi ultimi. Dimostrare di aver rispettato tutti i requisiti essenziali e che al più vi sono state manchevolezze formali di poca importanza può salvare il contribuente sia dalla decadenza del bonus sia dalle sanzioni.
Crediti “non spettanti” vs “crediti inesistenti”: differenze giuridiche e conseguenze
Un concetto fondamentale emerso nel contenzioso sui bonus fiscali è la distinzione tra credito d’imposta non spettante e credito inesistente. La differenza è tecnica ma cruciale, perché determina termini di accertamento diversi e sanzioni molto differenti. In parole semplici:
- Un credito (o una detrazione) si dice “non spettante” quando si riferisce a spese effettivamente sostenute o a lavori realmente eseguiti, ma il contribuente non aveva diritto all’agevolazione, oppure ne aveva diritto solo in parte o in misura inferiore. È il caso, ad esempio, di una detrazione fruita oltre il massimale consentito, oppure di un Superbonus applicato a spese che andavano al 90% anziché 110% (quindi il 20% di differenza è non spettante), oppure ancora di un bonus richiesto non avendo tutti i requisiti formali ma comunque su lavori reali. In sostanza, il credito esiste nella realtà (perché i lavori sono avvenuti e sono documentati), ma giuridicamente non spetta in tutto o in parte al contribuente per violazione di qualche condizione prevista dalla norma.
- Un credito si definisce “inesistente” quando è del tutto fittizio o artificioso, ossia manca degli elementi costitutivi di legge, oppure è stato “creato” con operazioni simulate o fraudolente. Tipici esempi: crediti derivanti da lavori mai eseguiti, oppure creati con documenti falsi (es. asseverazioni e attestazioni di conformità contraffatte), oppure ancora crediti formalmente nati da lavori veri ma che al momento dell’uso erano già estinti (ad es. un contribuente cerca di compensare due volte lo stesso credito). Un segnale distintivo del credito inesistente è che la sua insussistenza non è rilevabile dai controlli automatici delle dichiarazioni o dei modelli F24, ma solo con indagini approfondite (es. controlli incrociati, verifiche in loco). Per questo il legislatore (art. 27, c.16 D.L. 185/2008) e la giurisprudenza hanno previsto termini più lunghi e sanzioni più gravi: perché l’Amministrazione può accorgersi del credito inesistente solo con una verifica sostanziale. Ad esempio, nel caso di crediti “artificiosamente” creati o privi completamente dei presupposti, la Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che si applica il termine più lungo di accertamento (8 anni) e la fattispecie va qualificata come credito inesistente, mentre se l’irregolarità è riscontrabile nei controlli formali, si tratta di credito non spettante soggetto a termini ordinari.
Questa distinzione è stata oggetto di incertezza fino al 2023, ma le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. nn. 34419 e 34452 dell’11/12/2023) l’hanno cristallizzata con autorevolezza, delineando i due requisiti cumulativi del credito “inesistente” (artificiosità/frode e non riscontrabilità nei controlli di routine) e qualificando tutti gli altri casi come “crediti non spettanti”. Successivamente, il Governo ha recepito questi principi nella riforma fiscale del 2023-2024: il D.Lgs. 87/2024 ha introdotto definizioni normative di crediti non spettanti e crediti inesistenti nel sistema punitivo tributario. In base a tali definizioni, per crediti inesistenti si intendono quelli per cui mancano in tutto o in parte i requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla disciplina, oppure quei crediti fondati su requisiti reali ma ottenuti con documenti falsi, simulazioni o altri artifici fraudolenti. Sono invece definiti crediti non spettanti quelli fruiti violando le modalità di utilizzo previste dalle norme (o eccedenti la misura consentita), oppure quelli che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di base, sono in realtà fuori dall’ambito di applicazione della norma agevolativa (per difetto di ulteriori elementi richiesti). In termini più semplici: non spettante è il credito utilizzato in modo non conforme alle regole (ad esempio, usato troppo in fretta, o oltre i limiti, o su presupposti interpretativi errati), mentre inesistente è il credito che non doveva proprio esistere, perché basato su falsità o inesistenze fattuali.
Perché è importante questa distinzione in una difesa? Perché la legge prevede conseguenze diverse:
- Termini di accertamento: per i crediti non spettanti valgono i termini “ordinari” di decadenza degli accertamenti tributari (in genere il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa all’anno in cui si è utilizzato il credito). Ad esempio, un bonus non spettante utilizzato nel 2020 andrà contestato entro il 31/12/2026. Per i crediti inesistenti, invece, il Fisco ha più tempo: il termine è l’ottavo anno successivo a quello di utilizzo (nell’esempio, utilizzo 2020 -> contestazione fino al 31/12/2028). Questa differenza temporale è stata confermata sia dalla Cassazione sia recepita ora nell’art. 38-bis DPR 600/1973 introdotto dal D.Lgs. 13/2024.
- Sanzioni amministrative: prima della riforma 2023/2024, l’indebita fruizione di un credito non spettante era punita con la sanzione del 30% del suo importo (art. 13 D.Lgs. 471/1997), mentre per un credito inesistente la sanzione era molto più alta, dal 100% al 200% dell’importo (minimo raddoppiato a 1/3 se credito non utilizzato, secondo art. 13 cit.). Quindi, se un contribuente eccedeva il bonus di poco (non spettante) rischiava il 30%, se simulava un credito fittizio rischiava almeno il 100%. Dopo la riforma (per violazioni dal 1º settembre 2024 in poi), le sanzioni sono state in parte mitigate: l’uso di crediti non spettanti è sanzionato al 25% dell’importo, mentre l’uso di crediti inesistenti al 70%. Inoltre, per i crediti inesistenti ottenuti con condotte fraudolente (documenti falsi, artifici), la sanzione è aumentata dal 105% al 140%. Si tratta comunque di percentuali molto elevate. Va poi ricordato che se il contribuente corregge spontaneamente la violazione prima di essere scoperto (c.d. ravvedimento operoso), può beneficiare di riduzioni sulle sanzioni: ad esempio, un credito non spettante può vedere la sanzione ridotta fino a 1/9 del minimo (ossia scende a circa il 2,8%). Di questi aspetti parliamo più avanti nella parte sulle strategie difensive.
- Conseguenze penali: un credito indebito di entità significativa può configurare reati tributari. In particolare, se il credito è inesistente e viene utilizzato in compensazione per non pagare imposte dovute, può scattare il reato di “indebita compensazione” (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000) se l’importo supera €50.000 per anno. La pena prevista va da 6 mesi a 2 anni in tali casi. Inoltre, se vi è dolo e artificio (es. documenti falsi, società cartiere), la condotta può integrare altri reati come la truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p., per ottenere erogazioni pubbliche) punita più severamente. Ad esempio, la Cassazione penale ha chiarito che anche solo ottenere un credito fittizio di Superbonus costituisce truffa aggravata, pur se non ancora utilizzato in compensazione. In un caso, ha confermato la condanna per associazione a delinquere finalizzata alla frode Superbonus, ribadendo che il semplice ottenimento fraudolento del credito fa scattare il reato. Ovviamente, sul piano penale occorre la prova della partecipazione dolosa del contribuente alla frode. Per il beneficiario che ha agito in buona fede generalmente non si configura reato (mancando il dolo), ma costui subirà comunque il recupero fiscale del bonus. Attenzione: anche i cessionari in buona fede non sono totalmente al riparo sul piano penale – se il credito è frutto di reato, esso può essere sequestrato preventivamente, e la Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro persino in capo al cessionario inconsapevole, in quanto il credito fittizio rimane collegato al reato originario. In altre parole, la buona fede non “ripulisce” il credito: evita le sanzioni penali personali, ma non impedisce che il credito venga eliminato e che si proceda al sequestro delle somme corrispondenti.
In sede di difesa tributaria, l’interesse del contribuente sarà spesso quello di far ricadere la propria situazione nella categoria meno grave, ossia di far qualificare l’eventuale irregolarità come credito non spettante piuttosto che inesistente. Questo può portare a termini decadenziali più brevi, sanzioni più contenute e nessuna automatica segnalazione penale. Ad esempio, se l’Agenzia contesta un intero bonus come “inesistente” (magari ipotizzando che i lavori non siano stati fatti a regola d’arte), il contribuente potrà difendersi provando che i lavori in parte sono stati eseguiti realmente, cercando così di ricondurre la vicenda a un bonus parzialmente non spettante invece che totalmente fittizio. In tal modo, la sanzione passerebbe dal 100% al 30% (o oggi dal 70% al 25%). La Cassazione ha avallato approcci simili in alcune pronunce di merito, dove si è ridimensionata la qualificazione da inesistente a non spettante in base alle evidenze emerse. Naturalmente ogni caso fa storia a sé, ma è un profilo da esplorare.
In definitiva, “non spettante” vs “inesistente” non è solo una finezza lessicale: è spesso l’oggetto del contendere in questi accertamenti. Il difensore dovrà conoscere bene la differenza e, se possibile, orientare la controversia verso la tesi del non spettante (magari riconoscendo l’errore ma contestando qualsiasi elemento di fraudolenza), così da ottenere un trattamento sanzionatorio e prescrizionale più favorevole. D’altro canto, l’Agenzia potrebbe essere incentivata a qualificare come inesistenti i casi dubbi, per avere più tempo e più leva sanzionatoria – ma dovrà provarne i presupposti stringenti. La recente riforma normativa, uniformando le definizioni, dovrebbe aiutare a risolvere i casi dubbi con maggior certezza del diritto.
Procedura di accertamento e strumenti di difesa nel contenzioso tributario
Vediamo ora come si sviluppa il controllo fiscale in concreto e quali opportunità di difesa si presentano nelle varie fasi. Quando l’Agenzia delle Entrate riscontra possibili irregolarità riguardanti i bonus edilizi, attiva un procedimento di accertamento che può durare mesi e culminare, se le spiegazioni non la convincono, nell’emissione di un atto formale di recupero delle imposte. Il contribuente tuttavia ha strumenti per interloquire, chiarire o contestare in ogni stadio. Di seguito esaminiamo le fasi principali – dalla prima comunicazione informale fino all’eventuale ricorso in Cassazione – evidenziando per ognuna come difendersi efficacemente.
1. Verifiche preliminari, lettere di compliance e questionari: di solito tutto inizia con una comunicazione non impositiva da parte dell’Agenzia delle Entrate. Può trattarsi di una lettera di “compliance” (comunicazione di anomalia) in cui l’ufficio segnala al contribuente che, da incroci di dati, risultano possibili irregolarità sul bonus fruito e lo invita a fornire chiarimenti o a correggere spontaneamente la situazione. In alternativa, spesso l’ufficio invia un questionario (ex art. 51 DPR 633/72 o art. 32 DPR 600/73) chiedendo entro un certo termine l’invio di documenti e informazioni relative ai lavori: ad esempio copia delle asseverazioni depositate, delle fatture e relativi bonifici, la CILAS, le APE ante e post intervento, ecc.. Questo è un momento cruciale: il contribuente deve collaborare presentando tutto quanto richiesto, in maniera ordinata e completa. Non rispondere o rispondere in modo lacunoso ai questionari è estremamente pericoloso, perché l’ufficio potrebbe dare per ammessa l’irregolarità o comunque presumere il peggio, iscrivendo a ruolo sanzioni per omessa esibizione di documenti. Inoltre, la mancata risposta preclude poi in giudizio di produrre quei documenti (art. 32 DPR 600/73). Dunque prima regola: rispondere puntualmente alle richieste istruttorie del Fisco. Se il tempo concesso (spesso 15 giorni o 30 giorni) è troppo breve per reperire tutto, è possibile chiedere una proroga motivata. In parallelo, è utile iniziare a predisporre memorie difensive: anche senza aspettare l’eventuale avviso di accertamento, il contribuente può inviare all’ufficio osservazioni e documenti integrativi per spiegare perché ritiene spettante il bonus. Questo dialogo preventivo (detto contraddittorio endoprocedimentale) è importante: se il contribuente fornisce spiegazioni convincenti, l’accertamento potrebbe essere archiviato prima di diventare formale. L’ufficio, in questa fase, non è obbligato per legge a fermarsi (a differenza di quanto avviene se c’è un Processo Verbale di Constatazione della Guardia di Finanza, in cui devono attendere 60 giorni), ma spesso lo fa per valutare la difesa presentata. Un consiglio: nelle memorie iniziali puntate a evidenziare eventuali elementi di buona fede e di assenza di dolo da parte vostra. Far capire all’Agenzia sin da subito che, se c’è stato un errore, è stato commesso in buona fede e magari per colpa di terzi, può orientare l’ufficio verso maggiore prudenza (ad es. applicando solo la sanzione minima, o evitando contestazioni pretestuose). Se invece l’ufficio si trova di fronte qualcuno che non collabora e tace, sarà più incline a usare il pugno di ferro.
Ravvedimento operoso prima dell’accertamento: se dalla lettera di compliance o dal questionario vi rendete conto di aver effettivamente commesso un errore (ad esempio avete fruito due volte della stessa detrazione, oppure avete indicato per errore €100.000 di spese anziché €10.000), potete valutare di regolarizzare spontaneamente la vostra posizione prima che vi venga notificato un atto formale. Il ravvedimento operoso è ammesso fino a quando non ricevete un avviso di accertamento (o atto di recupero) e consente di pagare l’imposta dovuta, gli interessi, e una sanzione ridotta. Nel caso di credito non spettante la sanzione può essere ridotta fino a 1/9 del 25% , cioè circa il 2,78% dell’importo indebito, se ci si ravvede tempestivamente (ad esempio entro 90 giorni dalla violazione). Ciò consente di chiudere la pendenza con un esborso contenuto ed evitare il contenzioso. Anche per crediti inesistenti il ravvedimento è ora possibile (un tempo dottrina e prassi erano in dubbio): dopo la riforma 2023-24 sono state estese le definizioni agevolate anche a crediti inesistenti, e in generale l’istituto del ravvedimento operoso è applicabile anche in tali casi, sebbene nella prassi sia raro che frodi così gravi vengano spontaneamente regolarizzate . In ogni caso, se vi accorgete di un errore non doloso, ravvedersi conviene sempre: pagherete molto meno di quanto rischiereste in accertamento. È consigliabile farlo con l’assistenza di un fiscalista, per calcolare correttamente il dovuto e presentare eventualmente una dichiarazione integrativa.
- 2. Emissione dell’atto di recupero/accertamento: se i chiarimenti forniti non bastano o se, all’esito delle verifiche, l’Agenzia è convinta che ci siano irregolarità sostanziali, verrà emesso un atto impositivo. Nel caso dei bonus edilizi, può trattarsi di un “Atto di recupero di credito d’imposta” ai sensi dell’art. 1, c. 421 L. 311/2004 (usato tipicamente per i crediti utilizzati in compensazione) oppure di un classico Avviso di accertamento (usato ad esempio se il bonus è stato fruito direttamente in detrazione nella dichiarazione dei redditi). A livello di contenuto, l’atto indica: l’ammontare del bonus disconosciuto, la motivazione (es. “visto di conformità non apposto”, “immobile con abusi edilizi, non spettanza del bonus”, “spese non congrue rispetto ai massimali”, ecc.), la quantificazione dell’imposta richiesta a recupero, delle relative sanzioni e degli interessi calcolati. Nota bene sui termini: come detto, di solito l’Agenzia deve emettere l’atto entro il 31 dicembre del 5º anno successivo a quello di utilizzo del credito/detrazione, se lo considera non spettante, oppure entro il 31 dicembre dell’8º anno se lo considera inesistente. Ad esempio, se avete utilizzato un credito in F24 nel 2020, un eventuale atto per credito non spettante arriverà al più tardi entro fine 2025 (5 anni dal 2020), mentre per un credito inesistente potranno spingersi fino a fine 2028. Attenzione: l’atto di recupero del credito è equiparato a un avviso di accertamento a tutti gli effetti (art. 1, c.422 L. 311/2004), quindi le regole difensive sono le stesse. Una volta ricevuto l’atto, leggetelo con estrema attenzione e fatene analizzare la legittimità da un esperto. Ci sono una serie di possibili vizi formali dell’atto che, se presenti, possono portare all’annullamento dello stesso in giudizio senza nemmeno affrontare il merito. Ad esempio: la notifica è avvenuta fuori termine? L’atto è firmato da un funzionario non delegato? Manca l’indicazione dell’ufficio competente o del responsabile del procedimento? Soprattutto, l’atto è adeguatamente motivato? Su quest’ultimo punto: l’avviso deve spiegare chiaramente le ragioni della ripresa fiscale, tenendo conto delle vostre memorie e dei documenti da voi prodotti. Se risultasse generico o “preconfezionato”, oppure se ignora del tutto documenti decisivi che avevate fornito (es. voi avete inviato la CILAS ma l’ufficio nell’atto continua a dire che non c’è), potrete eccepire il difetto di motivazione o l’omessa valutazione di prove come motivo di ricorso. In sostanza, in questa fase il contribuente deve prendere atto delle contestazioni precise mosse e valutare – insieme a un professionista – se ci sono estremi per farle cadere subito (vizi dell’atto) o per controbatterle nel merito.
- 3. Autotutela e adesione (soluzioni pre-contenziose): una volta ricevuto l’avviso di accertamento o atto di recupero, prima di avviare il ricorso giudiziale il contribuente ha ancora qualche carta da giocare in sede amministrativa. La prima è l’istanza di autotutela: consiste nel presentare all’ufficio emittente una richiesta motivata di annullamento (totale o parziale) dell’atto, evidenziando eventuali errori palesi commessi dall’Amministrazione. L’autotutela è discrezionale – l’ufficio non è obbligato a ritirare l’atto – ma in molti casi può risolvere rapidamente questioni evidenti. Esempio classico: l’Agenzia vi contesta la “mancata presentazione della CILA” ma voi l’avevate effettivamente presentata e protocollata nei termini (magari l’omissione è dipesa da un disguido interno). Allegando la prova, potete chiedere l’annullamento in autotutela dell’avviso perché il presupposto è errato in fatto. Allo stesso modo, se vi contestano un visto di conformità mancante ma voi avete copia del visto inviato, segnalatelo subito: è possibile che l’ufficio non lo abbia incrociato nei database, e di fronte alla documentazione venga convinto a fare marcia indietro. L’autotutela va richiesta il prima possibile, idealmente entro i 60 giorni utili per il ricorso (in modo da avere risposta prima della scadenza). Può essere utile anche contattare telefonicamente o di persona il funzionario istruttore, se noto, per discutere informalmente e capire se c’è margine di correzione. In parallelo, si può valutare il percorso dell’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è uno strumento deflattivo che consente, su istanza del contribuente, di incontrare l’ufficio e cercare un accordo transattivo sull’accertamento. Presentando l’istanza di adesione, si sospendono automaticamente i termini per fare ricorso per 90 giorni, guadagnando tempo. Durante l’adesione, il contribuente espone le sue ragioni e l’ufficio può rivedere (in diminuendo) la propria pretesa, con vantaggi per entrambi: il contribuente ottiene uno sconto sulle sanzioni (ridotte ad 1/3 se si perfeziona l’accordo) e l’ufficio incassa in tempi rapidi evitando il processo. Nel contesto dei bonus edilizi, l’adesione può essere utile per ridurre le sanzioni o concordare importi parziali. Ad esempio, se ci sono margini interpretativi su alcuni interventi, si potrebbe transare riconoscendo il bonus su una parte delle spese e restituendo l’altra parte, evitando però il 100% di sanzione su quest’ultima. Oppure, l’ufficio potrebbe accettare di annullare le sanzioni se il contribuente versa subito l’imposta, riconoscendo la buona fede e magari l’incertezza normativa. Ogni situazione è a sé: va valutata attentamente con il proprio difensore. Da un lato l’adesione consente flessibilità, dall’altro comporta rinuncia al ricorso se ci si accorda, quindi bisogna essere convinti che la proposta sia conveniente. In genere conviene tentare l’adesione quando il contribuente riconosce almeno in parte il rilievo e vuole limitare i danni (ad es. evitare le sanzioni piene). Se invece si è convinti di avere completamente ragione, o se l’ufficio non mostra apertura significativa, allora tanto vale procedere con il ricorso. Da notare che l’ufficio talvolta invita esso stesso il contribuente a presentarsi in adesione prima di emettere l’accertamento, formulando una proposta (c.d. invito a adesione): se lo ricevete, presentatevi con il vostro difensore, ascoltate la proposta e fate le vostre controproposte.
- 4. Ricorso al giudice tributario: se non si raggiunge una soluzione amministrativa (o se la si ritiene insoddisfacente), non resta che adire la Giustizia Tributaria. Il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (attenzione: fanno fede le date, non ignorate l’atto anche se state cercando l’adesione: l’istanza di adesione aggiunge 90 giorni, ma se l’ufficio vi risponde negativamente bisognerà agire entro quel termine prorogato). Dal 2023 le Commissioni Tributarie hanno cambiato nome in Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado), ma la sostanza non cambia: il ricorso si deposita telematicamente sul portale della Giustizia Tributaria e occorre farsi assistere da un difensore abilitato (di regola avvocato tributarista o dottore commercialista). Nel ricorso andranno indicati i motivi per cui l’atto impugnato è illegittimo o infondato. È fondamentale articolare le doglianze in modo chiaro e giuridicamente fondato. Le strategie difensive possibili ricalcano quanto già accennato:
- Vizi formali/procedurali dell’atto: come già detto, se l’atto presenta vizi di forma (notifica oltre termine, carenza di motivazione, difetto di sottoscrizione, violazione del diritto al contraddittorio quando dovuto, ecc.) vanno contestati subito nel ricorso. Spesso i giudici accolgono volentieri questi motivi “processuali” perché permettono di risolvere la causa senza entrare nel merito tecnico. Ad esempio, la notifica oltre i termini di decadenza è un vizio perentorio: se dimostrate che l’avviso è arrivato tardi (magari tramite l’estratto di invio della raccomandata o la ricevuta PEC), la Corte annullerà l’atto indipendentemente dal fatto che il bonus fosse spettante o no. Allo stesso modo, la mancata attesa dei 60 giorni dall’eventuale PVC della Guardia di Finanza (quando previsto) può rendere nullo l’accertamento. Nel nostro contesto, un occhio di riguardo va posto alla motivazione: come dicevamo, se l’avviso non menziona affatto documenti giustificativi che voi avevate fornito (es. ignorano la vostra CILAS allegata), potete eccepire la violazione dell’art. 3 L. 241/90 e art. 7 L. 212/2000 per motivazione carente. Qualunque vizio di forma va sfruttato: in caso di accoglimento su un vizio, infatti, il giudice annulla l’atto senza nemmeno dover stabilire se avevate o meno diritto al bonus – risultato ottimale.
- Questioni di diritto sostanziale (interpretazione della norma): molte controversie ruotano attorno all’interpretazione di requisiti normativi non chiarissimi. Ad esempio: l’Agenzia sostiene che per il singolo appartamento trainato servisse comunque il miglioramento di due classi, mentre voi sostenete che bastava il cappotto condominiale (questione interpretativa sorta in passato); oppure la domanda se un certo intervento rientra tra quelli agevolati o no. In questi casi, nel ricorso andranno sviluppati i motivi di diritto, citando la normativa e, se esistenti, le circolari esplicative dell’Agenzia stessa o le risposte a interpelli ufficiali, qualora favorevoli. Ad esempio, a fronte di contestazioni su un abuso edilizio minore, si citerà la Circolare 30/E 2020 §3.4. che chiariva come piccoli abusi non precludono la detrazione in presenza di CILA. Le FAQ ministeriali e i documenti di prassi possono essere portati a sostegno dell’interpretazione (pur non avendo forza di legge). Se la questione è nuova e controversa, si può anche chiedere al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale o rinvio pregiudiziale europeo (ad es. riguardo a eventuali profili di retroattività sfavorevole delle norme anti-frode), anche se raramente il giudice di merito lo fa. Un punto importante da evidenziare è l’incertezza normativa oggettiva: se dimostrate che la disciplina era poco chiara (magari c’erano interpretazioni ministeriali contrastanti nel tempo), questo può servire quantomeno ad escludere le sanzioni per errore scusabile, ex art. 6 co.2 D.Lgs. 472/97.
- Argomentazioni fattuali e prova documentale: il processo tributario è essenzialmente documentale. Il contribuente deve portare in giudizio tutte le prove a sostegno della spettanza del bonus. Quindi, se l’Agenzia contesta che certi lavori non sarebbero stati effettuati a regola d’arte o completati, il contribuente dovrebbe produrre perizie tecniche di parte, fotografie dei cantieri, certificati di collaudo, ecc. Può essere utile far asseverare da un tecnico indipendente lo stato finale dei lavori, così da confutare eventuali affermazioni dell’ufficio. Ad esempio, se contestano che non c’è stato il doppio salto energetico, si può incaricare un ingegnere di rifare i calcoli APE per dimostrare il contrario. Va però notato che il giudice tributario non dispone facilmente CTU (Consulenze Tecniche d’Ufficio) su questi temi: spesso dovrete convincerlo con le vostre sole prove. Dunque, meglio abbondare in documentazione: contratti d’appalto, stati di avanzamento lavori, visure e foto prima/dopo, attestati di prestazione energetica, certificati dei collaudi statici per il Sismabonus, insomma tutto. La certezza e tracciabilità dei pagamenti è anche fondamentale: esibite i bonifici parlanti che provano il pagamento delle fatture (se manca un bonifico, può essere un problema serio). In pratica, dovete replicare il dossier che avreste dovuto avere in sede di controllo, ma stavolta davanti al giudice.
- Buona fede del contribuente ed esclusione della colpevolezza: come filo conduttore di tutta la difesa, conviene insistere sulla buona fede e sull’assenza di intento fraudolento. Nel processo tributario, a differenza di quello penale, la buona fede non evita il recupero delle imposte dovute, ma può evitare le sanzioni. L’art. 6 co.5 D.Lgs. 472/97 prevede infatti che “non sono irrogabili sanzioni quando la violazione deriva da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria” o quando il contribuente ha commesso un errore in buona fede, senza colpa grave. Inoltre l’art. 10 dello Statuto del Contribuente stabilisce che nessuna sanzione né interesse sono dovuti se il contribuente si è conformato a indicazioni dell’Amministrazione finanziaria poi modificate. Nel nostro contesto dei bonus edilizi, la normativa è stata così farraginosa e cangiante che vi è ampio spazio per invocare l’errore scusabile. Ad esempio, diverse Commissioni Tributarie hanno annullato sanzioni ai beneficiari in buona fede che si erano affidati a un’interpretazione successivamente cambiata dall’Agenzia. Anche la Cassazione (sent. n. 12648/2024) ha recentemente ribadito il principio di affidamento e buona fede a tutela del contribuente, confermando che non vanno sanzionati errori commessi in base a indicazioni poi rivelatesi errate da parte dell’Amministrazione. Dunque, nel ricorso – anche qualora il giudice ritenesse dovuto il pagamento del bonus non spettante – dovrete chiedere in subordine l’annullamento delle sanzioni per esimente di buona fede, errore incolpevole o incertezza normativa. Questo può fare la differenza tra pagare solo l’imposta (eventualmente a rate) e dover pagare anche un salatissimo 100% di penalità. Ad esempio, se per un disguido formale perdete il bonus facciate su €10.000, meglio pagare €10.000 + interessi che €10.000 + interessi + €3.000 di sanzione: e tale risultato si può ottenere se dimostrate che l’errore non era doloso né grossolanamente colposo.
- Altri profili di contestazione: a seconda delle circostanze, si possono far valere ulteriori difese. Ad esempio, c’è dibattito sull’eventuale incostituzionalità di alcune norme anti-frode applicate retroattivamente (si è ipotizzato violino il legittimo affidamento). Finora la Corte Costituzionale non si è pronunciata su questioni specifiche del Superbonus, ma nulla vieta di sollevare la questione come motivo aggiunto, se pertinente. Ancora, in presenza di più soggetti coinvolti (beneficiario, cessionario, fornitore), si può riflettere sulla solidarietà nel pagamento: la legge prevede che siano condebitori in solido in presenza di concorso nella violazione, ma se il cessionario era in buona fede il Fisco non può pretendere da lui il pagamento. Pertanto, qualora l’Agenzia stia cercando di riscuotere anche dal cessionario vostro credito (è raro ma possibile), si potrebbe eccepire che manca prova del dolo/colpa grave del cessionario e quindi l’atto contro di lui è illegittimo – ciò indirettamente può avvantaggiare anche voi, perché se nessun altro paga, l’Agenzia potrebbe valutare una conciliazione meno gravosa pur di chiudere. Sono considerazioni strategiche da fare caso per caso.
- 5. Sospensione della riscossione: poiché gli importi in gioco nei bonus edilizi sono spesso elevati (decine o centinaia di migliaia di euro), è fondamentale tutelarsi contro la riscossione anticipata. Infatti, decorsi 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, l’Agenzia può iscrivere a ruolo le somme dovute in pendenza di giudizio (per le imposte dirette di solito 1/3 del tributo + interessi e sanzioni). Ciò significa che potreste ricevere cartelle di pagamento prima ancora che il giudizio tributario sia concluso. Per evitare esborsi immediati, è possibile presentare alla Corte di Giustizia Tributaria una istanza di sospensione dell’atto impugnato, allegando la copia del ricorso e gli elementi a supporto. Il giudice, se ravvisa sia il fumus boni iuris (motivi del ricorso non pretestuosi, ossia la causa ha almeno parziale fondamento) sia il periculum in mora (rischio di danno grave e irreparabile in caso di pagamento immediato), può sospendere la cartella fino alla decisione di merito. Nel contesto Superbonus, dati gli importi spesso ingenti, le corti concedono molto spesso la sospensiva: è evidente che chiedere a una famiglia di restituire 100-200 mila euro subito potrebbe mandarla in rovina, soddisfacendo il requisito del danno grave. Ad esempio, in un caso seguito da uno studio legale è stata ottenuta la sospensione per un atto di recupero relativo al Superbonus, riconoscendo che il fumus era dato dalla complessità normativa e il periculum dall’entità enorme del debito. Consiglio: presentate la domanda di sospensione contestualmente al ricorso (o subito dopo), con una dichiarazione dettagliata della vostra situazione economica (reddituale e patrimoniale) per far capire al giudice che il pagamento vi sarebbe insostenibile. Spesso basta allegare l’ISEE familiare o una attestazione delle entrate mensili e delle uscite (mutui, ecc.) per dimostrare che pagare decine di migliaia di euro vi causerebbe un danno irreparabile. Ottenere la sospensione vi dà “respiro” almeno fino alla sentenza di primo grado, e in caso di esito sfavorevole si potrà chiedere una nuova sospensione in appello.
- 6. Giudizio di primo grado e gradi successivi: il processo tributario di merito si svolge davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Provinciale). Nella maggior parte dei casi, la decisione avviene in camera di consiglio (senza udienza pubblica), ma per le cause più complesse è opportuno chiedere un’udienza pubblica per poter illustrare oralmente la situazione. Nei casi di Superbonus, dati i profili tecnici edilizi, l’udienza può aiutare i giudici (che di rado hanno competenze ingegneristiche) a comprendere meglio. Il vostro difensore potrà avvalersi anche della presenza in udienza di un tecnico di fiducia (non perito ufficiale, ma come consulente di parte) per chiarire eventuali aspetti. Al termine, la Corte emetterà la sentenza di primo grado, che potrà: accogliere integralmente il ricorso (annullando l’atto), respingerlo (confermando l’atto) oppure accoglierlo parzialmente (ad es. annullare le sanzioni ma mantenere il tributo, oppure riconoscere il bonus su una parte delle spese e non su altre). In caso di soccombenza totale o parziale, la parte che perde può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. Il processo di appello ricalca quello di primo grado sui documenti. Dal 2023, una novità importante è la possibilità di conciliazione giudiziale anche in appello: significa che, persino dopo il primo grado, le parti possono trovare un accordo transattivo e chiudere la lite con sanzioni ridotte (al 50% se la conciliazione avviene in secondo grado, o addirittura 20% se in Cassazione). L’Agenzia delle Entrate, con direttive interne del 2023, ha invitato i propri difensori (Avvocatura dello Stato) a favorire soluzioni conciliative soprattutto se il contribuente appare in buona fede e vi sono incertezze interpretative. Lo scopo è evitare una marea di liti sui bonus che potrebbero intasare le corti per anni. Pertanto, il vostro legale dovrebbe mantenere aperto il dialogo con la controparte anche durante il giudizio, sondando la possibilità di accordi. Ad esempio, se in primo grado la decisione è stata interlocutoria (tipo: confermato il recupero ma tolte le sanzioni), si potrebbe proporre in appello una conciliazione che vi faccia pagare magari solo il 50% del tributo senza sanzioni e chiudere la vicenda. In base alle recenti norme (D.Lgs. 156/2015 e s.m.i.), in caso di conciliazione le sanzioni si riducono automaticamente al 40% del minimo se l’accordo avviene in primo grado e al 50% in appello, oltre a un’ulteriore riduzione degli interessi. Quindi, per esempio, definire la causa in primo grado pagando l’imposta e il 40% della sanzione (invece del 100%) può essere un buon affare se la vostra posizione non è granitica. Va detto che molto dipende anche dall’atteggiamento dell’ufficio locale e dell’Avvocatura: ci sono sedi più o meno rigorose. Ma la tendenza generale, come detto, è di evitare accanimento su contribuenti in buona fede per non rischiare poi in solido costi di soccombenza elevati.
- 7. Interferenze col procedimento penale: se parallelamente all’accertamento tributario è in corso un procedimento penale (ad esempio per una frode grave al Superbonus), il contribuente e il difensore dovranno coordinare le due difese. Si può valutare ad esempio di chiedere la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito penale, soprattutto se si confidano elementi favorevoli dal penale. Attenzione però: l’esito penale non vincola il giudice tributario, tranne che sul fatto materiale accertato (se la sentenza penale definitiva dice che certi lavori non furono eseguiti, questo fatto non potrà essere contestato in sede tributaria). Ma una eventuale assoluzione penale (ad es. “perché il fatto non costituisce reato” in quanto manca il dolo) non significa automaticamente che il bonus è riconosciuto: il Fisco potrebbe sostenere che, dolo o non dolo, oggettivamente il contribuente non aveva diritto e deve restituire il beneficio (magari però senza sanzioni, per via dell’assenza di dolo). Viceversa, una condanna penale per frode comporterà quasi certamente la conferma del recupero tributario (e anzi potrebbe portare l’Agenzia a costituirsi parte civile per danno erariale o a emettere un atto integrativo se ancora non l’avesse fatto). Dunque, le due vicende viaggiano sì su binari separati, ma le prove raccolte in sede penale (perquisizioni, consulenze tecniche, intercettazioni se del caso) possono essere utilizzate anche nel processo tributario. Ad esempio, se nel penale emergono chat dove l’impresa ammette di aver gonfiato le fatture a vostra insaputa, potrete usarle a vostro favore davanti alla Corte tributaria per dimostrare la vostra estraneità alla frode. In definitiva, serve un approccio coordinato: spesso conviene definire la posizione penale (ad es. con patteggiamento se le prove sono schiaccianti) e poi concentrarsi sul tributario per limitare i danni economici. Oppure, se si è certi della propria innocenza, difendersi strenuamente in penale sperando in un’assoluzione che, moralmente, potrebbe influenzare anche i giudici tributari. Un caso particolare è il sequestro preventivo dei crediti o dei beni: se la Procura ha fatto sequestrare i crediti fittizi nel vostro cassetto fiscale, di fatto non potrete più utilizzarli e l’Agenzia li considererà annullati. In caso di assoluzione, potrete chiedere la restituzione, ma intanto in sede tributaria dovrete difendervi senza poterne disporre. È un tema complesso, ma basti qui ribadire: frode grave = possibile doppio binario (penale+tributario), con esiti non sempre coincidenti.
- 8. Costi e benefici delle azioni legali: un ultimo aspetto pratico da considerare è l’analisi costi/benefici. Affrontare un contenzioso tributario su questi temi può essere oneroso: parcelle legali, eventuali consulenze tecniche di parte, tempi lunghi. Tuttavia, spesso gli importi contestati sono talmente alti che il gioco vale la candela. Chi si vede recuperare poniamo €50.000 di bonus + €15.000 di sanzioni difficilmente potrà (e vorrà) pagare senza combattere, a maggior ragione se è convinto di aver agito in regola. È vero anche il contrario: se la somma in ballo è modesta (es. €3.000) potrebbe convenire definire in via agevolata subito – magari col ravvedimento o con un acquiescenza con sanzioni ridotte del 20% – piuttosto che affrontare anni di giudizio. Una novità da gennaio 2024 è l’abrogazione dell’istituto del reclamo-mediazione tributaria: prima, per le liti di valore fino a €50.000 era obbligatorio presentare un’istanza di mediazione all’Agenzia prima di fare ricorso (pena l’inammissibilità), il che comportava un tentativo forzoso di accordo e la possibilità di una riduzione del 5% delle sanzioni in caso di accordo. Questa procedura è stata eliminata dalla riforma del processo tributario (D.Lgs. 156/2022 e D.Lgs. 220/2023), per i ricorsi notificati dal 2024 in poi . Ciò significa che oggi potete ricorrere direttamente anche per importi piccoli, ma d’altro canto viene meno uno step di confronto anticipato. Il legislatore conta di compensare ciò con un maggiore uso dell’adesione e della conciliazione in giudizio . In ogni caso, conviene valutare attentamente con il proprio avvocato, fin da subito, se la vostra causa presenta probabilità di successo e quali sono gli eventuali rischi. Un avvocato onesto vi dirà: “Qui abbiamo il 90% di chance, combattiamo”, oppure “Qui la vedo dura, meglio transare”. Ricordate anche che la parte soccombente può essere condannata alle spese di giudizio: se perdete, potreste dover pagare qualche migliaio di euro di spese legali all’Agenzia (anche se spesso nei primi gradi ogni parte viene lasciata con le proprie). Ma se arrivate in Cassazione e perdete lì, il conto può farsi più salato. Quindi, non trascinate ostinatamente cause perse: meglio chiudere prima se possibile.
In sintesi, la difesa nel contenzioso dei bonus edilizi richiede un approccio multidisciplinare e strategico. Servono competenze tecniche (edilizie, energetiche) per capire il merito delle contestazioni, e competenze giuridiche per muoversi tra norme tributarie, prassi e processi. Abbiamo visto che è fondamentale essere proattivi e preparati: non subire passivamente gli eventi, ma giocare d’anticipo, raccogliendo fin da subito consulenze e documenti, ed eventualmente effettuando un check-up tecnico-fiscale del proprio cantiere non appena si fiuta aria di verifica.
Nei prossimi capitoli risponderemo ad alcune domande frequenti e presenteremo casi pratici per consolidare questi concetti, prima di concludere con un riepilogo dei consigli chiave dal punto di vista del contribuente-debitore.
Domande frequenti (FAQ) su contestazioni dei bonus edilizi e difesa del contribuente
D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate contesta la mia detrazione del Superbonus (o di un altro bonus edilizio)?
R: In caso di contestazione formale, l’Agenzia emette un atto di recupero (avviso di accertamento o atto di recupero crediti) in cui ti chiede la restituzione del bonus ritenuto non spettante. In pratica dovrai restituire l’importo della detrazione di cui hai beneficiato (o del credito d’imposta che hai utilizzato/ceduto), oltre agli interessi maturati, e ti verrà applicata una sanzione amministrativa. Di regola la sanzione è pari al 30% dell’importo indebito (se l’irregolarità non è considerata fraudolenta), ma può salire al 100% o più se l’Agenzia qualifica il fatto come credito “inesistente” o fraudolento. Una volta notificato l’atto, hai 60 giorni di tempo per presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria). Entro lo stesso termine puoi anche valutare strumenti deflattivi: ad esempio presentare un’istanza di accertamento con adesione per cercare un accordo con l’ufficio (cosa che sospende i 60 giorni per altri 90). Se presenti ricorso, puoi contestualmente chiedere al giudice la sospensione della riscossione, così da non dover pagare subito in pendenza di giudizio. In sede di giudizio potrai far valere tutte le tue ragioni e prove. Se la contestazione riguarda errori formali o violazioni non dipendenti da tua malafede, c’è una buona possibilità di far annullare le sanzioni dimostrando la tua buona fede (anche qualora il tributo principale resti dovuto). In ogni caso, è importante agire tempestivamente rivolgendosi a un consulente legale esperto, per impostare subito la strategia difensiva migliore e non perdere le scadenze.
D: Quali sono le cause più comuni per cui viene contestato un bonus edilizio (es. Superbonus 110%)?
R: Le cause tipiche di contestazione rientrano in alcune categorie:
– Irregolarità tecniche: ad esempio mancato raggiungimento dei requisiti richiesti (nel Superbonus, non aver migliorato di 2 classi energetiche; nel Sismabonus, non aver ottenuto la riduzione di rischio; ecc.). Oppure lavori eseguiti diversi da quelli agevolabili (es. si è detratto come trainato un intervento non ammesso).
– Vizi nelle asseverazioni o nel visto: asseverazioni tecniche omesse, incomplete o false, oppure visto di conformità mancante dove obbligatorio. Ad esempio non aver depositato l’APE o la relazione tecnica nei termini, o un visto emesso da soggetto non autorizzato.
– Spese non ammissibili o gonfiate: aver inserito costi oltre i massimali consentiti, oppure aver detratto fatture relative a lavori non realmente eseguiti interamente. Nei casi peggiori, creazione di crediti fittizi per lavori fantasma (frode).
– Abusi edilizi e irregolarità urbanistiche: presenza di gravi abusi nell’immobile che precludevano il titolo edilizio e quindi il bonus (es. ampliamenti abusivi non sanati). O anche mancata presentazione della CILA/CILAS quando obbligatoria, o difformità importanti rispetto alla CILA presentata.
– Errori procedurali/formali: comunicazioni tardive, errori di compilazione, documenti non inviati o conservati, omessa indicazione in dichiarazione del bonus, ecc.. Molte di queste sono violazioni formali che da sole non dovrebbero far perdere il bonus, ma l’Agenzia può contestarle se ritiene che abbiano pregiudicato i controlli.
– Condotte fraudolente: accordi dolosi per ottenere indebiti vantaggi, ad es. accordarsi con l’impresa per fatture maggiorate e dividersi il guadagno (in tal caso scatta la contestazione di credito inesistente e spesso la segnalazione penale).
In pratica, i controlli del Fisco si concentrano sulla documentazione tecnica e fiscale: verificano che i dati delle asseverazioni, dei bonifici, delle fatture, delle visure catastali, ecc. siano coerenti e completi. Spesso la contestazione nasce da difformità evidenti nei documenti (es. importi in asseverazione diversi da quelli indicati nella comunicazione di cessione, APE che non mostrano il doppio salto di classe, fatture emesse prima ancora della CILAS, ecc.). Nei condomìni, ad esempio, un motivo frequente di rilievo era la presenza di piccole irregolarità edilizie negli appartamenti (verande non autorizzate, ecc.): però grazie alla CILAS semplificata dal 2021 queste non dovrebbero più causare la decadenza del bonus, salvo casi gravi.
D: Come posso difendermi se mi contestano che i lavori effettuati non rispettano i requisiti (es. che non ho risparmiato abbastanza energia o non ho migliorato di 2 classi l’edificio)?
R: In questo caso la difesa va impostata dal punto di vista tecnico. Dovrai procurarti prove tecniche che smentiscano o attenuino le contestazioni. Ad esempio, se l’Agenzia sostiene – sulla base dei suoi calcoli – che non hai raggiunto il miglioramento di due classi energetiche, potrai far redigere una perizia di parte da un tecnico abilitato (ingegnere, architetto) che rifaccia i calcoli termotecnici e dimostri invece il raggiungimento dell’obiettivo. Magari c’è stato un errore nelle stime dell’ENEA o mancano all’appello alcuni interventi migliorativi: una perizia dettagliata può confutare le conclusioni del Fisco. Se però effettivamente il target non è stato raggiunto (es. hai migliorato solo 1 classe e mezzo), allora la situazione è più difficile: in giudizio sarà complicato farti riconoscere il bonus se l’opera non ha prodotto il risultato minimo di legge. In questi casi punterai a dimostrare che l’errore non è dipeso da te – ad esempio perché ti sei affidato ad un termotecnico e ad un’impresa che assicuravano la riuscita, e tu hai agito in buona fede. Ciò potrà non evitarti il recupero del bonus (dato che oggettivamente il requisito manca), ma servirà almeno a farti eliminare le sanzioni per violazione non colposa. Inoltre, verifica se nella normativa esiste qualche tolleranza o deroga applicabile: ad esempio, la legge prevede che se per oggettiva impossibilità tecnica non si può migliorare di due classi, è sufficiente il miglioramento massimo conseguibile. Se rientri in questo caso (ad es. edificio già in classe B che passa in classe A, non potendo arrivare ad A+), evidenzialo nella difesa. In estrema ratio, se riconosci che c’è stato un deficit tecnico non sanabile, potrebbe convenire cercare un accordo con l’ufficio – ad esempio con accertamento con adesione – per pagare il dovuto senza sanzioni. A volte l’Agenzia è disponibile, soprattutto se percepisce la tua buonafede.
D: Cosa significa esattamente “responsabilità solidale” tra beneficiario e cessionario del credito?
R: Significa che, qualora venga accertato un indebito sul bonus, l’Agenzia delle Entrate può – nei casi previsti – chiedere la restituzione delle somme sia a te (beneficiario originario della detrazione) sia al soggetto che ha acquisito il credito (cessionario), rendendo entrambi obbligati in solido per l’intero importo. In pratica siete considerati “condebitori”: il Fisco può esigere il pagamento da uno o dall’altro, o da entrambi, fino a soddisfazione completa. Tuttavia, questa responsabilità solidale non si applica in automatico a ogni cessione. La legge (art. 121 DL 34/2020, comma 6, come modificato) oggi stabilisce che scatta solo se il cessionario (o il fornitore che ha fatto sconto in fattura) ha concorso alla violazione con dolo o colpa grave. In altri termini: se hai ceduto il credito a una banca fornendole documenti falsi d’accordo con loro (dolo condiviso) oppure se la banca ha acquistato i crediti chiudendo gli occhi su anomalie macroscopiche (colpa grave), allora entrambi siete responsabili. Ma se la banca (o altro cessionario) era in buona fede, la legge oggi esclude che il cessionario innocente sia chiamato a rispondere in solido. In uno scenario normale, dunque, se tu beneficiario hai commesso un’irregolarità (anche involontaria) e hai ceduto il credito, l’Agenzia recupererà principalmente da te; il cessionario potrà essere coinvolto solo se riescono a provare che era complice o gravemente negligente. Inoltre, le norme più recenti (DL 11/2023) hanno elencato puntigliosamente i documenti che il cessionario deve possedere per essere considerato diligente: se li ha (titolo edilizio, asseverazioni, visto, visure, fatture, pagamenti tracciati, ecc.), la sua buona fede è presunta. Quindi oggi il concetto è: la responsabilità solidale significa che in teoria il Fisco può chiedere i soldi a più soggetti coinvolti, ma nel Superbonus questa è stata circoscritta ai soli casi di collusione o grave negligenza del cessionario. In pratica, se tu come beneficiario hai commesso un abuso del bonus, la banca o l’ente a cui hai ceduto il credito risponderà solo se ha fatto da complice o è stata “cieca” di fronte a evidenti segnali di irregolarità.
D: Come può un cessionario del credito (es. una banca o altro acquirente) evitare la responsabilità solidale?
R: Il cessionario deve poter dimostrare di aver agito con la massima diligenza e buona fede nell’acquisire quei crediti. In pratica, deve possedere e verificare tutti i documenti chiave relativi ai lavori da cui origina il credito. La norma (art. 121 comma 6-bis DL 34/2020) elenca espressamente i documenti richiesti, tra cui: il titolo edilizio abilitativo (o una dichiarazione del tecnico che i lavori erano attività libera e non serviva permesso), la notifica preliminare ASL (o dichiarazione che non era dovuta), la visura catastale ante operam dell’immobile, tutte le fatture dei lavori e le ricevute dei bonifici relativi, le asseverazioni tecniche depositate con le ricevute di protocollo, la delibera condominiale di approvazione lavori e la tabella millesimale di riparto spese (se è un condominio), le documentazioni specifiche dell’Ecobonus (gli APE pre e post, o la dichiarazione sostitutiva se non erano richiesti), il visto di conformità fiscale regolarmente apposto, e un’attestazione di aver adempiuto agli obblighi antiriciclaggio per le transazioni finanziarie. Se il cessionario ha raccolto tutti questi documenti e – cosa importante – non emergono segnali evidenti di dolo o colpa grave, allora non sarà considerato responsabile in solido. In pratica, per stare tranquillo il cessionario deve:
- Richiedere tutta la documentazione obbligatoria e controllarne la coerenza (es.: verificare che l’asseverazione tecnica si riferisca esattamente all’immobile oggetto di intervento, che le somme totali delle fatture corrispondano a quelle asseverate, che i bonifici siano stati fatti correttamente, ecc.).
- Verificare il profilo del cedente e dell’operazione: ad esempio, se un soggetto incapiente o una piccola ditta ti cede milioni di euro di crediti, quello è un campanello d’allarme (incoerenza reddituale o patrimoniale) – le Entrate ne parlano come di uno degli indici di rischio da considerare. Un cessionario diligente si insospettisce e chiede chiarimenti prima di comprare in questi casi.
- Osservare le norme antiriciclaggio: identificare bene la controparte, tracciare tutti i flussi finanziari, segnalare se ci sono anomalie.
Adottando tutte queste cautele, il cessionario potrà – se sorgerà una contestazione – sostenere di non aver commesso alcuna negligenza grave. Anzi, dal 2023 la legge pone a carico del Fisco l’onere della prova della colpa grave: quindi se il cessionario ha la famosa “lista della spesa” di documenti a posto, sarà molto difficile per l’Agenzia imputargli una complicità nella frode. Infine, è bene chiarire che il cessionario risponde solo per l’utilizzo improprio del credito. Cioè, se la banca compra un credito inesistente ma non lo ha mai usato in compensazione (magari è rimasto bloccato), l’Agenzia non può pretendere che paghi un importo che non ha mai effettivamente detratto. In quel caso al più perderà il credito acquistato (quindi il suo danno è aver pagato per un credito nullo, e dovrà rivalersi sul venditore per riavere i soldi). Ma non verrà sanzionata per averlo “utilizzato” perché non c’è stato un utilizzo. In sostanza, il cessionario che fa bene i compiti – raccoglie tutti i documenti e verifica l’assenza di incongruenze – oggi è protetto dalla legge: se emergesse che il bonus era non spettante, perderà il credito (cioè non potrà usarlo, dovrà stornarlo) ma non dovrà pagare sanzioni né importi ulteriori, salvo i casi di conclamata complicità fraudolenta.
D: L’Agenzia mi chiede di restituire il bonus perché c’è un abuso edilizio nella mia casa. Possono farlo?
R: Dipende dal tipo di irregolarità edilizia e dal contesto normativo in cui hai fruito del bonus. Dopo le modifiche normative del 2021, per il Superbonus si è stabilito che la presenza di alcuni abusi edilizi minori non comporta la decadenza dal beneficio, a patto che sia stata presentata la CILA-Superbonus (CILAS) e che l’immobile non sia completamente abusivo. In pratica, non ti possono togliere il bonus per piccole difformità urbanistiche (ad es. una veranda non autorizzata, una diversa distribuzione interna non conforme al progetto) se hai presentato regolare CILAS: la legge (art. 119 c.13-ter DL 34/2020) prevede espressamente che con la CILAS non si attesta lo stato legittimo e che “la decadenza dell’agevolazione opera solo” in quattro casi tassativi (mancata CILAS, lavori difformi, mancata attestazione dei dati urbanistici nella CILAS, false attestazioni). Quindi, prima cosa da verificare: avevi presentato la CILAS? Se sì, la legge dice chiaramente che la detrazione non decade salvo casi eccezionali. In tal caso, potrai far valere proprio l’art. 119 c.13-ter come scudo, sostenendo che l’ufficio fiscale non può sindacare oltre quei limiti se c’era la CILAS. Se invece non avevi presentato la CILAS (ad esempio perché i lavori erano di edilizia libera e hai ritenuto non servisse), la questione diventa più sottile: l’Agenzia potrebbe ritenere che quel abusivismo abbia inficiato il diritto al bonus (perché magari la legge ordinaria non avrebbe permesso di agevolare un immobile con abuso). In tal caso, potrai comunque difenderti sostenendo che l’abuso era marginale e non aveva impatto sulla fruizione del bonus. Ad esempio, se c’è una veranda chiusa non condonata, potresti argomentare che ciò non incideva sugli interventi agevolati (poniamo, cappotto termico sulle facciate): la veranda è su una loggia, non tocca il cappotto, ecc. È utile anche dimostrare di aver avviato una pratica di sanatoria edilizia nel frattempo: mostra che stai regolarizzando la situazione. Tutto ciò per convincere il giudice che si tratta di un vizio formale, non sufficiente a giustificare il ritiro del bonus. Se invece l’abuso è rilevante (es. un intero piano costruito senza permesso, o un immobile totalmente abusivo) ed era effettivamente necessario regolarizzarlo per ottenere l’agibilità, allora sarà molto dura contestare il recupero: la norma agevolativa richiede in effetti la legittimità edilizia di base. In tale scenario, potrai al più puntare sul piano sanzionatorio: dire che ignoravi l’abuso (magari perché l’hai ereditato) e chiedere clemenza sulle sanzioni, ma il rimborso del bonus con ogni probabilità sarà dovuto. In sintesi, oggi come oggi l’Agenzia non dovrebbe revocare il Superbonus per semplici abusi formali grazie alla CILAS, e se lo fa c’è ampio spazio per difendersi citando la norma semplificativa e le circolari esplicative. Per abusi gravi, la difesa è molto più complicata e si sposta su altri fronti: ad esempio, valutare azioni civili contro chi ti ha venduto l’immobile taciendoti l’abuso, o contro il tecnico che non lo ha rilevato. Ma in sede fiscale c’è poco da fare se l’immobile era sine titulo.
D: Se l’impresa ha sbagliato i lavori o non li ha finiti e per questo perdo il bonus, posso evitare di pagare o rivalermi in qualche modo?
R: Sul piano fiscale purtroppo no: la legge valuta il fatto oggettivo. Se i lavori non sono completati nei termini o non raggiungono i requisiti, il beneficio fiscale decade indipendentemente dal perché. Non esiste un’esenzione del tipo “colpa dell’impresa”: il Fisco guarda al fatto che tu hai fruito di una detrazione senza che ne sussistessero i presupposti, e quindi tu devi restituire l’importo indebitamente detratto (o perdere il credito non ancora utilizzato). Tuttavia – ed è un “tuttavia” importante – tu hai pieno diritto di rivalerti civilmente sull’impresa per il danno economico che ti ha causato. Il rapporto tra te e l’impresa è di natura contrattuale: l’impresa aveva l’obbligo di eseguire i lavori a regola d’arte e nei tempi previsti dal contratto. Se il bonus sfuma per un suo inadempimento (ad esempio perché non ha finito i lavori entro la scadenza, oppure li ha fatti male e non si ottiene l’efficientamento promesso), questo costituisce un danno emergente per te, quantificabile nell’importo del bonus perso più eventuali sanzioni e interessi che devi pagare al Fisco. In termini giuridici, puoi chiedere che l’impresa ti manlevi rispetto alle richieste dell’Agenzia delle Entrate – in altri termini, che sia l’impresa a rimborsarti ciò che devi restituire al Fisco. Come procedere? Dipende dai casi: se non hai ancora pagato interamente l’impresa (perché magari era sconto in fattura, o hai pagato solo acconti), puoi sospendere o rifiutare i pagamenti residui per un importo equivalente al bonus perso. Ad esempio, se dovevi ancora pagare €30.000 e il bonus perso vale €20.000, puoi trattenere €20.000 – ovviamente motivando per iscritto questa compensazione dovuta all’inadempimento. Inoltre, puoi avviare una causa civile per risoluzione contrattuale (se i lavori sono incompleti) e risarcimento danni. Nel risarcimento includerai l’importo del bonus da restituire al Fisco, le eventuali sanzioni e interessi, oltre ad altri costi (es. dover affidare i lavori a una nuova ditta, ritardi, etc.). L’ideale sarebbe ottenere che l’impresa ti manlevi – cioè si impegni a pagare al posto tuo quanto dovuto al Fisco. In pratica poche imprese accetteranno spontaneamente di farlo, quindi sarà il giudice civile eventualmente a condannarla. Tieni presente che queste cause civili possono essere lunghe e, se l’impresa nel frattempo fallisce, rischi di non recuperare nulla. Per questo, valuta anche un approccio transattivo: ad esempio, potresti proporre all’impresa di farsi carico di versare subito (o decurtare dalle sue spettanze) una parte del dovuto fiscale, per chiudere bonariamente la questione e non rovinarvi la relazione. Spesso l’impresa locale tiene alla reputazione e potrebbe venire a miti consigli se sa di aver torto. In sintesi: fiscalmente devi pagare tu e poi civilmente rivalerti verso l’impresa e/o il direttore lavori/progettista se hanno colpa. Lo stesso vale se l’errore è stato del tecnico (es. ha sbagliato i calcoli e non hai ottenuto due classi): potrai agire contro di lui per negligenza professionale chiedendo il risarcimento delle sanzioni e imposte a tuo carico.
Ricorda che in ogni caso non fare nulla non è un’opzione: se hai perso il bonus per colpa altrui, attivati. Non pagare il dovuto al Fisco porterà a cartelle e interessi di mora, quindi conviene regolarizzare (magari con un pagamento rateale all’Agenzia) e poi perseguire chi di dovere. Tutto questo evidenzia l’importanza, sin dall’inizio, di stipulare contratti chiari con imprese e tecnici, in cui magari ci sia anche scritto che “l’impresa si impegna a risarcire il committente di eventuali danni (decadenza bonus) causati da sue inadempienze”. Pochi lo fanno, ma sarebbe utile.
Casi pratici e simulazioni (scenari di contestazione e difesa)
Vediamo ora alcune simulazioni pratiche, ispirate a situazioni tipiche che possono verificarsi, per comprendere come applicare i concetti trattati nella guida. Ogni scenario descrive una vicenda ipotetica e indica quali azioni l’avvocato del contribuente (dal punto di vista del debitore) potrebbe intraprendere in difesa.
Caso 1: Lavori in villetta unifamiliare non completati entro la scadenza – perdita parziale del Superbonus
Scenario: Il Sig. Rossi sta ristrutturando la sua casa unifamiliare accedendo al Superbonus 110%. Per le villette, la normativa (come prorogata a suo tempo dalla L. 234/2021) prevedeva che, avendo raggiunto il 30% dei lavori al 30/9/2022, potesse avere il 110% fino al 31/12/2022. Purtroppo l’impresa accumula ritardi e al 31 dicembre 2022 i lavori sono completati solo all’80%; si protraggono poi fino a marzo 2023. Il Sig. Rossi aveva ceduto il credito via via maturato a una banca durante i lavori. Nel luglio 2024, l’Agenzia delle Entrate notifica al Sig. Rossi un atto di recupero: contesta che le spese sostenute nel 2023 (circa €20.000) non avevano più diritto al 110% ma solo al 90%, poiché la proroga del 110% per le unifamiliari valeva solo fino a fine 2022 (avendo raggiunto SAL 30% a settembre) e dal 2023 l’aliquota era scesa. Dunque quel 20% di differenza è un credito non spettante da restituire. L’atto chiede circa €4.000 di imposta, più interessi, più una sanzione del 30% su tale importo (circa €1.200). Il Sig. Rossi cade dalle nuvole: era convinto di poter avere il 110% su tutte le spese, non sapeva di questa distinzione per le spese 2023. In pratica, ha fruito di €4.000 in più di detrazione di quanto spettante.
Difesa (azioni possibili): L’avvocato analizza la situazione. Effettivamente, la normativa all’epoca (L. 234/2021, legge di bilancio 2022) era chiara sul punto: per le villette unifamiliari prorogate serviva completare i lavori entro il 31/12/2022 per mantenere il 110%; le spese successive andavano al 90%. Il Sig. Rossi, pur avendo rispettato il SAL 30% entro settembre, non ha finito entro il 2022, quindi sulle spese 2023 spettava solo il 90%. In sede di merito sarà difficile contestare questo: giuridicamente l’Agenzia è nel giusto nel recuperare quel 20%. Tuttavia, il legale individua diversi elementi su cui puntare:
- Buona fede ed errore scusabile: Rossi non era affatto un furbetto, ma è vittima del ritardo dell’impresa e soprattutto della complessità delle regole. Potrebbe non aver compreso che la proroga era “fino al 31/12/22” e oltre quella data l’aliquota calava al 90%. Si evidenzierà che ha agito secondo le indicazioni avute e che non aveva volontà elusiva. Questo serve soprattutto a chiedere la non applicazione delle sanzioni (o almeno la loro riduzione al minimo) invocando l’errore incolpevole ex art. 6, c.5 D.Lgs. 472/97.
- Fondo “indigenti” 2024: il legale nota che a fine 2023 è stato introdotto (DL 212/2023) un contributo a fondo perduto per i soggetti con ISEE < €15.000 che, avendo raggiunto SAL 60% a fine 2023, si trovano con spese 2024 al 70% anziché 110%. Questo contributo copre proprio il gap dal 110% al 70% per le spese 2024. Nel caso del Sig. Rossi, il “buco” è del 20% sulle spese 2023 – tecnicamente non rientrerebbe in quel fondo (valido solo per spese 2024). Tuttavia, l’avvocato richiama in via equitativa lo spirito della norma: evidenzia che il Sig. Rossi ha ISEE 14.000 € e che se solo il legislatore avesse considerato anche i SAL a fine 2022 avrebbero coperto pure lui. Insomma, cerca di far percepire l’iniquità del far pagare a un soggetto a basso reddito l’errore di tempistica, quando per altri casi analoghi il legislatore ha fornito un aiuto. Questo argomento creativo magari non convincerà la Commissione a non fargli pagare (non c’è base giuridica diretta), ma serve a dare un contesto di “ingiustizia” subita.
- Accordo con l’ufficio per chiudere senza sanzioni: conscio che la pretesa principale è fondata, l’avvocato propone all’ufficio un accertamento con adesione o conciliazione: il Sig. Rossi è disposto a pagare quel 20% di differenza (€4.000) più gli interessi, ma chiede l’annullamento (o quantomeno la forte riduzione) della sanzione. L’ufficio, valutando la sua buona fede e situazione ISEE, accetta di definire facendogli pagare solo una sanzione minima simbolica (es. 5%). In effetti, nell’adesione potrebbero accordarsi per una sanzione ridotta al minimo edittale (10%) e ulteriormente ridotta di 1/3 (quindi ~6.7%). Nel nostro scenario ipotizziamo un buon esito: Rossi pagherà €4.000 + interessi modesti, con sanzione ridotta a €200 (5% di €4.000).
- Azione di rivalsa verso l’impresa: l’avvocato consiglia inoltre al Sig. Rossi di valutare un’azione contro l’impresa esecutrice. Nel contratto c’era una data di fine lavori al 31/12/22, non rispettata. Quel ritardo gli è costato €4.000 di tasca propria. Si può scrivere all’impresa chiedendo almeno un rimborso parziale, minacciando altrimenti causa per danni. Rossi vive in paese, conosce il costruttore e preferisce non “rovinarci i rapporti”, quindi decide di non procedere legalmente contro di lui. In ogni caso, grazie alla difesa attuata, il contenzioso col Fisco si chiude in adesione senza un lungo processo.
Sintesi: in questo scenario il contribuente ha dovuto restituire parte del bonus, ma grazie alla difesa non ha pagato sanzioni significative e ha potuto dilazionare l’importo (presumibilmente in adesione lo avrà rateizzato in 8 rate trimestrali). Il caso illustra come, a fronte di contestazioni fondate sul piano tecnico, la strategia sia limitare i danni puntando sulla buona fede e su soluzioni transattive.
Caso 2: Contestazione di credito inesistente per lavori “fantasma” – beneficiario truffato dall’impresa
Scenario: Un condominio di 8 famiglie affida nel 2021 i lavori trainanti e trainati del Superbonus 110% a una ditta Alpha Srl che offre anche lo sconto in fattura. La ditta esegue solo pochi interventi iniziali, poi a metà 2022 abbandona il cantiere, ma nel frattempo ha già emesso fatture come se avesse completato tutto e ha ceduto i crediti maturati (fittiziamente) a una finanziaria. I condomini si trovano con la facciata solo parzialmente rifatta e l’impianto termico non completato – insomma lavori lasciati a metà. A marzo 2023 la Guardia di Finanza avvia indagini: emerge che Alpha Srl ha frodato diversi condomìni, creando crediti fittizi su lavori mai realizzati. La Procura sequestra il “cassetto fiscale” della società e dei beneficiari, bloccando i crediti residui ancora non utilizzati dalla finanziaria. Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate notifica atti di recupero verso ciascun condomino per l’intero importo del bonus di cui hanno indirettamente fruito (tramite sconto/cessione). Gli 8 condomini sono sconvolti: loro pensavano che l’impresa stesse lavorando – seppur male – e di aver ceduto regolarmente il credito; ora rischiano di dover pagare circa €400.000 complessivi (in media €50.000 a famiglia) di crediti dichiarati “inesistenti”. In più ci sono sanzioni al 100% contestate. Questo è un tipico caso di frode, dove i beneficiari però sono vittime inconsapevoli.
Difesa (azioni possibili): La situazione è delicata perché formalmente i crediti sono inesistenti (lavori non eseguiti) e la legge prevede il recupero integrale con sanzioni pesanti. Tuttavia i condomini hanno ottimi argomenti per difendersi sul piano soggettivo. Un pool di avvocati viene incaricato (uno per condòmino, o uno collettivo in rappresentanza di tutti) e impostano la difesa su più fronti paralleli:
- Penale: c’è un procedimento penale per truffa aggravata a carico dei titolari di Alpha Srl. I condomini si costituiscono parte civile in quel processo chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali (in primis quanto dovranno restituire al Fisco) e morali subiti. Puntano a ottenere una sentenza penale di condanna degli imputati con obbligo di risarcimento in solido. Questo perché sanno che, anche vincendo sul fronte tributario (cosa non garantita), comunque i lavori sono da rifare e soldi ne hanno persi, dunque vogliono far valere la loro posizione di vittime nel penale.
- Tributario (ricorso contro gli avvisi): la strategia in questo caso è dimostrare che i condomini erano totalmente in buona fede e vittime essi stessi della frode. Gli avvocati producono tutte le prove: il contratto d’appalto con Alpha Srl, i bonifici di acconto che alcuni condomini avevano versato all’inizio (prima di passare allo sconto), le comunicazioni intercorse con l’impresa in cui questa garantiva che “andava tutto bene”, eventuali denunce già sporte quando la ditta è sparita. L’argomento è: non c’era volontà di indebito arricchimento da parte dei condomini, anzi loro hanno pagato parte dei lavori e ci hanno rimesso; se i crediti risultano inesistenti è colpa dell’impresa, non perché i condomini abbiano dichiarato il falso consapevolmente. L’obiettivo nel ricorso è quanto meno ottenere l’annullamento delle sanzioni (100%) e magari una riduzione del quantum contestato. Ad esempio, si può cercare di dimostrare che parte dei lavori in realtà fu eseguita: magari il cappotto termico è stato realizzato al 50% – i condomini potrebbero avere diritto al 50% del bonus, quindi il credito non è interamente inesistente ma in parte non spettante. Ciò richiederà una perizia tecnica che quantifichi lo stato di avanzamento: se si riesce a provare che metà dei lavori era fatta, il giudice potrebbe riqualificare la pretesa, dal recupero del 100% come credito inesistente (con sanzione 100%) a un recupero del 50% come credito non spettante (sanzione 30%). Non sarà facile (perché comunque i requisiti finali non furono raggiunti), ma vale la pena tentare. In ogni caso, sulle sanzioni si insiste che c’è errore inevitabile: i condomini non potevano accorgersi della frode perché si fidavano delle asseverazioni e dei visti prodotti dall’impresa. Quindi chiedono di azzerare le sanzioni applicando l’esimente di cui parlavamo (art. 6 co.5 D.Lgs. 472/97). Questa richiesta ha buone chance di successo data la situazione.
- Responsabilità solidale del cessionario: in questo caso la finanziaria (cessionaria dei crediti) risulta anch’essa beffata dalla ditta fraudolenta. Dalle carte emerge che la finanziaria non ha dolo (anche lei pare vittima), ma potrebbe aver avuto colpa grave se non ha verificato il cantiere. In ogni caso, l’Agenzia – un po’ sorprendentemente – ha notificato gli atti solo ai condomini, non alla finanziaria cessionaria (forse giudicandola diligente). Gli avvocati valutano se “chiamare in causa” la finanziaria nel giudizio: tecnicamente il giudice tributario non può pronunciare condanne tra privati, ma i condomini potrebbero segnalare che la finanziaria ha beneficiato di quei crediti fasulli (perché magari li ha già compensati in F24) e doveva controllare di più. L’obiettivo non è tanto far condannare la finanziaria in sede tributaria (impossibile), ma far emergere l’eventuale negligenza del cessionario: questo per rafforzare la tesi che se c’è un colpevole non sono di certo i condomini. Parallelamente, viene consigliato ai condomini di agire in sede civile contro la finanziaria per arricchimento senza causa o responsabilità extracontrattuale: in pratica sostenendo che la finanziaria ha beneficiato di crediti fasulli e avrebbe dovuto controllare, per cui dovrebbe restituire ciò che ha indebitamente incassato. Non è una causa facile, ma potrebbe portare a una transazione: magari la finanziaria, per evitare pubblicità negativa e lunghe cause, accetta di rinunciare a pretendere i crediti residui ancora non compensati (che erano stati sequestrati) e di destinarli a ridurre il debito dei condomini. In effetti nel nostro scenario supponiamo che la finanziaria, una volta appurato il caos, preferisca rinunciare a circa €100.000 di crediti che ancora deteneva, lasciandoli “scadere”, in modo da alleviare di un quarto il debito dei condomini in un accordo globale. Queste dinamiche avvengono fuori dal processo tributario ma sono cruciali.
- Misure urgenti durante il processo: gli avvocati chiedono subito alla Commissione Tributaria la sospensione degli atti vista l’entità astronomica: €400k su 8 famiglie significa ~€50k a famiglia, certamente un danno grave. Producono la copia della denuncia penale e altri elementi a supporto del fumus (le tesi difensive) e del periculum (il rischio di rovina economica). La sospensione viene concessa. Intanto, al penale vengono sequestrati i beni di Alpha Srl: i condomini sperano che con la confisca dei profitti illeciti possano recuperare qualcosa per risarcirsi. Questo caso andrà avanti a lungo in ogni sede. Probabilmente, ipotizziamo che alla fine: il penale conferma la truffa ma Alpha Srl è fallita, quindi i condomini ottengono solo una magra consolazione morale, poco risarcimento. In sede tributaria, grazie alla difesa, i condomini ottengono l’annullamento delle sanzioni (riconosciuti come vittime di errore scusabile) e la possibilità di una rateizzazione lunga del debito principale (ad es. 10 anni di rate). La finanziaria cessionaria, dal canto suo, come detto rinuncia a utilizzare crediti per €100k che erano ancora sospesi, e questo fatto viene considerato come un contributo a ridurre il danno: sostanzialmente €100k di quei crediti fittizi non verranno mai compensati (lo Stato non li perderà) e quindi in fase di accordo finale col Fisco si transa tenendone conto. I condomini comunque ci rimettono parecchi soldi (dovranno pagare quantomeno la quota di credito effettivamente non coperta da lavori, salvo eventuali risarcimenti futuri). Ma grazie alla difesa hanno evitato di pagare il doppio (cioè di pagare anche sanzioni) e sono riusciti a orientare la responsabilità sui veri colpevoli.
Sintesi: questo scenario mostra un caso estremo di frode ai bonus dove però i beneficiari non sono i furbetti ma le vittime. La difesa si concentra sull’escludere la loro colpevolezza e sul trovare vie risarcitorie. Non sempre si riuscirà a evitare il recupero del bonus (poiché oggettivamente i lavori non furono fatti), ma si può evitare che famiglie innocenti vengano rovinate ulteriormente da sanzioni e interessi. Importante anche l’aspetto che il cessionario in buona fede comunque perde il credito (sequestro e annullamento) – Cassazione penale 2024 ha chiarito che il credito fittizio va estromesso dal circuito fiscale anche se chi l’ha acquistato era ignaro. Quindi la banca in questo caso non pagherà sanzioni penali, ma perde il milione di credito comprato e subisce il sequestro delle somme equivalenti, dovendo poi rivalersi (forse inutilmente) su Alpha Srl. Ognuno subisce danni, tranne il truffatore che spesso è insolvibile; ma almeno i contribuenti onesti non pagheranno oltre il danno anche la beffa delle multe.
Caso 3: Contestazione in condominio per vizio formale risolta in autotutela
Scenario: Un condominio ha realizzato interventi trainanti (cappotto termico) e trainati (infissi) col Superbonus 110% nel 2021. Tutto sembra regolare, i crediti sono stati ceduti a una banca. Nel 2022 l’Agenzia invia un questionario chiedendo vari documenti. L’amministratore risponde ma omette di allegare la copia della CILAS, pensando non servisse perché nel 2021 non era ancora obbligatoria (in realtà era già stata introdotta a luglio 2021!). L’ufficio, non trovando la CILA, conclude che i lavori sono stati fatti senza valido titolo edilizio e quindi, a fine 2022, invia un avviso di recupero dell’intero bonus (€300k) per “mancata presentazione CILA = detrazione non spettante”. In realtà la CILAS era stata presentata eccome al Comune, solo che l’amministratore non l’aveva allegata per errore. Il condominio, tramite l’avvocato, agisce immediatamente: presentano un’istanza di autotutela all’Agenzia allegando la CILAS protocollata e approvata a suo tempo, spiegando che c’è stato un fraintendimento. Chiedono dunque l’annullamento dell’atto, perché il motivo del recupero (assenza CILA) è insussistente: la CILA c’è, solo che loro non l’avevano trasmessa prima. Contestualmente, per sicurezza, depositano comunque ricorso (con riserva di rinuncia) per non far scadere i termini, e chiedono la sospensione. L’Agenzia, una volta verificato il documento, riconosce l’errore e annulla in autotutela l’atto prima ancora dell’udienza di sospensione. Caso risolto in poche settimane. (La lezione per l’amministratore: rispondere sempre in modo completo ai questionari; un piccolo errore ha rischiato di costare caro, ma per fortuna era sanabile con dialogo).
Caso 4: Responsabilità solidale contestata a banca per credito falso
Scenario: La banca Beta ha acquistato vari crediti fiscali edilizi tramite un intermediario nel 2021. Uno di questi lotti, del valore di €1 milione, si rivela nel 2022 completamente fittizio (lavori mai eseguiti, beneficiario irreperibile). L’Agenzia Entrate annulla quei crediti sul cassetto fiscale del beneficiario e li dichiara inesistenti. La banca Beta non è riuscita a utilizzarli (bloccati prima della compensazione e poi annullati). Successivamente, dall’istruttoria emerge che in quella frode la banca forse è stata troppo disinvolta: Beta ha comprato a 70 cent/€ crediti da una piccola impresa edile a capitale minimo, senza nemmeno acquisire l’asseverazione (si fidava del mediatore). Quindi l’Agenzia ritiene che Beta sia stata gravemente negligente e le contesta la responsabilità solidale per quei crediti, chiedendo sanzione (100%) e minacciando anche segnalazione penale. In pratica, vuole far pagare alla banca il costo del credito inesistente.
Azione difensiva: Gli avvocati di Beta preparano una memoria difensiva robusta per l’Agenzia (e per scongiurare la denuncia penale), evidenziando:
– Beta in realtà aveva attuato procedure di controllo interne (esibiscono i protocolli aziendali, e-mail col mediatore). È vero che alcuni documenti mancavano, ma la banca era convinta fossero in regola. Invocano la norma del 2022: qui non c’era dolo, e per la colpa grave contestano che la mancanza di asseverazione fu dovuta all’inganno del mediatore (che aveva falsificato un’attestazione, a quanto scoperto). Quindi anche la banca fu ingannata.
– Citano i principi espressi dalla Cassazione penale 2024: la buona fede del cessionario non “depura” il credito ma lo salva penalmente. Puntano a evitare guai penali evidenziando che hanno collaborato con la Procura (hanno denunciato loro stessi il mediatore, ecc.).
– Nel procedimento tributario, sottolineano che Beta non ha mai utilizzato quei crediti in compensazione, quindi non c’è un danno erariale effettivo (nessuna imposta è stata evitata con quel milione, perché mai compensato). Ergo, chiedono che non venga sanzionato un “utilizzo” che non c’è stato. Al massimo c’è un tentativo di frode da parte del beneficiario, ma la banca non ha sottratto nulla al Fisco.
– Citano infine la normativa introdotta dal DL 11/2023: Beta dichiara di aver ormai recuperato tutti i documenti (dopo il fatto hanno indagato: hanno scoperto ad esempio dal Comune che non c’era mai un titolo edilizio – scoperta tardiva, ma dicono che non potevano saperlo prima). Quindi ora Beta possiede l’elenco completo dei documenti richiesti (anche se postumi) e sostiene che comunque la normativa gli attribuisce la possibilità di dimostrare la diligenza anche se parte dei documenti mancavano.
– Risultato ipotetico: l’Agenzia, percependo che la banca darebbe battaglia e potrebbe far emergere che magari gli stessi controlli del Fisco ex art. 122-bis non scattarono (un po’ di imbarazzo per l’Agenzia stessa), decide di non perseguire oltre Beta sul piano tributario. Magari la banca patteggia solo una sanzione ridotta per “diligenza non impeccabile” in adesione, ma di fatto salva la reputazione e non viene trascinata in un contenzioso pubblico.
Sintesi: questo scenario evidenzia i profili di difesa di un cessionario che si vede imputare la colpa grave. La banca, sapendo di avere qualcosa da rimproverarsi (poteva controllare meglio), punta a dimostrare di aver fatto in realtà il possibile e di essere stata anch’essa vittima di un raggiro. Mette sul tavolo la collaborazione attiva (denuncia, consegna documenti) e soprattutto sottolinea che non ha mai usato quei crediti, quindi non ha tratto profitto indebito. Questo è un argomento forte: se un credito inesistente viene scoperto prima che il cessionario lo usi, lo Stato non subisce alcun danno economico diretto. Ovviamente c’è il danno “potenziale” e la lesione agli interessi generali, ma è diverso da chi compensa crediti falsi abbattendo le proprie tasse. Crediti inesistenti non usati equivalgono quasi a non aver fruito del bonus – rimane la punibilità penale del tentativo di truffa in capo agli autori originari, ma per il cessionario in buona fede dovrebbe valere il nullum crimen (non è reato aver acquistato in sé il credito falso) e nessuna sanzione tributaria per utilizzo (perché non l’ha usato). La conclusione ipotizzata vede l’Agenzia concentrarsi sui veri frodatori (il beneficiario fantasma e il mediatore) e lasciar stare la banca, forse facendole pagare giusto una multa minima per aver comprato senza l’asseverazione. Ciò evita anche una brutta causa dove la banca avrebbe potuto mettere in luce mancanze normative pregresse. È un esempio di come nel 2023-24, con la nuova normativa, un cessionario in buona fede ben documentato possa efficacemente difendersi e convincere l’Agenzia a desistere.
Caso 5: Contestazione per difformità edilizia lieve risolta con interpretazione favorevole
Scenario: Mario, proprietario di un appartamento, ha beneficiato del Superbonus 110% per interventi trainati (nuovi infissi e caldaia) grazie a un intervento trainante condominiale (cappotto termico). Tutto regolare, crediti ceduti. Nel 2023, l’Agenzia gli contesta che il suo appartamento aveva una veranda abusiva (chiusura di balcone non autorizzata) e quindi l’immobile non era del tutto in regola urbanisticamente, motivo per cui il bonus non sarebbe spettato. Importo detrazione fruita da Mario: €15.000. Mario pensava di essere a posto perché il condominio aveva presentato la CILAS per il cappotto.
Difesa: L’avvocato di Mario impugna l’atto sottolineando che:
– La veranda è antecedente al 1967 (o comunque è una difformità minore). Con la CILAS condominiale non era richiesto di attestare lo stato legittimo dell’immobile, quindi per legge quell’abuso non comporta decadenza. Si cita l’art. 119 c.13-ter DL 34/2020 (introdotto da L.108/2021) che tutela il bonus in presenza di CILAS e prevede decadenza solo nei quattro casi gravi. Una veranda non incide sulle parti strutturali e non impediva affatto i lavori condominiali. Quindi l’ufficio non può pretendere di revocare il bonus per questo.
– Probabilmente l’Agenzia ha ignorato la norma semplificativa. Si allegano circolari esplicative (Es. Circ.30/E 2020) e la copia della CILAS condominiale per rimarcare che la veranda non impediva nulla. In sostanza si fa valere che grazie alla CILAS la veranda abusiva è irrilevante ai fini del bonus.
– Si aggiunge che Mario ha anche presentato domanda di condono/sanatoria per la veranda nel frattempo, dimostrando la volontà di regolarizzare. Questo per sottolineare la sua buona fede e che l’abuso è tecnicamente sanabile.
– Risultato atteso: la Commissione presumibilmente annullerà l’atto perché la normativa esclude la decadenza in casi simili (difformità minori con CILAS). Se l’Agenzia fosse ostinata e il giudice per scrupolo non volesse applicare direttamente l’art.119 c.13-ter, magari potrebbe decidere in via equitativa che il bonus spetta perché la veranda non ha nulla a che vedere con cappotto e infissi. In ogni caso Mario conserverà integralmente il suo bonus, eviterà sanzioni, e provvederà poi a regolarizzare la veranda per evitare future questioni.
Sintesi: questo scenario dimostra la potenza delle modifiche normative del 2021: prima una veranda abusiva avrebbe fatto decadere l’intero bonus di Mario; oggi, grazie alla CILAS semplificata, si può sostenere agevolmente che quella violazione formale non comporta la perdita del beneficio. La difesa qui combina normativa fiscale e considerazioni fattuali (la veranda non incide sui lavori, Mario la sta condonando). Ci si aspetta un esito positivo per il contribuente. Questo esempio evidenzia come un avvocato esperto sappia individuare la “scappatoia” legale introdotta a suo favore – in questo caso l’art.119 c.13-ter – e utilizzarla per neutralizzare la contestazione. Un non addetto ai lavori magari non avrebbe saputo di quella norma e avrebbe subìto un recupero ingiusto.
Questi esempi mostrano che, di volta in volta, la difesa richiede di combinare normativa fiscale e elementi fattuali, con creatività ma anche rigore. Il ruolo dell’avvocato esperto in Superbonus è proprio quello di orientare il cliente attraverso questo complesso panorama, valutando rischi, possibili soluzioni e strategie su misura del caso concreto.
Conclusione
Difendersi efficacemente da contestazioni relative al Superbonus 110% e agli altri bonus edilizi richiede un mix di conoscenza normativa aggiornata, capacità tecnico-probatorie e strategia legale. Abbiamo visto come il quadro normativo italiano abbia evoluto sia gli incentivi sia gli strumenti di tutela per i soggetti in buona fede (ad esempio limitando la responsabilità solidale ai casi di dolo/colpa grave, offrendo sanatorie per cantieri in corso, semplificando le procedure con la CILAS). Allo stesso tempo, i controlli di legittimità si sono fatti più stringenti e numerosi. Dal punto di vista del debitore, ossia del beneficiario chiamato a restituire l’agevolazione, possiamo enucleare alcuni punti chiave da portare avanti in ogni difesa:
- Dimostrare la propria diligenza e buona fede: un contribuente che può esibire tutti i documenti richiesti, che ha seguito le procedure previste (CILA, visti, asseverazioni) e che si è affidato a professionisti qualificati, parte già avvantaggiato. Nel diritto tributario, ciò può tradursi nell’annullamento delle sanzioni amministrative per assenza di colpevolezza. Nei casi migliori, una condotta diligente può persino convincere l’Agenzia a desistere da pretese puramente formali prima di arrivare in giudizio.
- Usare sapientemente le norme a favore del contribuente: negli ultimi anni, complice la farraginosità della materia, il legislatore ha introdotto diverse “valvole di sfogo” a tutela dei cittadini. Un avvocato esperto sa individuare queste scappatoie legali e sfruttarle: come nel caso visto della CILA-Superbonus che evita la decadenza per abusi edilizi minori, o come la possibilità di definizioni agevolate e ravvedimenti operosi per sanare spontaneamente gli errori. Anche in giudizio, saper qualificare un errore come “non spettante” anziché “inesistente” può dimezzare la sanzione dovuta. Oppure, richiamare la causa di non punibilità per incertezza normativa può salvare da multe pesanti. Insomma, conoscere a fondo la normativa e i precedenti consente di ridurre l’impatto delle contestazioni.
- Cooperazione e dialogo con l’Amministrazione: salvo situazioni di aperta frode, spesso è possibile trovare soluzioni condivise con l’ufficio fiscale. Ciò riflette anche un orientamento moderno del Fisco: ad esempio, di fronte a un contribuente disponibile a pagare il dovuto dimostrando di non aver avuto dolo, l’Agenzia può concordare la rinuncia alle sanzioni o un pagamento rateale sostenibile. D’altronde, imporre a famiglie e imprese oneste oneri insostenibili non conviene a nessuno – si rischierebbe solo un’ondata di contenziosi e fallimenti, e magari di non riscuotere comunque nulla. Abbiamo visto casi in cui l’ufficio, preso atto della buona fede del contribuente, ha fatto marcia indietro in autotutela appena mostrata la prova mancante, oppure ha accettato definizioni con sanzioni simboliche pur di chiudere la partita. Quindi è importante non erigere muri: la contrapposizione sterile col Fisco spesso peggiora le cose, mentre un approccio professionale ma costruttivo può portare a esiti sorprendentemente positivi.
- Tutela dei diritti del contribuente anche verso terzi: non bisogna dimenticare la dimensione privatistica di queste vicende. Il beneficiario che subisce un danno (perdita del bonus) non è privo di rimedi verso chi ha concorso a causarlo. Le imprese appaltatrici, i progettisti, i fiscalisti, i cessionari – ciascuno nel proprio ruolo – rispondono delle proprie condotte. Come evidenziato, un approccio olistico prevede di attivare, parallelamente alla difesa tributaria, le dovute azioni civili (o denunce penali) per spostare il peso economico su chi effettivamente ha sbagliato o frodato. In questo modo, il contribuente può aspirare a non rimanere l’unico “anello debole che paga per tutti”.
- Importanza della consulenza preventiva e della compliance: in ultimo, vale il vecchio adagio che prevenire è meglio che curare. Questa guida – concepita per un pubblico avanzato – ci tiene a sottolineare che evitare le contestazioni è la miglior difesa. Nel contesto futuro, con aliquote ridotte (65% e meno) e maggiori vincoli, chi intenderà ancora fruire di bonus edilizi dovrà farlo con una pianificazione attenta: verifiche urbanistiche preliminari, studio dei requisiti normativi e monitoraggio costante dell’evoluzione legislativa. Un avvocato esperto in materia, affiancato da tecnici qualificati, può offrire un servizio di audit e consulenza preventiva per assicurare che l’operazione di ristrutturazione sia impermeabile ai rilievi del Fisco. Ad esempio, revisionare la pratica prima dell’invio all’ENEA, controllare che tutti i documenti siano a posto, simulare possibili controlli incrociati, ecc. In un periodo in cui le percentuali di detrazione si abbassano e la tolleranza del Fisco verso gli abusi è zero, la compliance proattiva diventa fondamentale: chi gioca d’anticipo, difficilmente sarà colto in fallo. Chi invece improvvisa, rischia di trovarsi a dover combattere una battaglia difensiva successiva, con costi e incertezze.
In conclusione, la materia dei bonus edilizi e delle relative contestazioni è complessa ma non priva di tutele per il contribuente onesto. Il consiglio finale per avvocati, professionisti e contribuenti è di studiare a fondo ogni contestazione, non dare mai per scontato che l’Agenzia abbia ragione (spesso, come abbiamo visto, un dettaglio normative può ribaltare la situazione), e di farsi assistere da esperti del settore. Con una difesa ben preparata, molti atti inizialmente “perdenti” si sono risolti positivamente. L’importante è agire tempestivamente, raccogliere le prove, conoscere i propri diritti e non scoraggiarsi di fronte alla mole di norme e burocrazia: con l’aiuto giusto, anche il contribuente può far valere le proprie ragioni e difendere con successo i bonus fiscali di cui ha beneficiato.
Fonti normative e giurisprudenziali principali citate: Superbonus: art. 119 e 121 D.L. 34/2020 conv. L.77/2020 e successive modifiche; Circolare AdE 23/E/2022 (indici di rischio cessioni); Circolare AdE 33/E/2022 (dolo/colpa grave cessionari); Legge 142/2022 (conversione DL Aiuti-bis, art.33-ter su responsabilità cessionari); D.L. 11/2023 conv. L.38/2023 (stop cessioni, commi 6-bis ss. art.121); D.Lgs. 13/2024 e 87/2024 (riforma sanzioni: art. 13 D.Lgs.471/1997 modificato: sanzione 25% e 70%); Cass. SS.UU. nn.34419 e 34452/2023 (definizione “credito inesistente” vs “non spettante”); Cass. pen. Sez.II n.3108/2024 (sequestro crediti anche se cessionario in buona fede); Cass. pen. Sez.II n.45868/2024 (truffa aggravata anche senza utilizzo, basta ottenimento credito fraudolento); Statuto contribuente art.10 c.3 (no sanzioni se contribuente seguiva indicazioni Fisco poi mutate); D.Lgs. 472/97 art.6 co.2-5 (non punibilità per obiettiva incertezza, errore scusabile); D.Lgs.546/92 art.17-bis (mediazione tributaria, abrogata dal 2024) . (Il riferimento completo e aggiornato a ciascuna fonte è reperibile nelle note e citazioni incorporate nel testo).
Hai ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrate perché ritiene che tu abbia usufruito di bonus edilizi non spettanti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Vuoi capire quali sono i rischi e come puoi difenderti per non perdere l’agevolazione?
I bonus edilizi (bonus ristrutturazioni, ecobonus, sismabonus, superbonus 110%, bonus facciate) sono tra le agevolazioni più utilizzate negli ultimi anni, ma anche tra le più controllate. L’Agenzia delle Entrate effettua verifiche serrate per scoprire eventuali irregolarità, e non di rado invia contestazioni anche per errori formali o interpretazioni restrittive delle norme.
👉 Una contestazione non equivale a colpevolezza: è possibile dimostrare la legittimità delle spese e difendere il proprio diritto al beneficio.
⚖️ Perché scatta la contestazione
- Mancanza dei requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla normativa;
- Errori nella gestione della documentazione tecnica (CILA, asseverazioni, certificazioni energetiche);
- Pagamenti non effettuati con bonifico parlante;
- Spese ritenute non ammissibili;
- Irregolarità nelle cessioni del credito o nello sconto in fattura;
- Differenze tra importi comunicati e dichiarati.
📌 Conseguenze possibili
- Recupero delle detrazioni già fruite;
- Sanzioni e interessi sulle somme contestate;
- Blocco o annullamento dei crediti ceduti o utilizzati in compensazione;
- Possibili indagini penali nei casi più gravi (es. asseverazioni false, truffa ai danni dello Stato).
🔍 Come difendersi
- Verifica il motivo della contestazione: individua con precisione quale requisito l’Agenzia ritiene mancante.
- Raccogli la documentazione tecnica e fiscale: fatture, bonifici parlanti, titoli edilizi, asseverazioni, APE.
- Dimostra la spettanza del beneficio: relazioni tecniche, certificazioni e documenti che provano la conformità ai requisiti di legge.
- Contesta gli errori dell’Agenzia: molte contestazioni derivano da interpretazioni discutibili della normativa.
- Predisponi memorie difensive o ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria se la revoca è ingiustificata.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
- 📂 Analizza la contestazione sui bonus edilizi e individua i punti deboli della pretesa;
- 📌 Verifica la completezza della documentazione e la spettanza del beneficio;
- ✍️ Predispone memorie difensive e ricorsi per annullare o ridurre le somme richieste;
- ⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari;
- 🔁 Valuta anche soluzioni alternative, come definizioni agevolate o regolarizzazioni.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
- ✔️ Avvocato esperto in bonus edilizi e agevolazioni fiscali;
- ✔️ Specializzato in contenzioso tributario e difesa da revoche fiscali;
- ✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sui bonus edilizi sono sempre più frequenti, ma non sempre fondate: spesso derivano da formalismi o da interpretazioni restrittive.
Con una difesa legale mirata puoi salvaguardare le agevolazioni, ridurre le pretese del Fisco e proteggere il tuo patrimonio.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro le contestazioni sui bonus edilizi inizia qui.